MULHOLLAND DRIVE Along Mulholland Drive nothing is what it seems. In this complex tale of suspense, set in the unreal universe of Los Angeles, writer/director David Lynch explores the city's schizophrenic nature, an uneasy blend of innocence and corruption, love and loneliness, beauty and depravity. Lynch constructs a puzzle, propelling us through a mysterious labyrinth of sensual experiences until we arrive at the intersection where dreams and nightmares meet. La Stampa (15/2/2002) Lietta Tornabuoni «Una storia d'amore nella città dei sogni» è la definizione di David Lynch per il suo «Mulholland Drive»: ma si potrebbe benissimo dire anche «Una storia di sogni nella città dell'amore», dato che il film racconta a Hollywood vicende hollywoodiane alla maniera di Hollywood, tra enigmi, sperdimenti, eleganze d'epoca, romanticismo nero alla Raymond Chandler, palme, banani, pericoli e sangue, con due ragazze (una bionda, una bruna) che si amano, che vivono l'esistenza ingenua e torbida delle giovani californiane. Una ragazza sequestrata e minacciata dentro un'automobile è la sola a sopravvivere in un incidente stradale. Ha perduto la memoria, per caso capita nell'appartamento di un'altra ragazza che è appena arrivata a Hollywood decisa a diventare attrice. Le due belle si piacciono, si toccano, si baciano, si desiderano, vanno a letto insieme, insieme cercano di ricostruire l'identità della smemorata, insieme trovano un cadavere di donna marcito nel suo letto. Alle due del mattino, in un grande teatro si esibiscono maghi e cantanti latini ma regna il silenzio, gli unici suoni sono in play-back, gli spettatori ascoltano e piangono. Una scatola blu, quadrata, racchiude ogni mistero: nelle notti stellate o nel sole fresco delle prime ore del giorno che provoca emicranie e rimorsi. Si capisce pochissimo, ma l'emozione e l'atmosfera sono forti. David Lynch, che adesso ha cinquantasei anni, dopo la parentesi di lineare semplicità e pathos educato di «Una storia vera», torna a se stesso: al suo magma di apparizioni inesplicabili, di indagini senza colpevoli, di sospensione, confusione e sorpresa, di sensualità, orrore ed estetismo. Per il regista, il cinema non ha più bisogno di storie ben strutturate, di elenchi ordinati di personaggi e interpreti, di cronologie, di cause ed effetti, di narrazione romanzesca: come la musica o la pittura, la sua espressività è adesso affidata ai climi, al senso, alle impressioni, agli spaventi o alle esultanze, all'estrema condensazione del mondo in un'immagine, in una nota. E le sue due protagoniste potrebbero essere una metafora del cinema: senza identità per la perdita della memoria del passato, senza identità per la voglia di essere altro recitando.
-------------------------------------------------------------------------------Corriere della Sera (16/2/2002) Tullio Kezich Una macchina procede lenta nella notte sulla lunga strada delle colline di Santa Monica e quando si ferma, la bella bruna a bordo si vede puntare addosso una pistola. Proprio in quel momento arriva in senso opposto una comitiva di reduci dalla discoteca. e lo scontro è ,tremendo, Sopravvive solo la donna, che sì trascina giù per la scarpata e tra un deliquio e l'altro riesce ad infilarsi in un appartamento qualsiasi. Che cosa ci faceva in quella macchina? Dove la portavano? Perché l'hanno minacciata? E chi è questa donna? Non lo sa nemmeno lei, ha perso la memoria; e non può fornire la minima informazione alla ragazza Betty, che ignara viene dall'Ohio alla conquista di Hollywood approfittando dell'invito a occupare l'appartamento della zia assente. "Noir" morboso e intellettualistico, "Mulholland drive" di David Lynch va avanti sul rapporto fra le due donne, che a un certo punto finiscono a letto insieme "Tu l'hai già fatto" chiede l'ingenua Betty; e l'altra, la smemorata: "Non lo so". Impossibile star dietro a tutte le divagazioni del film, che includono l'apparizione di un mostro, le disavventure professionali e coniugali di un regista, le imprese di un killer quasi comico alla Tarantino e le recite di un cabaret delle ore piccole. Pur affidato ad attori inesistenti il gioco per un po’ funziona, ma andando avanti sconfina nell'arbitrio e alla fine irrita per la riluttanza a fornire spiegazioni soddisfacenti. Senza dubbio il regista David Lynch resta un cineasta originale e inventivo, ma ha preso da Godard il gusto snobistico della reticenza e della presa in giro dello spettatore. Ciò non toglie che fra gli appassionati dell'intero pianeta l'autore di "Mulholland drive" goda di un credito che altri non hanno, prova ne siano i numerosi riconoscimenti raccolti da questo film. Premi a pioggia, incluso quello dei critici di New York e la recente candidatura all'Oscar perla miglior regia, ma incassi deboli. Da "Variety" si apprende che nel corso delle prime diciassette settimane di programmazione negli Stati Uniti "Mulholland drive" ha realizzato appena sei milioni e mezzo di dollari, i quali sommati al resto nel mondo potranno raddoppiare, Non basterà per affermare che il film è un successo, ma servirà a confermare ancora una volta che chi lavora per i cinefili non lavora per il pubblico. -------------------------------------------------------------------------------Film TV (19/2/2002) Mauro Gervasini Della storia di "Mulholland Drive" non si capisce nulla. Ma niente paura, deve essere così. Punto primo: David Lynch ribadisce l'assunto del suo film più sperimentale ("Fuoco cammina con me") e di quello (secondo lui) più irrisolto,
"Strade perdute". Il cinema é la scrittura del sogno. Una finestra che si apre su un mondo dove non é la logica a regolare i rapporti di causa-effetto ma il delirio. Se entrate in sintonia con questa visione, vi divertirete semplicemente abbandonandovi alle libere associazioni di un autore che elogia la follia a colpi di macchina da presa. Punto secondo: solo attraverso l'intima conoscenza dell'ordine é possibile descrivere alla perfezione il Caos. In parole povere: il fatto che la storia di "Mulholland Drive", a caldo, sia incomprensibile, non significa naturalmente che non abbia "senso". La mappa per muoversi nel delirio la dà proprio il regista, con il suo cinema precedente (personaggi che parlano al rovescio) e attuale (una chiave di lettura... blu). Provate a percorrere al contrario la Mulholland Drive, a viverla come la storia d'amore tra l'attricetta acqua e sapone Diane e la vamp Camilla, e magari fantasticate sulla sospensione di realtà che il tema dell'amnesia deliziosamente introduce. Una storia nella storia "scritta" da una persona (già) morta, che rielabora il desiderio (di un amore perfetto, di una carriera splendida) attraverso la grammatica (visiva) dell'inconscio. David Lynch non é un cinefilo: e allora come mai a proposito di questo film, nelle interviste, cita sempre "Viale del Tramonto"? Ci sono anche altre piste (una "bergmaniana" suggerita su "Positif" 490 da Michel Chion) ma in fondo, poi, chi se ne frega del senso. Abbandono, deriva: con un genio come Lynch bisogna saper accettare il surrealismo e la disillusione di realtà come sole, vere, essenze del cinema. A margine di questo film incredibilmente bello, scene di culto. Quello che sputa caffè nel tovagliolo é il musicista Angelo Badalamenti. La canzone che nel Club Silencio (dove nulla é diegetico) viene cantata in spagnolo é "Crying" di Roy Orbison. -------------------------------------------------------------------------------il Giornale Nuovo (18/2/2002) Maurizio Cabona “Mulholland Drive”? Di certo c'è solo che è un film di David Lynch, che ha avuto il premio per la regia all'ultimo Festival di Cannes, che è a colori, che dura due ore e mezza e che è stato girato a Los Angeles con soldi francesi, perché Hollywood non voleva saperne di questa vicenda strampalata, ideata per la tv ma poi - lo dice Lynch - da questa "cestinata con durezza". Di incerto c'è tutto il resto. Il film può essere preso come un bluff (quanto cinema di Hitchcock lo è...), come un equivoco o come una presa in giro. Forse è le tre cose insieme. Solo Lynch, se sedesse accanto allo spettatore, potrebbe spiegargli ciò che succede sullo schermo dopo la prima ora.E pensare che con "Una storia Vera" (Cannes, 1999) questo regista - che a Cannes 1990 vinse la Palma d'oro con "Cuore selvaggio" per volontà di Bernardo Bertolucci - sembrava tornato una persona normale. Invece ora si dà a nuove stravaganze. Mulholland Drive inganna ancor più di "Strade perdute", dove almeno non si capiva niente fin dall'inizio e si poteva uscire subito. Qui invece la prima metà è divertente e briosa e ti trattiene, facendoti naufragare nel caos della
seconda. La tecnica di Lynch e ancor più il paragone con la produzione corrente vieta di proclamare “Mulholland Drive” un bidone, ma lo spreco di talentò irrita quanto la parsimonia di chiarezza. Che in Lynch è programmatica. Prima di vedere il film, a Cannes, i critici ne conoscevano solo le otto parole messe nel catalogo del Festival al posto delle mille che di solito raccontano la trama: "Una storia d'amore nella città dei sogni". Dopo avere visto il film, a Cannes, ogni critico si chiedeva che cosa avesse visto... La trama (per quel che serve). La biondina Naomi Watts arriva a Los Angeles per fare del cinema. Sotto l'apparenza angelica cela un temperamento omoerotico, che nel ramo aiuta. Nella casa della zia assente, trova alloggiata clandestinamente la vistosa bruna Laura Elena Harring, con la borsetta piena di dollari e la testa vuota di ricordi. L'amnesia è seguita all'essere sfuggita a un rapimento in Mulholland Drive. Le due giovani diventano amiche, poi amanti. Parallelamente, si assiste alla disavventura di un regista (Justin Theroux), che rientra a casa Senza avvertire, disturbando la moglie, in quelle ore intimamente unita all'uomo delle pulizie della piscina. Ma questo è il problema minore del regista; il maggiore è avere addosso una banda di malviventi che vuole imporgli un'attrice per un film. Qui la connessione fra immagini e logica s'interrompe. I personaggi principali si sdoppiano e le vicende del film che viene girato nel film e della "realtà" si intersecano. L'interprete di un personaggio diventa quella di un altro personaggio, senza avvertire. La chiave di Mulholland Road dovrebbe essere una vera chiave. Azzurra, apre una scatola azzurra, assolutamente vuota. E’ un vaso di Pandora? È la testa di Lynch? -------------------------------------------------------------------------------Il Resto del Carlino (17/2/2002) Alfredo Boccioletti Quando a Los Angeles si spegne la luce accecante del giorno, le ombre di Sunset Boulevard somigliano a quelle di Mulholland Drive, la strada intitolata al progettista che negli anni '20 diede l'acqua alla Città degli Angeli: una storia dai retroscena inquietanti che Polanski armonizzò in «Chinatown» con le atmosfere decantenti di Chandler. Qui è nata Hollywood, la capitale dei sogni e dei deliri, dove le deformazioni passano attraverso un obiettivo e generano, secondo David Lynch, un quadro astratto. Di ritorno dalle strade del Midwest — da «Una storia vera» il cui cielo era sempre sul punto di inghiottire l'Uomo Giusto — Lynch abbassa questa volta lo sguardo verso la città ai piedi della collina. E, attraverso scorciatoie, scende da Mulholland Drive fino al luogo del delitto, fino all'inferno di un teatro dove lo spazio onirico fa deflagrare quello della realtà. Raccontato così, sembrerebbe uno dei film più incomprensibili dell'autore di «Velluto blu», con una trama dalla struttura ermetica costellata di simboli stravaganti che affiorano dal subconscio (una scatola azzurra, un cowboy, il baubau del Male venuto da Twin Peaks). Invece, «Mulholland Drive», premiato a Cannes per la miglior regia ex aequo con «L'uomo che non c'era», trova alla fine della «strada perduta» percorsa
dalla protagonista anche una spiegazione razionale. Sul dramma saffico-passionale aggravato da frustrazioni artistiche, non è però concesso di raccontare granché: si corre il rischio di svelare la sofisticata scomposizione della storia tra incubi, flash back e cruda realtà. Ci limiteremo a dire che la presunta Dark Lady (Laura Harring) che, vestita con i colori di Biancaneve, trova sollievo alle sue amnesie tra le braccia della candida Betty (Naomi Watts, nella foto), che è il vero personaggio chiave di questo dramma caustico dalle infinite tonalità, che in una sequenza memorabile (violazione di domicilio) ruba le calze bianche alle eroine di Hitchcock. All'umorismo luciferino di Lynch si aggiungano la molteplicità di stili architettonici delle scene, i lampi creativi della regìa e la musica «percettiva» di Angelo Badalamenti: chi si ostina a non capire non sa quello che perde. -------------------------------------------------------------------------------Il Giorno (14/2/2002) Silvio Danese Lynch si ama o si odia. Il racconto del mistero alla "Twin Picks" e il mistero del racconto alla "Lost Highway". Come nel primo, restiamo nell'enigma: a Hollywood, perduta la memoria in un incidente, ma salvata per caso dai suoi assassini, una magnifica bruna da film noir viene aiutata a ricostruire il passato da una biondina ingenua aspirante star. Entrambe sono in qualche modo collegate a un regista preso di mira dalla mafia. Ma non si fa in tempo a venire a capo dell'enigma. Come in "Lost Highway", subiamo un ribaltamento: per una magia, in cui c'entrano un malefico ipnotizzatore e una scatola blu (telecomando, in-cubo) gli attori passano in un'altra vicenda,in cui l'amore lesbico nato tra le due donne nella prima storia diventa il motore drammatico della seconda (la bruna lascia la biondina, che si dispera, per il regista). E' come se accadesse uno scarto inspiegabile. Una sfida alla logica. Un efficace, provocatorio deragliamento onirico. Un film che fa l'amore con un altro film. Si sente nel finale la fatica di ridurre per il cinema un progetto televisivo molto ampio e complesso, abortito per sfiducia dei produttori. Solitamente i labirinti hanno tre dimensioni: una si estende in altezza, una in larghezza e una in lunghezza. Spesso bastano queste tre, come dimostrano tanti esempi della letteratura e del cinema, da Borges a Kubrick, per creare non poche difficoltà agli incauti che decidono di addentrarvisi (vedi il sorrisetto surgelato di Jack Nicholson nel finale di Shining). Se poi si decide di aggiungere anche la quarta dimensione, quella che si estende nel tempo, si rischia veramente di non uscirne vivi. Mullholland driveè un labirinto a quattro dimensioni. David Lynch, dopo la magnifica parentesi solare (ma crepuscolare) e poetico-agricola di The Straight Story (pessima traduzione italiana: Una storia vera), torna alle atmosfere vellutate ed inquietanti delle sue pellicole più criptiche e costruisce, pescando a piene mani nel suo immaginario vecchio e nuovo. I “feticisti-lynchiani” sono invitati a perdersi tra la folla dei personaggini surreali ripresi, di seconda mano, dalle parti di Twin Peaks o di Strade Perdute, ma questo è un complicatissimo ed irresistibile labirinto per ogni tipo di spettatore. È un piacere per gli occhi navigare in queste immagini a base di blu e di nero, farsi cullare dai movimenti di macchina ipnotici, rassicuranti e vellutati, seguire, con le pupille che vagano in completa indipendenza dal cervello, le infinite
suggestioni della sceneggiatura che si trasforma in immagine simbolica in attesa di interpretazione. In questo senso, sarebbe decisamente inutile fare anche solo un piccolo accenno alla sinossi: il film si dipana in una serie di sequenze che, tramite semplici associazioni mentali o arditi voli, generano altri significanti pronti per essere dati in pasto, e per dare filo da torcere, ai forzati del “filo logico”. Il regista-demiurgo, sapiente architetto di questa costruzione labirintica, si compiace nel creare uno spiazzamento sistematico, nel fare intravedere chiavi di lettura (reali e mostrate, ma tanto più finte perché fatte di cinema, di pellicola e di luce) incapaci di aprire le scatole nere (o blu), le camere oscure, gli scrigni all’interno dei quali è custodito il “senso”. La dimensione tempo agisce dentro e fuori dallo schermo, mischiando le carte in tavola, spostando le pareti, trasformando strade aperte in vicoli ciechi. La realtà, in un battere di ciglia, diventa finzione, e la finzione realtà; non è un caso che uno dei momenti più toccanti e più veri del film sia il provino su parte della giovane attrice, mentre tantissime altre sequenze (dal lesbismo patinato ad uso e consumo di un pubblico maschile, alla scoperta da parte della protagonista, vittima di amnesia, del proprio cadavere putrefatto, all’assurda folla del mondo del cinema) hanno l’andamento, i colori e l’inverosimile plausibilità del sogno e dell’incubo. Impossibile resistere alla tentazione di dare una propria lettura: questo è uno dei più geniali ed intricati film sul cinema degli ultimi anni. Ma, come tutti i labirinti che si rispettino, questo film si può vedere e percorrere ogni volta in un modo diverso, all’infinito. I 146 minuti della durata ufficiale sono solo una piccolissima parte del percorso che lo spettatore intraprende mentalmente quando sfumano le splendide note di Angelo Badalamenti. Un film a cui pensare e ri-pensare in “silencio”; già, perché è proprio questa la parola chiave: Silencio… Ludovico Bonora Note critiche di Piero Spila In Mulholland Drive di David Lynch ci sono molti viaggi nella notte e molti incontri nel bosco, ci sono luoghi magici e mele stregate, e soprattutto c'è una Hollywood vista come un vaso di Pandora, da dove escono di continuo fate e orchi, e dove i sogni diventano presto degli incubi. Tutti i personaggi del film vivono la propria storia privata ma possono anche indifferentemente scambiarla tra loro, perché a quanto pare non conta chi vive i sogni o gli incubi, ma solo cosa si vive o si è vissuto o si vivrà. Tutto è scritto e niente dunque importa: è la legge declamata dall'attore in scena sul palcoscenico del Silenzio Club, un luogo che è un po' anche l’unico codice interpretativo di un film, per il resto misterioso e incomprensibile. Al termine della loro corsa, le due ragazze protagoniste, Diane, l'attricetta bionda che insegue il suo sogno (la carriera, l' amore), e Camilla, la dark-lady bruna che fugge dal suo incubo (una rivoltella puntata alla testa, un terrificante incidente d'auto) assistono alla messa in scena di un destino segnato: una ragazza, truccata e in lacrime, canta la sua canzone d'amore e muore, ma la sua voce incisa sul nastro continua a cantare. Appunto, tutto è già scritto, e ci sarà un altro che continuerà a cantare. In un film sperimentale e per molti versi riepilogativo (giustamente si è parlato di una sorta di «Il meglio di ...»), David Lynch ribadisce che la punta più alta del suo cinema è la scrittura del sogno, e il suo talento narrativo diventa quasi irresistibile soprattutto quando scardina ogni regola, sovvertendo la logica e le attese, e divertendosi a declinare il classico binomio di causa-effetto con la libera associazione, il delirio, la paura. Il Caos descritto morbosamente da Lynch è impressionante perché parte sempre dalla coscienza di un Ordine razionale quanto velleitario. Che è quello di chi crede di poter governare il proprio destino sulla base di valori più o meno accettabili o di un tornaconto che verrà invece sempre azzerato. Vale per Hollywood, la città dei sogni e delle grandi majors, attraversata però da disperati che cercano scampo e mafiosi che decidono i casting, costellata da complessi residenziali claustrofobici come lager; vale ancora di più per la vita raccontata da Lynch con i suoi film, sempre effimera, sempre sull'orlo di qualche baratro.
Vantaggi: magistralmente girato e perciò grande Svantaggi: incoerente e inconcludente, se si guarda solo al lato razionale Le recensioni mi avevano assolutamente affascinato, pensavo che non me lo sarei perso per niente al mondo. Invece, a febbraio, quando è uscito, mi è passato sotto il naso senza che nemmeno me ne accorgessi. Per fortuna la settimana scorsa lo hanno riproposto in una sala di Trieste e ho colto l’occasione per andare a vederlo. Premetto che non ho mai visto “Twin Peaks”, per molti il capolavoro di
Lynch; all’epoca in cui è uscito, mio padre il giovedì sera portava tutta la famiglia a cena fuori purché non vedessimo nemmeno una puntata (chissà poi perché se l’è presa proprio con questa serie, tra tutte le schifezze che fanno in tv!). Ma questo film ha magnetizzato la mia attenzione per molte ore e giorni dopo che la proiezione era finita, quindi, per quanto non posso dire che sia andato a finire come speravo (e qui la colpa è mia perché ero piuttosto digiuna di film Lynchiani), per quanto ore e giorni non siano serviti a mettere tutte le caselline al loro posto (l’impresa è disperata!), la mia valutazione non può che essere positiva. “Mullholland Drive”, il titolo riprende il nome di una lunga strada che si attorciglia sulle colline Hollywodiane, quella, per intenderci famosa alle telecamere perché da lì vengono riprese tutte quelle suggestive vedute panoramiche della città, e famosa alle cronache perché scenario di molti incidenti. E proprio un incidente su questa strada apre il film. La superstite, una donna che un momento prima aveva una pistola puntata alla tempia (Laura Harring), scende a piedi attraverso le colline arrivando in città e si intrufola in un appartamento mentre la proprietaria lo sta lasciando per andare in viaggio. Poco dopo, però arriva la nipote della proprietaria Betty (Naomi Watts), un’aspirante attrice che aiuta la donna, rimasta senza memoria, a risolvere il mistero della sua identità e del contenuto della sua borsetta: parecchie mazzette di banconote e una singolare chiave blu. Parallelamente assistiamo alla scena di un regista minacciato da due mafiosi di scritturare una precisa ragazza per il suo nuovo film, un boss storpio che impartisce ordini da dietro un vetro, un uomo che parla con un amico in un locale riguardo a un suo incubo ricorrente. Nonostante questi continui cambi di scena, il film si svolge in maniera abbastanza lineare per tutta la prima parte, fino a quando le due protagoniste non finiscono nel cuore della notte in un teatro di centro città. Dopodichè tutte le carte si rimescolano, i personaggi non sono più quello che erano fino a qualche minuto prima (e altri spariscono del tutto). Non rivelo di più, per non togliere gusto a chi non avesse già visto questo film decidesse di farlo. A chi si accinge alla visione consiglio di mettere da parte il suo lato razionale e far parlare quello istintivo (è un approccio caldeggiato dallo stesso regista), altrimenti la delusione per il fatto che i nodi non vengono al pettine potrebbe compromettere la valutazione sull’intero film. La dimensione onirica è particolarmente spiccata e forse è la chiave di lettura della narrazione. Forse la bella e talentosa Betty non è altro che la proiezione onirica della meno bella e frustrata Diane, relegata a parti marginali nei film in cui protagonista è l’amata Camilla (sempre la Harring), che la tradisce con donne e uomini. Con questa lettura avrebbe senso lo sdoppiamneto di ruolo dei personaggi: persone viste o intraviste da Diane nella realtà e poi trasferite nel sogno con ruoli e posizioni diverse (come spesso accade nei sogni). Anche così restano aperti molti interrogativi. Ma forse, proprio come un sogno, questo film è aperto a molte, personalissime interpretazioni, tutte possibili e nessuna sbagliata a
priori. Se quando guardate un film vi piace avere sempre la situazione sotto controllo, evitate “Mullholland Drive”, se invece riuscite ad accettare di buon grado il fatto che le scene non abbiano un’interpretazione univoca, che la coerenza sia sottoposta a fratture continue, che ogni volta il “bandolo della matassa” conduca in un vicolo cieco, allora non toglietevi il piacere di questa visione. Non toglietevi il piacere di un film magistralmente recitato (fino all’ultimo non riuscivo a credere che Betty e Diane fossero la stessa persona, e nutro ancora qualche dubbio…), dalle atmosfere cupe sostenute dalla bellissima fotografia e dalla musica. Io spero di poterlo presto rivedere per la seconda volta. Ecco, per amore di precisione, la scheda tecnica del film: Mulholland Drive (USA, 2001) Durata: 146' Sceneggiatura e Regia: David Lynch Fotografia: Peter Deming Scenografia: Jack Fisk Costumi: Amy Stofsky Musica: Angelo Badalamenti PERSONAGGI E INTERPRETI Betty/Diane: Naomi Watts Rita/Camilla: Laura Harring Adam: Justin Theroux Coco: Ann Miller Detective Mcknight: Robert Forster Vincenzo Castigliane: Dan Hedaya Vantaggi: Svantaggi:
Visionario, stimolante, inquietante: il ritorno alle atmosfere morbose e angoscianti per David Lynch. Sconsigliato a chi non conosce il David Lynch più visionario, o comunque si aspetta un film "normale".
Silenzio. Il film è finito, sono già partiti i titoli di coda, ma lo sgomento del pubblico è evidente. Molti restano con lo sguardo perso sullo schermo, mentre scorrono i nomi anonimi che di solito nessuno legge. Sono anch’io fra questi, anch’io guardo in faccia i miei compagni di visione e poi lo schermo, quasi dovesse affacciarsi il regista in persona e annunciare quello che tutti vorrebbero sapere. COSA abbiamo visto? Si formano capannelli di persone fuori del cinema,
dopo mezzora c’è ancora qualcuno che ha la forza d’animo di formulare ipotesi straordinarie, ma raramente incontra il successo sperato. C’è poco altro da fare, solo la speranza che una chiacchierata davanti a una birra aiuti a riordinare le idee, o che la notte porti il fatidico consiglio. Vedere un film di David Lynch significa spesso anche questo, significa portarsi dietro il disagio e magari anche un po’ dell’angoscia che ha trasmesso durante la visione. Viene da pensare che il regista è un genio o un ciarlatano, o magari entrambe le cose. Avete presente l’effetto che produce l’osservazione di un quadro astratto, di quelli che qualche critico è pronto a definire come un capolavoro, un sublime esempio di arte immortale, mentre gli altri sono arciconvinti che si tratti di una bufala senza capo né coda? Bene, avete già una minima idea di cosa può provocare la visione di Mulholland Drive (nel titolo originale si insisteva sulla scritta Dr., e anche questo può essere un indizio), ma solo dopo la proiezione sarete in grado di schierarvi su uno dei due fronti. E non è detto che la prima impressione sia duratura, perché questo è uno di quei film che ti costringono a ruminare, che ti restano dentro come un sottile disagio, che non si lasciano afferrare una volta per tutte. Colpito da una insana fascinazione, ho deciso che mi è piaciuto; sicuro che Lynch si è divertito a mescolare le sue carte per confonderci, lo consiglierei solo a chi è disposto a stare al gioco fino in fondo, senza accusare l'autore di avere barato. Facciamo un passo indietro, per parlare della genesi di questa strana creatura. Dopo lo straordinario successo di “Twin Peaks”, una sorta di spartiacque nella storia della televisione, Lynch aveva sempre rifiutato le offerte per un ritorno sul piccolo schermo. “Mulholland Dr.” voleva essere il suo ritorno in grande stile, con uno sceneggiato dalla trama inestricabile fino alla fine. Ma i produttori della ABC, dopo avere visionato l’episodio pilota, non se la sono sentita di investire su quel progetto bizzarro, un misto di thriller e satira del mondo hollywoodiano, con atmosfere morbose ed angoscianti. Ciarlatano o genio che sia, Lynch ha deciso di non buttare a mare il suo lavoro: ha girato un’altra serie di sequenze, e le ha montate nel modo che oggi possiamo vedere negli ultimi quaranta minuti del film. Quello che ne è venuto fuori è un’opera che affascina, che lascia interdetti, che inquieta e non appaga la curiosità montata a dismisura, ma che in ogni caso non lascia indifferenti. Lynch è stato premiato a Cannes come migliore regista, ora è addirittura candidato all’Oscar per la regia, ma il film è stato visto da pochi intimi. Del resto, il cast è composto per la quasi totalità da nomi sconosciuti al grande pubblico, e solo la fama del regista e il richiamo di qualche scena di amore lesbico possono avere fatto vendere qualche biglietto in più. Si può raccontare qualcosa di un film del genere? Secondo me no, sarebbe meglio affrontare la visione senza troppe informazioni e solo con la voglia di essere coinvolti. Si dovrebbe scrivere un’opinione per chi ha visto il film e una per chi non l’ha visto, perché anche solo offrire un tentativo di spiegazione può essere un
modo per orientare la visione. Ho avuto la tentazione di tornare subito in sala per vedere il film da capo, e penso che non aspetterò molto per soddisfare questa curiosità. La sensazione è simile a quella che mi ha lasciato “Memento”, che pure è un film completamente diverso per le atmosfere e per la confezione esterna. Però ho trovato almeno una cosa in comune: lo sforzo che siamo chiamati a fare come spettatori, non osservatori passivi di una storia che vediamo proiettata sullo schermo, ma artefici di una continua e faticosa interpretazione degli stimoli che ci vengono proposti. Lynch ci costringe a rincorrere le sue storie che si svolgono in una Beverly Hills quasi stilizzata, che ospita sogni e angosce degli aspiranti divi del cinema. Nella sequenza iniziale seguiamo in soggettiva la corsa di una limousine che viaggia lungo la buia Mulholland Drive, con individui poco raccomandabili davanti e una bella e misteriosa bruna sul sedile posteriore. Poi gli eventi precipitano: l’auto si ferma improvvisamente, l’atteggiamento nei confronti della donna si fa minaccioso, ma non facciamo in tempo a scoprire quale sarebbe il suo destino, perché sopraggiunge sulla stessa corsia un auto a velocità folle, e l’impatto è devastante. Unica superstite, la bruna misteriosa osserva dall’alto, in un silenzio innaturale, le luci della città dei sogni che sembra essere ai suoi piedi. Barcollante, confusa, si avvia camminando verso quelle luci, come verso la sua casa, ma non è a casa sua che si dirige: trova riparo in un appartamento che la proprietaria ha appena lasciato libero, partendo per un viaggio, e qui si abbandona ad un sonno che sembra mancarle da tempo immemorabile. Ha perso la memoria di ogni cosa, compresa la sua identità. Il giorno seguente fa la conoscenza della nipote della padrona di casa, una bionda dal carattere amabile appena arrivata dalla provincia canadese, a primo impatto decisamente ingenua e sprovveduta. Il loro rapporto, nel giro di poche ore, ha uno sviluppo rapidissimo e sorprendente, così come è rapida e spiazzante l’evoluzione del carattere della bionda aspirante diva. Le due donne, è giusto dirlo, mi sono sembrate decisamente brave e adatte al ruolo: la bruna Laura Herring e soprattutto la bionda Naomi Watts (da applauso nel provino per una soap opera), praticamente sconosciute, reggono lo schermo per oltre due ore, e viene da complimentarsi con Lynch per avercele fatte conoscere. Il film è appena cominciato, siete già sulle spine perché non sapete cosa è successo prima di quella corsa notturna sulla limousine, e nuovi elementi di mistero continuano ad affollarsi sullo schermo e nella vostra mente, anche per le suggestioni della colonna sonora del “solito” Badalamenti che sottolinea le sequenze più inquietanti. C’è ancora molto da scoprire: per esempio, un regista che si atteggia a genio e che deve fare i conti con certe pressioni di stampo mafioso, un misterioso cowboy, un giovane terrorizzato da un sogno ricorrente, i personaggi talvolta grotteschi del mondo dello spettacolo, una curiosa chiave blu. E poi ancora episodi che si susseguono in un breve arco di tempo ma che rappresentano quasi un campionario di tutte le ossessioni e i peccati di Hollywood: la voglia di sfondare, i compromessi più meschini, l’invidia, la
gelosia, i tradimenti, l’angoscia per il sogno che svanisce. Sarete infine dentro il film che Lynch ha voluto per chi ama il suo cinema visionario e cercherete disperatamente di capire il suo gioco. Ma ormai è troppo tardi, oppure è ancora presto. Silenzio. Vantaggi: Visivamente super Svantaggi: Troppo spiazzante? Con Mulholland Drive probabilmente (?) David Lynch è arrivato al capolinea del suo percorso poetico. Certo, la mia è solo la previsione di un “lynchano” di ferro (in realtà impaziente di essere prontamente smentito). Pensare, però, che si possa andare “oltre” sembra davvero difficile. Dopo la dolcissima (e stupenda) parentesi di “Una storia vera”, eccoci di nuovo dalle parti delle strade perdute e dei mondi paralleli di “Lost Highway”. Originariamente il film doveva essere il "pilot" di una lunga serie televisiva (tipo Twin Picks). Dunque, il grande David aveva messo moltissima carne al fuoco e aperto percorsi che avrebbero dovuto svilupparsi e (io dico "forse") dipanarsi meglio in seguito. Fallito il progetto, il genio del Montana ha deciso di riconvertirlo in lungometraggio, evidentemente infischiandosene completamente della coerenza narrativa. Il film è morbosamente affascinante, da godere visivamente e senza mediazioni: suggestivamente barocco-visionario-onirico, una summa del Lynch precedente, ma ancora e definitivamente più astratto. Del resto, il Maestro, come attività collaterale, si diletta a dipingere proprio questo particolare genere di quadri. Già in "Eraserhead", "Twin Picks", "Fuoco cammina con me" e in "Lost Highway" aveva manifestato questa tendenza, certamente qui portata alle estreme conseguenze (appena un po’ meno in “Blu Velvet” e in “Cuore selvaggio”) . Con "Una storia vera" aveva dichiarato l'intenzione, per il futuro, di fare solo film dettati dai buoni sentimenti e infatti...Questo lavoro, però, potrebbe davvero segnare l'addio definitivo a questo stile, perché mi sembrerebbe alto il rischio di scadere nel manierismo. Ho, dunque, trovato questo film bellissimo e senz'altro da rivedere. A coloro che non c’hanno capito niente consiglio caldamente di non intestardirsi a voler trovare un senso narrativo a tutti i costi: non c’è. D'altra parte, come si fa a raccontare razionalmente un sogno?Certuni potrebbero trovare il film brutto e perfino irritante. Evidentemente amano un altro genere di cinema…Ma se solo provassero ad apprezzare senza pregiudizi alcune sequenze (per esempio quella del “provino”, quelle pseudo-erotiche e, su tutte, quella del "Club Silencio", da pelle d'oca) o la fantastica abilità del nostro nel creare atmosfere e “tensioni” emotive degne di un Hitchkock postmoderno, dopo aver divagato con la sua comicità surreale…Bé, se proprio trovassero“questo” Lynch talmente indigesto…
possono sempre rivolgersi a quell’altro (?), quello del superlativo “The elephant man” o, appunto, di “Una storia vera”. Insomma, dite quello che volete ma per me Lynch è proprio un fuoriclasse (se ancora non si era capito, he-he-he). Voto: 10. Vantaggi: la concezione del cinema Svantaggi: non esistono epigoni Oramai sono fermamente convinto che David Lynch sia l'unico regista per cui valga davvero la pena andare al cinema. Tutto il resto, da Harry Potter a Signore degli Anelli, dal Magico Mondo di Amelie a Black Hawk Down (etc. etc.) è solo intrattenimento. Nessun altro, da Moretti a Spielberg, da Cameron a Kiarostami, è più in grado di offrire ciò che offre il cinema di David Lynch. C'è un gap, un vuoto, che lo distacca da tutte le altre categorie e gerarchie cinematografiche, sempre più marcato col passar degli anni; cosicché il cinema adesso al 99% è una grande fabbrica di mestiere, che pur toccando a volte tocca vette notevoli, non le salta mai, non le supera, non va oltre. E' cinema normale, avaro di sperimentazioni se non nell'iperbolizzare questo o quell'altro componente: più o meno realismo, più o meno effetti, più o meno dialoghi...ma alla modulazione ci si abitua subito. Possibile che solo quell'1% offre qualcos'altro? Attualmente sì: e quell'1 per cento è David Lynch. "Mulholland Drive" ci riconduce per molti aspetti ad un altro capolavoro di Lynch come "Lost Highway", di qualche anno fa; ma coloro che in quest'ultimo ed inspiegabile film avevano trovato almeno una superba diegesi la cui simmetria incastrava inesorabilmente eventi e personaggi, in "Mulholland Drive" di tale struttura troverà solo qualche frammento. Questa è sicuramente imputabile all'originarietà del lungometraggio, ovvero un episodio pilota per un serial televisivo, proprio come "Twin Peaks" (le cui atmosfere visive e sonore riecheggiano sovente). Dunque è quanto mai folle e ingenuo cimentarsi in un'improbabile narrazione della trama. Per questo preferisco magari riferirmi ad alcune scene; in questi 150 minuti di proiezione ne abbiamo di significative, forse ancor più che in "Lost Highway", il quale era più imperniato sulla struttura. Allora vi dico preparatevi e non distraetevi quando ad esempio le protagoniste entrano nell'appartamento numero 17: sarete investiti da orrore puro; fate attenzione anche a quando Betty farà il suo provino da attrice, perché saranno minuti di rara intensità. E forse avvertirete tutto ciò fin dall'inizio: David Lynch è un artista che secondo me ha puntato sempre molto sul principio, sull'impatto iniziale (come in "Lost Highway"). E' incredibile come in questo caso, da un breve incontro ad un bar scaturiscano attimi decisivi, impressionanti, fondamentali: perché forse tutta la poetica di Lynch è in quei 5 minuti in cui l'uomo teme e rischia che la sua realtà vada a coincidere col suo incubo.
Il cuore batte forte, molto forte, come non capita più da anni. Anche per l'eccellente lavoro svolto da una bionda e bella Naomi Watts (attrice in sordina da qualche anno), per la grande musicalità di Badalamenti, per lo sconvolgente tappeto sonoro, per una regia che definire magistrale è un'offesa... Ho cercato inizialmento eventuali rimpianti nella mancata realizzazione della serie tv: ma in fondo, anche se ciò avrebbe temperato l'evidente frammentarietà degli avvenimenti e dei personaggi, non avrebbe regalato alcuna emozione in più allo spettatore medio, che generalmente accetta di tuffarsi in labirinti del genere solo in cambio di sufficienti spiegazioni. Come per sentirsi soddisfatti. (Ci si potrebbe divertire ad esempio, constatando che una simpatica cameriera porta indosso il nome dell'imminente identità della protagonista bionda). Ma il cinema di Lynch non serve ad allenare le menti di nessuno, quanto casomani a cancellarle ('eraserhead'), farle collassare per un po', cercando di dimostrare che l'arte i confini mentali può anche varcarli. Ci vuole solo coraggio e volontà: qualità che oggi nessun altro regista vende, e pochi spettatori comprano. Lo stesso Lynch, intervistato come al solito sui significati piuttosto che sui significanti, disse: "spero che gli spettatori si emozionino senza fare troppe domande"..."la mente è un bellissimo posto dove lasciar nuotare le idee senza chiedersi da dove vengano". Allora quando finiremo di farci domande? Quando ci scrolleremo di dosso la maladetta armatura della trama di stampo causa-effetto su cui da circa duecento anni la quasi totalità del cinema non riesce a fare a meno? Questa è un'ennesima probabilità per provare. Per cui, guardate "Mulholland Drive"...in "silensio"! Vantaggi: Svantaggi:
IL FETISH DI LYNCH UN CLASSICO PER FARSI UN IDEA. POCO PROIETTATO NELLE SALE..
Mulholland Drive di David Linch Con: J.Theroux, N.Watts, L.Elena Harring, A.Miller (Usa/Francia 2001 - Drammatico) David Linch è sicuramente un grande regista, particolare nelle sue opere, caratteristico nel suo stile, quasi fetish, come l'idea di mettere in tutti i suoi film, la figura del nano, un uomo di bassa statura, un uomo che sa sfuggire, che sa sfilarsi e rendersi ben visibile nella società umana. Il piu' basso, ma quello che si vede meglio. Insomma una paranoia fetish per un grande regista. In Mulholland Drive, si ritorna alle atmosfere oniriche, che più gli sono congeniali. Nato da un trailer per la TV americana, questo film non è mai
stato messo in opera veramente negli Stati Uniti, ma solo con l'appoggio della francese Canal+, Lynch ha potuto rendere noto questo lungometraggio cinico, trasgressivo, e violento. Da questo lungo preambolo prende davvero vita e corpo il film, inquietante affresco, che parte da un incontro tra una donna smemorata da un incidente stradale, avvenuto sulla Mulholland drive, appunto, e che ha scelto , ispirandosi al manifesto di Gilda, il nome di Rita e Betty,aspirante attrice. Tra le due si crea un complesso intreccio di seduzione e di sensualita' in uno scambio di identità che frantuma i canoni tradizionali della narrazione e coinvolge lo spettatore in tipiche astrazioni del regista. Può anche essere un buon manifesto del lesbismo, che dovrebbe ritrovarsi con molta naturalezza ed eleganza. Lynch non da scampo, la morale della favola: "Tutti possiamo diventare omosessuali, anche se non lo vogliamo e non lo sappiamo, basta una piccola cosa o un grande avvenimento per farcelo capire".... Vero o no?..Per me affermazione molto discutibile. Il film in generale mi sembra non solo vedibile, ma tra i tanti mi sembra in questo periodo migliore. Da vedere. Vantaggi:
potreste innamorarvi.
Svantaggi:
potreste odiarlo.
Scrivere un'opinione su Mulholland Dv. sarà una vera e propria sfida con me stessa. Questo perchè, non vi racconterò la trama di un film, ne esprimerò uno sterile giudizio, ma tenterò -inutilmente, temo- di rendere per iscritto qualcosa di realmente magnifico. Il film nasce idealmente come l'episodio pilota di una serie televisiva (che, grazie alle richieste commerciali del mondo televisivo mai vedrà luce) e si apre con un incidente, e la genesi di un viaggio nel visionario mondo Lynchiano, sullo sfondo di una oscura e corrotta città degli angeli. La storia raccontata sino a metà film è quella di Rita (Laura Harring) reduce appunto da un incidente nonchè spaesata ed immemore anima persa alla ricerca del suo passato. In Betty, (Naomi Watts) ingenua aspriante attrice, troverà dapprima un aiuto nella sua ricerca e quindi l'amore. Il regista costruisce un giallo impeccabile, fatto di mezze verità, oscuri intrighi e sogni ad occhi aperti. Poi arriva la scena del teatro, fulcro metaforico della pellicola, dopo la quale Lynch rimescola le carte, distrugge gli schemi, confonde i personaggi, smentisce e riconferma tutto ciò a cui sino a quel momento lo spettatore aveva assistito per sfociare -nel finale- nella pura allucinazione. Lynch si riconferma (non che ce ne fosse bisogno!) un maestro della regia, in grado di trascinare lo spettatore in un turbine di emozioni, per poi rigirarlo a proprio piacere in un gioco di luci ed ombre, visioni e realtà, metafore ed immagini astratte, lasciando al contempo una piena libertà d'interpretazione. Fino a qualche tempo fa, avevo sempre considerato uscire dal cinema soddisfatta come sinonimo di un buon film (naturalmente!). Con Mulholland Drive tutto
cambia. All'uscita dalla sala, dopo due ore e venti di totale catarsi sulla mia poltrona F/20 (conservo il biglietto!) tutto ero tranne che soddisfatta. Cercavo disperatamente di dare un senso a quello che avevo visto, un ordine logico agli eventi narrati o quantomeno un'interpretazione verosimile. E' allora che un amico più saggio di me, mi ha fatto notare il mio banale errore: stavo cercando di sintetizzare e razionalizzare una visione, anzichè semplicemente contemplare, nel silenzio, tutta la poesia e l'intangibilità che fuoriesce da essa. Per chi ritiene di riuscire ad amare tutto questo in un film, non posso che consigliarne la visione. Per gli spettatori razionali ad ogni costo, invece, avverto che potrebbe condurvi pericolosamente verso la schizofrenia. Nel frattempo io progetto di rivederlo! Vantaggi:
coinvolgente
Svantaggi:
inutile tentare di capire
Quando credi FINALMENTE di aver capito, ecco che rimetti tutto in discussione. David Lynch colpisce ancora, ti lascia il fiato sospeso; così come in sospeso ti lascia l'interpretazione di tutto il film. Esci dalla sala con numerosi dubbi e le orecchie apertissime ad ascoltare i commenti degli spettatori... chissà se gli altri hanno capito? Ad ogni buon conto quello che ho appreso io è: siamo a Hollywood in Mulholland Drive: un auto travolge una macchina che procedeva molto lentamente. Una signora di nome Rita (forse?) è l'unica sopravvisuta allo scontro e ha perso la memoria. Impaurita si rifugia in una casa che casualmente rimane vuota per un certo periodo dato che la proprietaria, un'attrice, la lascia ad una nipote "Betty" aspirante attrice che la ospita nell'appartamento della zia. Un regista di nome Adam è ricattato da due tipacci e da un folle cowboy, che lo costringono ad affidare il ruolo di protagonista del suo prossimo film ad una misteriosa attrice, Camilla. Tra un provino e una serie di tentativi di ricostruire il passato di Rita, Betty scopre il legame tra la 'sconosciuta' e una misteriosa Diane, che le due scopriranno morta nel suo appartamento. Rita e Betty sono nel frattempo finite a letto insieme e si ritrovano in un teatro, non si capisce molto bene come e sono in possesso di una scatola blu che le introdurrà ad un'altra dimensione... Qui avviene uno scambio di ruoli dei personaggi. Betty diviene Diane, che scopriamo essere un'attrice, e Rita si trasforma in Camilla: la prima si strugge d'amore per la seconda che però è decisa a lasciarla, innamorata del regista. Diane paga un killer per far uccidere la sua ex amante. Ma la misteriosa scatola torna ad agire, mandando contro Diane due spaventosi vecchietti in un formato mignon, che la assalgono nel suo appartamento. La ragazza si uccide. Realtà o solo un sogno?
Vantaggi:
apre nuovi spazi e mette in discussione il concetto di realtà
Svantaggi:
qualsiasi soluzione all' enigma rimane soggettiva
Scorrono i titoli di coda e rimani atterito. Cerchi di riflettere pensando che una soluzione deve esserci ma non riesci a collegare gli avvenimenti tra loro e piu' ci pensi e piu' rischi di creare nuove storie ancora piu' assurde. La cosa piu' giusta da fare se ,come me, si vuole trovare una soluzione all' enigma che ci propone il regista D. Linch, è attenersi a cio' che si è visto e provare a riflettere senza fantasticare . All'inizio ti sembrerà di impazzire ,poi ti sentirai stupido e penserai che tutti lo hanno capito tranne te.Infine per auto difesa incolperai l 'autore . Soprattutto non saprai se ti è piaciuto oppure no, comunque è certo che ti lascerà qualcosa che sia angoscia o voglia di capire . Per quanto mi riguarda una soluzione che mi soddisfa sono riuscita a trovarla . Si tratta di un parallelismo tra i sogni comuni e i sogni di Holliwood. Il film è difatti ambientato nella città del cinema e i personaggi non sono altro che attori i quali se all'inizio sembrerebbero avere ognuno la propria storia in realtà sono tutti raggruppati nell'insieme "attori" Il titolo del Movie è Mullholland Dr(drive)ed è li che comincia tutto ed è anche li che in qualche modo finisce , o perlomeno viene chiarita una parte del mistero,ossia come ho già detto si scopre la relazione che intercorre tra i protagonisti del film, seppur poco chiara. Inoltre in Mullholland drive abita un personaggio chiave del film , un regista, il quale non fa altro che guidare i personaggi nel film , ma attenzione è anche lui un attore e quindi non è tutto riconducibile a lui . In realtà il vero artefice è il sogno e visto che ci troviamo a holliwood i protagonisti non saranno altro che attori mentre in un sogno "normale" sarebbero semplici persone. Questo spiega perchè durante il film i personaggi cambiano nome ed identità, perchè il ruolo è del tutto irrilevante,difatti l'arte dell'attore è quella di interpetare , ripodurre, imitare e cambiare personaggio a seconda del film che girano e Linch ha deciso che possono farlo anche all' interno di un unico film. Allo stesso modo cio' accade nei sogni che tutti facciamo . Vi sarà capitato di sognare un vostro amico che pero' ha il nome di un altro o di sognare qualcosa di apparentemente logico ma inframmezzato da una situazione senza alcun legame apparente con il filo conduttore del sogno. Questo è Linch che mescola in questo capolavoro astrazione e realtà , sogni Holliwodiani con sogni " normali" dove il regista sei tu.
Vantaggi:
Un fantastico viaggio nell'onirico
Svantaggi:
Un fantastico viaggio nell'onirico
...Una ricerca stilistica esasperata che ci porta a confrontarci con un universo onirico, poetico, angosciosamente irreale che si riversa, come un torrente etereo ma percepibile, nei sensi del fruitore ultimo che deve necessariamente, per godere appieno del sofisticato messaggio insito nel film, estrapolare la miriade di messaggi visivi e non che tessono la delicata tela dell'opera. Potrei continuare per una mezz'oretta, ma mi sareste grati? Purtroppo sono un cialtrone, un burino, un ignorante semianalfabeta che non riesce ad apprezzare le pellicole sofisticate come questa. In effetti (e questa è una confessione)forse sono troppo scemo per capire Lynch e quindi, a rigor di logica, non dovrei neppure permettermi di recensire una sua opera... Anzi, sono talmente sciocchino da considerarlo un furbo da spavento. Sarà vero? Sarà un sogno? Un flashback? E' una presa per i fondelli? Bho. Ogni singola scena del film si ripropone l'angoscioso dilemma. Più che una sovrapposizione di più storie, in questo caso abbiamo una serie di scene e situazioni (Alcune godibili, altre meno)pressochè slegate l'una dall'altra. Cosa apprezzabilissima dai cultori del regista, un pò meno da quelli che vorrebbero una sceneggiatura un pò più comprensibile (O semplicemente una sceneggiatura). Credo di far cosa gradita agli amici di Ciao, raccomandando caldamente il film a tutti quelli che si sono innamorati di FUOCO CAMMINA CON ME e sconsigliandolo altrettanto vivamente a chi ha detestato la sopracitata pellicola (Personalmente ho amato Twin Peaks e detestato il suo prologo cinematografico, se non si fosse capito). P.S. La trama? Sto ancora cercando di capirla, non gettate sale nelle ferite. Ammetto di essere entrato in sala con una lieve cefalea che potrebbe avermi onublato i sensi... Se avete dei dubbi, guardatevi Il Signore Degli Anelli. Io l'ho fatto e sto ancora godendo come una scimmia.