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Supplemento settimanale a l’Automobile.
INNOVAZIONE I MOTORI I LIFESTYLE
Settimanale digitale • Anno 1 • Numero 23 • 22/12/2017
2018, anno mobile
FRANCESCO PATERNÒ ■ Per la mobilità e l’automobile, il 2018 dovrebbe essere un anno di transizione. In senso positivo: i robot non avranno ancora preso il volante ma sistemi di assistenza alla guida sempre più evoluti arriveranno sulle nuove auto, in nome della sicurezza; i veicoli a zero emissioni non sostituiranno le macchine con motori termici ma cresceranno in modo più sensibile insieme a quelli ibride, in nome della sostenibilità; la condivisione di auto, moto e bici non porterà alla fine della proprietà ma accrescerà la sensibilità per un modo diverso di vivere la mobilità, in
nome della riduzione del traffico; sarà insomma un 2018 con qualche buona notizia, lavorando per portare a casa obiettivi sempre più ambiziosi. Nelle nostre previsioni, questo anno mobile sarà poi fatto dai grandi mercati, dove è facile stimare una ulteriore crescita di suv e crossover, da una Cina in pole position per la diffusione dell’auto elettrica, dalle nuove sfide che attendono i giganti della Silicon Valley soprattutto in Europa, a cominciare dalla Tesla di Elon Musk. In Italia, anno elettorale, avremo qualche incertezza in più, pure a fronte di tanti Comuni virtuosi nell’investire su una nuova mobilità. L’Automobile Week torna online il 12 gennaio. Auguri. 27 Marzo 2017 ·
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PAESE
Mobilità sostenibile, chi sta in prima linea. MARINA FANARA
■ La mobilità sostenibile è la vera sfida che segna il futuro delle nostre città. Milano, Torino e Bologna sono in testa, ma in prima linea ci sono stati – e ci saranno – tanti altri Comuni. Per motivi ambientali, innanzitutto, ma anche per motivi sociali (la mobilità è uno dei diritti fondamentali sanciti dalla costituzione, art. 16) ed economici (il tempo perso nel traffico ha effetti negativi sulla produttività e sul Pil del territorio). Fatto sta che molti sindaci in questa sfida si sono lanciati da mesi, nonostante le ristrettezze di bilancio legate ai vincoli e ai tagli dei trasferimenti imposti dallo Stato. Il quale, finora, ha dimostrato scarsa volontà a investire in innovazione, specialmente nel settore dei trasporti pubblici e dei servizi alternativi di mobilità. Sul 2018, anno elettorale, resta un enorme punto interrogativo. Ci sono delle eccellenze Nonostante tutto, le eccellenze ci sono e anche tra i Comuni di medie dimensioni. Secondo l’Anci, l’associazione dei
centri urbani italiani, esistono dal Veneto al Lazio, a partire da quelli di Mobilità nuova, con Pesaro in prima fila, e delle Città 30 e Lode, un Club di 15 città da Abbiategrasso a Pomezia, pronto ad accogliere altre realtà. L’incognita resta tuttavia quella delle risorse. Nel 2017 il governo ha messo in campo 10 miliardi di euro per nuovi bus, tram e metropolitane, altri 80 per progetti di mobilità sostenibile per i percorsi casa-scuola e casa-lavoro e ha inserito nella manovra 2018 la possibilità di detrarre l’abbonamento ai mezzi pubblici. Ma c’è il rischio forte che queste risorse possano arrivare in enorme ritardo se non perdersi del tutto nel solito balletto di competenze e passaggi burocratici che vedono in prima fila le Regioni e determinano grandi differenze tra il nord e il sud. È su questo che nel 2018 si gioca la partita della mobilità sostenibile in Italia: la possibilità di poter spendere presto i fondi disponibili con un passaggio diretto delle risorse ai Comuni, senza penalizzare il sud. 22 Dicembre 2017 ·
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PAESE
Più sicurezza, ne abbiamo bisogno.
incidenti (dati ACI-Istat), mancata precedenza e velocità troppo elevata, complessivamente il 41,5% dei casi. Nel 2018 c’è tuttavia un segnale positivo che riguarda tutta l’Europa. Dal 31 marzo entra in vigore l’obbligatorietà dell’eCall a bordo di ogni nuovo veicolo prodotto a partire da questa data. L’eCall è un sistema che, in caso di emergenza, invia una chiamata automatica a una centrale che nell’intero territorio comunitario risponde al numero unico “112”. È un passaggio cruciale per la sicurezza, come a suo tempo sono state le cinture di ritenuta, il sistema di frenata Abs e così via: stando alle stime, l’eCall sarà in grado di far risparmiare ogni anno fino a 2.500 vite umane e oltre 20 miliardi di euro di costi sociali. Più sicurezza, ne abbiamo bisogno.
FRANCESCO PATERNÒ AUTO E MOTO
A tutto suv, da Jaguar a Volkswagen. PAOLO ODINZOV ■ Nella mobilità, se c’è una cosa che non basta mai, è la sicurezza. Nel 2018 le prospettive sono in chiaroscuro: da una parte, sulle nuove automobili grandi e piccole crescono le dotazioni di sistemi attivi di serie e a pagamento, dall’altra l’incoscienza di chi è alla guida sembra non conoscere limiti. Nel primo semestre del 2017, stando alle stime preliminari ACI-Istat, c’è stata sì una riduzione del numero di incidenti stradali e di feriti, rispettivamente del 4 e del 5% in media rispetto ai dati consolidati dello stesso periodo del 2016. Ma c’è stata anche un’inversione di tendenza per le vittime, che tornano a crescere, con incrementi compresi tra il 6,7 e l’8,2% soprattutto su autostrade e strade extraurbane. Sono dati che allontanano ulteriormente l’obiettivo europeo di riduzione del 50% delle vittime entro il 2020. E che sottolineano ancora una volta come la cultura della prevenzione e dell’educazione stradale non sia mai sufficiente. Nel prossimo decennio, fra i primi obiettivi dei sistemi di guida autonoma che progressivamente l’industria renderà disponibili sul mercato, c’è proprio quello di una forte riduzione degli incidenti stradali. Fino a zero quando l’algoritmo giusto sarà al posto giusto in un mondo in cui la mobilità sarà permessa anche a chi ha problemi di disabilità. Strada in salita Nel frattempo, la strada della sicurezza resta in salita, aspettando i robot al volante. Nella nostra legge di bilancio 2017 non è stata inserita una norma che inasprisse le sanzioni per chi utilizza il telefono alla guida, perché considerata “estranea” ai contenuti della manovra. Eppure molti degli incidenti stradali sono dovuti proprio alla distrazione, con tutti i costi sociali ed economici che ne derivano per il Paese. Ai quali si aggiungono, fra le prime cause di 4
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■ C’era una volta ciò che chiamavano indistintamente “jeep”, sia i fuoristrada del marchio americano che i veicoli della concorrenza. Ci sono adesso suv e crossover, di fatto automobili comode e versatili: capaci anche loro in molti casi di andare in off road (quando dotate di trazione integrale), pur non essendo nate per stare troppo lontano dall’asfalto. Oggi questi modelli dominano il mercato con una quota in crescita costante che in Italia vale al momento circa il 30% del totale immatricolazioni. Non c’è dunque da meravigliarsi se anche per il prossimo anno le previsioni indicano ancora un boom di suv e derivati. La primavera di Lamborghini Sono molte le novità in arrivo, alcune delle quali attese da tempo, altre sorprendenti per motorizzazioni e dimensioni. Una su tutte è la Lamborghini Urus: presentata il
4 dicembre scorso, il super suv di Sant’Agata Bolognese – motore biturbo V8 da 650 cavalli – sarà in vendita dalla primavera 2018 con prezzi da oltre 200.000 euro. Un ritorno al futuro per il marchio dopo un precedente modello a ruote alte tutto cavalli e prestazioni, la LM 002 del 1968. La Jaguar elettrica Entro l’estate – e dopo la commercializzazione in gennaio del primo baby suv Jaguar E-Pace – arriverà il crossover Jaguar I-Pace tutto elettrico a zero emissioni. Visto in forma di concept ai Saloni dell’auto in giro per il mondo, ancora prima di essere in strada ha già conquistato diversi record con le versioni pre-serie: compreso quello di viaggiare per 320 chilometri sulle strade della California senza fermarsi a ricaricare le batterie, dal Sunset Boulevard di Los Angeles a Morro Bay nella contea di San Luis Obispo. Il mini suv su base Polo Dopo l’estate la Volkswagen ci farà vedere in forma definitiva la T-Cross, il suo primo piccolo suv in vendita però nel 2019, con cui il marchio tedesco chiude il cerchio della sua gamma di sport utility di medio-piccole dimensioni, dal nuovo Tiguan all’inedito T-Roc. Il T-Cross è sviluppato sulla base della Polo, avrà una lunghezza sotto i 4,20 metri e motori a 3 e 4 cilindri d’ultima generazione. Arriva per ultimo in un mercato affollato, ma non si può escludere – è già successo nella storia – che gli ultimi saranno i primi.
INNOVAZIONE
co a partire dal 2025. Un obiettivo che sarà anticipato al 2020 nel caso della gamma destinata alle vendite nella città di Pechino, come annunciato dal presidente di Baic, Xu Heyi. Per far questo Baic ha annunciato l’apertura, insieme a 14 istituzioni, tra le quali l’università di Tsinghua, nella capitale cinese di un centro di ricerca e sviluppo dedicato alle auto elettriche. Primo mercato per le elettriche In Cina le vendite di auto elettrificate a fine anno raggiungeranno, secondo le stime dell’associazione locale dei costruttori, più di 700 mila unità, con una crescita rispetto allo scorso anno di oltre il 50%. Il Paese asiatico è il primo al mondo per volumi di veicoli elettrificati. In particolare Baic nei primi 11 mesi ha superato le 88 mila vetture elettrificate vendute e a fine 2017 arriverà a infrangere quota 100 mila, su un totale di circa 480 mila unità. Baic ma non solo Una rinuncia completa a benzina e diesel (sempre dal 2025) che era stata annunciata nei mesi scorsi anche da Chongqing Changan Automobile Co. con un investimento di oltre 15 miliardi di dollari. In Cina dunque sull’auto elettrica si fa sul serio. Segno anche che la direzione del governo è chiara: avanti con l’elettrificazione. Senza se e senza ma. A patto di convincere i cinesi: su oltre 20 milioni di veicoli immatricolati ogni anno, le 700mila unità a batterie restano comunque molto poche.
BUSINESS
Cina elettriche Diesel, avanti tutta. dentro o fuori. YANG QUIAN
ALESSANDRO MARCHETTI TRICAMO
■ SHANGHAI – L’onda elettrica si allunga. E la Cina gioca un ruolo da protagonista. L’ultimo annuncio è di Beijing Automotive Group (Baic), partner di Daimler e Hyundai per il mercato locale, che ha deciso di abbandonare i motori tradizionali a combustione, per passare completamente all’elettri-
■ Dentro o fuori. Il futuro del diesel si gioca nel 2018. Lo scenario sembra piuttosto chiaro: l’industria europea, nonostante gli annunci e i proclami sull’elettrificazione, continua a puntare (e a investire) sul vecchio motore a gasolio. I governi centrali spaventati dal timore della perdita di 22 Dicembre 2017 ·
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posti di lavoro (e relativi voti) restano in posizione neutra e, tranne alcuni casi dei Paesi del Nord come la Norvegia, non sono ancora pronti ad abbracciare completamente la causa elettrica. L’Unione Europea non sembra poi avere la forza di resistere alle sirene della lobby dell’industria automobilistica come dimostrano i “prudenti” limiti sulle emissioni di CO2 indicati per il 2025 e 2030, rispettivamente -15% e -30% rispetto ai valori del 2021. A vederla da qui il diesel potrebbe dormire sonni tranquilli. Il condizionale però è d’obbligo. La festa potrebbe essere rovinata dalle amministrazioni locali. Sindaci distanti dagli interessi delle industrie automobilistiche e dalle politiche di Bruxelles. Parigi e Londra, su tutti. Città dove il diesel sarà vietato a partire dal 2030. Saranno loro a decidere vita o morte. Se questa decisione si dovesse allargare nel 2018 ad altre capitali, per i motori a gasolio saranno guai. Italia compresa: già negli ultimi giorni di questo 2017 ci sono stati casi di stop alla circolazione di veicoli diesel anche di ultima generazione (Euro 6). È il caso ad esempio di Roma. Ma anche Milano e Torino sembrano andare in questa direzione. Amministratori alle prese più che con le parole, con polveri sottili ben oltre la soglia stabilita. Con questo scenario, chi acquisterà un diesel sapendo che potrebbe rischiare di tenerlo fermo in garage? E a queste condizioni chi sarebbe disposto a vedere svalutata rapidamente la propria auto? Quanto queste incertezze influiranno sui canoni mensili delle formule di noleggio a lungo termine? Domande alle quali il 2018 dovrà dare una risposta.
BUSINESS
Il prossimo Elon Musk. PAOLO BORGOGNONE
sempre – ritrovano la mattina di Natale impacchettato sotto l’albero. Oggi i loro genitori spediscono robuste somme di denaro a Elon Musk per portarsi a casa la prenotazione di un sogno a quattro ruote. La Model 3. Il manager nato in Sudafrica non viaggia in slitta e non ha un sacco pieno di doni, ma di promesse. Come portare tutti su Marte sui razzi che costruirà lui stesso. Di realizzare a tempo record e in barba alla geologia (e forse pure alla logica) lunghissimi tunnel sotto le città e farli attraversare da piattaforme robot in grado di sfrecciare a 200 all’ora, con sopra auto autonome che sanno già dove vogliamo andare. Di produrre un super camion per trasportare di tutto senza fare rumore e senza emettere nulla. Di salire presto a bordo della Roadster 2 (la stessa supercar che vuole mandare su Marte), che corre a 400 chilometri all’ora e inghiotte mezzo chilometro di strada in 10 secondi. Idee a credito Musk ha poi fatto la promessa più grande a tutti quelli che gli hanno spedito i 1.000 dollari (ma c’è chi ne ha sborsati 4.000 per “saltare la fila”) necessari a prenotare la Model 3, la vettura che dovrebbe cambiare – sostiene – la storia non solo di Tesla ma di tutto il mondo dell’automobile. Dice che ne consegnerà 10.000 alla settimana entro la fine del 2018. Cosa per ora improbabile: nel terzo trimestre del 2017 le consegne sono state inferiori di sei volte a quelle effettivamente effettuate (260 contro 1.500). Problemi di rifornimenti, di fornitori poco seri o nel migliore dei casi impreparati, si dice. Problemi di soldi, anche. Il 2018 dovrà segnare una svolta. O la produzione decolla, o il rischio d’impresa si fa per lui pericoloso. Nel frattempo, Musk continua a sfornare idee a credito. Come la consegna del Semi, il camion elettrico che sta andando per la maggiore tra i grandi nomi del settore. Pepsi ne ha chiesti 100, Ups pare ne voglia 125, loro e altri gruppi non hanno esitato a sborsare cifre cash considerevoli per poi sedersi e aspettare che esca dalla fabbrica. Almeno Santa Claus una volta l’anno arriva davvero quasi per tutti.
INNOVAZIONE
L’Europa sfida la Silicon Valley. PATRIZIA LICATA
■ I bambini scrivono la letterina a Babbo Natale affidando a quelle poche righe un desiderio che – spesso ma non 6
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■ Il 2018 sarà tutto in salita per le aziende della Silicon Valley che non sapranno allinearsi alle regole del Vecchio Continente. Lo ha appena dimostrato il caso Uber: la Corte di giustizia europea ha pronunciato la sentenza definitiva
LIFESTYLE
sul ricorso presentato da un’associazione di tassisti di Barcellona e ha stabilito che Uber è un servizio di trasporto e non una piattaforma digitale. È una differenza cruciale: come servizio di trasporto, la società americana del ride hailing deve adeguarsi alle regole di settore, dalle licenze per circolare (le stesse necessarie per i taxi tradizionali) alle norme sul lavoro al prelievo fiscale. L’Italia si è già mossa sul fronte fiscale: nella prossima manovra verrà inserita una proposta di “web tax” (con imposta al 3%), la tassa sulle aziende dell’economia digitale. La Silicon Valley dovrà dare una risposta convincente pure sull’utilizzo dei dati personali: siamo sempre più connessi (anche in auto: pensiamo alle black box o alla manutenzione predittiva) ma le aziende devono ottenere il consenso informato dell’utente per raccogliere e trasferire i suoi dati. Da maggio 2018 entrerà in vigore nei Paesi dell’Unione europea la normativa Gdpr sulla protezione dei dati personali. Agli americani non piace per niente: le imprese a stelle e strisce accusano l’Europa di voler iper-regolamentare le sue industrie e così danneggiare l’innovazione. Il programma Horizon 2020 La protezione dei diritti fondamentali non tollera compromessi, su questo l’Europa ha ragione. Ma ignorare l’innovazione vuol dire perdere competitività e posti di lavoro – quegli stessi che ci impegniamo tanto a tutelare. Lo ha riconosciuto il commissario Ue alla Ricerca Carlos Moedas, parlando con il Financial Times: “Le imprese europee non sono riuscite a salire sul treno dell’economia digitale basata sui servizi online e le applicazioni per smartphone; ora non facciamoci sfuggire l’era della Internet of Things, per noi è un’opportunità enorme”. L’economia degli oggetti connessi a Internet è perfettamente incarnata dall’evoluzione dell’automobile, trasformatasi in connected car, software su quattro ruote, autorobot. È anche un territorio in cui l’Europa, con i suoi colossi manifatturieri e il suo bacino di ingegneri, scienziati e creativi, può tornare protagonista, dando vita alla sua Uber, alla sua Waymo, alla sua Tesla. Moedas sta ridisegnando il programma di ricerca europeo Horizon 2020 affinché sia tarato su specifici progetti, possibilmente dalla portata “rivoluzionaria”: per il settore auto potrebbero essere una batteria elettrica molto meno costosa o un sistema più efficiente per estrarre l’idrogeno. A colpi di innovazione e regole (moderne), la sfida dell’Europa ai giganti della Silicon Valley è partita.
Oltre il 2018. La guida autonoma che verrà. GIUSEPPE CESARO ■ Non accadrà nel 2018, ma nel 2075. Londra, è Natale. La famiglia di Paul ha un’auto nuova. “UF”: “Unlimited Freedom”, ma tutti l’abbreviano in “U-Free”. Paul, 16 anni, non sta nella pelle: non vede l’ora di farla vedere al nonno. - Beh? Che dici? Bella, eh? - Non è male… - Non è male? Ma da dove vieni? Questa è il massimo! - A me sembrano tutte uguali… Il ragazzo scuote la testa sconfortato. - Ricorda un’astronave... - Questa non vola, però – replica serio Paul. - No? - No: quella è la SkyCruiser. Ce l’hanno gli Orwell, beati loro… Fuori è identica, ma il software è… spaziale… davvero! - Immagino… - Papà non l’ha voluta… Dice che è ancora presto per volare. A volte non lo capisco… “Succedeva anche a me”, riflette tra sé il vecchio. La sagoma dell’auto si apre, Paul sussurra “Two” e l’interno si modifica: divano e sedili scompaiono sotto il pianale, mentre due poltrone in pelle scivolano al centro di un salotto di parquet e radica, avvolto per 360 gradi da uno schermo UltraHD. I due salgono, il ragazzo dice “Go”, la U-Free si avvia. - Di’ un po’: ma non sei un po’ troppo giovane per guidare una… - Guidare? Basta dire dove vuoi andare: cosa c’è di difficile? - Nessuno strumento, nessun pulsante, niente di niente? - Ci sono io: che altro serve? - E fai tutto a voce? - Voce e gesti. - E la… com’è che si chiama? - U-Free… - E la U-Free come fa a sapere che parli con lei e non con me? - Lo sente! Perché: tu non capisci quando parlo con te? - Dunque non hai una patente o… - Pa cosa?! - Niente – sospira l’uomo – è che, quando avevo la tua 22 Dicembre 2017 ·
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I due si guardano: per un istante li attraversa lo stesso pensiero: “Non sai cosa ti perdi!” - E questo cos’è? - Il volante, no? - Non vorrai farmi credere che l’auto dei cartoni volava? - Era per guidare, Paul – dice il vecchio, strappando la foto dalle mani del nipote e rinfilandola nel portafogli. - Accosta per favore. - Cosa? - Ho detto accosta, voglio fare due passi; ho bisogno di prendere una boccata d’aria… - Non posso. - Come sarebbe “non posso”? - La U-Free non può fermarsi qui. - E perché? - Perché l’OS non lo prevede… - E chissenefrega dell’OS: io voglio scendere! - Non ci sono spazi per la sosta: la U-Free si fermerà dopo il ponte.
età, le macchine le guidavano le persone e… Ma dai, nonno: smettila… Giuro. Risparmia le favole per Milly… sono grande, ormai… Favole? Ma quali favole: quella era realtà… Altroché… Mio padre aveva una cabrio fantastica… italiana… una meraviglia… - Italiana? - Già… Ho ancora la foto nel portafogli… Ecco: guarda! Bella, eh? - Sembra un’auto dei cartoni. - Cartoni un corno! 240 cavalli, 257 all’ora, da 0 a 100 in 4 secondi e mezzo! Un fulmine: altro che cartoni! - Davvero? – il ragazzo guarda meglio - in effetti lo schermo non è male… - Schermo? Quale schermo? - Questo, no? - Quello è il parabrezza, Paul… - Fico… E cosa trasmetteva? - La strada. - E basta? - Skyline, luci di grattacieli… boschi, fiumi, montagne innevate, tramonti sul mare… - Tutto qui? - Come “tutto qui?” - Voglio dire: niente serie, film, partite, videogame? Niente di niente? - Ma no, certo… - E che diavolo facevate? - Guidavamo. - Tutto il tempo? - Certo… - E non vi annoiavate? - Con un’auto così? Impossibile. L’accendevi e tremava il quartiere. Abbassavi la capote, alzavi la musica e ti godevi la strada, il sole, il vento nei capelli… le risate della ragazza che ti sedeva accanto… ti sentivi padrone del mondo… Di’ la verità: ti sei mai sentito così? Il ragazzo si guarda intorno: l’espressione di chi pensa “Il mio mondo è questo”. - - - -
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L’auto supera il ponte, accosta in uno stallo di sosta, la poltrona del vecchio ruota di 90° a sinistra, lo schermo scompare e i fianchi dell’auto si aprono come le acque del Mar Rosso. L’uomo, finalmente, scende. - Ceni da noi stasera? - Non lo so, Paul, non lo so… - Eddai: le tue favole non sono poi così male… - Dimmi una cosa: cucina tua madre o una di quelle diavolerie che girano per casa vostra vestite come pagliacci? - Cucina Betty. - E chi diavolo è Betty? - La nostra PC. - Un altro computer? - Ma quale computer, nonno! “Personal Chef”: un robot di terza generazione. È davvero fantastica. Mamma dice che cucina meglio di lei. - Non mi sorprende… - Come dici? - Niente, niente… Lasciamo stare… - Allora che fai: vieni?
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Supplemento settimanale a l’Automobile Pubblicazione online - Reg. Tribunale di Roma n. 24/2016 del 09/03/16 Iscrizione R.O.C. n. 14674 - ISSN 2499-670X Direttore Responsabile Alessandro Marchetti Tricamo Redazione via Solferino, 32 - 00185 Roma tel. 06.45406719 • fax 06.49982874-2829 www.lautomobile.it • redazione@lautomobile.it • segreteria@lautomobile.it @lautomobile_ACI
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Settimanale digitale • Anno 1 • Numero 1 • 1/11/2017
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COVER STORY INNOVAZIONE
La scuola dei robot. FLAVIO POMPETTI
Viaggio alla Carnegie Mellon University, il più antico centro di robotica Usa: “Ecco cosa fanno i nostri studenti-software”.
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· 22 Dicembre 2017
...dal nostro mensile
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INNOVAZIONE I MOTORI I LIFESTYLE
Anno 118°
Nuova serie • Anno 1 • Numero 1 • Novembre 2016 • €3,00
Cortesia della Carnegie Mellon University
Spedizione Poste Italiane Spa - Postatarget Magazine.
Pubblicazione Mensile
PUBBLICATO SUL NUMERO 1 - NOVEMBRE 2016
Io guido da sola Novembre 2016 |
| Novembre 2016
■ Pittsburgh. La guida autonoma e i sistemi di autopilota sono nati a migliaia di chilometri di distanza da Google e Tesla. Lontano dalla Silicon Valley e da quell’erba rasata come il panno verde di un tavolo da biliardo, sfoggiata nei campus californiani dell’information technology. La scuola dove insegnano ai robot a guidare è nel cuore della “rust belt “, della cintura della ruggine industriale della Pennsylvania . Siamo andati a Pittsburgh per capire come vengono messi a punto i nuovi software varcando la soglia della Carnegie Mellon University , centro d’eccellenza della tecnologia americana che studia la guida autonoma da ben 47 anni. Nel cuore di quello che nella prima metà del ‘900 è stato il polo della siderurgia americana e la terza tra le città più ricche del paese, prima di diventare la capitale dell’inquinamento, e poi risorgere
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Carnegie Mellon University, una buggy race all'annuale Spring Carnival.
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Volvo e Uber a Pittsburgh. L’unione fa la forza. E i taxi robot sono pronti a invadere le strade. È quanto potrebbe accadere presto grazie all’alleanza tra Volvo e Uber, il servizio di ride-sharing alternativo al taxi con milioni di clienti in tutto il mondo. L’obiettivo della partnership è realizzare un veicolo base ideato e sviluppato appositamente per viaggiare da solo. Nativo digitale, direbbe qualcuno. Volvo si occuperà degli aspetti di powertrain e sicurezza, Uber metterà a frutto la tecnologia di guida autonoma sviluppata presso il proprio centro di robotica stabilito non a caso all’interno della Carnegie Mellon University di Pittsburgh (con un investimento di 5,5 milioni di dollari). Il veicolo sarà realizzato partendo dalla piattaforma modulare Spa (Scalable Product Architecture) della Casa svedese, sulla quale sono state prodotte già il suv XC90 (nella foto in basso) e le berline S90 e V90. L’investimento congiunto è di 300 milioni di dollari e il progetto inizierà sfruttando l’introduzione nel servizio di Uber a Pittsburgh entro dicembre di una flotta sperimentale di cento XC90 ibride plug-in a guida autonoma. “Ogni anno più di un milione di persone muoiono in incidenti stradali. Tragedie che potrebbero essere risolte grazie alla guida autonoma, non possiamo però farlo da soli e alleanze come queste rendono i progetti più concreti e veloci da realizzare”, ha dichiarato Travis Kalanick, amministratore delegato di Uber. Un esempio per quello che arriverà: nuovo mondo digitale e industria tradizionale insieme e non avversarie, per disegnare la mobilità del futuro.
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nella forma di una moderna metropoli affollata da maghi delle nuove tecnologie. È qui che Barack Obama e i suoi funzionari del ministero per i Trasporti vengono anche loro a scuola, per capire come affrontare le sfide in arrivo nel campo della mobilità. Ed è qui che ci ha aperto le porte del suo studio il direttore del centro di robotica, Raj Rajkumar, 53 anni, americano di chiara origine indiana. Ci invita ad accomodarci davanti alla sua imponente scrivania sospesa, alla quale lavora in piedi mentre in camicia e cravatta cammina su un tapis roulant. L’avventura – ci spiega - è iniziata nel 1984 con il Terregator, un “rover” disegnato per
equipaggiata da noi della Carnegie, mentre la Volkswagen Passat station wagon di Stanford arriva seconda. Google rimase talmente impressionata dalla tecnologia sviluppata per il Darpa che finì per assumere i responsabili della ricerca dei due gruppi, e con questo capitale umano ha lanciato il progetto Google X”. Il rapporto tra Carnagie Mellon e Gm è rimasto solido nel tempo. È qui a Pittsburgh che è stata studiato il lettore dello sguardo che monitorerà tra breve lo stato di allerta del guidatore di una Cadillac Sts. Ed è qui che è stata elaborata la tecnologia per il Super Cruise, con il quale il marchio di lusso della Gm metterà nelle mani dei suoi clienti l’anno prossimo un primo, consiCortesia della Carnegie Mellon University
applicazioni militari ed esplorazioni spaziali. Nel 2007, in occasione dell’edizione conclusiva del Darpa Grand Challenge, succede una cosa cruciale per la squadra della Carnegie Mellon: “Eravamo alla terza tappa – ci racconta il professor Rajkumar – del concorso promosso dal Pentagono per la costruzione di un prototipo in grado di viaggiare senza pilota. Per la prima volta, c’era da cimentarsi su un percorso urbano. Il lavoro del nostro centro attira subito l’attenzione di una lunga lista di finanziatori. In testa, la General Motors, con la quale lavoriamo ancora oggi. C’era anche Google, che aveva puntato su un altro progetto realizzato dall’università di Stanford. Alla fine, vince la Chevrolet Tahoe
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Cortesia della Carnegie Mellon University.
Il futuro ideale raccontato dal professor Raj Raykumar, direttore del centro di robotica: “Le strade potranno tornare alle persone. I giovani l’hanno già capito e lo accettano” stente germe di guida autonoma. Siamo davvero giunti a un passo dall’eliminazione del posto di guida per un umano? “Starei molto attento a pronunciare una cosa del genere – ammonisce Rajkumar – questo è stato l’errore di Tesla. Che, per la fretta di primeggiare nel settore, ha comunicato l’impressione errata ai suoi clien-
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ti di aver messo in circolazione un’auto capace di guidare senza il controllo umano. In realtà la guida è forse l’attività più complessa svolta dall’uomo e imitarla con gli algoritmi presenta un grado di difficoltà inimmaginabile. Il percorso è altrettanto complesso e non avverrà da un giorno all’altro. Ci arriveremo un passo alla volta, diciamo nel corso dei prossimi dieci anni”. Raykumar ci parla di un futuro ideale nel quale non avremo più l’ansia di trovare un parcheggio perché l’autopilota ci porterà a destinazione e poi sparirà per servire altri passeggeri. Un futuro nel quale le strade torneranno ad essere popolate dalle persone, le giornate di lavoro saranno più produttive e gli incidenti stradali saranno quasi eliminati, insieme alla funzione di controllo del traffico da parte della polizia
Cortesia della Carnegie Mellon University.
Cortesia della Carnegie Mellon University.
Raj Rajkumar Professore di Elettronica e Ingeneria informatica e membro dello staff tecnico dell'Istituto di Ingegneria del software, alla Carnegie Mellon University.
stradale, alle assicurazioni, alle officine dei carrozzieri. Quando il professore ci dice che le stesse automobili oggi ferme ad aspettarci per il 96 per cento della vita nel futuro lavoreranno a tempo pieno con diversi clienti, viene da chiedergli: come è possibile che una società così ossessionata dal possesso materiale e individuale come quella americana stia disegnando un futuro della mobilità in odore di socialismo, e per giunta a partire dall’auto? “La cultura cambia con le generazioni – ci risponde il professore con grande determinazione - e quell’immagine romantica dell’automobilista che guida una decappottabile verso il sole al tramonto si è trasformata oggi nell’incubo dell’ingorgo urbano permanente. I più giovani l’hanno già capito e accettano l’idea della rivoluzione in arrivo”. Poi
abbassa un attimo la guardia, e prosegue ammiccando: “Ma per chi si ostina come me a provare il piacere della guida, il diritto a mettere le mani sul volante sarà duro a morire”. Ci spiazza non poco: che tipo di auto guida, professore? “Una Buick Lacrosse”. Dal Centro di robotica si attraversa l’intero campus della Carnegie Mellon University per arrivare al dipartimento di Computer Engineering, attraversando i grandi prati – che sono pure qui - della cittadella-castello della cultura tecnologica. Ci accompagna un coro costante di cornamuse che poi scopriamo essere suonate dal vivo da un gruppo di scolari e professori che si stanno allenando, fedeli alle radici scozzesi del fondatore del college. Al termine della passeggiata siamo di fronte a Philip Koopman, un cinquantanovenne
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Ideo
Il machine learning è la base: “Il problema sta nel giudicare lo stato di apprendimento nel metodo deduttivo basato su regole di codice di software”
In alto un prototipo esterno di auto a guida autonoma realizzato dalla societò di design Ideo.
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che insegna alle macchine come imparare le tecniche di apprendimento e sviluppare una propria, autonoma intelligenza: “Tutti i progressi più significativi degli ultimi anni nel campo dell’informatica - ci racconta Koopman - dalla traduzione simultanea alla lettura delle immagini, sono stati compiuti con la tecnica del machine learning”. È come se fossimo passati dalla pretesa di insegnare a un bambino a parlare impartendogli delle regole lessicali, all’approccio più naturale di educarlo alla parola imitando le voci degli adulti che lo circondano. Questo è il passaggio tecnologico che permette oggi ai sensori dell’autopilota di riconoscere un albero da un pedone, e capire se questi attraverserà la strada o no. Le macchine-computer sono buoni studenti? “Il problema sta proprio nel come giudicare lo stato di apprendimento – dice Koopman – nel metodo deduttivo che abbiamo adottato finora, basato sulle regole di un codice di software, era facile controllare la rispondenza. In quello induttivo introdotto dal machine learning, è molto più difficile. Diciamo che il nuovo software
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identifica un cigno come un grosso uccello di colore bianco: fino a quando i test vengono fatti negli Usa, decine di milioni di chilometri di guida confermano la tesi. Poi si va in Cina, e il software non riconosce il cigno nero, nativo di quel continente”. Questa contraddizione ha implicazioni enormi per chi come Koopman studia la sicurezza futura dell’autopilota. Vuol dire intanto che i 2 milioni e mezzo di chilometri di test vantati da Google in ambiente protetto, e i 160 milioni di chilometri percorsi su strada dalle Tesla S in circolazione, sono ancora una frazione del reale volume di necessario per convalidare i sistemi di guida autonoma, la cui attuazione richiederà almeno un altro decennio. L’altra preoccupazione di Koopman, in risposta agli standard di sicurezza da poco annunciati dalla Casa Bianca, riguarda la certificazione: “L’industria dell’auto è l’unica, tra quante esposte al servizio di miliardi di utenti, che ancora detiene il diritto di autocertificare la qualità e l’efficienza dei propri strumenti di sicurezza. Questo privilegio è troppo rischioso nell’ambito della guida autonoma, come abbiamo visto nel primo incidente mortale a bordo di una Tesla S. Obama ha ragione quando dice che il governo non deve pretendere di essere l’arbitro della sicurezza, ma occorrerà perlomeno garantire la presenza di un giudice terzo, accurato e indipendente, prima di mettere la nostra incolumità nelle mani di una macchina”.
STORICHE MADE IN ITALY
1950 MASSIMO TIBERI
Fiat 1400, Lancia Aurelia e Alfa Romeo 1900: il mercato dell'auto in Italia inizia da qui. Modelli di una tradizione che non muore mai.
■ Produzione di massa o artigianato di qualità? Nella seconda metà degli anni Quaranta, in piena fase di ricostruzione postbellica, è aperto il dibattito sul futuro della nostra industria automobilistica. Anche negli incontri, che in quel periodo animano la commissione per le politiche economiche della Costituente, si oscilla tra la cautela del commissario dell’Alfa Romeo Pasquale Gallo, alla guida di un’azienda pubblica in ambito Iri, che guarda ai modelli di nicchia in sintonia con la vocazione del marchio, e l’ottimismo di Vittorio Valletta, l’autoritario “professore” patron della Fiat, convinto delle potenzialità di un mercato destinato inevitabilmente a crescere.
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Un anno per tre.
AUTO STORICA, IN SCENA UNA PASSIONE CHE PARLA ITALIANO
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La svolta avviene nel 1950. Protagonisti tre modelli, che scommettono sull’ascesa di un ceto medio e medio-alto nel Paese
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D’altra parte, ancora nel 1947-48, in Italia circolano circa solo mezzo milione di auto, a fronte dei due milioni della Francia e i tre della Gran Bretagna, con l’Alfa che, per sopravvivere, si dedica anche a cucine economiche e mobili metallici, mentre la Lancia sconta le difficoltà della sua divisione veicoli industriali. Vanno meglio le cose per la Fiat, che si avvantaggia del forte apporto del Piano Marshall e dei legami politi-
co-industriali con gli Stati Uniti. Denominatore comune per i costruttori è comunque una gamma di vetture che resta quella precedente la guerra, simboleggiata dalla 500 “Topolino”, dalle Aprilia e Ardea o dalla esclusiva (appena qualche centinaio all’anno) 6C 2500 del Biscione. La svolta avviene nel 1950, quando si abbandona con determinazione ogni perplessità da parte di tutti, dando impulso a scelte che faranno
In apertura la Fiat 1400. In queste pagine una Alfa Romeo 1900, con i suoi interni. Nelle due pagine seguenti: una Lancia Aurelia 2500 G-T Coupé (foto piccola) e la versione berlina della Lancia Aurelia B10.
se, rappresentando concretamente la volontà di aprire una nuova fase di sviluppo. Fiat 1400 È la rassegna di Ginevra il palcoscenico per il lancio della 1400, enfatizzata come “modello del cinquantenario” della Casa, berlina ispirata ad americane come la Kaiser Special e prima Fiat con carrozzeria a scocca portante, frutto dei rapporti con la Budd di Detroit. Parentele che per Valletta, ossessionato da una possibile vittoria comunista in Italia (siamo nel pieno del confronto dei blocchi), valgono anche come assicurazione per un eventuale trasferimento delle linee di montaggio oltreoceano. Sobria e moderna nei tratti estetici, a sei posti, con finiture di buon livello, dotazioni non scontate per quei tempi (impianto di ventilazione
e riscaldamento di serie) e un prezzo equo (1.275.000 lire), la debuttante non eccelle ma non delude neppure in fatto di prestazioni (44 cavalli di potenza e 120 km/h). Nessun acuto tecnico particolare, ma Dante Giacosa, responsabile del progetto, ha raggiunto gli obiettivi per un’auto di un certo tono, confortevole oltre che poco impegnativa nella guida. E nel 1952 è la volta della 1900 che, mantenendo in sostanza lo stesso corpo vettura, aggiunge, alla cilindrata maggiorata e alla potenza di 58 cavalli, allestimenti di pregio e cambio a cinque marce. Ad affiancare le berline, inoltre, una versione Cabriolet della 1400 (qualche esemplare destinato addirittura alla Polizia) e l’elegante 1900 Coupé Granluce. L’evoluzione del modello porterà costanti aggiornamenti e l’arrivo, nel 1953, della variante diesel (prima italiana a gasolio) con motore 1900 da 40 ca-
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del settore auto uno dei perni fondamentali dell’economia nazionale. Protagonisti tre modelli, che nascono tra marzo e ottobre, segnando le diverse vocazioni che a lungo identificheranno i rispettivi marchi: la Fiat 1400, la Lancia Aurelia e l’Alfa Romeo 1900. Non sono utilitarie (per la vera e propria motorizzazione di massa bisognerà attendere la 600 del 1955), ma scommettono sull’ascesa di un ceto medio e medio-alto nel Pae-
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valli derivato dal commerciale 615/N e dalla fuoristrada Campagnola. Più di 200.000 le unità prodotte complessivamente di entrambi i modelli e, dopo il 1958, la 1400 proseguirà ancora il suo corso in Spagna, costruita dalla Seat fino al 1964.
novazione. Fra le prerogative, scocca portante e carrozzeria con parti in alluminio, sospensioni a quattro ruote indipendenti, cambio e freni in blocco con il differenziale posteriore per una ottimale ripartizione dei pesi. Ma a stupire è il motore, un inedito sei cilindri disposti a V (primizia mondiale assoluta) di 1.750 cc da 56 cavalli, che crescerà a due litri (fino a 90 cavalli e 160 km/h) e a 2,2 litri per l’ultima versione siglata B12. Ad accompagnare tanta eccellenza dinamica, una linea elegante con le caratteristiche portiere dall’apertura ad “armadio” e un abitacolo a sei posti con finiture curate e raffinato panno di lana per i rivestimenti. Elitaria (costa 1.830.000 lire), l’Aurelia avrà vita breve, con uscita di scena nel 1955 e meno di 13.000 unità costruite. Ma alla berlina sopravvivono per tre anni, le splendide derivate: la Coupé B20 disegnata da Mario Boano e la Spider-Convertibile B24
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Lancia Aurelia Si rivolge invece ad un pubblico più esclusivo la Lancia, che sceglie il Salone di Torino per presentare l’Aurelia, concentrato di soluzioni d’avanguardia per l’epoca, nel solco di una tradizione di rivoluzionarie pietre miliari come la Lambda del 1923 o l’Aprilia del 1937. Pur dovendo far fronte ad una situazione aziendale tutt’altro che tranquilla, Gianni Lancia, avvalendosi di due collaboratori dalle straordinarie capacità tecniche, Vittorio Jano e Francesco De Virgilio, segue le orme del padre puntando su creatività ed in-
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di Pinin Farina, resa mitica dal film “Il sorpasso”. Alfa Romeo 1900 All’aristocratica Aurelia, l’Alfa Romeo contrappone la grintosa 1900, suscitando tra i paladini dell’una e dell’altra una rivalità quasi da “Montecchi e Capuleti”. La nuova vettura milanese, parto di Orazio Satta Puliga e Giuseppe Busso, è d’importanza storica per il marchio, che con lei avvia una vera
e propria produzione industriale proprio nel fatidico 1950 che vede Nino Farina vincere, con l’Alfetta 158, l’appena inaugurato Mondiale di Formula 1. E la 1900 è cara (oltre due milioni di lire) ma non smentisce certo l’anima del Biscione, capostipite delle berline sportive, “auto di famiglia che vince le corse” e “Pantera” della Polizia, con il suo bialbero da 80 cavalli e prestazioni mai viste per una berlina sei posti, che aumenteranno ancora con le successive versioni T.I. e T.I. Super (al limite
dei due litri, 100 cavalli e 180 km/h). Non mancheranno neppure le varianti Coupé e Cabriolet, firmate Touring, Pinin Farina e Zagato, per circa 18.000 esemplari complessivi fino al 1958. Tre modelli, dunque, dalle anime diverse ma che, di fatto, creeranno le basi del mercato italiano dell’auto: dalle 49.000 unità vendute nel 1949, nel 1953 saranno già 112.000, per superare le 200.000 nel 1956, dopo l’arrivo di 1100, Appia, Giulietta e il boom della 600.
Dalle 49.000 vetture vendute in Italia nel 1949, nel 1953 saranno già 112.000, per superare le 200.000 nel 1956
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ARTE
La Google car di Giotto.
made in America
SALVATORE MORETTO
■ Non è raro leggere, nelle cronache dell’arte, di Giotto di Bondone come un precursore del Rinascimento. Un innovatore che reinventa una pittura dell’umano e del reale, della profondità e della prospettiva, seppure ancora imperfetta, in contrapposizione ai canoni ormai ipossici dell’arte bizantina. Giotto colora e veste le sue figure di una corporeità diretta, quasi laica, collocandole in spazi reali e non simbolici. Nasce a Vicchio nel Mugello, forse nel 1267 (la sua data di nascita è incerta). Dalla campagna i suoi genitori si trasferiscono a Firenze, dove Giotto manifesta precocemente il suo talento. Fa apprendistato alla bottega di Cimabue. Intorno ai venti anni si sposa con Ciuta di Lapo del Pela. Apre una propria bottega e da lì si incammina verso una fama duratura che lo accompagnerà fino ad oggi e finché la pittura rappresenterà per ognuno di noi il talento più straordinario e popolare. Ma il talento spesso genera stupore, lo stupore alimenta la meraviglia e la meraviglia sconfina rapidamente nella leggenda. È così che Giotto
diventa, ancora in vita, un mito del suo secolo. Un totem culturale a cui vengono attribuiti episodi ormai entrati stabilmente nell’immaginario collettivo. Un archetipo delle icone pop dei nostri tempi. Chi non ricorda, ad esempio, la famosa “O” di Giotto. Ormai un simbolo dell’epica giottesca, capace di essere attraversato dalla storia per poi emergere tumultuoso quale fattore del design creativo di uno degli oggetti che presto approderanno a noi dal futuro: la Google car. Quattro ruote attaccate ad un vezzo artistico, ad un sogno tecnologico che modificherà radicalmente il nostro modo di viaggiare. Una visione, che in un continuo oscillare tra passato e futuro, ci accompagna in una dimensione dove la pura semplicità della forma si muta in fantascienza. L’auto a guida autonoma di Google è ormai una realtà, come lo sono molti progetti simili. Presto potremo abbandonare le nostre patenti nei cassetti ed approdare ad una idea di viaggio completamente diversa. I nostri nipoti probabilmente faranno fatica ad immaginare un’auto condotta manualmente, come i nostri figli un mondo senza internet.
Ma la Google driverless car qui ci interessa per la sua capacità di essere una manifestazione del genio artistico. Un allestimento postmoderno. Forme antiche per un messaggio rivoluzionario: esattamente come l’arte di Giotto per il Rinascimento. Il parallelismo è semplice ed intuitivo. Lì l’arte antica che si veste di realismo, qui l’immaginario tecnologico di Blade Runner che diventa presente. Ed allora non sarà difficile immaginare un viaggio fantastico, guidati dalla nostra Google Car (ma già mi piace pensare ad una “Google Art”), alla scoperta dei capolavori di Giotto come il Polittico di Badia, la Pentecoste, il Mosaico della Navicella, la Cappella Peruzzi, l’Adorazione dei Magi, il Dormitio Virginis o l’Ultima Cena (Cappella degli Scrovegni) con il dubbio impresso nei volti degli apostoli e la figura dormiente di S. Giovanni che forse già immagina il tradimento ed il nostro futuro.
Elia sul carro di fuoco, Giotto, dettaglio dalla Cappella degli Scrovegni, Padova (1303-1305).
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PAESE BAMBINI
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Mai più dimenticati. Stanchezza, distrazione e stress possono trasformare in realtà uno dei peggiori incubi di un genitore. Grazie alla tecnologia, il Parlamento corre ai ripari.
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“Il fenomeno spaventa talmente gli adulti, da negare che possa accadere realmente”
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ripari anche il parlamento: in luglio, la commissione Trasporti della Camera dei deputati, ha approvato un testo di riforma al Codice della strada in cui si stabilisce l’uso obbligatorio dei seggiolini anti-abbandono.
MARINA FANARA ■ “L’errore più grande che si può commettere è pensare: a me non succederà mai. Invece la tragica fatalità di dimenticare un bimbo in auto può accadere a tutti, genitori, nonni o baby sitter”. Leonardo Bussolin, responsabile del Trauma center dell’Ospedale pediatrico Meyer di Firenze, si occupa da tempo del fenomeno che, ci dice, “spaventa talmente gli adulti, da negare che possa accadere”. Per questo, ne è convinto, “più se ne parla meglio è”. Il problema esiste e purtroppo, negli ultimi anni è capitato più volte. Per questo è corso ai
La migliore delle soluzioni “Non posso che accogliere con favore il provvedimento”, sostiene il professor Bussolin, “la tecnologia in grado di lanciare un allarme per segnalare la presenza del piccolo a bordo, una volta parcheggiata l’auto, è la migliore delle soluzioni. Anche se ci sono altri rimedi, semplici ma efficaci. Per esempio, lasciare accanto al bambino un oggetto di cui durante la giornata non si può fare a meno. O attivare un promemoria sul cellulare, come fosse una sveglia. Un altro contributo efficace può darlo la scuola: nel milanese alcuni asili nido chiamano immediatamente i genitori se il bimbo non è in aula nell’orario abituale”. Innovazioni e consigli utili per evitare il ripetersi di episodi incredibili. L’ultimo risale al luglio scorso quando, per fortuna, un passante si è accorto di una bambina lasciata in auto nel parcheggio di una stazione della metropolitana milanese che, così, si è salvata, mentre la mamma ignara era già da tempo sul posto di lavoro. Appena un mese prima, invece, un’altra bambina ha perso la vita in provincia di Arezzo per un fatto analogo, così come è successo ad altri piccoli, in anni precedenti: a Piacenza, nel 2013, e nel 2011, in tre distinte occasioni, a Teramo, Perugia e Roma, mentre nel 1998 è successo a Catania. Tutte le vittime avevano da pochi mesi di vita a 4 anni e sono morte per ipertermia all’interno di un abitacolo reso rovente dal caldo estivo.
Si tratta di genitori snaturati? “Assolutamente no. Anzi, lo dico in modo chiaro: per favore, non condannate un genitore che, suo malgrado, si è reso responsabile della morte del figlio, perché trascorrerà il resto della sua vita nella disperazione. Piuttosto, serve un’opera di sensibilizzazione al rischio, che è riconducibile alla routine quotidiana, allo stress e alla stanchezza: il cervello può andare in blackout, fino al punto di chiudere l’auto e correre in ufficio, convinti di aver accompagnato nostro figlio in un luogo sicuro”, ci spiega Bussolin. Il fenomeno può colpire chiunque, a prescindere da ceto, condizioni economiche, professione e dal Paese in cui abita: in Italia e in Europa non è ancora sufficientemente monitorato, ma negli Usa, secondo quanto risulta al Meyer di Firenze, si verificano in media 50 episodi l’anno. Dispositivi già pronti Un’emergenza. “A mio parere, l’obbligo del seggiolino anti-abbandono è indispensabile”, ci dice Michele Meta, presidente della commissione Trasporti della Camera, e relatore della riforma del Codice. “Tali dispositivi sono già largamente disponibili sul mercato e non richiedono grosse spese o complicate procedure d’uso. Si tratta di una piccola accortezza che può dare grandi risultati”. Le soluzioni hi-tech non mancano: dai seggiolini col sistema di allarme incorporato ai kit applicabili a posteriori, al Gps in grado di inviare un promemoria a fine tragitto, alle app scaricabili sul cellulare. “È un’ulteriore dimostrazione di come la tecnologia possa abbattere i rischi sulla strada: sfruttiamola perché c’è in ballo la vita dei bambini”, conclude Meta.
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COVER STORY XXXXXX COVER STORY DUE RUOTE
America in motocicletta.
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Da più di un secolo tra chopper, hot-dog, birra e qualche rissa, il viaggio senza fine dei biker d’oltreoceano.
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ANTONIO VITILLO ■ Che Paese, l’America. Se il mattino ti svegli con la voglia di praticare una qualche forma di motociclismo, grazie ai costi più accessibili di moto, materiale e benzina, non hai America che l’imbarazzo made della in scelta. Che tu sia un romantico viaggiatore, un amante del fuoristrada o un cultore della velocità, non devi che alzare la serranda basculante, inforcare la moto che più ti va e andare. Perché il vero appassionato americano, dietro quella parete mobile del garage, ha almeno un paio di moto. Non c’è un genere motociclistico che domini. La scena è molto variegata in California dove, per esempio, negli anni ’50 nacquero sia le scrambler – moto spartane di derivazione stradale, per spostarsi fra i ranch con pneumatici, rapporti e manubri da fuoristrada – sia le custom, belle e opulente, fatte per viaggiare. Opposti che si attraggono e diventano magneti per ogni cuore pulsante su due ruote. Non è un caso che in quello stesso Stato, a Playa del Rey, nel 1910 si inaugurò la prima pista circolare di “board track”, fondo di legno e “banking”, curva parabolica a 20° e giù a manetta, spesso a occhi chiusi. Dopo vent’anni il fenomeno si prese una pausa di riflessione insieme alla Grande Depressione, prima però le curve arrivarono a 60° d’inclinazione. Una pausa che diventò trasformazione e la velocità prese il sopravvento. Le corse si trasformarono in sport da competizione e i campioni uscirono dal ghetto. O quasi. L’americano medio oggi non conosce quei piloti di casa, che nel resto del pianeta sono definiti marziani: Kenny Roberts, Eddie Lawson, Freddie Spencer, Wayne Rainey, Kevin Schwantz, gente che fra gli anni ’80 e ’90 ha dominato i Campionati del Mondo della classe 500. Nel 2006 Nicky Hayden si concesse il lusso di battere Valentino Rossi in MotoGP, ma negli Stati Uniti non ebbe un
Dennis Hopper e Peter Fonda in una scena di Easy Rider, 1969.
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briciolo della popolarità dell’italiano. Folle ignoranza sportiva.
On the road Gli spazi estesi e infiniti degli Stati Uniti sono territorio di raduni. Uno dei più famosi nacque proprio in associazione a una gara in salita: Sturgis, South Dakota, richiama partecipanti da tutto il mondo. Ebbe inizio nel 1938 quando Pappy Hoel, un concessionario Indian, organizzò un “picnic” ed una gara per i suoi clien-
ti. L’inizio di un fenomeno incredibile e unico. Nei raduni ci si ritrova, si mostrano le moto customizzate nel capanno in giardino, si beve birra, si mangiano hot dog e si ascolta musica country. È il mondo degli H.O.G., acronimo di Harley Owners Group, pacifici professionisti a cui piace vivere in gruppo in sella alle loro più incredibili Harley-Davidson. I “customizer” partecipano agli Show Bike, gare di bellezza per moto esclusive, mentre alcuni biker fanno avanti e indietro fieri, non si sa se più della moto o della signora seduta dietro. Ma i raduni non sempre hanno riprodotto spensieratezza. Nel secondo Getty.
Molti di loro iniziarono la carriera sulle “flat track”, piste sterrate sulle quali correre con la moto sempre di traverso. La variante “short track”, una specie di sprint su un quarto di miglio, assieme al motocross sono ancora tanto in voga negli States. Palestre di vita e passione. I piloti utilizzano queste discipline per prepararsi ad altre, soprattutto a quelle di velocità. Daytona è probabilmente la gara più conosciuta: sviluppo su asfalto di quella 200 miglia che nel 1937 l’Ama, l’American Motorcyclist Association, organizzò su una ben più affascinante spiaggia.
La gara in salita Pikes Peak del Colorado è invece figlia di quelle “hill climb” nate dopo il crollo di Wall Street del ’29. Economiche per organizzatori e partecipanti: bastavano una salita e una moto.
Sopra una Harley-Davidson drag bike alla NHRA Nationals Drag Race a Indianapolis, 1972. A destra Jerry Mathews con il suo 1953 Duo-Glide davanti una replica della prima sede dell’Harley-Davidson in occasione delle celebrazioni per i cent’anni del marchio a Milwaukee, 2003.
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Gli Outlaw Il 4 luglio 1947 Hollister in California, luogo dell’annuale raduno per biker, diventa teatro di violenti scontri. I disordini, che in seguito ispirarono il film “Il selvaggio” con Marlon Brando, furono condannati dall’Ama, la quale dichiarò che il 99% dei motociclisti era composto da brave persone, rispettose delle regole. I gruppi si definirono
“outlaw”, fuorilegge, ed iniziarono a fregiarsi del piccolo logo “1%”. Gli “onepercenter” ancora oggi vivono sui chopper; hanno il telaio tagliato e risaldato nella zona del cannotto di sterzo, per allungare ed inclinare la forcella, senza parafanghi ne sospensioni, talvolta neppure il freno anteriore. Famoso è il Captain America del film “Easy Rider” (1969), con il quale i protagonisti viaggiano metaforicamente contro la noia della borghesia americana. Dagli interminabili viaggi coast to coast al record di velocità sul Salt Lake, spesso però il motociclista a stelle e strisce ricerca il primato, un’esagerata necessità che
sfocia anche in altre discipline. Il pilota di motocross Travis Pastrana ad esempio ha un palmares che spazia fra il Supercross, i rally e gli X-Games, gare dedicate agli sport estremi. Mai pago di adrenalina, inventore del “double back flip”, il doppio giro della morte in moto, ha eseguito anche il New Year Jump, salto in auto fra le banchine del molo di Long Beach, quasi 90 metri di volo. Non è bastato: si è lanciato da un aereo senza paracadute, per essere recuperato in volo e agganciato da un altro paracadutista. Il fascino di un motociclismo senza confini, proprio degli Stati Uniti. A proposito: la moto, in America, è nata nel 1901. Era una Indian. Getty.
dopoguerra i veterani non si accontentarono più dei borghesi “picnic” e nacquero i Booze Fighters, i Galloping Gooses, gli Hells Angels. Moto e biker diventano un esteso movimento di ribellione collettiva.
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PLAYLIST
Vanno al massimo. GIUSEPPE CESARO
■ Prendete un compasso, puntate l’ago su Maranello, formate un raggio di 50 chilometri e disegnate una circonferenza. Cosa racchiude quel cerchio? L’anima più rock della musica d’autore italiana. Vengono da lì, i rocker di maggior successo del Belpaese: numeri live impressionanti, che si lasciano alle spalle anche le superstar internazionali. Qualche nome? Vasco (Zocca, 35 km da Maranello): 220 mila biglietti venduti il 1 luglio scorso al Modena Park, record mondiale di paganti in una sola data. Più di Tina Turner (188 mila nel 1988) e Paul McCartney (185 mila nel ‘90). Lui sì che può dire “Vado al massimo”. Record strappato a un altro vicino di casa del Cavallino: Ligabue (Correggio, 42 km): 165 mila biglietti nel 2005 a Campovolo. Bis quasi sfiorato nel 2015: 148 mila spettatori. Da Reggio Emilia (32 km) viene, invece, Zucchero: il nostro artista soul-blues più conosciuto nel mondo: più di 60 milioni di dischi e oltre 120 collaborazioni con i più grandi nomi internazionali. Unico italiano nominato ai Grammy nella categoria “Traditional R&B vocal performance”, con giganti come Billy Preston ed Eric Clapton.
Indimenticabile Lucio Dalla (Bologna, 47 km): il papà della “scuola emiliana”; artista dal legame strettissimo con l’immaginario automobilistico. “Automobili” (1976) è un “concept album” dedicato all’epica dell’auto, dalla “Mille Miglia” (“corsa spaccacuore e dura come non mai”) a “Nuvolari” (“Gli uccelli nell'aria perdono l ali quando passa Nuvolari!”) al “Motore del 2000”: “Sarà bello e lucente, sarà veloce e silenzioso, sarà un motore delicato, avrà lo scarico calibrato e un odore che non inquina.” Perché questa striscia di terra, che ha il profilo di un elettrocardiogramma piatto, “picchia” così forte da indurre a pestare sulla batteria come sull’acceleratore? E perché questo sound ricorda così tanto il ruggito dei motori e la corsa infaticabile dei cilindri nei pistoni? Al contrario della montagna, dove verticalità e silenzio suggeriscono quiete e ascesi, e del mare, dove lo sciabordio sussurra malinconie, la vastità orizzontale della pianura induce alla velocità e si fa spazio ideale per le linee schiacciate a terra di supercar e monoposto. Nell’immaginario popolare e artistico l’auto diventa, così, l’equivalente del
cavallo nel mito americano della frontiera: il mezzo in sella al quale si corre il bisogno di violare il limite. Ma il limite è un orizzonte bugiardo: più ti avvicini, più si allontana. E così design, ingegneria, tecnologie e potenza non smettono mai di correre. E nemmeno la bellezza. Che forse non salverà il mondo ma di certo gli dà una grossa mano. Ecco perché tanta parte del rock tricolore nasce nella terra della Ferrari. Che è poi la stessa di Lamborghini, Maserati, Dallara, Pagani e Ducati. Da questa Motor Valley di sogno viene anche Francesco Guccini: il più anomalo dei rocker, visto che non ha nemmeno la patente. Eppure è stato trai primissimi (“Canzone per un’amica”, 1967) a far riflettere le generazioni più giovani sui rischi che si corrono al volante. “Lunga e diritta correva la strada, l'auto veloce correva… forte il motore cantava, non lo sapevi che c'era la morte quel giorno che ti aspettava? Non lo sapevi, ma cosa hai sentito quando la strada è impazzita, quando la macchina è uscita di lato e sopra un'altra è finita?” “Il sogno è sempre”, come canta una grande voce della “scuola romana”. Ed è bene che non si spezzi mai… “Strada facendo”.
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