l'Automobile Week 51

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Week Settimanale digitale • Anno 2 • Numero 51 • 31/8/2018

Supplemento settimanale a l’Automobile.

INNOVAZIONE I MOTORI I LIFESTYLE

La magia di Monza. PAOLO BORGOGNONE ■ Il countdown è finito. Il Gran Premio d’Italia edizione numero 89 è al via. L’adrenalina sale, mentre all’autodromo di Monza tutto è pronto per un week end difficile da scordare. Come sempre capita, a Monza. Sono attesi in 200mila sulle tribune e i prati del circuito brianzolo per un tifo da “inferno rosso”, perché per la Ferrari si fa questo e altro. Sebastian Vettel è ancora secondo nella classifica mondiale ma lo strapotere – riconosciuto anche

dagli avversari – nell’ultima gara in Belgio ha lasciato il segno. Il guanto di sfida è lì, sull’asfalto di Monza, e l’entusiasmo che ha circondato le iniziative prese negli ultimi giorni prima del Gp per portare tra la gente la Formula 1 – e la Rossa in particolare, sbarcata a Venezia – lo dimostra. Poche righe qui e molte dentro questo settimanale online, anche se ora è tempo che parlino soltanto i motori e gli uomini che ci lavorano dietro. E poi correre, correre, correre. Sperando che stavolta la dea bendata e il meteo si voltino dalla parte giusta. Noi lo abbiamo già fatto.


SPORT

Tutti a Monza. Appuntamento il 2 settembre. Tutte le informazioni: come raggiungere l'Autodromo, orari degli eventi e prezzi dei biglietti. CARLO CIMINI ■  L’evento motorsport italiano più atteso dell’anno è arrivato. L’89esimo Gran Premio d’Italia è di scena domenica 2 settembre all’Eni Monza Circuit, dove migliaia di spettatori occuperanno le tribune e i prati per assistere alla gara. Di seguito alcune informazioni utili per gli appassionati che si dirigeranno nel comune lombardo per il 14esimo appuntamento della stagione del Circus. 2

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Il weekend apre ufficialmente il sipario venerdì 31 agosto, più precisamente alle ore 10, quando le prime monoposto della Formula Uno saggeranno l’asfalto italiano e prenderanno confidenza con le curve più veloci del Mondiale nella prima sessione di prove libere (alle 14 la seconda). Alle 12 è il turno della Gp2 che torna in pista per le qualifiche alle 15.55. Alle 16.45 invece sono di scena le prove della Porsche Mobil 1 Supercup. A chiudere i test della Gp3 alle ore 17.50.

Sabato 1° settembre alle 11 la Formula Uno inizia a fare sul serio. La terza sessione di prove libere è l’ultimo appello prima delle qualifiche in programma dopo pranzo alle 14. Tra i due appuntamenti anche i piloti della Porsche Mobil 1 Supercup si contendono la pole position a partire dalle ore 12.25. Nel pomeriggio invece ci sono due gare in agenda: le prime per entrambi per la Gp2 alle 15.40 (30 giri in totale) e per la Gp3 (17 giri) alle 17.20. Il 2 settembre è il grande giorno. I


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piloti delle quattro competizioni sono chiamati a dare il tutto per tutto: si comincia alle 9.25 con la seconda gara della Gp3 (altri 17 giri da effettuare). A seguire alle 10.35 stesso epilogo per la Gp2 ma con 21 giri da completare. La Porsche Mobil 1 Supercup invece si disputa alle 11.45 e dopo 14 passaggi si conoscerà il vincitore. Il Gran Premio d’Italia chiuderà in bellezza: ore 15.10 tutti a fremere, aspettando che il semaforo da rosso passi al verde. Come arrivare Durante il Gran Premio d’Italia è previsto un piano viabilità straordinario e si potrà raggiungere il circuito di Monza senza difficoltà con tutti i mezzi di trasporto, privati o pubblici. A disposizione le navette gestite dalla società Monza Mobilità, attive dalle 7.30 alle

20. Il servizio è a pagamento. Non sarà possibile invece raggiungere il Parco con la propria vettura (eccetto per i disabili con pass e biglietto d’ingresso) e i veicoli dovranno essere lasciati nei parcheggi esterni per poi proseguire a piedi o con le navette. Inoltre il sabato e la domenica molte strade limitrofe al circuito saranno chiuse al traffico. Per i motociclisti è stata prevista l’area di parcheggio non custodito P13 sulla pista Alta Velocità, dietro l’eliporto. Per coloro che invece raggiungono l’Autodromo in bicicletta, sono stati predisposti due parcheggi esterni. Non è infatti possibile introdurre bici all’interno del circuito. Biglietti La rincorsa al posto è iniziata il 16 gennaio scorso, con molte settima-

ne di anticipo, per non intasare il server del sito ufficiale. I prezzi dei tagliandi singoli variano a seconda dell'evento al quale si vuole assistere (prova libera, sessione di qualifiche o gara): si passa dai 50 ai 649 euro. Alcune gradinate (tutte dotate di maxischermo) sono già sold out ma sono ancora disponibili tanti ingressi singoli e abbonamenti per tutte le giornate del weekend. Sabato e domenica i posti sono numerati su tutte le tribune. Per i soci ACI il pacchetto "weekend" è offerto a un prezzo speciale: la tribuna 23B a 140 euro, la 21D a 120 e riduzioni rispetto al listino in vigore. Per usufruire della promozione i possessori della carta potranno acquistarli sul sito www.aci. it o rivolgersi presso l’Automobile Club locale. 31 Agosto 2018 ·

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Monza2018. F1, la classifica “social”. Getty.

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■  A poche ore dal termine del Gran Premio del Belgio di Formula 1, Sebastian Vettel ancora gusta il sapore della vittoria sul Circuito di Spa-Francorchamps. Il tedesco al primo giro ha superato il rivale Lewis Hamilton senza mai più abbandonare la prima posizione, riducendo così il distacco in classifica dal campione del mondo inglese a soli 17 punti. Un’inezia se pensiamo che sui social network non c’è mai stata gara. A seguire la classifica dei piloti più seguiti sui propri profili ufficiali, sommando le tre piattaforme più famose al mondo: Facebook, Instagram e Twitter. Il podio dei like La classifica dei piloti del mondiale di Formula 1, conteggiando i tre maggiori social (Facebook, Instagram e Twitter) pende totalmente dalla parte di Lewis Hamilton, confermando (per ora) lo strapotere in pista del britannico della Mercedes anche in rete. Il quattro volte campione del mondo può contare di oltre 16 milioni di followers. Numeri inavvicinabili. Il pilota di Stevenage è amato soprattutto per il suo stile di guida aggressivo che gli ha permesso di conquistare il record assoluto di pole position nella storia della F1. Chi non può vantarsi di aver questi numeri sul web è Sebastian Vettel. Non perché non sia amato, tutt’altro. Ma semplicemente perché non possiede alcun tipo di account di riferimento per la sua community. Il tedesco lo ha ribadito spesso attraverso i microfoni delle emittenti televisive, “non ho 6

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profili ufficiali”, e per scelta si attesta all’ultimo posto. Di questi tempi, in cui siamo sommersi di like e condivisioni, è un rischio e anche una rarità da apprezzare. Un atto coraggioso se pensiamo quanto sia importante la comunicazione per un personaggio dello sport così famoso. Ma Sebastian non cede e citando l’antica filosofia cinese - si posiziona sul lato in ombra della collina . Tornando alla graduatoria social ---, troviamo al secondo posto il

veterano Fernando Alonso con quasi 7 milioni di fan totali. Nonostante le difficoltà che sta trovando in pista, l’asturiano al volante della McLaren (a fine anno saluterà per tentare l’avventura in Indy) rivendica il nono posto in campionato con un podio in formato digitale. A 3 milioni di followers di distacco troviamo Daniel Ricciardo. Medaglia di bronzo per l’australiano della Red Bull che non può vantare le stesse prestazioni in campionato (sesto posto, molto distante dalle prime posizio-


Monza2018, la situazione del campionato.

Getty.

17 punti. A tanto è sceso il distacco tra Sebastian Vettel - che ha portato la Ferrari alla vittoria nel Gp di F1 del Belgio - e Lewis Hamilton. Il tedesco ha ridotto lo svantaggio e sono in molti a sognare il “sorpasso rosso” proprio sulla pista di casa a Monza nel prossimo week end, quello del Gran Premio d'Italia. La classifica generale vede il campione del mondo in carica Hamilton in testa con 231 punti, davanti al pilota di Heppenheim che ne ha 214. Lotta serrata per il terzo posto con l'altro ferrarista “Ice Man” Raikkonen in vantaggio di soli due punti (146 a 144) sul connazionale finlandese Bottas della Mercedes. Quinto “incomodo” il rampante Max Verstappen: l'olandese ha finora collezionato 120 punti.

ni) e deve tenere necessariamente a bada il suo compagno di scuderia, l'olandese Max Verstappen, quarto a poche migliaia di seguaci. Gli altri della top ten Da segnalare l’ottimo piazzamento del messicano Sergio Perez (Force India), quinto con 2,8 milioni di followers (di cui 2 solo su Twitter). Superano il milione anche il francese Romain Grosjean (Haas) e i due della Renault, il tedesco Nicolas

Inseguimento alla Mercedes Ancora più serrata la lotta nel mondiale costruttori. Qui i punti che la Ferrari deve recuperare rispetto alla Mercedes sono soltanto 15 (375 contro 360). Terzo posto per Red Bull (238 punti). Staccatissimi gli altri con Renault quarta a 82 e Haas a 76. Dopo il Gran Premio d’Italia rimarranno ancora sette gare (la prima a Singapore il 16 settembre) per decretare se il sogno degli oltre 200mila ferraristi che invaderanno la pista di Monza e di tutti quelli che seguiranno la gara da casa potrà diventare realtà.

Hulkenberg e lo spagnolo Carlos Sainz Jr, rispettivamente al settimo, ottavo e nono posto. Chiude la prima decina l’altro ferrarista Kimi Raikkonen. Il finlandese però può contare solo su un unico account social: Instagram e lo seguono in 900 mila. Gli ultimi tre posti della classifica social rispecchiano anche la realtà. Infatti i tre piloti che occupano le ultime posizioni sono gli stessi che stanno avendo difficoltà nel campionato di Formula 1 e che, allo

stesso modo, non hanno avuto (per ora) grande successo in rete. Stiamo parlando del neozelandese Brendon Hartley della Toro Rosso, terzultimo con 243 mila followers. 90 mila fans per il russo Sergej Sirotkin della Williams e appena 17 mila per il diciannovenne della Williams, Lance Stroll (di cui soltanto 309 su Twitter). Ma per quest’ultimo il futuro potrebbe cambiare visto che il papà Lawrence – imprenditore miliardario canadese - gli ha comprato una scuderia tutta per lui. 31 Agosto 2018 ·

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COVER STORY IL CIRCUITO

Prima Curva di Lesmo Circondata dal bosco, in origine era la Curva delle Querce. Poi dalle cronache del ’27 si apprende che cambiò nome in Curvetta di Lesmo, viste la breve lunghezza e l’ubicazione vicino al paese. A 200 m dall’uscita della Seconda Variante, vi si arriva a velocità non troppo elevate ed è una curva a destra di 75 metri di raggio che si percorre a circa 180 km/h.

Seconda Curva di Lesmo A 200 metri dalla Prima Curva di Lesmo, anch’essa è situata tra una folta vegetazione. Nel ’22 era conosciuta come Curva dei 100 Metri, per via della distanza che separava il punto di entrata da quello di uscita, mentre nel 1927 divenne la Curva del bosco dei Cervi; il Parco era infatti popolato da una fauna variegata. Solo più tardi assunse definitivamente il nome attuale. In passato era uno dei punti mitici del circuito: vi si arrivava in piena accelerazione e si entrava in curva a quasi 300 km/h e solo i migliori piloti riuscivano a percorrerla in pieno. Con le modifiche del 1994-95 è stata molto rallentata e oggi ha solo 35 metri di raggio e si percorre a circa 160 km/h.

Curva del Serraglio Il nome deriva dalla vicinanze del Serraglio, la casa di caccia del Re, dove erano tenuti anche degli animali. È una lievissima piega a sinistra dal raggio ampio di oltre 600 metri. Il rettilineo successivo incrocia, con un sottopassaggio, la curva Sopraelevata Nord dell’anello di alta velocità e solo i migliori piloti riuscivano a percorrerla in pieno. Con le modifiche del 1994-95 è stata molto rallentata e oggi ha solo 35 metri di raggio e si percorre a circa 160 km/h.

Prima Variante Curva Biassono L’ampio raggio e la sua lunghezza le valsero in origine il nome di Curva Grande, ma nel 1972 fu ribattezzata Curva Biassono per la vicinanza col paese omonimo. È una lunga curva a destra dal raggio di circa 300 metri a cui si arriva in piena accelerazione dalla Prima Variante e si percorre in pieno con una buona dose di coraggio.

Seconda Variante Nata come Curva della Roggia modificò il suo disegno nel 1976 per ridurre le medie sempre più elevate. Diventò la Seconda Variante o Variante della Roggia. È posta in fondo a un lungo rettilineo sul quale si toccano i 335 km/h. Con una lunghissima frenata si decelera a 110-120 km/h per affrontare una “esse” sinistra-destra molto stretta, modificata nel 2000.

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Nel 1972 fu realizzata una chicane all’altezza della variante junior, per ridurre la velocità d’ingresso nella Curva Biassono. Nel 1976 diventò una variante formata dalla successione di due curve a sinistra e due a destra. Nel 2000 fu ridisegnata con una secca curva a destra, che spezza il lungo rettilineo d’arrivo. La Prima Variante o Variante del Rettifilo si presenta come una strettissima curva a destra di 90 gradi, seguita da una curva a gomito a sinistra altrettanto stretta. Dal rettilineo dei box si arriva a oltre 370 km/h e si decelera a soli 70-80 km/h.


Monza, un rettifilo che si percorre a una velocità da togliere il fiato. E poi curve e varianti, ridisegnate negli anni, che si susseguono. Una pista lunga 5.793 metri di emozioni e bellezze. Il racconto di staccate al limite e accelerazioni che non finiscono mai.

Variante Ascari In origine si chiamava Curva del Platano o del Vialone perché passava sopra il grande viale di accesso all’Autodromo. Dal 1955 cambia nome e viene dedicata ad Alberto Ascari. La ragione ci riporta al 26 maggio di quello stesso anno: mentre compie alcuni giri con una Ferrari Sport, il campione milanese perde la vita a causa di un’uscita di strada proprio in quel punto. Per rallentare le alte velocità, nel 1972 fu realizzata nel punto d’entrata una chicane che due anni più tardi venne ulteriormente modificata nell’ampiezza e nel tratto d’uscita, assumendo così il nome definitivo di variante. Vi si arriva tenendo premuto l’acceleratore fin dalla Seconda di Lesmo e anche qui si toccano i 330 km/h. Dopo la frenata si affrontano in rapida successione tre curve a sinistra-destra sinistra che immettono sul rettilineo opposto ai box. Sono curve a raggio abbastanza ampio che si percorrono a velocità intorno ai 200 km/h.

Curva Parabolica Nell’anno di costruzione dell’impianto, non risulta traccia di un nome preciso, si parlasolo di Curvetta. Nel 1927 si comincia a denominarle Curvette. In realtà si trattava di due tornanti caratterizzati da un raggio di 60 metri e da un’ampiezza di 90°, uniti da un brevissimo rettifilo. E vista la particolarità della pavimentazione formata da tanti cubetti di porfido, divenne famosa per essere la Curva del Porfido. Ricostruita nel 1955, quando il tracciato tornò alla sua impostazione originaria, fu chiamata Curva Parabolica per il disegno e la traiettoria che descriveva. Nel rettilineo che conduce a questa curva si toccano nuovamente i 330 km/h, quindi si frena per entrare in curva a circa 180 km/h. La curva è molto lunga e a raggio via via crescente: dopo aver superato la parte più stretta si può percorrere il tratto finale in piena accelerazione, scorrendo verso l’esterno e imboccando il rettilineo d’arrivo a velocità già molto elevate.

Rettifilo di partenza Il Rettifilo di partenza va dalla fine della Curva Parabolica fino all’inizio della Prima Variante ed è lungo 1.194,40 metri.

2032 ft (619 m)

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1922 - 1952

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Andavamo a centomila all’ora. La nascita dell’Autodromo Nazionale. Un tracciato stradale di 5,5 chilometri e uno di alta velocità di 4,5 con curve sopraelevate. I primi spettatori, i pionieri, le tragedie, le leggende. CARLO CAVICCHI

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■  Il circuito di Monza non c’era ancora quando nel 1921 si disputò il primo Gran Premio d’Italia. Accadde sul percorso stradale di Montichiari, vicino a Brescia, ma il posto non aveva le stimmate per entrare nella leggenda. Ci voleva qualche cosa di più eccitante, un impianto vero come Brooklands in Gran Bretagna o come l’ovale di Indianapolis negli Stati Uniti. Ma servivano i soldi, tanti soldi. E quelli poteva averli soltanto la ricca Milano, contando anche su una periferia smisurata dentro una provincia smisurata. Nacque così l’Autodromo Nazionale e in fretta la sua leggenda, perché a scorrere i primi albi d’oro pareva di stare dentro a una canzone di Lucio Dalla: Bordino, Varzi e Campari, Borzacchini e Fagioli, Brilli-Peri e

Ascari poi, naturalmente, Nuvolari. A quei tempi gli italiani avevano tanto coraggio, tanto talento e forse anche tanti soldi per correre. Dettavano gli ordini di arrivo e la gente s’entusiasmava. Per i giornali, il Gp d’Italia significava puntualmente grandi tirature, perché si glorificavano le imprese e si piangevano i morti. Non c’era il rallenty, correva semmai la fantasia che la radio sapeva eccitare, come succede soltanto quando non si può vedere dal vivo. Gli inizi allora. Il circuito nel parco di Monza fu deliberato nel gennaio 1922 dal Consiglio Direttivo dell’Automobile Club di Milano. Un’opera grandiosa, di quelle che si possono pensare soltanto quando le grandi guerre sono appena finite. Un traccia-

Alberto Ascari, al volante della sua Ferrari 375/F1, si guarda alle spalle durante il Gran Premio d’Italia a Monza, disputato il 16 settembre 1951.

to stradale di 5,5 chilometri e uno di alta velocità di 4,5 con curve sopraelevate. In totale 10 chilometri su un’area di 340 ettari. In realtà dovevano essere 14 i chilometri, ma intervennero i verdi dell’epoca: non si può violentare oltremodo il nostro bellissimo parco, stabilirono. Eppure, passato un secolo, bisogna proprio ringraziare quest’impianto se gli scempi dei palazzinari, che hanno cementificato Vedano e Biassono, Lesmo e Arcore, alle sue porte hanno avuto uno stop. No, qui no. Qui c’è la pista. Benedetta. 31 Agosto 2018 ·

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Qui a fianco, una Maserati e una Talbot Lago sulla linea di partenza al Gran Premio d'Italia 1949. Sull’altra pagina, Luigi Fagioli su Alfa Romeo al pit stop del Gran Premio d’Italia 1933, Fagioli vincerà la corsa.

Il bello è che tutto nacque in soli 3 mesi, quando oggi non basterebbero trent’anni, grazie al lavoro di 3.500 operai, 200 carri, 30 autocarri e una ferrovia Decauville di 5 km con 2 locomotive e 80 vagoni. Erano tempi di grandi tensioni sociali con scioperi, scontri di piazza e violenze di ogni genere che anticipavano la salita di Mussolini sul ponte di comando; eppure il miracolo si compì. Eccoli, allora, centomila spettatori a battere le mani il 10 settembre 1922. Il primo Gp d’Italia a Monza fu vinto da un pilota già leggendario, Pietro Bordino su Fiat, capace, sei anni dopo, di morire per colpa di un cane che gli attraverserà la strada, incastrandosi tra le barre dello sterzo della sua Bugatti. Bordino finirà nelle acque del fiume Tanaro, annegando e gettando tutto lo Stivale nello sconforto. Già, le morti. I piloti dell’epoca ci convivevano con disperata rassegnazione. Nel 1933, per colpa di una chiazza d’olio, perirono addirittura in tre: Campari, Borzacchini e Czaykowski. Non saranno i soli lutti nella storia del Gp d’Italia, molti ne verranno ancora, e tanti erano già stati contati; addirittura 28 nel 1928, tragica coincidenza di numeri. Toccò al grande Materassi infilarsi nel fossato davanti alle tribune, con lui persero la vita anche 27 spettatori. La tragedia più grande nella lunga storia di Monza. 12

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Per i lombardi che accorrevano in massa, i primi Gran Premi erano comunque da lustrarsi gli occhi: sfrecciavano tra gli alberi prima le Fiat, poi le Alfa Romeo e le americane Duesemberg, quindi le Bugatti e le Maserati, aspettando poi le potenti Mercedes-Benz e Auto Union. Soltanto nel 1927 era stata vera tristezza, con appena 6 vetture alla partenza e un podio da dimenticare, ma già l’anno dopo eccone 23 sullo schieramento, con Chiron vincitore davanti a Varzi e Nuvolari, i due rivali per eccellenza che già si erano sfidati in moto, e che faranno tanto parlare di loro per un altro decennio. Varzi, pulitissimo nella guida e impuro per i troppi vizi, e Nuvolari, tutto coraggio e istinto, il più grande secondo Enzo Ferrari. Successi e orgoglio Monza e il Gp d’italia diventano teatro di gesta indimenticabili e manifesto politico per eccellenza. Dietro ogni successo c’è l’orgoglio del Duce contro quello del Fuhrer, e viceversa. La guerra è alle porte e il circuito è da modificare perché così com’è non soddisfa nessuno e si va sempre troppo forte. Si fanno grandi lavori ma il Gp d’Italia è congelato. L’impianto perde la sua funzione originaria. Addirittura diventerà rifugio per tutti gli animali sfrattati dal giardino zo-

ologico di Milano. Passeranno undici anni d’insolito silenzio per ritrovare il Gran Premio a Monza. Nel frattempo, a guerra appena finita, si era tenuta una grande parata di mezzi corazzati col bel risultato del rettifilo d’arrivo completamente distrutto. Ma è l’intero autodromo in pessime condizioni, a dover essere completamente rifatto. Vengono trovati in fretta 100 milioni di lire per effettuare i lavori, e tutto si realizza in appena due mesi. Quando i bolidi da Gran Premio tornano a rombare, c’è però qualcosa di nuovo nell’aria: Enzo Ferrari è diventato costruttore e fa subito capire che fa sul serio. Con Alberto Ascari, figlio del grande Antonio che qui aveva vinto nel Gp del 1924, fa subito bottino grosso. Il giovanotto in realtà non è di primo pelo, ma nessuno dei campioni del dopoguerra lo è perché troppi anni senza corse hanno invecchiato i parchi partenze. Ascari è comunque italiano, e ci fa credere che la storia continui come prima. Per 4 edizioni a svettare sarà solo il tricolore ed è una musica bella nelle orecchie degli appassionati di casa nostra: Ascari, Farina, Ascari e ancora Ascari. Ma è soltanto l’inizio della fine, perché dopo Ascari in Formula 1 non ci sarà più un campione del mondo di casa nostra. Finiti il coraggio, il talento oppure i soldi? Le opinioni al riguardo si sprecheranno.


1922 Pietro Bordino Fiat 804 1923 Carlo Salamano Fiat 805 1924 Antonio Ascari Alfa Romeo P2 1925 Gastone Brilli-Peri Alfa Romeo P2 1926 Charavel Bugatti 39 1927 Robert Benoist Delage 1928 Louis Chiron Bugatti 35C 1931 Campari e Nuvolari Alfa Romeo Monza 1932 Tazio Nuvolari Alfa Romeo P3 1933 Luigi Faglioli Alfa Romeo P3 1934 Rudolf Caracciola Mercedes W25 1935 Hans Stuck Auto Union B 1936 Bernd Rosemeyer Auto Union C 1938 Tazio Nuvolari Auto Union D 1949 Alberto Ascari Ferrari 125 1950 Nino Farina Alfa Romeo 158 1951 Alberto Ascari Ferrari 375

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1952 Alberto Ascari Ferrari 500

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1953 - 1963

Il mondiale del Drake. Il tragico destino di “Ciccio” Ascari, che stravince al volante di una Ferrari. Da Fangio a Moss, da Hill a Clark. LEO TURRINI ■  Per capire davvero cosa Monza, con il "suo" Gran Premio di Formula 1, abbia rappresentato per l’Italia intera, nel contesto di una ricostruzione post bellica che sembrava impresa temeraria se non addirittura impossibile, occorre uno sforzo in più. La Seconda Guerra Mondiale era stata una catastrofe materiale. Le disfatte al fronte avevano anche sbriciolato le puerili certezze falsamente propagandate dal regime fascista. Con buona pace di Mussolini e dei suoi proclami, avevamo ampiamente dimostrato di non essere in grado di produrre carri armati o cannoni. Macchine di morte. Ed esisteva, invece, un’altra idea di “macchina”. Esisteva e gli italiani tutti, non solo gli abitanti di Monza, ne erano perfettamente al corrente. Perché c’era sempre stata una Italia che amava il concetto della competizione, una Italia rurale e contadina nelle origini ma che, con il progredire del Novecento, aveva imparato ad amare il motore, la biella, il pistone. Monza è sempre stata la capitale di un Paese diverso, distinto e 14

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distante dalle oscene prevaricazioni di regime. Tornava la voglia di vivere. Anche a tutta velocità. E questa diversità la colsero subito gli appassionati che il 3 settembre 1950 affollarono il circuito per un Gran Premio destinato a passare alla storia. Non fu e non poteva essere una gara come tutte le altre. Non soltanto perché Nino Farina, al volante di una Alfa Romeo 159, si laureò matematicamente campione del mondo della neonata categoria. Il valore subliminale della competizione era soprattutto racchiuso nel drappello di italianissime vetture sulla griglia di partenza. Le Alfa Romeo, certamente. Ma anche le Maserati. E le prime Ferrari. Macchine. Italiane. Non da guerra. Gli Anni Cinquanta hanno fatto da prologo al boom. Enzo Ferrari, un totem nella solitudine di Maranello, aveva capito. Era un profeta: tutti si acca Jim Clark tra i fotografi porta in trionfo sulla sua monoposto Colin Chapman - boss della Lotus – che alza la coppa per la vittoria del Gran Premio d’Italia 1963.


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pigliavano sul significato epocale della automobile come mezzo di locomozione di massa e già lui aveva compreso che l’auto poteva essere anche opera d’arte. Il simbolo della lungimiranza del papà del Cavallino era un figlio d’arte. Alberto Ascari, detto Ciccio, erede di Antonio, che di Ferrari era stato compagno in pista nella ruggente epoca del primo Novecento. Ascari junior tornò indietro, felice, il 16 settembre del 1951. Aveva vinto il Gran Premio d’Italia, con la Ferrari 375. Per sempre, nella storia, sarebbe stato ricordato come il primo “driver” in trionfo in Brianza al volante di una macchina del Drake. La scena ebbe a ripetersi nel 1952, la stagione durante la quale Ciccio conquistò il mondiale con la Rossa. La sua supremazia era così schiacciante che i tifosi immaginavano una lunga sequenza di successi brianzoli. E invece il sorriso smagliante del 7 settembre 1952 fu l’ultimo. Il 13 settembre 1953 la Ferrari 735 S di Ciccio venne coinvolta in un incidente durante il 79esimo giro. Partito dalla pole, Alberto si era già confermato iridato. Ma a Monza gli toccò applaudire l’impresa dell’eterno Fangio, al volante di una Maserati. Il duello senza fine Nel 1954, Ascari era ancora ferrarista a Monza: in realtà era già passato alla Lancia, la scuderia torinese però gli accordò il permesso di disputare il Gran Premio d’Italia con una vettura del Cavallino. Ascari era convinto di poter rendere la vita dura all’argentino. Fangio era ormai un uomo Mercedes e nelle prove aveva ottenuto il miglior tempo. Ma Ciccio, con la Rossa modello 625, era secondo in griglia. Quel 5 settembre del 1954, il motore della Ferrari gli giocò 16

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Qui a fianco: Stirling Craufurd Moss controlla il rifornimento del suo serbatoio di benzina, 13 settembre 1953. Nell’altra pagina: il pilota americano Phil Hill taglia il traguardo con la sua Ferrari, vincendo il Gran Premio d’Italia, 10 settembre 1961.

un brutto tiro. Rimase a piedi dopo 48 giri e rese ancora omaggio alla grandezza del Gaucho. Ci rivedremo qui nel parco della Brianza tra un anno, disse Ascari a Fangio nel dopo gara. Non poteva immaginare che invece il destino non gli avrebbe più offerto l’occasione di una rivincita. Il 26 maggio 1955, Ascari ricevette una telefonata da due amici. A Monza, Gigi Villoresi ed Eugenio Castellotti stavano collaudando la Ferrari 750 Sport. I colleghi lo invitarono a pranzo in circuito. Ciccio li raggiunse ma quando vide la macchina fu aggredito dal consueto virus della passione. Fatemela guidare per dieci minuti, disse. E poi andiamo a mangiare. A tavola, Ascari non arrivò. Per ragioni mai chiarite, perse il controllo della macchina e morì sul colpo sul circuito che apprezzava di più. Anche Alber-

to, come papà Antonio, era stato ucciso dall’amore per la velocità. Di sicuro, senza Ascari il Gran Premio d’Italia si accorse di essere più povero. L’11 settembre 1955, vincendo a Monza con la Mercedes, il grande Fangio dichiarò: “Gioisco sempre quando taglio il traguardo per primo, ma non vedere il nome di Ciccio tra i partenti è una ferita che non si rimarginerà”. Nemmeno l’argentino avrebbe più provato la gioia di salire sul gradino più alto del podio nel Gp d’Italia. Ormai a Monza era scoccata l’ora di Stirling Moss. Il pilota più grande di sempre, secondo la definizione che ne ebbe a dare il Drake di Maranello. E però mai iridato. Gli anni passavano e Monza ormai era, con il suo Gran Premio, un piccolo grande pezzo della storia, in costante evoluzione, dell’Italia. La corsa


1953 Juan Manuel Fangio Maserati A6GCM 1954 Juan Manuel Fangio Mercedes W 196 1955 Juan Manuel Fangio Mercedes W 196 1956 Stirling Moss Maserati 250 F 1957 Stirling Moss Vanwall 1958 Tony Brooks Vanwall 1959 Stirling Moss Cooper Climax 1960 Phil Hill Ferrari 256 1961 Phil Hill Ferrari 156 1962 Graham Hill B.R.M.

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1963 Jim Clark Lotus Climax 25

della Formula 1 era entrata a far parte dell’immaginario collettivo di un popolo. In questa consacrazione, un po’ stonava l’assenza del nome Ferrari nell’albo d’oro della gara. Dopo i successi del compianto Ciccio Ascari, solo piazzamenti. E a Maranello il Grande Vecchio friggeva, perché in un personaggio ammantato di orgoglio patriottico come lui la sconfitta a Monza assumeva il sapore di una disfatta. Le cose non andarono bene nel 1958, quando ad imporsi fu Tony Brooks ancora con la Vanwall. Il digiuno continuò nel 1959, quando l’indomabile Moss si prese il gradino più alto del podio con la Cooper. Enzo Ferrari mugugnava. Il tabù venne infranto il 4 settembre del 1960. Tripletta della Rossa davanti ad un pubblico in delirio. L’americano Phil Hill scattò dalla pole e firmò il giro più ve-

loce in gara, potendo festeggiare la fine di un incubo in compagnia dei compagni di squadra Richie Ginther e Willy Mairesse. Hill si sarebbe ripetuto il 10 settembre 1961, ma la sua prodezza purtroppo non sarebbe stata ricordata. Infatti quel giorno andò in scena una di quelle vicende che proprio Enzo Ferrari prosaicamente definì “le mie gioie terribili”. Destino crudele Nel 1961, nella classifica del mondiale lo statunitense Hill inseguiva, staccato di quattro punti, il compagno di squadra Wolfgang Von Trips. Tedesco, legatissimo al mito del Cavallino, Von Trips era considerato il favorito naturale. Ma il destino, crudele, aveva in serbo altro. Durante il secondo giro, la Ferrari di Von Trips

urtò la Lotus di Jim Clark nella zona che portava alla curva parabolica. La macchina di Von Trips prese il volo, si schiantò contro le reti di protezione, infine precipitò di nuovo sull’asfalto. Niente da fare per il pilota e tragico il bilancio tra gli spettatori: si contarono 14 vittime e dozzine di feriti. Venne poi l’era dei Lord di Sua Maestà Britannica. Graham Hill ha segnato un’epoca, capace di imporsi alla 500 Miglia di Indianapolis come a Montecarlo, dove trionfò 5 volte e si mormorava avesse fatto girare la testa a Grace Kelly. Un talento purissimo. Se possibile, Jim Clark era persino più bravo. Chi lo ha visto dal vivo, non esita a definirlo il miglior driver di sempre. Dello scozzese, i contemporanei giurano che aveva lo stesso carisma di Ayrton Senna. Ma questa, naturalmente, è un’altra storia. 31 Agosto 2018 ·

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1964 - 1977

Gli albori della formula business. Compaiono i primi loghi di sponsor non automobilistici come i giganti del tabacco. Il mito di Clark, la lezione di Regazzoni. EZIO ZERMIANI

■  Quando, nel 1964, il Circus fa tappa a Monza per disputare il 35° Gran Premio d’Italia, tiene banco la minaccia di Enzo Ferrari di abbandonare le corse a fine a stagione per una polemica con le autorità sportive, colpevoli di non aver omologato il modello 250 LM. Altra novità è la presenza della Honda, la prima monoposto giapponese a gareggiare in F.1. La corsa vive del duello tra la Ferrari 158 dell’inglese John Surtees e dell’americano Dan Gurney, su Brabham. Il ritiro di quest’ultimo, spianerà la strada al “Figlio del vento”, che precederà Bruce McLaren sulla Cooper. Un vittoria importante ai fini della classifica, perché consentirà a Surtees di lanciarsi verso la conquista della corona iridata, beffando Graham Hill sul filo di lana. L’anno successivo si celebra il mito di Jim Clark, che arriva a Monza da Campione del Mondo. La sua Lotus

33, spinta dal motore Climax 8cl domina la corsa, ma a sette tornate dal termine viene bloccata da noie meccaniche. A trionfare sarà un altro scozzese, Jackie Stewart sulla BRM, che al penultimo girò infila la vettura gemella di Graham Hill, colpevole di un errore alla Parabolica. Per Stewart, è il primo successo di una luminosa carriera. Il 4 settembre 1966 è una data storica, perché ad imporsi sul tracciato brianzolo è la Ferrari di Ludovico Scarfiotti, seguita da quella di Mike Parkes. Per il Cavallino è doppietta, mentre per i colori italiani, sarà l’ultimo successo nel Gran Premio di casa di un nostro pilota. Nel GP d’Italia del ’67, è ancora Clark-show, malgrado la Honda conquisti la sua seconda vittoria in F.1. Clark terzo, verrà comunque portato in trionfo dai tifosi. Denis Hulme, neozelandese, s’impone nel ‘68, in una stagione che vede

le monoposto sfoggiare dei loghi dei primi sponsor non legati all’ambiente automobilistico, come le multinazionali del tabacco. Sono gli albori della formula-business. Ma le emozioni targate Monza continuano, come nel Gp d’Italia numero 40, che vede il terzetto composto da Stewart, Beltoise e Rindt contendersi il gradino più alto del podio in volata: due Matra, contro una Lotus. A gioire è Stewart, che con questo risultato conquista il primo dei suoi tre mondiali. Quello del 1970, sarà invece un capitolo triste: sabato 5 settembre nel corse delle prove, Jochen Rindt è vittima di una drammatica uscita di pista all’ingres

A sinistra, Jackie Stewart alla guida della sua BRM taglia il traguardo vincendo il Gran Premio d’Italia il 12 settembre 1965. 31 Agosto 2018 ·

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Qui sotto: il pilota inglese John Surtees lanciato verso la vittoria sulla sua Honda RA300 al Gran Premio d’Italia il 10 settembre 1967. A destra: il pilota svizzero Clay Regazzoni nell’abitacolo della Ferrari a Monza nel 1972.

so della Curva Parabolica, complice il cedimento dell’albero che collega la ruota al freno a disco interno della sua Lotus. L’austriaco, dominatore la stagione, muore sul colpo e gli verrà assegnato il titolo postumo. Il giorno dopo, con l’ambiente ancora scosso, la gara vede l’affermazione di un giovane pilota di passaporto svizzero, ma di animo italiano, Clay Regazzoni. È il primo successo iridato per il ticinese, che al volante della Ferrari 312B, precede Stewart e Beltoise. Particolarmente legato alla pista monzese, dove ha mosso i primi passi, Clay sarà ancora protagonista nelle edizioni successive del Gran Premio. Memorabile un aneddoto del 1971, quando pur partendo dalla quarta fila, Regazzoni scommette con un amico che transiterà in testa alle curve di Lesmo, al primo giro. Con

la partenza che viene ancora data a mano, Clay sa che l’allora direttore di gara Gianni Restelli è solito calare il drappo quando le sole monoposto della prima fila sono ferme in griglia. Rallentando nel giro di ricognizione, il ferrarista si presenta al via ancora in movimento e quando la corsa parte guadagna subito parecchie posizioni. Secondo dietro a Siffert, rammenta la scommessa e tirando una violenta staccata sopravanza il capofila. La Lotus siglerà il suo terzo trionfo consecutivo a Monza nel ’74, rendendo amara una corsa dove le Ferrari sono favorite. Lauda sigla la pole e Regazzoni è in lotta per il titolo. Purtroppo i due ferraristi dovranno abbandonare per noie al motore e le uniche soddisfazioni per i tifosi italiani arriveranno da Arturo Merzario, che scattato dall’ottava fila, chiuderà in quarta piazza con la IsoFord. La rivincita del Cavallino è però vicina. Il 7 settembre del 1975, è il gran giorno delle rosse. Niki Lauda può infatti conseguire la matematica certezza di quel titolo piloti che a Maranello manca dal ‘64. Dalla prima fila, le Ferrari 312T prendono il largo con Regazzoni davanti a Lauda. Clay trionfa e Niki è il nuovo campione del mondo, per la gioia dei tifosi che si riversano in pista.

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Dopo il terribile incidente Lauda sarà protagonista anche nelle due edizioni successive della corsa monzese. Venerdì 10 settembre 1976 torna alle corse, a soli 40 giorni dal terribile incidente del Nuerburgring. Scampato alla morte, il ferrarista si presenta a Monza con le ferite ancora sanguinanti. Ma l’indomito Lauda smentirà gli scettici che lo vogliono ormai sul viale del tramonto. Proprio sul tracciato lombardo, l’anno dopo, a bordo della Ferrari 312T2, l’austriaco chiude alle spalle del dominatore Mario “Piedone” Andretti, sulla Lotus 78, ipotecando il suo secondo mondiale. Sarà l’ultimo acuto di Niki come portacolori del Cavallino. Nei giorni precedenti la gara, in un famoso ristorante a pochi passi dall’Auto20

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1964 John Surtees Ferrari 158 1965 Jackie Stewart B.R.M. 1966 Ludovico Scarfiotti Ferrari 312 1967 John Surtees Honda RA 301 1968 Denny Hulme McLaren Ford M7 1969 Jackie Stewart Matra Ford MS80 1970 Clay Regazzoni Ferrari 312b 1971 Peter Gethin B.R.M. P160 1972 Emerson Fittipaldi Lotus Ford 72 1973 Ronnie Peterson Lotus JPS 1974 Ronnie Peterson Lotus 1975 Clay Regazzoni Ferrari 312T 1976 Ronnie Peterson March 761

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1977 Mario Andretti Lotus JPS 78

dromo, s’è accordato con la Brabham di Bernie Ecclestone, supportato dalla Parmalat di Calisto Tanzi. Ma questa è un’altra storia. Va sottolineato come Lauda dovesse tutto a Regazzoni, eppure l’austriaco non gli è mai stato riconoscente. D’altro canto se pensiamo che il freddo Niki ripagò Merzario, che l’aveva estratto dal rogo del Nuerburgring, con un orologio di seconda mano ricevuto da uno sponsor, si capisce tanto di un grande campione in pista, ma

di un uomo dal braccino corto proprio fuori misura. Lo stesso Clay, estremamente generoso, quando analizzava certi comportamenti del collega, lisciandosi i baffi, rideva di gusto. Non sempre rideva. Che grande persona Clay. Ricordo quando, in carrozzella, mi confidò che aveva pensato di farla finita: “Quante volte ho preso dal cassetto la pistola, per poi riporla fra mille dubbi”. Mi disse un giorno che non aveva voglia di scherzare: “Poi d’un tratto, dissi basta. Pur sedu-

to su una sedia a rotella, voglio vivere. Sapessi Ezio, come è alto il distributore dei gettoni telefonici. Aggiungi il fatto che sono scanalati da una sola parte e non sai mai quale. Quante volte non entrando nella feritoia, il gettone cade e si infila nel tombino. Ed è sempre l’ultimo che hai. Magari per una telefonata urgente, che non puoi più fare.” Senza tante spiegazioni sociologiche, mi aveva insegnato cosa sono le barriere architettoniche. Grazie, grande Clay. 31 Agosto 2018 ·

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1978 - 1988

Tempi di rivoluzione, addio Gilles. Nel 1979 il circuito di Monza viene tirato a lucido. Arrivano i primi motori sovralimentati, nel 1982 in Belgio scompare Villeneuve. GUIDO SCHITTONE

■  L’edizione del 1978 è una tra le più tragiche e drammatiche dell’intera storia della Formula 1. La terribile carambola al via del Gran Premio che portò poi alla morte di Ronnie Peterson e alla lunga degenza di Vittorio Brambilla - pone ancora oggi in secondo piano la doppietta delle Brabham-Alfa Romeo di Niki Lauda e John Watson, in una corsa ripartita alle 18,15 e ridotta a 40 giri. Anche perché a tagliare il traguardo nelle prime due posizioni furono Mario Andretti con la Lotus 79 e Gilles Villeneuve con la Ferrari 312 T3, poi penalizzati di un minuto per partenza anticipata. Per l’Alfa Romeo si trattò della dodicesima affermazione, per Lauda, l’ultima prima del suo ritiro nella stagione 1979. Andretti, sesto con il punto guadagnato e con Peterson in condizioni disperate in ospedale, ebbe la certezza virtuale del

titolo in una stagione in cui il patron della Lotus Colin Chapman sviluppò ulteriormente il concetto di monoposto ala inaugurato nel 1977 con il modello 78. Dal dramma alla gioia: l’edizione del 1979 è una delle più belle. Monza si presenta per l’appuntamento decisivo del campionato tirata a lucido. Nuovi sono i box, ampliate le vie di fuga, modificati i cordoli, migliorate le infrastrutture del paddock. Il Gran Premio è carico di tensione perché la Ferrari, che ha dominato la prima parte di stagione con le sue 312 T4, può puntare alla doppia affermazione nel campionato piloti con Jody Scheckter e Gilles Villeneuve,

Bruno Giacomelli su Alfa Romeo 179C al Gran Premio d’Italia del 1980. 31 Agosto 2018 ·

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Qui sotto: il leggendario pilota franco-canadese Gilles Villeneuve mentre parla con il team Ferrari. A destra: il brasiliano Nelson Piquet in una pausa delle prove del Gran Premio del 1986.

gli unici rimasti in lizza assieme al francese della Ligier Jacques Laffite, e in quello costruttori. La corsa, dopo un iniziale predominio della Renault di Arnoux, passa saldamente nelle mani di Scheckter con Villeneuve che gli copre le spalle, rinunciando all’attacco, con dietro Laffite. La svolta avverrà al 42esimo giro, quando Laffite è costretto al ritiro. Per i due ferraristi è il trionfo. Scheckter conquista il campionato mondiale piloti, l’ultimo ferrarista prima dell’epopea Schumacher, e la

312 T4 il titolo iridato costruttori. Nel 1981 il Gp d’Italia torna nella propria sede storica dopo la parentesi di Imola del 1980. In Formula 1 è tempo di rivoluzione. Stanno a poco a poco arrivando i motori sovralimentati, utilizzati da Ferrari, Renault e Toleman, che a Monza conquista con Henton la prima qualificazione della storia, mentre la McLaren MP4 sfoggia il telaio realizzato in fibra di carbonio. La vittoria va ad Alain Prost che domina la gara davanti alle Williams di Alan Jones e di Carlos Reutemann. Piquet sarà classificato al sesto posto: il motore Cosworth della Brabham BT49 lo tradisce al penultimo giro mentre si trovava al terzo posto. Il punto conquistato si rivelerà fondamentale per la vittoria del suo primo titolo iridato. Un anno terribile Il 1982 è l’anno in cui muoiono Gilles Villeneuve e Riccardo Paletti; mentre Didier Pironi pone fine alla propria carriera nel terribile incidente in qualifica a Hockenheim. La Ferrari schiera a sorpresa l’ex campione del mondo Mario Andretti che va ad affiancare Patrick Tambay al volante della 126 C2, la vettura migliore della serie iridata. La corsa è dominata un’altra volta dalla Renault, con il futuro ferrarista René Arnoux, il cui ingaggio per il 1983 è stato ufficializzato proprio alla vigilia del Gran Premio, che precede Tambay, fortunato ad avere approfittato del ritiro di un ottimo Riccardo Patrese. Il doppio podio dei ferraristi spiana la strada alla Casa di Maranello per la conquista del settimo mondiale costruttori. Nel 1983 le speranze italiane poggiano tutte sul periodo di forma di Riccardo Patrese che conquista la pole position con la Brabham-Bmw. Purtroppo al secondo passaggio il 4 cilindri tedesco ammutolisce in una nuvola di fumo e il padovano abbandona la corsa, lasciando campo libero a Piquet che va a conquistare una vittoria fondamentale per alimentare le proprie speranze di secondo titolo mondiale. Le Ferrari si classificano al

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1978 Niki Lauda Brabham Alfa 1979 Jody Scheckter Ferrari 312 T4 1981 Alain Prost Renault RE 30 1982 René Arnoux Renault RE 30 1983 Nelson Piquet Brabham BT 52 1984 Niki Lauda McLaren MP4/2 1985 Alain Prost McLaren MP4 1986 Nelson Piquet Williams FW 011 1987 Nelson Piquet Williams FW IIB 1988 Gerhard Berger Ferrari FI-87

secondo posto con Arnoux e al quarto con Tambay che l’anno successivo sarà sostituito da Michele Alboreto. Terzo è Eddie Cheever con l’unica Renault rimasta in corsa. Nel 1984, la prima sorpresa giunge dalla defezione dell’astro nascente Ayrton Senna, che non viene schierato dalla Toleman perché è stato ufficializzato il suo passaggio alla Lotus per la stagione successiva. La Ferrari si presenta con un’evoluzione della C4 che non offre il contributo sperato, tanto che Alboreto parte undicesimo e Arnoux addirittura quattordicesimo. Le Alfa Romeo di Patrese e Cheever sono in nona e decima posizione. La gara è costellata di ritiri: vince a sorpresa Lauda che precede la Ferrari di Alboreto e l’Alfa Romeo di Patrese. Tra gli eroi della corsa Teo Fabi: che con la Brabham-Bmw duella con Lauda. Avrebbe potuto vincere ma si ritira a 7 giri dalla fine per rottura del motore. Lauda egua-

glia il record di Fangio, conquistando la ventiquattresima affermazione della carriera. Nel 1985 si affievoliscono le speranze di vedere un italiano campione del mondo. A Monza infatti la superiorità della McLaren-Tag Porsche di Alain Prost nei confronti della Ferrari 156-85 di Michele Alboreto è totale. In qualifica la pole è di Senna davanti a Rosberg, Mansell, Piquet e Prost. Ma sarà proprio il francese a vincere la corsa. 1986, Monza potrebbe essere la corsa di Teo Fabi che con la Benetton-Bmw conquista la pole position. Ma l’italiano è costretto a partire dall’ultima posizione per un guasto alla centralina nel giro di ricognizione. La gara è dominata dalle Williams-Honda di Piquet e Mansell. Nel 1987 è una corsa bellissima, il cui risultato venne determinato dalle soste ai box per i cambi gomme. La gara è dominata dalla Lotus di Senna

che al 47esimo giro - nel tentativo di doppiare la Ligier di Ghinzani - esce alla Parabolica e viene infilato dal rivale brasiliano che lo batte di un secondo e otto. Nel 1988, la Ferrari torna a vincere a Monza a nove anni di distanza dalla doppietta di Scheckter e Villeneuve. Tocca a Berger, aiutato anche dagli ordini di scuderia, tagliare per primo il traguardo, quattro decimi davanti a Michele Alboreto. Terzo è Cheever con l’Arrows-Megatron. Ma l’eroe della corsa è ancora una volta Senna, che la domina fino a due giri dalla fine, quando alla prima variante viene chiuso dalla Williams del doppiato Jean Louis Schlesser. Per la Ferrari si tratta di un regalo insperato in un’annata caratterizzata dalla scomparsa del proprio fondatore e dall’abissale distanza delle sue monoposto dalle dominatrici McLaren-Honda di Senna, che vincerà il primo titolo mondiale, e Prost. 31 Agosto 2018 ·

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1989 - 1995

Anni tristi e ruggenti. Senna muore in un incidente l’1 maggio 1994. La rivalità con Prost, il dominio della McLaren, le rivoluzionarie sospensioni attive delle Williams. GIORGIO URSICINO

■  Sette anni senza sorriso per la Ferrari nel gran premio di casa, un digiuno che va dal trionfo di Berger con la 6 cilindri turbo nel 1988 a quello di Schumi con la V10 aspirata nel 1996. Due epoche vicine ma diverse, con la prima che vede la vittoria dell’austriaco nel cuore del più lungo periodo senza titolo mondiale a Maranello (l’ultimo campionato lo aveva conquistato Scheckter nel 1979), mentre la seconda segna l’inizio dell’era della riscossa targata Jean Todt, Ross Brawn, Rory Byrne e, soprattutto, Michael Schumacher. Il dream team di Luca Montezemolo, salito alla guida del Cavallino alla fine del 1991. Un settennato di Formula 1 in cui ci fu il più grande sviluppo tecnologico con l’avvento dell’elettronica che gestiva i cambi automatici (fu introdotto proprio dalla Ferrari di Barnard nel 1989), le rivoluzionarie sospensioni attive (vietate nel 1994) e il controllo della trazione. Fu anche una parentesi triste per la perdita di uno dei campioni più grandi: il mitico Ayrton Senna salì in cielo 26

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picchiando contro il muro del Tamburello a Imola il primo maggio del 1994. Quei sette anni iniziarono nel pieno del duello Prost-Senna e con la Ferrari che cercava di spezzare il dominio McLaren (nel ‘90 il Mondiale fu a un passo) e finirono con le sfide Schumi-Damon Hill, alfieri rispettivamente di Benetton e Williams. Nel periodo il Gp d’Italia non ebbe un dominatore poiché solo il figlio di Graham riuscì a salire due volte (1993-1994) sul gradino più alto del podio. Oltre un ventennio fa, non sempre dominava l’accoppiata (auto-pilota) migliore poiché erano molto frequenti i problemi di affidabilità e spesso delle oltre 30 monoposto iscritte, meno di 10 concludevano le gare. Nel 1989 Alain Prost si stava prendendo la rivincita sul compagno Senna che aveva conquistato il titolo l’anno precedente era arriva-

Il brasiliano Ayrton Senna alla guida della McLaren numero 27 durante le prove del Gran Premio d’Italia del 1990.


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to a Monza in testa al Campionato. Le McLaren con il nuovo V10 aspirato non erano così imbattibili come quelle dell’anno precedente equipaggiate con il turbo (dominarono tutte le gare esclusa Monza, dove Ayrton gettò al vento un GP già vinto toccando il doppiato Schlesser a 2 giri della fine) e le Ferrari di Berger e Mansell riuscirono ad infilarsi nelle qualifiche fra Senna e Prost. In gara Ayrton fu tradito dal motore al 44° giro e Nigel dal cambio 3 tornate prima. Per primo sotto la bandiera a scacchi passò il professore francese (davanti alla Rossa di Gerhard vincitore l’anno precedente), che a fine stagione riuscì a riprendersi il titolo dopo il discusso contatto con il compagno di squadra a Suzuka. La prima di Schumi L’anno dopo Prost e Berger si scambiarono l’auto, ma a Monza Alain si dovette inchinare ad Ayrton con la McLaren-Honda che scattò dalla pole e vinse la gara precedendo, sia il sabato che la domenica, il francese con la Rossa. A fine stagione il brasiliano si vendicò buttando volutamente fuori strada in Giappone l’eterno rivale che così vide sfumare il sogno di riportare l’iride a Maranello. Nel 1991 le Ferrari sono meno in forma e Prost e Alesi scattano in terza fila dietro alle McLaren-Honda e alle Williams-Renault. Senna conquista ancora la pole, ma a vincere è Mansell, con Prost che agguanta il podio preceduto dal brasiliano. Patrese, con l’altra Williams, venne tradito dal cambio, mentre ci fu l’esordio di Schumi con la Benetton (quinto al traguardo davanti al compagno Piquet), che si scambiò il volante con Moreno. Il 1992 è l’anno del dominio di Nigel Mansell (conquista finalmente il titolo) e, soprattutto della Williams con le sospensioni attive. Anche a Monza il leone britannico centra la pole e in gara le due monoposto inglesi sono prima e seconda, ma entrambe hanno problemi e devono lasciare il trionfo a Senna che vince 31 Agosto 2018 ·

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Sopra: Nigel Mansell e Alain Prost in una pausa delle prove del Gran Premio d’Italia. A destra: il francese Alain Prost in azione nel 1994 con la McLaren Peugeot.

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il suo secondo Gran Premio d’Italia davanti alle Benetton-Ford. Nel 1993 Prost toglie il sedile Williams a Mansell, ma lo scenario non cambia. Alain si presenta alla gara del Parco con il titolo in tasca e centra una magnifica pole (è la dodicesima della stagione). Al termine delle qualifiche, le due Rosse di Alesi e Berger si sfiorano e l’austriaco, che non aveva rallentato dopo il traguardo, vola fuori pista e picchia duro per non centrare l’incolpevole compagno. Prost e il compagno Hill, scattati in prima fila, sono imprendibili, ma Alain, al suo ultimo anno in Formula 1, non riesce a mettere in bacheca il quarto trofeo di Monza perché il potente V10 Renault lo tradisce a cinque giri dalla fine e primo sul traguardo passa Damon. Secondo, staccato di oltre 40 secondi, Jean con il Cavallino che precede la McLaren-Ford di Michael Andretti. Per il figlio di Mario è il primo podio in Formula 1, ma anche la sua ultima gara nel Mondiale poiché, dal gran premio successivo, Ron Dennis

lo sostituisce con il giovane Mika Hakkinen. È il weekend dei patatrac fra compagni di squadra. Dopo l’incrocio fra le Rosse al termine delle qualifiche, le due Minardi passano in scia il traguardo. Quella di Fittipaldi, però, lo taglia solo dopo aver fatto il giro della morte per una toccata proprio sotto la bandiera a scacchi con la vettura gemella guidata da Martini. La grande delusione L’anno successivo non c’è più Ayrton e Damon Hill, promosso caposquadra ed impegnato a contendere il titolo a Schumacher, vince di nuovo a Monza precedendo di appena 4 secondi la Ferrari di Alesi che era partita dalla pole. Un buon risultato, ma per i tifosi una grande delusione poiché le due Rosse erano scattate entrambe in prima fila e sembrava proprio la giornata giusta per tornare a festeggiare. Nel 1995 grossa sorpresa, a vincere non è come quasi sempre avviene a Monza una delle monoposto parti-

te nelle prime file. In quella stagione la Benetton (che nel 1994 aveva portato Schumacher a vincere il Mondiale) era passata dai motori Ford ai Renault come la Williams. Tre delle quattro monoposto con i propulsori francesi conquistano le prime quattro posizioni in griglia, il terzo tempo è di Berger con la Ferrari. La quarta vettura con il 10 cilindri transalpino, la Benetton di Johnny Herbert, è solo ottava, staccata di quasi 2 secondi dal poleman Coulthard con la Williams. In gara Michael e Damon vanno in rotta di collisione al 23° giro e devono entrambi ritirarsi. Fra i due non è il primo incontro ravvicinato, si erano già presi a ruotate l’anno prima in Australia e il titolo era finito al tedesco. Coulthard si era fermato 10 giri prima. Le Ferrari di Berger e Alesi sono entrambe costrette alla resa per problemi meccanici. A vincere è Johnny Herbert che, alla sua settima stagione in Formula 1, centra il secondo trionfo dopo quello nel Gp di casa a Silverstone di poche settimane prima. 1989 Alain Prost McLaren Mp 4/5 1990 Ayrton Senna McLaren Honda 1991 Nigel Mansell Williams 1992 Ayrton Senna McLaren 1993 Damon Hill Williams 1994 Damon Hill Williams 1995 Johnny Herbert Benetton

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1996 - 2006

Il Cavallino e la camicia bianca. La Ferrari e Schumacher accendono il nuovo millennio. Le lacrime di Montezemolo, la sfida con Montoya dove non sarebbe passato “neanche un foglio di carta”. ANDREA CORDOVANI

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Il tedesco allunga sin dai primi giri, tanto da prendere quei 10” di vantaggio che servono per battere Hakkinen, portarsi a meno due dal finlandese campione del mondo in carica con la McLaren e iniziare la ricorsa alla vertice della classifica. Obbiettivo che centrerà a fine anno mettendo le mani sul suo terzo titolo iridato, il primo da quando corre alla Ferrari. L’inizio di una serie interminabile di trionfi. C’è il mondo sconvolto alla fine dell’estate del 2001. L’11 settembre due aerei hanno centrato le Torri Gemelle seminando morte e terrore. A Monza si corre con le Ferrari listate a lutto. Poi all’improvviso un’altra notizia piomba nel paddock al sabato pomeriggio: Alex Zanardi ha avuto un terribile incidente al Lausitzring, in una gara Kart. E niente ha più senso, tanto che tra i piloti (Michael Schumacher in testa) c’è la voglia di tornare a casa. La gioia solitaria di

Juan Pablo Montoya sul podio senza champagne per la sua prima vittoria in Formula 1, il volto abulico di Michael Schumacher che avrebbe voluto smettere di correre, sono le grandi icone del malessere che si abbatte sul Gp d’Italia 2001. La terza piazza va a Ralf Schumacher, che sale sul podio controvoglia. Anche lui era giustamente d’accordo col fratello Michael per non correre. Un appello rimasto inascoltato. Il 2002 è una stagione di grandi cambiamenti in Formula 1: entra ufficialmente Toyota, mentre Renault prende il posto della Benetton con la Prost Gp che, senza soldi non si iscrive al campionato. Tre i debuttanti Massa Michael Schumacher, precede Felipe Massa suo compagno di scuderia, durante le sessioni di qualifica per il Gran Premio del Brasile sul circuito di Interlagos, ultima gara in Ferrari, 21 ottobre 2006.

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■  Il nuovo secolo in Formula 1 regala uno strepitoso ciclo vincente della Ferrari. Iniziano i trionfi del Cavallino di Luca Cordero di Montezemolo, Jean Todt e soprattutto Michael Schumacher. Dal 2000 al 2004 le Rosse tornano a essere protagoniste e non lasciano che le briciole ai rivali. Il Gp d’Italia del 2000, in realtà, è una sfida triste. Una carambola alla variante della Roggia dopo il pronti via. Una ruota assassina che si stacca dalla Jordan di Frentzen, rimbalza oltre i guardrail e uccide un addetto del servizio antincendio. Colpito alla testa e al torace perde la vita a 32 anni Paolo Gislimberti, un leone della Cea. Lo spettacolo però deve andare avanti e la scena è tutta per Michael Schumacher. Il ferrarista, dopo aver ottenuto la pole, in gara è perfetto. Scatta al comando e non molla più la testa se non per i pochi giri tra la sua sosta per rifornire e quella del rivale Hakkinen.

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Cambia tutto L’ennesima rivoluzione dal regolamento precede la stagione 2003 nella quale la Fia introduce cambiamenti sia per quanto riguarda le qualifiche che per l’assegnazione dei punteggi. È un campionato incerto fino alla fine quello che si dipana da marzo a ottobre e che a Monza vive uno dei week end più spettacolari. Da tre mesi non si nutre con una vittoria Michael Schumacher, quando prende il via del Gp d’Italia 2003. Ha una gran fame di successo, il tedesco della Ferrari che in molti danno per spacciato nella corsa al titolo che lo vede opposto al determinatissimo Juan Pablo Montoya. Per tutto il week end il colombiano della Williams è una vera spina nel fianco ma Schumi gli soffia la pole e va a giocarsela. Da duro contro un altro duro: “Tra noi non sarebbe passato neanche un foglio di carta in quel momento”, dirà poi Schumi che resiste e va in fuga per la vittoria. “È stata la giornata più bella della mia carriera”, spiegherà commentando la sua cinquantesima vittoria da ferrarista. Agitata da un vero e proprio allarme gomme, la vigilia del GP d’Italia 2004 lancia un rumoroso frastuono. Nel corso dei test una settimana prima del via, Michael Schumacher è andato a sbattere, cambiando i connotati alla sua Ferrari. Il tedesco arriva a 32

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(Sauber), Sato (Jordan) e Webber (Minardi). Però la novità più grande è che ha smesso di correre Mika Hakkinen, il grande rivale di Schumi e al suo posto c’è la giovane promessa finlandese Kimi Raikkonen. Ci sono immagini che rimangono indelebili anche a distanza di tanti anni. Come l’ondata rossa, caldissima e appassionata, che quella domenica di settembre del 2002 tracima in pista in una Monza che si è rifatta il trucco per il Gp d’Italia. È una stagione trionfale per Maranello, questa. I giochi nella corsa al titolo Piloti e Costruttori si sono chiusi da tempo. E a Monza quella delle Ferrari è una vera passerella trionfale, un altro uno-due col quale il Cavallino ha ammazzato il campionato.

Qui sopra: Il colombiano Juan Pablo Montoya e la sua McLaren-Mercedes celebrano, davanti al team Renault, la vittoria del Gran Premio d’Italia di Formula 1 del 2005. In alto a destra: il 12 settembre 2004 Rubens Barrichello festeggia sul podio la vittoria del Gran Premio d’Italia di Formula 1 a Monza.


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1996 Michael Schumacher Ferrari 1997 David Coulthard McLaren-Mercedes 1998 Michael Schumacher Ferrari 1999 Heinz-Harald Fretzen Jordan 2000 Michael Schumacher Ferrari 2001 Juan Pablo Montoya Williams 2002 Rubens Barrichello Ferrari 2003 Michael Schumacher Ferrari 2004 Rubens Barrichello Ferrari 2005 Juan Pablo Montoya McLaren 2006 Michael Schumacher Ferrari

Monza con il settimo sigillo iridato in carriera già cucito nel petto, l’ultimo della sua grande parabola di campionissimo. Ancora una volta i giochi per il Mondiale sono fatti e con la Rossa il vero eroe stavolta è Rubens Barrichello, che batte il compagno di squadra. Per la seconda volta in carriera, il brasiliano si prende gli applausi del pubblico di Monza. Ci sono tanti volti felici sul podio del Gp d’Italia 2005. Gente allegra per varie ragioni. Dopo tre anni di dominio s’è appena spezzata la serie di vittorie della Ferrari a Monza e stavolta si brinda al nuovo che avanza. Con la sua faccia da colombiano irriverente Juan Pablo Montoya si gode la scena festeggiando la sua seconda vittoria a Monza. È scattato dalla pole e ha subito preso il comando, senza mollarlo più. Dietro di lui chiudono le Renault

di Fernando Alonso e Giancarlo Fisichella. È dopo anni di attesa ritorna a sventolare il tricolore sulla pista di Monza. Il 2006 è una pagina che non si può scordare, una bella favola che tiene in vita la speranza della Ferrari e di Michael Schumacher di vincere un altro titolo. Monza 2006 è l’ultima stagione ferrarista di Schumi e anche sua ultima firma al Gp d’Italia. Quel giorno farà piangere il presidente Luca Cordero di Montezemolo, costretto ad asciugarsi le lacrime con la sua camicia bianca. Dietro a Schumi terminano Raikkonen e il sorprendente Robert Kubica. È un’altra ondata rossa il colore di una speranza che svanirà qualche mese più tardi, quando nel rush finale Alonso avrà la meglio su Michael che a fine anno smetterà di correre. 31 Agosto 2018 ·

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2007 - 2017

La gente dentro il cuore.

PINO ALLIEVI ■  “Sa cosa le dico? Che Monza mai e poi mai potrà fare a meno della Formula 1. I piloti e le scuderie vanno e vengono, un circuito resta. Io ero affascinato quando vedevo le monoposto transitare sull’anello di alta velocità, ma è giusto che per una questione di sicurezza quel tratto di pista ora non ci sia più, anche se conservo ricordi memorabili. Non toccatemi Monza …”. Enzo Ferrari raccontava queste 34

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cose nel mese di dicembre del 1986 e s’infervorava perché amava davvero il circuito lombardo, lui che si sentiva un po’ milanese avendo legato la sua vita all’Alfa Romeo per un lungo periodo. Fu proprio a Monza che Ferrari rivelò a chi scrive l’idea di voler editare un quotidiano dell’automobile, spinto da Marcello Sabbatini che ai tempi dirigeva magistralmente Autosprint. E poiché era affezionato alla Gazzetta dello Sport, avendovi collaborato per la rubrica Calcio (sua una memorabile cronaca della partita

Modena-Inter), ci chiese anche di perorare la causa con l’editore, perché l’alleanza gli sarebbe piaciuta. A lui pensammo con nostalgia il 12 settembre 2012 quando Fernando Alonso salì sul podio planetario dell’Autodromo dopo aver trionfato nel Gp d’Italia con la Ferrari F10: Enzo Ferrari sarebbe impazzito di gioia nel vedere tutta quella gente che aveva invaso la pista sventolando le “sue” bandiere. Una scena da film: “Sì, proprio così – racconta oggi


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Succede a chi ha vissuto l’autodromo e a chi ci corre ancora. Dalle memorie di Enzo Ferrari (“non toccatemi Monza”) al tedesco Vettel alla passione dell’inglese Hamilton.

Fernando – forse la più bella dei miei anni a Maranello. Solo chi ha il privilegio di correre con la Ferrari sa che cosa significhi sentire la gente che ti entra dentro il cuore e dentro la vita. Non succede con nessun’altra squadra e sono felice di aver dedicato un pezzo della mia avventura sportiva alla Ferrari”. Per la cronaca, Alonso aveva fatto suo il Gp d’Italia anche nel 2007 con la McLaren, ma nessuno lo ricordava più. Ecco, la Ferrari e Monza, la Ferrari e i tifosi, la Ferrari e l’attesa – per l’an-

no dopo – del nuovo pilota, dell’eterno salvatore. Alonso giunse quinto con la Renault nel Gp d’Italia dell’anno prima, vinto da Barrichello con la Brawn Gp, già primo con la Ferrari nel 2002 e 2004. Ma poiché i tifosi avevano sgamato, leggendo i giornali, che a fine stagione Fernando avrebbe indossato una tuta rossa, si accalcarono a fargli sentire il loro affetto e le foto di Alonso che firmava in anticipo magliette della Ferrari furono il leit-motiv del gran premio 2009. Il fatto che avesse vinto un ex-ferra-

7 settembre 2014, il pilota inglese Lewis Hamilton sulla sua Mercedes al Gran Premio d'Italia. A fine gara arriverà primo.

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rista, Rubens Barrichello, lasciò tutti abbastanza indifferenti. Perché il tifo è cieco, crudele. Sei anni di Ferrari cancellati in un colpo, il brasiliano percepito come un nemico. Ne sa qualcosa, in fatto di amarezze, anche Michael Schumacher, che si ripresentò a Monza, dopo tre anni di stop, alla guida di una Mercedes nel 2010, piazzandosi al nono posto. Pensate che qualcuno gli abbia porto un fiore, un sorriso, un gesto di riconoscenza? Zero o quasi, undici anni di Ferrari negati come se avesse tradito la patria. Qualcuno osò persino fischiarlo, un sacrilegio. Ma la cosa più feroce fu la totale indifferenza. Monza, quando vuole, è spietata, senza cuore. Anche nel 2011, quando si piazzò quinto nella gara appannaggio di Vettel con la Toro Rosso, Schumacher fu trattato al pari di uno dei tanti comprimari della corsa.

Qui a fianco: Lewis Hamilton sulla Mercedes Campione del Mondo 2016. In alto a destra, Sebastian Vettel della Red Bull è portato dai meccanici nei box durante le prove libere del Gran Premio d'Italia del 2014.

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Alla fine, comunque, tutti i grandi campioni sono legati a Monza da un episodio, un trampolino di lancio. Ne sa qualcosa Sebastian Vettel che, quasi totalmente sconosciuto, uscì come un gigante da un’edizione dantesca del Gp d’Italia, alla guida di una Toro Rosso, con un diluvio che durò da sabato a domenica compresa. La speranza tedesca Bene, Vettel era un tedeschino di buone speranze ma fu Monza a decretarlo possibile campione per l’abilità che dimostrò sul bagnato: “Sebastian – disse il suo mentore Gerhard Berger – è un pilota di vent’anni che corre con la maturità di un trentenne e il cervello di un cinquantenne. Conquisterà sicuramente un mondiale”. Ne ha vinti quattro sinora e

spera nel quinto col Cavallino, chissà quando. Un portento. Fece bene la Ferrari a tenerlo d’occhio e a ingaggiarlo non appena si presentò l’occasione. I successi di Vettel a Monza con la Red Bull sono stati due e dopo il trionfo del 2013 fu chiaro che il suo futuro sarebbe stato, di nuovo, italiano. Con lo scudetto Ferrari sulla tuta. Da qui i festeggiamenti anticipati, gli auguri, l’incoraggiamento caloroso che ebbe. Anche Hamilton adora Monza e appena può ricorda che anni fa potè girare con una Mercedes d’epoca anche sul catino di alta velocità – ma senza forzare, solo per vedere e capire – insieme con Stirling Moss. Una immagine indelebile, un’emozione senza compromessi per un pilota che avrebbe trascinato gli entusiasmi in qualunque epoca si fosse cimentato.


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Per questo il pubblico di Monza lo ama e lo rispetta. Anche se non guida una macchina rossa. Gli ultimi due anni di Monza sono stati un monologo Mercedes. Le frecce d'argento hanno conquistato due doppiette, relegando le Ferrari sul gradino più basso del podio. Nel 2016 è stato Nico Rosberg a trionfare, dopo essere partito alle spalle del compagno di scuderia Lewis Hamilton. Per il tedesco, figlio d'arte, si è trattato della prima vittoria sul circuito italiano. Un successo che gli è valso quasi l'aggancio nel mondiale all'inglese. Hamilton non ha però lasciato scampo agli avversari nel 2017. Il pilota di Stevenage ha approfittato del sole, tornato a splendere sul circuito brianzolo dopo un sabato bagnato, per mettere in fila sia il compagno di squadra Valtteri Bottas che Sebastian Vettel. 2007 Fernando Alonso McLaren- Mercedes 2008 Sebastian Vettel Toro Rosso 2009 Rubens Barrichello Brawn GP F1 Team 2010 Fernando Alonso Ferrari 2011 Sebastian Vettel Red Bull 2012 Lewis Hamilton McLaren 2013 Sebastian Vettel Red Bull 2014 Lewis Hamilton Mercedes 2015 Lewis Hamilton Mercedes 2016 Nico Rosberg Mercedes 2017 Lewis Hamilton Mercedes 31 Agosto 2018 ·

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RITRATTI

Ancora un giro migliore, Gilles. FRANCESCO PATERNÒ

Perché Villeneuve è sempre il pilota che manca, quarant'anni dopo l’esordio. Correre per correre, niente calcoli, il mistero dell’incomprensibilità. ■  Ecco, se c’è uno che manca davvero quando si parla di Formula 1, il pensiero corre a lui. È di maggio che Gilles Villeneuve si schianta a Zolder 35 anni fa, è di luglio che esordisce a Silverstone 40 anni fa, è di ottobre nel 1977 che in Canada impugna per la prima volta il volante di una Ferrari, la macchina con cui volerà via per sempre dopo 67 gran premi disputati, 6 vittorie, 2 pole position, 8 giri più veloci in gara. Ecco, Gilles vola da quando a casa sua andava pericolosamente in motoslitta, vola aggrappato a qualsiasi cosa abbia un motore – auto, motoscafi, elicotteri – vola soprattut38

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to anche quando non deve o non ce ne è bisogno. “Ci ha lasciato per motivi incomprensibili”, come disse un addolorato Enzo Ferrari appena saputo che sul circuito di Zolder nel giro di prova – non in gara – la Rossa numero 27 di Gilles era salita a un certo punto sulla ruota di una March tentando il decollo verso il nulla. Ha 84 anni il Drake, è un colpo duro per chi ha perso già un figlio e quel 8 maggio ne perde un altro considerato tale, fin da quando nel 1977 lo chiama a Maranello per sostituire nientemeno che Niki Lauda. Con sorpresa, provocazione, veleno, sfida, tutti ingredienti desti-


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nati ad accrescere il dolore della perdita che verrà. Ecco, oggi su Gilles Villeneuve è facile imbattersi in un libro emozionato o in un sito dedicato, in un racconto di cose infinite e di gesti spesso incomprensibili come sosteneva Enzo Ferrari, in una scia di amori intensi a cominciare dalla moglie Joann e dai figli Jacques e Melanie, o in certe sue foto che ci guardano da un altrove. Se si può sintetizzare perché ci manca davvero (bella contraddizione per una sensazione senza confini), Gilles è sempre lì perché non parlava mai di sfortuna. Perché faceva ciò che la maggior parte di noi non riesce o non vuole fare: correre per correre, vivere per vivere, morire per morire. Un puro, nella sua incomprensibilità. Narrano le cronache di un pilota dotato di talento fuori dal comune, che non faceva calcoli e che semmai troppo spesso li sbagliava, che Villeneuve corresse sempre per il giro migliore, non per la vittoria finale. La sua grande bellezza. “Non penso alla morte, ma accetto che faccia parte del gioco”, virgolettiamo da uno dei tanti ricordi già scritti, uno spartito che ogni pilota interpreta e ci mancherebbe che Gilles, figlio di un musicista, un pianista girovago, non ne desse una versione – a suo modo e purtroppo – unica. Al pianoforte Gilles sapeva suonare il pianoforte, la tromba, il flauto, ma i suoi tempi erano altri. I tempi sul giro, ancora uno perché fosse sempre il migliore. A Zolder muore in quello di decelerazione, il tempo delle prove sta scadendo, se ne va su un calcolo per l’ultima volta sbagliato. A Monza - e chissà che sia stato il suo Tempio preferito ma nessuno sembra abbia colto l’attimo per capirlo - esordisce il 10 settembre del 1978, è secondo nelle prove, finisce settimo in gara. L’anno successivo, quinto in prova, secondo in gara a 0’’47 da Jody Scheckter, un soffio tra le due Ferrari. Nel 1981 è la sua ultima Monza, quinto in prova e ritiro in gara per rottura del motore. Poi si regala un biglietto di sola andata, vola via e non torna più. Ecco. 31 Agosto 2018 ·

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RITRATTI

Sebastian Vettel, un predestinato. Un tipo nato per correre, con la velocità e la competizione nel sangue. Da Heppenheim al tetto del mondo, battendo record su record. FRANCO NUGNES ■  Si aggirava nell’hospitality della Sauber Bmw come fosse lì per sbaglio. Era imberbe con la capigliatura bionda da paggetto che incorniciava gli occhi azzurri e uno sguardo molto curioso, intelligente. Anche se aveva il pass al collo, poteva essere tutt’al più un tifoso di Robert Kubica o Nick Heidfeld, i due piloti titolari. Era un adolescente al quale era difficile dare un’età. In mano aveva un foglio: erano i tempi della seconda sessione di prove libere del GP d’Italia 2006. In cima alla lista c’era il nome di quel ragazzo dalla faccia da bambino: Sebastian Vettel. Un 19enne, tedesco di Heppenheim, di cui si diceva un gran bene. Al debutto in auto due anni prima, già sponsorizzato Red Bull, aveva vinto 18 delle 20 gare della Formula Bmw Adac e nelle altre era salito sul podio. E anche quel giorno era stato il più veloce in tutti e due i turni del venerdì, replicando quanto aveva già fatto vedere in Turchia, dove aveva guidato la Bmw Sauber F1.06 per la prima volta. Meticolosamente analizzava gli intertempi e quello che poteva essere il suo giro ideale: “Avrei potuto fare meglio!”. Un predestinato? Certamente, ma bisogna essere al posto giusto nel momento giusto: in 40

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quell’anno la FIA aveva concesso alle squadre che non erano dei top team di schierare una terza macchina nelle libere del venerdì, a patto che nell’abitacolo ci mettessero dei giovani talenti da svezzare. E meno di un anno dopo è arrivata la chiamata improvvisa: dopo il terribile capottamento di Robert Kubica in Canada, il polacco per precauzione dei medici non può correre e Sebastian disputa il Gp degli USA a Indianapolis. Al pianoforte Finisce ottavo: a 19 anni, 11 mesi e 14 giorni diventa il più giovane pilota a punti. Ha sempre detto che i record non lo interessano, eppure li insegue. Perché ci sono i piloti, ci sono i campioni e, raramente, si affacciano al mondo dei Gp i fuoriclasse, quelli che innalzano lo sport in un’altra dimensione. E Monza diventa il teatro di un’altra impresa. Vettel viene chiamato dalla Red Bull a sostituire Scott Speed sulla Toro Rosso. Le qualifiche del Gp d’Italia 2009 si disputano sotto al diluvio e il tedesco che è un mago della guida sul bagnato - conquista una pole insperata con la STR3 spinta dal motore Ferrari. La partenza al palo viene festeggiata come una vittoria, perché nessu-

no crede a un possibile successo del team di Faenza. Piove anche la domenica e dopo un via in safety car, Sebastian prende le redini della corsa, costruita su due pit stop. Una tattica che sarebbe suicida con l’asciutto, ma funziona con il bagnato perché Sebastian parte con una monoposto più leggera e può guadagnare un buon vantaggio per tenere a distanza Heikki Kovalainen con la McLaren. È il trionfo: ha guidato la Toro Rosso come un veterano. Diventa il più giovane vincitore di un Gp e per la prima volta un motore Ferrari vince una gara su una monoposto clienti. È il trampolino di lancio verso la Red Bull Racing e quattro titoli mondiali con il team di Milton Keynes. Con le monoposto disegnate da Adrian Newey ha dominato il campo: i suoi detrattori lo hanno accusato di guidare la migliore Formula 1 in circolazione, ma il tedesco ha avuto la capacità di far sembrare semplici imprese memorabili che gli hanno fruttato 38 vittorie. La dedizione mono-maniacale per le corse, insieme ad una sensibilità di guida che si estremizza nella capacità di saper sfruttare la frenata al limite, lo hanno portato alla Ferrari, dove conta di scrivere un nuovo capitolo di una storia. Che, magari, avrà ancora Monza nel suo epicentro.


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IO C’ERO

La mia Monza. I. CAPELLI, A. DE ADAMICH, G. C. MINARDI, F. WILLIAMS

Cose mai viste in nessuna parte al mondo. Piloti e squadre che qui hanno corso e vinto tra staccate, accelerazioni e tanta adrenalina. La nostalgia e la passione che non passa.

Ivan Capelli. Il destino gioca con me fin dal mio luogo di nascita: Milano, Viale Monza 117. Imparato il mio indirizzo a memoria, la parola Monza, senza rendermene conto, cominciava a segnare il mio percorso sin da bambino. A Monza ho visto per la prima volta le vetture di Formula 1, arrampicato sulla rete del campeggio adiacente la pista. Ho debuttato sulla pista Junior nel mio primo test al volante di una Formula 3 nel 1981. In Formula 3 nel 1983 ho alzato la coppa da vincitore e macinato chilometri in tutte le categorie possibili. Nel 1985 con la Formula 1 AGS ho debuttato da pilota della massima categoria per monoposto, e scoperto negli anni cosa voleva dire arrivare all'Autodromo Nazionale di Monza, come portacolori della scuola italiana in Formula 1. Nel 1988 con la Leyton House e un motore aspirato contro i propulsori turbo delle altre, sono arrivato quinto conquistando 42

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dei punti preziosi per il Campionato del Mondo Piloti. Il culmine dell'emozione è stato però presentarsi a Monza come pilota Ferrari. Era il 1992 quando i 12 cilindri aspirati rombavano lungo i lunghi rettilinei nel grigio dell'asfalto divorato dalla velocità, l'orizzonte del cielo azzurro veniva bordato dal verde del parco e del rosso delle bandiere del cavallino rampante che si agitavano sulle tribune a ogni passaggio. Un gioco cromatico mai vissuto in nessuna altra pista al mondo. Il rammarico di quegli anni è non essere mai salito sul nuovo podio a sbalzo sui tifosi e poter condividere la gioia più bella: la vittoria. Il destino poi mi ha voluto regalare l'onore di poter vivere e raccontare, attraverso le telecronache della Rai, le più belle pagine di Monza dei nostri giorni. Accanto al lavoro in tv, da luglio 2014 sono stato eletto Presidente dell'Automobile Club di Milano,


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che ha nell'Autodromo Nazionale di Monza il fiore all'occhiello. Ho cominciato e capire la “macchina” organizzativa di SIAS (Società Incremento Automobilismo Sport) che gestisce l'Autodromo. I miei occhi oggi non vedono solo l'agonismo della pista o la fatica di chi lavora ai box: oggi comprendo le difficoltà dei costi e ricavi di ogni evento che pone problemi in alcuni casi quasi insormontabili. Il rinnovo del Gran Premio d'Italia a Monza ne è l'esempio più calzante. Due anni di preparazione con AC Italia ed il Presidente Angelo Sticchi Damiani, insieme a Comune di Monza, quello di Milano e la Regione Lombardia, con l'apporto determinante del Presidente Roberto Maroni, per arrivare alla firma del contratto di Formula 1. Tutto questo, continuando a lavorare con il Consiglio Direttivo di AC Milano ed il Consiglio di Amministrazione di SIAS, per poter gestire e coordinare l’organizzazione del Gp d'Italia 2016, dove la molteplicità delle aree, come ad esempio la viabilità esterna, la gestione della sicurezza, i rapporti con la FOM (Formula One Management), sono solo una piccola parte della complessità. Perché oggi Monza significa soddisfare le aspettative di 140.000 appassionati, 350 giornalisti e 150 fotografi e devo dare un forte riconoscimento allo staff di AC Milano e di SIAS, che da anni affrontano l’evento riuscendo a migliorare sempre. Monza però non è solo Formula 1, ma anche Rally, Coppa InterEuropa, Campionato GT Blancpain e tante altre manifestazioni non strettamente legate al mondo dei motori ma ugualmente importanti. In tanti mi chiedono se ho nostalgia di quando ero pilota: sarei bugiardo a dire di no, soprattutto perché guidare una monoposto è adrenalina pura. Oggi lo è pensare che “guidando” AC Milano ed indirettamente SIAS, ci sono 80 famiglie che dipendono dalle decisioni prese ed è per questo motivo che non ci si può permettere di andare fuori pista, tanto quanto dovevo fare quando ero al volante di una Formula 1.

Andrea de Adamich. Ho scoperto le corse … attraverso le autosciatorie studentesche prima, e poi con le gare in salita che, di nascosto dalla famiglia, mi hanno proiettato verso il concetto della velocità. Sono un autodidatta, e sono appunto io che mi sono autogasato con le sensazioni adrenaliniche ed emozionali che dà il guidare al limite in un percorso stradale chiuso al traffico, tagliando le curve e cercando dei limiti al volante che mai prima avevo vissuto. In questo contesto Monza è divenuta il mio punto di riferimento per capire meglio il significato di traiettoria, di frenata, di percorrenza, di accelerazione in uscita verso il rettilineo, sia quella lunga stradale, sia quella corta Junior in cui la ripetitività del tracciato relativamente di 2 chilometri circa ti permetteva di verificare la tua continuità di prestazione. Inutile essere super veloci un giro se poi in tutti gli altri eri lento, pericoloso e disordinato al volante. Saltando le fasi intermedie, la mia velocità con la Formula Junior (1963Lola usata) mi ha proiettato verso la squadra ufficiale Alfa Romeo che in quegli anni ’60 rientrava nel mondo delle corse ufficiali attraverso il Turismo ed il Gt; eccomi “sposato” con la pista di Monza di allora, in tutte le sue configurazioni: stradale, Junior e Sopraelevata che integrata con la stradale rappresentava un percorso di 10 chilometri. E niente chicane e rallentamenti ma pelo sullo stomaco per affrontare il Curvone, l’Ascari, la prima e seconda di Lesmo. Per un pilota ogni gara, ogni vittoria rappresenta un valore a se stante, legato al momento della propria car-

riera, dei propri obiettivi ed aspettative, della macchina che si guidava. Vorrei evidenziarne tre mie in particolare : innanzi tutto la 4 ore Jolly Club 1965 - Campionato Europeo Turismo (il Mondiale non esisteva), primo assoluto con la Giulia TI Super Quadrifoglio dopo un strenua battaglia con le Lotus Cortina e BMW 2002 TISA ufficiali, che dominavano allora in tutte le altre piste. Le paraboliche dell’alta velocità che per la prima volta affrontavo cercando di far scorrere la mia Giulia il più fluidamente possibile, così che non vi erano forze laterali o di schiacciamento sul banking che le potevano far perdere giri motore e velocità. Dopo 12 mesi eccomi lì, 1966 e una spettacolare e super competitiva Giulia GTA. La dominatrice del Campionato Europeo Turismo da me poi vinto in assoluto; il problema a Monza quella volta, sempre sui 10 chilometri dello stradale integrato all’alta velocità, erano tutte le altre GTA presenti di piloti e scuderie italiane e tutte quelle straniere in assoluto, aiutate inoltre dall’immenso effetto scia che in quegli anni rappresentava l’elemento più significativo di Monza, Formula 1 inclusa. Guadagnavi qualcosa al curvone, o magari alla seconda di Lesmo sul branco di GTA dietro di te (da otto a dieci, almeno nei primi giri), ed eri


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L'incidente tra Luca Badoer della Minardi (a sinistra) e Toranosuke Takagi della Arrows, Gp di Monza il 12 settembre 1999.

Gian Carlo Minardi. L’Autodromo di Monza, universalmente conosciuto come il Tempio della Velocità, compie 79 anni. Nel 2015 il Gran Premio è giunto alla sua 86ª edizione, 78 delle quali si sono svolte all'Autodromo Nazionale Monza. Di queste, 21 edizioni, dal 1985 al 2005, ho avuto il piacere di partecipare come attore con la mia squadra, il Minardi F1 Team. Ventuno anni vissuti intensamente e Monza era per la nostra squadra l’occasione per fare vivere da vicino a sponsor e amici, il lavoro svolto durante la stagione. In modo particolare, fino alla fine degli anni 90 nel mese di agosto si svolgevano dei test collettivi in preparazione del Gp che storicamente si tiene nelle prime due settimane di settembre e le tribune e box di Monza venivano presi d’assalto da tifosi e amici. Anche grazie ai controlli meno severi da parte della FOA rispetto a oggi, riuscivano vivere da vicino le sensazioni che una Formula 1 può dare. In questo circuito si raggiungono le massime velocità del mondiale, circa 370 km l’ora alla staccata della prima variante, per ben 75% del giro il motore viaggia, come si dice in gergo, a farfalla aperta, mettendo a dura prova i propulsori di tutte le vetture, anche perché la media sul giro va oltre i 260 km l’ora. Monza, nonostante le modifiche apportate per la sicurezza, rimane il vero Gran Premio, uno di quelli che hanno fatto la storia della Formula 1 e con le sue curve veloci, come la Parabolica, le due curve di Lesmo, i lunghi rettilinei seguiti da chicane lente, una delle sfide più impegnative per piloti e team. Con il Minardi Team abbiamo ot-

tenuto diversi piazzamenti nei primi dieci, pur se in tutta la nostra storia non abbiamo mai usufruito di motori ufficiali e allora andassero a punti solo i primi sei. Abbiamo fatto gare emozionanti e al cardiopalma, come per esempio l’arrivo in volata nel 1993 con il settimo (Martini) e ottavo posto (Fittipaldi). Con Fittipaldi che, toccatosi con Martini a pochi metri dal traguardo risucchiato dalla scia, lo tagliava piroettando in aria e atterrando per fortuna senza conseguenze alcuni metri dopo sulle quattro ruote. Nel 2006 la Minardi Team diventa Toro Rosso e nel 2008 Sebastian Vettel - con l’ancora piccolo team di Faenza - centra una vittoria storica, emozionante, che ho seguito davanti alla televisione e vedendo esultare tanti miei ex tecnici e meccanici, mi sono sentito anch’io partecipe di quel risultato.

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D. Amaduzzi.

primo, ma dopo qualche chilometro ti passavano in cinque a destra e sinistra e ti ritrovavi appunto sesto o settimo; e così ad ogni giro. Vorrei chiudere i miei ricordi di gare monzesi con la 1.000 km dello stesso anno di questa 4 ore Turismo. In quel 1966 poi l’Alfa voleva rientrare nel giro delle gare del Mondiale Marche Sport-Prototipi con una evoluzione della oramai superata TZ 1: la TZ 2 bella, filante e competitiva nella classe GT del mondiale 1.6-2.0. Debutto in una gara che dava anche dei bei riflettori per un giovane rampante. Velocissimo in prova: 7° tempo assoluto con la pista umida, dietro a Ferrari e Porsche ufficiali ben più potenti di noi, ma davanti ad altrettante vetture dello stesso calibro. Settimo posto assoluto anche alla fine della gara: era una prova mondiale a Monza ed ero andato più forte di tante altre vetture e piloti che sino all’anno prima leggevo sui giornali con ammirazione e invidia. Monza è stato tutto ciò per me ma altresì molto di più: quindi “grazie Monza io ti ricordo e tu ricordati di me”.

Frank Williams. “Per me c’è tantissima passione durante il week end. Ciò è essenziale per la Ferrari perché è il circuito di casa”. Questo afferma Frank Williams quando gli si domanda cosa significa Monza nella sua personale esperienza. E se gli si chiede di suoi ricordi felici sul circuito brianzolo risponde: “Una delle tante nostre vittorie”, non dando a nessuna un valore maggiore rispetto a un'altra. Così anche quando gli si chiede dei figli: “Sono le persone più importanti, ma in egual misura.” Sir Frank Williams è l’emblema dell’equilibrio e proprio questo forse gli ha permesso di vincere un destino che gli ha riservato anche prove non facili da superare. 31 Agosto 2018 ·

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