Lanima fa arte n9

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Periodico telematico quadrimestrale a carattere tecnico-scientifico di Psicologia con sede a Chieti in Via Vicoli, 11

Direttore Responsabile: Michele Mezzanotte Proprietario: Valentina Marroni Editore: Ass. L'Anima Fa Arte Web Master: Matteo Colangeli Curatore: Valeria Marroni Iscrizione al Tribunale di Chieti n.6

La collaborazione è aperta a tutti gli studiosi. Gli eventuali articoli (max 20000 caratteri spazi inclusi) e i libri per le recensioni vanno inviati alla redazione: info@animafaarte.it

Immagine Di Copertina: THOMAS EAKINS NINE STUDIES OF A FIGURE, 1880

www.animafaarte.it


Rivista di Psicologia Quadrimestrale www.animafaarte.it N.9 Settembre 2015

INDICE

EDITORIALE, p.3

• Mezzanotte Michele IO? P. 5

• Luca Urbano Blasetti I CHING: SULL'USO DELLA PROIEZIONE E DELLA SINCRONICITÀ IN PSICOTERAPIA P. 11

• Vincenzo Ampolo MEMORIE DELL'ETERNO PRESENTE P. 21

• Michele Accettella L'ARDORE P. 27

• Anthony Molino CONSIDERAZIONI ATTUALI SUL RAPPORTO PSICHE-AMBIENTE P. 33

• a cura di Zaira Cestari INTERVISTA ITINERANTE A REMO ROTH P. 41


Salvador Dalì, Scorpione

L

'IMMAGINE

DI QUESTO EDITORIALE RITRAE UNO SCORPIONE.

QUESTA

IMMAGINE È STATA POSTA QUI PER

ONORARE LA SCOMPARSA DI UN GRANDE POETA E SCRITTORE CHE ERA NATO SOTTO IL SEGNO DELLO

SCORPIONE: ALFREDO VERNACOTOLA. ALFREDO

ERA SOVENTE SCRIVERE PER LA NOSTRA RIVISTA.

HA

ARRICCHITO LE NOSTRE PAGINE DI ARTICOLI MOLTO CREATIVI E CI HA FATTO ASSAGGIARE LA SUA ANIMA SCORPIONICA ATTRAVERSO LE BELLISSIME POESIE PUBBLICATE NELLA SEZIONE

L'ANIMA FA POEIO. QUESTO ALFREDO "L'ARCHETIPO

NUMERO DIECI HA UN VUOTO CREATIVO E LO TESTIMONIA L'ARTICOLO INCOMPIUTO DI DEL TEMPO: ATTRAVERSANDO L'INFINITO".

SIAMO

CERTI CHE IL NOSTRO COMPIANTO SCRITTORE E AMICO SIA DIVENTATO ETERNO GRAZIE AL PATRIMONIO

CULTURALE CHE CI HA DONATO. A TAL PROPOSITO RIPORTIAMO UNA DELLE ULTIME POESIE DI ALFREDO:

LOTTO PERCHÈ LOTTANDO SENTO LA VITA PULSARE DENTRO ME NON MI FERMI NEMICO INVISIBILE. LA TUA INVISIBILITÀ RENDE TUTTO COMPLESSO MA HO LA GIUSTA FORZA PER FARTI COMPRENDERE CHE IO NON DEMORDO. VUOI LA GUERRA PERCHÉ PIÙ BATTAGLIE NON TI SODDISFANO? BENE, SONO QUI E TI ATTENDO, NEMICO INVISIBILE. QUANDO TI INCONTRO DIVENGO PALLIDO, SAI PERCHÉ? PERCHÉ TI RIVOLGO UNA DOMANDA E TU NON RISPONDI. TI SCOVEREMO, E LÌ TI SAPRÒ DIRE CHI SEI, POICHÉ NEANCHE TU SAI BENE DA DOVE VIENI.

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Editoriale

PROBABILMENTE PERSINO DAWKINS CON LA STORIA DEI REPLICATORI RIUSCIREBBE A GIUSTIFICARTI COME ELEMENTO DELLA NATURA. TU SEI NATURA; IO - ALFREDO - SONO NATURA. UN GIORNO MI DIRAI CHI SEI E LÌ, IN QUEL LUOGO, DIBATTEREMO. IL

SUO ULTIMO LIBRO È DA POCO IN VENDITA: EDITO DA

SCORPIONE ALLA VITA.

SCRITTI

VARI".

IN

QUEST'ULTIMA

ARDUINO SACCO EDITORE È INTITOLATO "DALLO PUBBLICAZIONE, MOLTO AUTOBIOGRAFICA, ALFREDO

ANALIZZA LE IMMAGINI DELLO SCORPIONE, QUELLE IMMAGINI CHE LO HANNO CONTRADDISTINTO NELLA SUA PERSONALITÀ ANIMICA.

VI

INVITIAMO AD ACQUISTARLO PER CONOSCERE LA PROFONDITÀ E COMPLESSITÀ DI

UN'ANIMA SCORPIONICA.

NOI,

RIVISTA. UNA TAPPA IMPORTANTE CHE CI CONFERMA UNA RIVISTA INNOVATIVA NEL CAMPO DELLA PSICOLOGIA. INNOVATIVA NEI CONTENUTI, MA ANCHE NELLA FORMA. INFATTI CON LO MIGRAZIONE DELLA VITA QUOTIDIANA SULLA RETE, L'ANIMA FA ARTE SI PRESENTA COME UN MODO DI FARE CULTURA IN RETE, ON THE NET. DIECI NUMERI INTENSI, RICCHI DI PSICOLOGIA, ARTE E CULTURA. DIECI NUMERI IN CUI NUMEROSI SCRITTORI CARI

LETTORI,

SIAMO ARRIVATI AL DECIMO NUMERO DELLA

HANNO PARTECIPATO E HANNO ARRICCHITO CON IL LORO SAPERE E LA LORO PROSPETTIVA LE PAGINE VIRTUALI DELLA TESTATA.

IN

QUESTO EDITORIALE, CI TENGO A SOTTOLINEARE CHE OLTRE AGLI ARTICOLI DEI NOSTRI STUDIOSI (RIPORTATI

NELL'INDICE), SONO SEMPRE PRESENTI GLI INSERTI DI APPROFONDIMENTO CHE NON SONO DI MENO SPESSORE.

IN QUESTO ULTIMO NUMERO SONO: L'ANIMA FA POEIO CON LE POESIE DI VALENTINA MARRONI L'ANIMA FA LIBRO CON LE RECENSIONI DI ALCUNI LIBRI: - PSICHE E GIUSTIZIA, ATTI DEL CONVEGNO ORGANIZZATO DAL CENTRO STUDI PSICHE ARTE E SOCIETÀ; - LAING R.D., L'OMBRA DEL MAESTRO, SCRITTO DA ANTONELLO CARUSI E VALTER SANTILLI; - PSICOLOGIA ANALITICA, PROSPETTIVE CONTEMPORANEE DI ANALISI JUNGHIANA RECENSITO DA EMANUELE G. CASALE; L'ANIMA FA RACCONTO CON L'ANALISI DI UN RACCONTO DI DINO BUZZATI: IL COLOMBRE TRA GLI ARTICOLI DI QUESTO QUADRIMESTRALE TROVIAMO QUELLO DI MICHELE MEZZANOTTE INTITOLATO IO? CHE RIFLETTE SUL CONCETTO DI IO PARALLELAMENTE ALLE PAROLE DI FERNANDO PESSOA, IL POETA DEGLI ETERONIMI. IN SEGUITO LUCA URBANO BLASETTI COMPIE UNA ARTICOLATA DISAMINA SUI CHING, CHE CI APRONO AL DISCORSO SULL'USO DELLA PROIEZIONE E DELLA SINCRONICITÀ IN PSICOTERAPIA. VINCENZO AMPOLO, ATTRAVERSO UNO SCRITTO BIOGRAFICO, PONE LA BASE PER ALCUNE TEMATICHE CRUCIALI DEL PROCESSO ANALITICO. L'ARDORE, INVECE, È IL TITOLO DEL QUARTO ARTICOLO DI MICHELE ACCETTELLA, CHE SCRIVE RIGUARDO L'ESSENZA DEL PROCESSO INDIVIDUATIVO. INFINE ANTHONY MOLINO RAFFRONTA UN QUADRO DEL PITTORE GAUGUIN CON UN SAGGIO DELLO PSICOANALISTA AMERICANO JAMES HILLMAN, BUTTANDO UN OCCHIO ALL'ECOPSICOLOGIA MODERNA. COME DA TRADIZIONE, LA RIVISTA CONCLUDE CON UNA INTERESSANTE ED ESCLUSIVA INTERVISTA. QUESTA VOLTA SI TRATTA DI UNA BELLISSIMA INTERVISTA ITINERANTE A REMO ROTH. L'INTERVISTA È STATA CONDOTTA DA UNA CREATIVA ZAIRA CESTARI PRESSO BOLLINGEN. INSIEME, I DUE, HANNO DIALOGATO SUL RAPPORTO MAESTRO-ALLIEVO NEL PROCESSO DI INDIVIDUAZIONE, E IN PARTICOLARE, SUL RAPPORTO TRA LO STESSO REMO ROTH E LA SUA ANALISTA, NONCHÈ INSEGNANTE, MARIE LOUISE VON FRANZ. BUONA LETTURA!

VALENTINA MARRONI

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M.C.Escher, Dwarves

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Michele Mezzanotte

frequentavo le superiori mi venne Quando chiesto dal professore di filosofia di eseguire un tema dal titolo: "Chi sono Io?". La domanda sembrava semplice e sembrerà semplice sicuramente a tutti voi, soprattutto agli adetti ai lavori. È una domanda quasi banale, ma la banalità nasconde sempre una grande difficoltà. Avevo quindici anni e la risposta mi era oscura. Ora ho trentun'anni, ho vissuto il doppio delle esperienze precedenti e forse anche di più, ho un percorso psicoterapeutico alle spalle e anni di analisi, tuttavia ho in comune con il ragazzo di quindici anni fa il non saper rispondere a questa domanda. È una domanda che mi pone in imbarazzo. Chi sono Io? Ci sono troppi termini da definire, il chi, il sono e l'Io. Potrei liquidare la risposta dicendo "Io sono un uomo", ma potrei dire anche "Io sono un marito", "Io sono uno psicoterapeuta", "Io sono un artista, un musicista, un sognatore". Potrei soffermarmi su lati del mio carattere, o su lati della mia esperienza. Ma la domanda rimarrebbe sempre in parte elusa. Io sono tanti Io ma allo stesso tempo c'è qualcosa che li accomuna, un corpo che li accorpa, come se fossero numerosi tasselli e personaggi che formano una personalità. Faremo un viaggio attraverso le parole di Fernando Pessoa, poeta degli eteronimi, per espolare il concetto di Io e cercare di rispondere, almeno in parte, alla domanda: Chi sono Io? "Non so chi sono, che anima ho. Quando parlo con sincerità non so con quale sincerità parlo. Sono variamente altro da un io che non so se esiste (o se è quegli altri)."1 Effettivamente quando siamo sinceri, chi di noi è sincero? Ci siamo mai posti questa domanda? Quando vediamo una bella donna o un bell'uomo siamo sinceri se diciamo che è bello, ma siamo sinceri anche quando diciamo che il nostro partner è la persona più bella che esiste al mondo. Siamo sinceri quando diciamo che amiamo una persona e vogliamo vivere con lei per sempre, ma siamo sinceri anche quando la odiamo. Sono sicuramente due Io che parlano e che sono indipendentemente sinceri. Esiste un Io? Quando possiamo parlare di un Io? "Io" è un pronome personale, ovvero una parte del discorso che si trova etimologicamente "al posto

del nome" (pro-nomen). "Io" ci sostituisce quando ne abbiamo bisogno. L'Io è, quindi agisce, crea, e potrebbe essere descritto tramite azioni. Il nomen è ciò che compatta e sintetizza la presenza di diversi Io indefiniti: le diverse e varie pulsioni/personaggi sotto lo stesso nomen. Il nomen è il corpo dei personaggi psichici che ci vivono e ci animano, è la forma e l'immagine dati dall'equilibrio o il disequilibrio della nostra pluralità. "Lo sai, il nome che si porta significa molto. Sai anche che ai malati spesso si dà un nome nuovo per guarirli, perchè con nuovo nome essi ricevono anche una nuova essenza. Il nome è la tua essenza."2 Il nome è essenza ma etimologicamente anche conoscenza. Attraverso il nomen conosciamo gli altri, attraverso i diversi Io conosciamo il nomen. Quando, l'anno scorso, incontrari Cristobal Jodorowsky a Roma per intervistarlo, mi parlò del "dramma" dell'atto consueto nel dare il nome di un avo al figlio appena nato, ovvero di fargli carico di tutti fantasmi generazionali, attraverso questo "chip" famigliare. Nel libro Metageneologia3 il padre Alejandro scrive: «L’attribuzione del nome nasconde di frequente il desiderio di far rivivere gli antenati o di rimettere in causa il rapporto con i genitori ancora vivi. Il nome diventa allora un ulteriore segno, manifesto o camuffato, di appartenenza al clan, invece di designare la persona che è venuta al mondo come un essere specifico e unico.» L'assegnazione del nomen proprio, è un rituale sottovalutato che porta con se numerosi significati psichici. In Ghana, ad esempio, c'è un'assegnazione automatica del nome a seconda del giorno delle settimana in cui si è nati. Ogni giorno della settimana è presieduto da uno specifico tipo di spirito, che entra nei bambini nati in quel giorno e li abita insieme alla loro anima (kra). Il lunedì porta con sè lo spirito pacifico, quieto e riservato, uno spirito appunto "lunare" (etimologia di lunedì); mentre i nati di mercoledì saranno simili caratterialmente ai tratti mercuriali (etimologia di mercoledì), tendenti ad infrangere le regole. Riprendendo il discorso principale affermiamo che

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Io?

Io può far parte di un nomen ma non ha un nomen, così come non ha un genere, infatti Io è un termine da declinare al femminile o al maschile. Sembra che le azioni non abbiano un genere prefissato. "Io lavoro", "Io gioco a pallacanestro", "Io semino", "Io partorisco"... Da queste semplici frasi non possiamo venire a conoscenza se il nomen/soggetto che compie l'azione è un uomo o una donna. Tutto ciò ci può portare a riflettere sulle differenze di genere, su come e quando nascono, sulla loro origine naturale o culturale, sugli aspetti archetipali dell'uomo e della donna. Il genere di un Io va cercato, trovato e riflettuto. "Sento fedi che non ho. Mi prendono ansie che ripudio. La mia perpetua attenzione su di me perpetuamente mi indica tradimenti d'anima di un carattere che forse non ho, e che neppure essa crede che io abbia."4 L'incertezza e il dubbio ci aiutano a capire la pluralità dell'Io: "Mi prendono ansie che ripudio" Le due parti che agiscono in questo momento sono "Io che provo ansia" e "Io che ripudio l'ansia"; due parti di noi che agiscono insieme e ci agiscono quasi in opposizione. Rimarranno in equilibrio o una prevarrà sull'altra? D'altra parte la certezza ci inflaziona e in qualche modo ci rende ciechi ad altre opportunità, ad altre parti di noi stessi. "Sono certo di essere così!" o "Sono certo che lui sia così!", elude ogni altra via di altri Io presenti in noi; e negli altri, ci limita e ci chiude alle molteplicità di noi stessi. Pessoa parla di tradimenti d'anima: quante volte ci tradiamo? Ovvero, etimolgicamente, quante volte ci consegnamo al di là di un Io, verso un altro Io? Il tradimento dell'anima, il consegnarsi verso un altrove, è una caratteristica fondamentale nei nostri processi di cambiamento. Un processo doloroso ma critico. Il tradimento è alla base delle nostre trasformazioni e dei nostri cambiamenti: per cambiare dobbiamo tradirci. Il tradimento come atto esterno a noi, insieme al dolore che porta, ci può far intuire quanto sia difficle cambiare per noi stessi: passare da un Io ad un altro è un processo faticoso, doloroso, come se fosse appunto un tradimento dell'anima. Il lavoro analitico è una trasformazione, quindi un tradimento. Le persone vanno in analisi così come tradiscono o vengono tradite nella vita reale. Ecco così, che una persona che si avvicina ad all'analisi lo fa "di

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nascosto", "non deve saperlo nessuno", portando l'onta del tradimento con sè, con mille dubbi e ripensamenti. Chi entra nella dinamica del tradimento analitico si sdoppia, si nasconde, ferisce e viene ferito, cerca riparo tra le lacerazioni e le invadenti urla dell'anima. "Mi sento multiplo. Sono come una stanza dagli innumerevoli specchi fantastici che distorcono in riflessi falsi un'unica anteriore realtà che non è in nessuno ed è in tutti."5 Abbiamo capito che siamo abitati da diversi Io: "Mi sento multiplo", ovvero mi sento abitato da più elementi. Ci riflettiamo negli altri e in noi stessi. Considerarci come un'unica realtà è una distorsione causata dagli innumerevoli specchi che sono dentro di noi. Sicuramente. quando parliamo di Io parliamo sempre di realtà temporalmente anteriori, ovvero già avvenute. L'Io presente agisce quindi non si percepisce, e allo stesso modo l'Io futuro non possiamo conoscerlo. Abbiamo consapevolezza di chi sono Io posteriormente alla vita che abbiamo vissuto. Il nostro nomen è una forma costituita da immagini di azioni passate. Io è un ricordo, un'esperienza, una realtà passata, quindi un racconto di chi siamo stati. Il presente è l'aggregazione di diversi Io mentre il passato è un Io solitario. L'analisi è un luogo di ricordi e di passati prossimi e remoti che agiscono costantemente sul nostro presente. Passati che descrivono il nostro nomen declinato nell'hic et nunc. "Come il panteista si sente albero e addirttura fiore, io mi sento vari esseri. Mi sento vivere vite altrui, in me, incompletamente, come se il mio essere partecipasse di tutti gli uomini, incompletamente di ogni (?), in una somma di nonio sintetizzati in un io posticcio."6 Una forza principale dell'Io è l'aggregazione tra persone. Io "comuni" ci mettono in comunicazione tra di noi. L'Io osservatore di partite di calcio è comune in molte persone ed ha la stessa radice archetipica: probabilmente è lo stesso Io che si manifesta in più persone. Non è personale ma collettivo. L'Io quindi ci definisce, definisce il nostro nomen, ma in realtà nel contempo ci spersonalizza e ci unisce al collettivo: ci rende


Michele Mezzanotte

parte di un collettivo. Una delle caratteristiche negative dell'epoca moderna è l'inquinamento. Possiamo affermare che molti di noi possiedono un Io inquinante il quale indubbiamente appartiene al collettivo. E come ci relazioniamo con lui? Inquinando il mondo, inquiniamo noi stessi e la nostra anima collettiva. Ciò produce malessere interiore che a seconda delle nostre personalità si può manifestare attraverso ossessioni, tic, preoccupazioni, ansie, attacchi di panico, etc... "Resterò l'inferno di essere Io"7 L'inferno, luogo sotterraneo e delle profondità, è ben descritto da James Hillman nel "Il sogno e mondo infero": un regno popolato da immagini, da diversi Io che stanno al di sotto. Essere un Io è un inferno, perchè ci mette in contatto con una piccola parte di noi stessi e nello stesso tempo con una piccola parte del mondo che si trova all'interno della Psiche individuale e collettiva. L'inferno è rappresentato dall'essere un pro-nomen, ovvero dall'essere una rappresentazione di me stesso attraverso una piccola parte mia e del mondo. In analisi abbiamo a che fare con l'inferno delle persone e con le eterne dinamiche degli Io che ci popolano. La nostra psiche è teatro del mondo e delle dinamiche sociali. Le dinamiche di un gruppo possono rappresentare egregiamente le forze della psiche di un individuo. Legare la storia di un Io del nostro nomen con lo stesso Io di un altro nomen è fondamentale per capirci e per capire noi stessi e il mondo che ci abita. Noi siamo abitati dagli Io del mondo. Poul Martin MØller in una "Avventura di uno studente danese" scrive: "Le mie ricerche senza fine mi rendono impossibile di raggiungere alcunchè. E poi mi accade di pensare intorno ai miei stessi pensieri sulla situazione in cui mi trovo. Penso perfino che ci sto pensando e mi suddivido in un'infinita regressione di Io che si considerano l'un l'altro. Io non so a quale Io fermarmi come a quello effettivo e se mi fermo ad uno di essi ad un dato istante, ecco che ancora si dà un Io che si ferma. Allora mi confondo e provo un malessere come se stessi guardando in un abisso senza fine, e tutti i miei pensamenti finiscono in un terrbile mal di testa. Il cugino gli replica:

Io non ti posso aiutare in alcun modo a distinguere i tuoi molti Io. Ciò è del tutto al di fuori della mia sfera d'azione e sarei o diventerei pazzo se mi abbandonassi alle tue superumane fantasticherie. La mia condotta è di attenermi alle cose palpabili e di percorrere le larghe vie del senso comune; in tal modo i miei Io non si ingarbugliano mai." Noi analisti, al contrario del cugino dello studente danese, possiamo guidare le persone e il mondo attraverso le loro molteplicità, mettendo in luce i numerosi Io che le abitano. Lo psicoterapeuta è come un traghettatore di anime, una guida infernale che attraversa ed è attraversato dalle immagini-Io dei nostri inferni. Al termine di questo piccolo viaggio tra versi e riflessioni pongo nuovamente la domanda a Fernando Pessoa e gli chiedo: Chi sono Io? Non sono niente Non sarò mai niente Non posso voler essere niente A parte ciò, ho in me tutti i sogni del mondo.8

Bibliografia e Note 1. Fernando Pessoa, Una sola moltitudine, Biblioteca Adelphi, Milano, 1979/2012 2. C.G.Jung, Il libro rosso. Liber novus, pg. 282 3. Alejandro Jodorowsky, Marianne Costa, Metagenealogia, Feltrinelli, 2012 4. Fernando Pessoa, Una sola moltitudine, Biblioteca Adelphi, Milano, 1979/2012 5. Fernando Pessoa, Una sola moltitudine, Biblioteca Adelphi, Milano, 1979/2012 6. Fernando Pessoa, Una sola moltitudine, Biblioteca Adelphi, Milano, 1979/2012 7. Fernando Pessoa, Una sola moltitudine, Biblioteca Adelphi, Milano, 1979/2012 8. Fernando Pessoa, Una sola moltitudine, Biblioteca Adelphi, Milano, 1979/2012 Michele Mezzanotte: Michele Mezzanotte è uno psicoterapeuta e lavora a Chieti.. È direttore scientifico della rivista di psicologia L'Anima Fa Arte, e presidente dell'omonima associazione di volontariato psicologico.

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L'anima Fa Poeio

IL PAESE DELLE MALELINGUE

LE MALELINGUE DELLA GENTE FANNO IL DESTINO DI UNA PERSONA. NON PUOI AFFERMARE NULLA NON HAI UDITO NULLA MA SEI IMPERTERRITO AD INVENTARE DEDITO A SCREDITARE, INFAMARE DENIGRARE, INFANGARE.

LE MALELINGUE DELLA GENTE FANNO IL DESTINO DI UNA PERSONA

ACCENNI DIVENTANO CONVINZIONI E LA PAROLA PASSA DI SPORCABOCCA IN BOCCASPORCA.

PREGIUDIZI, TABÙ RIEMPIONO GLI INCAVI CERVELLI DI QUATTRO STOLTI SCONOSCIUTI CONOSCIUTI PER DISGRAZIA.

LE MALELINGUE DELLA GENTE FANNO IL DESTINO DI UNA PERSONA

SEI PURE E SOLAMENTE UN'AVVENENTE ADOLESCENTE DI FAMIGLIA SCONGIUNTA E RICONGIUNTA LACERATA E RAMMENDATA CON PEZZI DI TESSUTO A SUA VOLTA SQUARCIATI MA LI SENTI GLI IMFAMI:

-É FIGLIA DELLA MADRE, LA SVELTITA! SICURAMENTE SI È GIÀ SVESTITA...LE MALELINGUE DELLA GENTE FANNO IL DESTINO DI UNA PERSONA

E COSÌ UN SORRISO SINCERO E UNA PASSIONE BALLERINA, SONO IL PETTEGOLEZZO OLEZZO DEL PAESE DELLE

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MALELINGUE.


L'anima Fa Poeio

LA SOLITUDINE CHE RENDE UNICI

SOLO MUSICA UNICAMENTE FRA L'EBANO E L'AVORIO

SOLO ECO UNICAMENTE TRA I MONTI E L'ARIA

SOLO EMOZIONE UNICAMENTE DURANTE IL PARTO DI UN BAMBINO

SOLI ED UNICI NOI DUE

SOLAMENTE UNICA LA NOSTRA PAZZA STORIA D'AMORE

Poesie di Valentina Marroni Particolari quadri di Mark Rothko - MoMA

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Desarollo de Yi Ching, Xul Solaris 1953

S

e Eraclito chiarisce come l’oracolo non parla non nasconde, o meglio non dice e non tace, ma accenna, sta certamente facendo un invito alla proiezione. Quando non abbiamo tutti gli elementi per dare senso a ciò che vediamo, udiamo, tocchiamo ecc. non possiamo far altro che aggiungere a quegli elementi le parti mancanti. Tali parti saranno l’essenza di noi in quanto pure proiezioni. Ricordo che quando iniziai a lavorare con i gruppi nelle comunità terapeutiche mi venne chiesto come educatore di condurre la lettura del testo “Nati per Vincere” con i pazienti. Più transazionale che gestaltico, il libro targato James

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Muriel e Jongeward Dorothy risulta, in ultima analisi, una tecnica da geometri o commercialisti della psiche le cui diverse parti vengono organizzate per trinità dentro altre trinità al modo di una matriosca. Eppure risulta piuttosto efficace come stimolo e riflessione in gruppi di tossicodipendenti. Io mi trovai a scoprire che ogni paziente ad una medesima frase del libro dava una spiegazione diversa, a volte opposta o sconnessa dalle altre, ma sempre in continuità con se medesimo. Oggi nelle librerie esistono libri-oracolo prêt-à-porter che ci invitano ad aprire a caso una pagina per scoprire il


Luca Urbano Blasetti nostro futuro, questi libri ci danno, al di là di ogni aspettativa, una risposta sempre corretta rispetto al nostro destino. Questo perché non sono loro a rispondere ma siamo noi a fare un uso personalissimo della risposta, coniugandola con il già esistente. A Delfi, l’ombelico del mondo, la Pizia parlava in nome di Apollo. Poteva stare anche in silenzio, quello sarebbe stato il suo accenno, e quello avrebbe inizializzato il processo di proiezione dell’orante che avrebbe trovato una risposta. Questa risposta non presenta carattere di utilità sociale o di verità assoluta, ma semplicemente di continuità psichica. In breve faremo sempre ciò che non possiamo fare a meno di fare. Ma c’è di più l’oracolo veniva interpellato anche dai politici per decidere la sorte di battaglie o questioni sociali. Il caso esemplare fu quello della battaglia di Salamina. Da una parte Temistocle condottiero ateniese, dall’altre Serse e l’esercito sconfinato del suo impero. Una delegazione giunge a Delfi e, come narra Erodoto, interroga l’oracolo che in prima battuta da un esito infausto. A quel punto Timone consigliò i deputati di chiedere un secondo responso. Vale la pena riportarlo per intero: “Pallade supplice con grave senno e con lunghi discorsi, Non può placare l'Olimpio. Ma io ti dirò una parola, Irrevocabile: quando di Cecrope il monte e i recessi, Del Citerone divino saranno conquisi, ad Atena, L'Onniveggente concede che un muro di legno rimanga, Inviolato, riparo che giovi per te e pei tuoi figli. E non restare in attesa tranquilla dei fanti e cavalli, Che numerosi verranno da terra; ma cedi piuttosto, Dando le spalle: affrontare più tardi potrai la battaglia. O Salamina divina! su te molti figli di donna, Quando cosparsa sia Demetra, o venga raccolta, morranno”1 Già me li figuro i tronfi politici ateniesi, strategici e astuti come Ermes, decidere quale “cenno” fare per far si che l’oracolo “accennasse” in quella unica formula che avrebbe inizializzato il processo di proiezione del popolo e dello stesso Temistocle. “Un muro di Legno… Divina Salamina”. Che fare di queste parole. Divina Salamina è utile come quando vogliamo giocare dei numeri al lotto ma non sappiamo su quale ruota. Quella di Salamina chiaramente! Ma il muro di legno? Temistocle è lì

che si scervella quando i sussurri dei politici ateniesi sorpassano il filtro del suo udito e giungono alla sua attenzione, a quel punto il condottiero greco intrasente qualcosa come :”… le navi sono fatte di legno…”. Forse gli stessi politici avevano deciso di ottenere un primo responso così infausto per far si che il popolo, a tal punto spaventato, raccogliesse l’interpretazione del secondo senza il senno necessario. “Combatteremo per mare!” esclama Temistocle tronfio delle sue doti intuitive. Era il 480 a.c. e Lui con tutto il popolo ringrazia l’oracolo e non i politici astuti che hanno faticosamente deciso cosa avrebbe detto l’oracolo e cosa avrebbe esclamato lo stesso Temistocle. Un po’ come il buon Roosevelt che trasecola alla notizia, era il 7 Dicembre 1941, dell’attacco giapponese a Pearl Harbor. La divinazione e gli oracoli sono da sempre stati strumenti politici prima che psicologici. Eccoci quindi a specificare il senso della nostra trattazione e a raccontare l’uso che possiamo fare in terapia di uno tra gli oracoli più antichi della storia. In terapia noi avremo la certezza che ciò che l’oracolo accennerà sarà proprio quello che la psiche, individuale e collettiva, vuole cogliere. Ma prima di procedere oltre direi che siamo chiamati a esporre le basi filosofiche e scientifiche su cui si fonda il Libro dei Mutamenti, I CHING. Ci riferiamo alla sincronicità come fenomeno della fisica dal 900’ in poi, e come fatto per la filosofia da sempre. Rinviando per approfondimenti alle Opere di Jung: La Sincronicità come principio di nessi acausali2 e La Sincronicità3, qui vogliamo confrontarci con il contributo che Jung ha apportato al pensiero scientifico del 900’, in particolar modo nell’ambito della Fisica. Le opere dello psicologo sono infatti successive sia alla nascita della Relatività generale e ristretta, teorie che hanno in Einstein il loro illustre padre e secondo cui il tempo non è ne costante ne lineare ma relativo e circolare e, secondo cui, l’unica costante è la velocità della luce. Ma le opere a cui ci riferiamo sono coeve alla nascita della fisica quantistica che ha impiegato la probabilità per moltiplicare l’universo all’infinito. In questa atmosfera Jung, oltre a Pauli e al suo principio di esclusione si rifà ad Heisemberg e il suo principio di indeterminazione, per giungere a Scrhoedinger e al suo gatto. Jung propone il

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I Ching

superamento del meccanicismo in luogo della teleologia, propone di osservare non tanto le cause degli eventi ma il telos, lo scopo. Ci siamo illusi a fine 2011 che la dinamica causa effetto si fosse ribaltata con i neutrini che, presumibilmente, avevano superato la velocità della luce. Un neutrino sembrava essere giunto a destinazione prima che venisse sparato dall’acceleratore. A quel punto, se tutto fosse stato confermato, e magari un giorno lo sarà, avremmo potuto dire che il neutrino era stato sparato perché era giunto a destinazione. Insomma la causa è prodotta dall’effetto, lo scopo precede la causa. Se in fisica questo resta tutto da dimostrare, in psicologia risulta essere un dato oramai acclarato. Agiamo e in conseguenza di ciò che facciamo costruiamo un racconto che produca cause efficienti e sufficienti. Io sono ciò che faccio. Proponendo il concetto di sincronicità, da non confondere con il semplice sincronismo, Jung propone un principio di nessi a-causali che sfiora il pensiero magico. Eppure la fisica dei quanti sembrerà andare nella medesima direzione parlando di Entanglement, termine con cui si fa riferimento al fenomeno con cui, determinando lo stato quantico di un sistema, istantaneamente si determina lo stato di sistemi distanti. La quaestio si pone sulla parola istantaneamente che produrrebbe come corollario che esistano fenomeni che sono soggetti a velocità superiori a quelle della luce. Ma questo, si sa invaliderebbe le grandi intuizioni di Einstein. Al contempo fu lo stesso Einstein a stabilire che la simultaneità, e non l’istantaneità, fosse una questione di velocità. In due parole la simultaneità, ossia il fatto che due eventi avvengano nel medesimo istante, è funzione di un’osservatore rispetto agli due eventi. Ma per un osservatore ogni evento avviene in una scansione temporale a se, in un tempo suo proprio legato alla velocità del sistema di riferimento in cui avviene l’evento e alla velocità del sistema di riferimento dell’osservatore. Tali considerazioni hanno posto le basi per la teorizzazione dell’Entanglement che fu alla fine contestato dallo stesso Einstein il quale giunse a dichiarare che Dio non si diverte a giocare a dadi. Parlando di sincronicità, restano per noi rilevanti queste considerazioni. Leggendo la biografia del fisico più famoso del mondo troviamo questo passo:

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“«Perveniamo così al seguente importante risultato: gli eventi che sono simultanei rispetto alla banchina non sono simultanei rispetto al treno», Scrisse Einstein. Il principio di relatività afferma che non c’è modo di stabilire che la banchina è «in quiete» e il treno è «in moto»… Quindi non c’è una risposta «reale» o «giusta». Non c’è alcun modo per dire che due eventi qualsiasi sono «in assoluto» o «realmente» simultanei”.4 Sembra comunque che il secolo XX fosse ormai quello in cui relatività e sincronicità fossero concetti a cui il genere umano era pronto. La nostra specie ha fatto un passaggio evolutivo enorme di cui Jung è solo uno dei tanti tasselli. La sincronicità può essere di tre tipi: 1) Coincidenza tra uno stato psichico dell’osservatore e un evento esterno senza che si registri alcun nesso causale; 2) Coincidenza tra uno stato psichico dell’osservatore e un evento esterno che si svolge al di fuori della sfera di percezione dell’osservatore; 3) Coincidenza tra uno stato psichico dell’osservatore e un evento esterno non ancora avvenuto. Ma date queste definizioni ci accorgiamo che qualcosa cozza con quanto affermato da Einstein. Se la simultaneità in fisica non esiste se non rispetto ad uno specifico sistema di riferimento questo significa che non c’è un tempo assoluto e che la sincronicità, ritenuta “vera” solo come fenomeno psichico, in realtà ha una spiegazione fisica. Ogni individuo vive una scansione temporale sua propria e, in quel dato sistema, vive la simultaneità. Questo significa che la simultaneità è “vera” in fisica solo in un dato sistema di riferimento. Passando ad un ambito psicologico possiamo dire che esiste un certo parallelismo con la sincronicità che risulta “vera” solo rispetto ad un dato sistema di riferimento: il paziente o meglio il singolo individuo. Ora possiamo affermare, con un certo margine di rigore, che se la simultaneità-sincronicità è esperienza non solo di un paziente ma anche del terapeuta, essi si trovano certamente nel medesimo sistema di riferimento, ovvero essi costituiscono insieme un unico sistema di riferimento. Azzarderei l’ipotesi che una terapia siffatta stia procedendo per la via corretta. Rimandando ad altra sede le necessarie amplificazioni, ora veniamo al dunque. Cosa ce ne


Luca Urbano Blasetti facciamo, noi psicologi, della sincronicità? Ogni speculazione è, e resta inutile se non trova un campo di applicazione. Quale campo di applicazione alla sincronicità? La sincronicità è per noi strumento sia di verifica che di promozione terapeutica, come abbiamo accennato. Con “verifica” ci riferiamo al fatto che nel momento in cui un paziente ci porta un racconto di sincronicità, purché non inflazionato, noi sappiamo che quel paziente ha sviluppato la capacità di vedere in trasparenza, quel paziente ha inizializzato la sua terapia. Quel paziente sta ponendo attenzione. Se invece l’evento sincronico interessa proprio la terapia oppure si verifica contingentemente ad essa abbiamo ulteriore verifica dell’andamento della terapia, abbiamo un’istantanea dello stato evolutivo della terapia. Ricordo personalmente come durante la prima analisi che svolsi, mentre tornavo in treno ebbi un episodio di sincronicità così evidente da farmi sperimentare un certo stato di esaltazione. Per incontrare il mio analista raggiungevo la capitale da Rieti con autobus e treni ed ero solito immergermi nella lettura, pena l’esclusione di qualsiasi stimolo esterno. Quella volta, durante il viaggio di ritorno stavo leggendo il libro di Fabricius “L’Alchimia”! Quando iniziai a leggere la fase dell’albedo e l’abluzione effettuata per mezzo del “settuplice bagno”5. Fu in quel momento che non so per quale strano motivo, alzai il capo eternamente chino, e scorsi, fuori dal finestrino il cartello della stazione nella quale eravamo giunti. SETTEBAGNI. Ero in albedo, conclusi. Non sapevo che tale simultaneità era esperienza solo mia e non dell’inquilino della palazzina adiacente alla stazione che si era appena affacciato al suo balcone. Questo evento riportato in terapia suggeriva che ero ormai attento alla visione in trasparenza e suggeriva che ero in albedo alchemica. Certamente una doppia verifica dell’andamento della terapia. Ma cosa intendiamo invece con “promozione” della terapia? Lo stato di esaltazione che provai fu un emozione forte. E-mozione nel senso che mi mosse nella direzione a me necessaria. Allora perché non favorire esperienze di sincronicità in modo da generare motivazione e e-movere il paziente? Perché non favorirle anche per verificare se si è generato un unico sistema di riferimento paziente-terapeuta? Eccoci tornare al nostro oracolo, I CHING. Il suo

impiego in terapia ci garantisce riuscita certa. L’oracolo è strutturato in modo da permettere al paziente di cogliere una parola, un’immagine, una sentenza e impiegarla nel racconto personale, avendo l’impressione che l’oracolo si stia rivolgendo a lui personalmente. Ora sia inteso, è nostra ferma convinzione, come lo era per Jung, che le cose stiano effettivamente in tal guisa. Effettivamente l’oracolo si sta rivolgendo a quel paziente, a colui che ha gettato le monete per sei volte e ha ottenuto quel tal esagramma. Sincronicità intende che ognuno in un dato istante è connesso energeticamente a eventi apparentemente svincolati, è connesso a quel dato esagramma. Insomma sembra che ciò che Jung andava affermando a metà del secolo scorso in merito alla sincronicità, fosse già scritto nella saggezza cinese ben prima del 1000 a.c. L’oracolo si fonda sulla sincronicità e intima di non chiedere un ulteriore lancio di monete per modificare la sentenza. Jung cura la prefazione della traduzione del testo operata da Wilhelm. Nella prefazione del 1949 Jung invita a liberarsi dai pregiudizi e dice: “La nostra scienza si basa sul principio di causalità, e la causalità è considerata verità assiomatica. Ma un grande cambiamento è ormai avviato. Ciò che la Critica della ragion pura di Kant non ha potuto fare, lo sta facendo la fisica moderna”6 Parte l’invettiva del Maestro verso il meccanicismo imperante e promuove la sincronicità come principio di nessi a-causali. Il principio di sincronicità garantisce che l’esagramma sia una fedele immagine dello stato psichico del paziente e, aggiungo io, un sogno in diretta ovvero una proiezione in diretta la cui lettura immaginale ci da un’idea precisa dello stato del paziente. Perché l’oracolo risulti efficace bisogna però avere fede psicologica ossia il corrispettivo analitico della fede poetica evocata da Coleridge. Ora cerchiamo di descrivere come sia strutturato il libro dei mutamenti e come, molto dello junghismo, fosse già contenuto in questo testo. Sia ben inteso non stiamo tacciando Jung di plagio, stiamo affermando solo che ciò che è archetipico si riedita sempre, appena può l’archetipo si incarna e possiede la materia. Jung ha più il merito di aver

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I Ching promosso in occidente un oracolo, intellegibile alla sola cultura orientale, ammantandolo di semplice scientismo. Ma noi riteniamo essere questa, una volontaria astuzia. Prima di procedere ci è d’obbligo sottolineare che l’idea di fondo è che tutto sia in mutamento. Sembra che Confucio ed Eraclito abbiano affermato la medesima cosa osservando un fiume che scorreva. Ma, a onor di cronaca, i due filosofi coevi risultano in ritardo di quasi 500 anni rispetto all’oracolo. In realtà il libro de I CHING nasce come libro dei si e dei no. Il si era indicato da una linea intera e il no da una linea spezzata. Mi sembra tanto di vedere un primitivo codice binario che ancora oggi è alla base dell’informatica. Acceso o spento. Ma un si o un no sono di un’utilità marginale. Il codice binario richiede una sequenza di si e no lunghissima per codificare e decodificare un messaggio. Bisogna poi tenere presente che, oltre ad essere un sistema limitato, data l’assenza di calcolatori che ne potessero sfruttare le potenzialità, il si-no del primo I CHING lasciava anche l’orante in una posizione di passività. Insomma in breve nacque l’esigenza di una doppia linea, ossia una risposta oracolare confermata. Ma se non ci fosse stata conferma? Provate a ricordare quando le più grandi dispute politiche nell’epoca della nostra infanzia si risolvevano facendo la conta o a “pari e dispari”, o ancora con “bim bum bam”. Ora visualizzate quel momento e fate caso al fatto che non era semplice districarsi tra le molteplici contestazioni e accuse di brogli elettorali. Chi aveva contato veloce, chi saltava uno dei partecipanti oppure le molteplici false partenze al contrario. Mi riferisco ai casi in cui si attendeva un millesimo di secondo per vedere quale numero avesse scelto il contendente per cercare di buttare giù il nostro numero vincente. Ancora non capisco come menti tanto pigre in matematica, come quella del sottoscritto, riuscissero a escogitare piani astuti e procedere a calcoli così veloci. Insomma la risoluzione del conflitto “internazionale” era possibile con un atto diplomatico che prevedeva di ripetere la “conta”. Ma se il responso non avesse confermato? Allora si passava al meglio delle tre! Questo processo è archetipico, oserei dire, la negoziazione al meglio delle tre costituisce un pattern of behaviour archetipico. Non mi stupisce

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che le dispute degli animali durante la stagione degli amori, nasconda dispute gestite al meglio dei tre tentativi. Parimenti l’oracolo cinese giunse ai trigrammi, il libro fu mezzo dell’archetipo per rieditare la trinità, e lo fu ben prima dell’avvento del cristianesimo. I trigrammi, gruppi di tre linee indicanti si e no. E successivamente, mettendo insieme due trigrammi si giunse ai 64 esagrammi che scandiscono le sentenze del libro dei mutamenti. L’archetipo che animò l’oracolo cinese più di 3000 anni or sono, si ripresenta tutti i giorni in gruppi di bambini che fanno la conta Ma se questo permise di superare la limitatezza del codice binario, consentiva altresì di rendere attivo l’orante. L’essere attivo rispondeva alla necessità di concentrarsi non tanto sulle cose ma sui moti delle cose. Gli 8 trigrammi di base sono quindi 8 tendenze motorie, 8 motivazioni. A ogni tendenza motoria è associato un elemento un animale e un ruolo familiare (padre madre ecc.). Ora osservando la tabella riassuntiva, a uno junghiano archetipico salta all’occhio che dalla medesima radice si possa essere generata l’Alchimia, la mitologia ma anche la psicologia quando parla di motivazioni, dei Big Five ovvero quando redige un manuale diagnostico ecc. Risulta piuttosto evidente che Cielo e Terra corrispondono a Urano e Gea cosi come corrispondono al maschile e femminile in coniuctio a formare l’ermafrodito. I metalli e gli elementi studiati dagli alchimisti e i numeri che l’alchimia e altre discipline attribuivano al maschile e al femminile vengono fuori come fiori nel campo, con naturalezza archetipica. La tabella 1 ci rende noto come il dualismo yin (femmina) e yang (maschio), che costituiva poi la base di un monotesimo orientale fondato sul t’ai chi (Trave Maestra), gradualmente abbia richiesto la nascita di un politeismo costituito da 64 esagrammi costituiti molteplici combinazioni tra yin (femmina, 3) e yang (maschio, 2). Ma chi scrive non è un sinologo e non ha pretesa di essere uno storico, non può però rinunciare a citare il fatto che nel libro dei mutamenti non viene riassunto il passaggio dal monoteismo al politeismo, ossia dal t’ai chi agli esagrammi, viene bensì illustrata l’alternanza tra l’adorare un solo dio e rivolgersi a tanti dei. Sia infatti noto a tutti che l’I CHING nasce come libro contenente i 64 esagrammi, poi cede il passo allo yin e lo yang e al


Luca Urbano Blasetti

Tabella 1

t’ai chi, infine ritorna al politeismo degli esagrammi. Monos e polis s’incontrano e si alternano come opposti che danzano nei secoli dei secoli. Il politeismo greco o romano invoca, con il cristianesimo, il monoteismo. Ma questo non regge e con il paganesimo restituisce la poliedricità alla psiche che si rivolge ai molti santi. Ogni santo colma il vuoto lasciato dai tanti dei defunti all’arrivo del monoteismo. Il libro dei mutamenti mostra proprio tali mutamenti. L’Islam non ha promosso il mutamento ma la cristallizzazione del monos. L’Islam non ha santi ed è quindi a rischio di inflazione. Inoltre lascia il fedele in posizione di totale passività. Ma torniamo a noi. L’orante chiede all’oracolo, l’oracolo accenna e da un responso, un esito. Ma lascia, a differenza della religione islamica, anche all’orante l’onere dell’azione. Questa dinamica, ben differente dalle richieste fatte a maghi o cartomanti, è l’immagine più fedele che potremmo dare della psicoterapia. Insomma oltre alla sincronicità l’oracolo cinese sembra aver anticipato lo psicologo tedesco anche sul concetto di opposti e sulla loro dinamica. Parimenti alla dinamica tra yin e yang Jung

promuove una lettura del Rosarium Philosophorum che va nella medesima direzione. Direi di più! Se Cielo e Terra generano i figli, se Cielo e Terra sono rispettivamente il Creativo e il Ricettivo, I CHING ci suggeriscono qualcosa sul Rosarium che lo stesso Jung non colse. Creativo è colui che genera, che proietta, ricettivo è colui che riceve la proiezione. Nel Rosarium Philosophorum le fasi ci suggeriscono le modalità e la sequenza con cui si proietta e si è oggetto di proiezione. Ma di questo parleremo, deo concedente, in altra sede. Il Libro dei mutamenti ci dice anche che tutti gli eventi terreni sono una riproduzione di quelli soprasensibili. Jung afferma anche questo, ma meglio di lui Neumann sottolinea come il transpersonale preceda sempre il personale.7 Cerchiamo di riassumere. Lo junghismo contenuto già millenni prima nei CHING è quello che si rifà alla sincronicità, alla mitologia, all’alchimia, alla dinamica degli opposti. Ora mi interessa fare un ulteriore riflessione su come anche il simbolismo della croce, che Jung rispolvera in “Tipi Psicologici”8, sia già contenuto nel libro dei mutamenti. Osserviamo le due immagini:

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I Ching

Sembra piuttosto evidente come Jung nel descrivere i tipi psicologici secondo le funzioni primarie e secondarie e incrociate col carattere di estroversione e introversione, stia declinando i modi della personalità con cui i manuali di psicologia oggi descrivono la psiche e con cui il libro dei mutamenti faceva in passato. La croce è sostanzialmente quadripartizione di uno spazio vuoto. La psiche non è in grado di contenere il vuoto, compulsivamente riempie a costruire un’astrologia di modi di comportamento che le consentano di avere un manuale di istruzioni. In tutte le epoche e in tutte le culture compaiono croci.

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Mi sembra evidente che la funzione pensiero possa corrispondere a Ch’ien il Cielo Padre Creativo, all’opposto del sentimento che è Madre terra Ricettiva, all’intuizione che illuminante fuoco aderente e, infine alla sensazione che nelle idee di Jung è terra mentre è acqua nel libro dei mutamenti. Qui ci preme dire che ogni dottrina percorre la salita verso il monte Calvario per erigere la Croce su cui immolare il proprio Cristo affinché, sospeso, attivi tutti gli elementi e le funzioni. La psicoterapia ha il medesimo obiettivo, porre sulla croce il paziente, sospenderlo, farlo “divenire ciò che sta nel mezzo”. In conclusione notiamo come nel libro dei mutamenti sia contenuta, in nuce, buona parte della fisica e della psicologia del 900? Vi ritroviamo riflessioni sulla simultaneità e sulla sincronicità. L’oracolo afferma l’inutilità di interrogarlo più volte attendendosi il medesimo responso. In tal senso sottolinea il valore della sincronicità, anche come principio di nessi acausali. Il vecchio libro recupera immagini archetipiche riprese poi dalla religione, dall’alchimia ecc. Infine ripropone la croce. Il suo impiego in terapia risulta, come i tanti strumenti proiettivi, risulta uno strumento efficace per una serie di motivi. Primo, come la sand therapy, lateralizza l’Io e favorisce l’abbattimento delle resistenze e l’emersione di contenuti inconsci. Secondo permette un’esperienza di sincronicità sia del paziente sia della diade paziente-terapeuta. Terzo consente parallelismi con tutte le discipline citate sopra. Infine è


Luca Urbano Blasetti indiscutibilmente uno strumento che permette di far sperimentare al paziente un evento rilevante da un punto di vista estetico. Consultare l’Oracolo è esperienza del “Bello”. Bibliografia e Note 1. Erodoto, 440 a.c. 429 a.c.: Storie, VII, 140-142. Newton Compton, Roma, 2008

Luca Urbano Blasetti: Psicologo e Psicoterapeuta in formazione; Dottore di Ricerca in Psicologia Dinamica sul tema Creatività e sue componenti dinamiche; Responsabile del Centro Emmanuel per Tossicodipendenti di Rieti presso cui cura diversi progetti regionali; autore di diverse pubblicazioni psicologiche; opera nel suo studio.

2. Jung, C.G., 1952: La Sincronicità come principio di nessi acausali, in Opere, vol VIII, La dinamica dell’Inconscio. Torino Boringhieri, 1976. 3. Jung, C.G., 1952: La Sincronicità, in Opere, vol VIII, La dinamica dell’Inconscio. Torino Boringhieri, 1976. 4. Isaacson, W.,2007: Milano, 2010, pag. 123.

Einstein,

Mondadori,

5. Fabricius, J., 1989: Alchimia. Mediterranee, Roma,1997, pp 111-112.

Edizioni

6. Jung, C.G. 1949: Prefazione all’”I CHING”. Adelphi, Milano 1991, pag.16. 7. Neumann, E., 1949: Storia delle origini della coscienza. Astrolabio, Roma, 1978. 8. Jung, C. G., 1921: Tipi Psicologici. Bollati Boringhieri, Torino, 1977.

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Vincenzo Ampolo, Enigma, 1974

Introduzione L’inconscio nutre il fare creativo a suo libero arbitrio. Se lo lasci giocare ti porta lontano dal punto di partenza, in zone inesplorate o fin troppo conosciute della tua memoria e del tuo stesso sentire. Così il gioco si fa serio o/e ti gioca brutti scherzi, ti spiazza e ti propone dell’altro, inavvertitamente. Quando non si vuol capire ecco che il sogno ritorna a dirci ancora, si ri-sognano gli stessi eventi e ogni volta si aggiunge qualcosa che prima non era stato detto. Così, quando qualcosa o qualcuno sembra perduto,

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ci ri-raccontiamo fatti e immagini oltre il tempo e la storia, ri-viviamo gli eventi che infine diventano immagini di luoghi, spesso di paesaggi. In questo lavoro, che inizialmente doveva trattare un tema apparentemente diverso, ho ritrovato, ricucito e integrato, pezzi di scritture precedenti relative al rapporto con il mio maestro-analista. La necessità del ri-raccontare si è imposta, scalzando il mio iniziale progetto, che spero tuttavia di trattare in un mio successivo lavoro.2 Ho ritagliato, da alcune mie scritture precedenti, solo ciò che si è imposto. Ho integrato il tutto con ciò che ho ritrovato ed ho cercato di amalgamare il composto. Ho qualche perplessità sul tempo di cottura, ma se


Vincenzo Ampolo

il cibo dovesse risultare indigesto mi ripropongo di ri-tentare ancora e di invitarvi nuovamente alla mia tavola analitico-letteraria.

Il mio adesso…che è precisamente un anno fa. Sono circa le otto del 1° Agosto 2014, ho appena timbrato il cartellino d’entrata del mio lavoro istituzionale e cammino nel parco del vecchio Ospedale Psichiatrico, avviandomi nella sede del mio Servizio. C’è un’aria fresca stamattina e mi piacerebbe continuare a camminare per il parco, meditando sul mio respiro. Mi fermo ad un tratto vicino al tronco di un vecchio albero che è stato tagliato di netto, probabilmente nei giorni precedenti. Lo ricordavo alto, possente, con una chioma verde fitta di foglie e brulicante di vita. Quello che ora rimane è la sua base tagliata ad altezza d’uomo, un cerchio di legno che sembra un tavolo con delle grandi radici come sostegno. Prendo un pezzo di ciò che rimane, una scaglia circolare da portare con me, come ricordo di quello che il vecchio e possente albero era stato. 3(*) Voltarsi indietro, per rivedere, riflettere e/o ravvedersi, genera una sensazione di disagio e d’inquietudine, rischia una sanzione, una pietrificazione, un diluvio di emozioni. Da un remoto presente E’ il 1974 ed ho appena compiuto 21 anni! Giovane studente universitario mi confronto, in un lavoro analitico appena iniziato, con il mio primo Maestro, il prof. Dario Vincenzo Caggia. Mi reco all’appuntamento con un mio dipinto, di cui non ho la minima idea relativamente al significato dell’immagine rappresentata. Un dipinto nato indubbiamente da una spinta inconscia, agevolata da un fare creativo necessario, per me estremamente terapeutico. Nello studio in penombra, il silenzio assordante dei libri disseminati intorno a noi ha il profumo di un piccolo fuoco tenuto acceso costantemente tra le dita del maestro. L’oggetto/dipinto è inusuale e sostituisce in quella seduta lo sfoglio lento e meditato del mio quaderno dei sogni. L’immagine è surreale, quasi la trascrizione di un

sogno, e forse ne è la rappresentazione grafico/pittorica. Il volto di una donna/caverna essa stessa, con gli occhi inquietanti, particolarmente in evidenza, si staglia nella parte superiore del quadro. Le labbra della donna presentano delle sbavature e i capelli di questa sembrano trasformati, tali da formare, nella parte destra immagini magmatiche d’onde alate minacciose e artigli d’animale e nella parte sinistra, in modo più evidente, i bordi pietrificati di una caverna. In basso, al centro della caverna, un’immagine, grigio-scura, ricorda quella enigmatica di una sfinge. Le figure si stagliano sulla tela bianca quasi senza sfondo, catturando in modo ipnotico l’attenzione di chi le guarda, pur nell’approssimazione del segno e più ancora del colore. Fuori dal quadro, maestro e discepolo, personaggi riemersi dal buio del tempo, s’interrogano reciprocamente alla ricerca del senso ultimo nascosto nei segni sulla tela. Ma le risposte restano sospese, mai totalmente definitive, mai concluse, pur nella loro evidenza e nel fascino del loro dire. Cresce il labirinto, il volume dell’anima sembra dilatarsi in una sorta di viaggio avventuroso e surreale, senza la sicurezza di una meta, tra dubbio e sorpresa, nell’instabilità inquietante della luce e dell’oscuro sentire. Di fronte ad una tela, che rimanda evidentemente ad una immagine enigmatica della madre, i due personaggi sembrano fermarsi per un tempo infinito e indefinito, un tempo senza tempo, il tempo dell’inconscio, catturati dai colori, dalle forme, dai richiami culturali e personali. Il maestro e il discepolo sono, non dimentichiamolo, due uomini, di diversa età, con conoscenze e vissuti diversi, con i loro fantasmi che aleggiano nella penombra di un luogo sacro entro il quale si pratica l’arte della psicoanalisi. Si potrebbe a questo punto “razionalizzare” il tutto, spiegare e definire ciò che i simboli e le immagini mitiche suggeriscono in modo evidente; ma, almeno nel presente lavoro, preferiamo guidare il lettore nei meandri oscuri e inquietanti dell’inconscio, andare “oltre”, alla ricerca di altre verità meno evidenti. L’insegnamento di Jung ci spinge verso la ricerca di un senso che implica un oltrepassamento dei limiti della pura ragione, che vive di analogie, di

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Memorie dell'eterno presente sovrapposizioni, di stratificazioni e di enigmi irrisolti. Il ventre del padre Oltre la seduzione materna, oltre il suo enigma, faccio mie le parole di Sandro Gindro : “ Ho parlato di una caverna, quindi di un ventre, il ventre di una madre e di un padre. Il ventre del padre è ancora più misterioso del ventre della madre, che si spalanca nelle contrazioni del parto. I padri partoriscono nel mistero. Il mistero dei padri si presenta senza veli, come la nudità delle antiche divinità maschili.”4 Ma, voltandosi indietro, riflettendo sui fatti, si rischia di deformare il ricordo, alterare il sentire, giacchè il riflesso non coincide con il ricordo, ma con una sorta di ravvedimento che modifica la storia e il nostro stesso giudizio. Voltandosi indietro si rischia di essere catturati da ciò che è più straniante. Cam, figlio minore di Noè, che si volge a guardare la nudità del padre, viene, da questo, maledetto insieme alla sua discendenza. Scrittura, come lavoro del lutto “L’ora dei nostri incontri è generalmente situata in quello spazio un po’ magico che va dal tramonto al crepuscolo. Il periodo di transizione tra la luce e il buio favorisce il sonno, la trance, la sapienza del silenzio. Il percorso per arrivare da lui è labirintico, con piccoli viali e gradini che si arrampicano su per la collina, come edera intorno ad un albero. Ogni elemento del paesaggio sembra ripetersi all’infinito, riproporsi in modo ossessivo imponendo il dubbio, la cautela dei passi, la ricerca delle tracce di precedenti ascese. Il mio Maestro-analista mi aspetta su in alto nel suo santuario, per accogliere i miei sogni, l’angoscia delle immagini perverse e soprattutto la mia richiesta eterna di affetto che mi segue a distanza come un figlio ripudiato. Dall’inizio della mia analisi, come ogni paziente, ho desiderato con tutto me stesso d’essere “ il caso”, il figlio prediletto, riconosciuto nei meriti e curato amorevolmente della sua ferita narcisistica (…) Man mano che si sale su per la collina il paesaggio

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si allarga. Chiese alte, stradine con archi e balconi ma soprattutto cortili deserti, freschi di calce abbagliante, con pochi vasi di fiori e gatti sonnacchiosi che riposano immobili. Persino i panni stesi al sole oggi sembrano statici, come in una fotografia. In quest’estate inoltrata, il vociare del mattino e i rumori festosi della sera fanno pausa per lo spettacolo del tramonto che riempie il cielo di colori e il paese di ombre lunghe, che si ritrovano tra i sospiri di chi ama qualcosa, o qualcuno, che non ha o che ha già perduto. Il paese dell’infanzia è la maglia dell’inconscio e lo sguardo che mira ridà colore ai ricordi. Ma il paese è quello del Maestro e dietro questo paesaggio c’è la sua storia. (…) Negli ultimi tempi il Maestro teneva i suoi incontri non più nel grande studio perennemente in penombra, ma in una piccola cella angusta, che un tempo fungeva da precaria sala d’aspetto. Mi parlava a volte di suo padre e del suo essere simile a lui e diverso al tempo stesso. Di come questo medico potente aveva tiranneggiato la sua infanzia e di come al tempo, egli stesso, medico dell’anima, lo rincorresse nei suoi ricordi per carpirne i segreti, svelare enigmi e trovare risposte esaurienti a dubbi angoscianti . Da qualche anno il Maestro è tornato al suo paese natale e qui mi ha trascinato. Ora lui è la collina intera, gli alberi e quel silenzio di marmo soggetto e oggetto della narrazione.(…) Oggi, le mie sedute con il Maestro non costano denaro. Lui mi aspetta sempre ed è disposto come non mai ad ascoltarmi. Non dice e non nasconde: rispecchia. Come ieri ritorno a trovarlo, a trovarmi, in questo cimitero a picco sulla città. Arrivo su in cima con il fiato corto, mi siedo accanto alla sua tomba e riposo. Quel vagare, come un fantasma tra simulacri di morte, lascia il posto ad un paesaggio immenso ed ai suoi occhi che mi guardano e che oggi ho il coraggio di incontrare senza abbassare i miei. A volte ho giurato di vedere in quella foto la mia faccia, quella di qualche mese fa con la barba lunga sul mento; una barba che ho tagliato dopo vent’anni per scrupoli di identità. Oggi gli parlerò del mio dolore di sempre e di una donna che appartiene ad entrambi, alla storia di entrambi.


Vincenzo Ampolo Scapperò via prima che la sera mi catturi al buio e alla paura. Porterò con me la pace ritrovata che avrà, lo so, il sapore della precarietà. Presto dovrò ritornare da Lui. Lui mi conosce più di tutti al mondo e sa ascoltarmi senza parlare. Lo troverò ad aspettarmi su in cima alla collina, in quella piccola cappella dove la sua foto guarda quella di suo padre, come a rappresentare un confronto che non avrà mai fine. “5(*)

* (3 Agosto 2015. Rifacendo lo stesso percorso ritrovo stamani il tronco reciso ma, con mio grande stupore e meraviglia, noto, sul lato sinistro di questo, un ramoscello nuovo che, immagino formerà presto una nuova chioma per la gioia degli uccelli e dei frequentatori del parco.) 4. S. Gindro “ Il ventre del padre” in Psicoanalisi Contro-mensile di psicoanalisi, cultura e arte, anno II, n° 12, aprile 1985, pp. 2-3

Divini amori Seduta, accanto ad un camino spento, una donna della mia stessa età, e di gran parte della mia stessa vita, ricorda un grande anello d’oro e il freddo intenso tra le mani e i denti del maestro. “Lei riusciva a catturarne sempre un po’ e lo buttava dalla finestra oppure lo metteva nelle tasche e lo portava via con sé (…) Lei arrivava e la porta era sempre aperta, appena la richiudevano il tempo cominciava a scorrere e questo era il loro dolore più vivo (…) La donna ogni tanto ha freddo alla testa."6 Il tempo porta via tutto, ma non i ricordi, che rimangono incisi in un eterno, doloroso presente.

5. Cfr. V. Ampolo “Nature morte” in TitivillusMensile di Culture, ottobre 1991 (ripreso ed integrato con il titolo “Il lavoro del lutto e la via dell’immaginale” in L’immaginale - rassegna di psicologia, n. 13, ottobre 1992, pp. 135-138) * (Riporto, nel presente testo, solo le parti inerenti il rapporto con il mio maestro-analista, tralasciando il confronto con il mio padre biologico e con le suggestioni che il testo proponeva in un intreccio di ricordi e di rispecchiamenti.) 6. D. L. Stralci da una comunicazione personale del 1988.

Bibliografia e Note 1. I. Bassi “Arte della psicoanalisi” in Dell’arte…i bordi - materiali del Convegno Internazionale di Psicanalisi, Milano, 23-25 novembre 1978, p. 110 2. Per i lettori curiosi, aggiungo in nota che il mio iniziale progetto, partendo dalla tela esposta, si proponeva di trattare dell’enigma materno, delle sue conseguenze e delle sue costanti e variabili. Tuttavia Winnicott, in diversi lavori, equipara la situazione analitica alla relazione madre-bambino ed alle sue continue interazioni, e questo giustifica, almeno in parte, la mia deviazione. Tutto il materiale raccolto nella ricerca principale spero non vada perduto e se lo sarà vorrà dire che quel testo non doveva/poteva essere scritto. Non da me, non ora. 3. Cfr. V. Ampolo “Cosa è rimasto di noi” in A Levante - Spazi per la ricerca, l’arte, la memoria, il territorio, Anno VII – N. 20 – Autunno 2014, pp. 36-37

Vincenzo Ampolo: Psicologo-Psicoterapeuta di formazione analitica ed umanistico-esistenziale, saggista e formatore. Tra i più attivi collaboratori della rivista L'Immaginale, (rassegna internazionale di psicologia analitica), ha diretto riviste di pedagogia, psicologia e studi interdisciplinari, pubblicato numerosi saggi di psicologia analitica e studi sociali, in volumi collettivi e riviste di settore. Dal 1982 al 2013 ha coordinato le attività dell'Ente Morale di Ricerca, Formazione e Terapia "Perseo" collaborando con Istituti di Formazione e con le Università di Lecce, Bari e Genova per progetti di ricerca, attività didattiche e divulgazione scientifica. Attualmente svolge il suo lavoro istituzionale presso il Centro per la Cura e la Ricerca sui Disturbi del Comportamento Alimentare del Dipartimento di Salute Mentale della ASL di Lecce.

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L'anima Fa Libro RIVISTA SEMESTRALE DEL CENTRO STUDI PSICHE ARTE E SOCIETÀ

"PSICHE E GIUSTIZIA"

A

FFRONTARE IL TEMA DELLA GIUSTIZIA OGGI CON UN CONVEGNO

E CON QUESTO LIBRO CHE NE

TESTIMONIA GLI ATTI – RAPPRESENTA UNA SFIDA E UN IMPEGNO. LA GIUSTIZIA SPESSO ENTRA IN CONTATTO CON LE DIMENSIONI DELL'ETICA, DELL'ECONOMIA, DELLA POLITICA, MENTRE LA PSICOLOGIA, COSTITUENDO E DEFINENDO IL FATTORE UMANO, NE È IL SUBSTRATO SEMPRE PRESENTE. L'ICONTRO TRA PSICOLOGI, PSICOANALISTI, MEDICI, GIORNALISTI, DIPLOMATICI ED ESPERTI DI DIRITTO IN UN DIALOGO APERTO E VOLTO A UNA SOCIETÀ MIGLIORE, COM'È NEGLI SCOPI E NEGLI INTERESSI DEL CENTRO STUDI PSICHE ARTE E SOCIETÀ, OFFRE UNO SCAMBIO DI OPINIONI E UNA RICERCA COMUNE DI SOLUZIONI NELL'ATTENTO ASCOLTO DELLE RAGIONI DI TUTTI. IL CENTRO STUDI PSICHE ARTE E SOCIETÀ, IN ACCORDO CON IL PENSIERO DI CARL GUSTAV JUNG, RIETIENE FONDAMENTALE L'INTERRELAZIONE E L'INTERDIPENDENZA FRA INDIVIDUO E COLLETTIVITÀ, NELLA CONVINZIONE CHE SOLTANTO IL DIALOGO PACIFICO, MA NON PER QUESTO MENO AGGUERRITO – NEL SENSO DELLA DIFESA PUGNACE DELLE PROPRIE SACROSANTE MA NOBILI OPINIONI – POSSA CONDURRE A UNA SOCIETÀ PIÙ GIUSTA E PSICOLOGICAMENTE SANA. IL RECENTE ATTENTATO OMICIDA, COMPIUTO A PARIGI AI DANNI DEL GIORNALE SATIRICO CHARLIE HEBDO, CI CONVINCE CHE È SEMPRE PIÙ IMPORTANTE BONIFICARE LA PSICHE DEGLI INDIVIDUI E SOSTENERE IL DIALOGO TRA I POPOLI DI BUONA VOLONTÀ IN NOME DI UN GIUSTO, POSSIBILE EQUILIBRIO MONDIALE.

PER QUESTA RAGIONE È STATA REALIZZATA UNA COPERTINA CHE PSICHE-BILANCIA CHE SOSTIENE LA GIUSTIZIA. www.psicheartesocieta.it info@psicheartesocieta.it

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VEDE LA LETTERA GRECA

PSI

NELLA VESTE DI


L'anima Fa Libro ANTONELLO CARUSI – VALTER SANTILLI

LAING R. D., L'OMBRA DEL MAESTRO

R

. D. LAING,

A

25

ANNI DALLA SUA PREMATURA E IMPROVVISA MORTE, SEMBRA ESSERE TORNATO

COMPLESSIVAMENTE ATTUALE E SEMBRA VOLERCI INTERROGARE ATTRAVERSO GLI ASPETTI, TEORICI E

CLINICI, PIÙ STIMOLANTI CHE FURONO PROPRI DEL SUO "INSEGNAMENTO".

È

SEMBRATO NON SOLO INTERESSANTE, MA ANCHE GIUSTO CONCEPIRE UN LAVORO CHE TENDESSE A FARE LUCE

SULLE OMBRE DELLA SUA VITA E SU QUELLE DELLA SUA ARTE TERAPEUTICA.

UN

LAVORO CHE CONTRIBUISSE A FUGARE L'OMBRA CALATA SU DI LUI DALL'ESTABLISHMENT PSICHIATRICO,

PSICOANALITICO E PSICOTERAPICO: QUELL'OMBRA "OSCURA" UNA PERSONA E UN

"PERSONAGGIO" CHE È STATO PROTAGONISTA, DURANTE UNA PARTICOLARE STAGIONE STORICA, NELL'"ANIMARE" LA SCENA CULTURALE E LA SCENA "CLINICA" NEL MONDO DELLA SALUTE MENTALE IN OCCIDENTE. A DISTANZA DI TEMPO SEMBRA CHE RONALD D. LAING VOGLIA INTERROGARCI ANCHE "ESISTENZIALMENTE" ATTRAVERSO LA SUA DIFFICILE MA "PIENA" TESTIMONIANZA DI VITA, NELLA SUA FUNZIONE DI "MAESTRO" E IN QUELLA DI "PADRE": DUE FUNZIONI CHE EGLI ASSUNZE INTEGRALMENTE SCOMMETTENDO FORSE TROPPO SULLA RIUSCITA DELLA LORO NON FACILE COMMISTIONE E VOLLE COSÌ ESPORSI ANCHE NEI PROPRI LIMITI, UMANI E PROFESSIONALI.

CERTAMENTE

COLPISCE QUELL'AMALGAMA TRA ARTE E VITA CHE ORA POTREBBE APPARIRCI NON RIUSCITA.

LA

SUA VICENDA UMANA E QUELLA PROFESSIONALE SI MOSTRANO INTIMAMENTE INTRECCIATE ED ENTRAMBE APPAIONO SEGNATE DA UNA FORTE TENZIONE CREATIVA DI CUI EGLI SI FECE CARICO ASSUMENDO LA PROPRIA VITA

COME

SE

FOSSE

"...UN'OPERA

CHE

CONTINUAMENTE

VIENE

COSTRUITA

POETICAMENTE

ED

IMMAGINARIAMENTE".

26


Pat Lipsky, The glowing, 1970

V

oglio introdurre il mio discorso con la storia di un “mastro sellaio”: “C’era una volta un mastro sellaio. Era un buon artigiano, molto abile. Fabbricava selle che per la loro forma non avevano nulla in comune con le selle dei secoli precedenti […]. Erano cioè selle moderne. Lui però non lo sapeva. Sapeva soltanto

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che faceva selle. Meglio che poteva. Un bel giorno si propagò in città un movimento singolare. Fu chiamato Secession. Esso prescriveva che si producessero soltanto oggetto d’uso moderni. Quando il mastro sellaio ne venne a conoscenza, prese con sé la sua sella migliore e si recò dal capo


Michele Accettella della Secession. E gli disse: “Signor professore,” – poiché tale era costui, in quanto i capi di questo movimento venivano automaticamente promossi professori – “signor professore! Ho saputo delle regole che avete stabilito. Sono anch’io un uomo moderno. Anch’io vorrei lavorare in modo moderno. Mi dica: questa sella è moderna?”. Il professore esaminò la sella e tenne all’artigiano un lungo discoro nel quale ricorrevano di continuo solo le parole “arte nell’artigianato”, “individualità”, “moderno”, “Hermann Bahr”, “Ruskin”, “arte applicata”, ecc. ecc. Il risultato però era: no, questa non è una sella moderna. L’artigiano se ne andò tutto mortificato. E ci pensò su; si metteva al lavoro e poi ricominciava a pensare. Ma per quanto si sforzasse di attenersi alle nobili regole del professore, il risultato era sempre la sua vecchia sella. Rattristato ritornò dal professore. Gli confidò la sua pena. Il professore esaminò i tentativi dell’artigiano e disse: “Caro artigiano, lei non ha fantasia”. Si, questo era il punto. Evidentemente non ne aveva. Fantasia! Ma egli non aveva mai pensato che occorresse aver fantasia per produrre delle selle. Se ne avesse avuta, sarebbe certamente diventano pittore o scultore. O poeta, o compositore. Ma il professore disse: “Torni domani. Siamo qui apposta per incoraggiare l’artigianato e fecondarlo con idonee nuove. Voglio veder che cosa si può fare per lei”. E durante la sua lezione [il professore] disse ai suoi allievi di svolgere il tema seguente: progetto di una sella. Il giorno successivo il mastro sellaio ritornò. Il professore poté presentargli quarantanove progetti di selle […]. Quelli dovevano essere pubblicate su “Studio”, perché avevano una certa atmosfera. Il mastro sellaio osservò a lungo i disegni e ai suoi occhi tutto divenne sempre più chiaro. Infine, esclamò: “Signor professore! Se io m’intendessi così poco di equitazione, di cavalli, di cuoio e di lavorazione, avrei anch’io la sua fantasia”. E vive da allora felice e contento. E fa selle. Moderne? Non lo sa. Selle (Loos, pp. 164-6). Questo racconto è stato scritto agli inizi del Novecento da Adolf Loos, architetto viennese:

decostruttore dell’ornamento e fautore dell’essenzialità percettiva e funzionale dell’oggetto. Nella sua valenza metaforica, la storia del “mastro sellaio”, mi ha dato la possibilità di indagare ed estendere il discorso di Ottavio Mariani, proprio a partire dall’interrogativo che dà il titolo al suo saggio: “Esiste un’identità junghiana?”. Qui, prendo a prestito un passaggio della “Seconda conversazione” tra Hillman e Shamdasani tratta da “Il lamento dei morti”, quando Hillman, a un certo punto, afferma che: «La vera risposta è: “Perché la mia domanda è questa?”» (H. & S., 2013, p. 60). Qual è il punto di vista che s’impone quando ci rivolgiamo una domanda come quella di Mariani? Quale parte della mente mi governa? Nel tentare di offrire una risposta personale a questa questione, mi è sembrato d’intendere, nella provocazione di Hillman, un tentativo che mira ad una forma di decostruzione dell’Io. Un “Io”, che s’impone, con il suo “ordinamento”, dentro una “identità” costituita, molto simile al raccontometafora del “mastro sellaio” che desidera essere considerato un “uomo moderno”, accolto dentro la modernità della Secessione viennese, fin quando non si accorge egli stesso che quella stessa modernità tanto ricercata è manchevole di un aspetto fondamentale che ha a che fare proprio con l’esperienza funzionale delle cose di cui egli è “maestro”. Quello di Hillman sembra essere allora, un tentativo di operare una deviazione, uno scostamento della visione indirizzata della coscienza dell’Io, veicolando il discorso verso un altrove tipicamente individuativo. In questo senso, se riflettiamo sull’esperienza individuativa, essa stessa può essere intesa come un processo tipicamente “decostruttivo”. Un modo di «richiamare alla mente le forme che ci animano» (H.&S., ibid, p. 91) – ci dice Hillman. Un processo molto simile, per me, all’immagine del movimento nella mano di Michelangelo che scolpisce la pietra: una mano che opera per liberare la forma essenziale dal blocco di marmo, dalle eccedenze del suo “superchio” (Michelangelo, Rime, 151). Un’esperienza che aderisce, al suo fondamento, ad un processo che mira a “sfrondare” il “superchio” dell’Io. L’opera creativa di cambiamento, in questo senso, non si muove verso la ricerca del nuovo, ma è un movimento di “architettura del restauro”: rappresenta un tentativo di ripristinare

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L'Ardore «un’immagine originaria ricoperta» (Sloterdijk, 2009, p. 307). La passione per questo stato dell’origine ha a che fare proprio con l’esperienza del “gesto”. Non si tratta quindi, di riconquistare un luogo perduto ma, piuttosto, si tratta essenzialmente di dare valore di conoscenza al “movimento” della creazione. È l’esperienza conoscibile del “movimento creativo” che anima e che contribuisce a dare senso al proprio valore reale. «In ciò che è psichico, come in tutto ciò che deriva dalla nostra esperienza – ci dice Jung –, sono realtà le cose che agiscono, indipendentemente dal nome ad esse assegnato dall’uomo» (Jung 1958, p. 60): «La realtà contiene tutto ciò che si può sapere, perché reale (wirklich) è ciò che agisce (wirkt)» (1933, p. 411). Si tratta, in altri termini, di considerare l’esperienza del “gesto creativo” come un qualcosa che ha già di per sé un significato pieno, al quale si può soltanto alludere – in termini riflessivi –, attraverso una modalità, anche espressiva, che rinvia, e al contempo “stordisce”. Retrocedendo all’indietro, all’origine di questo processo decostruttivo, mi sembra esistere pure un punto originario “deflagrante” per la psiche, più vicino al fenomeno sensoriale dell’esperienza, alla vibrazione, piuttosto che all’interpretazione indirizzata. Mi è sembrato d’individuare un punto vivificante per la psiche che ha a che fare puntualmente con quello che Roberto Calasso definisce – a mio avviso puntualmente – come Ardore (Calasso, 2010). «Per sapere bisogna ardere. – Ci dice Calasso – Altrimenti ogni conoscenza è inefficace. [Per questo] occorre praticare l’“ardore”» (Calasso, ibid., p. 41). Parliamo di un tipo di esperienza della conoscenza, di una “ardente conoscenza”, che viene “prima del pensiero” (Calasso, ibid., p. 134), a cui si dà soltanto un’allusione attraverso una capacità d’intendere le cose dell’esperienza che non avviene attraverso la rappresentazione ma, piuttosto, attraverso l’identificazione. L’idea è quella d’intendere la conoscenza, in senso individuativo, come un atto d’identificazione attraverso, e all’interno del quale, scompare il limite tra soggetto e oggetto. Di questo processo, né dà una definizione significativa Maryla Falk (1986), nel suo studio su Il mito psicologico dell’India antica quando

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afferma che quel tipo di processo non «si svolge prevalentemente sul piano intellettuale e razionale, ove ogni contenuto ha contorni fermi e limiti precisi, ma [è un processo che appartiene] al piano emozionale, ove tutto confluisce e si fonde, ove il contenuto oggettivo dell’esperienza vibra nel ritmo della vita interiore del soggetto, ove il grado della vastità di quello è determinato dal grado d’intensità del sentire. Qui il soggetto non sta di fronte al suo mondo, estraneo e distinto, ma qui veramente la sua esperienza s’identifica col suo essere stesso. […] al posto dell’unità razionale del concetto astratto di sostanza, subentra il termine di funzione – la stasi si risolve nella dynamis» (Falk, M. 1986, p. 19). Si cerca qui di accennare a quel “conosciuto non pensato” (Bollas), a quel tentativo descrittivo che cerca di fare anche Jung quando allude ad una sorta di “percezione del pensiero” parlando dell’insegnamento che l’India può darci (1939, p. 329). Una modalità del “non pensiero” dove i pensieri sono percepiti come se fossero “cose vive” basate sulla realtà degli istinti (Jung 1939, p. 330). Questo processo di “percezione del pensiero” mi sembra sia da intendere attraverso altri registri rispetto anche alla stessa definizione di Jung circa le “due forme del pensare”. Nella distinzione che fa Jung tra un pensiero indirizzato che si esprime attraverso il linguaggio e le parole, e un “pensiero non indirizzato che si organizza attraverso fantasie, sogni e dunque in immagini, ci troviamo pur sempre all’interno di una sfera di ordinamento della nostra conoscenza che è di tipo “rappresentazionale”. Altra cosa sembra essere invece, quel tipo di conoscenza che Bollas (2013) definisce come “presentazionale”. La sfera conoscitiva dell’identificazione si avvicina molto di più ad una forma di «stasi – ci dice la Falk – che riunisce in sé il movimento di tutti i contrasti […] l’eternità che si avvera nell’attimo. […] è la stasi al di là del movimento: è la stasi dell’estasi […]. In quest’esperienza domina la coscienza dell’infinità […] e allo stesso tempo la coscienza dell’io, ma con un carattere di vastità smisurata che non conosce i limiti della coscienza cotidiana dell’io» (Falk 1986, pp. 20-1). Il “gesto reale” allora, quale movimento psichico che agisce un’azione funzionale alla crescita della conoscenza dell’uomo, rappresenta un tipo di “movimento”, di “dynamis”, che appartiene alla


Michele Accettella sfera dell’accadere istantaneo, dove avviene «l’incontro del sé individuale con le possibilità che gli vengono assegnate nel reale» (Bollas, 2013, p. 38). Sembra con questo identificarsi propriamente il luogo in cui avviene l’intersezione tra la sfera “presentazionale” e la sfera “rappresentazionale”, dove l’ordine materno si fonde con quello paterno (Bollas, 2013). «Come guarire l’errore (che è sempre in agguato nel gesto impreciso, nella parola inappropriata)?» si chiede Calasso (2010, p. 198). La risposta che ne deriva sembra appartenere alla sfera pregnante del rito: attraverso la sacralità del rito, che pure ha un debito di nascita nell’ardore, sembra definirsi puntualmente lo stato di funzionamento della psiche ove collassano, fondendosi contemporaneamente, la dimensione rappresentazionale e la dimensione presentazionale. Caduta pure la dimensione della metafora, si afferra la specificità della dimensione psichica del “gesto creativo”, proprio attraverso il “ritmo del rito”, in qualche modo attualizzato anche nella stanza d’analisi, all’interno del processo trasformativo. Il rito allora, sembra offrire una descrizione di fondamento alla specificità del funzionamento della psiche nella trasformazione ove la conoscenza individuativa realizza la propria realtà. Diversamente se leggiamo l’esperienza psichica con una logica di simmetria, srotolando i piani di lettura della riflessione attraverso meccanismi interpretativi, inevitabilmente uccidiamo l’esperienza: questo ci dice Shamdasani (H.&S., p. 171). E con questo, se vogliamo, l’accostamento alla conoscenza individuativa allora, passerà attraverso un processo di turbamento trasformativo, che pure sembra facilitarsi e definirsi all’interno della sfera psichica della ritualità. Proprio come suggeriva Brunetto Latini, poiché: “Le cose, che l’uomo fa senza alcuno turbamento, non possono essere dirittamente fatte” (Brunetto Latini, Tesoretto, XIII sec., 7, 49).

Mariano, Esiste un’identità junghiana? Jung tra molteplicità e unitarietà. (La biblioteca di Vivarium, Milano). - Bollas, C. (1995). Cracking Up. Il lavoro dell’inconscio. Milano: Raffaello Cortina editore. - Bollas, C. (2013). La mente orientale. Psicoanalisi e Cina. Milano: Raffaello Cortina. - Calasso, R. (2010). L’ardore. Milano: Adelphi. - Falk, M. (1986). Il mito psicologico dell’India antica. Milano: Adelphi, 2004. - Hillman, J. & Shamdasani, S. (2013). Il lamento dei morti. La psicologia dopo il Libro rosso di Jung. Torino: Bollati Boringhieri, 2014. - Jung, C.G. (1933). Realtà e surrealtà. In Opere, vol. 8, pp. 409-13. Torino: Bollati Boringhieri, 2000. - Jung, (1958). Pratica della psicoterapia. In Opere, vol. 16. Torino: Bollati Boringhieri, 2002. - Jung, Liber Novus. Torino: Bollati Boringhieri, 2012. - Jung, Quello che l’India può insegnarci. In Opere, vol. 10*. - Mariani, O. (2014). Esiste un’identità junghiana? Jung tra molteplicità e unitarietà. Milano: La biblioteca di Vivarium.

Michele Accettella: è psicologo analista, socio CIPA (Roma) e IAAP (Zurigo). È autore e relatore di lavori di ricerca in ambito junghiano. Lavora a Roma e in provincia di Chieti.

Bibliografia e Note Testo riveduto dell’intervento tenuto a Roma presso l’ARPA (Associazione per la Ricerca in Psicologia Analitica) il 22 novembre 2014, in occasione della presentazione del libro di Ottavio

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L'anima Fa Racconto

ANALISI DI UN RACCONTO DI DINO BUZZATI L'EREDITA’ SOCIALE ED INTEGRAZIONALE DEL COLOMBRE A CURA DI

VALENTINA BONACCIO

Vincenza Brugnano, Il Colombre

A

1966. DINO BUZZATI PUBBLICA IL COLOMBRE E ALTRI CINQUANTA RACCONTI. SIAMO IN UNA CITTÀ MARITTIMA E STEFANO ROI, IL NOSTRO PROTAGONISTA, COMPIE DODICI ANNI. COME REGALO CHIEDE A SUO PADRE DI PORTARLO IN MARE CON IL SUO BASTIMENTO. IL SOGNO DEL RAGAZZO È QUELLO DI DIVENTARE UN AVVENTUROSO LUPO DI MARE. LA CONOSCENZA DEL COLOMBRE FRANTUMA LA FESTOSITÀ DELL’OCCASIONE. LE ANTICHE LEGGENDE DEI MARINAI NARRANO CHE QUESTA CREATURA SIA UNO SQUALO TREMENDO E MISTERIOSO, CHE UNA VOLTA IDENTIFICATA LA SUA VITTIMA LA INSEGUE FINCHÉ NON RIESCE A DIVORARLA. LA MALEDIZIONE DEL COLOMBRE OBBLIGA IL RAGAZZO A VIVERE INTRAPPOLATO SULLA TERRA FERMA, LONTANO DAL SUO SOGNO. PASSANO GLI ANNI E, ORMAI ANZIANO, STEFANO DECIDE DI AFFRONTARE IL SUO NEMICO DI SEMPRE PER RIAPPROPRIARSI DEL MARE. CON AMARO STUPORE SCOPRE CHE IL COLOMBRE, IN TUTTI QUESTI ANNI, LO HA SEGUITO PER DONARGLI LA FAMOSA PERLA DEL MARE “CHE DÀ, A CHI LA POSSIEDE, FORTUNA, POTENZA, AMORE, E PACE DELL'ANIMO. MA ERA ORMAI TROPPO TARDI”. UNA STORIA DI TESORI E TRANELLI SOCIALI SNOCCIOLATI ED ELARGITI IN EREDITÀ INTERGENERAZIONALI CHE VANNO DA PADRE IN FIGLIO. IL RACCONTO OSPITA DUE PIANI DI ANALISI. LAVORANDO IN UNA DIREZIONE ORIZZONTALE SCORGIAMO CONTENUTI PERSECUTORI INCONSCI INCISTATI NELLA SFERA SOCIALE. NESSUN MARINAIO HA MAI VISTO IL COLOMBRE MA TUTTI SONO COSCIENTI DELLA SUA PERICOLOSITÀ. LA CREAZIONE DI UN CO-INCONSCIO GRUPPALE DEFINISCE IL CAMPO D’AZIONE DEL SINGOLO. VIOLARE I CONFINI SIGNIFICA USCIRE FUORI DAL SISTEMA SOCIALE, NON

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NNO


L'anima Fa Racconto

APPARTENERE AD ESSO.

L’EREDITÀ

COLLETTIVA DEL COLOMBRE È CONDIVISA DAL GRUPPO E NEL GRUPPO.

QUI CHE IL FOCUS ATTENTIVO SI DIRIGE SUL SECONDO PIANO DI ANALISI, IL VERTICALE.

TALE

ED

È

LIVELLO È

CARATTERIZZATO DALL’ESAME DELLE IMPLICAZIONI SOCIO-CULTURALI CHE COINVOLGONO LA PSICHE DEL SINGOLO E COMPENETRANO NEI DIVERSI TÈMENOS FAMILIARI. LEGGIAMO NELL’ANTICO

TESTAMENTO. CATENE

LE

COLPE DEI PADRI RICADONO SUI FIGLI,

DI TRAUMI, DOLORI, PAURE E FANTASMI DI UN PASSATO NON

METABOLIZZABILE SI COAGULANO IN OCCLUSIONI PSICHICHE CHE VENGONO RIEDIFICATE NEL TEMPO.

LA

TRASFERIBILITÀ DEI CONTENUTI INCONSCI È ASSICURATA DA UNA MAFIA EMOTIVA INTERNA AI NUCLEI FAMILIARI CHE GARANTISCE L’INVIOLABILITÀ DEGLI STESSI.

SI

TRATTA DI UN VERO E PROPRIO FENOMENO DI POSSESSIONE

IN CUI LA PSICHE DELLA NUOVA GENERAZIONE CUSTODISCE ARCHITETTURE INTERIORI PROVENIENTI DAI GENITORI E DAI GENITORI DEI GENITORI, IN UN PROCESSO DI TUMULAZIONI PSICHICHE CHE POSSONO RISALIRE ALL’AVO PIÙ ANTICO.

PER

USARE PAROLE DELLA PSICOANALISTA

BATTESIMO DEL BAMBINO”.

STEFANO

LA

SELMA FRAIBERG, “SONO

QUESTI GLI OSPITI INATTESI DEL

STIGMATIZZAZIONE DELLA FIGURA DEL COLOMBRE CONDUCE IL PICCOLO

A RIPETERE UN RIGIDO E CASTRANTE SCHEMA SOCIALE E FAMILIARE.

NARRAZIONE ESISTENZIALE INVOLVE NELLA POSIZIONE DI

“ATTATO”,

DA

ATTORE DELLA PROPRIA

OVVERO AGITO DA ALTRO DA SÉ.

DA EROE

A VITTIMA CHE ALBERGA IN SCIALBI OSTELLI DEL PROPRIO ESSERE DOVE OGNI COSA È AVVILUPPATA IN UN’ATMOSFERA DI ESPROPRIAZIONE DI SENSO. COMPIACENTE, CHE PORTA

STEFANO

LA

VITA DI

CIÒ IMPONE LA CREAZIONE DI UN

LONTANO DAL SUO

INTRAPPOLATO SULLA TERRA FERMA. CONDANNA.

TUTTO

STEFANO,

L’IMPOSSIBILITÀ

VERO SÉ,

FALSO SÉ,

ADATTIVO E

DAL SUO SOGNO, COSTRINGENDOLO A VIVERE

DI SDOGANARE FALSE CREDENZE DETERMINA LA SUA

NONOSTANTE I SUOI SUCCESSI, SI ARTICOLA IN UNA SOLITUDINE

DELL’ERRANZA CHE COINCIDE CON LA SOLITUDINE DELLE PARTI PERDUTE DEL SUO

JAMES HILLMAN, PORTATRICE. ED È QUI

VERO SÉ. MA NON SI PUÒ OGNI PERSONA È

SFUGGIRE AL SEME DELLA GHIANDA, COME INSEGNA

TROPPO A LUNGO.

CHIAMATA AD ADEMPIERE L’UNICITÀ DI CUI È

CHE LA CONDANNA SI TRAMUTA IN

ELEZIONE, CHE IL VELENO DIVENTA FARMACO.

NONOSTANTE GLI ANNI TRASCORSI LONTANO DAL MARE, DAL SUO VERO SÉ, STEFANO RIESCE AD AFFRONTARE IL COLOMBRE E A SDOGANARE IL SABOTATORE INTERNO EREDITATO. IL DISVELAMENTO DEL SEGRETO, DI MATRICE SOCIALE E INTERGENERAZIONALE, COINCIDE CON LA MORTE DEL PROTAGONISTA E CON LA SUA LIBERAZIONE. LA CONDANNA LO AVEVA RESO UNA VITTIMA, L’ELEZIONE LO HA RISCATTATO AD EROE. Valentina Bonaccio

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Paul Gauguin, Da dove veniamo? Chi siamo? Dove stiamo andando?, 1897

C

'è un curioso parallelo fra il titolo dell'opera di Gauguin, da cui prende spunto questo mio lavoro, e l'apertura di un saggio dello psicologo junghiano James Hillman, intitolato "Una psiche a misura della terra" 1, dove leggiamo: C'è un'unica questione centrale in tutta la psicologia: Dove sta l'"io"? Dove comincia? Dove finisce? Dove comincia l'"altro"? E' un parallelo curioso perché, per quanto enigmatico il quadro di Gauguin, sappiamo che traccia il ciclo della vita umana in un contesto ambientale, se vogliamo, dove, per ragioni intrinseche alla cultura e al pensiero tahitiano di oltre un secolo fa, è improbabile che una domanda come quella di Hillman potesse articolarsi. L'uomo, infatti, o meglio la persona umana, in quel lontano contesto, non è ancora strappato alla natura, che lo circonda, lo avviluppa, e lo contiene lungo l'intero arco dell'esistenza. E la tela di Gauguin riesce, in un movimento lento ma corale di figure umane e animali spesso misteriose, a spaziare dalla viata alla morte anche attraverso una rivisitazione del fitto rapporto che intercorre tra l'uomo e l'ambiente dell'isola: tra l'uomo e gli alberi, i frutti, la vegetazione, i lunghi rami nodosi

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e virgolanti, le pietre e le montagne, cielo e mare, il tutto vestito di una mirabile policromia, che evoca la ricca densità della madre Natura, e non soltanto di quella particolare natura così cara all'artista. Senza cadere però, in facili e fuorvianti romanticismi, il quadro ci serve da sfondo alla critica che Hillman avanza, nel suo saggio, a molta psicologia contemporanea. Hillman passa in rassegna, infatti, una serie di sviluppi che hanno contraddistinto l'evoluzione della psicologia negli ultimi trenta anni, anche nei suoi rapporti con altre discipline. I principali punti elencati dall'autore sono cinque: 1. l'opera pervadente di decostruzione operata dal postmodernismo, in modo particolare sul sé e i suoi tratti peculiari di continuità temporale e del proprio senso di unicità; 2. i fenomeni derivanti da questa opera di decostruzione e dalle rapide mutazioni tecnologiche, quali la frammentazione (anche delle nostre esperienze dello spazio e del tempo), la molteplicità (anche del sé: si pensi in chiave


Anthony Molino patologica alle cosidette personalità multiple) e la dissociazione, che spesso comporta una radicale riarticolazione del rapporto fra identità e alterità (e sulla stessa natura dell'altro da me). Chiede infatti Hillman: "Se non possiamo essere più sicuri che siamo chi ricordiamo di essere, allora dove dobbiamo fare un taglio far io e non-io?" 2 3. l'evoluzione del pensiero contemporaneo circa la presunta alterità del mondo animale, citando studi che sono arrivati a riconoscere a certe specie capacità, seppur limitate, di ragionamento, facilitando di conseguenza la loro "antropomorfizzazione" (un atteggiamento, questo, forse non del tutto estraneo agli isolani conterranei di Gauguin...) 4. in ambito squisitamente psicoanalitico, Hillman illustra brevemente la lunga traiettoria della nozione dell'inconscio, altro per definizione, che da sempre sfugge ad ogni tentativo di controllo razionale dell'io e partecipa ad una materialità (o ad una mescolanza di psiche e materia – ciò che Jung chiama lo psicoide) che oggi assume nuove e problematiche dimensioni grazie alla proliferazione dei farmaci psicotropici ed ai loro effetti alteranti delle nostre condizioni psicologiche. Si chiede, quindi, e ci chiede ancora Hillman: "Ma allora, dov'è che finisce la psiche e inizia la materia? Per i pionieri della psicologia come terapia, i livelli più profondi della psiche si fondono con il corpo biologico (Freud) e con la sostanza fisica del mondo (Jung)."3 5. concludendo, alla luce di queste quattro osservazioni perliminari, che "il soggetto umano è sempre stato implicato nel più vasto mondo della natura", per Hillman il passo alla cosidetta ecopsicologia dei giorni nostri è breve: "L'adattamento del sé profondo all'inconscio collettivo e all'es è semplicemente l'adattamento al mondo naturale, organico e inorganico... Se prestiamo ascolto a Roszak, Freud e Jung, il sé più profondamente collettivo e inconscio è il mondo naturale materiale."4 Hillman Utilizza questa tesi per arrivare, come già suggerivo, ad una critica radicale della psicologia come intesa e applicata oggi, con modalità tecnicistiche sin troppo dilaganti. In questo mio breve lavoro vorrei invece suggerire come la posizione di Hillman sconfini da tempo in altri ambiti, ove combacia da molti anni ormai con una serie di sensibilità artistiche che richiamano e

aggiornano la visione di Gauguin. Non penso, però, qui a pittori, bensì alle intuizioni di alcuni importanti poeti italiani, i quali, attraverso un'operazione non solo immaginifica ma anche sociale e politica, hanno voluto evidenziare nella loro arbitrarietà, a volte anche violenta, del taglio fra io e non-io, fra io e il mondo. Questo al fine di recuperare all'uomo, attraverso un'azione anche pedagogica, un senso della sua compartecipazione a processi naturali, ambientali, infine vitali "ecosistemici". (E ripenso, anche qui, all'agognata ricerca pittorica di Gauguin). Quello che vorrei proporre è una rivisitazione, seppure minima, del lavoro dei due scrittori, di due poeti con cui ho avuto la fortuna di lavorare e di tradurre in inglese. Mi riferisco a Danilo Dolci5 e Antonio Porta6, uomini nella cui poesia, credo, echeggi, per chi ha orecchie sintonizzate, la domanda dolorosa e per niente retorica che Hillman recita nel finale del suo saggio: "Ma come ha potuto, la psicologia, andare così fuori strada?" Danilo Dolci, da "Maturare a bruciarsi" (1976 – 1980), in Creatura di creature (Feltrinelli,1999) Nell'esangue strozzarsi di grovigli mostruosi non si ravvisa fiore di ogni creatura, fiore di fiori in stentato fiorire in stentato fruttare non si è scoperto ancora siamo fiori di carne e frutti non da vaso, entro un pungno di terra in cui attorcere ansia privata: strani alberi siamo con impercettibili radici da affondare acute nella terra abbarbicare fino nelle occulte galassie – ogni vena colloquio tra silenzi prigionieri Antonio Porta, da "Airone", in Il giardiniere contro il becchino (Mondadori, 19889) Ti saluto, ti canto airone ritornato a infilare le zampe nelle risaie lombarde canto la mia liberazione appena uscito dalla prigione disceso nelle acque dove il seme va maturando

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Da dove veniamo? Chi siamo? Dove stiamo andando? ancora una volta hai reciso le sbarre invisibili ma sicure alzate tra me e il mondo di nuovo fai delle parole i tramiti cantabili tra me e il mondo separato dal letargo d'inverno tu preparavi il ritorno io dormivo chiuso in una parete di ghiaccio naturale e artificiale interminabile inverno del Nord gli occhi fatti opachi dai cristalli del gelo (ci sono sette tipi di gelo io stavo chiuso nell'ottavo quello prodotto dal silenzio muto come ogni lingua divien gelando muta) airone, suono del contatto, dell'unione le mani battono nell'aria insieme alle tue ali subito mi fisso immobile al suolo rimango come te zampe nell'acqua come fossi ancora cieco e sordo e non lo sono più...

Bibliografia e Note 1. 1 James Hillman, "Una psiche a misura della terra", in La politica della bellezza (Bergamo: Moretti e Vitali, 1999), pagine 45-52. 2 "Una psiche a misura della terra", p.46 3 "Una psiche a misura della terra", p.47 4 "Una psiche a misura della terra", p.48 5 Danilo Dolci (1924-1997). Pedagogista, poeta, attivista tra i primi in Italia a divulgare e mettere in atto negli anni '50 la protesta non violenta sul modello gandhiano, Dolci radica in Sicilia – nella sia lotta contro la mafia, prima, e nella pedagogia maieutica, poi – la sua visione di un mondo più sano, dove la pace diviene non "assenza di guerra" ma atto e impegno sociale costante e creativo. Più volte candidato per il premio Nobel per la pace, Dolci ha coinvolto attivamente nelle sue numerose iniziative, lungo un arco di decenni, personaggi tanto diversi quali Aldous Huxley e Bertrand Russell, Erich Fromm, Ernest Bloch, Mario Luzi, Jean Piaget, Jurgen Habermas, Aldo Capitini, Lewis Mumford, Zanzotto e tanti gruppi di giovani dall'Italia all'estero che hanno cercato e

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collaborato con lui. Tra le sue molte opere ricordiamo: "Banditi a Partinico" (Laterza, 1954); "Inchiesta a Palermo" (Laterza, 1956); "Chi gioca solo" (Einaudi, 1966); "Chissà se i pesci piangono" (Einaudi, 1973); "Racconti Siciliani" (Einaudi, 1974); e la suddetta raccolta di poesie, "Creatura di creature" che valse a Dolci il premio Viareggio per la poesia. 6 Antonio Porta (1935 – 1989) è noto come uno dei principali poeti italiani del dopoguerra. Presente già nella storica ontologia "I Novissimi" assieme ad altri membri del "Gruppo '63", negli anni Porta non ha mai rinnegato l'originaria vena sperimentale della sua poesia, che culmina con la raccolta "Invasioni" e il Premio Viareggio nel 1984. Animatore tra i più attivi sulla scena culturale italiana a cavallo degli anni '70-80, ha diretto la casa editrice Bompiani per cinque anni (1972 – 1977) nonchè la prestigiosa rivista Alfabeta. Tra gli autori italiani più tradotti all'estero, Porta è stato anche saggista, giornalista (presso il Corriere della Sera), romanziere e scrittore di teatro e per bambini.

Anthony Molino: è membro associato della Società Italiana di Psicoterapia Psicoanalitica (S.I.P.P.). Traduttore e antropologo oltrechè psicoanalista di formazione anglo-americana, in Italia ha pubblicato diversi volumi. Per le sue ricerche ha ottenuto due volte il Premio Gravida della National Association for the Advancement of Psychoanalysis di New York.


L'Anima Fa Libro

RECENSIONE ELABORATA DEL SAGGIO A CURA DI JOSEPH CAMBRAY E LINDA CARTER "PSICOLOGIA ANALITICA. PROSPETTIVE CONTEMPORANEE DI ANALISI JUNGHIANA"

di Emanuele G. Casale

LO

SCENARIO CHE SI APRE CON QUESTO SAGGIO

A TRATTI SPECIALISTICO, A TRATTI DIVULGATIVO

SCENARIO PERFETTAMENTE ARMONICO CON LE PREMESSE DI UNA

PSICOLOGIA GENERALE

E

– È UNO COMPLESSA DI

AMPIO RESPIRO, PROMOSSA FIN DALL’INIZIO DA JUNG. MENTE LO PSICHIATRA SVIZZERO QUANDO ESPRIMEVA TRADUCIBILE ANCHE

TRA I VARI SIGNIFICATI

QUESTO TIPO DI PSICOLOGIA È QUELLA CHE AVEVA IN “PER FORTUNA SONO JUNG, E NON SONO JUNGHIANO!”,

CON LA SEMPLICE CONSTATAZIONE CHE NON DOVREBBE

ESISTERE UNA PSICOLOGIA D’ORIENTAMENTO AUTONOMO CHE ASSOMIGLI AD UNA SORTA DI AUTOCELEBRAZIONE DELLA PROPRIA FILOSOFIA DI VITA E DELLA PROPRIA VISIONE DEL MONDO. INEVITABILE CHE DALL’EQUAZIONE PERSONALE DEL RICERCATORE NASCA INTRISO

INELUTTABILMENTE

DELLA PROPRIA SOGGETTIVITÀ

E

ORIENTATO

PREDISPOSIZIONE PSICOLOGICA, SECONDO IL PROPRIO TIPO PSICOLOGICO. SECONDO

JUNG,

È L’AUTOREIFICARSI DI QUESTE VARIE PSICOLOGIE.

PER JUNG UN FRUTTO,

EGLI

IL

CIÒ ANDAVA BENE, È UN LAVORO CHE SIA

SECONDO

LA PROPRIA

PASSO DA EVITARE DUNQUE,

È BEN CONSAPEVOLE DI QUESTA

MALSANA ABITUDINE TUTT’ALTRO CHE ONESTA QUANDO SCRIVE, NELL’OPERA

TIPI PSICOLOGICI: «SUPPORRE CHE NON ESISTE CHE UNA SOLA PSICOLOGIA, UN SOLO PRINCIPIO PSICOLOGICO FONDAMENTALE, SIGNIFICA ACCETTARE L’INSOPPORTABILE TIRANNIA DEL PREGIUDIZIO SCIENTIFICO DELL’UOMO NORMALE.» DUNQUE

UNA PSICOLOGIA COMPLESSA1 CHE NON PREVEDE IN ALCUN MODO L’AUTONOMIA O LA STRETTA

SPECIALIZZAZIONE

SOGNATA E MAI REALIZZATA

BENSÌ CHE ASPIRA AD UN METTERE INSIEME I PUNTI IN

COMUNE DEI VARI ORIENTAMENTI E FILONI TEORICI FIN LADDOVE È POSSIBILE, DISCERNENDO CON COMPETENZA I CONTRIBUTI CHE SONO REALMENTE VALIDI DA QUELLI CHE NON LO SONO O CHE NON LO SONO PIÙ (COME AD

FREUD – O ALTRI – MOLTI DEI QUALI, ORMAI, HANNO INVECE UN VALORE PIÙ STORIOGRAFICO CHE CLINICO/SCIENTIFICO). QUESTO TIPO DI PSICOLOGIA È QUELLA CHE VENNE DENOMINATA DA JUNG PSICOLOGIA COMPLESSA2, DELLA COMPLESSITÀ, UNA VERA E PROPRIA PSICOLOGIA ENCICOLPEDICA, CHE ESEMPIO I CONTRIBUTI DI

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L'Anima Fa Libro

PER QUANTO AMBIZIOSA POTREBBE SEMBRARE, È IN REALTÀ UN ATTEGGIAMENTO CHE A CERTI LIVELLI È GIÀ PRESENTE IN ALTRI AMBITI SCIENTIFICI COME QUELLI DELLA FISICA, DELLA MEDICINA, DELLA BIOLOGIA.

QUESTE

SCIENZE COLLABORANO TRA DI LORO E NECESSARIAMENTE LE SCOPERTE E LE RIVOLUZIONI APPORTATE IN UNA SOLA DI QUESTE DISCIPLINE INFLUENZA DI RIFLESSO TUTTE LE ALTRE.

E’

QUELLO CHE IN GRAN PARTE HA

SMESSO DI ACCADERE NEL CAMPO DELLO STUDIO DELLA PSICOLOGIA MODERNA E DELLA PSICOTERAPIA, INCLUSO LA PSICOANALISI.

TRA QUESTE SPICCA PERÒ, A LIVELLO INTERNAZIONALE, LA PECULIARE TENDENZA DELLA PSICOLOGIA ANALITICA (O COMPLESSA) CHE DIVERSAMENTE O IN MAGGIOR MISURA RISPETTO ALLE ALTRE, SI È SEMPRE IMPOSTATA COME DAPPRIMA UNA PSICOLOGIA GENERALE, UNA PSICOLOGIA CHE SI AFFACCIA SULLA POLIEDRICITÀ DI PSYCHÈ E DELL’ESSERE UMANO IL PIÙ A TRECENTOSESSANTA GRADI POSSIBILE. DUNQUE, IN UNA BUONA MISURA, CIÒ CHE PER JUNG ERA IL SOGNO DI UNA SCIENZA3, È STATO IN PARTE REALMENTE REALIZZATO IN ALCUNE FETTE DEL MONDO E DELLA SCIENZA PSICOLOGICA CONTEMPORANEA. QUESTO LIBRO – INSIEME AD ALTRI SAGGI SCRITTI IN COLLABORAZIONE TRA VARI SCIENZIATI E PSICOLOGI DI TUTTO IL MONDO4 LO DIMOSTRA AMPIAMENTE. PER JUNG «NON C’ERA ALCUN CAMPO DEL COMPORTAMENTO UMANO CHE FOSSE IRRILEVANTE PER LA PSICOLOGIA. (...) ASSUNSE COME COMPITO IL DETTO DI TERENZIO “NULLA DI UMANO MI È ALIENO”. (...) LO TESTIMONIA LA GAMMA DI TEMI CHE HA DISCUSSO NEL CORSO DELLA SUA OPERA. L’ASPETTO ENCICLOPEDICO DELL’INIZIATIVA DI JUNG LA SEPARA ANCHE DALLE ALTRE PSICOLOGIE MODERNE E COSTITUISCE IL SUO TRATTO DISTINTIVO. (...) IL MODO IN CUI TENTÒ DI SVILUPPARE LA PROPRIA PSICOLOGIA ANDAVA CONTRO LA SPECIALIZZAZIONE AUTONOMIZZATA CHE, IN GENERALE, ERA IN VOGA IN PSICOLOGIA.»5. IN QUESTA SUA VISIONE JUNG ERA PERÒ CONSAPEVOLE DI UN ASPETTO FONDAMENTALE CHE PALESAVA IN UNA LETTERA DEL 1913 AI CURATORI DELL’APPENA FONDATA “PSYCHOANALYTIC REVIEW”: «E’

AL DI LÀ DELLE FORZE DELL’INDIVIDUO, PIÙ PARTICOLARMENTE DEI MEDICI, DOMINARE L’AMBITO

MULTIFORME DELLE SCIENZE DELLO SPIRITO, LA QUAL COSA GETTEREBBE UN PO’ DI LUCE SULL’ANATOMIA COMPARATA DELLA MENTE...ABBIAMO BISOGNO NON SOLO DEL LAVORO DEGLI PSICOLOGI MEDICI, MA ANCHE DI QUELLO DEI FILOLOGI, DEGLI STORICI, DEGLI ARCHEOLOGI, DEI MITOLOGI, DEGLI STUDIOSI DI FOLKLORE, DEGLI ETNOLOGI, DEI FILOSOFI, DEI TEOLOGI, DEI PEDAGOGHI E DEI BIOLOGI.»6

CIÒ CHE TROVIAMO ALL’INTERNO DI QUESTO MANUALE, RIMANDA PROPRIO AD UNA TENDENZA DELLA PSICOLOGIA ANALITICA AD ABBRACCIARE PER DAVVERO QUESTA NECESSITÀ EPISTEMOLOGICA A CUI JUNG MIRAVA, E CHE RISULTA IMPRESCINDIBILE SOPRATTUTTO IN PSICOLOGIA, GIACCHÈ, RICORDIAMOLO, È IMPOSSIBILE INCAPSULARE LA FENOMENOLOGIA PSICHICA E L’ANIMA IN UN SISTEMA TEORICO UNIVOCO, UNILATERALE. IL LIBRO PRESENTA DUNQUE UN VASTO ORIZZONTE DI TEMATICHE DI ORIGINE PRETTAMENTE JUNGHIANA CHE NEL CORSO DEI DECENNI – GRAZIE AI COLLABORATORI DI JUNG E LE GENERAZIONI SUCCESSIVE DI ANALISTI JUNGHIANI E PSICOLOGI – È DIVENTATO PATRIMONIO E BASE DELLA PSICOLOGIA MODERNA E DELLA PSICOTERAPIA. I CURATORI DEL SAGGIO, JOSEPH CAMBRAY, ANALISTA JUNGHIANO E RICERCATORE (PHD), E LINDA CARTER, PSICOLOGA ANALISTA, HANNO RACCOLTO IN QUESTO VOLUME DIVERSI CONTRIBUTI DI PSICOLOGI E SCIENZIATI CHE SI OCCUPANO DEGLI SVILUPPI DI ALCUNE TEMATICHE DI PSICOLOGIA DEL PROFONDO, SOTTOLINEANDONE LA CONTEMPORANEITÀ E I RELATIVI STUDI E AGGIORNAMENTI SVOLTI FINO AD OGGI IN AMBITO MULTIDISCIPLINARE.

DI

SEGUITO LASCERÒ UN ACCENNO AI VARI SINGOLI CAPITOLI SCRITTI DAGLI

AUTORI.

- IL SAGGIO SI APRE CON UN CAPITOLO SULLA STORIA DELLA PSICOLOGIA ANALITICA, SCRITTO DA THOMAS B.KIRSCH (PHD, PSICHIATRA JUNGHIANO, ED EX PRESIDENTE DELLO IAAP, SAN FRANCISCO). E’ UN CAPITOLO INTERESSANTE PER VIA DELLA RICOSTRUZIONE CRONOLOGICA E DETTAGLIATA CHE L’AUTORE FA CIRCA LA NASCITA DEI VARI ISTITUTI DI FORMAZIONE JUNGHIANA NATI A PARTIRE DAGLI ANNI 40 QUANDO ERA IN VITA LO STESSO JUNG. SI PARTE DAL PRIMO ISTITUTO IN SVIZZERA (DA CUI POI SI DIVISE UN GRUPPO DI ANALISTI CHE SEGUIVANO UNO JUNGHISMO A LORO DETTA PIÙ ORTODOSSO E CON A CAPO MARIE LOUISE VON FRANZ), A

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L'Anima Fa Libro

SEGUIRE I SUCCESSIVI ISTITUTI CHE VIDERO LA LUCE, E DI CUI NASCITA, FURONO IN SUCCESSIONE QUELLI NEGLI IN

STATI UNITI

JUNG NE SEGUÌ IN PICCOLA PARTE LA LORO (NEW YORK, SAN FRANCISCO, LOS ANGELES),

GRAN BRETAGNA E IN GERMANIA.

- IL SECONDO CAPITOLO, ARCHETIPI. L’EMERGENZA E LA STRUTTURA PROFONDA DELLA PSICHE, SCRITTO DA GEORGE HOGENSON, ANALISTA JUNGHIANO E RICERCATORE (PHD), APPORTA UNA STRAORDINARIA DISAMINA DEL CONCETTO DI ARCHETIPO, ANDANDO A RIPRENDERNE LE RADICI NELLE SCIENZE BIOLOGICHE CONTEMPORANEE. E’ UN IMPORTANTE CONTRIBUTO DELL’AUTORE, GIÀ MOLTO NOTO NEL CAMPO CON LE SUE PUBBLICAZIONI AL RIGUARDO RISALENTI AL 2001, CHE FORNISCE UNA DIMENSIONE ANCHE MATERIALE DELL’ARCHETIPO, RIALLACCIANDO PSICOLOGIA E BIOLOGIA. E’ UN PRIMO SERIO E SCIENTIFICO TENTATIVO DI SPODESTARE LA TEORIA DEGLI ARCHETIPI DALLE MOSSE INTELLETTUALISTICHE, E ALLE VOLTE TROPPO METAFISICHE, DI UNA BUONA FETTA DI JUNGHIANI – E CRITICI MAL INFORMATI CHE DIMENTICA L’INNERVAZIONE NELLA MATERIA DI QUESTE FENOMENOLOGIE PSICOLOGICHE, OVVERO, UNA DELLE DUE POLARITÀ DELL’ARCHETIPO (CHE PER JUNG AVEVA UNA CARATTERISTICA PSICOIDE – MATERIALE E PSICHICO) CHE AGISCE COSTANTEMENTE NELLA VITA. IL TEMA “ARCHETIPO” VIENE INFATTI QUI AFFRONTATO DA UNA ORIGINALE E ATTUALE PROSPETTIVA EVOLUZIONISTICA/EVOLUTIVA DA CUI NE DERIVA UN MODELLO EMERGENTISTA DELLA PSICHE, CHE DI CERTO – COME SCRIVE HOGENSON - NON È L’UNICO POSSIBILE, MA ARRICCHISCE ENORMEMENTE LO SCENARIO E LA COMPRENSIONE CHE ABBIAMO SUGLI ARCHETIPI IN AMBITO PSICOLOGICO.

NON

A CASO L’AUTORE DELINEA ANCHE LE DIFFERENZE PIÙ RILEVANTI TRA I VARI CONTRIBUTI

SUL TEMA COME QUELLI DI

HILLMAN E ALTRI AUTORI.

- IL TERZO CAPITOLO, ASPETTI EVOLUTIVI DELLA PSICOLOGIA ANALITICA: NUOVE PROSPETTIVE DALLE NEUROSCIENZE COGNITIVE E DALLA TEORIA DELL’ATTACCAMENTO, SCRITTO DA JEAN KNOX, RICERCATRICE (PHD) ANALISTA E PSICHIATRA JUNGHIANA, DELINEA UN MODELLO DELLA PSICHE JUNGHIANO CONTEMPORANEO DA UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA COMBINATO ALLA TEORIA DELL’ATTACCAMENTO E IN RELAZIONE ALLA PSICOANALISI. LA PROSPETTIVA SULL’ARCHETIPO IN QUESTIONE DIFFERISCE DA QUELLA DI HOGENSON PUR RIMANENDO IN UN PARADIGMA EMERGENTISTA. L’AUTRICE AFFRONTA VARIE TEMATICHE JUNGHIANE COME IL COMPLESSO, L’INDIVIDUAZIONE, LE FANTASIE, ARRICCHENDOLE CON CONTRIBUTI E CORRELATI SPECIFICI IN AMBITO NEUROFISIOLOGICO, CORROBORANDO E AMPLIFICANDO MOLTE DI QUESTE FENOMENOLOGIE GIÀ AMPIAMENTE TRATTATE E IN VIA DI SVILUPPO IN PSICOLOGIA ANALITICA. - IL QUARTO CAPITOLO, COMPRENDERE LA COSCIENZA ATTRAVERSO LA TEORIA DEI TIPI PSICOLOGICI, SCRITTO DA JOHN BEEBE, PSICHIATRA E ANALISTA JUNGHIANO, È MOLTO INTERESSANTE PER VIA DEGLI SVILUPPI CHE L’AUTORE APPORTA ALLA TIPOLOGIA PSICOLOGICA IN AMBITO TEORICO E CLINICO. VI È QUI UN ORIGINALE E IMPORTANTE ALLARGAMENTO DELLA TIPOLOGIA. L’AUTORE COLLEGA – ATTRAVERSO OSSERVAZIONI CLINICHE – GLI ARCHETIPI ALLA TIPOLOGIA, E CI FA NOTARE COME OGNI FUNZIONE PSICHICA (PENSIERO, SENTIMENTO, INTUIZIONE, SENSAZIONE) PUÒ ESSERE COLLEGATA A SPECIFICI ARCHETIPI (COME AD ESEMPIO LA FUNZIONE PRIMARIA ALL’ARCHETIPO DELL’EROE/EROINA). - IL QUINTO CAPITOLO, UNA RIVISITAZIONE DEI METODI ANALITICI, SCRITTO DAI DUE CURATORI DEL SAGGIO, JOSEPH CAMBRAY E LINDA CARTER, CI APRE UNO SCENARIO MOLTO AMPIO SULLE ATTUALI FRONTIERE E SVILUPPI CIRCA I METODI ANALITICI. QUESTO È UNO DI QUEI CAPITOLI CHE SI CONSIGLIEREBBERO AD OGNI PSICOTERAPEUTA ED ANALISTA DI QUALSIASI ORIENTAMENTO, PERCHÉ CONTIENE IL PRESENTE E IL FUTURO DELLA PSICOANALISI E DELLA PSICOTERAPIA. I DUE AUTORI QUI SOTTOPONGONO AD UN’AMPIA ANALISI ALCUNI ASPETTI DEI METODI ANALITICI DI ORIGINE JUNGHIANA, COME LA FUNZIONE TRASCENDENTE, L’IMMAGINAZIONE ATTIVA E I SOGNI, COMPARANDOLI AI CONTEMPORANEI MODELLI EMERGENTISTI, SOTTOLINEANDO L’IMPORTANZA E L’IMPRESCINDIBILITÀ DI QUESTI TEMI CHE OGGI VANTANO DI ANCOR UN MAGGIORE VALORE E IMPORTANZA DATE DAI RISULTATI DELLE RICERCHE PROVENIENTI DALLE SCIENZE COGNITIVE E DALLE TEORIE SULLA COMPLESSITÀ.

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L'Anima Fa Libro

- IL SESTO CAPITOLO, TRANSFERT E CONTROTRANSFERT: PROSPETTIVE CONTEMPORANEE, SCRITTO DA JAN WEINER, ANALISTA JUNGHIANO E SUPERVISORE, È MOLTO RICCO DI INFORMAZIONI E BIBLIOGRAFIA UTILE SULLA TEMATICA DEL TRANSFERT E DEL CONTROTRANSFERT. L’AUTRICE, ATTRAVERSO LA SUA ESPERIENZA CLINICA E LA COMPARAZIONE FRA DIVERSE TEORIE, AFFRONTA LA QUESTIONE SUL TRANSFERT E IL CONTROTRANSFERT SOTTOLINEANDONE GLI SVILUPPI CONTEMPORANEI E DI COME ESSI, ALL’INTERNO DELLO STESSO AMBITO JUNGHIANO, SIANO A VOLTE MOLTO DIFFERENTI TRA LORO E DIVERGENTI, MA NON PER QUESTO INCOMPATIBILI. PER FARE CIÒ L’AUTRICE CI PORTA PER MANO ATTRAVERSO UNA BREVE MA DETTAGLIATA RICOSTRUZIONE STORICA DEGLI SCRITTI E DELLE IMPRESSIONI DI JUNG E FREUD SUL TRANSFERT E CONTROTRANSFERT. - IL SETTIMO CAPITOLO, LA TEORIA EMERGENTE DEI COMPLESSI CULTURALI, SCRITTO DA THOMAS SINGER (RICERCATORE E PSICHIATRA/ANALISTA JUNGHIANO) E SAMUEL L. KIMBLES (RICERCATORE, PSICOLOGO CLINICO E ANALISTA), TRATTA DI UNO SVILUPPO INTERESSANTE SULLA NOTA TEORIA DEI COMPLESSI. I COMPLESSI, NOTI GIÀ CON P.JANET A FINE OTTOCENTO E POI RIPRESI DA JUNG CHE NE DELINEÒ LA STRUTTURA E IL FUNZIONAMENTO IN AMBITO PSICHIATRICO/PSICOLOGICO, ERANO STATI AFFRONTATI FINORA IN UN’OTTICA CHE VEDEVA IL COMPLESSO CONTENUTO ESCLUSIVAMENTE NELLA PSICHE DELL’INDIVIDUO SINGOLO. ATTRAVERSO VARIE OSSERVAZIONI CLINICHE E TEORICHE GLI AUTORI CI DELINEANO LA STRUTTURA DEI COMPLESSI CULTURALI CHE POSSONO VENIRSI A FORMARE NEL COLLETTIVO E NEI GRUPPI, TENTANDO DI DESCRIVERE LE VARIE

- MAI ESCLUDENTESI TRA LORO – CHE SI VENGONO A CREARE TRA IL LIVELLO PERSONALE E QUELLO QUI GLI AUTORI AMPLIANO ANCHE IL CONCETTO CLINICO DI TRAUMA RIPRESO DA DONALD KALSCHED, DIMOSTRANDO L’IMPORTANZA DEI COMPLESSI CULTURALI ALL’INTERNO E TRA I GRUPPI. DINAMICHE

COLLETTIVO DELLA PSICHE.

- L’OTTAVO

CAPITOLO,

ASPETTI

SPIRITUALI E RELIGIOSI DELL’ANALISI MODERNA, SCRITTO DA

MURRAY STEIN,

RICERCATORE (PHD) E ANALISTA JUNGHIANO, AFFRONTA IL LAVORO CLINICO SUI PAZIENTI SOTTOLINEANDONE GLI ASPETTI RELIGIOSI O SPIRITUALI CHE NE EMERGONO IN MANIERA SPONTANEA. ECHEGGIANDO

JUNG,

COME

SIA

INDISPENSABILE,

PER

GLI

ANALISTI

ODIERNI

E

STEIN

CI RICORDA,

FUTURI,

PRENDERE

NECESSARIAMENTE IN CONSIDERAZIONE LA DIMENSIONE SPIRITUALE NELLA PRATICA ANALITICA, DI COME QUESTA EMERGE E SI DIPANA NEL CORSO DEL TEMPO ANALITICO.

- IL

NONO CAPITOLO,

SINCRONICITÀ COME EMERGENZA, SCRITTO DAL GIÀ CITATO JOSEPH CAMBRAY (COCURATORE DEL SAGGIO), RIESAMINA IL CONCETTO DI SINCRONICITÀ. INTERESSE PRINCIPALE DELL’AUTORE È RICONTESTUALIZZARE LA SINCRONICITÀ ALL’INTERNO DELLA CONTEMPORANEA TEORIA DELLA COMPLESSITÀ E ATTRAVERSANDOLA DA UNA DIMENSIONE EMERGENTISTA. L’ACCENTO IMPORTANTE È POSTO QUI ANCHE SUL SENSO PRATICO DELLA SINCRONICITÀ, DI COME IL PROFESSIONISTA POSSA – E DEVE – TRARCI QUALCOSA NELLA PRATICA PSICOTERAPEUTICA IN GENERALE. - IL

DECIMO E ULTIMO CAPITOLO,

L’ATTEGGIAMENTO ETICO NEL TRAINING E NELLA PRATICA ANALITICA, HESTER MCFARLAND SOLOMON, VICE PRESIDENTE DELLO IAAP E ANALISTA, ESPERTA E NOTA PER I SUOI INTERVENTI E APPROFONDIMENTI SULL’ETICA IN AMBITO PSICOLOGICO. VIENE QUI ELABORATO UN EXCURSUS STORICO SU COME VENIVA VISSUTA IN ANALISI LA DIMENSIONE ETICA DA PARTE DI FREUD, JUNG, KLEIN, PER POI ARRIVARE A VARIE CONSTATAZIONI NEUROSCIENTIFICHE CHE SEMBRANO PALESARE COME LA FUNZIONE ETICA DELLA PSICHE SIA CONNATURATA ALLO SVILUPPO NORMALE DELL’ESSERE UMANO. SCRITTO DA

IL SAGGIO

SI CHIUDE CON UNA ESEMPLARE NOTA CONCLUSIVA DI

CHE CI RICORDA COME

«IN

BEVERLEY ZABRISKIE,

ANALISTA JUNGHIANA,

MOLTI CAMPI LE IPOTESI DI JUNG SI STANNO DIMOSTRANDO VALIDE.

LE

PREMESSE

PSICO-FISICHE DEL TEST DI ASSOCIAZIONE DELLE PAROLE E I PROFILI FONDAMENTALI DELLA SUA TIPOLOGIA, BENCHÈ REIFICATI, SONO STATI INGLOBATI NELLA CULTURA.

SEPPURE

TALVOLTA FRAINTESI, SIA IL TERMINE DI

ARCHETIPO E SEMPRE PIÙ ANCHE QUELLO DI SINCRONICITÀ SONO DI USO COMUNE. MENTE SONO CONFERMATE DALLO STUDIO DEL LAVORO DEL CERVELLO.

LE

(...)

LE SUE IPOTESI SULLA

ANALOGIE INFORMATE E INTUITIVE

PER LE SUE DEDUZIONI SULLA NATURA DELLA REALTÀ SEMBRANO SEMPRE PIÙ PLAUSIBILI MAN MANO CHE GLI ORDINI IMPLICITI DELLA NOSTRA ESISTENZA SONO RESI SEMPRE PIÙ ESPLICITI DALLE SCIENZA NATURALI.»7.

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L'Anima Fa Libro

BIBLIOGRAFIA E NOTE 1. SONU SHAMDASANI (2003). JUNG AND THE MAKING OF MODERN PSYCHOLOGY. THE DREAM OF A SCIENCE. (TR.IT. JUNG E LA CREAZIONE DELLA PSICOLOGIA MODERNA. IL SOGNO DI UNA SCIENZA. ROMA: MAGI EDIZIONI. 2007, P.33) 2. IVI. P.38 3. IBIDEM. 4. CFR. ELPHIS CHRISTOPHER & HESTER MCFARLAND SOLOMON (EDS.). (2003). IL PENSIERO JUNGHIANO NEL MONDO MODERNO. ROMA: MAGI EDIZIONI. CFR. ANDREW SAMUELS (1989). JUNG E I NEO-JUNGHIANI. BORLA EDIZIONI. 5. SONU SHAMDASANI (2003). JUNG AND THE MAKING OF MODERN PSYCHOLOGY. THE DREAM OF A SCIENCE. (TR.IT. JUNG E LA CREAZIONE DELLA PSICOLOGIA MODERNA. IL SOGNO DI UNA SCIENZA. ROMA: MAGI EDIZIONI. 2007, P.38) 6. IVI. P.39 7. JOSEPH CAMBRAY & LINDA CARTER (EDS.). (2004). PSICOLOGIA ANALITICA. PROSPETTIVE CONTEMPORANEE DI ANALISI JUNGHIANA. ROMA: GIOVANNI FIORITI EDITORE S.R.L. (2010), P.286. - SONU SHAMDASANI (2003). JUNG AND THE MAKING OF MODERN PSYCHOLOGY. THE DREAM OF A SCIENCE. (TR.IT. JUNG E LA CREAZIONE DELLA PSICOLOGIA MODERNA. IL SOGNO DI UNA SCIENZA. ROMA: MAGI EDIZIONI. 2007, P.33) - ELPHIS CHRISTOPHER & HESTER MCFARLAND SOLOMON (EDS.). (2003). IL PENSIERO JUNGHIANO NEL MONDO MODERNO. ROMA: MAGI EDIZIONI. - ANDREW SAMUELS (1989). JUNG E I NEO-JUNGHIANI. BORLA EDIZIONI. - SONU SHAMDASANI (2003). JUNG AND THE MAKING OF MODERN PSYCHOLOGY. THE DREAM OF A SCIENCE. (TR.IT. JUNG E LA CREAZIONE DELLA PSICOLOGIA MODERNA. IL SOGNO DI UNA SCIENZA. ROMA: MAGI EDIZIONI. 2007, P.38) - JOSEPH CAMBRAY & LINDA CARTER (EDS.). (2004). PSICOLOGIA ANALITICA. PROSPETTIVE CONTEMPORANEE DI ANALISI JUNGHIANA. ROMA: GIOVANNI FIORITI EDITORE S.R.L. (2010), P.286 - R.K.PAPADOPOULOS (ED.). (2009). MANUALE DI PSICOLOGIA JUNGHIANA. MORETTI E VITALI. - ALDO CAROTENUTO. JUNG E LA CULTURA DEL XX SECOLO. BOMPIANI (2001). - MARIE LOUISE VON FRANZ (1972). IL MITO DI JUNG. TORINO: BOLLATI BORINGHIERI (2014).

EMANUELE G. CASALE

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Vivendo con l'intento di stare in ascolto di ciò che le vita mi propone e che parla al germe creativo che è in me (come c'è in ognuno di noi), ho conosciuto il Dott. Remo Roth. La nostra conoscenza è avvenuta nel momento in cui l'idea e il percepire, attraverso la pratica clinica, che la tipologia psicologica “junghiana” fosse una delle intuizioni fondamentali di Jung e che andasse sviluppata, stava assumendo la forma di una base dalla quale poter avventurarmi. Il mio interesse per Remo e per i suoi sviluppi clinici, e la decisione di, in qualche modo creare curiosità intorno al suo lavoro, nasce dalla comune attenzione alla tipologia psicologica di sè stessi e dei pazienti e alla trasformazione che può attivarsi dalla conoscenza di come funzionano le nostre funzioni psichiche e quindi dalla conoscenza dei diversi sguardi, della diversità presente in noi e fuori di noi. Il nostro incontro ha avuto come sfondo e come contenitore costante il caldo di questo forte luglio e l'acqua riposante del lago di Zurigo. L'intervista si è svolta principalmente in viaggio verso I luoghi di Jung con alla guida Eva, la compagna di Remo. La conversazione è avvenuta in modo informale, e anche Eva ha contribuito al dialogo che si è reso così, più ampio, sia per quanto riguarda l'approfondimento dei contenuti, sia per quanto riguarda l'opportunità di fare esperienza dei fenomeni, delle idee e dei racconti da diverse angolature, come lo studio e l'osservazione della tipologia stessa ci invita a fare. In questa sede riporterò solo ciò che concerne il titolo di questo articolo, ovvero la relazione maestroallievo e di come tale relazione si pone nel e per il processo d'individuazione, sebbene ci vorrebbero altri 3 o 4 articoli per toccare tutti i punti affrontati in questo viaggio. Tuttavia spero che, dall'intervista qui riportata, sia possibile scorgere spunti teorici e particolari intuizioni che ritengo meritino approfondimento e che possono essere ritrovati nei libri scritti da Remo Roth, (“I cercatori di Dio”, 1992, Di Renzo Edizioni e “Return of the World Soul”, part I (2011) and Part II (2012) Pari Publishing, e altri in corso d'opera.

Ilya Mashkov, Lake Geneva,1914

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Zaira Cestari LA RELAZIONE MAESTRO(A)-ALLIEVO(A) NEL PROCESSO D'INDIVIDUAZIONE. MARIE LOUISE VON FRANZ E REMO ROTH

Nicholas Roerich, Linnasaari, Ladoga lake, 1918

Z: Lei è stato allievo di Marie LouiseVon Franz presso il Carl Gustav Jung Institute dal 1975 al 1982. Il vostro rapporto professionale e d'amicizia, caratterizzato dalla comunanza di interessi e di ricerche, ha trasceso le esigenze accademiche dell'istituto. Qual'era la natura del vostro rapporto in termini di psicologia del profondo e quali erano le convergenze tra di voi e quali le divergenze? R: La nostra relazione durò dal 1978 al 1998, quasi venti anni. Ci fu un sogno iniziale: Davo a MLvF delle fragole come regalo. Lei trovò nelle fragole il simbolo dell’Eros. La nostra relazione era infatti permeata dall'Eros, inteso come principio complementare al Logos. L’Eros rappresenta un principio sintetico, in contrasto a quello analitico del Logos (Psicoanalisi). “Analisi” significa infatti dividere in pezzi!. Io e MLvF abbiamo entrambi radici Austriache e forse anche per questo MLvF sembrava mia madre. Sin dall’inizio ho provato un forte transfert per lei, sia per questa somiglianza, sia per i nostri interessi comuni. Lei mi ha sempre detto che proiettavo l’Anima su di lei. Dato che io sono un tipo sentimento/intuitivo, lei, come tipo pensiero, era un buon gancio per questa proiezione. Solo dopo la sua morte ho capito che avevo proiettato l’anima mundi – l’anima della materia dell’universo e della terra – su di lei, anche perché lei era così terrena ( faceva giardinaggio, tagliava la legna, cucinava in vecchie pentole con il fuoco ecc. ). Il nostro specifico interesse comune era la relazione fra la psicologia profonda e la fisica, e in particolare la loro unione nella coniunctio nell'unus mundus, nella realtà psicofisica. MLvF appoggiò molto la mia ricerca. Ad esempio era contenta del fatto che le davo ogni capitolo della tesi e del mio primo libro “I cercatori di Dio” appena lo terminavo. Nel 1994 fu pubblicato “I Cercatori di Dio”. Lei scrisse una prefazione nella quale accettava che la mia immagine del Sè fosse basata sul numero 6, come il Sigillo di Salomone, in contrasto con lei e con Jung, la cui imagine era quaternaria. Scrisse che il sigillo di base 6, era simbolo del Sè per i tipi simili a me, gli scienziati (quale io sono). Secondo me, questo fu un gran passo avanti nel processo di individuazione di MLvF poiché lei cambiò

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Intervista a Remo Roth idea riguardo all'immagine del 6. Con Pauli (W.Pauli, il famoso fisico e premio Nobel) lei sottolineava sempre che questa non era l'immagine della totalità. Solo dopo la sua morte io capì che la quaternità è il simbolo di quello che io chiamo il Logos, l’immagine del Sè dei tipi pensiero, e che il simbolo del “Sigillo di Salomone” è il simbolo del Sè dei tipi sentimento. Arrivare a queste conclusioni per MLvF fu difficile. Lei mi aveva promesso di scrivere la prefazione per la versione Inglese de “ I Cercatori di Dio”. Il 22 Giugno 1989 scrisse che non poteva scrivere la prefazione poiché non riusciva a credere alla mia ipotesi del Sigillo di Salomone, un simbolo basato sul 6, come immagine del Sè. Mi dispiacque tantissimo. Lei aveva supportato i miei scritti così intensamente, aveva letto molte parti de “I Cercatori di Dio” ed ora si era completamente ricreduta. Così interrogai I Ching con questa domanda: Tu (libro) sei oggettivo. Dimmi se il mio libro è soggettivo (come lei scrisse). Dalla complessa sentenza arrivai alla conclusione che dovevo mostrare a MLvF l’”uomo forte”, per resistere e proseguire. Poi feci il sogno seguente:

Ferdinad Hodler, Lake Geneva in Chexbres, 1911

“Sono condannato a morte. Dovevo salire le scale fino alla forca. Li mi aspettava il boia. Mi mise il sacco nero sulla testa. Aspettavo che si aprisse la botola per la mia impiccagione”. Mandai il sogno a MLvF in una lettera del 3 Luglio 1989 e aggiunsi: “Du hast mich hängen lassen”. In Tedesco “hängen” ha un doppio significato: da un lato lasciare qualcuno da solo in una situazione in cui ha bisogno di aiuto, dall’altra pendere dalla forca (come nel sogno). Lei rispose immediatamente e disse che aveva bisogno di tempo per pensare alla situazione. Due o tre settimane più tardi, nel Luglio 1989, ricevetti la sua prefazione a “I Cercatori di Dio” . Al contario che con Pauli, MLvF ed io consolidammo l'amicizia.

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Zaira Cestari Z: Come si declina un rapporto basato sull'Eros (ricerca di completezza, tensione verso l'intimità psichica, tendenza all'interconnessione e all'interazione) in una collaborazione che ha il fine della ricerca e che ha quindi esigenze analitiche, che rientrano nella sfera del Logos? R: Come aveva già detto Jung ( e MLvF lo cita da qualche parte) la grande mente è basata sul principio dell’Eros. La grande mente unisce quello che sembra essere diviso (ad esempio psicologia del profondo e fisica). In questo modo, il Logos e l’Eros non si contraddicono più vicendevolmente. Si uniscono nella mente, in quella che l’Alchimia Ermetica chiama coniunctio, le Sacre Nozze. E’ l’aspetto cosciente del processo archetipico delle Nozze sacre, il processo principale dell’Alchimia Ermetica. Usare il Logos senza l’Eros, come nell’intellettualismo di oggi, è un pensiero pervertito. Pauli lo chiamava pensare sulla base del concetto di Trinità Cattolica (un principio completamente maschile); E’ semplice, scolastico e non c’è in esso ne’ sentimento, ne’ Eros. Così Pauli propose un pensiero quaternario come complemento. La sua esperienza con i suoi sogni e il postulato di Jung sul pensiero simbolico – considerare il contenuto dei sogni e altri contenuti dell’inconscio simbolicamente, come un “come se” – hanno profondamente colpito Pauli. Egli pensava che per mezzo del pensiero quaternario, lo scienziato (“Trinitario”) si sarebbe trasformato da semplice osservatore ( che crede di essere all’esterno dell’oggetto osservato; res cogitans versus res extensa di Descartes; spirito vivente verso materia morta) in partecipante – un’idea molto discussa oggi, specialmente nei circoli eco-psicologici.

Felix Vallotton, The Lake in the Bois de Boulogne, 1921

Scommetto che senza saperlo troppo consciamente, MLvF era una pensatrice quaternaria. Ecco perché i suoi libri avevano tanto successo. Si percepisce l’ Eros in essi. Si può leggere fra le righe ( così come nei lavori di Jung dopo il suo infarto nel 1944). E’ un piacere seguire i suoi argomenti, dato che l’Eros è il sottofondo del suo pensiero. Anche nelle nostre discussioni sentivo la pensatrice quaternaria, integrata che era. Con Pauli, comunque, MLvF viveva una battaglia intellettuale. Ecco perché la loro relazione di scambio finì nel 1954. Io non discutevo con lei. Mi comportavo come uno studente che voleva imparare da lei. Questo è il motivo per cui sono “sopravvissuto” alle sue esplosioni emotive, date dal sentimento inferiore che viveva pienamente senza nasconderlo. Succedevano all’inizio della nostra relazione maestra-allievo appena deviavo un pochino dalla teoria di Jung sulla psicologia profonda. Altri suoi allievi furono colpiti dal suo comportamento (che era il risultato della sua decisione di vivere

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Intervista a Remo Roth

Ferdinand Hodler, Sunset on Lake Geneva from the Caux, 1917

consciamente la sua funzione inferiore, il sentimento). Io, comunque, avevo una corazza naturale che mi proteggeva da queste esplosioni. La cosa buffa era che, sempre, dopo le esplosioni andavo a casa e realizzavo che era iniziata una fase creativa. In questo modo, cominciai a scrivere in modo creativo. Z: E cosa è accaduto in termini di complessualità e di liberazione dell'energia, alla morte di Marie avvenuta il 17 febbraio 1998? R: Noi abbiamo vissuto una relazione insegnante/allievo. Fino a che è vissuta, sono stato convinto che potevo imparare da lei anche se avevo idee diverse dalle sue e da quelle di Jung. Al contrario di W. Pauli, io accettavo questa situazione. Poi, dopo la sua morte, mi venne in mente l’idea che ero andato oltre lei, nel senso che avevo imboccato la mia strada. Dopo la sua morte cominciai infatti a fare sogni di lei che corressero il mio punto di vista. I sogni relativizzarono la teoria di Jung e di Von Franz e mostrarono che dovevo ampliarla. Capii allora che solo l'allievo che coltiva la sua strada è un buon allievo.

Z: M.L.v.F. era di tipo pensiero, ed ebbe il coraggio di vivere anche la sua funzione inferiore, il sentimento. Mentre tu sei di tipo sentimento. L'intuizione è per entrambi la funzione ausiliare. Questo era il vostro canale di comunicazione? Vista la personalità integrata (quaternaria) della Von Franz, il rapporto con lei ti ha aiutato ad integrare la sua funzione inferiore? R: Il più importante risultato della mia psicoanalisi con MLvF fu il fatto che lei mi aiutò a rimuovere quello che lei e Jung chiamano distorsione. Nel mio caso significa che io mi comportavo come un tipo pensiero nonostante fossi un tipo sentimento/intuizione Dovetti sviluppare il pensare dato che sono disabile (mi sarebbe piaciuto diventare un musicista, ma non è stato possibile per i miei limiti fisici). Così studiai molta matematica e fisica, e la mia tesi fu nel campo di quella che viene chiamata ricerca operativa; usando modelli matematici per risolvere problemi economici. Inizialmente ho lavorato come uno dei primi consulenti informatici in Europa. Ma nel 1972 iniziò la grossa crisi della mia vita che durò fino al 1974: il mio “viaggio nel mare della notte”. Quando imparai da MLvF (e leggendo Jung) che noi possiamo anche pensare simbolicamente (ciò che Jung ha imparato nel suo “viaggio nel mare della notte”), sperimentai una delle più importanti e emozionanti illuminazioni.

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Zaira Cestari

Il “come se” entrò nella mia mente. Fui in grado di superare la distorsione e vivere il mio tipo originale emozionale/intuitivo. MLvF mi disse che questa è una grande opportunità: se si è stati un tempo distorti e si può ritornare alla funzione principale reale, è molto più semplice integrare le funzioni piu inconscie dal momento che sono state vissute. Z: Era, il vostro, un rapporto con degli aspetti analitici? Quali? E come si è evoluto il rapporto? R: Eros è un principio sintetico. Questa è la ragione per cui le nostre sedute non erano divise in analisi personale, analisi di controllo (supervisione) e insegnamento dell’analisi (sebbene ufficialmente, durante i miei studi, Marie Louise fosse la mia insegnante di analisi). Davamo semplicemente importanza ed attenzione ai nostri sogni e alle nostre sincronicità. Le sue interpretazioni erano sempre brevi e precise. Come insegnava Jung, l’interpretazione di un sogno deve rivelare al sognatore in una o due brevi frasi quello che c’è da dire in quel momento. Realizzai in seguito che Marie Louise viveva l’Eros, il principio che permette le eccezioni alla linearità del Logos. All'inizio del mio lavoro con malati, mi accorsi che loro sognavano sogni archetipici. Mi si pose il problema dal momento che la dottrina del C.G.Jung Institute era quella per cui bisogna iniziare con l'analisi dell’ombra, e poi continuare con l’Anima/Animus e finire con il Sè e solo allora si possono interpretare i sogni archetipici. Chiesi a Marie Louise come risolvere questo conflitto e mi disse: “Remo, puoi cambiare questa dottrina: quando analizzi persone con malattie fisiche, dovresti cominciare dai sogni archetipici”. Z: Ci racconti un anedotto a proposito di Marie Louise Von Franz, sulla sua particolarità e a proposito della sua individuazione? R: Le persone che stanno coscientemente vivendo l’Eros hanno per la maggior parte un aspetto medianico. Loro “vedono attraverso” gli altri esseri umani e le situazioni con l’aiuto di una sorta di seconda vista. Ho sperimentato questa situazione con Marie Louise: un giorno lei sentì che il Principe Carlo d’Inghilterra era in gran pericolo. Telefonò ai servizi segreti Svizzeri e loro si misero a ridere di lei. Dato che Laurence Van Der Post era un amico comune di lei e del principe Carlo, lei chiamò lui. Lui informò Carlo, e i servizi segreti Britannici lo tennero d’occhio da vicino. Carlo visitò il Maghreb e infatti fu scoperto un complotto contro di lui. Avrebbe dovuto essere assassinato qualche giorno dopo.

Ferdinand Hodler, Maggiadelta before sunrise, 1893

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Intervista a Remo Roth

Z: Proseguendo da questo aneddoto, considero che lo psicoterapeuta o lo psicoanalista, o chi comunque si occupa della cura e/o della crescita della psiche dell'Altro, debba perseguire una certa integrazione della sua personalità e una capacità di interazione basata sul principio dell'Eros, così come insegnavano C. G. Jung e M.L.vF, sopratutto per l'approccio ai sogni e alle immagini. Cosa ne pensi? Qual'è la situazione oggi negli istituti “junghiani”? R: MLvF pensava che anche nel futuro gli Junghiani avrebbero interpretato i sogni nel modo come Jung e lei stessa hanno insegnato. Comunque, già nei tardi anni settanta e nei primi anni ottanta, nell’ istituto C.G.Jung di Zurigo questo particolare modo di interpretazione dei sogni non veniva più insegnato. Si iniziò come a fantasticare sui sogni senza prestare attenzione alle associazioni e così si proiettavano molti problemi dell’analista sul cliente. Possiamo certamente immaginare quanto questo sia pericoloso per il paziente. L’aspetto più pericoloso è quando si pensa di capire il sogno dopo averlo letto. Come ho potuto vedere, molti junghiani rimangono nella funzione pensiero unilaterale e si limitano a costruire una sorta di interpretazione causale del contenuto del sogno. In questo modo rimangono nel pensiero causale che non può mai avvicinarsi al contenuto simbolico del sogno. Nella mia esperienza prima di tutto è importante osservare il sogno come fosse un testo estraneo. Nella mia pratica i pazienti devono raccontarmi il sogno. Quando loro lo raccontano, lo scrivo sulla metà sinistra di un foglio di carta. Mentre scrivo ascolto con l’aiuto del mio sentimento (funzione sentimento). Il mio sentimento (in accordo con Jung, il sentimento, dà il valore) dà il valore ai diversi elementi, ai diversi complessi del sogno; li sento coscientemente. Così, mentre scrivo il sogno numero i vari elementi con 1,2,3 ecc. dove il numero 1 è il termine per il quale percepisco la maggior emozione nel paziente ecc. Poi, chiedo le associazioni iniziando dal complesso che ho percepito come il più attivo, e le scrivo sulla metà destra del foglio, il testo si completa così con le associazioni. E improvvisamente, spontaneamente (non casualmente), dalla conoscenza precosciente dell’inconscio (C. G. Jung) una interpretazione emerge dall’inconscio del cliente alla mia coscienza. Questo fenomeno mi riempie sempre di soddisfazione e a volte di beatitudine. La ragione è che in questo modo si sperimenta il contatto con la conoscenza

Albert Bierstadt, On the lake

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Zaira Cestari

Edvard Munch, High summer, 1915

precosciente.. Ma rimane ancora un altro test: il paziente deve accettare l’interpretazione. La maggior parte di loro sente una sorta di sensazione di soddisfazione (una sorta di “aha!!”). Se non è così ci sono due conclusioni: da un lato la mia interpretazione è sbagliata (e questo lo accetto), oppure il paziente non è ancora in grado di aprirsi al sogno: non è ancora nel kairos, il momento spontaneamente qualitativo durante il quale l’interpretazione può essere recepita dalla loro mente. Per evitare il più possibile le mie proiezioni, comparo gli elementi del sogno durante il processo di associazione del sognatore tra le mie associaizoni e quelle del paziente. Questo mi aiuta a prevenire le proiezioni. Questo è più o meno il metodo che adotto, ed era il metodo che avevo imparato da MLvF (e lei da Jung). Io credo comunque che ascoltare le emozioni nel sogno mediante la funzione sentimento e ordinarle per il loro valore è la specificità della mia personalità e quindi del mio metodo. Z: Grazie Remo, questo viaggio e l'intervista, sebbene abbia un intento di diffusione e di condivisione, mi ha coinvolta ed emozionata, ed è come se avesse attivato in me un nuovo processo, grazie a ciò che mi hai trasmesso. R: Grazie a te. Per me questa non era un intervista, ma è vita!!! Mi è piaciuta molto perchè si è svolta spontaneamente.

RINGRAZIO REMO ED EVA, PER LA GUIDA NEI LUOGHI CHE SONO STATI CULLA, MATERIA PRIMA E INTERLOCUTORI DI DELLE ANIME, C.G.JUNG E MARIE LOUISE VON FRANZ, TRA QUELLE CHE DI PIÙ HANNO CONTRIBUITO ALLA CRESCITA DELLA COSCIENZA UMANA. RINGRAZIO GIOIA PER LA SIMPATICA E CREATIVA ASSISTENZA ALLA TRADUZIONE DELLA REGISTRAZIONE DEI DIALOGHI. RINGRAZIO I REDATTORI DI QUESTA RIVISTA PER DARE SPAZIO A SEMI CREATIVI CHE VOGLIONO GERMOGLIARE, A FRUTTI NUTRIENTI MA POCO CONOSCIUTI E A FRUTTI GIÁ MATURI PER SPARGERE I LORO SEMI FERTILI. E LI RINGRAZIO PER LA FIDUCIA DIMOSTRATAMI. Z.C.

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Appunti

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