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Glitch, distopia a misura di fumetto
S’intitola “Glitch” l’ultima lavoro di Officina Infernale, fumettista e illustratore padovano che da sempre si diverte a infrangere ogni regola, visiva e non. Il fumetto, pubblicato da Feltrinelli Comics, racconta di un futuro distopico in cui la violenza è confinata al mondo digitale. Tutto bene, se non che qualcuno torna a far scorrere il sangue anche nella vita reale, e qui le cose si incasinano. Da sempre Officina Infernale (nome d’arte di Andrea Mozzato) è uno dei miei autori di riferimento, e quindi mi ha fatto particolarmente piacere scambiare due chiacchiere con lui per parlare di un fumetto che è una vera bomba atomica.
Come nasce Glitch?
“Glitch nasce ad una cena con Tito Faraci, Claudio Calia e Massimo Zilio, durante i giorni del Be Comics 2021. L’episodio del Dylan Dog Color Fest aveva attirato un po’ di attenzione e Tito Faraci mi ha chiesto se volevo fare un libro per loro. Di solito i miei progetti sono di lunga gestazione sopratutto prima di iniziarli, lascio macerare o marcire l’idea e poi vedo cosa salta fuori, con Glitch ho dovuto accelerare le cose, ho messo insieme i miei generi preferiti, Cyberpunk, Noir, Thriller e critica sociale, un po idi idee sono venute fuori, poi nel processo di lavorazione, l’idea principale del libro, ovvero, quella che non muore più nessuno e succede poi un omicidio reale, era quella più forte e ho iniziato a lavorarci”.
Con questo fumetto hai tracciato una linea di discontinuità con i tuo precedenti lavori, anche se il tuo stile resta sempre unico e riconoscibile. Che ne pensi?
“Sì, in realtà Glitch è l’esatto opposto rispetto alle mie solite cose. Ero partito con uno stile totalmente “anarcoide”, quasi sperimentale, ovvero le mie solite cose. In realtà Feltrinelli Comics cercava qualcosa più vicino alle cose del Dylan Dog Color Fest, quindi mi sono riadattato ad uno stile più lineare e “classico”. Non un male perché alla fine mi sono divertito, sono uscito dalla mia solita delirante comfort zone e ho provato a fare qualcosa di più, appunto, “classico” se si può definire così il mio lavoro. In Glitch non c’è la solita destrutturazione, diciamo che le mie tematiche sono un po’ più in profondità. L’ho intitolato così perché il Glitch è un difetto delle cose digitali e vivendo in un epoca quasi totalmente digitalizzata, mi sembrava perfetto come cosa”.
So che la musica influisce molto sul tuo lavoro di fumettista e illustratore. Cosa stavi ascoltando mentre lavoravi a Glitch?
“Durante il 2022 sono arrivato all’estate bollito, un down senza precedenti, tutto quello che avevo fatto, seguito, letto, ascoltato mi aveva rotto il c***o. Avevo chiuso anche il progetto noise che portavo avanti (aveva pure un discreto seguito, sigh!). In quei giorni iniziai ad ascoltare quasi per caso Ghostemane una sorta di mix tra Hip Hop Trap Metal ed Elettronica, era solo la punta dell’iceberg, quindi per gran parte dell’anno ho ascoltato roba così. Vediamo un po’ i primi che mi vengono in mente: Suicide Boys, Team Sesh, Bones, Kill Ebola, Grim Salvo, Death Grips, e un botto di altri. Poi Three Six Mafia e vario Horrorcore che è un sotto genere sempre dell’Hip Hop, poi passato il down ho reintegrato i soliti eccessi sonori Doom, Grindcore etc etc. Parto sempre dalle suggestioni che un genere musicale o un gruppo mi dà, mi basta anche un titolo di una canzone per farmi venire idee, diciamo che prendo spunto più dalla musica che da tutto il resto”.
Quali sono state le maggiori difficoltà di questo progetto?
“La falsa partenza inizialmente mi ha un po destabilizzato, perché parti con un certo ordine di idee e sei settato su quello. Passato quel primo momento non ci sono stati grossi problema, anche se la deadline soffiava sul collo. Un altro problema, se possiamo chiamarlo così, sono stati i testi: io scrivo a flussi continui che vado a sistemare in varie fasi di rilettura e in questo lavoro gli editor, sia Tito che Silvia, sono stati fondamentali, perché uno sguardo esterno vede i punti in cui le cose non funzionano. L’editing in questo caso ha dato maggiore coesione e ritmo alla storia. Anche perché essendo autore unico, magari dai per scontato certe cose che il lettore non può sapere, quindi devi rendere tutto comprensibile visto che la storia è dentro alla tua testa e non nella sua”.
Il tuo lavoro è da sempre molto cinematografico: prova a immaginare un cast per un film tratto da Glitch.
“Buona domanda! Concettualmente per realizzare il libro mi sono ispirato certa fiction italiana o a serie tipo Law and Order, quel tipo di cose non pazzeschissime, tipo Breaking Bad che ok, a livello di scrittura spaccano ma poi cmq finiscono; quelle serie che hanno un tot di stagioni e ancora vanno avanti, che hanno quel tipo di scrittura solida, funzionale. Quindi non ne ho idea hahah! Cmq ci vedrei bene Andrea Pennacchi a fare Mayer uno dei tre protagonisti, oppure ci vedrei bene la coppia che interpretava ii due cugini calabresi killer in Bang Bang Baby, due personaggi oltretutto scritti benissimo. Ci vedrei bene anche un John Goodman crepuscolare”.
Credi che quello raccontato in glitch sia un futuro distopico o un futuro probabile? (o magari tutte e due le cose)
“Io sono un pessimista e anche un pelo nichilista, tutta colpa del Noise e del Punk. Mi sembra a volte chi viviamo già in una sorta di distopia, anzi mi sembra che stiamo vivendo in un tempo che potremmo definire liminale, in cui ci si aggrappa ancora al passato, facendo una resistenza al cambiamento, creando una sorta di zona di annullamento in cui non si ava ne avanti ne indietro. L’anno di pandemia poteva essere un buon punto di partenza per ripensare ad un sacco di cose, invece si pensava a tornare come prima, come se prima funzionasse tutto alla grande. Mi sembra la paura del cambiamento sia più forte negli ultimi anni rispetto ad anni fa”.
Sei un autore ultraprolifico: a cosa stai lavorando?
“Sto facendo ovviamente varia roba, ma al momento ti posso dire le cose certe: Anywhereman per In Your Face Comix, un albo gigante di 56 pagine a colori, esce per Lucca Comics di quest’anno, roba di supereroi ma molto particolare, come sempre, mi piacerebbe usare il termine Elevated Superheroes, che è un po la roba che facevano i vari Moore, Ellis, Morrison, poi è andato tutto perso come lacrime nella pioggia, ma non vorrei sembrare troppo stronzo. Poi porto sempre avanti il discorso autoproduzione con vari progetti, molti privi di senso, ma che mi piace fare più per feticismo che per altro”.
Giacomo Brunoro