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a cura di Silvia Bianco teStimonial di cucina vegana

SIAMO NOI L’ORIGINE DEI MALI DELLA TERRA

IL MONDO NON RAGGIUNGERÀ GLI OBIETTIVI SULLA BIODIVERSITÀ PREFISSATI PER IL 2020

Secondo il Global Biodiversity Outlook 5 (https://www.cbd.int/ gbo5) delle Nazioni unite per il secondo decennio consecutivo i governi non mantengono quanto promesso in sede negoziale sullo stato di conservazione del capitale naturale. Siamo ben lontani dal raggiungere gli obiettivi prefissati, inclusi quelli in scadenza nel 2020. La comunità internazionale non è riuscita a realizzare quasi nessuno dei Target di Aichi, ovvero gli obiettivi sul ripristino della biodiversità concordati tra le nazioni in Giappone nel 2010. Su sessanta Target per la biodiversità di Aichi, solo sette sono stati raggiunti, in particolare quelli sull’ampliamento delle aree protette. Sebbene ci sia sato qualche piccolo progresso in alcuni campi, gli habitat naturali proseguono nel loro declino e un milione di specie su otto milioni conosciute è oggi sotto minaccia di estinzione, un numero davvero troppo elevato.

LIVING PLANET REPORT: IN 50 ANNI PERSI I DUE TERZI DELLA FAUNA SELVATICA MONDIALE

Il patrimonio naturale della terra ha un valore inestimabile, ma rischia di sparire per sempre per mano dell’uomo che da anni sfrutta in maniera intensiva le risorse della terra. Il nuovo rapporto del Wwf pubblicato il 10 settembre 2020 conferma il quadro allarmante sulla perdita di biodiversità. Il Sud America è la zona più colpita e l’Europa importa troppi prodotti rischiosi per gli ecosistemi naturali. Secondo il “Living planet report 2020” del WWF ( https://f.hubspotusercontent20.net/hubfs/4783129/LPR/ PDFs/ENGLISH-FULL.pdf ) circa i due terzi della popolazione globale di mammiferi, uccelli, anfibi, rettili e pesci ha subito enormi perdite nel corso degli ultimi 50 anni. Una diminuzione che interessa il 68% della fauna selvatica del pianeta, minacciata dalla distruzione ambientale per mano dell’incessante attività umana sugli ecosistemi. Secondo lo studio, si tratta della stessa matrice responsabile della comparsa di nuove zoonosi, come il virus Sars-Cov 2 capace di generare nell’uomo la malattia Covid-19 e che il Wwf legge come un vero e proprio “segnale che la natura sta mandando alla società umana, e che mette in luce la necessità di vivere in uno spazio operativo sicuro”. Sebbene ci siano stati progressi in alcune regioni nel mondo, la percentuale di sovrasfruttamento marino è aumentata nell’ultimo decennio, e di pari passo si ha un forte incremento di rifiuti di plastica che danneggia il funzionamento dell’ecosistema marino. Si parla di circa 260mila tonnellate di microplastiche accumulate nei nostri oceani, più del 60% delle barriere coralline del mondo sono minacciate, soprattutto a causa della pesca eccessiva e del cambiamento climatico, per non parlare del grave inquinamento dei rifiuti elettronici, in costante crescita in tutto il mondo a causa di un consumo che si intensifica.

“PIÙ L’UMANITÀ SFRUTTA LA NATURA IN MODI INSOSTENIBILI PIÙ MINIAMO IL NOSTRO STESSO BENESSERE, LA NOSTRA SICUREZZA E LA PROSPERITÀ FUTURA” (Elizabeth Maruma Mrema, Nazioni Unite).

Ogni giorno viviamo cambiamenti climatici che sconvolgono il meteo, incendi che devastano zone come l’Amazzonia, l’Australia e la California, il virus Sars Cov-19 come l’ultima delle malattie originate dal degrado ambientale. Tutto ciò ha un forte impatto negativo diretto sul nostro Pianeta, sulla biodiversità globale, sul benessere degli animali, sugli esseri viventi che lo abitano e quindi sulla salute dei cittadini. Dove arriva l’uomo, diminuisce la biodiversità e ridurre la biodiversità, oltre che essere un’azione ingiusta nei confronti di tutte le forme viventi, sulla cui vita non abbiamo alcun diritto decisionale, non è conveniente a noi stessi

come esseri umani, perché perdiamo i servizi fondamentali che gli ecosistemi ci danno, servizi che ci permettono di vivere.

SMETTERE DI MANGIARE CARNE CI AIUTERÀ?

Secondo la FAO – The Food and Agriculture Organization, il 15% circa delle emissioni di gas serra mondiali è riconducibile agli allevamenti intensivi e alle attività ad essi correlate. Greenpeace conferma il trend eurpeo nel report di settembre 2020 (https:// storage.googleapis.com/planet4-italy-stateless/2020/09/ a56ef207-foraggiare_la_crisi_briefing_09_2020.pdf) Secondo questo studio, le emissioni di gas serra degli allevamenti intensivi rappresentano il 17% delle emissioni totali dell’UE, a livello globale “…il settore zootecnico è responsabile del 70% di tutte le emissioni dirette, senza contare le emissioni legate alle coltivazioni destinate ad uso mangimistico (ad es. l’uso di fertilizzanti di sintesi). Le emissioni globali derivanti dall’allevamento sono paragonabili a quelle dell’intero settore dei trasporti (14,5% delle emissioni complessive di gas serra). Se non si inverte la rotta, il contributo dell’agricoltura aumenterà fino al 52% delle emissioni globali nei prossimi decenni, con circa il 70% dovuto alla produzione di carne e latticini..” Se ne deduce che gli allevamenti intensivi sono tra le maggiori cause di diffusione nell’atmosfera di gas come il monossido di carbonio, il metano e il protossido di azoto. Questi pericolosissimi gas si diffondono nell’atmosfera, ma a causa del riversamento di ingenti quantità dei liquami dagli allevamenti nell’ambiente circostante, gli stessi contaminano la nostra falda acquifera, dopo essersi decomposti. Gli incendi che devastano le foreste del nostro pianeta sono direttamente correlati agli allevamenti intensivi. L’Amazzonia continua a bruciare, anche in questo momento. Ma perché brucia? Il Brasile è il primo produttore di soia al mondo e la esporta in tutto il pianeta: solamente il 6% è destinato al consumo umano, il 3% al combustibile biodiesel, il restante 91% è destinato a mangimi e farine per il consumo animale. Il perché degli incendi è presto detto: vengono appiccati dall’uomo per ottenere nuovi terreni per la coltivazione della soia destinata proprio agli allevamenti. Il Brasile è il primo esportatore di carne bovina al mondo, pertanto gli incendi servono anche per aprire nuovi pascoli utili per allevare bovini destinati all’industria della carne. Questo genere di deforestazione è in atto da 30 anni in Brasile e negli ultimi tempi, complici le scelte del Governo, ha subito un’accelerazione. Gli incendi che hanno pesantemente sconvolto l’Australia da settembre 2019 hanno un’origine diversa da quelli della foresta amazzonica. Si tratta per lo più di incendi spontanei causati da alte temperature e dai forti venti che normalmente spirano durante la stagione primaverile australiana (ottobre – novembre). Lo scorso anno purtroppo iniziarono già a settembre, diffondendosi in tutto il Paese, persino nel Queensland, notoriamente area più umida e pertanto meno toccata dagli incendi. Le cause di questi fenomeni sono da attribuire ai cambiamenti climatici, come l’innalzamento delle temperature con conseguente aumento del rischio incendi in zone già altamente colpite da questi fenomeni. C’è anche da dire che la polizia australiana ha reso noto l’arresto di sospettati per aver appiccato incendi nel Nuovo Galles del sud e quindi un’ennesima volta, per mano dell’uomo, vengono appiccati incendi che poi si diffondono a causa della siccità.

CAMBIARE SI PUÒ

È evidente che il cambiamento climatico mondiale è strettamente legato alla produzione globale di alimenti di origine animale. Il sistema intensivo degli allevamenti sprigiona agenti inquinanti che danneggiano le persone, gli animali, le piante e l’acqua, ne consegue un cambiamento climatico sostanziale con impatto catastrofico su ogni forma di vita del pianeta terra.

Un futuro migliore è possibile grazie alle nostre scelte. Un’alimentazione a base vegetale al 100%, attenta e consapevole, ci rende protagonisti nel costruire un futuro migliore per gli animali, per il pianeta e per tutti noi. Ricordiamoci che noi, come esseri umani dipendiamo direttamente dall’ambiente, ma la biosfera potrebbe fare benissimo a meno di noi!

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