Migranti: l’Europa tace, le nostre città accolgono
Luca Zaia
Quest’anno, probabilmente, in Italia avremo accolto più di 200 mila migranti. In Veneto abbiamo già superato quota 9 mila, dall’inizio dell’anno. L’accoglienza, questa la parola giusta, è un impegno quotidiano. Complesso, pieno di insidie, dove lo sforzo è comune: del Governo, delle Regioni, delle Prefetture. Ma anche e soprattutto della catena finale di questa lunga filiera: i Sindaci, le associazioni e i cittadini. Le problematiche sono quotidiane e pragmatiche. Abbiamo già vissuto nel recente passato tanti episodi “limite”, dove l’accoglienza è stata scambiata da alcuni come semplice “parcheggio” provocando enormi problemi di sicurezza e integrazione. L’accoglienza deve essere “sartoriale”, caso per caso, perché possa avere successo e non si trasformi in una resa indiscriminata. In tutto questo l’Europa guarda da lontano, da Bruxelles, in silenzio. Dove sono le forze di Protezione Civile dell’UE? Dove sono le navi europee? Dov’è il meccanismo di redistribuzione e, se necessario, di rimpatrio di Bruxelles? Domande che cadono nel vuoto. Lasciandoci soli - Governo italiano, Regioni e Sindaci - e cercare di fermare un’incredibile pressione. Attendo, con poca fiducia, risposte.
La riflessione del Presidente Zaia e il dibattito proseguono nelle pagine regionali di questa edizione.
“E FACCIAMOLO IL MUSEO D’ARTE CONTEMPORANEA, SARÀ UNA SCOSSA PER LA CITTÀ!”
Arcangelo Sassolino è un artista vicentino di livello internazionale ma poco conosciuto in casa il personaggio
Servizio a pag. 17
Servizio a pag. 28
I SINDACI DISPONIBILI AL CONFRONTO SULL’ACCOGLIENZA
DIFFUSA, NO AI MAXI ASSEMBRAMENTI
FORZA ITALIA IN VENETO È SEMPRE
PIÙ FORTE, ADESIONI COERENTI
CON UN PARTITO IN CRESCITA
Servizio a pag. 22
ECONOMIA, CON I 22 NUOVI INGRESSI
SONO 139 I DISTRETTI
DEL COMMERCIO IN VENETO Migranti
Servizio a pag. 30
Da Bacone a Ridley Scott
Scuola, si può fare di più
Nicola Stievano >direttore@givemotions.it<
Il filosofo politico inglese Francis Bacon, vissuto a cavallo tra Cinquecento e Seicento, ha molti meriti scientifici ma è anche curiosa una coincidenza storica: fu contemporaneo del re Giacomo I Stuart, alla cui corte soggiornò. Sarebbe facile il riferimento al regno, per così dire, del vicentino Giacomo I, sul quale un po’ scherziamo come si vede in questa pagina e più avanti nel giornale. Ma a noi interessa una sua riflessione.
Antonio Di Lorenzo >antonio.dilorenzo@givemotions.it< segue a pag 5
Teniamo fede anche noi alla tradizione di parlare di scuola, a pochi giorni dall’inizio delle lezioni. Del resto continua ad essere l’unica occasione dell’anno in cui si guarda un po’ meno distrattamente al mondo dell’istruzione, con tutte le sue pecche e le sue eccellenze, tra luci e ombre. In seguito, a parte gli addetti ai lavori, tendiamo a dimenticarcene, soprattutto se in casa non ci sono bambini e giovani. Eppure la scuola riguarda tutti. segue a pag 5
Imprese & Imprenditori SETTEMBRE 2023 Periodico d’informazione localeAnno III n. 9
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Rinasce il centro
Da Bacone a Ridley Scott
Antonio Di Lorenzo >antonio.dilorenzo@givemotions.it<
Nella sua opera più famosa, Bacone organizzò il suo pensiero separando una pars destruens (la demolizione del pensiero degli oppositori, predecessori compresi) da una pars construens, ossia la presentazione e motivazione delle sue idee.
Trasportata alla nostra piccola realtà politica, all’attuale sindaco va riconosciuto un forte dinamismo in questi cento giorni abbondanti di governo e altrettanto impegno su quella che, appunto, Bacone chiamerebbe la pars destruens dei progetti ereditati dall’amministrazione Rucco. Ha cominciato con piazzale De Gasperi, i cui lavori sono stati bloccati, con il parco della Pace che riecheggia Bartali: c’è molto, se non tutto, da rifare. Sono seguite altre inversioni di marcia. L’ultimo ribaltone riguarda la stazione ferroviaria: niente sottopassaggio pedonale, com’è nel progetto dell’alta velocità, “sì” al viadotto per le auto in viale Venezia. Lui spiega che con le Ferrovie la partita è aperta anche se non facile.
L’elenco dei capovolgimenti è lungo. Ricordiamo la nuova Bertoliana, un’idea carsica che periodicamente riemerge nel dibattito vicentino. Adesso si sta inabissando di nuovo, sotto la motivazione che il costo del progetto, peraltro troppo generale, è stato molto sottostimato e soldi non ce ne sono. Ma approfondiremo più avanti questo pasticciaccio brutto come lo chiamerebbe Gadda.
C’è anche la nuova questura nella zona di via Cattaneo, altra idea di cui s’è parlato in questi anni che è stata sotterrata, senza neanche farle il funerale, nel verde del parco da poco annunciato. E poi citiamo anche i cassonetti interrati, annunciati con grande entusiasmo un anno e mezzo fa, sui quali il discorso appare chiuso, assieme a quello delle isole ecologiche, con le parole liquidatorie dell’assessora Baldinato. “Portano più problemi che benefici, specie agli anziani”.
Uno striscione attorno alle transenne del cantiere annuncia che a Santa Corona la ristrutturazione del bar Minerva sta procedendo di gran lena e, anzi, si sta avviando alla conclusione. Si tratta di un locale storico che si trovava vicino al tribunale ed era gestito dai fratelli Gaetano, Giorgio e Alvise Baldinato. Adesso è Massimo, figlio di Giorgio, che sta curando la trasformazione del locale. Il bar ha chiuso la sua attività alla fine del 2021 e la sua riapertura è naturalmente un fattore positivo per tutta la vita del centro storico.
Massimo Baldinato ha provveduto a radicali lavori di trasformazione. Nel seminterrato sarà ricavata una sala per una cinquantina di persone, adatta anche a incontri e presentazioni di libri. Tutto il locale a piano terra (che è inserito in un antico palazzo) è stato ripensato: il bancone, per esempio, sarà disposto all’opposto rispetto alla sua collocazione originaria.
Come tutti ricordano, il bar Minerva era un punto d’incontro per avvocati, giornalisti, magistrati e professionisti che orbitavano attorno al palazzo di Giustizia. Ma anche se il tribunale da dieci anni s’è trasferito, il luogo è rimasto nel cuore dei vicentini. Non si può che salutare con favore il suo ritorno.
Per lo storico bar Minerva a Santa Corona vicina la riapertura
Di fronte a queste scelte, peraltro legittime perché confermano idee spiegate nella campagna elettorale, c’è da sperare che la pars contruens della gestione amministrativa sia altrettanto rapida ed efficace. Qualche segnale, onestamente, s’è visto, a iniziare dall’abbassamento dei costi degli asili nido. Non è possibile essere ultimativi nel giudizio verso Possamai visto appunto il breve periodo di gestione. Il sindaco sta ancora formando la squadra e gli deve essere concesso tempo. Basta che non finisca come nel film di Ridley Scott, con i duellanti che si inseguono per tutta la vita.
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Il personaggio.
Adamo Dalla Fontana, presidente della Fondazione, ha il sogno di portare qui un’università
“A Vicenza un ateneo americano o inglese”
“Con questo obiettivo intendo far conoscere la nostra città e provincia all’estero. Intanto la nuova sede di San Biagio per i corsi di design del prodotto sarà pronta per il secondo semestre. La nuova mensa provvisoria sarà operativa in primavera. Stiamo portando avanti soluzioni a problemi difficili che arrivano da lontano”
Cinquemila studenti, nuove sedi in arrivo, problemi aperti che si vuole portare a soluzione. E un sogno: l’università americana (o inglese) a Vicenza. È il Dalla Fontana pensiero all’inizio del nuovo anno accademico. Da nove mesi, infatti, la Fondazione studi universitari, espressione di Comune, Provincia e Camera di commercio, ha un nuovo presidente: Adamo Dalla Fontana, imprenditore di lungo corso, 68 anni, presidente e amministratore delegato della Bdf, con al suo attivo numerosi e prestigiosi incarichi in ambito confindustriale e di Federmeccanica.
Com’è il suo bilancio dopo nove mesi?
È assolutamente positivo perché è stato un periodo interessantissimo trascorso a respirare e capire la complessità del polo universitario di Vicenza. Si è trattato di un cammino alla scoperta non solo della molteplicità di offerte didattiche, ma anche di tutti i protagonisti della vita che scorre in viale Margherita, a partire dal vicepresidente Antnio Girardi e il direttore Carlo Terrin: loro, così come tutto il personale, li ho trovati altamente professionali e innamorati del proprio lavoro.
Vista ora da dentro, come
valuta l’offerta didattica dei poli universitari ospitati a Vicenza, in particolare in relazione alle istanze che emergono dal tessuto industriale ed economico vicentino?
Portare l’università a Vicenza è stata una grande e geniale operazione di persone illuminate del tempo, in particolare di Lorenzo Pellizzari e Danilo Longhi. Il nostro territorio, come tutto il Nordest, non poteva più accontentarsi della spinta che arrivava dalle scelte geniali dei nostri primi imprenditori che hanno fatto la fortuna e la ricchezza delle nostre aziende. Ora servono competenze, preparazione, ricerca, studio e tanta innovazione: sono caratteristiche che solo un’università, con le proprie eccellenze e i propri laboratori, può mettere a disposizione delle nuove generazioni.
Ma chi decide? Lei è un imprenditore abituato a prendere decisioni…
Ogni nuovo corso di laurea è valutato e deciso di concerto tra tutti e tre i soci della Fondazione, proprio perché sono loro che registrano le priorità manifestate dal territorio e dalle nostre categorie imprenditoriali. I nuovi corsi che ogni anno prendono il via sono il frutto di questa ricerca di offerte for-
mative sempre attuali.
C’è uno specifico vicentino nell’offerta formativa? Assolutamente. A Vicenza abbiamo chiesto e avviato corsi non presenti nelle università originarie. Vogliamo che si crei una specificità particolare e ricercata, in modo che anche i nostri imprenditori colgano sempre più la peculiarità della nostra offerta. Se oggi un giovane intende laurearsi in design con lo Iuav, deve venire a Vicenza (anche per questo motivo sono circa il 57% gli studenti da fuori provincia), così come abbiamo fatto con ingegneria gestionale, poi
con la sicurezza alimentare e da quest’anno con un nuovo e altrettanto interessante corso di laurea.
Di che si tratta?
Sto parlando del Corso di laurea magistrale denominato Management delle attività sportive innovative e sostenibili, un progetto formativo dedicato al mondo dello sport - management. Sarà condotto dall’università di Verona e posso anticipare che abbiamo già superato la boa delle 50 preiscrizioni, tenuto conto che ci fermeremo a 60, massimo 70. E abbiamo già un progetto per questo corso: una felicissima colla-
borazione con l’Ana, per collaborare all’organizzazione della prossima adunata nazionale degli alpini.
Non siamo messi bene con gli spazi a disposizione degli studenti, però.
È un punto dolente, ma progressivamente le tessere che si stanno muovendo, anche per merito di chi mi ha preceduto e di chi sta gestendo ora tutte le molte partite aperte, raggiungeranno la loro posizione desiderata. Sto pensando agli alloggi, alle sedi (san Biagio sarà disponibile per architettura entro il secondo semestre) alla mensa provvisoria che abbiamo individuato e che dovrebbe essere a regime nella prossima primavera, in attesa della nuova e definitiva che sarà finita tra 4-5 anni, di fronte alla sede universitaria di viale Margherita. Un po’ alla volta, ma con decisione stiamo costruendo un vero e proprio campus universitario.
Un sogno nel cassetto?
Mi piacerebbe avere a Vicenza una università straniera, inglese o americana. Non solo per portare competenze e innovazione, ma soprattutto per far conoscere la nostra città e la nostra provincia all’estero, come meritano e come tutti vogliamo.
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Attualità
Silvio Scacco
Adamo Dalla Fontana e un’immagine del cantiere di San Biagio, con i tecnici Silvia Callegari e Gianfranco Pozza al lavoro
Sulla sua delega alle comunità straniere, che rappresentano il 15% dei cittadini a Vicenza, spiega che bisogna puntare all’inclusività perché i lavoratori stranieri sono necessari alle aziende. “Questa maggioranza ha già abbassato le rette degli asili nido del 20 per cento. Gli assessori sono giovani, motivati e lavoratori”
Mattia Pilan, consigliere comunale eletto con Coalizione Civica – Sinistra Verdi, traccia un primo bilancio dell’amministrazione Possamai. Che impatto ha avuto con la macchina organizzativa del Comune?
Mi sono reso conto che è parecchio complessa e che necessita di miglioramenti, in particolar modo dal punto di vista dei cittadini, che si trovano a doversi misurare spesso con procedure che non consentono una risoluzione veloce dei problemi.
Cosa vuol fare nel suo compito di delegato alla comunità straniere?
Mi sono sempre occupato di relazioni con le comunità straniere presenti a Vicenza, ho un rapporto di fiducia con i loro rappresentanti che risale al 2009, quando venne organizzata la prima Festa dei Popoli a Campo Marzo, un momento che favoriva la conoscenza reciproca tra i vicentini e le comunità straniere che abitano la città.
E in pratica che cosa vuole proporre?
Tutte le associazioni di categoria del mondo del lavoro ci spiegano che sarà sempre più necessario integrare la forza lavoro di origine straniera con quella locale, a causa della mancanza di manodopera, e a Vicenza città più del 1 5% dei cittadini residenti sono stranieri; questo significa che bisognerà lavorare nell’ottica dell’inclusività, rendendo partecipi i cittadini stranieri della vita culturale, associativa e amministrativa della città. Ho intenzione di incontrare a stretto giro tutte le rappresentanze delle comunità straniere presenti a Vicenza. Con quali obiettivi? Desidero capire quali possano essere gli strumenti più idonei per favorire una maggiore inclusione, tenendo conto anche degli strumenti creati ed usati negli anni scorsi. Dove c’è conoscenza reciproca si superano mol-
te barriere. Che bilancio fa dei primi mesi di attività della nuova giunta?
Il bilancio è positivo: ho visto degli assessori giovani, pieni di entusiasmo, attivi 24 ore su 24. Il consiglio comunale sta già lavorando su molti progetti: è stato approvato un ordine del giorno sull’housing first, che vuole fornire una risposta al problema del disagio abitativo per chi vive in situazioni di precarietà. Un altro tema fondamentale per la città è la cura e l’assistenza per gli anziani: le case di riposo vivono una situazione insostenibile, la Regione non stanzia fondi sufficienti, e più passa il tempo più la popolazione anziana aumenterà. La città non è fatta solo di anziani…
Per quanto riguarda i lavoratori impegnati in servizi e lavori appaltati dal Comune, nei prossimi mesi verrà approvata la clausola di dignità, che impegna le aziende a garantire i diritti e le tutele dei propri dipendenti. Per le giovani coppie è già stato approvato un taglio del 20% delle rette degli asili nido, e si arriverà gradualmente a un taglio
totale.
L’opposizione, tra le altre cose, vi imputa di scarsa esperienza e di non star mantenendo fede a quanto promesso in campagna elettorale.
Ritengo che l’opposizione sin dal giorno dopo le elezioni sia partita in quarta nel criticare il nostro operato, e che lo faccia in maniera piuttosto aspra. Preferirei che collaborassero maggiormente con noi, ad esempio sulla istituzione dei consigli di quartiere, perché il tema della partecipazione dei cittadini alla vita amministrativa della città dovrebbe essere trasversale. Quanto all’inesperienza, il centrodestra ha amministrato per cinque anni la città, con persone di provata esperienza amministrativa, ma i risultati ottenuti non mi paiono eccelsi. Noi abbiamo molti giovani alla prima esperienza, che si stanno dedicando alla città con grande entusiasmo; ovviamente necessitano di tempo per imparare come funziona la macchina organizzativa del comune, ma quanto fatto finora, in poco tempo, è un ottimo lavoro.
Alvise Ferronato
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Mattia Pilan, consigliere di Coalizione civica a palazzo Trissino
L’intervista/1. Mattia Pilan traccia un bilancio dell’amministrazione Possamai a tre mesi dalle nomine a palazzo
“Anziani, casa e asili: primi risultati”
“Questa giunta ha soltanto bloccato tutto”
Che bilancio fa l’opposizione dei cento giorni (più qualcuno) dall’elezione del sindaco? Risponde l’architetto Stefano Notarangelo, eletto con la lista civica Rucco sindaco, per la prima volta in Consiglio comunale.
Aveva fatto altre esperienze politiche?
Mi sono sempre occupato di politica, appartenendo però a circoli di carattere culturale e politico, più che svolgendo attività in prima persona. Ho partecipato anche alle campagne elettorali passate, ma è la prima volta che ricopro la carica di consigliere comunale.
Qual è la sua prima impressione della politica vicentina vista da dentro?
Conoscevo già la macchina organizzativa, anche se indirettamente, da esterno; ora dall’interno ho avuto conferme di quello che immaginavo. Ho un ottimo rapporto con i colleghi di minoranza di centrodestra, senza nessuna preclusione o ruggini particolari, e conosco molto bene più di qualche componente dell’attuale maggioranza, coi quali mi rapporto con reciproca stima e rispetto, pur nelle diverse visioni politiche.
Le scorse elezioni hanno lasciato un lungo strascico di polemiche nel centrodestra berico; qual è la situazione oggi?
Le polemiche passate non mi hanno riguardato e tutt’ora non mi riguardano; ritengo che siano state anche un po’ esagerate, ma rientrano nella normale dialettica politica. Attualmente coi colleghi di minoranza abbiamo un ottimo rapporto, si lavora in sintonia tra la nostra lista civica e le altre forze di opposizione, ognuno nella comunanza di visione politica, senza però rinunciare alla propria identità.
Un centrodestra vicentino unito quindi.
Non ci sono tensioni, sicuramente.
Che bilancio si sente di dare ai primi cento giorni della giunta Possamai?
In maniera serena ed obiettiva, anche considerando quanto promesso dall’attuale sindaco in fase di campagna elettorale, mi sento molto deluso.
Perché?
Deluso perché, pur nella diversità di prospettive, ci troviamo di fatto di fronte al nulla. I progetti sono bloccati, nonostante il neo sindaco abbia più volte affermato che avrebbe mantenuto e collaborato per portare a termine ciò che di buono era stato cominciato dalla precedente amministrazione, ma non ravviso nessuna volontà di considerare quanto è stato fatto in passato e, cosa ben più grave, non c’è nessuna proposta alternativa. Sembra quasi abbia un’intenzione a prescindere di bloccare tutto quello che è stato fatto in passato, senza produrre una visione altra.
Ad esempio?
In questo primo periodo abbiamo presentato delle interrogazioni, faccio riferimento a quella sul regolamento acustico, che è stata più volte evasa dall’asses-
“Non vedo nessuna volontà di considerare quello che è stato fatto in passato, nonostante le tante dichiarazioni.
I progetti sono stati fermati per principio, anche in tema di sicurezza, e non sono state fatte proposte alternative”
sore di riferimento, senza che ci sia mai stata data una risposta. Abbiamo fatto proposte costruttive sui consigli di quartiere, ma fino ad ora ci troviamo di fronte ad un nulla di fatto. Non lo dico a prescindere, è una constatazione obiettiva. È evidente a tutti il blocco dei progetti previsti nel Pnrr: si può comprendere che ci sia la volontà di analizzare e valutare, ma in cento giorni si deve anche costituire un’alternativa e procedere, mentre è tutto congelato.
Da altri del centrodestra sono giunte critiche sulla sicurezza. Lei concorda?
Certo! Vengono smantellati i nuclei costituiti ad hoc con la polizia locale per presidiare determinate aree, e i cittadini non trovano le alternative promesse. Ciononostante la mia non vuole essere un’opposizione a prescindere, vuole essere propositiva, per migliorare Vicenza, per pensare non alla città di domani ma a quella che avremo fra cinque/dieci anni.
Alvise Ferronato
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Politica e amministrazione
L’intervista/2. Il bilancio del debuttante Stefano Notarangelo: “Centrodestra unito, molto deluso dal sindaco”
L’architetto Stefano Notarangelo, eletto con la Lista Rucco
Le caricature. Il maestro Scotolati prosegue a immaginare la “Marcia su Mosca” con i personaggi della politica
Fantin, Dalla Negra, Maltauro e Zocca
Fra assessori e rappresentanti dell’opposizione, i protagonisti della vita pubblica cittadina secondo Gabriele Padoan
Proseguiamo con la carrellata di personaggi pubblici disegnati da Gabriele “Scotolati” Padoan, che ha immaginato assessori e rappresentanti dell’opposizione impegnati nella “Marcia su Mosca”. Questo mese l’umorista vicentino ha preso di mira l’assessore Ilaria Fantin (con il
suo arciliuto a manovella), soprannonimata “Virgo prudentissima”, il consigliere Michele Dalla Negra, battezzato “Consolatrix Afflictorum”, Jacopo Maltauro e Liliana Zocca, che ricordano, spiega l’autore, Taddeo e Veneranda, personaggi dei fumetti creati da Sergio Tofano nel 1925.
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amministrazione
Politica e
Le nomine/1. Consulenti esterni, consiglieri incaricati, cabine di regia: ecco chi sono gli aiutanti di campo del sindaco
Alla corte di Giacomo I dal vello d’oro
L’opposizione le chiama “medaglie di cartone” ma, assessori a parte, sono molti i volti che affiancheranno (gratis) il primo cittadino nel suo lavoro. A ciascuno è affidato un settore specifico per elaborare studi e proposte
Èpiù di un secolo, esattamente dal 1901, che il municipio ha sede nel palazzo dei conti Trissino Baston in corso Palladio. Ma c’era un altro ramo della famiglia, battezzato “dal vello d’oro”, il cui esponente più illustre fu Gian Giorgio. Tra i vari palazzi, la famiglia possedeva anche quello nel quale oggi ha sede la casa di cura Eretenia.
Nel caso del sindaco regnante, Giacomo Possamai, si può trasferire l’immagine parlando di Giacomo I dal vello d’oro, visti i capelli biondo-castano, che s’è stabilito a palazzo Trissino con il suo seguito, non solo assessori ma soprattutto consiglieri personali. Ormai il numero di chi fa parte di questa corte non è esiguo.
I consiglieri del sindaco, interni ed esterni, coprono un arco d’età che va grossomodo dai trent’anni di Angelo Tonello ai 75 di Fioravante Rossi. Le castagne più calde tocca proprio a Tonello levarle dal fuoco. Consigliere comunale del Pd, ingegnere dell’ufficio tecnico, è delegato ad occuparsi di alta velocità. Sul tema, lavora anche Lucio Zoppello, 66 anni, ingegnere edile, candidato sindaco di “Rigeneriamo Vicenza” che ha appoggiato Possamai al ballottaggio. Delegato alle società partecipate, che vuol dire prima di tutto al pasticciaccio Agsm – Aim, è Alessandro Marchetti. Cinquantasei anni, commercialista, cognato di Isabella Sala perché ha sposato la sorella Francesca, il suo debutto amministrativo è stata l’inaugurazione del nuovo ponte di Debba, suo quartiere. A Fioravante Rossi, democristiano di lunga data, oggi nel Pd, da sempre molto vicino all’ex sindaco Variati, “nonno orgoglioso” come afferma lui di due nipoti, tocca il compito di preparare il giubileo del 2025 e l’anniversario dei 600 anni dell’apparizione della Madonna a Monte Be-
rico nel 2026. Potrebbe prendere spunto dal cassonetto intelligente installato dall’Ama a Roma: ogni volta che si butta un rifiuto parte il canto dell’Alleluia. Sarebbe un’attrazione anche per i turisti.
Alle comunità straniere il sindaco ha delegato Mattia Pilan, avvocato, 60 anni, eletto con la lista di Coalizione civica: dal 2009 al 2013 ha organizzato la “Festa dei popoli” a Vicenza. Avrà un bel lavoro, perché gli stranieri regolari sono il 17% dei residenti, pari a 15mila persone.
Infine, se appare defilato perché a palazzo Trissino non si vede mai, nella lista dei consulenti c’è anche Jacopo Bulgarini d’Elci, al quale il sindaco ha affidato il compito dei rapporti con la comunità americana, visto che ha seguito un programma di avvicinamento alla politica del Dipartimento di Stato che l’ha invitato negli Usa. Bulgarini, già vicesindaco e assessore alla Cultura, sta particolarmente indigesto all’opposizione.
Un altro nome che approda a palazzo Trissino è quello di Alessandro Bertasi, 41 anni, di Monteviale, giornalista, fino a qualche settimana fa (da otto anni) portavoce del sindaco di Venezia e adesso dirigente della comunicazione di palazzo Trissino, quindi anche portavoce. La sua nomina ha dato molto fastidio all’opposizione perché ritengono lui e “Coraggio Italia” di Brugnaro alla stregua di traditori, che avevano prima sostenuto e poi ritirato l’appoggio a Rucco. La nomina di Bertasi la vedono press’a poco come i trenta denari di Giuda.
Da segnalare alla Bertoliana l’arrivo di un altro fedelissimo di Possamai, il libraio Alberto Galla, 63 anni, da sempre nel gruppo “Da adesso in poi” e candidato sfortunato al Comune in due elezioni. Si può dire di tutto su Galla ma non che non sia esperto di libri.
A sinistra, la corte di Giacomo I: Alberto Galla, Mattia Pilan, Jacopo Bulgarini d’Elci, Lucio Zoppello, Angelo Tonello, Fioravante Rossi, Alessandro Bertasi.
A destra, Enrico Grandi e le tre donne al vertice di palazzo Trissino: Isabella Sala, Stefania Di Cindio e Michela Cavalieri
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Politica e amministrazione
Politica e amministrazione
Le nomine/2. Sono la vicesindaca Sala, la segretaria generale Di Cindio e la direttrice generale Cavalieri
Tre donne ai vertici: è la prima volta
Riguardo alle nomine del sindaco, la prima considerazione da fare riguarda il fatto che sono tutte donne le prime responsabili politiche, amministrative e gestionali dell’amministrazione. Non era mai successo nella storia di Vicenza. Ma i fatti sono questi. Isabella Sala, 58 anni, è vicesindaco: non è la prima, perché l’hanno anticipata nella carica Marina Benedetti con Chiesa nel 1978 e Alessandra Moretti con Variati nel 2008.
Stefania Di Cindio, 56 anni, è stata confermata segretaria generale del Comune: chi è vicino al sindaco
sottolinea le sue capacità, motivo per cui non c’era bisogno di cambiarla. Arrivata in municipio cinque anni fa da Arzignano, spiegano i fedelissimi di Possamai, “è l’esempio che noi sappiamo riconoscere i meriti se ci sono, indipendentemente dal fatto che sia stata nominata da Rucco”.
La terza donna al vertice del Comune è Michela Cavalieri, 57 anni, dal 1° ottobre direttore generale. Già assessore al Bilancio con Variati nel 2013-2018, adesso ha un compito di maggiore responsabilità: tocca a lei gestire la macchina comunale, 800 dipenden-
Subito dopo il sindaco, troviamo tre donne a capo della gestione politica, di quella amministrativa e di quella manageriale di palazzo Trissino: non era mai accaduto prima
ti attraverso una decina di dirigenti. Proviene dal privato, era il “chief operating officer” di Adacta, in sostanza il direttore generale del maxi studio professionale di commercialisti con un centinaio di dipendenti.
Curiosità: la sede di Adacta è nella barchessa di Villa Trissino (dal vello d’oro) a Cricoli, dove abitava Gian Giorgio e dove scoprì Palla-
dio. Il cerchio si chiude.
Tra le nomine va segnalata anche quella della squadra, o meglio della “cabina di regia per l’innovazione” che affianca l’assessore Leonardo “Dodo” Nicolai: Daniel Cattin, Girolamo Da Schio, Enrico Grandi (fratello minore del celebrato cuoco Matteo al “Garibaldi” in piazza), Martina Mantoan e Isacco Zuffellato. Qui l’età si abbassano vertiginosamente, parliamo infatti di neanche trentenni.
A proposito di donne, invece, va sottolinea il commento di un’altra donna, che giunge dall’opposizione: si tratta di Simona Siotto, già assessore alla cultura e adesso puntuta esponente della Lista Rucco che è passata in minoranza. Siotto liquida la faccenda dei consiglieri del sindaco con un giudizio sprezzante: “Sono nomine dei consiglieri alla supercazzola”, vale a dire utili come il pettine per Maurizio Crozza. Del resto, cosa aspettarsi dall’amministrazione Possamai – aggiunge – che in questi 100 e poco più di giorni ha dimostrato “poche idee e confuse”? Da sottolineare che Simona Siotto nella sua nota bolla tutte queste nomine come “medaglie di cartone”, cioè di ancora meno di valore delle medaglie di legno nelle gare sportive.
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Simona Siotto è critica con le nomine che chiama “medaglie di cartone”
PROTAGONISTI A NORD EST
Storie di imprese ed imprenditori di successo - a cura di
Velodoromo. Tutto è partito un secolo fa da un campo da calcio con una pista ciclabile intorno
Velodromo Mercante: la gloriosa storia del ciclismo bassanese
Un progetto che ha origini oltre un secolo fa e che ancora oggi ha molto da offrire: è il Velodromo Mercante di Bassano del Grappa. La struttura infatti, costruita nel 1922, ha rappresentato per la storia della città un importante luogo di impegno, spirito sportivo e non solo.
“La sua storia inizia cento anni fa – spiega Rino Piccoli, fondatore e presidente della Asd Rino Mercante, che gestisce il Velodromo –, quando Rino Mercante mise a disposizione il terreno per poterne fare un campo da calcio, con una pista ciclistica in terra battuta a circondarlo. Da lì è partito tutto. Per l’inaugurazione della pista, furono addirittura ingaggiate le più grandi figure del ciclismo dell’epoca, tra cui Bottecchia”.
“Nel 1985, il momento d’oro del Velodromo: si è infatti svolto il Campionato mondiale di ciclismo. Parteciparono cinquanta nazioni –racconta Piccoli –. L’evento ebbe una grandissima risonanza, portando il Mercante ad essere rico-
nosciuto a livello internazionale come una pista in cui fosse possibile organizzare qualunque tipo di manifestazione”.
“Il Velodromo, per Bassano, ha avuto un’importanza non da poco – prosegue Piccoli: grazie alle manifestazioni e agli eventi che venivano organizzati al suo interno, gli alberghi del territorio avevano un ritorno notevole e vi era un generale vantaggio per la città sotto al profilo turistico”.
Ed è ancora così. “Ad oggi, il Velodromo Mercante 4.0 rappresenta
ancora un gioiello e la sua pista è al top – afferma il presidente dell’associazione Rino Mercante: l’amministrazione comunale, con l’aiuto della regione, ha trovato i fondi per svolgere i lavori di cui il Mercante aveva bisogno”.
“La Società A.S.D. Velodromo Rino Mercante opera dal 2015 presso la struttura del Velodromo. Il Centro Pista è stato regolarmente riconosciuto dalla Federazione Ciclistica Italiana come Scuola di Ciclismo Fede-
Rino Piccoli
Fondatore e presidente della Asd Rino Mercante
Dopo un grande passato, un futuro brillante per il Velodromo
Il passato del Velodromo di Bassano si distingue per la sua vitalità e importanza. Nell’aria però aleggia un’idea per quello che è il Velodromo Mercante 4.0.
rale su Pista, scuola intitolata alla memoria di Cipriano Chemello, e conta ogni anno la presenza di circa 150 atleti iscritti e una decina di Società Ciclistiche Venete.
La recente opera di rifacimento del manto della pista consente un’ottima aderenza agli pneumatici rendendola oltremodo sicura e particolarmente adatta anche ai ciclisti più giovani, che potranno allenarsi in una struttura adeguata alle loro necessità.”
“Si sta pensando alla possibilità di coprire la pista di 400 metri – ammette il presidente del Mercante –. Attualmente infatti il Velodromo è scoperto, perciò le manifestazioni che vi si tengono dentro sono soggette ai cambiamenti del meteo”.
“Sarebbe possibile creare una copertura parziale – illustra Piccoli – che permetterebbe di offrire una maggior sicurezza in pista in caso di pioggia o di altri eventi meteorologici, permettendo così la sua fruizione per tutto l’anno, pur ridimensionando conseguentemente la dimensione del campo da calcio al suo interno che sarà dunque sfruttato soltanto per partite di rappresentanza e non di campionato”.
“Ad oggi, si tratta tuttavia soltanto di una proposta ancora da valutare: a mancare, sono le risorse – ammette sconsolato Piccoli, che tuttavia non demorde –. Non appena avremo i fondi sufficienti per realizzare il progetto, con l’appoggio del Comune, ci impegneremo ad avviare i lavori, con la volontà di riportare il Mercante alla sua antica fama: la proposta progettuale degli architetti Roberto Xausa, Pietro Vittorio e Christian Toaldo è già pronta”.
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Cell.
La classe media. Questa fetta di popolazione è rimasta uguale nei numeri ma si sta sempre più impoverendo
Ormai non basta più il reddito per vivere
Cambia la natura del patrimonio: la ricchezza (relativa) una volta era frutto dei risparmi adesso è la conseguenza di eredità ricevute. Ma si spenderanno anche quelle perché i soldi a disposizione sono sempre meno
Si può definire classe media (da un punto di vista economico) la popolazione ricompresa nell’intervallo tra il 75% e il 150% del cosiddetto reddito mediano, cioè il reddito di colui che risulta più povero del 50% della popolazione e più ricco del restante 50%.
Secondo il prof. Maurizio Franzini (ordinario di politica economica all’università La Sapienza di Roma) la classe media italiana sarebbe composta da lavoratori con istruzione superiore che percepiscono tra i 35.000 e i 60.000 euro l’anno.
Come sta oggi la middle class? Male verrebbe da dire, ma l’analisi di Franzini e del suo gruppo di studiosi (che ha messo sotto osservazione l’evoluzione della borghesia nell’ultimo ven-
tennio) va oltre la mera sensazione. Sembra certo che la classe media italiana non abbia, negli anni, mutato la sua consistenza numerica e ciò a causa del fatto che la diminuzione di molti suoi componenti, che sono scesi a livelli inferiori di reddito, è stata compensata da quanti, già appartenenti ad una classe più agiata, sono anch’essi scivolati più in basso.
Questo ascensore negativo è divenuto la norma e ciò è la causa del malumore diffuso, rispetto al proprio status, proprio nel ceto medio: come dovrebbe reagire un gruppo di persone che ha perso soldi e prestigio sociale?
In Italia la quantità di ricchezza nazionale detenuta dalla classe media (intorno al 15% del totale) è rimasta
sostanzialmente inalterata. Al contrario, quell’uno per cento di popolazione più ricca che deteneva vent’anni fa il 6% del reddito nazionale oggi ne detiene il 10%. Con la pandemia la distanza tra “upper” e “middle class” si è ulteriormente intensificato ovunque nel mondo. Tra il marzo 2020 e il marzo 2021, ad esempio, negli Stati Uniti la ricchezza dei miliardari (in dollari) è
aumentata del 44%, mentre oltre il 50% delle persone con istruzione superiore riscontrava difficoltà a pagare le bollette.
Se la quantità di ricchezza e la composizione numerica del ceto medio è la stessa, cosa è cambiato? Un dato fondamentale: l’origine della ricchezza detenuta. Fino ad una generazione fa la ricchezza della middle class era il frutto, in larga misura,
dei risparmi accumulati nel corso della vita. Oggi invece la quota prevalente di tale ricchezza è frutto di eredità (immobili compresi). Oggi un cinquantenne appartenente alla middle class sta utilizzando per vivere (oltre al proprio reddito) quanto risparmiato negli anni dai genitori e questo perché il solo reddito non appare sufficiente a mantenere se non inalterato almeno non stravolto il livello di consumi cui è abituato. Ma ora egli ha raggiunto il limite estremo. Il prossimo passo obbligato sarà intaccare la riserva costituita dal patrimonio immobiliare.
Orizzonti foschi e progressiva emarginazione porteranno ad un innalzamento del livello di povertà percepita ed essa sommergerà gran parte della classe media, lasciando emergere solo pochi frammenti di un tempo più prospero. Il resto sarà ben sotto il livello medio di reddito e, dunque, di spesa.
Giuseppe de Concini
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Il
“Sarà una scossa anche per i benpensanti”
• A Vicenza serve il museo d’arte contemporanea: ancora non si è capito?
• Dobbiamo educare i cittadini al bello e al senso civico
• E dobbiamo essere all’altezza del bello che ci hanno lasciato nei secoli passati
• Mettiamo una pianta al posto della fontana morta in viale Roma
• Il successo di una società si misura dalla cultura che produce
• Perché si accetta la matematica ma si pretende di giudicare l’arte?
• Al brutto ci si abitua: è un lento avvelenamento
• Si può essere artista anche senza saper disegnare come Raffaello: contano le idee
“Efacciamolo questo museo d’arte contemporanea. Sarà una scossa elettrica per tutta la città!”. L’invito arriva da Arcangelo Sassolino, 56 anni, artista vicentino che è un’autorità internazionale nel campo dell’arte ma, come spesso capita, è meno conosciuto nella sua città di quanto meriti. Abita in viale Roma di fronte al Giardino Salvi ed è padre di tre figlie.
Inizia a costruire aeroplani in garage (passione che lo accomuna a un altro genio, Federico Faggin), studia ragioneria con ottimi risultati, s’iscrive a ingegneria senza mai dare un esame. Invece si trasferisce a New York a realizzare giocattoli (tra le sue idee c’è anche un puzzle tridimensionale), lavora anche per la Mattel finché un’amica, Andrea Carla Eisenberg Michaels, autrice di cruciverba per il New York Times, commenta il suo lavoro: “Tu sei uno scultore!”. Profetica, gli indica la strada e lui la segue. Sassolino rimane negli Usa sei anni, studia, lavora e poi torna in Italia, prima in Toscana e quindi nel Veneto, esattamente nella sua Trissino, paese della sua famiglia. Lui è l’ultimo di cinque figli. Adesso lavora in un capannone che dà sulla statale, accanto all’ex antica filanda in via di ristrutturazione grazie a Lino Dainese. Il celebre imprenditore e appassionato d’arte ha creduto molto in questo immobile, due piani per alcune migliaia di metri quadrati: metà sarà la bottega di Sassolino, l’altra metà diventerà una Calamita (la chiamano già così)
per dare spazio a mostre e a laboratori di altri artisti. I lavori di recupero procedono: la Calamita sarà pronta fra poco più di un anno.
Definire Sassolino scultore (nomen omen, aveva il destino nel nome…) è vero ma anche riduttivo. Le sue opere estendono parecchio il significato del termine: sono molto tecnologiche, meccaniche, trasversali a chimica e fisica. Chiamatelo esploratore, se volete. Lui si definisce artista visivo. Di sicuro è geniale, anzi ha uno spiccato talento. Silvio Ceccato marcava sempre la differenza: “Il talento fa quello che vuole, il genio fa quello che può”. Se ne sono accorti anche in Vaticano se mons. Tolentino da Mendonça l’ha chiamato, unico vicentino, all’incontro del papa con gli artisti. Del resto, per capire il suo valore basta citare il suo stralodato padiglione di Malta alla biennale di Venezia nel 2022. E riflettere che Il giornale dell’arte , praticamente la Bibbia del settore, ha dedicato a Sassolino non una pagina ma un numero intero, con interviste e approfondimenti. Una specie di beatificazione in vita.
Come vede Vicenza?
Migliorabile, certo. Ma ovunque vai c’è qualcuno brontola sulla propria città.
E lei cosa pensa della sua città?
Che il successo di una società lo misuri sulla cultura che produce. Il Veneto però è cresciuto senza anticorpi, senza virus positivi.
Cosa si può fare?
Educare. La conoscenza e la
cultura sono alla base della società.
Un obiettivo ambizioso e difficile da realizzare.
Però necessario. Si devono educare le persone al senso civico, anche a non lasciare i rifiuti in giro che sono il segno di un degrado totale. È il primo passo per educare al bello.
Lei da scultore acclamato come giudica la statua degli alpini davanti alla stazione?
È sempre un guaio quando vuoi fare i conti con la Storia. Io sono uno che non vuole far finta, né prendere scorciatoie. E mi rendo conto che l’onda d’urto del tempo sull’artista è micidiale.
Se c’è, qual è il problema di Vicenza?
Vicenza è bellissima, certamente, ma noi dobbiamo ricordare che il bello l’hanno realizzato persone morte da secoli. Dobbiamo essere all’altezza e rilanciare. Siamo invece all’anarchia creativa e produciamo porcate in giro per la provincia. Esempi, please.
I cartelloni pubblicitari copiati dagli americani oppure quei cassoni che vedo in mezzo alle rotonde. Ma chi ha queste idee? Per non parlare di quello che c’è davanti a casa mia… Cosa intende?
La fontana che non butta acqua da anni. Ma levatela e mettetici una pianta! Si sapeva dall’inizio che sarebbe finita così. Basta studiare un po’ d’idraulica. Purtroppo al brutto ci si abitua. È un lento avvelenamento. Perdi il senso critico e giochi al ribasso.
Un antidoto?
Girare, imparare. Andate a vedere cosa fa Tony Cragg in Germania e in mezzo mondo, oppure il Cloud Gate di Anish Kapoor a Chicago.
Esterofilo?
Sono il più campanilista di tutti. Ho qui le mie radici e lo studio, ma bisogna avere lo sguardo sul mondo per poi chiederci: ma cosa stiamo facendo?
Perché l’arte contemporanea è poco compresa? Non sarete magari voi artisti un po’ eccentrici?
Ma perché non si pretende di capire la matematica, la si accetta, ma l’arte sì e si boccia? Ci sono imprenditori che mi dicono: per me l’arte finisce con l’impressionismo.
E lei cosa risponde?
Questo: nella tua azienda la tecnologia è ferma a 120 anni fa?
L’arte non è una fede, non trova?
Certo, però si cerca di capire i significati, il percorso creativo dell’opera, non di giudicarla a priori.
Lei ha fatto gocciolare l’acciaio fuso su un pavimento. Perché?
Perché In questo periodo mi interessa molto studiare la trasformazione dei materiali. E quindi la velocità, la gravità, la pressione, il calore, le onde elettromagnetiche, le vibrazioni, l’ignizione.
Chi è l’artista? Lei ha detto: non bisogna saper disegnare come Raffaello per poter essere un’artista.
Vero, e lo ripeto. È uno dei più grandi equivoci. Quello che conta di un artista sono le idee, la capacità d’immaginare possibilità nuove, di realizzare qualcosa che non esiste. Ha un’attitudine verso la vita che lo porta a sconfinare.
A Vicenza si discute da decenni del museo d’arte contemporanea e si pensa sempre alle strutture dell’ex Fiera del Giardino Salvi, vicino a casa sua. Che ne pensa?
E facciamolo questo museo! Non si è ancora capito che è necessario? Sarà un impulso elettrico, una scossa per tutta la città, anche per i benpensanti. Antonio Di Lorenzo
www.ilvicenza.com L’intervista
personaggio. Arcangelo Sassolino, artista di livello internazionale, indica come obiettivo il museo d’arte contemporanea
Arcangelo Sassolino fotografato a Trissino vicino alla Calamita, la filanda in ristrutturazione e alcune sue opere, tra cui l’escavatrice, collocata in una piazza di Palermo come simbolo antimafia
La
trasloca. La
Il vescovo va via, un altro buco in centro
Dopo il trasloco di Camera di commercio, tribunale, Banca d’Italia, con il complesso dell’ex cinema “Corso” e anche quello del “Roma” vuoti, adesso tocca al palazzo del vescovado e a quello delle Opere sociali. Un cambiamento storico e un bel grattacapo per l’amministrazione comunale
La decisione del vescovo di traslocare, lui e tutta la curia, nel vecchio seminario a Santa Lucia, diventerà operativa nel prossimo ottobre. Mons. Brugnotto andrà a vivere assieme ai sacerdoti e ai seminaristi (appena otto in tutto il ciclo di studi) nell’antico immobile. Avrà un appartamento all’ultimo piano, quello che mons. Nonis a suo tempo fece ristrutturare. Brugnotto ha spiegato che vuole essere coerente: se chiede ai suoi preti di fare comunità, deve dare lui l’esempio. Così andarà a fare compagnia ai 15 sacerdoti che vivono a Santa Lucia, quattro gatti rispetto alla folla di preti e seminaristi di mezzo secolo fa. Assieme a lui traslocherà tutta la curia. Il palazzone sul lato sud di piazza Duomo sarà progressivamente dismesso, tranne che per il museo. Stesso destino per il palazzo delle Opere sociali. Tutti gli uffici, il
che vuol dire 60-70 persone, traslocheranno nell’area del seminario teologico completamente ristrutturata.
Razionalizzare, semplificare, risparmiare. Sono i criteri alla base della decisione del vescovo, che non ha mai nascosto di voler “mettere a reddito” gli immobili della diocesi, anche quelli più prestigiosi.
È una decisione storica che il vescovo lasci l’episcopio dopo 500 anni. Il vescovo Giuliano a Santa Lucia come il papa a Santa Marta? “Il papa ha deciso per motivi psicologici e anche io –ha risposto – Per la prima volta nella mia vita, in episcopio, mi sono trovato a dormire da solo. Non è che ho paura del buio (ride) e sono al sicuro ma anche questa è una ragione”.
La verità è che dopo l’imminente trasloco di vescovo e curia si crea un altro buco in centro. Dopo il trasloco di Camera di commercio, tribunale,
Banca d’Italia, con il complesso dell’ex cinema “Corso” e anche quello del “Roma” vuoti, adesso tocca al palazzo del vescovado e a quello delle Opere sociali. È un bel grattacapo per l’amministrazione comunale. Ormai i residenti in centro si contano nell’ordine di poche migliaia, in gran parte anziani soli. Quando si parla di rigenerare e di riuso, il primo banco di prova è proprio il centro storico anche se, va detto, le difficoltà sono enormi.
Sparisce la nuova questura: resta il parco, che si può intitolare al prof. Zio
Per un paio d’anni, e forse anche di più, sull’area di via Cattaneo, vicina a San Felice, tra il parcheggio e via dei Mille, s’è discusso sì della realizzazione di un parco, ma soprattutto della collocazione in quel luogo della nuova questura. Ne parlavano il sindaco Rucco e l’assessore Siotto: qualche pour parler si tenne con il questore (vecchio e nuovo) ma non si arrivò a un progetto. Stiamo parlando dell’ex Pp7 dove fino al 1978 esisteva l’acciaieria Beltrame.
Ora l’assessora Baldinato ha annunciato che il Comune accelera: quei seimila metri quadrati diventeranno verdi, perfino con il ping pong e gli scacchi, che è un bell’azzardo a proporli alle generazioni dei giovani smartphone-dipendenti. Auguri. Si spenderanno 700 mila e euro e i lavori saranno
completati fra un anno. Dalle dichiarazioni, sia di maggioranza ma anche dell’opposizione il riferimento alla nuova questura è totalmente sparito: sull’ex Pp 7 ci sarà solo il parco. Bene, e allora? L’esigenza di un nuovo immobile per la sede della polizia è rimasta. La nuova questura probabilmente finirà in viale Torino, nell’ex area Domenichelli, poi diventata supermercato Famila, che pure ha chiuso i battenti. Come spiegava il sindaco Possamai in campagna elettorale, in quell’immobile lui pensa di trasferire il comando della polizia locale e lì vicino può sorgere anche la nuova questura. Si disegna, così, una “cittadella della sicurezza”. Che non siano solo parole lo dimostra il fatto che, un mese e mezzo fa, sono stati visti sindaco, prefetto e questore assieme
in un sopralluogo nella zona. Per il resto, si vedrà.
C’è, comunque, chi s’è già attivato per cercare il nome di un vicentino illustre per intitolargli il nuovo parco a San Felice. Il primo che viene alla mente è quello del professor Lino Zio, morto quasi
novantenne nel 2011, assessore e vicesindaco di Vicenza con Giorgio Sala, volontario della Libertà nella guerra di liberazione, professore di lettere al “Quadri”, vicepresidente del Lanerossi Vicenza di Giussy Farina. Persona di grande amabilità, era un
ambientalista ante litteram perché girava sempre in bicicletta e ben noto all’Anconetta, il suo quartiere. È un cittadino benemerito, medaglia d’oro della città: sarebbe giusto non solo intitolargli il parco, ma realizzare anche un busto che lo ricordi.
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Attualità
curia
decisione di mons. Brugnotto diventa operativa a ottobre: a Vicenza si crea un nodo urbanistico
La zona che diverrà parco vicino a San Felice e il prof. Lino Zio
Piazza Duomo con gli storici immobili e il vescovo, mons. Giuliano Brugnotto
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Super tenente a guardia di boschi e cibi
Ha una laurea ottenuta con 100 e lode alla facoltà di Veterinaria a Milano. Ha un master di II livello. Ha lavorato nel privato prima di arruolarsi e vincere il concorso da ufficiale dei carabinieri
La super tenente dei carabinieri indaga sui reati ambientali e tutela boschi e foreste. L’appellativo dell’ufficiale, appena giunta a Vicenza, è meritato perché basta dare un’occhiata al suo curriculum per rendersi conto del valore della tenente
Anna Spallina.
Ha compiuto trentuno anni giusto domenica 1 0 settembre. È laureata con lode alla facoltà di veterinaria a Milano, siciliana di Castelbuono, vicino Palermo. La tenente
Anna Spallina è la nuova co-
mandante del Nucleo investigativo di polizia ambientale, agroalimentare e forestale di Vicenza.
La tenente Spallina subentra al capitano Daniele Buffa che assume lo stesso incarico al Nucleo di Modena.
Lei è figlia d’arte, per così dire: il padre Pietro, alla cui memoria è molto legata, è stato commissario superiore forestale, arrivando a coprire il ruolo di comandante del Distaccamento di Castelbuono.
Spallina s’è laureata con lode nel 2017 in Scienze e tec-
nologie delle produzioni animali alla facoltà di veterinaria della Statale di Milano. Dopo alcuni anni di attività nel privato, ha vinto il concorso per ufficiali del ruolo Forestale dell’Arma dei Carabinieri e nel 2021 è giunta a Roma dove frequenta il corso biennale alla Scuola ufficiali di via Aurelia, conseguendo un master di II livello in conservazione della biodiversità e contrasto ai crimini ambientali.
Il festival delle relazioni e la mostra sulla “divina proporzione” in Basilica
Il “Festival delle relazioni”, in programma a Vicenza dal 5 all’8 ottobre, creato da Ombretta Zulian e Ketty Panni, si propone di raccontare e rappresentare la perfezione della natura, la sua armonia e la centralità nell’uomo con l’ausilio di opere di artisti e scienziati che hanno affrontato il percorso della “relazione” e della “proporzione” tra matematica, architettura, scienza, arte e spiritualità.
Ecco perché la Basilica palladiana, dal 1° ottobre al 5 novembre ospiterà la mostra “La proporzione aurea”. Un mistero nascosto nel cuore dell’uomo. Luca Pacioli e la “Divina Relazione”.
Il “Festival delle relazioni” si svilupperà nei luoghi più importanti e rappresentativi della città, da piazza dei Si-
gnori al santuario di Monte Berico, passando per i portici di corso Palladio, il teatro comunale e l’università. Ciascuno di questi spazi vedrà protagonisti imprenditori, manager, studiosi, artisti, docenti e studenti, che coinvolgeranno il pubblico sui temi riguardanti l’impresa, la formazione, la scuola, l’arte, la spiritualità, l’alimentazione e l’abitare, tutti nel segno di un denominatore comune: la bellezza e la ricchezza delle relazioni”.
La mostra in basilica si sviluppa a partire dalla figura storica di Luca Pacioli, matematico e frate francescano del XV secolo, le cui opere hanno contribuito ad approfondire e rinnovare il legame tra discipline scientifiche ed umanistiche.
La vita di Pacioli, matematico e frate francescano del XV secolo (1445 -1517), intreccia molti territori, tra i quali quello Veneto, e altrettante discipline. Ambiti apparentemente distanti come l’attività di teologo e quella di ragioniere (è considerato il sistematizzatore del cosiddetto “metodo veneziano”, ovvero della par-
tita doppia), confluiscono nella sua singolare capacità di tessere relazioni, stabilire complicità, nutrire legami e amicizie. Abilissimo comunicatore (è attestato che fu tra i primi a intuire le potenzialità della stampa) Giorgio Vasari racconta che fu Piero della Francesca il suo principale maestro. In molti gli si legarono in amicizia, su tutti,
Leonardo da Vinci. Non a caso le sue opere, in particolare il “Summa de Arithmetica” (1494) e la “Divina Proportione”, pubblicata a Venezia nel 1509, hanno contribuito a rinnovare il legame tra discipline scientifiche e umanistiche, ispirando matematici e artisti di ogni epoca, compresa quella contemporanea.
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Il personaggio. Anna Spallina, siciliana di 31 anni, al comando del Nucleo carabinieri forestali di Vicenza
Luca Pacioli nel manifesto della mostra in Basilica, Ombretta Zulian e Ketty Panni creatrici del festival
La tenente Anna Spallina, di fresca nomina a Vicenza
laureato e gira l’Europa a fare il clown
Maderni ha trent’anni e una laurea specialistica in antropologia all’università di Bologna. Ha seguito corsi di alto livello e adesso gira come artista di strada in Svizzera, Francia e Spagna. Qualche volta potete incontrarlo anche in piazza dei Signori. Il nome d’arte è Gianda
Suscitare stupore e magia negli occhi di grandi e piccini è un’arte… di strada. Un talento nonché un lavoro che si apprende nelle scuole circensi e si coltiva, con tanta pratica, nelle piazze dei borghi così come in quelle delle grandi metropoli davanti a gruppi di persone pronte a lasciarsi sorprendere e a sorridere di fronte a sketch di giocoleria, equilibrismo, gag ironiche e clownerie. Fra i numerosi artisti di strada che con le loro curiose esibizioni in questi anni hanno fatto sorridere i vicentini c’è Alessandro Maderni, in arte Gianda. Lo potete vedere anche in piazza dei Signori, quando passa per Vicenza, perché lui gira molto l’Europa, tra Francia, Svizzera e Spagna.
Ha trent’anni ed è vicentino doc: la sua famiglia discende da emigranti svizzeri che, guidati da un altro Alessandro, nome che si ripete in famiglia a ogni generazione, sono arrivati a Vicenza duecento anni fa e hanno messo su bottega in corso Fogazzaro. Figlio dell’ingegner Giovanni che lavora al Genio Civile e di Maria Teresa Padovan, responsabile del settore igiene pubblica dell’Ulss 8, è nipote di un altro artista, Giuseppe Maderni, professore e musicista, più esattamente chitarrista.
Alessandro è laureato in antropologia all’università di Bologna. La tesi della sua
triennale è: “Antropologia, religioni, e civiltà orientali” mentre la tesi di laurea è intitolata “Un’antropo-poiesi alternativa: la trasformazione del clown”.
Quella del clown è proprio una sua passione di vita, che è nata durante l’adolescenza: Alessandro Maderni ha cominciato a interessarsi di giocoleria nei primi anni delle superiori e, come si vede, ha proseguito ad approfondire la disciplina scientificamente. Ma l’ha fatta diventare anche un lavoro: il dottor Maderni ha scelto di essere un artista da strada, per donare piccoli momenti di spensieratezza a chiunque lo ammiri durante i suoi numeri di clown, giocoleria ed equilibrismo.
Maderni da circa dieci anni si dedica all’arte di strada e alle discipline circensi. Ha viaggiato molto in Europa frequentando diversi corsi di formazione, tra cui la scuola di circo professionale Carampa a Madrid dove si è specializzato principalmente nelle tecniche della giocoleria e del clown. In Italia è solito portare la sua arte non solo da Nord a Sud da Noto in Sicilia oppure in piazza Sant’Oronzo a Lecce, palcoscenico estivo di numerosi artisti di strada, ma anche in famosi festival dedicati alle arti circensi come quello di “Bologna Città della Musica”.
Sara Panizzon
www.ilvicenza.com 24
Protagonisti
Il personaggio. La scelta di vita di Alessandro Maderni, artista da strada che coltiva questa passione da piccolo È
Alessandro Maderni, in arte Gianda, ripreso durante i suoi show: come si vede, spesso il pubblico è numeroso
Il film. Esce nelle sale e poi su Amazon il film di Dellai ispirato a Celadon e già premiato alla mostra di Venezia
Quegli 800 giorni sequestrato in una buca
Passione per la cronaca, sensibilità, scrupolosità e dovere di fare memoria le qualità del regista e del film che ha utilizzato 400 comparse locali. Una produzione di Pietro Sottoriva e Progetto Cinema che è durata due anni, sia per il covid sia per le difficoltà tecniche. Anche Carlo Celadon s’è complimentato
Giova, eccome, essere un cronista per scrivere e realizzare un film.
Soprattutto se si tratta di raccontare un dramma lungo 831 giorni. Dennis Dellai, caposervizio del settore Provincia de “Il Giornale di Vicenza”, tutti i giorni è alle prese con fatti di cronaca. Ed è qui che serve attenzione ai dettagli, passione per interpretare sfumature, acume per collegare tra loro gli indizi di un giallo.
Una sensibilità e una professionalità che hanno trovato felice sbocco nella sua terza fatica cinematografica (dopo “Terre rosse” del 2008 e “Oscar” del 2016).
Stiamo parlando di “800 giorni”, il racconto solo apparentemente inventato di un rapimento consumato sul finire degli Ottanta nel Veneto.
Ovviamente, l’allusione è tanto evidente quanto delicata: è la storia del brutale sequestro dell’arzignanese
Carlo Celadon, il più lungo della storia, rimasto nelle mani della ‘ndrangheta per 831 giorni, quasi sempre tenuto in una buca sottoterra.
Carlo Celadon aveva manifestato a Dellai perplessità su un film che ripercorresse quegli infiniti giorni. E per un po’ non se ne è più parlato. Poi il resgista, convinto che quella profonda ingiustizia andasse non solo raccontata ma riportata all’attenzione della generazione di giovani che non hanno vissuto quella terribile sta-
gione non hanno vissuto, è tornato ad incontrare Celadon, spiegandogli che era importante fare memoria. Il film, quindi, non è la cronaca del rapimento e della liberazione ma s’ispira a quel fatto.
Il lavoro è stato realizzato con efficacia che non solo l’interessato s’è complimentato, ma “800 giorni” ha vinto il “Leone di vetro” alla mostra del cinema di Venezia per il miglior film girato nel Veneto.
Dennis Dellai ha scritto il film con Giacomo Turbian e ha dedicato il premio a Pietro Sottoriva che, assieme ad altri illuminati imprenditori, ha scommesso sull’opera, a Progetto Cinema e a tutti i suoi attori e tecnici, a partire da Fabio Testi, e poi Vasco Mirandola, Stefania Gori Bonotto, Davide Dolores, i giovani Marta Dal Santo e Matteo
Dal Ponte, protagonisti principali. Vi è poi l’esordiente Francesca Tizzano, Davide Dolores nella parte del magistrato, Piergiorgio Piccoli in quella del politico locale della Dc e Aristide Genovese nelle vesti di medico. Le musiche sono di Paolo Agostini. Il film arriverà presto nelle sale, mentre a fine anno sbarcherà su Amazon Video.
Un’opera corale, tiene a ripetere Dellai: 400 comparse e oltre 60 auto degli anni Ottanta. Produttore e regista hanno affrontato un lavoro lungo due anni a motivo del covid e della complessità di alcune location. Dellai ha perfino fatto cambiare all’ultimo momento la targa di un’auto che era troppo recente. Quando si dice, appunto, lo scrupolo per il dettaglio unito all’amore per la cronaca.
Silvio Scacco
www.ilvicenza.com Spettacoli
La locandina del film “800 giorni”, il regista Dennis Dellai assieme a Carlo Celadon
Il personaggio. Il noto prof vicentino tiene corsi all’ateneo di Padova per gli studenti a digiuno della lingua di Cicerone
Il latino è una via con Chiodi. Per fortuna
C’è un vicentino che fa da medico del pronto soccorso per il latino. E le sue cure funzionano. Flashback per capire. Se anche Asterix parla in latino, quanto meno in un’umoristica edizione raffinata, vuol dire che la lingua è tutt’altro che morta, bensì è viva e combatte con noi. Chi combatte davvero, però, sono gli studenti che s’iscrivono al corso di laurea in Lettere e il latino non l’hanno studiato alle superiori. Sono più di quello che si pensi, tra il 40 e il 50 per cento delle matricole. Parecchi, dunque. Basta pensare a chi arriva dalle magistrali, dal liceo scientifico non tradizionale, dagli istituti tecnici e hanno la sacrosanta passione di studiare Lettere. Ma la laurea prevede un esame di latino obbligatorio ed è anche giusto, visto che i laureati possono andare a insegnarlo alle superiori. Che fare? L’università di Padova s’è attrezzata alla bisogna e ha creato un corso che è un po’ ruvido definire “di recupero” ma, insomma, l’idea è quella: attrezzare gli studenti alle competenze necessarie per superare l’esame.
Il corso è composto da 1 20-130 studenti ed è affidato a tre docenti di lunga esperienza e provata capacità. Uno di loro è Luciano Chiodi, già docente di greco e latino al “Pigafetta” e per molti anni anche stimato vicepreside del liceo, nonché animatore della rassegna “Classici contro” che da molti anni unisce le forze dei classicisti (non solo) vicentini. L’amabilità del tratto si unisce alla sua efficacia d’insegnamento e queste qualità hanno fatto del professor Chiodi un punto di forza prima del liceo e adesso del dipartimento di Lettere dell’università. Al termine del corso, gli studenti devono superare un test (chiamiamolo così, ma è pur sempre un esame) che viene superato dal 90 per cento dei partecipanti. Il corso, dunque, funziona. Il pronto soccorso universitario, per tornare alla metafora iniziale, guarisce.
Per i “Classici”
all’Olimpico c’è Violante e la sua Circe
È una prima nazionale il quinto spettacolo dei Classici, il monologo “Circe” di Luciano Violante, interpretato da Viola Graziosi, con regia e scene di Giuseppe Dipasquale, in programma venerdì 6 e sabato 7 ottobre al Teatro Olimpico. La produzione è del teatro di Roma - Teatro Nazionale. Dopo Clitemnestra e Medea, Luciano Violante - magistrato, ex presidente della Camera dei deputati, presidente della Fondazione Leonardo - Civiltà delle Macchine - torna
ad interrogarsi sulla figura mitologica per chiudere la sua trilogia delle donne di sangue e giustizia, e dedica il nuovo spettacolo a Circe, la dea-maga simbolo della seduzione. Nello spettacolo si susseguono gli incontri con i personaggi attraversati e segnati dal dolore, dalla poetessa russa Achmatova a Giuda Iscariota, seguiti dalle figure del mito classico fino all’inevitabile e multiforme Odisseo, incontri che servono ad accompagnare Circe dalla porta del reale a quella della mitologia. “Circe è la sacerdotessa del dolore, il riflesso delle profondità irrisolte altrui, colei che penetra lo sguardo ma non impietrisce”. Il 6 ottobre presentazione dello spettacolo con l’autore e Pietrangelo Buttafuoco nel giardino dell’Olimpico. Conduce il giornalista Antonio Di Lorenzo.
www.ilvicenza.com 26 Attualità
Viola Graziosi
Luciano Violante
Il professor Luciano Chiodi in un’immagine rilassata estiva e una curiosa vignetta di Asterix in latino
#Regione
Veneto sta facendo la sua parte ma l’Europa è distante e assente”
Con l’arrivo dell’autunno non si parlerà più di emergenza migranti, almeno non nei termini usati in queste ultime settimane. La questione, però, resta più aperta che mai e gli sbarchi, dopo la fisiologica flessione invernale, riprenderanno la prossima primavera e di nuovo si tornerà ad usare il termine emergenza. Sotto pressione, ancora una volta, i sindaci e i prefetti, alle prese con la gestione degli arrivi e le tensioni che inevitabilmente si creano. L’accoglienza diffusa è indicata come la via maestra ma le difficoltà non mancano. Nei mesi scorsi il presidente del Veneto Luca Zaia aveva proposto una cabina di regia con gli enti locali per sperimentare forme di accoglienza diffusa. A caldo, complici le numerose tensioni, questa proposta non fu raccolta. Guardando però al futuro dei prossimi mesi una strategia condivisa è ormai irrinunciabile anche se di difficile realizzazio-
ne. Zaia intanto tende la mano ai sindaci. “Sono i sindaci che hanno conoscenza dei propri territori - mette in chiaro - e sanno quale è il livello di ospitalità che possono garantire o hanno garantito. Non dimentichiamo che il Veneto ha dato ospitalità e un progetto di vita a oltre 550 mila migranti, che si sono insediati e integrati e rappresentano il 12 per cento popolazione regionale”. Zaia continua sottolineando che “i sindaci stanno facendo la loro parte ma non possiamo continuare a chiamarli all’appello, pensando che si possa ospitare all’infinto. Al di là della sostenibilità, serve dignità nell’ospitalità.
Ma c’è anche una comunità che sta cambiano pian piano fisionomia e che avrà bisogno di modificare i propri modelli educativi, di servizi dell’educazione. Di questo nessuno parla”. Intanto resta sul piatto la necessità di dare una risposta di fronte all’emergenza.
“Con questi numeri la situazione
è insostenibile e l’Europa è latitante, - aggiunge il presidente del Veneto - è il convitato di pietra. Ma a voi sembra normale che l’Europa percepisca Lampedusa come il confine italiano, quando è lo stesso migrante che arriva a Lampedusa a pensare di essere in Europa. Ma l’Europa non c’è. Andate a chiedere in Ue che fine
ha fatto la redistribuzione dei migranti che sbarcano e arrivano in Italia. Praticamente siamo a zero. Molto spesso, infine, stiamo dando assistenza per lo più a migranti economici, si pensi solo che solo l’8 per cento dei migranti arrivati avrà il riconoscimento dello status di rifugiato. Questo dà la dimensione dello sforzo che
dedichiamo anche ai migranti economici, quando invece dovremo dedicarci ad ospitare chi veramente scappa dalla morte. L’Europa - conclude il governatore - deve prendere la situazione in mano, e lo dice un europeista convinto, e non lasciare sola l’Italia che non può diventare il ventre molle del Mediterraneo”.
Mario Conte: “Noi sindaci in prima linea, costretti a fare i salti mortali”
“Si chiede di risolvere un problema alla radice partendo dalle foglie”. Mario Conte, sindaco di Treviso e presidente di Anci Veneto, sulla questione migranti sgombra il tavolo da ogni equivoco: “I sindaci sono l’elemento più basso della filiera, ma il problema deve essere risolto a monte”. Fa appello agli enti superiori, Europa in primis, affinché si mettano una mano sulla coscienza ed evitino uno scaricabarile che, via via, arriva fino ai comuni, “con i sindaci costretti a fare i salti mortali senza strumenti, senza spazi, senza risorse, passando per quelli che non sono in grado di gestire e soprattutto dovendo dare spiegazioni alle comunità”. Secondo Conte infatti, se un’emergenza viene gestita bene, viene anche capita: “Perché le comunità reagiscono bene a fronte di organizzazione e scelte condivise e spiegate, ma se ci sono casualità, imposizioni e cattiva gestione allora reagiscono male. Il Covid ce l’ha insegnato”. Una linea di pensiero che in questi giorni viene analizzata in occasione
degli Stati Generali dei Comuni del Veneto, in programma a Verona, dove tra i tanti temi sul piatto c’è anche quello dell’emergenza umanitaria dei migranti. “Noi sindaci siamo disponibili a fare la nostra parte, ma non possiamo risolvere da soli i problemi della migrazione dall’Africa, fermo restando che oggi stiamo gestendo Africa, Afghanistan, Ucraina e comunità locali, perché le emergenze sociali in essere sono tantissi-
me”, precisa il primo cittadino di Treviso, sottolineando la fase particolarmente difficile che i comuni si trovano a vivere, dai costi elevati agli sfratti. “In questo momento storico tutto è molto più complicato e non si tratta di una questione di volontà. Parlo
con sindaci che politicamente dovrebbero essere molto più accoglienti, più aperti e disponibili, ma – racconta Conte – rispondono che non hanno né risorse, né spazi e temono, proprio per la fase particolare che stiamo attraversando, di non trovare nemmeno la sensibilità da parte della loro comunità”.Nella sua Treviso, alla ex caserma Serena, dal 2015 è attivo uno dei centri di accoglienza più grandi della regione. Passato da 600 a 180 presenze quando Matteo Salvini era ministro dell’interno, l’hub trevigiano in questi anni non è mai stato svuotato. Ora il riempimento è ricominciato. “Si va a fasi alterne, ma del resto o l’Europa decide di investire seriamente sui Paesi di partenza per cercarse di costruire un futuro a queste persone nei loro territori, oppure è necessario pensare a qualcosa di diverso”. Un gesto simbolico, un avvicinamento fra un’emergenza e un’esigenza, è in fase di realizzazione proprio in questi giorni. “Stiamo censendo le esperienze professionali
Mario Conte
dei migranti che accogliamo alla Serena per provare ad avvicinare parte economica e sociale. Presenteremo l’elenco – spiega il sindaco di Treviso – alle aziende, agli artigiani, agli industriali. Poi però rimane il tema della casa, perché è davvero una questione tanto articolata”.
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Migranti. Zaia, “raggiunti i livelli massimi di ospitalità”, alla ricerca di una strategia oltre l’emergenza
“Il
Luca Zaia
Agli Stati Generali dei Comuni veneti di Anci un appello per l’emergenza umanitaria
Sergio Giordani (Padova): “Orgoglioso della nostra risposta”
“Sono assolutamente convinto che la scelta di collaborare a Ferragosto con la Prefettura sia stata giusta; la rivendico, e ha protetto la città, l’unica cosa che a me interessa. Spero sia chiaro a tutti che, in quei giorni, con tutti i “no” che venivano opposti all’accoglienza diffusa, se non avessi aperto io le porte a una soluzione temporanea, per senso di responsabilità e collaborazione Istituzionale, oggi a Padova con probabilità ora avremmo un hub”. “Sono orgoglioso, come sempre, della nostra straordinaria Padova e della sua gente. Dalle cittadine e i cittadini dei quartieri interessati, alle parrocchie, alle associazioni, alle scuole, alla Croce Rossa tutte e tutti hanno compreso la scelta temporanea ed emergenziale e hanno aiutato come potevano. Mi ha commosso sapere che dei bambini hanno fatto trovare delle lettere per i profughi. Questa è Padova, al netto delle grandi e piccole strumentalizzazioni”. “Ribadisco con schiettezza e serenità quello che ho sempre detto: sono contrario a maxi hub. Una scelta sbagliata e miope che rappresenterebbe un grave fallimento del sistema di gestione nazionale, un problema per la comunità, una soluzione non dignitosa per chi viene ospitato, con le ovvie conseguenze sul territorio. Farò tutto quello che posso fare per evitare imposizioni in questo senso nei prossimi tempi. A Padova come a Roma, lavoriamo perché si prenda atto che un’estate come questa sempre sull’orlo dell’emergenza non ci deve più essere. Usiamo il tempo che abbiamo davanti per trovare soluzioni virtuose frutto di buon senso, pragmatismo e cooperazione, soluzioni che, per essere buone, non possono che prevedere di sistemare queste persone in piccoli nuclei diffusi”.
Giacomo Possamai (Vicenza): “Anticipare i tempi, ciascuno faccia la sua
“Come amministratori, siamo oggi chiamati a lasciare da parte valutazioni di mera utilità elettorale a breve termine e, invece, a concentrarci su soluzioni che siano effettivamente efficaci e utili per le nostre comunità. Dobbiamo anticipare i flussi migratori, lavorando a stretto contatto con le organizzazioni internazionali e nazionali, per sviluppare piani d’azione condivisi, chiari e ben definiti. Insieme a tanti altri sindaci del nostro Veneto e del paese, in questi mesi abbiamo insistito su un principio di base: dobbiamo distribuire equamente le persone all’interno di tutto il nostro territorio. Se tutti fanno la loro parte, proporzionalmente, questa è una sfida che possiamo vincere. L’accoglienza diffusa è un approccio che evita la concentrazione di migranti in un unico luogo, soluzione che si è già rivelata completamente errata. Ogni quartiere può contribuire in modo unico all’accoglienza, offrendo opportunità culturali, sociali e di lavoro. Questo è l’approccio che può contribuire a ridurre le tensioni e promuovere la coesione sociale. Dobbiamo investire in servizi che promuovano l’integrazione linguistica, culturale e sociale dei migranti. Una persona che arriva nei nostri territori deve trovare un’abitazione dignitosa, ma deve anche avere modo, rapidamente, di conoscere la nostra lingua e le nostre tradizioni per potersi integrare. Su queste basi sono estremamente disponibile a lavorare nei prossimi mesi con Governo, presidente Zaia e i miei colleghi sindaci, nella speranza di arrivare alla prossima estate senza trovarsi, un’altra volta, punto a capo, ma capaci di affrontare la questione con uno sguardo lungo e vincente nella gestione dei flussi migratori.”
“Il legislatore non assegna ai Sindaci ruoli specifici nella gestione dei migranti, ma non possiamo non fare la nostra parte anche perché ci sono due aspetti decisamente dirimenti. Il primo è rappresentato dalle ricadute sui territori: la regia nazionale ha il bisogno e il dovere di confrontarsi; il secondo è legato al tipo di risposta e ai servizi da garantire. Purtroppo temo che, come è già stato in passato e come avviene su certi temi delicati, che diventano elettorali, le polemiche prendano il sopravvento sul dialogo. Io non mi stancherò mai di ripeterlo: il fenomeno migratorio va gestito con criterio nella distribuzione dell’accoglienza che, ricordo, è in capo alle Prefettura, ma serve un supporto delle amministrazioni. Questo ovviamente risolverà parte della questione, ma non basterà perché le prefetture hanno bisogno anche del dialogo con il privato sociale, con le realtà che con competenza e professionalità possono seguire questi fenomeni. Altrimenti tutto viene esasperato. Oggi il Comune sostiene 62 rifugiati, tra cui donne e minori, con l’accoglienza diffusa. Al momento invece non abbiamo spazi a portata di mano da gestire, già pronti, come Cas. Credo, semmai, che uno degli ambiti su cui si potrebbe investire di più sia quello di dialogare con associazioni di categoria come quelle dell’agricoltura, o Confcommercio: hanno l’accesso ai flussi, controllati, per quanto riguarda ambiti lavorativi. Le aziende hanno bisogno di lavoratori. Io confermo la mia disponibilità a lavorare in questo senso con tutti quelli che comprendono che non è con i grandi Hub che si può fare il bene del nostro Paese e di queste persone costrette alla fuga dai loro territori di origine”.
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Il dibattito. Gli interventi dei sindaci di Padova, Vicenza e Verona
“Accoglienza diffusa, siamo pronti al confronto”
parte”
Damiano Tommasi (Verona): “Collaborare con le prefetture e il privato sociale”
L’intervista. L’analisi del coordinatore Flavio Tosi, dai
Italia in Veneto è sempre più forte, adesioni coerenti con un partito in crescita”
Si parla molto in questo momento dei cambi di partito che stanno interessando alcuni gruppi, soprattutto la Lega. Chiediamo a Flavio Tosi, coordinatore veneto, com’è la situazione di Forza Italia?
“Oggi Forza Italia a livello nazionale, anche perché abbiamo un leader credibile, capace e competente come Antonio Tajani, riesce a dare l’affidabilità che gli elettori cercano. Una volta c’era più ricerca di demagogia, più populismo nelle scelte, ma oggi prevale il pragmatismo e la concretezza che Forza Italia riesce a offrire. Anche a livello veneto oggi siamo considerati un partito in crescita, con una base che si allarga e con persone credibili e capaci di amministrare. Insomma, stiamo recuperando il terreno che una volta in Veneto avevamo perso”. Ci sono nomi in questi cambi che stanno facendo scalpore. Può confermarne qualcuno?
“Finchè non si fanno annunci ufficiali, per rispetto degli interessati, non confer-
mo nulla. È vero però che di settimana in settimana comunicheremo nuove adesioni a tutti i livelli, comunale, provinciale e regionale”. Quindi è vero che c’è un certo fermento?
“Assolutamente sì. Oggi Forza Italia è un partito forte, i sondaggi ci danno come secondo partito a livello nazionale. Non siamo più il terzo partito. Questo porta ovviamente a nuove adesioni: Forza Italia, contrariamente a quanto dicevano i
corvi di sventura, è in crescita”. La scomparsa di Silvio Berlusconi ha aperto necessariamente una nuova fase nel partito e ci si presenta a due appuntamenti importanti prossimamente: le elezioni europee del 2024 e le elezioni regionali nel 2025. Come sta lavorando Forza Italia per consolidare la crescita del partito?
“D opo la scomparsa del nostro grande presidente molti prefiguravano sciagure. Il nome
di Berlusconi e quello di Forza Italia sono stati un binomio inscindibile, ma i nostri elettori votavano e votano il partito per i valori al suo interno. Finora siamo stati un partito con poche sedi, pochi iscritti, poche riunioni: ora stiamo riorganizzando Forza Italia affinché diventi più presente sul territorio, anche in vista delle europee e delle amministrative. L’anno prossimo si vota in più di metà dei Comuni del Veneto e dell’Italia: è fondamentale avere un partito vero, organizzato e presente”. Tema regionali. Se Zaia non potesse ricandidarsi, si è fatto il nome Flavio Tosi. È uno scenario possibile?
“A ndrebbe prima compreso se ci sarà un altro mandato per Luca Zaia. In questo scenario, ovviamente sarebbe lui il naturale candidato. A oggi tuttavia, se si dovesse fare una scommessa, è molto poco probabile che ci possa essere un ulteriore mandato. In questo caso dunque nel 2025 si andrà a votare in nove regioni e a quel punto
Tajani, Meloni e Salvini si confronteranno e faranno le loro proposte in base anche al risultato delle prossime europee. In questo contesto la Lega è già molto rappresentata, dunque è normale che Fratelli d’Italia e Forza Italia avanzeranno una loro proposta”.
L e figure politiche di cui nelle prossime settimane verrà confermato il passaggio di partito rischiano di minare i rapporti degli alleati di centrodestra?
“A ssolutamente no. Quello che conta è che resti nel centrodestra, nella stessa alleanza. Per molto tempo Forza Italia ha visto propri iscritti andare in altri partiti di centrodestra, dunque il fenomeno opposto resta comunque fisiologico. Nessuno degli alleati si pone il problema: quello che conta è che si resti nel centrodestra, nella stessa alleanza. Anzi, in verità stiamo assistendo a migrazioni anche da altri partiti come il Movimento 5 Stelle e il Partito Democratico”.
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nuovi ingressi agli impegni elettorali
“Forza
Falvio Tosi, coordinatore veneto di Forza Italia.
Economia. L’assessore regionale Roberto Marcato illustra le recenti attività
“Nuovi distretti del commercio, strumenti collaudati ed efficaci”
Sul fronte ambientale destinati 31,3 milioni di euro dal Pnrr per la bonifica delle aree contaminate. Maestri vetrai di Venezia: “raccontano al mondo l’unicità di questa arte”
Attenzione allo sviluppo del commercio locale per ridare vita ai centri urbani, tutela dell’ambiente attraverso interventi di bonifica dei “siti orfani” e promozione delle eccellenze che danno lustro all’artigianato veneto. Sono questi alcuni dei fronti, tra gli altri, sui quali Roberto Marcato, assessore regionale allo sviluppo economico, energia e Legge Speciale per Venezia si sta muovendo in queste settimane mettendo a disposizione risorse e iniziative a sostegno del tessuto produttivo veneto, a tutti i livelli. Riguardo al commercio prosegue infatti l’impegno della Regione nel favorire la nascita e l’attività di nuovi distretti del commercio, sia urbani che territoriali, diventati uno strumento fondamentale per rilanciare e ravvivare la rete di negozi e attività di centri grandi e piccoli. Agli inizi del mese Marcato ha annunciato infatti l’approvazione da parte della giunta della delibera che iscrive nell’apposito elenco regionale 22 nuovi distretti del commercio (13 distretti urbani e 9 territoriali) con il coinvolgimento di 39 Comuni. Sale così a 139 il totale dei distretti regionali (95 urbani e 44 territoriali) con il coinvolgimento di 248 amministrazioni comunali. “Il modello dei distretti del commercio - commenta l’assessore - si sta dimostrando sempre più vincente rispetto all’obiettivo di rivitalizzare i centri urbani del Veneto. Lo dimostra anche quest’anno il numero di richieste ricevute, ma soprattutto la qualità dei progetti presentati. Abbiamo continuato a lavorare molto in questi anni con i Comuni, attraverso l’ANCI, e con le associazioni di categoria per arrivare a far sì che i distretti diventassero strumenti efficaci e davvero i risultati ci danno ra-
gione. I distretti del commercio oggi in Veneto sono strumenti già collaudati e apprezzati dagli imprenditori, che, grazie alla stretta collaborazione con le amministrazioni comunali, stanno diventando vero e proprio volano per il rilancio commerciale del nostro tessuto urbano e delle attività che lo rendono vivo”. Non viene meno poi l’attenzione all’ambiente e alla laguna di Venezia con il via libera ai nuovi interventi dei “siti orfani” contaminati con l’obiettivo di completare la riqualificazione entro i primi tre
mesi del 2026. I “siti orfani” sono aree contaminate il cui ripristino risulta essere, per diverse motivazioni, a carico della pubblica amministrazione, principalmente ai Comuni. In questi casi responsabile dell’inquinamento non è stato individuato o non risulta individuabile oppure, se identificato, non provvede agli adempimenti previsti dalla normativa in materia di bonifiche di siti contaminati, né vi provvede altro soggetto eventualmente interessato, come ad esempio il proprietario privato dell’area. Ora la Regione finanzierà con 31,3 milioni del Pnrr dieci interventi. Di questi sei sono ricadenti nel territorio del Bacino scolante nella Laguna di Venezia, situati nei comuni di Spinea, Cavallino Treporti, San Martino di Lupari (PD) e Venezia (tre interventi) per un importo pari a 19 milioni di euro; quattro invece nel restante territorio regionale e riguardano i Comuni di Adria, Portogruaro, Isola Rizza e Sarego, per un importo di 12 milioni di euro. “Prosegue senza sosta il lavoro di tutela dell’ambiente e la nostra preziosa laguna a supporto delle amministrazioni comunalispiega Marcato -. Si tratta di cifre importanti che confermano il nostro impegno per porre rimedio al grave problema dei siti orfani. Negli ultimi anni, a partire dalle risorse legate alla Legge Speciale per Venezia, abbiamo messo in campo un numero crescente di finanziamenti per garantire la restituzione alle rispettive comunità di aree che sono state inquinate da gente senza scrupoli. In questo caso grazie al Pnrr, mettiamo a disposizione ulteriori risorse, di cui una parte importante nel territorio del Bacino Scolante nella Laguna di Venezia. L’assessore inoltre ha presentato l’edizione 2023 di “The Venice Glass Week”, il festival internazionale dedicato all’arte vetraria che ha coinvolto oltre duecento realtà partecipanti in 250 eventi tra Venezia, Murano e Mestre. “La Regione ha, da sempre, voluto essere vicina a questi maestri artigiani. - conclude - E lo facciamo anche con la The Venice Glass week per raccontare al mondo quale unicità straordinaria sia il vetro di Murano. Qui celebriamo la capacità di reazione e resistenza di questi maestri artigiani, artisti straordinari”.
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Roberto Marcato, assessore regionale allo sviluppo economico
La pubblicazione. In Veneto sono 3.700 i prodotti della filiera corta
“Sapori del Territorio”, un viaggio alla scoperta delle eccellenze enogastronomiche locali
Raccontare la bellezza e la bontà che nascono sui territori, valorizzando i prodotti e i produttori che, da sempre, sono i veri custodi delle tradizioni enogastronomiche locali: è per questo che Aspiag Service, concessionaria del marchio Despar per il Triveneto, l’Emilia-Romagna e la Lombardia, ha dato vita nel 2015 a “Sapori del Territorio”, il brand che negli oltre 500 punti vendita delle cinque regioni in cui l’azienda è presente, raccoglie oggi più di 8.800 referenze a scaffale provenienti da oltre 1.000 produttori locali. Nel solo Veneto sono 3.700 i prodotti presenti nei punti vendita che arrivano da 700 produttori della regione. Un progetto con il quale Aspiag Service rafforza il legame profondo con i territori, promuovendo le filiere corte, raccontando i migliori prodotti della tradizione italiana regionale, i loro artigiani produttori e i luoghi dove nascono. “Sapori del Territorio”, infatti, non parla solo di prodotti ma della storia delle persone che li realizzano, strettamente connessa ai territori di provenienza, un racconto che Aspiag Service Despar ha scelto di valorizzare con attività e iniziative di comunicazione che hanno lo scopo di rendere riconoscibili i pro-
dotti di eccellenza attraverso un marchio dedicato che contraddistingue le referenze regionali all’interno del punto vendita, mettendo in risalto le caratteristiche e le peculiarità del prodotto e, soprattutto, delle aziende produttrici locali. A questo scopo Aspiag Service Despar promuove anche degustazioni ed eventi per far conoscere a fondo le caratteristiche delle produzioni a chilometro zero fungendo da cassa di risonanza per quei piccoli artigiani del buon cibo che meritano di essere conosciuti da quante più persone possibili.
“Sapori del Territorio” è inoltre una te-
stimonianza concreta della strategia di sviluppo sostenibile di Aspiag Service Despar che ha proprio tra le sue linee guida l’importanza di valorizzare il territorio e le migliori produzioni locali, generando evidenti benefici positivi in ambito economico, sociale e ambientale, con l’obiettivo di accompagnare le imprese locali verso nuove vie di sviluppo, di crescere in modo etico rispettando l’ambiente e di valorizzare gli aspetti della cultura di un territorio che passano anche attraverso un elemento profondamente identitario come i prodotti della tradizione.
IL PUNTO
di Annamaria Buso
Un rapporto sempre più stretto con i produttori locali: quando la GDO accorcia la distanza tra produttore e cliente
1.Quando è iniziata la storia di Lattebusche e come è cambiata nel tempo la Cooperativa?
Lattebusche è una cooperativa che ha sede a Busche, in provincia di Belluno, zona ricca di pascoli ai confini del Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi, patrimonio UNESCO. Nata nel 1954 per iniziativa di 36 Soci fondatori, la Latteria Sociale Cooperativa della Vallata Feltrina, oggi Lattebusche, è passata in quasi 70 anni di storia da piccola azienda locale a importante realtà del settore lattiero caseario. Ha sempre mantenuto i valori e i pilastri su cui è stata fondata a partire dall’impegno di puntare sulla filiera produttiva locale utilizzando il latte dei propri Soci produttori. Una delle ragioni del successo di Lattebusche è la continua innovazione, assieme all’orientamento alla soddisfazione del Cliente e alla Qualità delle produzio-
ni. La gamma di prodotti è ampia e profonda: 4 formaggi DOP, come Piave, Grana Padano, Asiago e Montasio, formaggi tipici, latte, latticini e formaggi biologici, latte Alta Qualità e gelati a base di latte fresco.
2.Come è nata la collaborazione con Aspiag Service Despar e che cosa significa per voi essere parte del brand Sapori del Territorio in termini di valorizzazione dei produttori e delle filiere locali?
La collaborazione con Aspiag è nata molti anni fa ed è cresciuta nel tempo, sia in termini di presenza che di visibilità per i nostri prodotti nei loro punti vendita; una crescita graduale ma sempre in forte consolidamento. Da sempre ci accomunano i medesimi valori e filosofie aziendali, quali il rispetto e la valorizzazione del territorio e del suo tessuto socioeconomico. Sono proprio i prodotti
tipici di qualità, valorizzati in Aspiag con il brand “Sapori del Territorio”, il file rouge che lega Lattebusche a questo importante Gruppo e che ci permettono di tutelare la nostra Terra e i nostri Soci, “custodi” del nostro bellissimo territorio montano, notoriamente fragile e difficile da vivere.
3.Centrali nella strategia di sviluppo di Lattebusche sono la sostenibilità e il rapporto con il territorio, come li mettete concretamente in
pratica nella vostra attività?
Lattebusche è un’azienda che ha sempre cercato di crescere in armonia con il territorio, la fonte della propria eccellente materia prima, il latte fresco, che dona caratteristiche organolettiche distintive e talvolta uniche alle proprie produzioni. Fondamentale è anche l’impegno di Lattebusche nel garantire le condizioni per cui i propri Soci allevatori possano rimanere in montagna, mantenendo un presidio fondamentale per la cura dell’ambiente naturale. Al centro del progetto di Lattebusche c’è il consumatore. Per questo motivo l’azienda, oltre a continui e rigorosi controlli lungo tutta la filiera (oltre 500.000 all’anno), ha destinato importanti investimenti per l’aggiornamento tecnologico degli impianti produttivi, garantendo così elevati standard qualitativi e igienico sanitari.
Unire localismo e sostenibilità per generare valore condiviso, supportando un consumo consapevole e uno sviluppo sostenibile del tessuto produttivo locale, stringendo legami sempre più forti con i produttori del territorio: sono questi i presupposti su cui si fonda l’impegno di Aspiag Service Despar per valorizzare, attraverso la propria rete distributiva, i prodotti tipici realizzati grazie alla passione e alla competenza di tante imprese che hanno le loro radici nelle cinque regioni in cui siamo presenti. Un rapporto tra Aspiag Service Despar e i produttori locali che nasce dalla comune volontà di valorizzare le produzioni di eccellenza e che si fonda sulla consapevolezza degli aspetti positivi che una filiera corta presenta sia per i produttori che per il cliente finale in termini di sviluppo delle economie e delle realtà locali, di minor impatto ambientale, di maggiore trasparenza e tracciabilità e non ultimo della maggiore focalizzazione sulla qualità dei prodotti. Un legame con i produttori del territorio che ha anche lo scopo di facilitare la crescita del valore del sistema produttivo agroalimentare locale attraverso il potenziamento e l’innovazione di canali promozionali e di commercializzazione che possano favorire la nascita di sinergie e collaborazioni tra le diverse realtà. In questo quadro si inserisce la partecipazione di Aspiag Service Despar a manifestazioni ed eventi sul territorio quali “Made in Malga” e “Formaggio in Villa” che rappresentano occasioni per rafforzare la relazione con i produttori, ribadendo il ruolo di Aspiag Service Despar come promotore delle filiere locali all’interno del mercato della grande distribuzione.
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Responsabile progetto Sapori del Territorio Aspiag Service Despar
Tre domande a Antonello Santi, Direttore Vendite e Trade Marketing di Lattebusche
All news. Informazione locale ogni 20 minuti. Dalle 7 di mattina tutti i giorni, tutto il giorno
Radio Veneto24 è davvero la radio che mancava
Grande entusiasmo intorno all’iniziativa editoriale che offre informazione locale no stop, in onda già su app, streaming, smart device
Data di nascita: lunedì 4 settembre 2023. Segni particolari: unica nel suo genere. È questa la carta di identità di Radio Veneto24, la prima radio all news in Veneto che ha ufficialmente iniziato le trasmissioni con il primo lunedì di settembre. Un successo travolgente per i primi giorni di messa in onda: innumerevoli i feedback positivi degli ascoltatori che hanno iniziato a seguire i notiziari e le rubriche quotidiane attraverso la app (per Ios e Android), i dispositivi smart, lo streaming nel sito. Radio Veneto24 ha dimostrato di essere davvero la radio che mancava, catalizzando l’attenzione dei veneti che hanno scritto, commentato, chiesto maggiori informazioni su questa iniziativa editoriale fortemente voluta da Give Emotions, editore anche dei mensili La Piazza e
della testata web quotidiana Lapiazzaweb.it. I NOTIZIARI.
Radio Veneto24 propone informazione locale ogni 20 minuti. Dalle 7 di mattina tutti i giorni, tutto il giorno, la redazione si occupa di informare senza stop gli ascoltatori. Politica, cronaca, attualità, economia, ma anche informazione di servizio, cultura, sanità sono i temi che trovano spazio nei notiziari in continuo aggiornamento. Un flusso ininterrotto di notizie che sono scritte e lette dai due redattori: Marta Zatta e Mirco Cavallin, coordinati dal direttore Giorgia Gay. Sul campo, ogni giorno a raccontare le storie del territorio, ci sono i corrispondenti locali: Sara Busato da Padova, Marika Andreoli da Venezia, Elena dal Forno da Treviso, Antonio Di Lorenzo da Vicenza, Alessia Soriolo da Verona, Giovanni Monforte dal Veneto Orientale. A completare il team, lo speaker Matteo Zini, Calogero Gambino in produzione.
LE RUBRICHE
QUOTIDIANE.
Il palinsesto di Radio Veneto24 propone rubriche quotidiane a cura di opinionisti esperti in diversi settori: Riccardo Sandre per l’economia, Stefano Edel per lo sport, Micaela Faggiani per “Protagonisti a Nordest” e “Mondo Donna”, che vi abbiamo presentato nel precedente numero del nostro giornale. A loro si è aggiunta anche la voce di Alda Vanzan
Veneziana, giornalista e scrittrice, firma de Il Gazzettino, si occupa di politica, cronaca, costume. Ha raccontato le elezioni che hanno fatto la storia del Veneto, i retroscena della vita dei partiti e firmato inchieste sui costi della politica e sulle “parentopoli” in società pubbliche, dalle autostrade alle aziende di trasporto.
con la rubrica quotidiana “Alda Frequenza, Politica e dintorni”. Veneziana, giornalista e scrittrice, firma de Il Gazzettino, si occupa di politica, cronaca, costume. Ha raccontato le elezioni che hanno fatto la storia del Veneto, i retroscena della vita dei partiti e firmato inchieste sui costi della politica e sulle “parentopoli” in società pubbliche, dalle autostrade alle aziende di trasporto. Grande l’attenzione di Radio Veneto24 per lo sport, grazie a una redazione dedicata che si occupa di informare sulle discipline più seguite ma anche sugli sport minori. A cura di Stefano Edel è l’appuntamento quotidiano con il calcio delle squadre venete di
serie A, B e C. Appuntamenti settimanali sono poi dedicati alla pallavolo (serie A e B) con Giovannni Monforte e al Rugby veneto di serie A e B con Cristiano Aggio, che si occupa anche di raccontare il calcio veneto “minore”.
Al basket dà voce Mirco Cavallin, a cui è affidato anche il riepilogo degli appuntamenti del weekend sportivo, ogni sabato. Infine, spazio alle altre discipline sportive nella rubrica settimanale a cura di Monforte. Tra i contenuti quotidiani, trova anche spazio un appuntamento con il notiziario della giunta regionale del Veneto a cura dell’Agenzia Veneto Notizie.
E poi spazio alle rubriche “Le buone abitudini” ed “Even-
ti e spettacoli”, mentre altre sono di imminente attivazione: Salute e Agricoltura. Insomma, il palinsesto già ricco è destinato a crescere ancora con l’unico obiettivo di informare, sotto ogni punto di vista.
COME ASCOLTARCI.
A casa, a lavoro, in mobilità: Radio Veneto24 è sempre accessibile. Al momento è possibile ascoltare i contenuti attraverso la app scaricabile negli store, con gli smart device attivabili attraverso il comando vocale “Alexa, fammi ascoltare Radio Veneto24”, in streaming dal sito www.veneto24.it. Imminente la diffusione anche nel sistema Dab, destinato ad affiancarsi al “vecchio fm”.
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Alda Vanzan
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Il
personaggio. Lo dipinse durante il suo soggiorno a villa Roi di Montegalda nel 1948 ospite di Boso e Maria Teresa
Così Vicenza ispirò a Dalì un celebre quadro
La “Madonna di Port Lligat” ha evidenti influenze architettoniche palladiane. Fu donata a papa Pio XII. Dalì girava per Vicenza e si faceva notare perché era eccentrico. Raccontò le sue impressioni sulla città a Gigi Ghirotti che pubblicò un’intervista
Era il settembre del 1948: fra le strade di Vicenza, ancora drammaticamente segnate dai cruenti bombardamenti dell’ultimo conflitto bellico, qualcuno notò la sagoma di un eccentrico personaggio che, in compagnia di una donna, si aggirava gesticolando platealmente e commentando in spagnolo la bellezza di questo o quell’altro edificio cittadino.
Era l’inconfondibile figura di uno dei più celebri pittori del Novecento, quella di Salvator Dalì. L’artista, allora più che quarantenne e già all’apice di un successo mondiale, era giunto in città accompagnato dalla moglie Éluard Gala, trovando ospitalità presso la villa del giovane marchese Giuseppe Roi a Montegalda. Il suo soggiorno in terra berica si protrasse per quasi un mese: in tale periodo, occupato anche da alcune produttive escursioni a Venezia, Dalì approfondì lo studio dal vero dell’arte di Andrea Palladio, che tanta impressione aveva lasciato nel suo geniale ed estroso animo artistico.
Il suo arrivo, del resto, non era di certo passato inosservato: le voci circolanti, le visite in città e le scorazzate automobilistiche da lui compiute anche nella campagna veneta, avevano cominciato a scatenare la curiosità dei pur placidi vicentini nonché della stampa locale.
Fu Gigi Ghirotti, allora giovane redattore de “Il Giornale di Vicenza”, a strappare infatti un’esclusiva intervista al celebre ospite: a suo cospetto Dalì si presentò in “giacca di velluto blu con grandi risvolti di raso nero; cravatta a disegni verdi, con spilla d’oro. E i baffi: grandi baffi indimenticabili, sul tipo non del mustacchio arricciato alla maniera nostrana, ma quasi intagliato sul labbro superiore e terminante a forma di scimitarra. Un bastone di corno di rinoceronte e un pezzetto di legno dai misteriosi poteri benefici lo accompagnano sempre scaramanticamente”.
In un francese abbastanza fluido, interrogato sulle impressioni suscitate in lui dalla città del Palladio, confessò che “la Piazza dei Signori gli è pia-
ciuta molto, ma il voltatesta di caffè Garibaldi lo ha definito orribile sacrilegio più terribile di un bombardamento; la cupola di rame gli piace molto, così splendente e inorridisce al pensiero che qualcuno ripulisca le colonne e gli archi delle logge o tenti di allargare il corso Palladio”. E il Teatro Olimpico? “Lo ritiene il luogo più misterioso da lui conosciuto e vorrebbe che per illuminarlo non si usassero i riflettori ma le fiammelle ad olio che c’erano originariamente tra le nicchie
della scena che ne accentuerebbero il fascino enigmatico”.
Ma ad impressionarlo di più sembra sia stata la Rotonda, il meraviglioso capolavoro palladiano, che gli fornì l’idea di realizzare per la prima volta alcune opere definite di ‘architettura antropomorfa’ (“dare ai corpi umani la divina proporzione palladiana”) visibile nella prima versione della Madonna di Port Lligat, così come pure nella più tarda Leda atomica. La tela con la Madonna – come ricorda Maria Teresa Roi, sorella del marchese e allora poco più che ventenne – era appoggiata al cavalletto in una luminosa saletta che guardava sul bel giardino della villa e, più in là, sui vicini colli Euganei; ogni giorno la giovane ragazza “vedeva crescere quel quadro e si rammaricava che la Vergine avesse il volto di Gala”.
Sembra che Dalì, una volta terminata l’opera, volesse mostrarla a papa Pio XII – appassionato d’arte contemporanea – alla ricerca di un’approvazione ‘suprema’ che ne incoraggiasse il cammino di avvicinamento al cattolicesimo, da poco intrapreso dall’artista. E l’udienza ci fu qualche mese dopo, quando il dipinto aveva finalmente assunto i contorni e i cromatismi voluti dal suo ideatore: il Pontefice ammirò la tela ed espresse tutto il suo apprezzamento al pittore che, con quest’opera nata a Vicenza, aveva di fatto dato il via ad una nuova e personale fase artistica.
Oreste Palmiero
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Memorie vicentine
Giuseppe “Boso” Roi e Salvador Dalì, che fu suo ospite nella villa di Montegalda. La Madonna di Port Lligat, chiaramente palladiana
Il personaggio. Da Galla - Libraccio una mostra
È l’anima a parlare nei ritratti di Lomazzi
Andrea Lomazzi è una persona misurata nel gesto e nella voce e un artista incisivo della fotografia. Non intendo provocatorio come Oliviero Toscani, ma in un altro senso: scava. Nell’anima. Perciò i suoi ritratti sono vivaci nella loro pacatezza, perché centrano quel punto di equilibrio – difficile da trovare, ma pure esiste – che si deve creare tra il fotografo e la persona ritratta. Ne sono un esempio le trenta foto esposte alla libreria Galla – Libraccio fino al 7 ottobre. Vista la location, la mostra s’intitola, e non poteva essere diversamente, “Tra le righe”: c’è tutto il mondo legato ai libri, quindi scrittori, poeti, editori, stampatori, illustratori e naturalmente librai.
Troverete molti personaggi conosciuti, in gran parte vicentini, ma non solo: Fernando Bandini, Paolo Lanaro, Luis Sepulveda, Virgilio Scapin, Rienzo Colla, Gigi Meneghello, Vitaliano Trevisan, Sergio Staino, Carlo Matteuzzi, Pino Guzzonato, Mariano Galla, Alberto Galla, Concita De Gregorio, Marina Marcolin, Mara Seveglievich, Marco Cavalli, Giuliano Busato, Moni Ovadia, Valerio Rigo, Giancarlo Busato, Ilvo Diamanti, Antonio Di Lorenzo, Giovanni Turria, Giuseppe, Francesca e Valentina Traverso, Mariapia Veladiano, Paul Polansky, Corrado Augias, Lorenza Farina e Nadir Basso. È la testimonianza di quasi quarant’anni di attività, dal 1986 a oggi. E queste foto sono soltanto una parte dei cento e oltre ritratti che Andrea ha scattato nella sua carriera. Ogni foto è corredata da un breve testo, nel quale risaltano le sue capacità di trasmettere con le parole la stessa forza tranquilla delle sue immagini.
Che siano foto in bianco e nero è abbastanza normale per un fotografo di classe, perché – come è stato giustamente sottolineato – anche se vediamo a colori le nostre emozioni vivono in bianco e nero. Stupisce di più il fatto che Lomazzi scatti foto ancora con la pellicola, dopo vent’anni abbondanti di digitale, e sviluppi i negativi come un tempo. Non è un passatista, la sua è una scelta di qualità:
il digitale, spiega, non assicura lo stesso livello delle stampe. E lui scatta foto, non immagini come facciamo noi con gli smartphone. Fosse per lui, come fa Berengo Gardin, su ogni stampa ci metterebbe il timbro “vera fotografia”. Il significato della definizione va cercato nel senso della fotografia per Andrea. Non la definisce un’arte, bensì una disciplina che richiede applicazione. È diverso. Non è estro, è formazione continua.
Il suo riferimento sono i fotografi umanisti francesi. Se Cartier Bresson, Doisneau, Boubat colgono l’attimo, altri mettono l’uomo al centro della fotografia. Adesso li chiamiamo “fotografi da strada”: un esempio illustre in Italia è Letizia Battaglia. Nei loro scatti c’è quella varia umanità che dà spessore alla vita. Eppure quelle in mostra di Lomazzi sono tutte foto in posa, scattate con la consapevolezza di chi è fotografato. Non è una contraddizione, spiega l’artista: l’uomo resta sempre il punto principale dello scatto, essere in posa è un valore aggiunto al dialogo che s’instaura fra l’uno e l’altro, alla ricerca di quel punto d’incontro tra ciò che l’uno pensa e vorrebbe mostrare di sé e quello che vede l’altro. L’equilibrio tra i due sentimenti contrapposti, che spesso si trova ma non sempre, dà come risultato la fotografia efficace. Il miglior complimento che potete rivolgere al fotografo per i suoi ritratti non è “quanto sei stato bravo” bensì “sei bravo perché è proprio lui in quella foto”. E lo stesso vale per il paesaggio o per una foto d’ambiente.
Comunque, la verità sta nel principio. E la prima fotografia scattata da Andrea Lomazzi resta, a suo parere, la migliore di sempre: aveva 14 anni e accadde l’11 febbraio 1961 in gita a Ravenna. Era il giorno dell’eclissi totale di sole: Andrea scattò una foto al sole quasi del tutto oscurato di giorno, con il mare e le barche. Il giorno diventò buio e forse va cercato in questa sensazione la sua passione per il bianco e nero. Ah, l’unica foto a colori è proprio la sua: porta la firma di sua moglie, Alessandra Bertuzzo.
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con trenta scatti in bianco e nero del celebre fotografo vicentino
C’è la Basilica palladiana sulle maglie
La “trama palladiana” è molto visibile sulla maglia del portiere, ma anche sulla seconda maglia della squadra. La prima, naturalmente, resta a strisce bianche e rosse
C’è la Basilica palladiana sulla maglia del Vicenza. Più esattamente la losanga del rivestimento a sfumature bianche e rosse del tamburo su cui poggia la cupola della Basilica. Le maglie su cui è più visibile la novità sono la quella del portiere, color azzurro, e la terza maglia della squadra, bianca. Si distingue sullo sfondo ed è stata chiamata, appunto, “trama palladiana”. La novità è interessante, più unica che rara. È come se il Milan mettesse il profilo del Duomo sulla maglia. Nessuna squadra ha mai messo un’architettura sulla maglia.
In realtà, come spiegano gli storici dell’arte, quella losanga non è palladiana bensì gotica, quindi antecedente a Palladio. Ma non importa: la caratterizzazione della maglia della squadra con un riferimento
all’architettura più importante di Palladio è comunque una novità.
La prima maglia del Vicenza è naturalmente quella a righe bianche e rosse, su cui spicca il simbolo della Coppa Italia di serie C vinta pochi mesi fa dal Lanerossi. La seconda maglia è quella nera. Le maglie sono prodotte dalla Fila e ideate in collaborazione con la Diesel di Renzo Rosso, che è anche il proprietario del Vicenza.
La maglia tradizionale bianca e rossa è accompagnata da pantaloncini e calzettoni bianchi. Le trasferte si giocano con la maglia nera che ha un effetto marmo, anche questo un richiamo a Palladio. Il portiere indosserà invece solo maglie con trama palladiana: azzurra in casa, arancione fuori casa e giallo fluo per la maglia di riserva.
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La curiosità. Il Vicenza ha inserito una novità sulla divisa. Nessuno ha mai messo un riferimento a un monumento
La maglia del portiere del Vicenza presenta la “trama palladiana” che riprende il disegno delle losanghe della Basilica
Ecco il prof. Usl, unghie sporche e lunghe
Eravamo classificati anche come “SS”, scarpette sporche, “OS” orecchie sporche, “US” unghie sporche e “UL” unghie lunghe. Il passaggio dalle elementari p stato traumatico anche per il peso della cultura, ossia dei libri di testo da trasportare
C’è un’età tra i dieci e gli undici anni in cui si affrontano profondi sconvolgimenti psicofisici, una fase di transizione che ognuno porta a termine con modi e tempi propri: c’è chi nello spazio di una notte si sveglia al mattino con i baffi e mezzo metro di altezza in più, chi passa da una vocetta stridula a una baritonale, chi resta della stessa altezza ma con gli arti superiori che toccano terra e ancora chi comincia a parlare in aramaico antico, manifestando intenti omicidi verso i familiari. È il famigerato passaggio dall’infanzia all’adolescenza, dalla glabrezza all’irsutismo, dall’innocenza alla foruncolosi. In breve da bambini iperprotetti si passa alla condizione sfigatissima dell’adolescente, colui che deve giustificarsi su tutto perché su tutto è in difetto, in ritardo, in colpa, in omissione, creatura erronea, confusa, fuori luogo, ircocervo metà bimbo e metà adulto.
Se lo stesso Dostoevskij, profondo indagatore dell’animo umano, ha dedicato un romanzo all’adolescenza, un valido motivo ci sarà. Oltre ad un fotonico sconquasso corporovertebrale, l’adolescente si trova infatti affacciato su svariati abissi, il più orrido dei quali è il passaggio dalla scuola elementare alla scuola media.
Le comprensive maestre, come Fate Turchine con i Pinocchi, lasciano il posto alle rigide e poco socievoli (ai miei
tempi) figure dei professori delle medie che però solo nel cipiglio e nella severità trovano l’unica arma di sopravvivenza contro le entità aliene e assassine entrate nei corpi dei ragazzini.
Insegnanti delle medie che hanno provato a seguire altre più amichevoli vie pedagogiche, che hanno cercato di fraternizzare, cuginizzare, paternizzare, maternizzare, ziozernizzare, sono stati tutti sbranati vivi e chi se l’è cavata ha preferito più rilassate carriere nel Soccorso Alpino o nei Corpi di pace dell’Onu.
Il mio passaggio elementari-medie fu circa del quinto grado della scala Mercalli, considerato che passai da un’idilliaca scuolina di campagna al palazzo dell’Istruzione di via Riale in pieno centro città. E non ci metto il carico da undici che la maestra che lasciavo era mia mamma (!). La leggiadra cartella con due quaderni e un abbecedario fu sostituita da un borsone sportivo con i manici rinforzati, adatto indifferentemente al trasporto di libri o di munizionamento per artiglieria pesante. E tutti i volumi di tutte le materie, lettere, matematica, scienze, francese, storia, geografia avevano la copertina cartonata e intonacata a gesso con nervature in rete di acciaio.
Ricordo “Le francais pour tous”, pagine 254, peso 0,850 kg, la grammatica italiana “Il Nuovo a spron battuto”, pagine, 379, peso 1,9 kg e il libro di epica
“Dal mito alla storia”, record mondiale con 2,78 Kg.
Dopo qualche mattina che mi trascinavo alla fermata del bus con il borsone da 12 chili, senza l’ausilio di un mulo o una muta di cani, compresi che quella non era la scuola media, ma puro e semplice lavoro minorile.
Situazione che peggiorava i giorni in cui c’era lezione di educazione fisica, perché oltre al consueto, bisognava portare le scarpe da ginnastica e la tuta. E il professore, un evidente no-
stalgico con la barbetta alla Italo Balbo, occhiali d’oro e posa da puzzone con pugni stretti sui fianchi e petto in fuori, assumeva al nostro sguardo smarrito di ragazzini le forme di una spaventevole autorità assoluta: per dirla con Aristotele, non lo Stato in funzione del Popolo, ma il Popolo in funzione dello Stato.
Ahò, a’ ristotele, magna tranquillo! Così il prof. Sturmbannführer annotava diligentemente nel suo registro ogni nostra mancanza con delle sigle: SS, scarpette sporche, OS orecchie
sporche, US unghie sporche, UL unghie lunghe, USL unghie sporche lunghe e via così. Probabilmente poi ci segnalava anche all’Oberkommandant del Provveditoraten agli Studien per un’eventuale deportazione. In quella scuola reazio-concentrazionaria disegnata da Piranesi, dove maschile e femminile erano separati come lo yin e lo yang, generazioni di vicentini consumarono il passaggio drammatico dall’infanziaall’adolescenza, alcuni segnati per la vita e altri, la maggior parte, pronti a finire con entusiasmo il percorso di formazione al liceo Pigafetta, da secoli il principale focolaio batterico responsabile di un terribile morbo mai vinto: la vicentinità.
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Così eravamo studenti alle medie. Il professore di ginnastica era un nostalgico del Ventennio che ci schedava con varie sigle
Alberto Graziani
Il celebre attore francese Jacques Dufilho nel suo personaggio più famoso, il colonnello Buttiglione parodia degli inflessibili (e comici) professori d’un tempo. L’altro problema dei ragazzi era già il peso dei libri da trasportare
Il locale. A Malga Serona piatti semplici ma raffinati opera di cuochi e di un’organizzazione composta da giovani
La miglior trota grigliata? In altopiano
Davide Nicoli, allevatore di Bressanvido che d’estate si trasferisce fra i boschi, è il regista del locale che ha solo 14 posti, apre di sera e tecnicamente si trova nel Comune di Caltrano. Il cuoco è Andrew Lunardi, il secondo è Mauro Gaiotto. Da ricordare anche gli gnocchetti di formaggio mezzano, la carne alla brace, il gelato con le pigne di mugo. E il loro burro
In un angolo dell’Altopiano di Asiago, tecnicamente nel Comune di Caltrano, da neanche tre mesi è attiva una cucina che è tra le più interessanti (almeno) del Vicentino e segna la strada per la gastronomia dei prossimi anni.
Mi spiego. Siccome chi scrive è piuttosto stanco, dopo un paio di decenni di militanza nella critica gastronomica, di giovani cuochi che puntano sugli effetti speciali con poca umiltà, finendo per essere solo delle brutte copie degli autentici geni – ma i geni, ahinoi, nascono raramente – è una consolazione conoscere lo stile e assaggiare le proposte di Malga Serona, locale di piatti raffinati, di grande elaborazione mentale ma di altrettanto esemplare semplicità.
Il tutto in un locale rustico davvero, non finto rustico chic, di soli 14 posti, con un servizio assai cordiale e discreto. E un conto ragionevole, il che non è poco, lontano dalle cifre iperboliche dei ristoranti stellati, anche se la cucina, appunto, non ha niente di invidiare a quelli. Settanta euro per otto portate e i vini – ne sono stati serviti sei, tutti naturali di piccole aziende – non sono tanti. Se aggiungete il fatto che al lavoro c’è una brigata di neanche trentenni, si capisce perché coltivare la speranza.
I giovani protagonisti. Il posto è davvero una malga che fa parte del Giro delle malghe in Altopiano, gestita da dieci anni da Davide Nicoli, 33 anni, allevatore di Bressanvido con un’azienda di 70 vacche, alla terza generazione di imprenditori del settore. D’estate si trasferisce con gli animali sull’Altopiano e dà inizio alle danze. Da giugno, assieme ai due cuochi, ha dato vita a questo nuovo progetto di ristorazione.
A Malga Serona bisogna proprio volerci arrivare, perché – a parte gli escursionisti – la strada è pure sterrata e vi ritrovate a disputarvi lo spazio con le vacche
placide in mezzo alla via. Ma ne vale la pena. A mezzogiorno il servizio offre piatti tradizionali da malga, dai maccheroncini ai taglieri.
Alla sera tutto si trasforma e la zucca, ortaggio peraltro nobilissimo, diventa la carrozza di Cenerentola. O quella di Hans, per chi se la ricorda. Si apre una stanza a fianco del dehors da battaglia, non più di venti metri quadrati, e la cucina confeziona un menu, unico per tutti, di ben altro genere.
Merito di Nicoli, che ha la stoffa dell’imprenditore: visione lunga, capacità di scegliere le persone e di farle girare assieme. E poi sicuramente dei cuochi: vale a dire di Andrew Lunardi, 27 anni, esperienze all’Hotel Europa di Asiago con Alessio Longhini e prima con Norbert Niederkofler. E si vede che ha imparato bene.
Assieme a lui lavora Mauro Gaiotto, 26 anni, di Noventa di Piave: ha conosciuto all’Europa Andrew e l’ha seguito in questa avventura. Che dura pochi mesi. Per gli altri sei mesi i due cuochi vanno in giro per il mondo a imparare: Andrew, appassionato di braci e griglia, in Svezia e Gaiotto in Cile. Mica dietro l’angolo.
Fanno esattamente quello che raccomandava Sergio Marchionne ai giovani: “Andate in giro, imparate e tornate”. E se Lunardi gioca in casa, Gaiotto un giorno vuole tornare davvero a casa, al confine tra Veneto e Friuli, per impegnarsi lì. Dice che ce n’è bisogno.
I piatti. La trota grigliata sullo stile yakitori giapponese, con salsa al latticello e fiori di sambuco è un esempio di quella semplicità che, affermava George Sand “è quanto di più difficile da ottenere a questo mondo” perché richiede intuzione, applicazione e tenacia. Far sembrare semplice qualcosa di complesso è una grande sfida. Domanda: le trote nuotano in Altopiano? Risposta: no, sono
quelle della zona di Bressanvido, ricca di acque e fossi, a cominciare dal Tesina. Si è sempre a chilometro zero di qualcuno.
Gli gnocchi di mezzano, attenzione non ripieni di formaggio ma proprio confezionati con l’Asiago mezzano, sono interessanti per questo motivo e anche per un altro: sono cosparsi di cenere di vacca rendena. Non pensate male: la cenere è quanto si ottiene dal fegato affumicato, disidratato e ridotto in polvere.
Inoltre, per chi è stanco del risotto, il porridge offerto dalla Casa è un’alternativa intelligente: realizzato con i cereali che loro stessi coltivano (non dimentichiamo che siamo in un
agriturismo) è cotto utilizzando il brodo di muschio e aromatizzato con erbe e foglie raccolte nel bosco.
I secondi variano da un classico capel del prete, impeccabile, allo spiedino con midollo e mirtillo, un boccone che è una scoperta. La carne è dei vicini di casa della Fattoria ai Capitani che meritano davvero una citazione.
Capitolo a parte per i tre dolci – non dolci, che celebrano il genio locale, nel senso anche di genius loci. Citiamo solo la granita al latticello con asperula, ribes e pigne di pino mugo: è una creazione che dimostra una mano sicura perché la pigna non è facile da gestire in cucina.
La squadra. Ultima, ma non certo per importanza, la citazione per lo staff: Silvia Pozzato, moglie di Davide Nicoli, è anche avvocata e lavora a Vicenza. Elena Valleriani, 28 anni, ha una laurea in agraria e si alterna tra il capoluogo e l’altopiano, dove cura anche l’alimentazione delle vacche in alpeggio. Assieme a loro due, il servizio è composto da Camilla Zanandrea, 27 anni, chimica. In cucina lavora Filippo, il fratello diciannovenne di Davide. Il servizio serale è aperto dal giovedì alla domenica fino a tutto settembre, dopo di che si torna a Bressanvido. Ah, provate anche il loro burro: non lo dimenticherete.
Antonio Di Lorenzo
www.ilvicenza.com 37 Enogastronomia
In alto Davide Nicoli, Andrew Lunardi e Mauro Gaiotto. La trota cucinata con i fiori di sambuco e la salsa al latticello; gli gnocchi di mezzano; lo spiedino
Trame, protagonisti e volti nuovi, anticipazioni e commenti
etiche
“Il giurato” ed è una serie comica approdata, un po’ in sordina, su Prime Video. Jury Duty - questo è il titolo originale - si avvale di una premessa semplice ma non banale. Dopo aver risposto ad un annuncio online, il trentenne Ronald Gladden viene selezionato, insieme ad altre undici persone, per svolgere il compito di giurato in un processo civile che sarà l’oggetto di una docu-serie che ambisce a raccontare il dietro le quinte del sistema giudiziario americano. Quello che Ronald non sa è che tutte persone con cui interagirà nel corso di quel processo – gli altri giurati, avvocati, accusa e difesa, persino il giudice – sono attori che seguono un copione alla lettera. Ronald, invece, è una persona qualunque. Qui viene il bello. Ogni reazione di Ronald, dal suo stupore ad una escalation di eventi sempre più bizzarri (coi quali gli autori della serie lo torturano) alla serietà con cui affronta il compito di “capo giurato”, sono genuine. Soltanto alla fine del (finto) processo Ronald scoprirà di essere l’inconsapevole protagonista di una commedia a metà tra la candid camera e l’improvvisazione. C’è chi dirà che c’è ben poco di nuovo: il “Grande Fratello” esiste da vent’anni. È vero, ma qui non si fa leva sul voyeurismo, ma sull’etica individuale. Ronald è chiamato a misurarsi con una serie di dilemmi morali di fronte ai quali sceglie sempre basandosi sul proprio criterio di giustizia, e non sulla convenienza. Quanti di noi riuscirebbero a fare altrettanto?
S’intitola
Questa è la domanda che la visione della serie sollecita nello spettatore. Jury Duty è creata da Gene Stupnitsky e Lee Eisenberg, due che di “mockumentary” (il genere comico dei finti documentari) sanno moltissimo, avendo lavorato al remake americano di The Office (quello con Steve Carell, per intenderci). Tra i produttori c’è anche James Marsden che interpreta una versione esagerata di sé stesso. La serie si compone di otto episodi da mezz’ora e ha ottenuto ben tre nomination agli Emmy. Il vero trionfatore di questo esperimento è Ronald, che da installatore di pannelli fotovoltaici a San Diego si è ritrovato a diventare uno degli attori rivelazione di quest’anno.
Siintitola “In fiamme” ed è una miniserie ispirata a uno dei casi di cronaca nera che più ha scosso l’opinione pubblica spagnola negli ultimi anni. A quasi due anni dalla conclusione de “La casa di carta”, serie spagnola che l’ha resa un’attrice di fama globale, Ursula Corberó torna protagonista di una serie tv Netflix. Stavolta non interpreta più Tokyo, la ladra dal cuore d’oro nella banda del Professore. Ursula è passata dall’altra parte della barricata. Ne “In fiamme” presta il volto a Rosa Peral, ambiziosa ex cubista divenuta poliziotta, in congedo dopo un forte esaurimento nervoso e il difficile divorzio dall’ex marito Javi. Il racconto prende il via nel mese di maggio 2017, quando i resti carbonizzati del poliziotto Pedro sono ritrovati all’interno di un’auto bruciata nel bacino di Foix, poco lontano da Barcellona. L’indagine prende una piega inaspettata quando porta alla luce una rete di rapporti malsani, inganni, violenze e scandali sessuali che coinvolgono Pedro e due colleghi poliziotti: la sua compagna Rosa (alla quale è legato anche affettivamente da pochi mesi) e l’ex ragazzo di lei, Albert. Rosa è vittima degli uomini che le stanno intorno, siano essi i suoi partner Javi, Pedro e Albert, o gli altri poliziotti ai quali la unisce un codice d’onore alimentato dall’omertà. Eppure Rosa è anche la burattinaia che tira le fila di un’indagine che manipola per distruggere il suo ex marito. Non è semplice portare un fatto di cronaca, specie di nera, sullo schermo quando lo si racconta dal punto di vista degli omicidi. Il rischio è di trasformare i veri criminali in tragici antieroi, complici le (avvenenti) fattezze degli attori che spesso li interpretano. È stato così per “Dahmer”, la serie Netflix con Evan Peters uscita lo scorso anno. Eppure “In fiamme” funziona, stuzzicando l’appetito dello spettatore con il pathos esagerato dei racconti spagnoli (si urla, si grida, si dispera: tutto è sopra le righe) e giocando sulla curiosità morbosa di un pubblico che ormai, a quelle di finzione, preferisce le disgrazie reali.
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Film e serie tv visti da vicino
Quel lavoro da giurato solleva domande
“In fiamme” funziona col suo pathos esagerato
Rubrica a cura di Paolo Di Lorenzo
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