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Frittelle e crostoli timbrati Venezia

Frittelle, crostoli e tanti dolci della tradizione sono tipici del periodo. Ormai le frittelle sono prodotte con tutti i ripieni possibili: crema, cioccolato, pistacchio. Le frittelle si distinguono dalle castagnole perché nell’impasto di queste ultime non c’è il latte, di conseguenza è più compatto.

Le origini delle frittelle risalgono a quando nell’antica Roma si celebravano i Saturnali, una festa molto simile al carnevale odierno, una settimana a dicembre e un’altra a marzo. Durante questo periodo di banchetti e feste popolari, in cui tutti i canoni sociali venivano ribaltati, uno dei simboli d’eccesso erano le “frictilia”, dolci fritti nel grasso di maiale e olio, distribuiti alla folla fra le strade della città.

La patria delle frittelle moderne è Venezia. La prima ricetta delle frittelle risale, infatti, a un documento veneziano della metà del XIV secolo, conservato alla biblioteca Cana- tense a Roma. Invece la prima ricetta ufficiale delle frittelle alla veneziana, tipiche delle feste carnevalesche rinascimentali delle classi alte, è attribuita a Bartolomeo Scappi (cuoco personale di papa Pio V, quello della vittoria di Lepanto del 1571), battezzato “il Michelangelo della cucina”, autore del trattato “Opera”, uno dei più completi libri di gastronomia del XVI secolo.

Fu nel Settecento che le frittelle divennero “dolce nazionale della Repubblica Serenissima”, e la loro preparazione era una prerogativa della corporazione dei “fritoleri”.

I veneziani furono i primi al mondo a creare una “corporazione di fritoleri”, ovvero di coloro che avevano l’esclusiva di produrre e mettere in commercio le frittelle a Venezia. L’associazione prevedeva che l’attività continuasse di padre in figlio esclusivamente, senza l’ingresso di altri.

Le frittelle sono citate nel “Campiello” di Carlo Goldo- ni del 1756 a proposito di una donna che si definisce “fritolera”.

Tipici del periodo sono anche i crostoli (per la terraferma) e galani (per Venezia), ma si chiamano anche in tanti altri modi: “frappe” a Roma, “chiacchiere” a Milano e “cenci” in Toscana: così le chiama Pellegrino Artusi nel 1891 nel suo “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”.

Mentre per crostolo si capisce che il nome deriva dalla croccantezza del dolce, che ricorda una crosta, nel caso di “galano” si fa riferimento al termine usato a Venezia per il nastro, galano appunto. E in effetti la somiglianza della frittella a un pezzo di nastro è evidente.

Esiste una differenza tra crostoli e galani? I puristi sostengono che i galani sono tirati di più, e quindi più sottili dei crostoli: di fatto è una differenza che s’è persa.

Antonio Di Lorenzo

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Fino alla fine degli anni

Dieci di questo nuovo millennio, la serialità italiana ha sempre dimostrato una certa fatica a raccontare la gioventù.

Accantonando “I ragazzi della 3ª C” e “College” - non possiamo davvero considerarli racconti di formazione - prodotti come “Compagni di scuola” o “I liceali” faticavano a catturare lo snodo evolutivo tra l’adolescenza e l’età adulta. Per una semplice ragione: la necessità - molto italiana - di universalizzare le storie per renderle il più larghe possibili. Col timore di parlare “solo” agli adolescenti, si finiva per rivolgersi a tutti i pubblici, escluso quello giovane. Poi è arrivato Skam Italia, offrendo uno sguardo intimistico e in presa diretta sulle vite di un gruppo di giovani romani. Anche “Baby” e “Summertime” di Netflix hanno saputo, a modo loro, contribuire a riscrivere un genere, quello del coming of age, che da noi ha sempre zoppicato. Il picco - finora - di questo percorso è “Mare Fuori”, fenomeno targato Rai giunto alla terza stagione. Grazie all’espediente narrativo del pesce fuor d’acqua - Filippo Ferrari (Nicolas Maupas), un giovane della Milano bene che finisce all’Istituto di Pena minorile (Ipm) di Napoli, liberamente ispirato al carcere di Nisida - entriamo in un universo narrativo in cui i giovani protagonisti sono degli antieroi in procinto di compiere delle scelte che riguarderanno il resto delle loro vite.

Qual è il segreto di “Mare fuori”? È una serie che non predica e non strumentalizza i suoi personaggi per fini moralizzatori. Ognuno può essere ciò che vuoleanche chi, una scelta, non l’ha mai avuta nella propria vita - nel bene e nel male.

Nelle sole 24 ore dal lancio dei primi sei episodi della terza stagione - già disponibili su Rai play - la serie ha totalizzato 8 milioni di visualizzazioni e 3 milioni e cinquecentomila ore di visione, rendendola la serie più vista nella storia della piattaforma Rai, il che la dice lunga sulla capacità di far presa sul pubblico in attesa degli sviluppi narrativi. La quarta stagione è stata già confermata dalla direttrice di Rai Fiction, Maria Pia Ammirati, ma la serie potrebbe non fermarsi lì: la creatrice Cristiana Farina pensa già alla quinta e alla sesta stagione.

Scoppia la recessione e rispuntano gli zombie. Esiste una bizzarra correlazione tra i morti viventi nella cultura pop e i periodi di depressione economica.

“L’alba dei morti viventi” - il film di George Romero che funge da anno zero del genere - debuttò al cinema nel 1978, subito dopo che la crisi petrolifera spinse l’inflazione verso l’alto. Alto è un eufemismo: si viaggiava con l’inflazione a due cifre, che di lì a poco avrebbe raggiunto il 20 per cento.

La moneta era deprezzata a tal punto che nacquero i mini assegni per far fronte alla scarsità cronica di spiccioli e di metallo. Per la crisi energetica, gli spettacoli finivano alle dieci di sera e gli ascensori si potevano bloccare da un momento all’altro. La paura si toccava con mano: e non erano come zombie anche questi spettri?

Anche “The Walking Dead” - l’epopea zombie conclusasi pochi mesi fa dopo 12 stagioni - esordì nel 2010, a cavallo tra il crollo della Lehman Brothers nel 2008 e il “Whatever it takes” di Mario Draghi, nel 2012. Erano gli anni della crisi dei mutui subprime, la seconda del decennio.

Allo stesso modo The Last of Us - serie tv targata Hbo e tratta dal videogioco medesimo in onda su Sky dal 16 gennaio - è figlia della recente crisi crisi economica amplificata dalla guerra. La serie diretta da Craig Mazin (che per Hbo ha diretto “Chernobyl”, altra serie apocalittica, ma ben poco di fantasia) ambisce a reinventare il genere dei morti viventi.

Il nemico non è un virus pandemico - ne abbiamo già avuto abbastanzama un fungo che ha fatto il cosiddetto salto di specie, decimando la razza umana. Pedro Pascal torna a interpretare un padre putativo - l’antieroe riluttante per eccellenza - dopo “The Mandalorian”. La sua missione è tutelare Ellie - Bella Ramsey -, teenager che rappresenta la luce in fondo al tunnel: una possibile cura al fugo-killer.

Perché gli zombie ci infondono speranza? In tempi di crisi sono loro che stigmatizzano il marcio della società contro cui tutti - ricchi e poveri, buoni e cattivi - facciamo fronte unito per ricostruirci una vita, anche se non sarà mai come quella di prima. Sono i morti viventi a ricordarci che non basta esistere, per fare la differenza.

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