Migrare per immagini

Page 1

Migrare per immagini

Diploma accademico di II livello in GRAFICA DELLE IMMAGINI INDIRIZZO IN ILLUSTRAZIONE Laura Pizzato n.matricola 207 Relatrice: Silvana Sola Correlatore: Gianluigi Toccafondo A.a 2012/13



Migrare per immagini

Diploma accademico di II livello in GRAFICA DELLE IMMAGINI INDIRIZZO IN ILLUSTRAZIONE Laura Pizzato n.matricola 207 Relatrice: Silvana Sola Correlatore: Gianluigi Toccafondo A.a 2012/13



“La perdita di luoghi, di volti, di abitudini. È l’inizio di un percorso nuovo, di ricognizione ed esplorazione, per ricollocare un intero vissuto dentro l’ignoto, dove lo sguardo e la mente spaziano alla ricerca di simboli, suoni, profumi, sapori, gesti, immagini, che siano in qualche modo riconoscibili.”. (Straniero, Adel Jabbar, Trento)



»»Sommario >>Abstrat.................................................... 1 »Introduzione. » .............................................. 1 >>Migrazione.............................................. 3 >>Incipit e quesiti iniziali........................... 5 >>Libri che parlano di migrazione............. 5 »Mariana » Chiesa Mateos.............................. 9 >>Migrando................................................. 9 » Shaun Tan.................................................. » 11 >>L’Approdo ............................................... 11 »Antonella » Toffolo........................................ 14 >>Il fazzoletto bianco................................. 14 »Satrapi » Marjane.......................................... 17 >>Persepolis............................................... 17 »Armin » Greder.............................................. 22 >>La città ................................................... 22 »Alicia » Baladan............................................. 25 >>Piccolo grande Uruguay........................ 25 »Carmela » Leuzzi........................................... 28 >>Sole e la speranza.................................. 28 »Andrea » Rivola............................................. 32 >>L’altra città.............................................. 32 »Sandro » Natalini.......................................... 34 >>Il sapore amaro delle arance................. 34 >>Wilhelms Reise, Eine Auswanderergeschichte..................................................... 36 >>Autement, la collana “Francais d’ailleurs”. ................................................................ 39 »José » Manuel Mateo - Javier Martínez........ 43 >>Migrar...................................................... 43 »Carolina » D’angelo....................................... 45 >>H.H.......................................................... 45 »Isabelle » Arsenault....................................... 47 >>Migrant.................................................... 47 »Francesco » Chiacchio.................................. 49 >>Dall’Atlante agli Appennini.................... 49 »Andrea » Calisi............................................... 52 >> Viaggiatori del sogno............................ 52 »Janne » Teller................................................ 54 >>Guerre .................................................... 54 »Vittoria » Facchini......................................... 56

>>Uno e sette.............................................. 56 »Valérie » Losa................................................ 58 >>Sapore italiano....................................... 58 »Tejubehan. » .................................................. 60 >>Drawing from the City............................ 60 >>Cenni storici............................................ 65 »L’Italia » da emigrazione ad immigrazione.. 65 »Immigrazione » italiana in Argentina........... 67 »L’emigrazione » in Friuli: un fenomeno antico. .................................................................... 69 »1880-1915: » la grande emigrazione............ 69 »Tra » le due guerre........................................ 69 »Il » secondo dopoguerra: la ripresa dell’emigrazione........................................................ 70 »Un » mutamento storico: 1968, l’inversione del saldo migratorio..................................... 71 »1970-2005: » la politica regionale per l’emigrazione........................................................ 72 >>Le interviste............................................ 75 »Intervista » a Olga......................................... 77 »Intervista » a Liliana...................................... 79 »Intervista » a Danilo e Leandro.................... 81 »Intervista » a Florencia................................. 85 >>Le illustrazioni e il cortometraggio........ 89 >>Bibliografia............................................. 137 >>Sitografia................................................ 139 >>Tesi consultate....................................... 140 >>Articoli consultati................................... 140 >>Ringraziamenti....................................... 141



»»Abstrat

>>Introduzione

La migrazione umana è un’argomento molto sentito negli ultimi anni e possiede un’ampia possibilità di ricerca. Sono partita dalla ricerca di albi illustrati che trattano di questo ambito perché trovo interessante come ogni individuo abbia rappresentato la propria esperienza portandola spesso ad un livello superiore, in un certo senso universale. Questo lungo percorso mi ha portato a riflettere su varie questioni inerenti. Tutti noi conosciamo qualche migrante, o magari lo siamo noi stessi. Io, undici anni fa, ho conosciuto una persona speciale che, guarda caso, è italo-argentina. wPoi, negli anni un pò per caso, ho conosciuto altri emigranti argentini in Italia. Così ho voluto intervistarle per capire, per farmi raccontare le loro storie di vita. Nell’ultima fase del lavoro, ho deciso di far confluire i loro racconti in una storia unica. Dapprima ho rappresentato singolarmente degli eventi e, successivamente, ho deciso di farne un’unico elaborato.

La migrazione rappresenta uno dei tratti peculiari della storia dell’Italia degli ultimi venticinque anni. Dell’Italia di oggi e futura: essa è entrata a far parte della nostra identità collettiva. Forse c’è ancora poca consapevolezza, scarsa capacità di comprendere la portata «epocale» di tali cambiamenti. Non vi è disciplina che non abbia affrontato i temi della migrazione e dei processi di inclusione (o esclusione) che ne conseguono, a dimostrazione del carattere di «novità» e «pervasività» dei fenomeni di cui ci occupiamo. Dobbiamo considerare anche l’ampio repertorio di metafore e rappresentazioni offerte dai diversi linguaggi artistici ed espressivi, che hanno contribuito fin dai suoi esordi a costruire l’immaginario sulla migrazione. Un immaginario che si è nutrito e modificato attraverso più canali percettivi e cognitivi: dalla esperienza personale e dai racconti familiari e amicali, all’offerta dei media, spesso semplicistica e stereotipata, fino alle visioni e rappresentazioni proposte dalle arti visive e letterarie. Con un’accelerazione dell’ultimo decennio, le migrazioni di uomini e donne provenienti da ogni angolo del mondo hanno ricevuto una vasta attenzione nella letteratura, nel cinema, nella fotografia, nel teatro, nella canzone. Linguaggi «accessibili» rispetto a quelli veicolati da ricerche o studi monografici. Narrazioni che, nel migliore dei casi, hanno promosso due diversi livelli di comprensione: quello della comprensione intellettuale oggettiva, mediante un approccio di tipo conoscitivo/informativo rispetto ai mutamenti in atto, e quello della comprensione umana intersoggettiva, attraverso un approccio più di tipo affettivo, attento a sviluppare la capacità di decentramento, apertura e curiosità per le storie di tutti e di ciascuno. Cosa emerge da queste narrazioni? Quali sono i temi e gli aspetti maggiormente esplorati? Come e con quali chiavi «narrative»? Con quali esiti? Quali visioni, «valori» e «messaggi» vi trovano spazio?

1



»»Migrazione “La perdita di luoghi, di volti, di abitudini. È l’inizio di un percorso nuovo, di ricognizione ed esplorazione, per ricollocare un intero vissuto dentro l’ignoto, dove lo sguardo e la mente spaziano alla ricerca di simboli, suoni, profumi, sapori, gesti, immagini, che siano in qualche modo riconoscibili.” (Straniero, Adel Jabbar, Trento).” L’uomo fin da quando viene definito tale è sempre stato un nomade. Seguendo gli enormi branchi di bestiame si spostava da una terra all’atra alla ricerca di cibo. Con la scoperta dell’agricoltura e dell’allevamento ha cominciato a fissare la propria abitazione in un determinato territorio, facendo nascere così i primi villaggi. Questo però non ha comunque posto fine ai suoi spostamenti. Oggi nell’era della globalizzazione ci troviamo di fronte ad una terra dove le barriere o limiti fisici non rappresentano più difficoltà inaffrontabili. Grazie ai mezzi di comunicazione è possibile spostarsi restando comunque nel proprio territorio ed essere presenti sempre ovunque in tempo reale. Quelli che prima erano villaggi ora sono diventati enormi città che spesso offrono svariati svaghi e cercano di soddisfare ogni bisogno “umano”. La presenza di questi mezzi non ha comunque posto fine alla vera e propria migrazione fisica. Grazie a macchine, treni sempre più rapidi e aerei, è possibile muoversi in un campo non più limitato come era invece per i primi uomini della storia. Le cause che spingono continuamente l’uomo a muoversi da un posto ad un altro sono svariate e difficili da riassumere. Quello che è importante, all’inizio di questo testo, è far riflettere sulle sensazioni che nascono all’interno di un individuo appena inserito in un nuovo contesto di vita. Quanti di noi si sono sentiti spaesati e persi almeno una volta nei propri viaggi d’avventura all’estero? Provate ad immaginare queste sensazioni trasportate all’interno di un essere umano che per la prima volta mette piede in una città “straniera” con la speranza

Il primo nomadismo

di creare un futuro migliore per se e per la sua famiglia. Esso si trova ad affrontare una serie di ostacoli che lo porteranno all’isolamento (lingua, burocrazia, spazi comuni ecc…). Sentirsi straniero è da sempre un sentimento provato dall’uomo e quest’ultimo si è sempre sentito libero di attribuirlo per distinguere con superficialità le “razze”. L’Italia dei nostri giorni si trova ad affrontare un’enorme ondata di migrazione (siamo passati da terra di emigranti a terra d’immigrati) che ha determinato una serie di cambiamenti a livello nazionale. Con essa si è anche aperto un gigantesco dibattito politico che da anni occupa un ruolo rilevante all’interno dei diversi partiti. Basti pensare come recentemente è cambiata la mentalità dei politici. Quante leggi sono nate con l’intento di “tutelare” la figura dell’immigrato o di aumentarne la sua rilevanza sul suolo italiano? Il contesto urbano assume quindi un ruolo rilevante per lo straniero che arriva nel territorio italiano, spesso visto come una “terra promessa”. La città offre di suo canto una serie di strutture o sovrastrutture. Talvolta, purtroppo, non sono favorevoli per creare quella serie di fattori che portano all’integrazione dell’individuo immigrato sia nel tessuto sociale che nello spazio.

La situazione italiana

3



»»Incipit e quesiti iniziali

»»Libri che parlano di migrazione

Come viene raccontata l’immigrazione da questi autori e in questi testi? Quali sono i contesti e le situazioni in cui sono ambientate tali narrazioni? Queste sono le domande poste da Lorenzo Luatti, un ricercatore dei processi migratori e delle relazioni interculturali, nei confronti di libri illustrati e non, che trattano tale argomento. Da qui si è partiti per un piccolo viaggio alla scoperta di questi libri illustrati, e di come gli stessi illustratori abbiano affrontato i vari progetti libro o le rispettive illustrazioni.

A differenza dei giovani lettori di ieri, i ragazzi di oggi dispongono di un panorama vasto e composito di metafore e rappresentazioni sulla migrazione, e sui suoi molteplici esiti. Le migrazioni internazionali iniziano a fare la loro comparsa nella narrativa italiana per ragazzi dai primi anni novanta del secolo scorso. Un quindicennio dopo l’avvio della nota trasformazione dell’Italia da paese di emigrazione a paese di immigrazione, da terra di partenze a terra di arrivi.

Cercando di rispondere alla prima domanda del prof. Luatti direi che vi sono state due principali modalità: la prima è di raccontare la propria storia e di conseguenza la propria ricerca d’identità, esperienze, percorsi di vita. Un’altra modalità è di raccontare la storia di qualcun’altro come pretesto per introdurre il tema stesso dell’immigrazione, ma anche del razzismo e dell’ interculturalità. I contesti e le situazioni in cui sono ambientate sono le più varie e le più interessanti: dal fuggire dal proprio paese in guerra, al cambiare città, dal narrare una situazione successiva alla migrazione, alla condizione dello straniero. Il lavoro che si è svolto comprende la ricerca di libri illustrati con tema principale la migrazione umana. Da qui si sono aperte varie questioni e argomentazioni.

Il racconto “dell’avventura’’ dell’immigrazione e dell’integrazione si compone di una pluralità di voci, codici, stili e chiavi narrative. Accanto ai tanti autori “autoctoni”, tra cui molti giornalisti che per il loro mestiere sono in continuo contatto con l’attualità e la realtà del Paese da cui traggono ispirazione per i loro romanzi, vi è un piccolo gruppo di autori di origine immigrata che racconta ai giovani - con le parole della nuova lingua - l’esperienza di migrazione, attingendo ai vissuti e ai ricordi personali e familiari. Molti testi rientrano nel genere della fiction a sfondo realistico, talvolta dichiaratamente ispirati a “storie vere”. In altri casi, prevalgono chiavi narrative collocabili più nel fiabesco o nel racconto giallo, che trovano così nuovi protagonisti e mutati contesti. “L’altro”, “il diverso”, e dunque spesso lo straniero e l’immigrato, con quell’alone di mistero che si porta dietro, appare un soggetto ideale per un racconto poliziesco. Del resto, anche le periferie multietniche delle nostre città, dipinte spesso come il luogo del degrado e del crimine, costituiscono ottimi contesti dove collocare storie con sfumature del “giallo”.

Storie di migranti

Per i personaggi stranieri si crea spesso un idioma tra diverse culture e lingue: tra la lingua materna, l’italiano standard e le forme dialettali della zona in cui vivono. Ciò evidenzia anche linguisticamente e foneticamente, la posizione di sospensione dei 5


protagonisti tra il passato e il presente. Per stemperare l’asprezza di certi incontri e scontri, il registro del “favoloso”, fino all’esplorazione dell’onirico e del surreale, ha offerto ad alcuni autori un’ottima via narrativa per parlare (anche) d’immigrazione e diversità culturali. Il racconto sull’esperienza migratoria è contrassegnato da alcuni passaggi tematici ricorrenti: l’addio alla terra d’origine e il viaggio verso un nuovo paese, l’inserimento a scuola e le relazioni nel gruppo dei pari, le relazioni nella città e la vita negli spazi di prossimità. All’interno delle narrazioni metaforiche che tematizzano il contesto scolastico, è presente un po’ tutto il repertorio di atteggiamenti che ha accompagnato l’inserimento degli alunni stranieri in questi vent’anni di idee e pratiche nella scuola multiculturale: curiosità, buonismo, aperture, timori, chiusure, fatiche, dedizioni.... La figura dell’allievo straniero neo arrivato che fa il suo ingresso nella nuova scuola, e il suo incontro/scontro con i compagni che talvolta coinvolge anche le famiglie, sono motivi che ancora pervadono l’immaginario degli scrittori per ragazzi (benché nella realtà si tratti di un fenomeno in netta diminuzione). In queste narrazioni emergono spesso situazioni e eventi che hanno favorito positivamente i cammini di inclusione, aprendo a relazioni più distese in classe. Lo “sblocco” nel percorso di integrazione avviene quando i bambini e i ragazzi neo arrivati riescono ad esprimere saperi, talenti e competenze fino a quel momento non riconosciuti. Quello che oggi è nuovo è che i movimenti si muovono all’interno di un sistema di comunicazione ignoto nel passato, che da forma al desiderio e all’oltraggio, e al tempo stesso anche agli adattamenti alle scelte, alle ribellioni. Sono le trasmissioni televisive che portano nelle nostre case il dramma delle marce disperate verso la promessa del benessere. Sono le comunicazioni sul web che muovono la partecipazione e i rimorsi. I vissuti delle vittime e dei carnefici sono attraversati dalla creazione di un immaginario collettivo che, paradossalmente, proprio in un conflitto pone alla sua base i principi di territorialità e di appartenenza etnica, trascen6

Migrazione e nuove generazioni

dendo gli spazi delle singole nazioni. Oggi tutto sembra darsi e farsi in tempo reale, come se gli avvenimenti si moltiplicassero nella percezione di ciascuno, producendo una sorta di accelerazione della storia. Analogamente lo spazio intorno a noi si dilata, ma al tempo stesso si restringe, poiché ogni luogo è raggiungibile in poche ore, e qualsiasi messaggio può pervenire in pochi istanti ad un destinatario che fisicamente si può trovare a migliaia di chilometri. Ma proprio nell’epoca dello “spazio cibernetico”, nell’epoca in cui i legami con uno specifico territorio sono sempre più labili, il concetto di “patria”, di “terra d’origine”, continua a porsi con forza come uno dei principali elementi alla base delle nostre identità culturali. Questa identità monolitica e predominante è viva in quelle comunità che vivono le migrazioni più drammatiche, gli esili forzati, e anche in quelle che creano di sè un’immagine di stabilità lunga nel tempo: per le une, memoria, nostalgia, rimpianto, per le altre, superbia, orgoglio e difesa. Così dovunque si rivitalizzano tradizioni ed usi lontani, spesso adattati a nuovi fini ideologici. Così le radici sono immaginate e idealizzate. Così si difendono immaginarie purezze identitarie. La ricerca della “purezza” ha guidato le azioni di molti regimi del XX secolo, e continua oggi la sua rappresentazione feroce nella ex Jugoslavia ma anche in Ruanda, in Iran, a Timor, e in Afghanistan. Oggi queste “purezze identitarie”, con la loro esclusività ideologica e territoriale, si sono sparse in tutto il mondo: è come se la disseminazione delle notizie aprisse più luoghi non connessi spazialmente. I gruppi di migranti, gli esiliati e i rifugiati costituiscono oggi in tutto il mondo il “luogo” dove è possibile individuare queste contraddizioni e questi antagonismi. Ma in questi luoghi si realizzano anche inaspettati ibridismi, incontri che danno luogo a intese e ad accordi. “Vi sono popoli - scrive il sociologo Stuart Hall - che appartengono a più di un mondo, dimorano in più identità, hanno più di un focolare. Esistono gruppi che hanno appreso a tradurre, ossia a negoziare tra le diverse culture. Questi gruppi prodotti


da numerosi intrecci biografici e culturali hanno appreso il vivere di culture variegate.

comunitaria, definendo i loro stili di vita e i loro modelli educativi. Questi individui devono divenire consapevoli protagonisti di questa lotta. Dovrebbero conoscere qual è la posta in gioco e avere gli strumenti per sentire ed agire.

Se si vogliono avviare iniziative tese ad illustrare le nuove pluralità culturali, è necessario attingere alle riflessioni delle scienze umane. Esse si applicano ai rapporti interculturali e alle produzioni nei diversi campi artistici ed estetici. La finalità dovrebbero essere dì aprire a tutti il discorso culturale, decentrandolo e allontanandolo da visioni chiuse e gerarchizzanti. L’esperienza artistica è in grado di illuminare con immediatezza e profondità il mondo che ci circonda, di spingere ad elaborare i nostri sentimenti e a provare curiosità per quelli degli altri. L’arte contemporanea cerca di coinvolgere gli individui e le masse. Accetta di aprirsi ai grandi temi della nostra epoca e, allo stesso tempo, di renderli soggettivi e individuali nell’espressività dell’artista nell’accezione del fruitore. Aprendosi a problematiche contemporanee ha privilegiato la rappresentazione di nuovi modelli migratori e ha ricostruito più volte la visione comune. Molte espressioni artistiche, da quelle letterarie a quelle visive, superano oggi il livello della rappresentazione. Si applicano ai temi della contemporaneità con sguardi inaspettati, indicando nuovi modi e nuove prospettive per interpretarli e per viverli.

L’importanza dell’opera d’arte

Per immaginare e quindi progettare un multiculturalismo efficace è necessario affermare che le varie culture non sono chiuse in loro stesse, ma sono attraversate da differenze interne, da contestazioni e critiche. Al centro della nostra storia tutto sembra giocarsi nei termini di una possibile convivenza che consenta di guardare a possibili futuri. In ogni modo, su questo campo, è in atto una lotta accesa, confusa e feroce, che ha per oggetto proprio i modi che definiscono la convivenza. Essa ha al centro “chi” e “che cosa” controlla e definisce l’identità degli individui, dei gruppi sociali, delle nazioni e delle culture. Dai piani della politica, dell’economia e delle ideologie essa discende nei vissuti dei singoli individui, struttura i loro percorsi lavorativi e i livelli di partecipazione alla vita 7



viaggio

>>Mariana Chiesa Mateos

01_I e IV COVER

17-09-2009

15:35

Pagina 1

Mariana Chiesa Mateos

orecchio acerbo € 14,00

Mariana Chiesa è nata in Argentina, a La Plata, nel 1967. Si dedica all’incisione, alla pittura e al fumetto: tre diversi modi per definire la sua vocazione di disegnatrice. Il mestiere l’ha imparato a Buenos Aires, da Alberto Breccia, il maestro che scambiò la sua matita per un coltello. Ama Alejandra Pizarnik, la poetessa che vedeva se stessa come una bambina in un giardino. La narrazione è il filo conduttore dei suoi disegni che raccontano del sesso, dell’infanzia, del desiderio, della perdita. Nel tentativo di coniugare il privato con il sociale, di aprire uno spazio di incontro possibile fra la sua intimità e quella degli altri. Ha collaborato con case editrici di tutto il mondo: Lápiz Japonés, El ojo clínico, Sins entido, L'Association e Media Vaca tra le altre. Ha insegnato incisione e ha partecipato a numerose mostre. Nel 1997 si è trasferita a Barcellona, dove è rimasta fino al 2008. Oggi vive in Italia, vicino a Bologna. Fra i suoi libri ricordiamo: “Mis primeras 80.000 palabras” opera collettiva di cui ha realizzato anche la copertina (Media Vaca, 2002), “Tipos ilustrados” (Cromotex, 2004), ”No hay tiempo para jugar” con Sandra Arenal (Media Vaca, 2004) premiato nel 2005 dalla Biblioteca Internazionale di Monaco e uscito successivamente in Italia con il titolo “Non c'è tempo per giocare” (Zoolibri, 2007), “Sex Design” opera collettiva (Collins Design & Loft Publications.N.Y., 2006), “Il nostro italiano per ragazze e ragazzi” (AIPI/CASIU Montevideo, 2009). Nel catalogo di orecchio acerbo: “Migrando”, 2010.

»»Migrando Migrando, libro di Mariana Chiesa edito da Orecchio acerbo è stato realizzato con la collaborazione di Amnesty International Italia. Mariana Chiesa Mateos, disegnatrice argentina che vive stabilmente in Italia, racconta attraverso le illustrazioni le migrazioni, due in particolare: quella degli italiani ed europei che vanno, agli inizi del ’900, verso il sudamerica e l’Argentina; quella, ancora più disperata, di oggi dove gommoni e mezzi di fortuna traghettano attraverso il mediterraneo uomini, donne e bambini dalle coste africane o mediorientali verso l’Europa. Nel libro non vi è presente un protagonista riconoscibile, è un pò come se ognuno vi si possa identificare. Le persone, mediante la illustrazioni, vengono paragonate alla specie migratoria per eccellenza: gli uccelli.

Le forme sono stilizzate dominano colori vivaci. Strutturalmente il libro si può leggere in due direzioni diverse

9


27

a

Pagina 12

03_INTERNO x pdf

17-09-2009

10

15:27

Pagina 24


approdo >> Shaun Tan

Shaun Tan è nato a Perth, in Australia, nel 1974. È ormai universalmente riconosciuto come un artista a tutto tondo: illustratore, pittore, fotografo, regista cinematografico, animatore, scrittore e scultore, con Elliot Edizioni ha già pubblicato L’approdo, Oggetti smarriti e The Rabbits. Tra i numerosi premi ricevuti, il World Fantasy Award 2001, il Fauve d’Or al Festival di Angoulême 2008, l’Astrid Lindgren Memorial Award 2011 e l’Oscar 2011 per il miglior cortometraggio per l’animazione di Oggetti smarriti.

»»L’Approdo Un uomo lascia la sua famiglia e si mette in viaggio alla ricerca di un posto migliore per vivere. Un racconto per immagini per raccontare il dramma dell’emigrazione ma anche la stupita meraviglia del viaggiatore. E la gioia immensa del ricongiungimento famigliare. Un favola per grandi e piccini costata quattro anni di lavoro al suo autore. Arriva anche da noi grazie ad Elliot Edizioni il capolavoro assoluto di questo grande artista. Una geniale anomalia, come è stato definito. Un libro senza parole, dedicato ai piccoli, e pubblicato in prima istanza da un’editore di libri per bambini , e divenuto in breve uno dei bestsellers letterari assoluti. “The arrival” tradotto alle nostre latitudini con “L’approdo”, ha vinto numerosi premi fra cui il prestigioso Fauve D’Or all’ultima edizione del festival del fumetto di Angouleme. “Gran parte di questo libro è ispirata ad aneddoti raccontati da migranti di varie nazionalità ed epoche, compresi quelli di mio padre, che dalla Malesia emigrò in Australia occidentale nel 1960” Non possiamo dar torto a Shaun Tan quando parla della potenza del “racconto silenzioso”. La voce narrante, malgrado la mancanza di parole è chiaramente quella del protagonista. Dice Shuan Tan [...] Scegliendo i fotogrammi, ho giocato con loro digitalmente, distorcendo, aggiungendo e sottraendo, disegnandovi sopra, testando le varie 11


sequenze per vedere come essi potevano essere “letti”. Questi sono diventati i riferimenti compositivi per i disegni terminati che sono stati realizzati con metodo “old-fashioned” - matita di grafite su carta- [...] Ha implicato parecchie difficoltà riuscire a combinare immagini di riferimento realistiche di gente e oggetti in un mondo totalmente immaginario per rendere un’emozione simile a quella che prova un immigrato in terra straniera, ho voluto creare un posto immaginario ugualmente poco conosciuto a lettori di qualsiasi età o background (tra cui me stesso). Il risultato non consente al lettore di rimanere indifferente alle inquadrature dei dettagli, alla tangibile espressività dei personaggi, alle miniature ramificate in meravigliose gigantografie. I paesaggi sono surreali, come pure gli oggetti e gli esseri che popolano il mondo in cui si trova catapultato il nostro protagonista ma, nella loro combinazione, richiamano immagini realistiche.

12


13


tornare >>Antonella Toffolo

Antonella Toffolo è nata nel 1961 a Milano. Dopo il diploma artistico e la Scuola del Fumetto di via Savona, disegna illustrazioni per il “Corriere dei Piccoli”, Mondadori ed Elemond. Nel 1992, collabora con Piero Ventura a I vestiti per la collana. Le tracce dell’uomo. Pubblica i primi fumetti con il gruppo Struwwelpeter nelle antologie Pierino Porcospino (1995 e 1996). Una sua storia compare nell’antologia internazionale Comix 2000 (L’association). Nel 2004, per i Cani, gruppo indipendente di fumettisti di cui fa parte, produce l’albo Raffiche e una breve storia per l’opera collettiva Svincoli. Nel 2005, esce il suo primo libro, Gina cammina, edito dal Centro Fumetto Andrea Pazienza, entrato nella terna finalista del premio Comicon Micheluzzi, per il miglior fumetto dell’anno. Nel 2007, il Museo della Resistenza di Bologna le dedica una mostra e l’ANAFI le conferisce il Premio Albertarelli. Il pifferaio di Hamelin è il suo primo libro per ragazzi. E’ mancata nel febbraio del 2010 a Pavullo nel Frignano.

»»Il fazzoletto bianco C’era una volta un ragazzo povero che un giorno decise di andare a cercare fortuna. Di regola nelle favole il protagonista giramondo la fortuna la trova davvero e rientra al suo paese ricco sfondato. Quella di Viorel Boldis invece non è una favola e in Occidente il suo ragazzo avventuroso incontra solo la realtà degli immigrati. Allora ripercorre i suoi passi con la paura che la porta della casetta di mattoni blu per lui sia chiusa per sempre. Come successe a Peter Pan, che volò via dalla sua camera e non poté più rientrare perché la mamma, dopo averlo atteso tanto, aveva sbarrato la finestra lasciandolo fuori, a sperdersi nei giardini di Kensington o nell’Isola che non c’è. Al giovane romeno di Boldis va molto meglio che all’eterno fanciullo di Barrie. Un centinaio di righe in tutto che fan capire ai lettori più giovani la condizione dei migranti, le loro speranze e le loro delusioni. A completare il testo, le tavole nero su bianco di Antonella Toffolo che evocano con tratti spigolosi e guizzanti le corse, i giochi, la fuga, il viaggio.

14


“É un racconto per parole e immagini intenso e struggente. È la storia di una partenza dalla propria terra d’origine e di uno strappo delle proprie tradizioni e dalla propria famiglia, amate e odiate con uguale violenza. Ma è anche la storia di un confronto con la dura realtà delle terre inospitali e

fredde in cui arriva chi migra. Ed infine è la storia di un ritorno pieno di ansia e gioia, ricco di pathos e di emozione, grazie a cui, dopo la ribellione e la fuga giovanili, ritrovare il senso degli affetti e delle proprie radici.”

15


c

16


coraggio >>Satrapi Marjane

Passa l’infanzia a Tehran, cresciuta da una famiglia di idee progressiste; frequenta il Lycée Français locale e, da bambina, è testimone del travagliato processo che porterà l’Iran da monarchia a repubblica teocratica, passando per la rivoluzione islamica. Nel 1983 i genitori di Marjane, allora quattordicenne, decidono di mandarla a Vienna, in Austria, allo scopo di tenerla lontana da un regime divenuto sempre più oppressivo, in particolare verso le donne. Secondo quanto narrato nell’autobiografia a fumetti Persepolis, pubblicata in Italia da Lizard e in seguito da Sperling & Kupfer e dal Gruppo Editoriale L’Espresso (nella collana I classici di Repubblica serie oro), la Satrapi trascorre nella capitale austriaca gli anni dell’adolescenza (scuole superiori, iscrivendosi poi alla facoltà di tecnologia che di fatto non frequentò mai), tornando poi in Iran per frequentare l’università. Lì conosce un ragazzo di nome Reza, con il quale si sposerà; il matrimonio però non dura a lungo, e dopo il divorzio la Satrapi si trasferisce in Francia nel 1994, all’età di 25 anni[2]. Oggi vive a Parigi, dove lavora come illustratrice ed autrice di libri per bambini. La carriera della Satrapi parte dall’incontro con David B., Un fumettista francese, del quale ha adottato lo stile, soprattutto nelle sue prime opere. La Satrapi ha acquisito fama mondiale grazie alla serie Persepolis, romanzo a fumetti autobiografico elogiato dalla critica, nel quale descrive la sua infanzia in Iran e la sua adolescenza in Europa attraverso una serie di intelligenti quanto avvincenti episodi di vita quotidiana. È stata insignita del premio per il miglior albo al Festival International de la Bande Dessinée d’Angoulême del 2004 per il suo Broderies (in Italia Taglia e cuci), pubblicato l’anno precedente e per il più recente Pollo alle prugne, di cui sembra essere previsto un film d’animazione. Attualmente cura per il The New York Times una colonna illustrata, pubblicata nella sezione Op-Ed del giornale con frequenza apparentemente irregolare. Nel 2006 la Sony Pictures Classics ha trasformato Persepolis in un film d’animazione, la cui diffusione è iniziata nel 2007. Scritto e diretto da Vincent Paronnaud assieme alla stessa Satrapi, la pellicola annovera tra le sue voci quelle di Chiara Mastroianni, Catherine Deneuve, Danielle Darrieux, e Simon Abkarian. Il film è uscito nelle sale italiane il 29 febbraio 2008, distribuito da BIM Distribuzione, con un adattamento in italiano che vanta Paola Cortellesi, Licia Maglietta e Sergio Castellitto tra i doppiatori.

»»Persepolis Persepolis. Histoire d'une femme insoumise) è il titolo di un fumetto storico/autobiografico, scritto in lingua francese e disegnato dall'autrice iraniana Marjane Satrapi. L'opera narra la vita dell'autrice, dall'infanzia trascorsa in Iran sino all'età adulta; da un lato, Persepolis racconta soprattutto dell'Iran, dell'evoluzione e dei mutamenti che tale Paese ha subìto in seguito alla Rivoluzione Islamica, visti attraverso gli occhi prima di una bambina e poi di una donna adulta; ma racconta anche dell'Europa, del mondo "occidentale" osservato da un'adolescente costretta ad allontanarsi dal proprio Paese e da una dittatura opprimente, soprattutto verso le donne. Persepolis offre un punto di vista differente rispetto a quello dei libri di storia o delle cronache occidentali, a proposito del periodo della rivoluzione o di quello immediatamente successivo del conflitto Iran-Iraq; un punto di vista interno al Paese, vicino nel tempo e nello spazio a quegli avvenimenti, spesso triste protagonista. L'autrice, Marjane Satrapi, non è una fumettista di professione, bensì un'illustratrice di libri per bambini. I suoi disegni tuttavia risultano molto espressivi, e più che adatti a narrare la storia di Persepolis. In Italia Persepolis è stato pubblicato per la prima volta da Edizioni Lizard in 4 volumi, usciti tra il 2002 e il 2003 e presto esauriti. Visto il successo ottenuto, Persepolis viene ristampato dalla Sperling & Kupfer in due tomi, usciti nel 2003 e nel 2004. Nel maggio 2007 la Lizard decise di far uscire l'edizione integrale dell'opera in un unico volume. 17


ÂŤ Dovete sapere che i re della dinastia Qajar avevano centinaia di mogli. Le quali hanno partorito migliaia di bambini. Se si moltiplica il numero di tali bambini per le generazioni si ottengono, non so, da dieci a quindicimila principi [e principesse]. Non c’è nulla di particolarmente eccezionale in tutto questo. Âť Marjane Satrapi

18


19


20


21


straniero >>Armin Greder

Nasce nel 1942 in svizzera. Armin Greder è fumettista, graphic designer e illustratore. È emigrato in Australia nel 1971, dove ha insegnato design e illustrazione al Queensland College of Art. Al suo lavoro sono state dedicate numerose mostre personali e collettive dalla Germania fino al Giappone. Nel 1996, ha ricevuto il Bologna Ragazzi Award e l’ IBBY Honour List con “The Great Bear” di Libby Gleeson (Scholastic Press). Con Libby Gleeson ha pubblicato anche: “Big dog” (1991), “Sleep time” (1993), “The princess and the perfect dish” (1995) e “An ordinary day” (2001). “Thie Insel” (“L’isola” orecchio acerbo, 2008) pubblicato da Sauerlander nel 2002, è il libro di cui per la prima volta è anche autore dei testi. È tradotto in moltissime lingue e ha ricevuto premi in tutto il mondo, fra cui il Goldener Apfel/Golden alla Biennale di Illustrazione di Bratislava del 2003. “La città” (orecchio acerbo, 2009), uscito in anteprima internazionale in Italia, è il suo secondo libro come autore unico.

Armin Greder

LA CITTÀ

»»La città Tutti in esilio sull’Isola invasa, come nella Città proibita. Che Armin Greder, scrittore magnifico di grafic novel, stia procedendo alla rappresentazione di una straordinaria commedia umana? Drammatiche le immagini irrompono e poi s’assestano nella pagina, scritta per narrare, questa volta, ne La città, dopo il capitolo de L’Isola, il destino dell’uomo, nato alla propria vita. “I vostri figli non sono vostri figli. Essi vengono per mezzo di voi, ma non da voi. E benché siano con voi, non vi appartengono”. Khalil Gibran

traduzione di

Alessandro Baricco con una nota di

Antonio Faeti

orecchio acerbo

22

Un Altrove fiabesco, rifugio di amore materno esclusivo, lontano da tutto e da tutti, beato e poi maledetto, di solitudine paesaggi e natura, si contrappone all’idea di Città, luogo reale, vagheggiato e mai visto, dove si accede all’incontro con “altri”, dove si va nella vita. Per proprio conto. In quell’ Altrove vive la madre che cresce suo figlio, per “preservarlo”. Meravigliose le immagini che, in meravigliosa sequenza, sviluppano e “crescono” il piccolino che diventa ragazzo e poi adulto. Lui e la mamma sempre lontani e da soli. “Fino a quando, una notte senza luna, lei morì”. La madre morì e allora arrivarono i lupi... Fu solo dopo incubi lunghi, protratti, ben disegnati per disperare di risvegliarsi, che il figlio trovò finalmente la strada che porta in Città...” Un punto di vista magnifico che non esclude stralci di personale e universale dolore.


Una notte

Così continuò a vagare nella desolazione dell’inverno. Le ossa senza pace pesavano di giorno sulle sue spalle, e di notte lo tenevano sveglio sussurrando alle sue orecchie.

23 Poi, un giorno, la notte lo sorprese…


Allora mise in una coperta le ossa e, con quel fagotto in spalla, andò a cercare un posto dove sepellirle.

Vagò di qua e di là con il suo pallido fardello, ma ovunque decidesse di seppellirlo, le ossa non erano d’accordo. Provò sotto un albero: “No, non qui”, dicevano, “potrebbe cadere un ramo.”

24

Davanti “E se ci f

Ai margi “No, non la strada


>>Alicia Baladan

regime

Alicia Baladan è nata nel 1969 in Uruguay dove ha vissuto fino a 11 anni. Trasferitasi in Italia, dopo aver finito la scuola dell’obbligo in Brasile a Rio de Janeiro, si è diplomata presso l’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano. Ha partecipato a diverse mostre e film-festival internazionali di animazione e sperimentazione dell’immagine curate dall’archivio d’arte contemporanea Careoff di Milano. Ha collaborato con la Stalker Multimedia nella realizzazione di progetti culturali e allestimenti di ludoteche in vari musei. Da alcuni anni si è concentrata sull’illustrazione sviluppando l’aspetto narrativo del suo lavoro. Alcune sue tavole sono presenti alla mostra itinerante Blue Book Group 2010. Attualmente vive e lavora a Brescia. Una storia guaranì è il suo primo libro.

»»Piccolo grande Uruguay Anni Settanta. Uruguay. La situazione è drammatica: la dittatura ha preso il potere, seminando il terrore con abusi e violenze di ogni tipo, portando l’economia, la società e la vita civile sull’orlo della catastrofe. Alicia vive in prima persona queste vicende. Suo padre, oppositore del regime, è in carcere. E la famiglia è fatta oggetto di continue visite da parte dei militari. Tuttavia, grazie a una madre coraggiosa e alla solidarietà di amici e parenti, le sarà possibile condurre una vita magari non normale, ma intensa e ricca di affetti, giochi, scoperte. Almeno fino al momento in cui sarà costretta a riparare all’estero da un regime sempre più violento e spietato con chi gli si oppone.

25


26


27


speranza >>Carmela Leuzzi

Carmela Leuzzi, ‘Linda’ per gli amici, vive a Bari, dove insegna. Diplomata in Pittura all’Accademia di Belle Arti della sua città, ha frequentato anche corsi della scuola estiva di Sarmede. Scrive e illustra libri per ragazzi.

»»Sole e la speranza Testo e illustrazioni di Carmela Leuzzi. Storia ispirata ad Ester Ada, ragazza in attesa morta durante uno dei tanti viaggi della speranza nelle acque italiane e alla quale è stata dedicata una sala nella sede della Regione Puglia. Sole è una bambina nigeriana che vive nella pancia della mamma. Dal suo mondo protetto e ovattato la piccola sente tutto ciò che accade intorno a sé: impara a riconoscere i suoni della sua terra e i versi dei grandi animali, selvaggi e coraggiosi. Le sembra quasi di vedere i paesaggi senza confini di questa terra calda come il fuoco e di gustarne i profumi e i sapori. Sente gli schiamazzi dei bambini e le risa delle donne; le sente ballare intorno al fuoco nelle notti stellate, le sente cucinare e lavorare. Ma Sole non percepisce solo gioia e allegria, ma anche miseria e paura. La guerra e i suoi soldati fanno scappare i più indifesi e strappano via i sorrisi, senza più restituirli. È per questo motivo che gli occhi della mamma spesso si riempiono di lacrime: la mamma non ha paura, ma Sole sì, ha paura della fame e della sofferenza. Un giorno, come se avesse sentito i suoi pensieri, la giovane donna prende una decisione coraggiosa: andarsene. Nella borsa mette pochi oggetti indispensabili che le serviranno a ricordare la magia dell’Africa anche al di là del mare: una foglia, un leone di pezza e una foto con dei bambini sorridenti. Ma ciò che servirà più di tutto è tanta Speranza...

28


29


30


Carmela Leuzzi ci racconta una storia intensa in presa diretta dalla cronaca quotidiana. Attraverso tavole a collage su cartoncino nero, in cui l’uso del tratteggio e l’impostazione dell’immagine schematica rievocano le caratteristiche tipiche dell’arte africana, la giovane illustratrice riesce a trasportare il lettore direttamente nelle calde terre africane. Dosando con armonia pochi colori intensi e luminosi (soprattutto gialli e azzurri, verdi e rossi, che danno l’idea di un paesaggio pieno di vita), dà grande risalto ai corpi neri tratteggiati e ai bianchi che riflettono la luce. Bellissime le onde del mare che, come l’ordito di un telaio, sorreggono la barca piena di gente portandola lontano, in terra straniera; come altrettanto

meravigliose sono le stoffe che drappeggiano i corpi delle donne, a cominciare dal motivo a rombi bianchi e azzurri della mamma di Sole, che diventa il vero motivo della storia. Attraverso la voce di Sole, le cui posizioni nel sacco amniotico seguiamo pagina dopo pagina in un angolino sotto il testo, ricostruiamo la vita delle donne nigeriane, i cui occhi, profondissimi, ci trasmettono sentimenti di amore e di speranza. È un racconto semplice e delicato, che ha la qualità di rifuggire da qualsiasi caduta nella retorica e nel patetismo, trasmettendo invece sentimenti genuini di dolcezza e speranza.

31


multiculturalità >>Andrea Rivola

Andrea Rivola nasce a Faenza nel 1975. Diplomato al Liceo Artistico di Ravenna, è laureando al corso DAMS-Arte presso l’Università di Bologna. Nel 2001 si è classificato al secondo posto al Concorso d’ Illustrazione Nazionale “Progetto Gutenberg” di Fucecchio. Nel 2002 ha vinto il primo premio al Concorso Internazionale di Illustrazione “Omaggio a Bertoldo” del Comune di San Giovanni in Persiceto (Bo), mentre, nel 2003, ha ottenuto il Premio “Miglior libro illustrato 3/8 anni” al Concorso Internazionale “Sulle ali delle farfalle” di Bordano, ed è stato selezionato al Concorso Internazionale “Torino, Città di Cultura” indetto dal Comune di Torino. Nel 2004 ha ottenuto il 4° Premio al Concorso Internazionale di Illustrazione “Il Gatto con gli stivali”, indetto dall’Accademia Pictor di Torino. Nel 2006 ha ottenuto un Award per l’Illustrazione Italiana e il Premio Speciale “Città di Schwanenstadt” al concorso “Sulle ali delle farfalle” di Bordano.

»»L’ altra città Lecomte Mia, L’altra città, Sinnos, Roma, 2010, illustrato da Andrea Rivola. L’Altracittà è la città che tutti abitiamo e spesso non sappiamo. L’Altracittà è la città che abbiamo sotto gli occhi e spesso non vediamo. L’Altracittà è la solita città e spesso non la riconosciamo. Un viaggio delicato alla scoperta di ciò che è intorno a noi, nelle nostre città, ma che spesso non si vede o non si vuole vedere. Da 6 anni. L’Altracittà è un cartonato a formato orizzontale e le illustrazioni si inseguono orizzontalmente come una sequenza filmica dilatandosi, e il testo assomiglia a una sceneggiatura. L’occhio del regista si sposta da un primo piano ad un altro, o fa scorrere il piano americano, o si sofferma sui volti e altri particolari, creando brevi fermi-immagine. Raccontando di ogni personaggio una storia (sono poche frasi connotanti un carattere, tipo di vita, attività) o la breve azione che sta compiendo mentre l’occhio della cinepresa (o la penna della scrittrice) le gira intorno per poi riprendere a parlarne (cioè tornare sul primo piano) là dove l’aveva lasciato. L’Altracittà infine è una grande città multietnica e multireligiosa e per questo così variegata, 32

complessa e colorata, e ci sfila sotto i nostri occhi ormai costretti a vederla così com’è – “costretti” dall’evidenza prepotente della realtà stessa, una realtà umana mostrata con tanta delicatezza e tenerezza divertita, senza fronzoli, senza lirismi inutili, e lo slancio vitale necessario. L’Altracittà è la città di chi lavora sodo e combatte quotidianamente per la sopravvivenza, dorme nelle periferie quando ha un letto e dentro i cartoni quando non ce l’ha, lotta tra mille difficoltà per non essere emarginato e ottenere i suoi diritti di cittadino compiendo i suoi doveri, onestamente, con una bella carica positiva e senso di responsabilità; ma è anche la città di chi si approfitta degli altri e non s’impegna in nulla, si droga, spaccia, è obbligato a prostituirsi e a truffare, compiere dei reati contro la legge, vivere nell’invisibilità e nell’assoluta indigenza con la paura di essere ricacciato verso il paese d’origine: sono bianchi e neri, gente di ogni colore, donne e ragazze, vecchi, giovani e bambini. Immergere il ragazzo o il bambino in questa realtà ormai ineludibile che è lì attorno a noi, introducendolo alle problematiche dell’integrazione, dell’identità e del rispetto delle differenze, per una convivenza equilibrata.


33


diversità >>Sandro Natalini

Diplomato in Arte dei metalli e dell’oreficeria e Arte della fotografia e della grafica pubblicitaria, Sandro Natalini consegue la laurea presso l’Isia di Urbino in progettazione grafica e successivamente la laurea specialistica all’Isia di Faenza in Design della comunicazione. Grafico progettista per Condé Nast Italia per la testata Vogue, inizia poi l’attività di illustratore per il settore scolastico per Giunti, Loescher e Raffaello. Si dedica inoltre alla narrativa - anche come autore - pubblicando per case editrici nazionali ed internazionali, tra le quali Fatatrac, San Paolo, Coccole e Caccole, Everest, Templar, Città Nuova, La Margherita, Tundra Books, etc. Ha realizzato più di venti pubblicazioni e ottenuto diversi riconoscimenti tra i quali: primo premio del concorso internazionale di illustrazione di Bordano (nel 2006 e nel 2009), vincitore del premio americano Oppenheim Best Book 2009 e selezionato in due edizioni di Figures Futur (Parigi). Nell’ambito dell’illustrazione ha curato le mostre “Frammenti di un discorso amoroso”, ispirata all’opera di Roland Barthes (galleria Capodilucca di Bologna, 2007) e “Mitico, Dei ed eroi a misura di bambino” (Museo Archeologico di Bologna), evento patrocinato dal Mibac (2008). Ha realizzato illustrazioni per la mostra

“Stiamo scavando per voi” all’interno della manifestazione Archeopolis presso il Museo civico archeologico di Bologna (2011). Si occupa anche di formazione in qualità di titolare di cattedra di progettazione grafica presso l’Istituto Professionale Aldrovandi Rubbiani di Bologna; è docente e coordinatore didattico dal 2002 dei corsi post-diploma IFTS ad indirizzo Grafico Multimediale della Comunità Europea; è docente a contratto di Tecniche grafiche del Corso di Laurea in Design e Discipline della Moda presso la Facoltà di Lettere e Filosofia di Urbino e di Illustrazione presso l’ISIA di Urbino. Tiene corsi di aggiornamento per insegnanti e laboratori di illustrazione per bambini presso scuole e biblioteche.

»»Il sapore amaro delle arance Tutti sanno quanto le arance facciano bene: ricche di vitamine C e A, potenziano il sistema immunitario e proteggono dallo stress e dall’aria inquinata, rallentando persino l’invecchiamento della pelle. Ottime come merenda, spremute sono eccezionali, deliziose come confettura e memorabili quando si trasformano in bibite che ci fanno frizzare il naso... Da un fatto di cronaca una storia al margine, unica e simile a tante altre dal retrogusto amaro che ruota intorno a questo piccolo sole arancione, per riflettere sul difficile tema dell’immigrazione. Età di lettura: da 7 anni. 34


35


storia

»»Wilhelms Reise, Eine Auswanderergeschichte Bremerhaven nel 1872. Per sfuggire alla povertà, nel suo piccolo villaggio, William va a bordo del Columbia sulla strada per l’America. Con sé il suo quaderno di schizzi che racconta del senso di oppressione in terza classe, della tempesta e la calma, mal di mare, parassiti e gallette, il lavoro dei marinai, ma anche dei giochi dei bambini e le luci notturne. Finalmente il grande giorno è arrivato: la Columbia ha raggiunto il porto di New York! Un libro illustrato e romanzo storico che dà un sacco di informazioni interessanti sulla grande stagione dell’ emigrazione e di vita su una nave a vela. “Le immagini vengono amorevolmente dipinte e storicamente accurato in ogni dettaglio. E ‘come sfogliare un vecchio album di foto, casualmente spiegato in modo tecnico, medico e culturale. “ Times “ È il viaggio della letteratura per eccellenza.” Germania cultura radiofonica “Si può immaginare in modo sorprendente come sia successo su tale nave. Questo è molto ben spiegato nel libro, per esempio, dove l’andare in bagno, l’unico secchio e ciò che i bambini hanno per giochi a bordo di ciò che cantano, che cosa succede durante la notte. Sempre con molte, immagini molto ben disegnate. E ‘come un libro illustrato, ma anche come una storia, quindi non c’è molto da leggere..“ Germania Radio cultura, Kakadu »Anke Bar ha concesso così tanti spunti che si diventa noi stessi emigranti esperti....“ Il valore predefinito

36


37


38


percorso »»Autement, la collana “Francais d’ailleurs” Proprio in collaborazione con la Cite Nationale de l’histoire de l’immigration, nei solchi di un percorso di educazione all’integrazione e all’inclusione, la casa editrice Autrement lancia nel 201 1 la collana di divulgazione “França is d’ail leurs, rivolta a bambini e adolescenti dai 9 ai 13 anni. Nove titoli, nove percorsi tra fin zio ne narrativa e realtà documentaristica, nove diverse storie d’immigrazione in Francia. “Raccontare i destini degli immigrati in Francia consente ai riscoprire la storia del nostro Paese, ripercorrerla con sguardo allargato, al di là di schemi e di cliché, rivalutandola come processo dialogico di costruzione identitaria” Jessie Magana, responsabile della collana. Ogni racconto ricostruisce un periodo storico preciso attraverso vicende familiari raccolte dallo sguardo pulito e minuzioso dell’infanzia e dell’adolescenza, in uno sviluppo narrativo in cui la Storia si personalizza e si condensa nel singolo, caricandosi di aneddoti e ricordi: c’è il racconto di Angelica, una giovane immigrata italiana alla ricerca di libertà e di autoaffermazione, che attraverso i libri e le parole cerca di cambiare il proprio destino e diventare tipografa. Conosciamo Adama, uno studente di origine malese naia in Francia, che sogna di partire per Mali in un viaggio di formazione, di ricostruzione del le proprie radici. Anouche, rifugiata armena, che nella terra d’approdo trova lo spazio, fisico e mentale, per liberarsi dei traumi del passato, per reimparare, e ricominciare, a crescere. Solchiamo il Mar Cinese con Thien An, in fuga dal Vietnam comunista, per poi tuffarci nelle pagine del diario di viaggio di Le’ila, dall’Algeria a Billancourt; in compagnia di Antonio valichiamo i Pirenei. Con ardore partigiano, per sottrarci allo spettro del franchismo e insieme a Cha’ima raccogliamo. Con orecchio attento, le memorie antiche del nonno. Con Jacek entriamo nella comu-

39


40


41


nità dei minatori arrivati dalla Polonia dopo la Grande Guerra c con Joào, in Francia con la Famiglia per sfuggire al regime di Salazar, affrontiamo i temi caldi del lavoro immigrato, della sicurezza, del diritto allo sciopero. Il racconto, in Forma narrativa, mescola insieme la Piccola e la Grande Storia e permette di cogliere tematiche universali, eppure così profondamente umane, con uno sguardo che si mantiene sempre trasversale, tra finzione letteraria e fedeltà storiografica ti spiega la Magana. Ogni volume è riccamente illustrato e completato, in appendice, da un quaderno di appunti e allegati documentaristici, cronologie e glossari, che fanno di questi libri un utile strumento di studio e di approfondimento.

42

La collana si avvale inoltre del sostegno dell’ACSE -Agence nationale pour la cohésion sociale et l’égalité des chances (Agenzia nazionale per la coesione e le opportunità), organizzazione attiva sia a livello nazionale sia, con struttura capillare, in ambito loca le. Nata nel 2006, in risposta alle rivolte nelle banlieue parigine dell’autunno 2005, l’ACSE opera con lo scopo primario di combattere le disuguaglianze sociali e le condizioni d’indigenza, nell’ottica di uno sviluppo che non può prescindere da un accesso indiscriminato alle risorse culturali, giuridiche e sanitarie del Paese.


bambini >>José Manuel Mateo - Javier Martínez

»»Migrar Vincitore “New Horizons” al Children Book Fair 2012 Le motivazioni della giuria. “Mirabile è l’intuizione che preliminarmente conduce alla realizzazione di un libro come questo, pronto a dominare, da solo, uno scaffale che non può ospitare altri racconti. L’espediente che conduce fino alla gremitura – ancora misteriosa – che era alla base della “pittura delle grotte”, viene qui riproposto in tutto il suo struggente messaggio.” È un bambino che racconta del viaggio della sua famiglia e, insieme, le migliaia di pericolosi e umilianti viaggi della speranza che i bambini messicani o centroamericani, soli o con le loro famiglie, tentano per arrivare negli Stati Uniti. Migrar è un libro difficile, impietoso come può esserlo solo il racconto di una verità tragica, di una memoria che si è fatta storia quotidiana, il racconto per voce di quei quasi 50 000 bambini messicani che attraversano il confine e parlano alla nostra coscienza. Il tipo di impaginazione “a leporello” che contribuisce alla narratività della storia. Non sono presenti colori, difatti, come si

può notare è un libro in bianco e nero. Dove questa diviene una caratteristica positiva. Tutti insieme, tutta la storia, tutti i personaggi, il Dopo accanto al Prima, perché lo Sviluppo non è dato da scansioni ma dal modo di “leggere” che ogni fruitore può usare. La Comic Art, la Pop Art, i pittori “muralisti”, gli affreschi densissimi, le stoffe, i Presepi, concorrono a stabilire un grande Antefatto visivo. Una suggestione offerta dalla molte microstorie che qui si delineano, una per una. Dalla tipologia di segno si sente la forte influenza degli affreschi di Diego Rivera e di David Alfaro Siqueiros, e soprattutto delle incisioni su legno si José Guadaloupe Posada.

43


44


crocevia >>Carolina D’angelo

Carolina D’Angelo nasce a Offida, nelle Marche. Si è laureata in Lingue e Letterature Straniere e in Scienze della Formazione all’Università di Bologna. Ha collaborato con diversi editori italiani (Jaca Book, Sinnos, Edizioni Corsare, Lapis) e stranieri (Grandir Edition, Rass Edition Hong Kong, Sd-edicions Provença di Barcellona) come autrice di albi illustrati, filastrocche e romanzi brevi.

»»H.H. D’Angelo Carolina, H.H., Principi & Principi, Arezzo, 2011, pp. 48 ill. Rilegato. Storie del nostro tempo. L’Hotel House esiste davvero. Si trova a Porto Recanati, nelle Marche. È un palazzo enorme di 17 piani, 480 appartamenti, innumerevoli antenne paraboliche e soltanto 2 ascensori funzionanti per le 2300 persone che sono venute a vivere qui da 32 paesi diversi. L’Hotel House è un crocevia di lingue, di culture, di bambini. Ognuno ha le sue abitudini, il suo credo, le sue credenze, le sue differenze. L’Hotel House di Porto Recanati è soltanto un esempio di come queste convivenze attorcigliate e lunghe, continuano a coesistere e a resistere anche a dispetto delle nostre paure. Da 12 anni.

45


46


nomadi >>Isabelle Arsenault

Isabelle Arsenault è un illustratore che ha studiato Graphic Design presso l’Université du Québec à Montréal (2001). Dopo gli studi, ha rapidamente contribuito a diverse riviste in Canada e negli Stati-Uniti. Nel 2004, Isabelle ha illustrato il suo primo libro per bambini, per cui ha ricevuto il Premio del prestigioso Governatore Generale per la letteratura per bambini in francese (illustrazione). La sua passione per i libri illustrati ha portato sempre di più a continuare a perseguire questa strada. Da allora, è stata finalista in altre due occasioni per (“La mia lettera al mondo”, “migranti”), finalista al Premio Baillie Marilyn nel 2011 (“Spork”) e il suo libro “Migranti” è del GG tra i 10 migliori libri illustrati del 2011 secondo il New York Times. Nel 2012, ha ricevuto il Premio del suo secondo governatore generale per le illustrazioni di “Virginia Wolf”, oltre ad aver vinto le prix jeunesse des libraires du Québec per “Fourchon” (versione francese di “Spork”). Isabelle, che ama lavorare intuitivamente, adotta un approccio al suo lavoro che si ispira ai progetti che le viene assegnato. Il suo stile è intriso di sensibilità e finezza. Si attira l’attenzione dei giovani tanto quanto quella degli anziani, che a volte possono avere una comprensione più approfondita di esso. Isabelle Arsenault vive e lavora a Montreal. Isabelle Arsenault, fra le più brave illustratrici canadesi. Il libro, pubblicato da Kids can Press, ha vinto il premio ministeriale per le arti.

»»Migrant Anna è la figlia di mennoniti dal Messico, che sono venuti a nord per la raccolta di frutta e verdura. A volte si sente come un uccello, volare a nord in primavera e sud in autunno, a volte come una lepre in una tana abbandonata, dal momento che la sua famiglia occupa una casa colonica del vuoto vicino ai campi, a volte come un gattino, condivide il letto con lei sorelle. . . Ma soprattutto Anna si chiede come sarebbe essere un albero radicato profondamente nella terra, a guardare le stagioni che vanno e vengono, invece di essere come una “piuma al vento”.

47


48


imbarcarsi >>Francesco Chiacchio

“Considero il disegno principalmente come una fonte di energia rinnovabile, che si alimenta attraverso incontri imprevedibili. La carta è un elemento prezioso del mio lavoro, un materiale per cui nutro molta curiosità e rispetto. Ultimamente la cerco in strada, sui muri della città, tra gli scarti di vecchi lavori o tra le pagine delle riviste. Come scrivo di solito per presentarmi: amo coltivare le parole nell’ortografia, anaffiarle con segni differenti, osservarle crescere e coglierle in un disegno. Vivo con un occhio di riguardo all’altro occhio, e viceversa.” Francesco Chiacchio è nato a Fiesole nel 1981 e vive a Firenze dove divide spesso un foglio con l’ombra di una matita: Ha illustrato libri - 90 secondi all’inferno. Storie jazz di Gianluca Monastra e Massimo Basile (2007, Luciano Vanni Editore), Dall’Atlante agli Appennini di Maria Attanasio (2008, Orecchio Acerbo) – dischi, scritto alcune storie a fumetti - Miracolo a Polignano nell’antologia Gli intrusi. Appunti da una terra vicina(2007, Coconino Press), Ash nel numero 9 di BLACK (2008, Coconino Press) – e disegnato manifesti per il teatro. Nel 2009 alcuni suoi disegni hanno illustrato interamente il numero 114/115 de Lo straniero, rivista fondata e diretta da Goffredo Fofi. Nello stesso anno ha realizzato una serie di illustrazioni per la X (Suite for Malcolm) composta da Francesco Bearzatti per il suo Tinissima Quartet, progetto multimediale con proiezioni dal vivo. Nel 2010 ha partecipato alla IX edizione di Futuro Anteriore, mostra sul presente del fumetto italiano curata da Michele Ginevra ed Emiliano Rabuiti. Attualmente collabora con la Repubblica come illustratore per le pagine della cultura di Firenze.

»»Dall’Atlante agli Appennini Un ragazzino, poco più di un bambino. La madre lontana, a lavorare in un paese straniero. Qualche saluto dai parenti di ritorno, poche lettere, poi neppure più quelle. E poi la decisione di imbarcarsi per andare a cercarla in quel

Dall’Atlante agli Appennini di Maria Attanasio illustrazioni di Francesco Chiacchio

orecchio acerbo

paese lontano. La fame, il freddo, la paura. Per giungere però, col fiato sospeso, all’atteso lieto fine. Titolo, trama, personaggi, tutto è esplicito e diretto riferimento a “Dagli Appennini alle Ande”. Ma Marco è diventato Youssef, il suo paese non è ai piedi dell’Appennino ligure ma dell’Atlante marocchino, l’Eldorado non si chiama Argentina ma Italia. Da una delle più interessanti scrittrici siciliane dei nostri giorni, la trasposizione contemporanea di uno dei più noti racconti di Edmondo De Amicis. Romanzo d’avventura e al tempo stesso lirica e dolente partecipazione sia alle sventure dell’emigrazione, sia al dramma della separazione di madre e figlio, “Dall’Atlante agli Appennini” è anche ferma e radicale denuncia di chi tutto questo sfrutta. Senza Cuore. 49


50


51


colori >>Andrea Calisi

Nato a Roma nel maggio del 68. Attualmente lavora come maestro presso la scuola materna Girogirotondo di Roma. Ha collaborato come illustratore grafico e creativo con InArea di Roma, Studio Sectio, WWF, Interferenze, Regione Lazio, Università di Siena, Edizioni Corsare, Sinnos, Inchiostro, Bookmoda, Festival del cinema africano di Milano, ARCI Nazionale, Touring Club Italiano, Alberto Gaffi Editore, Universal Music, Edizioni Ponte Sisto. Ha inoltre esposto le sue opere a Villa celimontana Jazz, Montalcino Jazz & Wine, Umbria Jazz, Expo Cartoon di Roma, Sano Museum di Mishima, daimaru museum di Kyoto, Mitsukoshi Dept. Store di Tokyo.

»» Viaggiatori del sogno Testo di Giuliana Fanti, illustrazioni di Andrea Calisi Poi iniziò a cantare. E seppi che il suo canto parlava di quella terra, e di quella terra raccontava le storie di innumerevoli esseri, animali, vegetali, minerali che nei secoli, nei millenni, ne avevano tessuto la vita, in un’armonia perfetta, in un susseguirsi senza fine di giorni e di notti, di cicli di esistenze.

52



guerra

>>Janne Teller

Dal 1999 il suo romanzo d’esordio, Isola di Odino l’acclamata saga nordica di fanatismo politico e religioso, ha pubblicato diversi best-sellers. Il romanzo è il vincitore dell’importante Premio Miglior libro per bambini dal Ministero della Cultura danese, Le Prix Libbylit 2008 per il miglior romanzo per bambini nel mondo di lingua francese, così come in Stati Uniti il 2011 Michael L. Honor Award Printz e la Mildred Batchelder Honor Award. Tra i suoi altri romanzi sono Europa, tutto ciò che ti manca (Gyldendal 2004) circa il significato della storia in guerra e d’amore ambientata nel 1990 nei Balcani, così come Vieni (Gyldendal 2008), un breve e intenso romanzo esistenziale di etica nell’arte e vita moderna. Originariamente educa come un economista, Janne Teller ha vissuto e lavorato con le questioni umanitarie e di risoluzione dei conflitti in luoghi diversi come la Tanzania, il Mozambico e il Bangladesh. Nel 1995, ha lasciato la sua carriera professionale con le Nazioni Unite di concentrarsi completamente sulla sua letteratura. Ha vissuto e lavorato in tutto il mondo. Oggi risiede a New York, e in parte anche a Berlino. Janne Teller spesso partecipare al dibattito pubblico. I suoi libri filosofici e controverso scintilla acceso dibattito in Danimarca, e sempre più spesso anche altrove.

»»Guerre Immaginate: c’è la guerra, non in Iraq o in Afghanistan, in qualche luogo lontano, ma qui in Europa, in Francia, a casa. “In guerra”, Janne Teller ha iniziato una riflessione sperimentale: attraverso un rovesciamento di prospettiva, ci spiega le questioni e le implicazioni di un rifugiato politico, l'esilio e la sopravvivenza in un paese straniero.

54


55


pelle

>>Vittoria Facchini Vittoria Facchini è nata a Molfetta, in Puglia, il 10/02/69. Dopo il Liceo Artistico frequentato a Bari nella sezione di Architettura si sposta a Firenze per specializzarsi in Grafica Pubblicitaria ed Editoriale. A Venezia, invece, studia illustrazione con Emanuele Luzzati. E' questo incontro, in assoluto, che ha poi segnato "assai" appassionatamente la sua scelta di "illustrare" senza tradire quella carica di energia dirompente e dissacrante che caratterizza lo stile dei suoi disegni. Dopo aver lavorato per moltissimi anni come illustratrice pubblicitaria firmando numerose immagini per il Salone del Gusto di Torino, per il Vinitaly di Verona, per l'Osteria dell'Arancio di Grottamare e di Londra, nel 1997 inizia a progettare e a pubblicare albi illustrati per bambini.

»»Uno e sette La storia del bambino che è sette bambini, ognuno dei quali vive in un paese diverso. Ciascuno di loro ha un nome diverso e un padre diverso. Qualcuno ha la pelle scura e qualcuno è biondo, qualcuno ascolta film in spagnolo e qualcun altro in inglese. Ma sono lo stesso bambino, perché tutti ridono nella stessa lingua.

56


57


tradizioni >>Valérie Losa

Valérie Losa . illustratrice, è nata a Locarno (Svizzera) nel 1980. Ha iniziato i suoi studi artistici in Belgio, a Bruxelles, alla Ecole Supérieure des Arts Visuels de la Cambre, studiando incisione. In seguito, prosegue i suoi studi (Comunicazione Visiva), alla Hochschule für Gestaltung und Kunst a Lucerna in Svizzera dove ottiene il suo diploma di Illustratrice nel 2006. Attualmente vive a Neuchâtel, in Svizzera, dove lavora come illustratrice indipendente in diversi settori (libri per bambini e adulti, materiale scolastico, grafica, riviste, ecc.).

»»Sapore italiano Sedetevi alla tavola di una famiglia italiana all’estero, per esempio in Svizzera o in Germania, e non vi sembrerà in alcun modo di esservi spostati da casa. È così: gli italiani che lasciano il proprio Paese per cercare fortuna altrove si mettono dietro le spalle tutto ma non la cucina, non i sapori e le proprie tradizioni culinarie. Mai e poi mai - giurano - potrebbero rinunciare alla notoria dieta mediterranea, né per le infinite varietà di wurstel tanto meno per le svariate nuances di waffels. Perché la cucina è il simbolo, forse retorico ma efficace, del legame tra gli italiani che sono partiti e la propria terra di origine. Così capita di fare le scorte durante le vancanze perché i prodotti italiani all’estero costano il doppio, ma nemmeno allora le cose riescono ad essere genuine e mantenere il loro imperturbabile made in Italy. “Le cose in Italia hanno un altro gusto, un sapore del tutto diverso. Poi quando le cose lasciano l’Italia e attraversano il confine”... Viva l’Italia, ma soprattutto viva la sua cucina in cui si riuniscono i sussulti nostalgici dei connazionali oltre confine. Ma davanti alle mozzarelle che diventano blu come i puffi ed i pomodori cancerogeni viene spontaneo chiedersi se l’idea della gastronomia patria sia ancora valida o se sia la convinzione che il cibo di casa propria sia necessariamente il migliore. Sapore italiano descrive un’italianità gelosamente conservata nel tradizionale pranzo della domenica, nella tovaglia buona cucita a mano e tirata fuori solo in occa-

58

sioni speciali, ma che probabilmente non ha più il senso del tempo contemporaneo. In realtà sembra di ripercorrere una versione illustrata dell’italiano contemporaneo che non riesce a rinunciare al suo piatto di pastasciutta, ma senza la sostanza ed il gusto della medesima.


59


donne

>>Tejubehan

»»Drawing from the City “L’arte e il design al centro della scena in questa cura artigianale, elegante, di un libro artigianale. Questo splendido libro d’arte autobiografico racconta il percorso autodidatta di Tejubehan: da un’infanzia povera in un India rurale, attraverso gli sforzi della sua famiglia per migliorare la loro sorte in una tendopoli a Mumbai, e nella sua età adulta, quando viveva come cantante e artista con suo marito. Il testo ha un’immediatezza che rivela le sue radici in una storia di vita narrata oralmente. Come un artefatto fisico, si richiama l’attenzione sulla sua creazione con pagine rigide e profumate, di inchiostri tattili ... un’offerta unica che presenta ai lettori un storia di vita avvincente. “ Stella Review, Kirkus recensioni

60


61


62




»»Cenni storici >>L’Italia da emigrazione ad immigrazione La migrazione in Italia è un fenomeno relativamente recente. La sua prima manifestazione risale agli anni ‘70 per poi diventare un fenomeno caratterizzante del XXI secolo. Al 1° gennaio 2009 l’Italia era il quarto paese europeo per il numero assoluto di stranieri residenti, dopo la Germania (7,2 milioni), Spagna (5,7 milioni) e Regno Unito (4 milioni). L’Italia per gran parte della storia moderna è stato uno dei grandi paesi d’emigrazione. Si stima che tra il 1876 e il 1976 partirono oltre 24 milioni di persone (con una punta nel 1913 di oltre 870.000 partenze), al punto che oggi si parla di grande emigrazione o diaspora italiana. Si trattò di un esodo che toccò tutte le regioni Italiane. Tra il 1876 e il 1900 l’esodo interessò prevalentemente le regioni settentrionali (Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Piemonte) e con i due decenni successivi il primato migratorio passò alle regioni meridionali (Calabria, Sicilia e Campagna). Esistono due periodi che fanno parte dell’emigrazione Italiana: il primo chiamato grande emigrazione (fine XIX secolo e gli anni 30 del XX secolo) dove fu dominante l’emigrazione verso le americhe e quello dell’emigrazione europea, che ha avuto inizio a partire dagli anni ‘50. La grande emigrazione ha avuto come punto d’origine la diffusione della povertà in Italia e la voglia di riscatto d’intere fasce della popolazione, la cui partenza significò per lo Stato, e la società italiana, un forte alleggerimento della “pressione demografica”. Essa ebbe soprattutto come destinazioni Stati Uniti, Brasile e Argentina (paesi con grandi estensioni di terre non sfruttate con bisogno di manodopera). In Italia durante questa prima migrazione andarono a spopolarsi numerosi piccoli paesi. L’emigrazione europea della seconda metà del XX secolo, invece, aveva come destinazione soprattutto stati europei in crescita come la Francia, Svizzera, Belgio e Germania

ed era considerata da molti, al momento della partenza, come un’emigrazione temporanea nella quale lavorare e guadagnare per costruire, poi, un migliore futuro in Italia. Tuttavia questo fenomeno non avvenne e molti degli emigrati sono rimasti nei paesi di emigrazione. Altro fenomeno che riguarda l’emigrazione italiana è quello interno che assume un ruolo importante a partire dagli anni ’50 e ’60. Furono principalmente di due tipi: da una parte abbiamo lo spostamento di giovani dalla campagna alla città per motivi di studi e dall’altro lo spostamento dal mezzogiorno alle città industriali del nord per trovare un posto di lavoro sicuro. Per tutto questo periodo, il fenomeno dell’immigrazione era stato pressoché inesistente, ove si eccettuino le migrazioni dovute alle conseguenze della seconda Guerra Mondiale, come l’esodo istriano o il rientro degli italiani dalle ex-colonie d’Africa. Tali fenomeni tuttavia avevano un carattere episodico e non presentavano sostanziali problemi d’integrazione dal punto di vista sociale e culturale. A partire dagli anni ’70 comincia a salire il saldo migratorio nelle entrate, elemento che negli anni a venire sarebbe diventato un fattore costante. Negli anni ’90 il saldo migratorio ha continuato la sua salita e, dal 1993, è diventato il solo responsabile della crescita della popolazione italiana. Secondo i dati Istat più recenti, relativi al 1° gennaio del 2010, sono presenti in Italia 4.235.059 stranieri, pari al 7,0% della popolazione totale, con un incremento, rispetto all’anno precedente, dell’8,8%. In questo valore non sono presenti le naturalizzazioni (ovvero il processo per cui ottieni la cittadinanza), né ovviamente gli irregolari. Tale popolazione presenta un’età media decisamente più bassa di quella italiana. Negli ultimi anni c’è stato un incremento dei flussi provenienti dall’Europa orientale che hanno superato quelli relativi ai paesi del Nordafrica molto intensi fino agli anni ’90. La distribuzione degli immigrati, su territorio italiano, è piuttosto disomogenea. Nel nord-ovest risiede il 35% degli stranieri, nel nord-est il 26,6%, nel centro il 25,3% e nel mezzogiorno e isole il 13.1% nel 2009. Tuttavia, 65


recentemente, l’incremento della popolazione straniera è stato più consistente nel mezzogiorno che nel centro-nord. Sicuramente questa grande emigrazione verso il territorio italiano è frutto di tutte quelle situazioni di disagio che abbiamo trattato nei capitoli precedenti. L’Italia, di suo canto, offre una serie di situazioni favorevoli che attira molti stranieri. Basti pensare alle innumerevoli associazioni che, ogni giorno, si occupano della prima accoglienza. Questo nostro senso civico verso i loro confronti è sicuramente stato sviluppato dall’esperienza come emigranti. Di fatti gli italiani immigrati verso altri luoghi hanno trovato serie difficoltà. Da una parte pochi aiuti da parte dei paesi d’accoglienza e dall’altra la mancanza di strutture adeguate per la prima accoglienza. Ci siamo quindi trasformati da tradizionale area di emigrazione in area di accoglienza dei migrati. La politica comunque pare ignorare questa evidenza e rimane ancora ferma alle problematiche relative al controllo degli ingressi. Questo ha portato alla maturazione di un modello poco chiaro d’integrazione dovuto soprattutto al susseguirsi di diverse forze politiche. Si possono tuttavia individuare alcune caratteristiche ricorrenti negli anni: da un lato le carenze del sistema politico-istituzionale nel governare a priori i flussi migratori attraverso un’adeguata normativa ed efficaci programmazioni degli ingressi; dall’altro, di contrasto, l’elevata capacità della società civile ospitante di organizzare l’accoglienza attraverso iniziative del volontariato e dell’associazionismo, anche per contrastare crescenti fenomeni di chiusura e rigetto da parte dell’opinione pubblica generati da una distorta percezione del fenomeno, alimentata dai media. Dal lato degli immigrati l’accoglienza è stato sinora caratterizzato da un’evoluzione piuttosto rapida verso fasi più mature del ciclo migratorio con il consolidamento di catene di richiamo e mutuo aiuto ricongiungimenti familiari, nascita di una seconda generazione, ingresso di questa nel sistema scolastico e da un diffuso attivismo tra connazionali, sebbene con differenze notevoli tra gruppi etnici, ma con scarso sviluppo, finora, ha portato alla nascita di strutture associative formali efficaci e istituzioni proprie. 66

In questo contesto si è sviluppata la normativa che ha tentato di regolare la materia, suscitando mille polemiche: ultima in ordine di tempo, la legge 189/2002, cosiddetta “Bossi-Fini”. La legge, criticata da più fronti, anche dagli stessi imprenditori italiani per la difficoltà di attuazione, risulta orientata a considerare ancora l’immigrazione come un evento straordinario, da gestire in emergenza, cui rispondere con restrizioni, sanatorie di massa.


>>Immigrazione italiana in Argentina La migrazione italiana in Argentina è un’esperienza di lunga durata: i primi pionieri sono giunti alla fine del Settecento e la massiccia immigrazione si può racchiudere tra gli anni 1850 e 1959. Gli italiani che arrivarono in Argentina provenivano da tutte le regioni d’Italia, soprattutto dal Nord nell’Ottocento (Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto) e dal Sud nel Novecento (Calabria, Sicilia, Campania). Gli italiani erano troppo numerosi per non essere presenti in tutti gli spazi e in tutti i ceti sociali. Quasi tutto in Argentina può essere collegato agli italiani, ma non sappiamo bene che cosa sia specificamente italiano. Dai censimenti argentini la situazione risulta la seguente: nel 1869, gli italiani erano il 4% del totale della popolazione residente; nel 1895, il 12,5%; nel 1914 il 12%; ancora nel 1960 erano il 4,5%. In altri grandi paesi di emigrazione italiana la stessa quota non ha superato l’1% del totale della popolazione in Francia o ha superato di poco il 2,5%, come negli Stati Uniti. Il primo censimento nazionale del 1869 registrava che il 59% di tutti gli italiani residenti in Argentina viveva nella città di Buenos Aires e il 3% del totale viveva nella città di Rosario. Buenos Aires è il luogo nel quale l’immigrazione europea sperimenta con alterne fortune il percorso dell’ascesa sociale: è una città borghese, popolare, aristocratica, proletaria, cosmopolita. L’immigrazione di massa in Argentina è creata da spazi legislativi: la Costituzione argentina del 1853 sanciva la libertà d’immigrazione e la legge di Immigrazione e Colonizzazione del 1876 concedeva molte facilitazioni agli immigranti (alloggio gratuito per cinque giorni, biglietto gratuito in treno per l’interno, ufficio di Collocamento, promesse di concedere terra pubblica con effetti, nella pratica, limitati). Dall’altra parte, la difficoltà a integrarsi era notevole. La difesa dell’italianità, l’idea di considerarsi ospiti a tempo (lavoratori con un’alta aspettativa di ritorno), rete sociali ristrette (un lavoratore italiano si trovava, generalmente, ad avere un proprietario di casa e un padrone della sua stessa nazionalità) genera-

vano una integrazione limitata creando una forte dimensione nostalgica. Questa situazione era considerata difficile dai dirigenti del movimento operaio argentino e dalle nuove forze politiche di sinistra: i legami etnici erano considerati un ostacolo allo sviluppo della coscienza di classe e all’inserimento degli immigrati nelle nuove forme organizzative operaie. I gruppi dirigenti argentini erano preoccupati per tre questioni: l’identità nazionale, il problema del conflitto sociale e la questione urbana (case promiscue e prostituzione). In questo contesto, il governo promulgò nel 1902 una legge anticostituzionale (colpiva il diritto di tutti gli abitanti, nativi o stranieri, di transitare liberamente dentro e fuori il territorio nazionale); la legge permetteva di espellere qualsiasi straniero ritenuto “pericoloso” senza un intervento giudiziario, soltanto attraverso una decisione unilaterale del ministero dell’interno. Molti italiani furono colpiti dal provvedimento, alcuni collegati ai movimenti sindacalisti e anarchici, altri senza essere legati ad alcuna attività politica o criminale. La percezione collettiva della comunità italiana in questo periodo fu ambivalente. Alcuni pensavano che gli italiani fossero la comunità da privilegiare. L’allora deputato C. Saavedra Lamas si espresse in un dibattito parlamentare nel quale proponeva un accordo speciale con l’Italia per attirare nuovi immigrati. Stabiliva le solite preferenze: piemontesi prima, italiani del Nord dopo, meridionali, alla fine. Questa tendenza resterà a lungo nella classe dirigente argentina: ancora nel 1947, quando il governo di Perón spedì una delegazione in Italia per attirare immigrati, si consigliava che il reclutamento dovesse tenersi “a Nord di Roma”. Sarebbe stato ben difficile che una società così eterogenea come quella argentina fosse una società integrata. Forse il modello più utile è diventato quello dove tutti gli elementi coesistono insieme senza perdere la loro identità. Si può dunque parlare di una situazione di pluralismo poco conflittuale, dove ci sono posti di lavoro, spazio di vita e minore distanza tra gruppi sociali. Un pluralismo sociale tollerante e tollerabile. L’associazionismo italiano è stato sempre molto forte, generando negli associati una leadership interna non interessata alla cittadinanza argentina. Tra le due guerre nacquero grandi isti67


tuzioni sportive che costituirono notevoli fattori di integrazione. Creati da italiani, i due maggiori club di calcio (il Boca Juniors e il River Plate) trovarono un pubblico di tutte le nazionalità, non solo italiana. La musica popolare, segnatamente il tango, fu anche un veicolo di integrazione musicale e sociale. Le due vie di ascesa sociale per i figli degli immigranti furono l’esercito e la chiesa. Nel mondo della politica, l’apporto italiano alla nascita dei primi sindacati e alla diffusione di anarchismo, socialismo e comunismo fu decisivo. Durante la seconda guerra mondiale la “lobby italiana”, insieme ovviamente ai militari filo-tedeschi, risultò decisiva per la scelta di neutralità dell’Argentina. Dal punto di vista dell’integrazione sociale, l’esperienza degli immigrati nel secondo dopo guerra non fu differente da quella che avevano vissuto i loro predecessori nei decenni precedenti. Gli immigranti italiani, anche se in modo diseguale, si integrarono in forma stabile nel sistema occupazionale argentino. Molti facevano parte della classe media locale, assumendone gli stili di vita: diventarono proprietari delle loro case; avevano accesso abbastanza semplice alla scuola media e anche all’università (sistema educativo gratuito); con successo nel commercio, nelle libere professioni e nelle arti. Nel 1958 un italo-argentino, Arturo Frondizi, venne per la prima volta eletto democraticamente alla presidenza del paese. Dopo gli Anni ’50 il processo di integrazione sociale fu più veloce che nei periodi precedenti, grazie al clima democratico nella cultura e nel mondo sociale, caratteristico della società argentina degli anni sessanta. Negli anni Settanta la presenza di italoargentini ai vertici dello stato non fece più notizia, tra i cinque dittatori militari che occuparono la presidenza, quattro avevano origini italiane: Lanusse, Viola, Galtieri, Bignone. Dal punto di vista statistico, gli italiani nati in Italia che oggi vivono in Argentina sono circa 1.198.000; calcolando anche i discendenti fino alla terza generazione, cioè quelli che hanno diritto alla cittadinanza italiana (ius sanguinis), si raggiungono i 5-6 milioni, per lo più concen68

trati a Buenos Aires. Come segnala Raffaele Rauty, “…interi paesi del Sud si sono ritrovati all’estero e quando sei negli Stati Uniti, alla quinta persona che incontri, il suo cognome, se non è esplicitamente italiano, ha comunque una radice italiana; e così capita anche in molte terre dell’America del Sud.” Afferma, inoltre, che gli italiani, “hanno contribuito in modo determinante allo sviluppo di sé e dei paesi nei quali si sono recati, classe subalterna che ha subito repressioni e ostracismi, miserie e aggressioni… Certo di quella migrazione sembra sussistere poca memoria…”


>>L’emigrazione in Friuli: un fenomeno antico Le origini dell’emigrazione regionale si fanno risalire ad un passato remoto. Le prime testimonianze storiche di una considerevole emigrazione stagionale dalla Carnia verso le aree germaniche risalgono alla metà del Cinquecento e sono ricorrenti nelle fonti di tutto il Seicento. II fenomeno migratorio si estende ad altre parti della regione ed assume maggiori proporzioni nella seconda metà del Settecento, per l’effetto concomitante della crisi economica della Repubblica di Venezia e dello sviluppo dell’Austria teresiana. I flussi si dirigono dal Friuli occidentale a quello orientale. Con il passaggio della regione al dominio austriaco nel 1797 si incrementa l’emigrazione friulana verso i paesi imperiali. Nella prima metà dell’Ottocento non mancano gli spostamenti di lavoratori verso altre regioni del Nord Italia, quali Veneto e Lombardia, dove l’industria comincia a prendere l’avvio. L’annessione del Friuli all’Italia nel 1866 crea un nuovo quadro giuridico e statistico, che consente le prime valutazioni quantitative di un fenomeno che peraltro non è nuovo. Dal punto di vista delle destinazioni, non si arrestano le correnti dirette verso l’Europa centrale, mentre si incrementano le partenze verso l’Italia settentrionale e, di qui, verso l’Europa occidentale. L’emigrazione temporanea prevale ancora su quella “propria”, ma si registrano i primi contingenti di partenze transoceaniche. Nel 1869 sono concessi nella Provincia di Udine 15.900 passaporti per l’estero, nel 1876 17.871. Secondo le stime del Cosattini, a queste cifre vanno aggiunti circa 5.000 emigranti verso l’interno. Fino al 1880 1e partenze rimangono pressoché costanti.

• 1880-1915: la grande emigrazione A partire dal 1880 il numero degli emigranti subisce un rapido incremento, analogamente a quanto accade a livello nazionale. E’ questo

il periodo di massima intensità del fenomeno. Dai 19.951 passaporti del 1881 si passa ai 39.359 del 1890. Nel 1899 si giunge a 56.241 passaporti. Negli anni 1881-1915 gli espatri dal Friuli raggiungono e mantengono livelli tali da rappresentare il 10% dell’emigrazione nazionale: è questo il periodo della grande emigrazione friulana. Tra le destinazioni, dal 1890 si afferma la Svizzera, mentre l’emigrazione transoceanica, che nell’800 rappresentava il 7% circa, va aumentando nel primo decennio del ‘900 sino a superare il 20% delle partenze. Le destinazioni sono in prevalenza Argentina e Brasile, seguite da Stati Uniti e Canada. A partire dal 1901 viene istituito il Commissariato dell’Emigrazione e sorgono enti privati, laici e religiosi, con il fine di assistere gli emigranti. L’emigrazione di questo periodo è ancora in gran parte stagionale, riguarda per oltre il 90% i soli uomini, è dettata da motivazioni di ordine economico e coinvolge prevalentemente le aree montane e, sempre di più, collinari (distretti di Gemona, Tarcento, S. Daniele, Spilimbergo) della regione. Generalmente si pongono in relazione i flussi migratori con lo sviluppo industriale ed urbano di un’area, e con i fenomeni di decadenza della attività rurali tradizionali, ma il fenomeno migratorio mal si presta alle generalizzazioni, perché si caratterizza per fasi e forme molto diverse, ed è influenzato da molti fattori contingenti, oppure particolari e specifici. Esso richiede pertanto analisi differenziate nel tempo e nello spazio.

• Tra le due guerre La prima guerra mondiale comporta dapprima un brusco arresto, ed in seguito un profondo cambiamento nei flussi migratori, che in termini numerici negli anni postbellici rimangono più contenuti rispetto all’anteguerra. Pur ridotta numericamente, l’emigrazione non viene mai meno. Calano i flussi diretti verso i Paesi europei, ed assume maggior rilievo percentuale l’emigrazione definitiva verso l’America. I Governi europei ed americani cominciano ad assumere iniziative di regola69


mentazione e di contingentamento dell’immigrazione, ed il fenomeno migratorio a perdere le sue caratteristiche di spontaneità. Le restrizioni alla concessione dei passaporti e la crisi economica mondiale del 1929 contribuiscono in seguito a ridurre le partenze. Nel primo dopoguerra movimenti migratori cospicui interessano anche la Venezia Giulia e Trieste, in relazione con l’annessione all’Italia e con i mutamenti politici ed economici conseguenti. Negli anni Trenta gli espatri si aggirarono in media sulle 3.000 unità. Pur con un andamento alterno, l’emigrazione subisce un rallentamento anche nei movimenti verso l’interno. Da segnalare in questo periodo i trasferimenti di famiglie nelle colonie africane e la ripresa di espatri verso i paesi germanici, favoriti dall’alleanza italo-tedesca. Molti lavoratori friulani sono assorbiti dalle grandi opere promosse dal regime: centinaia di famiglie, provenienti in prevalenza dalla Bassa friulana e dalla pianura pordenonese, si trasferiscono nell’Agro Pontino, dove parteciparono all’appoderamento delle aree bonificate e alla costruzione delle nuove città. Nel periodo interbellico vengono in evidenza tuttavia le conseguenze della forte emigrazione dei decenni precedenti: la senilizzazione e la femminilizzazione della popolazione, lo spopolamento montano. Inoltre, il calo del flusso di rimesse degli emigranti contribuisce all’impoverimento delle aree svantaggiate della regione.

• Il secondo dopoguerra: la ripresa dell’emigrazione Dopo la seconda guerra mondiale le rilevazioni statistiche del fenomeno migratorio si perfezionano, ma presentano ancora notevoli carenze, rilevate da tutti gli studiosi. Ai dati statistici raccolti e pubblicati dall’ISTAT su espatri e rimpatri dall’estero viene attribuito un valore indicativo, in quanti ritenuti sottostimati. Dal 1967 i Comuni sono tenuti alla registrazione degli espatriati nell’AIRE (Anagrafe degli italiani residenti all’estero); altre notizie si possono ricavare dai registri delle iscrizioni e cancellazioni anagrafiche. Ogni dieci anni si 70

può inoltre disporre dei dati dei Censimenti generali della popolazione. In occasione delle elezioni i Comuni compilano le Liste degli elettori all’estero. Dati parziali sano tenuti dagli Uffici provinciali del lavoro. Si tratta di dati eterogenei e non comparabili tra di loro. Per quanto riguarda la regione, vanno inoltre tenute presenti le distinzioni tra il Friuli e la Venezia Giulia per le differenze di dimensioni territoriali, economiche e soprattutto demografiche. Dai territori ceduti alla Jugoslavia un importante movimento immigratorio di connazionali, valutato in circa 65.000 unità, interessa le province della Venezia Giulia, e soprattutto Trieste. Le vicende belliche e le devastazioni conseguenti, insieme alla riapertura dei mercati, inducono nell’immediato dopoguerra una rapida ripresa dell’emigrazione. I flussi migratori si dirigono verso tutti i Paesi europei, con l’esclusione di quelli dell’Est, i cui regimi chiudono le frontiere. Al nuovo fenomeno partecipano in più larga misura le donne, non solo come addette ai servizi, ma anche come operaie. Tra le nuove destinazioni, si segnala l’Australia, la cui forte richiesta di manodopera e la cui politica favorevole all’immigrazione attira un flusso notevole di corregionali. In particolare, negli anni 1954-1958, in seguito alla smobilitazione del Governo militare alleato, dalla provincia di Trieste vi si trasferiscano numerosi profughi istriani e giuliani. La quantificazione del movimento migratorio dall’area giuliana verso l’Australia in questo periodo rappresenta un problema piuttosto complesso. Secondo una recente stima che tiene conto di fonti diverse (anagrafe del Comune di Trieste, nominal rolls delle navi in partenza dal porto, archivio dell’Ufficio del Lavoro di Trieste) nel periodo 1954-1961gli istrianodalmati partiti insieme ai triestini potrebbero essere calcolati in circa 22.000 persone. Le cause della ripresa postbellica dell’emigrazione regionale vanno ricercate nel quadro socioeconomico, ereditato dal passato storico della regione ed aggravato dalla guerra, caratterizzato dal ritardo dello sviluppo economico, dalla presenza di aree di vero e proprio sottosviluppo, dal troppo


lento ammodernamento dell’agricoltura, dallo scarso sviluppo dell’industria, dalla mancanza di una politica economica adeguata. Nonostante l’introduzione di normative e di uffici che si occupano dell’emigrazione, come le sezioni apposite presso gli Uffici provinciali del lavoro, la modalità di reclutamento più diffusa è ancora quella tradizionale della chiamata da parte di parenti e amici, che crea la cosiddetta catena migratoria, per la quale gruppi familiari o della stessa località si dirigono nel tempo verso la stessa destinazione. Secondo gli annuari statistici, nel periodo 1946-1970 risultano espatriate complessivamente dal Friuli Venezia Giulia 363.854 persone, con una media di 14.554 all’anno. L’andamento degli espatri è, come per il passato, molto irregolare, e si può riassumere in una serie di ondate di dimensioni decrescenti. Essa corrisponde a quello nazionale e coincide, con un paio d’anni di ritardo, con quello del tasso di disoccupazione. Nello stesso periodo i rimpatri risultano complessivamente 211.524, con una media annuale di 8.461 unità. Il loro andamento è anch’esso ad ondate, meno accentuate e, al contrario, crescenti. Il saldo migratorio del periodo è fortemente negativo: la perdita netta è di 152.330 persone, 6.093 all’anno. Le rilevazioni dell’ISTAT forniscono alcune indicazioni sulla natura del fenomeno migratorio: il flusso in uscita risulta composto in grande prevalenza dalla fasce di età centrali (15-64 anni) e, tra queste, da quelle giovanili (15-30 anni), che manifestano il più accentuato saldo negativo. Nelle province friulane risulta elevato anche l’indice di espatrio femminile. Nelle condizioni professionali, cominciano a prevalere le attività industriali e qualificate su quelle tradizionali. Nei primi anni Sessanta il 60% degli emigrati risultano muratori e manovali edili, in quelli successivi crescono le posizioni specializzate in campo industriale, mentre vanno rapidamente scomparendo i mestieri tradizionali (fornaciai, terrazzieri, mosaicisti, pittori, ecc.). Le destinazioni dei flussi migratori del secondo dopoguerra sono in larga maggioranza (88%) europee. La destinazione più frequente è la Svizzera (47%), seguita dalla Francia (meta tradizionale dell’emigrazione

regionale, che si differenzia in questo caso da quella nazionale), dalla Germania, daI Lussemburgo e dal Belgio. Tra i Paesi transoceanici prevalgono l’Australia (con una partecipazione più elevata delle province giuliane) ed il Canada, seguiti dagli Stati Uniti, dal Venezuela, dall’Argentina e dal Brasile. Le province giuliane differiscono inoltre nella scelta delle destinazioni da quelle friulane, dirigendosi in prevalenza verso Svizzera, Germania ed Inghilterra. L’area giuliana del resto presenta a partire dal 1958 un saldo migratorio positivo, divergendo in questo nettamente dalla province di Udine e di Pordenone.

• Un mutamento storico: 1968, l’inversione del saldo migratorio A partire dalla fine degli anni Sessanta si verifica un mutamento “storico” nelle vicende dell’emigrazione regionale, l’inversione di tendenza. Dal 1968 il saldo migratorio diviene attivo: i rimpatri superano gli espatri, e l’emigrazione si trasforma in un fattore di crescita della popolazione Si registra l’esaurimento dell’emigrazione tradizionale, il cui flusso in uscita subisce una flessione, mentre si mantiene relativamente costante un contingente di rientri che in termini assoluti supera il numero dei partenti. Dagli anni Settanta in poi questo fenomeno si è mantenuto costante, e non si sono più verificati episodi di ripresa dell’emigrazione, neppure in coincidenza con eventi, quali il terremoto del 1976, che hanno fatto temere l’avvio di nuovi fenomeni di esodo. L’inversione di segno del saldo migratorio precede di poco nella nostra Regione l’analogo fenomeno a livello nazionale, ed è posta in relazione con il “decollo” dello sviluppo economico e della produzione industriate dell’area regionale, il cui contesto socioeconomico e il cui mercato del lavoro subiscono in quei decenni profonde trasformazioni. Fino a tutti gli anni Sessanta, tuttavia, l’emigrazione è ancora percepita dalla società regionale come un grave e doloroso problema sociale, umano ed economico, come un fattore 71


di impoverimento delle risorse umane e di alterazione della distribuzione e della composizione demografica. Al momento dell’istituzione della Regione Friuli Venezia Giulia, il primo Programma regionale di sviluppo economico e sociali (1964), include tra gli obiettivi la rimozione delle cause dell’emigrazione e la sua conseguente eliminazione.

• 1970-2005: la politica regionale per l’emigrazione Tra le prime in Italia, la regione Friuli Venezia Giulia sin dai primi anni Settanta assume iniziative legislative ed un impegno nei confronti dei propri emigrati costantemente mantenuto anche in seguito. Nel 1969 si tiene la prima Conferenza regionale dell’emigrazione, seguita dall’adozione di due leggi regionali nel 1970 e nel 1976. II timore che il terremoto del 1976 provochi una ripresa dell’emigrazione dalle aree colpite risulta infondato, ed anzi ben presto ci si rende conto che si è verificato un cambiamento che segna la fine del fenomeno “storico” dell’’emigrazione: l’onda migratoria si è arrestata. La Regione prende tempestivo atto dei mutamenti ed adegua i propri strumenti di intervento. Nel 1979 è convocata la seconda Conferenza regionale dell’emigrazione, e nel 1980 la Regione promuove un’importante ricerca di prima mano sui rimpatriati nel decennio precedente, basata sui dati delle 11.000 famiglie (circa 27.000 persone) alle quali è stato erogata l’indennità di prima sistemazione prevista dalla legge regionale del 1970, nonché su 1.500 ampie interviste effettuate su un campione di rimpatriati distribuito in tutta la regione. Ne risulta un quadro che modifica notevolmente l’immagine tradizionale dell’emigrato e del contesto socioeconomico in cui è inserito. Sì tratta in prevalenza di persone in età attiva, in molti casi con un buon livello scolastico e professionale, il cui rimpatrio è stato generalmente programmato, e che spesso trovano nell’area di origine un positivo ed adeguato inserimento lavorativo. Nel contempo l’indagine (Mercato del lavoro e 72

movimenti migratori in Friuli-Venezia Giulia, Udine, 1982) mette in luce una serie di aspetti problematici presentati dal reinserimento nel contesto regionale dei nuclei familiari emigrati (aspetti sociali, abitativi, legati alla scolarità dei figli, alle donne, ai pensionati). Sempre nel 1980 è approvata la “Riforma degli interventi regionali in materia di emigrazione”, la legge regionale n. 51, che rappresenta una svolta importante ed un esempio seguito poi anche da altre Regioni. Alla precedente impostazione assistenziale viene sostituita l’individuazione di due obiettivi molto precisi: da una parte il sostegno sociale ed economico volto al reinserimento di coloro che rientrano in patria, dall’altra il mantenimento dei legami culturali can gli emigrati all’estero, nei Paesi di accoglimento. Lo strumento è rappresentato da un “pacchetto” di progetti specifici (casa, scuola, lavoro per i primi, iniziative informative, culturali, sostegno all’associazionismo per i secondi) da aggiornare ed adeguare continuamente, attraverso una programmazione annuale. Questa legge, applicata per oltre due decenni, fino a tutto l’anno 2002, si è rivelata lungimirante ed ha dato notevoli risultati. Nel 2002 è infine approvata la legge regionale n. 7, “Nuove norme in materia di corregionali all’estero e di rimpatriati”, entrata in vigore il 1° gennaio 2003, che innova gli interventi regionali e nello stesso tempo conferma l’impegno in questo settore, ampliando in particolare la visione dei corregionali all’estero, che da semplici destinatari di interventi informativi e culturali divengono anche protagonisti della promozione della regione nei paesi in cui vivono. La nuova legge riconosce così l’avvenuta stabilizzazione delle comunità dei corregionali nei paesi di residenza, e si prefigge di valorizzare il ruolo di tramite che esse possono svolgere tra i loro paesi e la terra d’origine. Le dinamiche di flusso, come risultano dai dati delle iscrizioni e dalle cancellazioni anagrafiche da e per l’estero presso i Comuni della regione, negli ultimi tre decenni si sono infatti ridotte quantitativamente. Permane un fenomeno di rientri legati all’emigrazione del passato, soggetto ad un andamento piuttosto costante, anche se a tratti influenzato da fattori esterni, quali situa-


zioni di crisi economica nei Paesi di destinazione. Questi rientri, volontari o forzati, non si sono mai esauriti e continuano tuttora al ritmo di alcune migliaia all’anno, alimentati dalle dimensioni delle comunità di corregionali in varie aree europee ed extraeuropee. Essi rappresentano una componente attiva del saldo complessivo della popolazione, del quale contribuiscono ad attenuare i valori negativi. Se generalmente appaiono ben “assorbiti” dalla società regionale, non si deve tuttavia incorrere nell’errore di considerare insignificante il problema del reinserimento dei rimpatriati, che presenta sempre una serie di risvolti sociali ed economici che necessitano di specifici interventi (un esempio per tutti: i corsi di sostegno per i figli dei rimpatriati, unico strumento di intervento concreto verso il disagio scolastico di chi proviene dall’estero). Il flusso dei rimpatri appare dunque attualmente caratterizzato da una certa stabilità, e rappresenta per la regione un fenomeno positivo dal punto di vista demografico. Tuttavia non si deve sottovalutare la possibilità che situazioni di crisi economica e sociale nei paesi esteri inducano nuovi flussi di rimpatri “forzati”, indotti cioè dalla perdita del posto di lavoro o da necessità economiche. Nel 2002 la grave crisi che ha colpito l’Argentina ha infatti prodotto in quel paese un improvviso incremento delle richieste di riacquisto della cittadinanza italiana da parte dei discendenti degli emigrati italiani. Nello stesso periodo in Friuli Venezia Giulia si è registrato un considerevole aumento delle domande di assistenza economica e di sostegno scolastico da parte di singole persone o di famiglie rimpatriate dall’Argentina in condizioni di disagio e di difficoltà. E’ quindi necessario che la Regione disponga in ogni momento di strumenti di intervento atti a fronteggiare, con la collaborazione dei Comuni, anche possibili situazioni di emergenza.

73



»»Le interviste Come anticipato nell’introduzione, ho deciso di approfondire un’ambito migrante intervistando della persone che hanno vissuto l’esperienza reale dell’immigrazione. In base alla mia conoscenza ho intervistato delle persone da me conosciute.

75



>>Intervista a Olga L’arrivo in Argentina Mi chiamo Olga Just, ho 55 anni e sono nata a San Martin di Buenos Aires. Io ho solo cittadinanza italiana, perché in quanto figlia di italiani ne avevo diritto a patto di rinunciare a quella argentina. Leggo e penso spesso in argentino, ma non lo parlo perché non ho nessuno con cui parlarlo e in più non mi era permesso farlo. Mia madre è italiana. Anche mio padre lo era. Lui lasciò l’Italia nel 1948, subito dopo la guerra: trovò lavoro in Argentina e costruì lì la sua prima casa con alcuni amici e soci. Nel 1951 si fece raggiungere da mia mamma e insieme andarono a vivere con un altro amico non ancora sposato. Mia madre inizialmente fece molta fatica a trovare lavoro perché non sapeva l’argentino e perché si sentiva spaesata, catapultata in un mondo completamente diverso da quello a cui era abituata. Nonostante tutto, possiede un bel ricordo di quel periodo. Dopo un anno dall’arrivo di mia madre nacque mia sorella, Clara, e dopo sei anni nacqui anche io. Ho ricordi vivissimi dell’Argentina che iniziano da quando avevo due anni e mezzo. Ho impressi negli occhi e nella mente l’immensa luce, i colori vivissimi e l’azzurro del cielo; poi i giochi che facevo, il caldo, la bellezza dei posti dove vivevo e dove trascorrevo le vacanze. Solitamente per le vacanze si andava da una zia che aveva un’immensa fazenda, ossia una fattoria. Agli inizi del secolo, quando arrivarono i primi emigranti italiani, venne data loro la possibilità di tenersi tutta la terra che disboscavano per una somma irrisoria. I miei parenti fecero così nella foresta di Cordoba. Ora questo posto è divenuto una metropoli e l’abitazione un monumento nazionale. Io ho studiato in Argentina fino alla quinta elementare. Frequentavo un collegio privato gestito da suore. Per le feste indossavamo tutti una divisa composta da una scamiciata blu con sotto una camicia bianca e una cravatta con lo stemma della Nostra Signora di Lourdes; in testa avevamo un basco blu, mentre ai piedi calzetti bianchi e scarpette marroni con i lacci. Gli altri giorni vestivamo il grembiule bianco, completamente amidato,

candido e rigido. Dietro aveva un fiocco che mi faceva ricordare il vestito di una delle mie eroine dei cartoni animati di quel tempo, Sailor Moon. Poi, nel caso avessimo avuto i capelli lunghi, avremmo dovuto portare la fascia bianca in testa. Una cosa molta bella che facevo lì la mattina era l’alza bandiera con l’inno e la sera l’ammaina bandiera, sempre con l’inno. Il complesso scolastico confinava con il bario militare, ossia un quartiere di case di militari. Era uno spiazzo incantevole con un prato all’inglese dove era situato l’asilo e la scuola elementare. In quel luogo facevamo pic-nic e anche gite. Inoltre aveva degli alberi i cui rami si adagiavano per terra che usavamo come ambientazione per giocare a principesse e cavalieri. La città era molto curata, perché la gente aveva a cuore il posto, e culturalmente molto variegata. I lotti delle abitazioni venivano divisi di cento metri in cento metri, ciascuno dei quali veniva nominato “mansana”, ossia mela. Da un lato della strada c’erano tutte le fattorie. In una di queste c’era un ragazzo che aveva un cavallo e che ogni tanto me lo faceva cavalcare. Dove abitavo io, l’unico conoscente che avevamo era l’amico di mio padre. Non so se i grandi si conoscessero ma noi bambini ci conoscevamo tutti. Si stava tutti assieme: per strada, in bicicletta, spesso ci si divideva in bande, divertendoci a passare da una all’altra. Giocavamo sopratutto a nascondino, anche se spesso inventavamo giochi nuovi. Ricordo in particolare le farfalle che volavano a frotte. Io uscivo verso le due o le tre del pomeriggio quando fuori c’era molto caldo. I grandi andavano a dormire ma noi bambini uscivamo di soppiatto. Ci mettevamo in mezzo alla strada, tanto di macchine ce ne erano poche, e aspettavamo moltitudini di farfalle di tutti i colori. Le sento ancora accarezzarmi il viso. La domenica si trascorreva in maniera diversa rispetto agli altri giorni della settimana. Si andava spesso allo zoo, dove dietro ad ogni animale era posizionata un’ambientazione simile al suo luogo di provenienza: ricordo ad esempio gli elefanti inseriti all’interno di palazzi orientali. Questo per me rappresentava un sogno ancora più grande. Inoltre mio padre durante queste visite ci comprava sempre un regalino; anche se magari materialmente era una sciocchezza, 77


come può essere un anellino di latta, per noi era come se fosse ogni volta un diamante. La partenza Sono venuta in Italia all’età dieci anni a causa della malattia di mio padre. Io non ero a conoscenza del fatto che stava morendo (ma mia madre si), inoltre non avevo idea che la mia partenza dall’Argentina sarebbe stata definitiva. Al momento della partenza ero felicissima di venire in Italia perché avrei potuto conoscere per la prima volta i miei cugini e i miei nonni. Oltretutto avrei potuto vedere il Papa a Roma, una figura tanto importante per la mia famiglia, fino a quel momento troppo lontana da raggiungere. Io pagai la metà rispetto agli adulti per il viaggio. Mio padre mi disse: “Con questi soldi che abbiamo risparmiato (che erano 175 mila lire) compreremo tutti i vestiti e le altre cose che ci serviranno in Italia”. Appena arrivati al porto siamo andati a prendere tovaglie, scarpe e vestiti. Mio padre prese anche un giubbotto per me e una scatola di Baci Perugina che avrei dovuto dividere con mia sorella, perché, ci disse, era un buon modo di iniziare a conoscere l’Italia. Me la sono tenuta stretta per tutti gli splendidi sedici giorni di viaggio. Non capivo perché mia mamma piangesse. Alla partenza con la nave tutti lanciavamo stelle filanti che poi ci venivano rilanciate: meraviglioso! La musica, la festa, le persone che salutavano. Non era più una nave di migranti, ma una nave da crociera. Partimmo il 15 maggio. Portavo con me i quaderni e il cuscino dentro una cartella in cuoio. Avevamo quattro bauli e la macchina da cucire di mia madre. Per trasportarla l’avevamo smontata e messa sotto gli abiti. Io di giocattoli non ne avevo portati. La bambola che desideravo me la regalò mio padre in Spagna. Dormivamo tutti in una cabina. Io e mia sorella avevamo un letto a castello e litigammo per chi avrebbe dovuto dormire sopra. Io ero una peperina ed ero anche piccolina di statura. Il secondo giorno chiamai il capitano che girava per i tavoli augurando buon viaggio e gli dissi: “E’ il compleanno di mia mamma” e ancora: ”Dobbiamo festeggiare! Dobbiamo far qualcosa!”. Il capitano mi prese in parola e diede l’annuncio a gran voce. Così portarono una grande torta al nostro tavolo. Mia madre da quel momento iniziò a stare meglio. Da quel giorno divenni una sorta di mascotte 78

della nave e mi permettevano di andare ovunque volessi. Visitai le prigioni, il cinema e pure la piscina della nave. La mattina mi alzavo, facevo colazione, giocavo con una Caretta, una tartaruga molto grande sulla quale salivo a cavallo e con lei giravo per tutta la nave. Mi ricordo poi questi marinai che intanto pulivano e sbrigavano varie mansioni. Il pomeriggio andavamo al cinema e mangiavamo torte, biscotti e tutto quello che volevamo. C’erano molti bambini che parlavano le lingue più disparate, perché la nave faceva diversi scali: Buenos Aires, San Paolo. A ogni tappa ci fermavamo un giorno e salivano persone di nazionalità diverse. Alla fine siamo sbarcati a Genova. Da lì abbiamo preso un treno fino a Pordenone. Quando sono arrivata mi sembrava di essere tornata indietro nel tempo, perché prima abitavo in una grande città come Buenos Aires. Siamo andati a vivere da alcuni parenti che abitavano in una casa senza il bagno. Io ero abituata ad avere tutto in casa e l’immagine perfetta che avevo dell’Italia cominciò a sbiadire. Dopo sei mesi mio padre morì e la situazione familiare si aggravò drasticamente. In realtà le cose non andavano bene già da quando mio padre smise di andare a lavoro. Mia madre in Argentina faceva dei piccoli lavori a casa, tipo cucire a maglia. Poi c’erano queste ditte che ti portavano il lavoro a casa, così anche noi davamo una mano. Pagavano una miseria ma intanto riuscivamo a sopravvivere. Appena arrivati in Italia sia mio padre che mia madre andarono a lavorare. Mia madre prese servizio presso una donna che viveva con la figlia, le faceva compagnia e la aiutava nei lavori domestici. Mia sorella in Italia non è voluta andare a scuola. Si sentiva a disagio perché l’avrebbero messa in prima media e non in terza. Inoltre era molto alta e questa la faceva vergognare ancora di più. Io avrei dovuto frequentare la quinta elementare e invece mi misero in seconda. Sono stata vittima di razzismo, ma non dai compagni: per loro ero simpatica e brava a raccontare storie. Il problema erano soprattutto le maestre che mi guardavano con occhi diversi. Ero brava a disegnare, in matematica e in storia, ma facevo molti errori di ortografia. E frequentavo una scuola per ricchi in centro a Pordenone. Non mi vestivo come loro e non avevo le cose che avevano loro. Nonostante tutto penso che la mia famiglia abbia fatto bene a venire in Italia, altrimenti in Argentina avremmo fatto la fame. Abbiamo perso


moltissimo, perché il cambio di moneta non conveniva, e perché abbiamo dovuto vendere di fretta la nostra casa. I parenti non ci hanno dato una mano. Ce la siamo dovuta cavare da soli. Mi viene malinconia ogni volta che sento suonare “Don’t cry for me Argentina”; non so perché ma è la cosa che mi lega di più all’Argentina. Inoltre sono molto legata ai cibi: come l’Asado ossia la carne ai ferri fatta in un certo modo o il morbido Dulce de leche, ossia il mu, che si spalma sul pane come la Nutella. O il Mantecol, fatto con gli arachidi, direi la cosa più buona del mondo. Comunque il momento dell’Asado rimane il più speciale perché ci si ritrova con tutta la famiglia e gli amici: è un modo per socializzare. Ci si ritrova tutti intorno a questa grande griglia, ci si passa il Chimichurri, che è una specie di intingo di olio e spezie, e si beve questa specie di tè, il Mate, in cui ognuno ha la sua cannuccia, la pompija. Metti l’erba, l’acqua e lo zucchero e inizi a passare il bollitore. Io lo faccio tutt’ora.

>>Intervista a Liliana Mi chiamo Liliana, ho 55 anni e abito ad Azzano decimo (PN). Ho cittadinanza Italiana. Io sono argentina e provengo da Buenos Aires dove ho vissuto per 26 anni. I miei genitori erano entrambi italiani, si conobbero nel 1954 mentre andavano in centro a Buenos Aires per lavoro. Mio padre era un costruttore di case e proveniva da Azzano decimo mentre mia madre era di origine calabrese. Si sposarono e io nacqui dieci mesi dopo. In Argentina ho studiato per diventare segretaria e ho lavorato come impiegata in una scuola. Sono stata anche sposata ma poi fui abbandonata. Mio padre aveva la mentalità rigida del sud e non mi lasciava andare in giro da sola o col fidanzato. Ho avuto un bambino dal mio primo marito. Mio papà quando aveva quarantanove anni, tornando dal lavoro, si fece la doccia e scoprì delle ghiandole sotto le braccia. Andò dal dottore, poi in ospedale dove gli diagnosticarono un tumore. Lui avrebbe voluto morire nel suo paese d’origine, l’Italia: chiese a mia mamma cosa ne pensasse. Glielo chiese perché loro stavano bene in Argentina: ciascun figlio (siamo in tre, me compresa) aveva una sua casa e in più anche un’abitazione al mare. “Io avrei piacere di tornare in Italia ma se posso portare tutti i miei figli e mio nipote ne sarei felice”, disse mio padre mentre prendeva questa decisione. Mia madre acconsentì: si amavano tanto. Abbiamo abbandonato tutto e siamo venuti in Italia con quattro stracci iniziando tutto da capo. Mio padre era sempre in ospedale, mia madre gli stava accanto e lo sosteneva. Abbiamo viaggiato verso l’Italia con l’aereo. Siamo arrivati nel 1982 ad Azzano e siamo andati a vivere in una casa in affitto. Io da segretaria con le unghie lunghe e le mani curate sono passata a fare la donna delle pulizie. Mio fratello, che ora ha 51 anni, iniziò a lavorare e dopo poco si sposò. Ho anche una sorella che ha dodici anni e mezzo meno di me: lei quando ci siamo trasferiti studiava ancora. Ogni giorno alle tre e mezza del mattino partivo in bicicletta con molto timore addosso. Avevo paura perché prima vivevo in una metropoli come Buenos Aires dove se perdi una 79


corriera ce n’è subito un’altra dietro, non hai bisogno di macchine, infatti io non avevo la patente. Certe volte chiamavo mio papà e gli dicevo: “Papà c’è qualcuno che mi insegue”. Appena siamo arrivati una cara signora ci ha aiutato. Lei aveva un negozio nel quale mi faceva lavorare per racimolare un po’ di soldi. Un giorno venne in negozio un bel ragazzo nove anni più grande di me. Dopo tre, quattro giorni tornò con la scusa di comprare un interruttore (lo tiene ancora come ricordo). La signora mi aveva detto che era di buona famiglia. Mi invitò a prendere un caffè, ma prima dovette chiedere il permesso ai miei genitori anche se avevo ventisette anni. Mio padre disse: “ Va bene basta che sia qua vicino”. Dopo il caffè mi ha invitato fuori a cena e a Natale mi ha voluto portare a conoscere i suoi parenti. Tutti erano contenti, ma siccome io avevo un bambino gli dissi: “Ascoltami, io voglio andare con i piedi di piombo perché mi sono scottata in passato. Prima di volere bene a me devi voler bene al mio bambino”. Ma lui e tutti gli altri membri della sua famiglia volevano bene a mio figlio, che ormai aveva tre anni e mezzo. Dopo tre mesi e mezzo ci sposammo. Poi mi ha voluto portare a casa con sé. Lì è iniziata una nuova avventura. Sono rimasta incinta di Federica che è nata con un problema al cuore che si è risolto dopo un’operazione. Mio padre invece peggiorò progressivamente e morì a 55 anni: è stato un colpo per tutti, sia per me che per mia sorella che aveva 17 anni. Nel 1989 è nato mio figlio Fabrizio. Purtroppo si ammalò anche mia mamma e morì a 63 anni di leucemia fulminante. Ora mantengo quotidianamente i contatti con i miei parenti argentini. Non torno spesso nel mio paese natale perché costa parecchio. Comunque sono tornata tre volte. Ora mio figlio si è sposato con una venezuelana quindi, quando ho potuto, sono andata a trovarlo. Adesso mi è nato anche un nipotino di nome Alessandro. Sono in contatto con le mie zie che a volte vengono a trovarmi in Italia. Quindici anni fa siamo andati tutti in Argentina io con i miei figli e mia sorella con i suoi. Le mie zie ci tengono molto a me visto che sono stata la loro prima nipote, mi voglio bene come una figlia. L’arrivo in Italia per me è stata una doccia fredda. Nel mio paese d’origine c’era sempre un compleanno, tutti abitavano vicino, a 100/800 metri di 80

distanza. Tutti i cognati si aiutavano; se ad esempio c’era da costruire una casa, tutti aiutavano a farla. La domenica si stava tutti a casa della nonna. Gli uomini a giocare a carte, noi a suonare o a chiacchierare con la nonna. Ognuno portava da mangiare, chi un salame, chi un po’ di formaggio, chi del pollo e si stava assieme. In Italia mio padre aveva molti parenti ma ci si vedeva solo per i funerali. Una volta, apparecchiando, mi sono dimenticata di mettere i cucchiaini e poco fa ho scoperto che mia cognata disse alle mie spalle: “Manco i cuciarini in tavoa”. Qui, tra cognate, se non telefoni prima di andarle a trovare si offendono. I ricordi più belli dell’Argentina sono quelli legati alla mia famiglia, alle vacanze al mare con i parenti a San Clemente e a Mar de Plata, dove si pescava e si stava insieme. Sono molto legata ad un quartiere chiamato “la Boca” che tuttora è molta famosa. Se non chiamo le mie zie sembra che mi manchi qualcosa. I colori dell’Argentina mi fanno tornare in mente i suoi sapori. Come il rosso fuoco della carne alla griglia e della salsa. Ci sono infatti questi chioschi dove i gauchi suonano e mentre mangi la carne fatta ai ferri. Lì si possono trovare anche ballerini di tango con i loro completi neri. I gaucios bevono il “mate” che è un tè tipico che si consuma condividendolo con altri. E poi ci sono le tipiche “empanadas”, un altro piatto tipico costituito da una particolare pasta modellata a mezza luna e ripiena di carne. C’è molta unione là. La maggior parte delle cose si condividono senza badare all’apparenza. C’è tanto cuore. Quando una persona si ammala ci si sostiene tutti assieme. Quando è nato mio figlio in clinica c’erano più di cinquanta persone fuori ad urlare. È così da sempre, ci si aiuta e si sta uniti. Siamo tutti una grande famiglia anche quando non siamo parenti. In Argentina ci sono più italiani che argentini e hanno tutti un forte senso di attaccamento nei confronti della loro terra di origine. Gli italiani immigrati sono andati via dall’Italia nel dopoguerra perché si moriva di fame. Mia nonna infatti era venuta in Argentina nel 1954. Nell’Italia settentrionale c’era crisi ma nel meridione si stava ancora peggio.


Che colore invece associo all’Italia? Verde speranza. Vorrei che tornasse l’Italia di molto tempo fa e che non diventi come l’Argentina o il Venezuela dove vivono bene, ma chiusi in casa per la paura di essere derubati o uccisi.

>>Intervista a Danilo e Leandro Sono Danilo Canavese, Sono nato a Buenos Aires, il 5 novembre del 92. Ho origini italiane, difatti i nonni paterni erano originari di Pordenone. decisero di andare in Argentina perché avevano una grande falegnameria per la quale viaggiavano molto, anche in Romania, e avevano deciso di continuare questo progetto là. Sono partiti prima gli uomini. Quando sono riusciti ad avere una stabilità economica si sono fatti raggiungere dalle donne: hanno passato circa un anno separati e intanto si scrivevano lettere. Mia madre, invece, è per metà argentina e per metà di discendenza spagnola. I miei genitori si sono conosciuti lavorando insieme in banca. Avevo nove anni e vivevo in Argentina. La situazione economica non era delle migliori. Nel 2001, noi come famiglia eravamo economicamente stabili, ma la situazione sociale non andava bene, c’era molta criminalità.. Mio padre lavorava e non si fermava mai perché ti licenziavano quando volevano. I miei zii erano venuti in Italia qualche mese prima e i nostri genitori stavano decidendo se puntare sul nostro futuro, venendo in Italia. Dopo aver chiesto anche a me e a mio fratello (che al tempo aveva tredici anni) decisero di partire. Avevamo la necessità di vendere velocemente la casa e saldare la carta di credito. In quel periodo, però, in Argentina hanno attuato il “coralito”: le banche trattenevano tutti i soldi. Le persone avevano due scelte: o li riprendevi a dollari con il cambio uno a sei, oppure avevi una restituzione a vent’anni a rate. I miei hanno optato per la seconda proposta e siamo arrivati in Italia con cinquanta euro. La sorella di mia nonna e i suoi parenti ci hanno aiutato all’inizio trovandoci un’appartamento e arredandolo anche con cose vecchie o ce le prestavano. Io ero contento di partire perché in quel momento ero al centro dell’attenzione, i miei compagni mi avevano regalato un sacco di letterine e cose varie. Quelli di calcio mi avevano dato la maglia numero dieci da portarmi qua, in Italia. Avevano fatto pure una festa. Ci avevano detto che in Italia a gennaio faceva freddo. Io ricordo un viaggio in aereo spettacolare (a parte il cibo): era comodo, c’era la musica, ho 81


anche dormito. Dall’aereo potevi vedere le nuvole e il mare di giorno, ma soprattutto la notte, e quando eravamo quasi arrivati, ho visto la forma dell’Italia con tutte lucette. Quando si è aperta la porta per uscire dall’aereo ho appoggiato la mano sul corrimano e per via del freddo mi si è appiccicata. Da Milano abbiamo preso l’altro aereo per Venezia e ci hanno dato le noccioline e un succo d’arancia, anche se io avrei voluto il pranzo. L’ultima parte del viaggio ho dormito e mi sono svegliato e, abituato ad una grande città, mi sono trovato davanti ad un paesaggio invernale di campagna. All’inizio non sapevamo nulla, nemmeno l’inglese. Avevamo spedito qualche pacco, ma i nostri parenti ci avevano detto che i nostri abiti in Italia non sarebbero serviti e, per questo motivo, siccome eravamo in buoni rapporti, gli abbiamo creduto e non ne avevamo portati molti. Mia nonna mi aveva già iscritto a scuola. Il giorno dopo ci ha accompagnato: ero molto imbarazzato e per questo motivo mi ero incappucciato e tenevo scoperti solo gli occhi. Anche con le maestre mi sentivo molto in imbarazzo e anche a ricreazione, malgrado gli inviti, non mi lasciavo andare. Sono tornato a casa, e ancora c’erano poche cose, pentole, un frigo, ma una cosa che ancora ricordo è l’odore, quasi di banana, che mi rimanda ad una sensazione di tristezza. In realtà per me tutto il primo periodo vissuto in Italia è stato triste. Mio fratello mi aveva detto che se non capivo quello che dicevano avrei dovuto dire: “non capisci”. Io sono andato a scuola il giorno dopo e a ricreazione tutti mi parlavano e io dicevo “no capisci”, “no capisci”. Una cosa che comprendevo era l’argomento “calcio”, ma non capivo perché non si potesse giocare. Dopo ho scoperto che le maestre non li lasciavano giocare con i piedi. In Argentina si dice “no se puede hacer” e poi si giocava molto, ma non con il pallone, ma con le lattine schiacciate o con i calzini uno dentro l’altro. Io facevo lezione con la classe di sezione A, ma le lezioni di italiano le facevo con la sezione B. C’erano queste due maestre che non mi piacevano tanto perché quelle a cui ero abituato mi volevano bene, mentre queste erano staccate e fredde. In Argentina non esistono elementari o medie, è un unico percorso dal “primero al septimo grado”. Ogni mattina c’era l’alza bandiera: la facevano i bambini più grandi e poi anche noi più piccoli dell’asilo, solo che io scappavo e andavo nella fila di mio fratello. Ero molto vivace anche con i miei 82

genitori. Ogni mattina volevo fare colazione con gli “alfajores”, che sono una specie di biscotti con il “dulce de leche” che è una specie di crema al gusto mou, il tutto ricoperto di cioccolato. In quel periodo c’erano quelli Dighito di Maradona e ognuno di questi aveva dentro una monetina con una mossa di calcio di questo personaggio. Ogni mattina stressavo mamma finché non me ne comprava uno. La scuola sembrava molto più facile in Argentina: i bambini parevano divertirsi di più, la maestra era più che altro un’educatrice. Qui in Italia invece no: c’era questa docente che ci aveva dato il compito di trovare il significato della parola “scirocco”. Io questo l’ho trasformato in “sciroppo”. Ho chiesto alla nonna il significato di questa parola e io l’ho scritto. Quando, arrivato a scuola, la maestra mi ha interrogato, io gli ho spiegato cos’era lo sciroppo e lei, guardandomi male e facendomi sentire fuori luogo mi disse: “Ma cosa stai dicendo?”. In Italia, in classe, mi è andata bene finché c’era Giudit, un bambino di colore, che mi aiutava e mi spiegava le cose. Dopo qualche mese lui è dovuto andare via e altri bambini sono diventati i capetti in classe. Questi due bambini erano abbastanza cattivi. La parola extracomunitario è dolorosa se vieni da fuori. Molti dicono che è la verità perché significa “fuori dalla comunità”, ma non è bella se usata in tono dispregiativo. Ho vissuto male la scuola fino alla fine delle elementari, tant’è che la notte spesso piangevo. I miei genitori non lo sapevano perché non lo davo a vedere. Poi, un giorno lo scoprirono, ma ovviamente sia le maestre che gli stessi bambini negarono il fatto. Col passare del tempo un po’ di sbagli li ho fatti pure io perché avrei voluto farmi accettare. Alle medie è andata meglio, anche se non riuscivo e non riesco ancora a trovare un gruppo simile, con un’identità così forte. Mi facevo condizionare dalla gente, anche se cominciavo a frequentare i ragazzi del luogo. Le persone in Argentina sono diverse: prendiamo per esempio il saluto. Nel mio paese natio ci si saluta con un bacio sulla guancia, qui si usa la mano, che funziona in ambito professionale, ma non in un ambito informale. Quando la mia morosa è venuta per la prima volta a casa mia si è sconvolta perché era tutto un abbraccio, un bacio, gli hanno dato subito confidenza. Io ormai mi sono abituato, ci sono tuttavia molti argentini che non sono riusciti ad abituarsi a questo. Il motivo per cui vorrei tornare in Argentina è di rivedere tutti i miei amici di cui avevo perso i


contatti. Tutto è cambiato quando due anni fa mi è arrivata un’amicizia su Facebook di uno di questi. La voce si è sparsa e mi hanno chiesto in molti l’amicizia. Qui è difficile avere un amico, non puoi dare troppa confidenza perché spesso si prendono delle fregature. Posso dire di avere un solo grande amico, tutti gli altri (morosa a parte) sono solo dei conoscenti. Ho lottato tanto, ho perso tanto e ho valutato ancora di più. In Argentina sono molto più legati alla famiglia. Il bambino, per esempio, non si vergogna di passeggiare con la mamma. Dare baci ai propri familiari è una cosa normale. All’ Argentina darei il colore “celeste”, perché è sulla bandiera e poi perché la nazionale di calcio si chiama “albin celeste”. Una cosa che difatti ho cara è la nazionale. Quando la guardo mi fa sentire vicino al mio paese d’origine. A volte mi sento più vicino all’Italia come mentalità. Invece, in una partita tra Italia e Argentina, se vince l’Italia mi infastidisco. Siamo ancora in contatto con i nostri parenti in Argentina tramite Skype, telefono e Facebook. Parlo ancora spagnolo, faccio un mix: la parola che mi viene più facile usare in quella lingua, la uso.

pezzetto di terra. L’argentino che aveva il pezzetto di terra prendeva una ciabatta e ci faceva una porta per giocare a calcio. La mentalità è rimasta quella dagli anni 60 ai giorni d’oggi. Per tali motivi tornerei in Argentina solo come viaggiatore. Mia mamma non lavorava in Argentina, ma in Italia c’era bisogno, quindi ha girato un po’ di fabbriche. Mio padre faceva l’amministratore contabile in un’azienda, ma ho dovuto cominciare come operaio. In seguito ha trovato lavoro come contabile/ragioniere e in poco tempo siamo riusciti a comprare la casa con tutti i comfort. Una cosa che mi piace in particolare in Italia è il cibo e i campi da calcio.

Esperienze che ricordi dell’Argentina. A Buenos Aires era pieno di barboni anche sotto casa nostra, che era un palazzo. Uno di questi in particolare era analfabeta e urlava a tutti i passanti tranne che a me. Costui, oltretutto, ci ha difeso un giorno che eravamo inseguiti da una persona. Un’altra piccola esperienza la vidi quando scappai da mia madre e andai da un vigile: gli chiesi il fischietto e lui addirittura me lo regalò. Ogni giorno, tornando da scuola, mi fermavo dal macellaio a giocare a muletto con le figurine. Ogni tanto mi infilavo nella stanza della direttrice scolastica e andavo a giocare col computer e lei quando mi scopriva non si arrabbiava, anche se mi invitava ad uscire. Le cose brutte dell’Argentina le ho viste dopo. Ora posso dire che la cosa più spiacevole è l’ignoranza, perché lì potrebbero avere tutto. Lì è tutto sbagliato a partire dell’impiego delle risorse e non agiscono come andrebbe fatto, muoiono di fame e si preoccupano di cose futili. La povertà va combattuta, non si può stare a guardare. L’italiano che andava in Argentina, che aveva fame e non aveva cibo, si metteva a fare l’orto, a coltivare un 83


Mi chiamo Leandro Canavese, sono nato a Buenos Aires, Argentina, nel 1988. Ho cittadinanza italiana. In Argentina avevo finito la seconda media, ma, essendo arrivato nel mese di Gennaio, ho dovuto riprendere gli studi dalla seconda media, perdendo un anno. I preparativi del viaggio non me li ricordo bene. Ero particolarmente triste di lasciare il mio Paese proprio nel momento in cui cominciavo a coltivare quelle amicizie e con l’adolescenza alle porte. Era il mio primo viaggio in aereo e quindi ne ero affascinato. È stato infinitamente lungo e, ora che ci penso, ricordo che ci hanno fatto guardare “Che pasticcio, Bridget Jones” per ben tre volte! La mia vita nella terra natia era quella di un ragazzino normale: andavo a scuola, giocavo a calcio con gli amici, passavo i weekend in famiglia. Mi ritengo fortunato, perché i nostri genitori non ci hanno mai fatto mancare niente. Dell’Argentina ricordo principalmente quella parte della mia famiglia che è rimasta là e le amicizie: sono molto felice di tenermi in contatto con molti di loro ancora oggi (grazie anche ai social network). Di ricordi belli ne ho tantissimi legati alla mia famiglia, soprattutto alle grigliate che si facevano di domenica a pranzo dove si riunivano anche 3/4 famiglie con tutte le generazioni (dai nonni ai nipotini). Tra molte cose ricordo i profumi e il rumore assordante di una metropoli sempre in movimento, i cibi tipici argentini e quel cielo azzurro e pulito tipico del meridione. Il ricordo tra i più brutti che ho è la morte di mio nonno: mi sarebbe piaciuto tantissimo poter passeggiare per le strade di Pordenone (dove lui era cresciuto) insieme a lui. All’Argentina attribuisco i colori bianco e celeste, senza dubbio. Mi manca tutto ciò che non ho ancora visto. Uno dei miei sogni è quello di riuscire a fare un tour che percorra tutto il Paese. Siamo tornati a Buenos Aires solo nel 2005, siamo stati lì per 3 settimane. Lasciare la seconda volta il mio Paese è stato ancora più difficile rispetto alla prima, forse perché ero più grande e consapevole degli eventi. Un’esperienza bellissima che ho fatto da piccolo in Argentina è stata quella di visitare la Patagonia e di vedere le balene. E’ stato emozionante navigare con una barchetta che in confronto a loro sembrava un gommone! Addirittura sono riuscito a toccarne una, perché si avvicinavano tantissimo alla barca (la cosa faceva allo stesso tempo paura). 84

Una delle cose che mi affascina tantissimo dell’Italia, invece, è che ogni angolo di ogni paesino ha una storia da raccontare. Inoltre mi è piaciuta l’accoglienza e la disponibilità che ho ricevuto al mio arrivo. Mi ha colpito parecchio l’interesse che riscontro ancora oggi dagli altri quando dico di essere nato in Argentina: vengo bombardato di domande, ma puntualmente le prime cose che mi chiedono sono le parolacce! A volte penso a quello che ha fatto la mia famiglia nel 2002 e dico: “Ci vuole proprio coraggio!”. Ricominciare da capo non deve essere stato facile: aver lavorato per anni, essere riusciti ad estinguere il mutuo con sacrificio per avere una casa di proprietà, per poi ripartire da zero, è una sfida non indifferente! Questa esperienza quindi mi ha fatto capire che con amore, sacrificio e spirito di squadra si possono ottenere tante cose, anche quelle più inaspettate.


>>Intervista a Florencia Mi chiamo Florencia Huliana Venegas. Sono nata nel 1980 a La Plata in Argentina. Vivo a Salgaredo in provincia di Treviso. La mia cittadinanza è italiana: ho avuto la possibilità di cambiarla perché mia mamma è creola. Sono emigrata dal mio paese d’origine nel 1991. Avevo undici anni. Abbiamo scelto l’Italia perché mia mamma ha parenti italiani. Mi ricordo abbastanza bene il viaggio, sopratutto com’ero vestita; avevo un cappottino rosa confetto, i capelli raccolti da un fiocchetto rosa in una mezza coda di cavallo. Mi ricordo il cambio di aereo a Rio de Janeiro, la lunga attesa sull’aereo a causa dell’epidemia di colera che girava in quel periodo. Poi abbiamo preso quello per Roma poi quello per Venezia. Siamo Partiti in cinque, con noi c’era anche mia nonna. Siamo partiti dall’Argentina perché la situazione stava degenerando. Mio padre era ingegnere meccanico in un azienda che aveva iniziato a licenziare personale. Si preoccupava non tanto del lavoro quanto di noi, del nostro futuro. Io ero alle elementari e mio fratello faceva quello che qui in Italia viene chiamato “Geometri”. In Argentina vivevo in modo abbastanza agiato da quando mio padre era passato tra i dirigenti. Vicino alla fabbrica c’erano degli chalet costruiti apposta per i dirigenti. Anche a noi ne era spettato uno. Era una casa bellissima in mezzo ai campi a sei chilometri dalla città. I miei ricordi si limitano alla scuola, ai compleanni e a dove vivevo. Di fronte alla mia casa c’era un campetto. In questo si verificavano due fenomeni ai miei occhi straordinari: il primo era la presenza di tante, tantissime farfalle colorate. Si scatenavano tre settimane a primavera e poi si diradavano. Il secondo era la nascita dei funghi. Erano enormi e tondi e mio fratello insieme al nostro vicino di casa li calciavano come fossero palle da calcio. Dietro al campetto c’era un boschetto di pini. In questo boschetto volavano i Chimangos, dei rapaci simili ai falchetti. Quando in primavera nascevano i piccoli la madre stava sul nido mentre il padre se ne andava. Noi andavamo a dar fastidio

alla madre. Eravamo un gruppetto di esploratori, sempre con i pantaloni corti e il bastone in mano. Facevamo molti giochi ma tra i nostri preferiti vi era quello della “chimanga”. Provocavamo la mamma-falco finché non scendeva in picchiata, a quel punto noi ci abbassavamo per schivarla. C’erano anche biscioni verde fluorescente in mezzo a questo campo fiorito bellissimo: sapevo che erano erbivori ma rimanevano lo stesso molto grandi e viscidi. Ogni tanto il custode della fabbrica radunava noi bambini e ci mostrava gli animali ai quali dovevamo stare attenti. In Argentina è un po’ come se tutto fosse più grande. Ci sono rospi grandissimi, principalmente di due tipi: quelli verdi e rugosi che somigliano a un cavolo e quelli gialli e neri. Io ne ho incontrato uno, una sola volta. All’imbrunire stavo giocando a tennis con mia madre che mi dice: “Tra poco andiamo che stanno per uscire i rospi!”. Detto fatto, vado a raccogliere a pallina e me ne trovo uno davanti. Avevo un po’ di paura perché potevano spruzzarmi addosso quella loro sostanza tossica. Avevo una cagnolina di nome Bonita. Lei cacciava tanti animaletti come topi e donnole, che tra l’altro erano abbastanza pericolose perché mangiavano i rifiuti. Non si poteva buttare la spazzatura fuori a causa loro. Spesso d’estate si sentiva urlare: “La comadreja, la comadreja!”. Sono carnivore, quindi cercavamo di allontanarle. Un giorno giravo col mio cane e il bastone per i prati. Ad un certo punto ho visto una viperetta, aveva la testa alzata in segno di attacco. Il cane per difendermi mi si parò davanti e io ne approfittai per darmela a gambe: corsi via più veloce che potevo. Dove vivevo c’erano dei colibrì bellissimi. Avevamo una specie di gelsomino e intorno a questo giravano sempre questi due uccellini di cui vedevi solo il corpicino verde e azzurro brillante. Un giorno saltò la luce e mio padre andò fuori per cercare di sistemare il contatore quando si trovò davanti questo enorme ragno giallo a righe nere, davvero enorme. Vicino a dove vivevamo scorreva un fiume e questo causava spesso forti alluvioni. Il guardiano ci ripeteva che spesso gli animali sono più intelligenti dell’uomo e io ero d’accordo. “I rospi e le formiche sentono prima le alluvioni e per questo dovete essere loro amici! L’altezza a cui si arrampicano è l’altezza a cui arriva 85


l’acqua, ne potete star certi!”. Un mese dopo la nostra partenza ci fu una grandissima alluvione. E anche subito prima che partissimo. Mia madre giocava a tennis e mio padre giocava nello stesso complesso sportivo ad un altro gioco tipico argentino. Giocava a questo sport massacrante che si chiama puddle: una specie di tennis, con il campo più piccolo in cemento e con un muro dietro; si gioca con una racchetta in legno. Il campo può essere all’aperto e si può ricevere la pallina anche facendola rimbalzare sul muro. Si può giocare sia in singolo che in coppia, ma il fatto è che la racchetta è veramente pesante. Un altro passatempo di mio padre era quello della pesca; a volte portava anche me, solo che io non prendevo mai niente. Poi sulle rive del fiume si trovavano le uova dei rospi, così rosa che sembravano gommose al lampone, me l’odore non era proprio quello delle gommose. Per lo più si pescavano sardine e trote ma si ributtavano nel fiume perché in Argentina non è usanza mangiare il pesce: da noi è molto più comune mangiare la carne. L’unica volta in cui sono riuscita a prendere qualcosa era un pesce giallo velenoso: quel giorno mi ero quasi arresa, quando ad un certo punto il galleggiante è sceso e mio padre mi ha dato una mano a tirare su questo pesce. Con noi quel giorno c’era anche il mio amico Pablo, che non mi stava per niente simpatico ma che ha voluto darmi comunque una mano (non richiesta) in questa impresa. Con mio sommo piacere fu punto dagli aculei che il pesce aveva sopra la testa. Essendo la puntura urticante Pablo piangeva e io con indifferenza e un po’ di felicità considerai conclusa l’esperienza di pesca per quel giorno e andai a dedicarmi ad altre attività. Una delle mie preferite era osservare le famigliole di scarafaggi e la loro operosità. Mi incuriosivano molto. Mi ricordo molto bene però il mio bagaglio a mano e il suo contenuto. Io avevo uno zainetto a fiori che mi aveva fatto mia zia, che è tutt’ora in Argentina. Era di tela bianca con dei fiorelloni stampati sopra, molto anni ‘80. Dentro ci buttai tutte le mie Barbie, i vestitini delle Barbie, e due Pinypon; questo era il mio bagaglio a mano! I Pinypon erano come le Polly pocket, ma la loro versione più bella! Avevo molti accessori dei Pinypon, come la carrozza dei cavalli. 86

La percezione che ho dell’Argentina se chiudo gli occhi è un tutto azzurro e verde. Azzurro perché mi ricordo le vacanze al mare e l’oceano. Verde perché da mio punto di vista l’Argentina era come una grandissima pianura. Non torno in Argentina dal 1995, quando sono partita con mia mamma. Ho però dei rapporti con molti dei miei parenti Argentini, come ad esempio i figli dei miei cugini, grazie a Facebook. Se chiudo gli occhi e penso all’Italia vedo il marrone e il rosso. Il marrone perché la prima cosa che ricordo di quando sono scesa a Venezia sono stati i piccioni. Per me Venezia equivale ad una moltitudine di piccioni. C’è anche una foto di me con questo cappottino rosa imbarazzante, circondata da piccioni che mi volavano tutt’attorno (quella foto non so che fine abbia fatto). Quando sono arrivata ad Orsago (del Friuli) ho visto per la prima volta le montagne (le prime montagne serie diciamo..!). Non che in in Argentina non ci fossero, ma non erano così grandi e con la neve sopra. In Italia ho visto per la prima volta la neve. Ero alle elementari: ha cominciato a nevicare quando eravamo fuori per la ricreazione e non volevo più rientrare! La maestra a quel punto mi ha lasciato fuori. Il rosso perché è un colore di varietà, vivacità, perché per me l’Italia è sempre diversa, di luogo in luogo: in ogni posto c’è qualcosa di particolare. Le sensazioni che ti dà sono sempre differenti. Non c’è persona che non mi abbia fatto notare che, pur essendo da molto tempo che me n’ero andata dall’Argentina, ero ancora molto frenetica, molto vivace e molto espansiva. A volte preferisco frenarmi dall’essere così esuberante, poiché sono stata emarginata e fraintesa per questo mio modo di essere. All’Italia darei anche il giallo, perché la considero piena di potenzialità e, spostandosi anche di pochi chilometri, si possono trovare posti molto diversi e tante persone che hanno qualcosa di diverso da darti. Noi siamo venuti in Italia il 2 dicembre, quando in Argentina era estate. Le nostre cose sono arrivate in nave dentro un container più di un mese dopo la spedizione. Mi ero quasi dimenticata delle mie bambole, ma quando mi sono arrivate sono stata felicissima. Avevamo fatto


un piccolo contenitore in legno per mettere dentro tutte le cose di cui non potevamo fare a meno. I mobili e tante altre cose li abbiamo regalati alla nostra donna delle pulizie che si era appena sposata e aveva bisogno di una dote. Noi siamo venuti a vivere in Italia perché mio zio viveva già qui, quindi ci siamo fatti dare una mano da lui anche per non perdere i contatti con la famiglia. Mia mamma ha origini italiane, per la precisione toscane, abruzzesi e lombarde. Invece mio nonno era un po’ sardo e un po’ toscano. Mia nonna paterna era bionda con gli occhi azzurri, probabilmente proveniente dal nord Europa. Mio nonno, sempre da parte di mio padre, era invece argentino puro: la mia bisnonna era una vera e propria indiana delle Pampas. Il mio bisnonno, che era un vero e proprio gaucho argentino, quando si muoveva col suo bestiame si fermava spesso in una fattoria in cui viveva una ragazza di cui si era subito infatuato (la mia bisnonna). Le ha chiesto subito di seguirlo a Buenos Aires e lei ha acconsentito. Ultimamente per vari motivi penso spesso alle mie origini. Mi manca un po’ il clima e un po’ la gente. Gli argentini sono persone molto alla mano, meno chiuse di quelle che si trovano in Italia: sono più ospitali e più calorose. In Argentina c’è meno benessere e per questo probabilmente le persone lì tendono ad essere più solidali tra loro e a dare valore alle piccole cose. La grigliata diventa un pretesto per trovarsi tutti assieme, un momento dove ognuno partecipa portando qualcosa. Qui in Italia ho conosciuto degli argentini in una comunità a Prata di Pordenone: all’inizio si facevano delle cene tutti assieme, poi ci si è persi di vista. Ora conosco più italiani che argentini. Arrivati in Italia i miei genitori si sono trovati male, perché sono stati catapultati in una realtà diversa da quella a cui erano abituati. Ci siamo ritrovati in un piccolo paesino dove la gente era molto chiusa: con noi si dimostravano molto ospitali, ma in seguito abbiamo capito che quell’atteggiamento era per lo più una forzatura imposta loro dalla parrocchia. Scoperto ciò l’imbarazzo era ancora maggiore perché sentivamo che il loro mondo non ci apparteneva. Ci abbiamo messo molti anni per ambientarci. Il mio legame attuale con l’Argentina è più un legame con un sapore che un legame con una terra. Un sapore che sento che fa parte di me, ma che non riesco a spiegarmi.

Sono persone alla mano, meno chiuse di quelle che si trovano in Italia: sono più ospitali e più calorose. In Argentina c’è meno benessere e quindi probabilmente le persone, lì, tendono ad essere più solidali tra loro e a dare valore ad altre cose. La grigliata diventa un pretesto per trovarsi tutti assieme, dove ognuno partecipa portando qualcosa. Qui in Italia ho conosciuto degli argentini in una comunità a Prata di Pordenone: all’inizio si facevano delle cene tutti assieme, ma poi ci si è persi di vista. Ora conosco più italiani che argentini. Arrivati in Italia i miei genitori si sono trovati male, perché si sono ritrovati in una realtà diversa da quella a cui erano abituati. Ci siamo trovati in un piccolo paesino dove la gente era molto chiusa: con noi si dimostravano molto ospitali, ma poi abbiamo capito che questo atteggiamento era per lo più una forzatura imposta dalla loro parrocchia. Una volta scoperto ciò, l’imbarazzo era ancora maggiore perché sentivamo che il loro mondo non ci apparteneva. Ci abbiamo messo molti anni per ambientarci. Il mio legame attuale con l’Argentina è più un legame con un sapore, che un legame con una terra. Un sapore che sento che fa parte di me, ma che non riesco a spiegarmi.

87



»»Le illustrazioni e il cortometraggio Ho scelto di riassumere le interviste e partendo dalla storia di Olga, ho realizzato una storia “universale” che racchiude tutte le cinque narrazioni (più o meno). Nelle seguenti pagine si possono notare alcune delle illustrazioni. Nel cortometraggio ho cercato di riassumere la storia.

89


90


91


92


93


94


95


96


97


98


99


100


101


102


103


104


105


106


107


108


109


110


111


112


113


114


115


116


117


118


119


120


121


122


123


124


125


126


127


128


129


130


131


132


133


134




»»Bibliografia Attanasio Maria, Dall’Atlante agli Appennini, Orecchio Acerbo, Roma, 2008 (da 9 anni). Greder Armin, L’isola, Orecchio Acerbo, Roma, 2007 (da 8 anni a 99). Tan Shaun, L’approdo, ill., Elliot, 2008 (per tutti) Lecomte Mia, L’altra città, Sinnos, Roma, 2010, ill. A. Rivola, Chiesa Mateos Mariana, Migrando, orecchio acerbo, Roma, 2010, Leuzzi Carmela, Sole e la speranza, Arka, Milano, 2010, Natalini Sandro, Nava Tommaso, Il sapore amaro delle arance, Coccole e caccole, Belvedere (CS), Boldis Viorel, Il fazzoletto bianco, Topipittori, Milano, 2010, ill. A. Toffolo. D’Angelo Carolina, H.H., Principi & Principi, Arezzo, 2011, Baladan Alicia, Piccolo grande Uruguay, Topipittori, Milano, 2011, Aa.vv, iiI. Henning Wagenbreth, 1989. Dieci storie per attraversare i muri, Orecchio Acerbo, Roma, 2009 Roberto Anglisani, Maria Maglietta, Giungla. Dieci bambini perduti nella giungla di una grande città, Rizzoli, Milano, 2013 Maria Attanasio, iiI. Francesco Chiacchio, Dall’Atlante agli Appennini, Orecchio Acerbo, Roma, 2008 Luigi Ballerini, Non chiamarmi Cina, Giunti, Firenze, 2012 Isabella Bembo, Simona Cerrato, L’altra metà della mela, Rizzoli, Milano, 2012 Anna Castagnoli, Super 8, Topipittori, Milano, 2010 Antonella Cilento, iiI. Giuseppe Palumbo, Nessun sogno finisce, Giannino Stoppani edizioni, Bologna, 2007 Baba Wagué Diakité, A gift from childhood. Memories of an African Boyhood, Groundwood, Toronto, 2010 Gemma Pasqual i Escrivà, Giocherò nel Barca, San Paolo, Cinisello Balsamo, 2012 Gemma Pasqual i Escrivà, La ballerina di Baghdad, San Paolo, Cinisello Balsamo, 2012 Fabrizio Gatti, Viki che voleva andare a scuola, Rizzoli, Milano, 2012 Cecilia Gentile, Bambini all’inferno, Salani, Milano, 2013 Marta lorio, Cicale, Topipittori, Milano, 2012 Roberta Lipparini, iiI. Arianna Operamolla, C’è un posto accanto a me, Mondadori, Milano, 2013 Marie-Aude Murail, Cecile. Il futuro è per tutti, Giunti, Firenze, 2010 Hans-Georg Noack, Benvenuto, Gallucci, Roma, 2012 Daniela Palumbo, Sotto il cielo di Buenos Aires, Mondadori, Milano, 2013 Angelo Petrosino, iiI. Sara Not, Valentina e i colori del mondo, Piemme, Milano, 2010 Roberto Piumini, iiI. Paolo Rui I sogni di Lui To, Chartusia, Milano, 2013 Paolo Rumiz, iiI. Alessandro Baronciani, A piedi, Feltrinelli Kids, Milano, 2012 Janne Teller, iiI. Jean-François Martin, Guerre, et si ça nous arrivait?, Les Grandes Personnes, Parigi, 2012 Dominique Torrès, Libero!, San Paolo, Cinisello Balsamo, 2010 Lucia Vastano, La magnifica infelicità imperfetta, Salani, Milano, 2013 AaVv, ill. Ronan Badel, Europe. Mémoires profondes, Autrement Jeunesse, Parigi, 2008 AaVv, Couleurs du monde, Milan Jeunesse, Tolosa, 2008 AaVv, iiI. Andrea Capone, Sulle orme di. .. Marco Polo, Istituto Geografico De Agostini, Novara, 2012 Jeannie Baker, Mirror, Candlewick Press, Sommerville, 2010 Marco Baliani, iiI. Mirko Baliani, Il signor Ventriglia, Orecchio Acerbo, Roma, 2002 Barroux, Le Paris de Léon, Actes Sud Junior, Arles, 2011 Viorel Boldis, iiI. Antonella Toffolo, Il fazzoletto bianco, Topipittori, Milano, 2010 José Manuel Matteo Calderòn, Alain Serres, iiI. Javier Martinez Pedro, Au pays de mon ballon rouge, Rue du monde, Voisins-Ie-Bretonneux, 2011

137


Marco Carrara, iiI. Chiara Carrer, Le Trésor d’Arif, Circonflexe, Parigi, 2002 Mariana Chiesa Mateos, Migrando, Orecchio Acerbo, Roma, 2010 Katy Couprie, Antonin Louchard, A’ Table, Thierry Magnier, Parigi, 2002 Katy Couprie, Veronuque Puvilland, Younès Abou, Ayoub, Michel Sixou, Un monde palestinien, Thierry Magnier, Parigi, 2011 Mario de Andrade, iiI. Odilon Moraes, Seni o Benedito!, Cosac Naify, San Paolo, 2008 Ann Do, Susanne Do, iiI. Bruce Whatley, The little refugee, Allen und Unwin, Sidney, 2011 Anke Oorrzapf, iiI. Claudia Lieb, Oie wunderbaren Reisen des Marco Polo, Gerstenberg, Monaco, 2009 Giuliana Fanti, iiI. Andrea Calisi, Viaggiatori del sogno, Edizioni Corsare, Perugia, 2010 Paul Fleishman, iiI. Julie Paschkis, Glass Slipper, Gold Sandal, A Worldwide Cinderella, Henry Holt Et Company, New York, 2007 Arthur Flowers, iiI. Manu Chitrakar, I See the Promised Land, Tara Books, Chennai, 2010 Letizia Gall i, Comme le papillon, Points des suspension, Parigi, 2000 Sofia Gallo, iiI. Anna Castagnoli, Nadeem andata e ritorno, Sinnos, Roma, 2006 Sofia Gallo, Jasmika Halilovic, iiI. Livia Coloji, Il sogno di Jlepa, Giralangolo, Torino, 2010 Sarah Garland, Leyla nel mezzo, Lo Stampatello, Milano, 2012 Fabio Geda, iiI. Marco Cazzato, Nel mare ci sono i coccodrilli, Oalai editore, Milano, 2011 Valentine Goby, iiI. Ronan Badel, Le cahier de Le”lia. De l’Algérie à Billancourt, Autrement Jeunesse, Parigi, 2007 Valentine Goby, iiI. Olivier Tallec, Le reve de Jacek. De la Pologne aux corons du Nord, Autrement Jeunesse, Parigi, 2007 Valentine Goby, iiI. Ronan Badel, Le secret d’Angelica. De l’ltalie aux fermes du Sud-Ouest, Autrement Jeunesse, Parigi, 2008 Valentine Goby, iiI. Ronan Badel, Thien An ou la grande traversée. Du Vietnam à Paris XIII, Autrement Jeunesse, Parigi, 2009 Valentine Goby, iiI. Ronan Badel, ChaYma et le souvenir d’Hassan. Du Maroc à Marseille, Autrement Jeunesse, Parigi, 2009 Valentine Goby, iii. Philippe de Kemmeter, Anouche ou la fin de l’errance. De l’Armenie à la vallée du Rhone, Autrement Jeunesse, Parigi, 2010 Valentine Goby, iii. Philippe de Kemmeter, Joao ou l’année de la Révolutions. Du Portugal au Val-deMarne, Autrement Jeunesse, Parigi, 2010 Valentine Goby, iiI. Ronan Badel, Antonio ou la Résistence. De l’Espagne aux Pyrénées Orientales, Autrement Jeunesse, Parigi, 2011 Valentine Goby, iiI. Olivier Tallec, Adama ou la vie en 3D. Du Mali à Saint-Denis, Autrement Jeunesse, Parigi, 2011 Joào Gomes de Abreu, iiI. Yara Kano, A ILHA, Planeto Tangerina, Carcavelas, 2011 Armin Greder, L’isola, Orecchio Acerbo, Roma, 2008 Armin Greder, Gli stranieri, Orecchio Acerbo, Roma, 2012 Françoise Guyon, iii. Roger Orengo, Moussa enfant-soldat, Grandir, Nlmes, 2007 Ghislaine Herbéra, Il signor senzatesta, La Margherita, Cornaredo, 2012 Annette Herzog, iiI. Katrine Clante, Flieger am Himmel, Hammer, Wuppertal, 2009 Rebecca Hickox, iiI. Will Hillenbrand, The golden sandal. A Middle Eastern Cinderella Story, Holiday House, New York, 1998 Deborah Hopkinson, iiI. Leonard Jenkins, Sweet Land of Liberty, Peachtree Publishers, Atlanta, 2007 Nadin Kaadan, Ghadan, Dar al-Sunduq, al-Imarat, 2012 Andrea Karimé, iiI. Annette von Bodecker, Nuri und der Geschichtentppich, Picus, Vienna, 2006 André Leblanc, iiI. Barroux, Le piano rouge, Le Sorbier, Parigi, 2008 Carmela Leuzzi, Sole e la speranza, Arka, Milano, 2010 Mercè Lopez, L’enfant qui mangeait des margouillats, Kaléidoscope, Parigi, 2009 Valérie Losa, Sapore italiano. Piccole storie di pranzi domenicali, Zoolibri, Reggio Emilia, 2010 José Manuel Mateo, iiI. Javier Martinez Pedro, Migrar, Faktoria k de Libros, Messico, 2012 138


Henri Meunier, Nathalie Cheoux, Via di qua!, Jaca Book, Milano,2005 Sandro Natalini, Il sapore amaro delle arance, Coccole e Caccole, Belvedere Marittimo, 2011 A.A., RACCONTI DAL MONDO, Scrivere le migrazioni, Antologia di narrazioni 1990-2007, Editrice Filef Srl, Roma, 2007 A.A. Nei libri il mondo catalogo, Giannino Stoppani edizioni, Bologna, 2013

»»Sitografia Http://www.Vanninieditrice.It/agora_scheda.Asp?Id=906&categoria=bibliografie Http://www.Orecchioacerbo.Com/editore/ Http://www.Coccoleecaccole.It/?P=200 Http://www.Flickr.Com/photos/federiconovaro/5591261395/ Http://www.Mangialibri.Com/node/7726 Http://www.Lafeltrinelli.It/products/9788880721970/sole_e_la_speranza/carmela_leuzzi.Html Http://libribambinifantasia.Blogspot.It/2011/12/sole-e-la-speranza.Html Http://andrearivola.Blogspot.It/2010/03/laltracitta.Html Http://viadellebelledonne.Wordpress.Com/2010/05/20/l-altra-citta-di-mia-lecomte/ Http://vimeo.Com/19542897 Http://it.Wikipedia.Org/wiki/marjane_satrapi Http://www.Martinagalea.Com/persepolis.Html Http://aliciabaladan.Blogspot.It/ Http://www.Globeglotter.It/comunicazione/341-alicia-baladan-per-mio-scritto Http://www.Topipittori.It/ Http://www.Orecchioacerbo.Com/editore/index.Php?Option=com_oa&vista=autori&id=24 Http://www.Booksblog.It/post/4208/torna-armin-greder-tradotto-da-baricco Http://www.Votailprof.It/unimagazine/nazionale/terza-pagina/libri/la-citta-di-armin-greder-12046 Http://nuvoleparlanti.Blogosfere.It/2009/02/lapprodo-di-shaun-tan.Html Http://www.Elliotedizioni.Com/catalog/title/title_card.Php?Title_id=58 Http://lascatoladelte.Blogspot.It/2010/04/migrando-orecchio-acerbo.Html Http://www.Orecchioacerbo.Com/editore/index.Php?Option=com_oa&vista=catalogo&id=204 Http://www.Bambini.Info/2010/03/23/fiera-del-libro-per-ragazzi-bologna-%e2%80%93-presentazione-dimigrando-di-mariana-chiesa/ Http://bibliogarlasco.Blogspot.It/2009/01/la-citt-di-armin-greder.Html Http://bct.Comperio.It/opac/detail/view/sbct:catalog:416230 Http://www.Giuntiscuola.It/lavitascolastica/magazine/articoli/cultura-e-pedagogia/raccontare-l-immigrazione/ Http://it.Wikipedia.Org/wiki/persepolis_(fumetto) Http://it.Wikipedia.Org/wiki/persepolis_%28film%29 Http://www.Shauntan.Net/ Http://www.Brainpickings.Org/index.Php/2012/11/26/best-art-books-2012/ Http://libros.Fnac.Es/a825316/jose-manuel-mateo-migrar Http://www.Isabellearsenault.Com/publications/migrant/ Http://buoneletture.Wordpress.Com/2010/05/14/sapore-italiano-di-valerie-losa/ Agorà. Paesaggi dell’intercultura”, magazine online: www.Vanninieditrice.It/agora_home.Asp Immigrazioneraccontataairagazzi.Wordpress.Com/author/immigrazioneraccontataairagazzi/ Www.Vanninieditrice.It/agora_home.Asp Www.Sociol.Unimi.It

139


»»Tesi consultate

»»Articoli consultati

Alessandra Casalbore Identità, appartenenze, contraddizioni. Una ricerca tra gli adolescenti di origine straniera nelle scuole secondarie superiori di Roma Università degli Studi Roma Tre Scuola Dottorale in Pedagogia e Servizio Sociale Dottorato di ricerca in Pedagogia XXII ciclo

Jacopo bassi Diacronie , studi di storia contemporanea Www.Diacronie.It N. 5 | 1|2011 Dossier: italie altre. Immagini e comunità italiane all’estero 22/ La rete e l’immigrazione italiana nell’area platense

Antonietta Albanese Immigrati e identità sociale Working Papers del Dipartimento di studi sociali e politici

Lorenzo luatti Educazione interculturale vol. 11, N. 1, Gennaio 2013

Andrea di Giorno Extra (Mo)dulo Ottimizzare la modulistica utilizzata dagli immigrati per semplificare il dialogo con la burocrazia migliorando lo scambio di informazioni. Diploma accademico di I livello, Isia di urbino A.A. 2009/2010 Beatrice Cinelli Gli italiani nel mondo. Dalla storia dell’emigrazione alla situazione attuale dei nostri connazionali residenti all’estero. Tesi di diploma In mediazione linguistica e comunicazione interculturale Anno accademico 2010-2011 Lucia Marangoni La mediazione e il mediatore culturali: Uno sguardo esplorativo Università degli studi di padova Facoltà di scienze della formazione-Corso di laurea in scienze dell’educazione Indirizzo: educatore professionale Anno accademico 2002/2003

140

Torcuato Di Tella Storicamente 7 - 2011 Rivista del Dipartimento di Discipline Storiche, Antropologiche e Geografiche Università di Bologna http://www.storicamente.org ArchetipoLibri http://www.archetipolibri.it Italiani in Argentina


»»Ringraziamenti Vorrei ringraziare la professoressa Sola che mi ha sempre sostenuto, incitato, ispirato a fare nuove ricerche. In questo progetto sono state fondamentali le interviste e le loro storie quindi ringrazio Olga, Florencia, Liliana, Danilo e Leandro. Inoltre, per la correzione dei testi ringrazio, per il loro importante lavoro svolto Elena, Sara e Alice. Per la realizzazione del cortometraggio ringrazio Gianluigi Toccafondo e Massimo Salvucci. Ringrazio la mia famiglia. Massimo M. e la sua famiglia, Sissi e Digio per il supporto morale. Mi scuso e ringrazio tutte le persone sul quale ho “testato” il mio elaborato. Ringrazio inoltre gli Insostenibili e i compagni di corso del biennio per gli anni trascorsi assieme e per avermi sopportato.

141



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.