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Supplemento settimanale a l’Automobile.
INNOVAZIONE I MOTORI I LIFESTYLE
Settimanale digitale • Anno 2 • Numero 30 • 2/3/2018
L’auto che parla al telefono. PAOLO BORGOGNONE ■ “Gli uomini sono diventati gli strumenti dei loro stessi strumenti”: parole di Henry David Thoreau, filosofo e poeta americano del 19esimo secolo. E fra tutti gli strumenti che influenzano la vita quotidiana dell’umanità degli anni 2000, l’automobile e il telefono sono di certo fra i più importanti. Una volta due realtà separate, oggi in una connessione sempre più stretta. Tanto che, al World Mobile Congress di Barcellona, fiera di novità in tema di telefonia e telecomunicazioni, la quattro ruote è stata tra i protagonisti dell’evento.
L’automobile di oggi – e ancora più quella di domani – è smart, si governa e si prenota via app, sarà connessa alla velocità supersonica del 5G, viene perfino guidata dal sistema operativo di un cellulare. E dovrà guardarsi dai pirati informatici che potrebbero cercare di rubarle i dati o di impadronirsene. Il tutto in un connubio sempre più stretto tra tecnologie destinate a intercettare i nostri bisogni e a influire sulla realtà di ogni giorno. Per ultima una raccomandazione, sempre valida: è vero che non possiamo fare a meno del telefono e neanche dell’auto ma, quando guidate, giù le mani dallo smartphone. · 27 Marzo 2017
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INNOVAZIONE
#MWC18, auto tra app e start-up. ALESSANDRO MARCHETTI TRICAMO
■ BARCELLONA – Il Mobile World Congress di Barcellona (MWC) è l’appuntamento da non perdere per sapere tutto su smartphone, app e reti digitali. Quattro giorni (26 febbraio – 1 marzo) dove il mondo che gira attorno alla connettività si ritrova alla Fiera della città spagnola. Meno smartphone venduti L’edizione 2018 parte sulla scia di un numero a sorpresa: nell’ultimo trimestre del 2017, secondo gli analisti di Gartner, per la prima volta dal 2004 le vendite degli smartphone nel mondo sono calate e si sono fermate a “sole” 408 milioni, il 5,6% in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Non è un dato trascurabile perché sono oltre 24 milioni gli smartphone venduti in meno. Segno che per stare in piedi, il business dei costruttori di cellulari deve iniziare a trovare anche altre strade. La connessione 5G D’altronde nel 2025, secondo i dati presentati a Barcellona da Gsma, saranno 25 miliardi gli oggetti connessi con la nuova rete 5G. Tra questi molti saranno auto. Non è un caso – come raccontiamo nel numero de l’Automobile in edicola sabato 3 marzo – che alcuni dei giganti del “mobile” presenti qui a Barcellona siano pronti a prendere il potere a bordo di un’auto. Alcuni direttamente il volante, parliamo di Google e Apple. Tutti gli altri, da Samsung a Huawei, si “accontenteranno” dei dispositivi di connessione.
L’auto come una piattaforma L’industria automobilistica non resta però a guardare, sapendo bene che aprire le portiere al mondo digitale, significa consegnare ad altri le chiavi del futuro della mobilità. Ma anche perdere quell’enorme business che si nasconde dietro i big data raccolti a bordo delle auto. Per questo il presidio al MWC delle Case auto è costante. Nell’edizione 2018 è il caso di Bmw, Ford, Mercedes e Seat. Da un lato si cerca di trasformare sempre di più le vetture in piattaforme pronte ad accogliere, come uno smartphone, l’ultima app. Ford ad esempio ha annunciato l’arrivo del sistema di navigazione di Waze, Seat (che Waze la ha già) l’ingresso a bordo di Shazam. Alla ricerca di start-up L’altra strategia è andare a caccia di start-up: sempre Seat ha creato una vera e propria azienda chiamata Xmoba con l’obiettivo di individuare le piccole realtà digitali con potenzialità nel mondo della mobilità. Due gli esempi: Justmoove app per pagare parcheggio, autostrada, rifornimento e molto altro e Respiro dedicata al car sharing. L’attenzione è principalmente all’Israele ormai pronta a sorpassare, per dinamismo e attività, la più blasonata Silicon Valley. In Israele ha puntato anche Mercedes che qui a Barcellona ha presentato l’acquisizione di Anagog: la start-up di Tel Aviv, oltre a software per la protezione dei dati, ha sviluppato un sistema in grado di analizzare tramite dei sensori, il comportamento delle persone davanti a uno smartphone, esperienza utile a migliorare l’interfaccia di consolle e strumentazioni del futuro. 2 Marzo 2018 ·
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INNOVAZIONE
INNOVAZIONE
La Bmw si chiama col telefono.
Vodafone: self drive confusion.
PAOLO ODINZOV
STEFANO ANTONETTI
■ Bmw accelera sulla digitalizzazione delle sue auto e anticipa al Mobile World Congress di Barcellona diverse soluzioni per implementare la connettività tra conducente e veicolo.
■ BARCELLONA – Il ceo di Vodafone Vittorio Colao, durante il suo intervento al Mobile World Congress di Barcellona, ha parlato di veicoli a guida autonoma: “È una grande opportunità, in particolare con l’arrivo della nuova rete 5G. Oggi però c’è molta confusione sull’argomento. L’ideale sarebbe definire delle priorità. A cominciare da chi paga per lo sviluppo delle reti di comunicazione tra veicoli e la stessa tecnologia. Le aziende digitali o l’industria automobilistica? Così come c’è da scegliere da dove partire: dalla città oppure dai centri extraurbani? Sarà più adottare la tecnologia prima sulle auto o su bus e tir che viaggiano su percorsi prefissati? Senza al definizione delle priorità, la guida autonomia resterà un’utopia”.
Una i3 che fa tutto da sola Tra i vari demo che l’azienda di Monaco espone al MWC2018 c’è una versione della elettrica i3 a guida autonoma di livello 5, ovvero capace di gestire interamente da sola la marcia senza richiedere l’intervento umano con possibilità di chiamare tramite telefonino per farsi venire a prendere direttamente sotto il portone di casa. Una volta seduti sui sedili posteriori è possibile sfruttare a bordo tutta una serie di servizi di intrattenimento mentre la vettura viaggia senza pilota verso la destinazione impostata. La chiave digitale condivisa Sempre via telefonino è, inoltre, possibile controllare a distanza sulla Bmw i3 sperimentale diverse funzioni: ad esempio attivare i fari o le quattro frecce, oppure suonare il clacson, sbloccare le portiere e avviare il motore. Funzione quest’ultima che, a partire da luglio di quest’anno, sarà disponibile su molti modelli di serie della Bmw, offrendo anche la possibilità di condividere la chiave digitale con altri cinque utenti impiegando inizialmente come supporto tablet e smartphone Samsung. Due Sim a bordo Bmw ha poi annunciato alla rassegna tecnologica spagnola che le sue vetture saranno presto dotate di una seconda Sim integrata. Si chiamerà eSim e consentirà di incorporare il veicolo nel contratto esistente di telefonia mobile dell’utente, utilizzando anche diversi fornitori di rete. 4
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INNOVAZIONE
Una app per passare all’elettrico. REDAZIONE ■ Si chiama Anagog. È una start-up israeliana con base a
Telaviv. Fondata nel 2010 ha ottenuto, come annunciato in queste ore al Mobile World Congress di Barcellona, un investimento da parte dei tedeschi del gruppo Daimler. Per intenderci Mercedes. Non è stato dichiarato il valore economico dell’accordo ma il software EQ Ready creato da Anagog, servirà ai clienti del marchio tedesco (e non) per capire se, in base alla loro percorrenza e stile di guida, si è pronti a passare a un’auto ibrida o elettrica. Big data al servizio dell’ambiente. Non è un caso che EQ sia il marchio di Daimler dedicato alle vetture elettrificate. Anagog fornirà anche le informazioni raccolte studiando, attraverso un intelligenza artificiale e dei sensori, il comportamento delle persone davanti a uno smartphone: dati utili per rendere sempre più semplice l’interfaccia auto – guidatore. Display e strumentazioni più intuitive e facili da usare. Il futuro è in arrivo.
INNOVAZIONE
Seat, prima con Shazam. GIANLUCA PEZZI ■ BARCELLONA – Al Mobile World Congress 2018 di Barcellona, Luca de Meo, presidente e ceo di Seat, ha annunciato che la Casa spagnola è il primo marchio automobilistico al mondo ad integrare Shazam nelle proprie vetture. La piccola grande applicazione per iOs e Android ha poco a che fare con l’industria su quattro ruote: riconosce titolo ed autore di brani musicali in pochi secondi semplicemente “ascoltandoli”.
rendere più sicuro il viaggio, integrandola su Seat DriveApp per Android Auto. Una piattaforma che conta già altri “big” come Spotify, Waze ed Amazon Alexa: meno distrazioni, più divertimento, più sicurezza. Proprio il tema della sicurezza è ripreso ed amplificato nella Seat Leon Cristobal: un veicolo sperimentale che deve il proprio nome a San Cristoforo, patrono degli automobilisti. Il suo scopo è la ricerca continua, puntando a raggiungere il traguardo di zero incidenti stradali. Il futuro è rappresentato ad esempio dal riconoscimento facciale, che può essere utilizzato per valutare se il guidatore è in grado o meno di affrontare la strada, ma può anche arrestare in sicurezza la vettura in caso di problemi medici improvvisi. Sicurezza anche dal punto di vista informatico, perché de Meo in persona vuole essere certo che non ci debbano mai essere problemi. Il tema è considerato come parametro per valutare la qualità dell’automobile, al pari di tutte le altre caratteristiche più classiche. Barcellona hub 5G Se l’hardware può essere comune, è il software a fare la differenza. Avere base come Seat, a Barcellona, può rappresentare un vantaggio competitivo: la città catalana è tredicesima al mondo per innovazioni tecnologiche, tanto da voler diventare uno dei primi hub europei per la rete 5G, standard decisivo per lo sviluppo dell’auto connessa. A Barcellona il team Seat ha cambiato il proprio modo di lavorare, passando da progetti in sequenza ad uno sviluppo corale tra designer e tecnici. Non è un segreto: de Meo durante la conferenza stampa ha riconosciuto di essere presente al MWC per proporre le proprie novità ma anche per apprendere dalle altre aziende del settore. Nuova società per start-up La chiave di volta si chiama XMOBA, una nuova società che ha come obiettivo identificare, investire, testare e commercializzare progetti che migliorano la mobilità. I primi programmi riguardano Respiro, car sharing madrileno con piani di espansione in altre città, e JustMoove, piattaforma di prenotazione e pagamento parcheggi, pedaggi e rifornimenti. Da notare come entrambe siano dedicate a tutti, e non solo ai clienti Seat. Traguardi che vengono raggiunti grazie anche all’assunzione di tanti giovani talenti. È emblematica allora la citazione di Steve Jobs, letta da de Meo: “Non ha senso assumere persone intelligenti e poi dirgli cosa fare, assumiamo persone intelligenti in modo che possano dirci cosa fare”. Una dichiarazione di intenti che punta a far recitare Seat un ruolo chiave all’interno del gruppo Volkswagen, per tutto ciò che è tecnologia e pubblico giovane.
Shazam da record Numeri da capogiro: le ultime rilevazioni contavano più di un miliardo di download e più di 120 milioni di utenti. Un successo tale da “costringere” Apple ad acquisirla nello scorso dicembre. Pare che il 70% degli utenti utilizzino Shazam in movimento, facile pensare che accada in automobile piuttosto che su un mezzo pubblico. Ecco allora l’idea di 2 Marzo 2018 ·
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5G, l’auto ingrana la quinta. PATRIZIA LICATA
■ È in corso a Barcellona il Mobile World Congress, il tradizionale appuntamento dell’industria della telefonia mobile, e il protagonista atteso è il 5G, il prossimo standard per le comunicazioni wireless che non riguarda solo smartphone e tablet ma tutti gli oggetti connessi, dai bracciali per il fitness ai robot in fabbrica, e che aspettano il 5G per scambiare dati in modo più affidabile e veloce. Anche l’automobile vuole ingranare la quinta perché la prossima generazione delle comunicazioni mobili può davvero mettere il turbo all’auto connessa (ora) e a quella autonoma (nel futuro, non troppo lontano). Quanto corre il 5G Il 5G è il nuovo protocollo per le comunicazioni mobili, evoluzione degli attuali 3G e 4G. Non esiste ancora: è in fase di test (anche in Italia, in cinque città, che in questo ha un primato all’interno del Piano europeo sul 5G) e dovrebbe essere disponibile dal 2020. Qualche numero: il 4G ha una velocità teorica di download che arriva a 1 Gigabit al secondo, mentre il 5G è programmato per arrivare a 10 Gigabit (equivale a scaricare un film da Internet in una manciata di secondi). Non solo: con il 5G il ritardo nella comunicazione da un dispositivo all’altro non supera il millisecondo e la percezione dell’utente è di una copertura totale con disponibilità totale del segnale. In breve, il 5G ha una capacità potenziata (accoglie più dati alla volta, abbattendo il rischio di congestione della rete) e promette di scongiurare ogni calo di segnale, garantendo un livello di sicurezza nelle comunicazioni dei veicoli che non ha precedenti. Una centralina nella smart city La connected car oggi riceve e invia dati per offrire funzio6
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nalità come navigazione, notiziari, musica, diagnostica automatizzata, avvisi sulla manutenzione, chiamata di emergenza (eCall) e applicazioni di ogni genere, come quelle che usiamo sul cellulare. Man mano che l’auto connessa diventerà più sofisticata e si arricchirà di funzioni lo scambio di dati su reti mobili sarà più fitto: nel futuro possiamo immaginare veicoli che comunicano costantemente tra loro e con l’infrastruttura per avere informazioni (traffico, strade chiuse, condizioni dell’asfalto, eccetera) in tempo reale e per dare alle amministrazioni pubbliche dati utili per intervenire sul territorio (modificare i tempi dei semafori, inviare vigili per gestire gli ingorghi, e così via). C’è di più: una volta installati i sensori sulle auto e nelle infrastrutture, lo scambio di dati continua anche a motori spenti e l’auto si può trasformare in una centralina che invia dati sulla disponibilità di parcheggi nelle vicinanze, sul livello di inquinamento dell’aria e altro ancora. L’auto alla fiera dello smartphone L’automobile entra così nella Internet of Things, in cui ogni oggetto può essere collegato. Su rete mobile, ovvio, e il 5G ha il compito di gestire in modo efficiente questo flusso enorme di dati e di spianare la strada all’auto a guida autonoma, che solo tramite i dati dei sensori può “vedere” l’ambiente circostante e che non può essere affidabile e sicura se il segnale mobile cade o se lo scambio di dati è lento, perché le decisioni devono essere immediate. Software, intelligenza artificiale, sensori, tecnologia mobile: sono così fondamentali per l’auto di oggi e del futuro che i confini tra industrie si sono definitivamente spezzati tant’è che al Mobile World Congress di Barcellona partecipano ormai a pieno titolo anche i costruttori d’auto.
INNOVAZIONE
Usa, più auto connesse che smartphone. GLORIA SMITH ■ È un traguardo storico per l’industria della connettività mobile: l’anno scorso – per la prima volta – gli operatori telefonici degli Stati Uniti hanno acquisito più clienti nel segmento connected cars che in quello della telefonia – in pratica ci sono state più nuove macchine connesse che persone che hanno attivato una sim sullo smartphone. A rivelarlo è la società di ricerche Chetan Sharma Consulting nel suo ultimo report sul mercato mobile americano. Record di oggetti connessi Gli analisti non hanno fornito cifre su quanti nuovi veicoli connessi rispetto ai nuovi abbonati smartphone ci siano
stati nel 2017, ma hanno calcolato che l’anno scorso negli Stati Uniti gli oggetti connessi (IoT) che non sono telefoni hanno raggiunto la cifra record di 100 milioni. Verizon è l’operatore telefonico che domina il settore (per connessioni e guadagni), ma At&t cresce di più: ogni anno per circa quattro ha acquisito almeno 1 milione di “nuovi clienti” nella forma di connected cars, per cui a fine 2017 ne conta, secondo Chetan Sharma Consulting, come minimo 4 milioni. In Italia, secondo l’ultimo Osservatorio Internet of Things (IoT) del Politecnico di Milano, l’anno scorso circolavano 7,5 milioni di veicoli connessi, circa un quinto del parco auto. Business miliardario La presenza delle aziende telefoniche sul mercato della connettività auto vuol dire non solo garantire la comunicazione mobile dei veicoli ma raccogliere ed elaborare i dati per le imprese che offrono servizi di telematica, assicurazioni smart, inserzioni e così via. I dati della connected car e del suo utente (in forma anonima) permettono infatti di programmare la manutenzione in base all’utilizzo della macchina, di mettere a punto polizze su misura o di mostrare sul display pubblicità di negozi o ristoranti lungo il tragitto usuale del conducente. Quanto valgono questi dati? Accorpando IoT e telematica, 1 miliardo di dollari di fatturato a fine 2018 per la numero uno Verizon. Questa volta Chetan Sharma Consulting quantifica.
BUSINESS
sentirebbe a proprio agio a condividere la strada con i tir driverless. È questo la sintesi di una ricerca della Northeastern University di Boston e della società di ricerche di mercato Gallup condotta a fine 2017, su un campione di oltre 3.200 persone. L’età conta L'età degli intervistati influisce sulle risposte. La percentuale di chi dice sì al robot alla guida e dichiara che non avrebbe problemi a salire su una driverless varia dal 36% nella fascia di età tra i 18 e i 35 anni al 29% tra i 36 e i 50, quindi al 19% tra i 51 e i 65, per attestarsi al 12% tra gli over 66. Per quanto attiene alle differenze di genere, a non essere propenso a cedere il volante al robot è il 58% delle donne e il 50% degli uomini. Poca fiducia Particolarmente interessante la reazione degli intervistati alla domanda se si sentirebbe a proprio agio a guidare sulle stesse strade dei camion condotti dall’intelligenza artificiale. Qui la percentuale dei contrari sale al 62%, contro il 20% che afferma di non avere problemi in proposito e il 18% che non esprime una opinione. Anche in questo caso col procedere dell’età calano le percentuali, con i giovani tra i 18 e i 35 anni più aperti (30% dicono si) e gli anziani over 66 decisamente contrari (solo il 12% non avrebbe problemi). Molto forte la quota delle donne non convinte dalla tecnologia autonoma sui tir (68%), leggermente più possibilisti gli uomini (54%).
BUSINESS
Autonome, gli americani non si fidano.
Audi, pedaggio senza pensieri.
REDAZIONE
REDAZIONE
■ Il 54% degli americani non salirebbe volentieri su un’auto robot. Il 25% si dice invece entusiasta dell’idea, mentre il 21% è ancora indeciso. Inoltre il 62% degli automobilisti Usa non si
■ Pagare il pedaggio autostradale grazie a un sistema integrato nell’auto – precisamente nello specchietto retrovisore – senza altri oggetti da attaccare al vetro e che si rischia di 2 Marzo 2018 ·
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maticamente a benzina. L’autonomia complessiva supera i 1.000 chilometri e nonostante la presenza delle bombole, rispetto al modello precedente, la sesta generazione di Polo offre un bagagliaio più spazioso (251 litri). Nell’offerta di serie che accomuna tutti e tre i modelli Volkswagen è presente l’allestimento Trendline con Tech&Sound Pack, Front Assist (frenata di emergenza), Fatigue Detection (rilevatore di stanchezza), fari a led, sistema infotaiment App-Connect (Apple CarPlay e Android Auto incluso) con display da 8 pollici, cruise control, volante in pelle, e bracciolo centrale anteriore.
dimenticare o smarrire. È quello che succederà dalla fine del 2018 quando su alcuni dei modelli Audi, inizialmente negli Stati Uniti, verrà montato un nuovo device, chiamato Integrated Toll Module (Itm). Funziona dappertutto L’Itm è stato sviluppato dalla Gentex, società con sede a Zeeland, Michigan. Funziona attraverso un radar inserito nella parte posteriore dello specchietto retrovisore e che si collega direttamente con il casello per pagare il pedaggio. Secondo i tecnici di Gentex il modulo è compatibile con il 98,7% delle stazioni negli Usa sia lungo le autostrade che sule strade a pagamento. L’Itm dovrebbe funzionare anche in Canada e in Messico e in tutti quei Paesi che prevedono la possibilità di collegare i sistemi di pagamento all’infotainment dell’auto. Non sono ancora stati divulgati né il prezzo del sistema né su quali modelli della sua gamma il costruttore tedesco intende montarlo.
Metano al prezzo del benzina La Polo ha un prezzo di listino a partire da 16.600 euro, bloccato per tutto il mese di marzo 2018. Stesse dotazioni di serie per la Golf in versione metano con un motore 1.4 TGI da 110 cavalli che permette al veicolo di raggiungere i 100 chilometri orari in 10,6 secondi e una velocità di 195 chilometri all’ora. Questa auto è offerta in promozione allo stesso prezzo del benzina (a partire da 17.900 euro), La Eco Up! – 1.0 di cilindrata e 68 cavalli di potenza – è stata in parte ridisegnata: nuovi fari a led e un look più accattivante. La city car ha un’autonomia di 380 chilometri, oltre al benzina che ne garantisce altri 220 ed è proposta al prezzo di 13.750 euro.
AUTO E MOTO
Volkswagen Polo, debutto a metano. CARLO CIMINI ■ VERONA – Il gruppo Volkswagen, leader in Italia insieme a Fca nel segmento delle ibride a metano, ampia la propria offerta col debutto della Polo a basse emissioni (la sesta generazione) che si aggiunge ai modelli già presenti sul mercato, Golf e Eco Up!. Tanta autonomia Polo 1.0 TGI monta per la prima volta un propulsore a metano tre cilindri da 90 cavalli. Il motore si avvia sempre a gas (se la riserva lo consente) altrimenti passa auto8
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AUTO E MOTO
Lotus 3-Eleven 430, barchetta da pista. PAOLO ODINZOV ■ La notizia bella è che si tratta della Lotus stradale più
estrema mai prodotta fino ad oggi. Quella brutta è che verrà prodotta in soli venti esemplari, tutti già andati a ruba, venduti alla modica cifra di 102.000 sterline, ovvero 132.300 euro. Spoiler e carbonio “Soldi ben spesi”, dicono i molti appassionati della factory di Hethel che in queste ore stanno già osannando sul web la nuova Lotus 3-Eleven 430. Perché si tratta di una vettura con delle caratteristiche che la rendono, per molti aspetti, un’auto unica. A cominciare dal particolare kit aerodinamico sulla carrozzeria, fornito di alettone, estrattori, splitter e spoiler, per un carico che raggiunge i 265 chilogrammi. Fino alla scocca e la carrozzeria fatte di carbonio e fibre composite, che permettono alla barchetta d’oltremanica di fermare l’ago della bilancia a 920 chilogrammi. Da 0 a 100 in 3,2 secondi La nuova Lotus 3-Eleven 430 dispone di un propulsore V6 sovralimentato di 3,5 litri 436 cavalli, abbinato a un cambio manuale a sei rapporti, che le permette di scattare da 0 a 100 chilometri orari in 3,2 secondi per poi raggiungere una velocità massima di 290 orari, ove consentito.
avvalendosi di un sistema sviluppato sulla C3 Wrc e già sperimentato anche sulla C5 Aircross per il mercato cinese. Si chiamano Phc (Progressive Hydraulic Cushions) e sono delle sospensioni dotate di smorzatori idraulici progressivi. Mentre quelle tradizionali sono formate da un ammortizzatore, una molla e un solo smorzatore meccanico, le Phc sono dotate anche di altri due smorzatori idraulici alle estremità. Uno serve per l’estensione e l’altro per la compressione e hanno la funzione di accompagnare e rallentare il movimento della molla e l’ammortizzatore in modo progressivo. Si riduce cosi l’impatto di buche e dossi, assorbendo meglio l’impatto delle molle a fine corsa. L’effetto che fanno Le Phc riducono di molto il rollio con sensazioni in parte paragonabile a quelle che si potevano avvertire a bordo delle mitiche Ds degli anni ’50 (che avevano delle sospensioni idropneumatiche). L’effetto “tappeto volante”, come lo chiamano in Citroën, si percepisce in modo particolare sui tratti di strada con curve e tornanti oppure nel passaggio sui dossi, dove l’azione di assorbimento delle sospensioni risulta particolarmente efficace.
AUTO E MOTO
Citroën C4 Cactus, oltre il restyling. VALERIO ANTONINI ■ La Citroën C4 Cactus è stata sottoposta a un restyling che va oltre. Lanciata come crossover nel 2014, ha ora forme da berlina con linee più morbide. Fiore all’occhiello della nuova Cactus sono le sospensioni, storico cavallo di battaglia della Casa parigina, che oggi si sono evolute
Airbump ridotti Ciò che salta all’occhio immediatamente è la riduzione quasi totale degli airbump (i paracolpi laterali sulle portiere), molto vistosi nella versione precedente mentre oggi sono più sottili e girano intorno al veicolo inseriti nella parte inferiore della scocca. Una scelta che prosegue il percorso stilistico della più piccola C3, sul podio della auto più vendute in Italia. Anche i gruppi ottici posteriori sono più affusolati, rimosse le barre dal tettuccio. Il vano bagagli mantiene inalterata la capacità di 358 litri (1.170 litri reclinando i sedili) mentre risultano quantomeno datati i finestrini posteriori a compasso. Comoda e silenziosa Gli interni offrono un livello di comfort da vettura di livello superiore. Grazie ai nuovi sedili ergonomici (riempiti con una schiuma più compatta) la nuova Cactus permette lunghi viaggi senza stancarsi troppo. L’abitacolo è rivestito di materiali fonoassorbenti e i vetri rinforzati aiutano a mantenere un ambiente insonorizzato. I prezzi partono dai 17.900 euro ai 22.600. 2 Marzo 2018 ·
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AUTO E MOTO
SICUREZZA
Hyundai Kona Electric, suv tutto “verde”.
Europa, in 10 anni morti 8.000 under 14.
PAOLO ODINZOV
REDAZIONE
■ Anticipata nella versione definitiva da una presentazione digitale sul sito della Hyundai, al Salone di Ginevra (818 marzo) debutterà la Kona Electric: versione a batteria e zero emissioni della sport utility coreana, arrivata nelle concessionarie lo scorso anno, che sarà il primo suv compatto elettrico disponibile in Europa a partire dalla prossima estate.
■ In Europa è strage di bambini sulle strade. Tra il 2007 e il 2016, 8.000 under 14 sono morti per incidenti, di cui il 50% in auto, il 33% pedoni e il 13% in bicicletta. Il grido d’allarme arriva dal “Rapporto sulla sicurezza dei bambini” presentato dallo European Transport Safety Council, organismo internazionale di cui per l’Italia fa parte anche l’ACI. Nonostante gli sforzi del Piano nazionale della Sicurezza Stradale “Orizzonte 2020”, realizzato dal governo italiano accogliendo gli indirizzi della Comunità Europea, nel nostro Paese le giovani vittime della strada nel corso del solo 2016 sono state 49.
Progettata per andare lontano Visti i numeri, la Hyundai Kona Electric ha tutte le carte in regola per andare lontano sulle strade e nel mercato. Verrà proposta in due varianti: quella base, con un motore da 99 chilowatt (135 cavalli) e una batteria da 39,2 chilowattora per un’autonomia fino a 300 chilometri, e la versione longrange equipaggiata con un motore da 150 chilowatt (204 cavalli) e una batteria da 64 chilowattora con cui marciare per 470 chilometri. Sulla Kona Electric una guida scattante è assicurata dalla trasmissione “shift-by-wire” che consente un funzionamento intuitivo del powertrain elettrico sfruttando al meglio i 395 newtonmetri di coppia massima della meccanica e l’accelerazione da 0 a 100 chilometri orari in 7,6 secondi. A bordo ci sono i più avanzati dispositivi di assistenza alla guida Hyundai SmartSense, tra cui il cruise control adattivo con funzione Stop & Go e la frenata automatica con rilevamento veicoli e pedoni, oltre a un sistema di infotainment che supporta le interfacce Apple CarPlay e Android Auto. 10
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· 2 Marzo 2018
Interventi necessari Nel segnalare i dati, l’European Transport Safety Council individua anche le iniziative da intraprendere per combattere il fenomeno. Prima fondamentale misura suggerita, l’adozione di più stringenti limiti di velocità. Per questo l’Etsc si appella alla Commissione Europea affinché renda obbligatorie tecnologie come l’Intelligent Speed Assistant (Isa) e l’Automated Energy Breaking (Aeb). Proposte anche più “zone 30” in prossimità delle scuole. Altro fronte caldo quello dei seggiolini. Etsc ricorda le statistiche dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che confermano come un uso corretto di questi dispositivi garantisca l’80% di probabilità di salvarsi la vita in caso di incidente. Nonostante questo in molti Paesi Ue l’uso dei dei sistemi di ritenuta per i bambini non è
adeguatamente sostenuto con campagne di sensibilizzazione. L’Etsc, inoltre, invita tutti gli stati europei a seguire l’esempio di Cipro, Croazia, Gran Bretagna, Polonia e Portogallo che hanno ridotto l’iva sui seggiolini.
SMART MOBILITY
Roma centro, dal 2024 stop ai diesel. REDAZIONE
grandi città. Già a fine 2016 i sindaci di Mexico City, Parigi, Atene e Madrid avevano annunciato il bando di auto e camion a gasolio dalle rispettive città a partire dal 2025. Altre metropoli come Tokyo e Londra sono molto avanti in questa battaglia ed è notizia fresca la decisione del tribunale amministrativo di Lipsia che ha confermato come le città tedesche abbiano il diritto di fermare le auto diesel “per migliorare la qualità dell’aria”. Secondo i dati ACI relativi al 2016 le autovetture a gasolio in Italia sono 16.260.625. Nel 2017 la quota di mercato del diesel in Italia è scesa dal 57,4% al 56,7%. Nella provincia di Roma le auto motorizzate a gasolio sono 1.082.811 (dati 2016).
BUSINESS
Fca: dal 2022 addio al diesel, secondo Ft. REDAZIONE
■ Roma dice stop ai diesel. Il sindaco della capitale Virginia Raggi – di ritorno da Città del Messico dove ha partecipato al vertice ambientalista C40 insieme ai primi cittadini delle più importanti metropoli del pianeta – ha annunciato su Facebook che i veicoli privati con motori a gasolio saranno banditi dal centro storico della città a partire dal 2024. Stop in centro storico “Roma – scrive il sindaco via social – ha deciso di impegnarsi in prima linea e a Città del Messico ho annunciato che, a partire dal 2024, nel centro della città sarà vietato l’uso dei veicoli privati alimentati a diesel”. “Le nostre città – continua la Raggi – rischiano di trovarsi di fronte sfide inattese. Assistiamo sempre più spesso a fenomeni estremi: siccità per lunghi periodi, precipitazioni che in un giorno riversano sul terreno la pioggia di un mese intero e perfino nevicate inusuali come quelle di questi giorni. Se vogliamo intervenire seriamente dobbiamo avere il coraggio di adottare misure forti. Bisogna agire sulle cause e non solo sugli effetti”. Scelta mondiale L’iniziativa della Raggi segue le orme di quelle di altre
■ Fiat Chrysler potrebbe dire addio ai motori diesel a partire dal 2022, almeno per quanto riguarda le automobili. Le motorizzazioni a gasolio continuerebbero a essere prodotte solo per i veicoli commerciali. Lo sostiene il Financial Times che spiega come la scelta definitiva dovrebbe essere annunciata il prossimo primo giugno, in occasione della presentazione del piano industriale del gruppo. Costi troppo alti Secondo il giornale londinese la scelta sarebbe legata al crollo della domanda delle auto a gasolio e all’aumento dei costi necessari per rendere la tecnologia in linea con gli standard delle emissioni. Altri importanti marchi come Toyota e Porsche, del gruppo Volkswagen, hanno già annunciato che interromperanno la produzione di vetture alimentate con il diesel. 2 Marzo 2018 ·
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AUTO E MOTO
Suzuki Sgsx-S750 Yugen, special italiana. ANTONIO VITILLO ■ Siamo alla vigilia del Motodays, esposizione motociclistica in programma alla Fiera di Roma dall’8 all’11 marzo, e Suzuki rivela la sua novità, la Gsx-S750 Yugen. Realizzata in Italia, sulla base della nota naked sportiva della casa di Hamamatsu, la Yugen, parola che in giapponese indica “le capacità misteriose che non possono essere descritte a parole”, è sostanzialmente una moto “special”. Sportiva leggera Principale segno caratteristico è il silenziatore sportivo. Realizzato dalla SC-Project, ha il fondello in carbonio e il corpo in titanio, materiali che permettono un significativo rispar-
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mio di peso, a tutto vantaggio della maneggevolezza. Buone le prestazioni espresse che rispettano la normativa Euro4. Anche il porta targa è in materiale leggero, l’ergal, mentre le frecce sono a Led e con una diversa forma. Il nuovo cupolino ha un profilo aggressivo. Il motore quattro cilindri rimane quello da 114 cavalli derivato dalla Gsx-R750, mentre la ciclistica ed i sistemi elettronici, fra i quali il Traction Control, non hanno subito cambiamenti rispetto al modello da cui deriva. La “speciale” Suzuki Yugen costerà 9.190 euro nelle versioni bicolore, ai quali bisognerà aggiungere 100 euro per avere la colorazione in nero opaco.
LIFESTYLE
Peter Fonda: Take it easy, rider. GIUSEPPE CESARO
■ “Vogliamo essere liberi! Vogliamo essere liberi di fare quello che vogliamo. Vogliamo essere liberi di guidare. Vogliamo essere liberi di guidare le nostre macchine senza che la Madama ci disturbi! E vogliamo essere ‘carichi’. E vogliamo divertirci. Ed è quello che faremo. Ci divertiremo!”. Parola di “Heavenly Blues” (blues celestiale), protagonista de “I selvaggi” (“The Wild Angels”, 1966): film drammatico, che racconta visione della vita e scorribande di un gruppo di giovani biker californiani; ragazzi talmente liberi e ribelli da seminare scandalo nelle coscienze della benpensante borghesia americana di metà anni ’60. Il film – scelto per rappresentare l’America alla Mostra del Cinema di Venezia – è tra le pellicole più significative di quel filone di “bikexploitation” (letteralmente “sfruttamento della moto”) di cui “Il selvaggio” (“The Wild One”, 1953), con Marlon Brando sembra segnare l’inizio e “Easy Rider” (1969) se non il punto più alto, certamente il più rappresentativo. Fonda…mentali Protagonista sia de “I selvaggi” che di “Easy Rider” è Peter Henry Fonda (New York, 23 febbraio 1940: 78 anni ieri), attore, sceneggiatore e regista statunitense: 72 film in 55 anni di attività, Golden Globe e nomination all’Oscar come miglior
attore per “L’oro di Ulisse” (1997) e nomination anche per la migliore sceneggiatura originale per “Easy Rider”, di cui è stato anche produttore. Tra i molti titoli, vale la pena ricordare due curiosità: la partecipazione a “La corsa più pazza d’America” (“The Cannonball Run”, 1981), con Burt Reynolds, e a “Svalvolati on the road” (“Wild Hogs”, 2007), con John Travolta. Peter è membro di una delle più illustri e premiate famiglie hollywoodiane: figlio di un autentico monumento della cinematografia americana come Henry Fonda (2 Oscar e 1 Golden Globe), fratello di Jane (2 Oscar, 6 Golden Globe, 1 David di Donatello e 1 Leone d’Oro) e padre di Bridget. Una fortuna, a quanto pare, non così facile da amministrare, sia nella vita (“Sembrava che non facessi che deluderli: si aspettavano che fossi diverso da Henry oppure esattamente come Henry. Non ero né l’uno né l’altro”), che sullo schermo: “Il figlio di Henry Fonda: è così che tutti mi vedevano fino all’arrivo di Easy Rider. Buon vecchio Capitan America!”. La Lancia Aurelia vinta al gioco Non è escluso – è vero – che nascere in una famiglia del genere possa avere anche i suoi lati negativi. Più avanti scopriremo come la vita trovi il modo di colpire duro anche quelli 2 Marzo 2018 ·
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che ci sembrano “intoccabili”. Ma se è vero che fama e ricchezza non sempre danno la felicità, è anche vero che è assai improbabile che riescano a farlo povertà ed emarginazione. Sia come sia, una cosa è certa: non si può dire che il giovane Peter fosse un ragazzo sfortunato. E non solo per i natali. A 17 anni, ad esempio, grazie ad alcune vincite al Casinò di Monte Carlo, compra una Lancia Aurelia. Non è dato sapere con precisione quale modello. Supponendo, però, che si trattasse dell’ultima uscita (una delle 371 prodotte tra inizio 1957 e fine 1958), staremmo parlando della B24S: decappottabile, 2 porte e 2 posti; 6 cilindri a V, 2.451,31cm³, 112 cavalli, velocità massima 175 km/h. Un vero gioiello di spider, non a caso considerata una delle più belle auto mai costruite. “Quando vedi una Aurelia B24 – diceva Franco Martinengo, direttore del Centro Stile Pininfarina dal ’52 al ’72 – non ti basta guardarla: avresti voglia di toccarla”. Vita spericolata “Era davvero una bella macchina”, conferma Fonda. “L’ho spedita in America e l’ho guidata per un po’. Poi però l’ho venduta a un vero maniaco dell’Aurelia che mi ha fatto un’offerta pazzesca. E poi non volevo spiegare come avevo fatto a comprarmi una macchina come quella. Non volevo confessare a mio padre che avevo giocato d’azzardo!”. Fin qui la storia. Quello che non tutti sanno, però, è che, pochi anni più tardi, sarà proprio la Lancia Aurelia de “Il sorpasso” (il film di Dino Risi del 1962, con Vittorio Gassman e Jean LouisTrintignant) a ispirare a Peter Fonda e Dennis Hopper (coprotagonista e regista del film) tema e titolo di “Easy Rider”. In America, infatti, “Il sorpasso” era uscito come “The Easy Life”: “La bella vita”. Una vita facile e agiata ovviamente ma anche piena di eccessi. “Spericolata”, insomma, per dirla con Vasco Rossi. “Avevamo la nostra arte, la nostra poesia, le nostre canzoni, il nostro abbigliamento, il nostro atteggiamento: tutte quelle cose erano nostre, non appartenevano alla vecchia generazione... Cosa non avevamo? Non avevamo il nostro film. ‘Easy Rider’ ha riempito il vuoto”: è così che Fonda Jr. spiega le ragioni del clamoroso (e inaspettato) successo di una pellicola diventata simbolo di un’era e cult per ben più di una generazione. Il “Maggiolino” del ’57 La prima auto “ufficiale” di “Capitan America” (il personag14
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gio di “Easy Rider”, ovviamente, non l’eroe dei fumetti Marvel), invece, è un Maggiolino Volkswagen del ’57. “Me l’aveva regalata mio padre”, ha ricordato Fonda in un’intervista di qualche anno fa. “Era l’ideale per l’università. Con pochi spiccioli di benzina andava dappertutto: perfetta per un ragazzo che non aveva nemmeno la paghetta. Mi sembrava una piccola auto super-fantastica, anche se non amavo il fatto che non ci fossero né radio né indicatore della benzina e che mi prendessero in giro perché guidavo una macchina che nessuno aveva mai visto prima”. MG TF 1500 Midget Qualche tempo dopo, Fonda si libererà del Maggiolino, scambiandolo – “stupidamente”, riconoscerà poi – con una MG TF 1500: una roadster decappottabile, due porte e due posti, prodotta in poco meno di 10mila esemplari tra l’ottobre del 1953 e l’aprile del 1954. 1.466 centimetri cubici, 63 cavalli, la Midget (“nana”) impiegava 18 secondi a passare da 0 a 100 e superava di poco i 130 km/h di velocità massima. “L’impianto elettrico era andato – dopotutto era un’auto inglese, e non ci puoi fare affidamento: soprattutto in quegli anni – aveva le sospensioni anteriori indipendenti, e ogni volta che passavi sopra un ramoscello sembrava che stessi saltando su un tronco. A parte questo, però, era una gran bella macchina: veramente ‘cool’”. Non dirlo a papà Nel garage personale di Capitan America c’è stato (e c’è ancora) di tutto. Tutto, tranne auto qualunque, ovviamente. Senza contare che non si sa quante Ferrari abbia distrutto – alcune insieme a Roger Vadim (il regista francese sposato con Jane Fonda dal ’65 al ’73) – durante i lunghi eccessi della sua “easy life”. Tutte follie documentate in “Don’t tell Dad” (“Non dirlo a papà”), autobiografia senza reticenze, pubblicata a fine anni Novanta. Tra le supercar preferite, l’imponente Facel Vega HK 500 (una luxury francese prodotta in meno di 500 esemplari tra 1958 e 1961: V8 Chrysler, 6.286cm³, 360 cavalli, 225.3km/h), la splendida Mercedes 300SL “Ali di gabbiano” del 1954 (prodotta in 1.400 esemplari tra ’54 e ’57: 6 cilindri in linea, 2.996cm³, 215 cavalli, velocità massima compresa tra 220 e 258 km/h – a seconda del “rapporto al ponte” – da 0 a 100 in 10 secondi: l’auto di serie più veloce al mondo della sua generazione), l’elegante Buick Riviera 1964 (V8 16 valvole, 6.970cm³, 340 cavalli, da 0 a 100 in 8.9 secondi, 200 km all’ora
di velocità massima) e la travolgente Ferrari 360 Modena (8 cilindri a V, 3.586cm3, 400 cavalli, 295 km/h e accelerazione da 0 a 100 in 4,5 secondi). A chi gli chiede quali auto gli manchino, risponde: “Una Scarab ’58 (una delle più belle americane da corsa di sempre: propulsore Chevrolet Corvette 8V, 5,555 cm3, 440 cavalli, 272 km/h, da 0 a 100 in 4.2 secondi; nel ’58 sconfisse scuderie prestigiose come Ferrari e Jaguar, ndr.) e una Testa Rossa”. “Ma la verità – aggiunge – è che rivorrei tutte le auto che ho avuto e ho venduto.” Ribelle a due ruote C’è una passione, però, che, per Peter Fonda, è cominciata ancora prima di quella per le quattro ruote: quella per le due ruote. È nata quando era poco più di un ragazzo, come gesto di autodeterminazione ma, soprattutto, di ribellione nei confronti dell’autorità del padre, che non voleva vederlo in sella a una moto. Il nodo padre-figlio, però, era ben più profondo di così. Quasi nessuno lo ricorda ma, quando Peter aveva solo dieci anni, sua madre – Frances Ford Seymour – si tolse la vita, nell’ospedale psichiatrico nel quale era stata ricoverata in seguito a una crisi depressiva scatenata dalla richiesta di divorzio. La donna (che soffriva da tempo di disturbi psichici, probabile eredità di abusi sessuali subiti da bambina) non aveva retto al colpo e si era tagliata la gola nel giorno del suo 42esimo compleanno. Meno di un anno dopo, Henry Fonda, si risposerà con Susan Blanchard (una ragazza di 21 anni con la quale aveva avuto una relazione), aumentando ancora la sua distanza dai suoi figli. Peter e la sorella verranno tenuti lontani dai funerali privati, organizzati in fretta e furia, ai quali parteciperanno solo Henry Fonda e la suocera. I due bambini (10 e 12 anni) apprenderanno la verità molto tempo dopo. “Jane l’ha letto su una rivista. A me dissero che era morta per un attacco di cuore, ma non sapevo cosa volesse dire”. Il piccolo Peter rimarrà così sconvolto dalla notizia, che si sparerà un colpo di calibro 22 allo stomaco, mentre il padre e la sua nuova moglie (la terza di cinque) sono in luna di miele in Europa. “Siamo stati abbandonati”, ricorda, “non in un cassonetto, ma siamo stati abbandonati”. Il rapporto di Peter con il padre – descritto come freddo, distante e anaffettivo (“un sacco di critiche e mai una lode”) – rimarrà problematico fino alla fine. Tanto che se qualcuno, incontrando Peter, gli chiedesse “Come va, signor Fonda?”, si sentirebbe rispondere: “Peter, per favore: il signor Fonda è morto nel 1982”. La prima Harley Una storia di dolore, distanza, freddezza e incomprensione (“Ho fatto del mio meglio per essere il figlio di Henry Fonda, senza sapere minimamente chi diavolo fosse, visto che era così chiuso”) che rende più chiara la predilezione di Peter per certi ruoli “maledetti”: “Capitan America”, “Blues Celestiale” o il un ragazzo che si avvia all’LSD di “The Trip” (“Il viaggio”, scritto da Jack Nicholson e uscito da noi come “Il serpente di fuoco, 1967). Ma soprattutto spiega il lunghissimo periodo di dipendenza da alcol e ogni genere di droga. “Non mi fido di chi non ha mai tirato”, dichiarava. Dipendenza dalla quale solo l’amore della figlia Bridget riuscirà a guarirlo. Sono proprio gli aspri contrasti col padre a spingere Peter sulle due ruote. “Lui non voleva”, ricorda, e così “appena ho potuto, mi sono comprato una Harley”. Ancora una volta, c’è di mezzo il gioco. Il diciottenne Peter, infatti, acquista una Sportster usata grazie ai soldi vinti al blackjack. “È stato l’inizio: l’ho amata e non mi sono più fermato”.
MV Agusta F4-1000 BMW, Bultaco, Ducati, Montesa, Triumph e Harley-Davidson, naturalmente (due Fat Boy e una Road King): Capitan America ha cavalcato davvero di tutto. Tra le sue ultime passioni, una MV Agusta F4-1000 rossa: 998cc, 166hp, quattro cilindri in linea, quattro tempi, 6 marce, 300.9 chilometri all’ora di velocità massima. “Una moto incredibile – ha dichiarato. La amo tantissimo: è velocissima, e poi non devo destreggiarmi nel traffico di Los Angeles con un manubrio troppo largo... Ho tirato questo cucciolo fino a 300 all’ora. L’ho fatto per quasi due minuti, ma non lo farò mai più. ‘Se qualcosa va storto – ho pensato – sono morto’!”. Ogni ribelle ha le sue regole Sebbene pare faccia ancora parte dell’Ugly Motorcycle Club – un club con due sole regole: 1, non ci sono regole; 2, devi fare almeno due inversioni a U alla settimana (“ugly” significa “brutto”, “minaccioso”, “violento”), pare che tutti questi anni non siano trascorsi invano. Il leader de “I selvaggi”, infatti, è più saggio di quanto il suo pedigree lasci immaginare. In sella, almeno. Dichiara di fermarsi ai semafori e agli stop, e di fare grandissima attenzione a tutte le macchine. “Non mi fido delle auto – spiega: sbucano da qualsiasi parte in qualsiasi momento”. “Se piove – aggiunge – non prendo la moto, ma se comincia a piovere mentre sono in moto, non mi fermo”. Il “fattore cervo” E dopo il tramonto? “Non giro, perché c’è il ‘fattore cervo’”. Fattore cervo? “Ho avuto un frontale con un cervo, una volta, e non voglio averne un altro. Dunque, se dopo il crepuscolo non trovo un motel, poso la moto, tiro fuori la borsa e mi metto a dormire all’aperto: non voglio prendere un altro cervo.” Da “Easy Rider” a “Take it easy”, verrebbe da commentare. Chissà cosa ne direbbe papà Henry. A proposito, pare che, poco prima di morire, abbia chiamato il figlio e gli abbia sussurrato: "Ti voglio tanto bene, ragazzo, voglio che tu lo sappia". Meglio tardi che mai. Anche se certe cose sarebbe meglio trovare il modo di dirle per tempo. Il cinema avrebbe, probabilmente, perso uno dei suoi protagonisti, ma un bambino sarebbe stato certamente felice di aver trovato suo padre.
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COVER STORY SCENARI
Il potere dell’intelligenza. FRANCESCO PATERNÒ
Come i robot imparano a riprodurre le attività umane, dalla guida autonoma ai telefoni e oltre. Un grande business, tra catastrofismi, nuovi mestieri, vecchie emozioni e “innumerevoli futuri”.
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PUBBLICATO SUL NUMERO 14 - GENNAIO 2018
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Promettono di essere “più di una macchina, un partner”, di “capire le persone”, di “riconoscere le emozioni” e di “intrepretare le preferenze del guidatore”
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■ L’intelligenza artificiale prenderà il volante e cambierà il mondo, dicono. Ma è già tra noi. La frenata automatica, spesso ormai in dotazione anche su auto piccole, si basa su applicazioni di algoritmi che rilevano quanto accade esternamente al veicolo. Le ultime generazioni di telefoni vengono pubblicizzati quasi esclusivamente per il loro grado di interlocuzione e di anticipazione dei nostri gesti sullo schermo, se poi non c’è campo ce ne faremo una ragione. Quando digitiamo alla ricerca del prezzo più basso di una polizza di assicurazione, a risponderci è un robot. Non un umanoide, come la letteratura di fantascienza e il cinema novecenteschi ci hanno insegnato a immaginarli, ma un qualcosa di intangibile. Pronta a farsi voce, se serve. Un giornalista inglese, Michael Brooks, si è messo a parlare con Siri, l’assistente digitale del suo telefono, per capire come gestire in modo responsabile tutta questa tecnologia e intanto scriverci su un lungo articolo per New Scientist: “Siri, dovremmo avere paura di te?”. “Sono sicura di non saperlo”. L’intelligenza artificiale è l’insieme di studi e applicazioni per realizzare macchine “in grado di risolvere problemi e di riprodurre attività proprie dell’intelligenza umana”, secondo la definizione del compianto Tullio De Mauro. Macchine alle quali l’essere umano sta insegnando come comportarsi trasmettendo loro enormi quantità di dati statistici da elaborare a velocità sempre maggiori. A fargli vedere, insomma, come si fa. Il nuovo business Nell’industria dell’auto, l’intelligenza artificiale (che per comodità chiameremo d’ora in poi AI seguendo l’acronimo in inglese) è il nuovo business. Che rischia di stravolgere dall’interno un settore strategico dell’economia mondiale che finora ha bruciato valore, ha perso soldi ciclicamente e ha lavorato su margini sempre più ridotti. Secondo Tractica, una società specializzata statunitense, il giro d’affari di
AI e guida autonoma è stimato sui 14 miliardi di dollari entro il 2025, quando molti costruttori prevedono per la stessa data di essere già pronti con veicoli in grado di spostarsi sia in autostrada che in città senza conducente umano. Naturalmente, dando per approvato un ordine legislativo che permetta al nuovo tipo di mobilità di muoversi a fianco di vetture a stragrande maggioranza guidate ancora da donne e uomini in carne e ossa. C'è posta per Google Il 4 febbraio 2016 è una data che sarà tramandata dai libri di storia. Quel giorno, l’ente federale per la sicurezza statunitense (Nhtsa) ha inviato una lettera a Google in cui ha specificato che per “conducente” di un veicolo s’intende il sistema di intelligenza artificiale e non necessariamente l’essere umano che da più di cent’anni guida l’automobile. Al recente Salone di Tokyo, la Toyota – che due anni fa ha messo 1 miliardo di dollari nelle mani di un super ingegnere come Gill Pratt per sviluppare il proprio progetto di self driving – ha presentato prototipi dotati di AI vestiti da automobili più che futuristiche. Pur senza avere la possibilità di provarle - come quando chiediamo ad Alexa o a Cortana cosa fare - la narrazione è risultata stupefacente: i concept elettrici e a guida autonoma delle i-series del costruttore giapponese promettono di essere “più di una macchina, un partner”, di “capire le persone”, di “riconoscere le emozioni” e di “intrepretare le preferenze del guidatore”. Torna in mente quanto ci disse Pratt poco dopo il suo arrivo in Toyota: “È un po’ come si fa a scuola guida. L’allievo impara guardando ciò che fa l’insegnante”. E la carica delle nostre emozioni? E il bagaglio dell’esperienza, il frutto dell’immaginazione, gli obiettivi che ci diamo nella vita? AI imparerà anche tutto questo sia nella guida che in altri settori? “Tutto questo non può essere emulato dalle macchine, perché loro non muoiono”, è stata una buona risposta di Neil Lawrence, ri-
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cercatore dell’università di Sheffield in Gran Bretagna, riportata nell’articolo per New Scientist di Brooks. Un’altra verità è che c’è bisogno uno dell’altro, almeno finché, stando agli allarmi di alcuni catastrofisti, le macchine non prenderanno il sopravvento: il fisico Stephen Hawking ha parlato di AI come del “peggior evento nella storia della nostra civiltà” (però sei anni fa aveva pure detto che “la filosofia è morta”). Un esempio di convivenza viene invece da Jensen Huang, ceo di Nvidia società con sede in California che lavora a sistemi di guida autonoma per il 2020, il quale ha presentato Volta come il “più grande processore di intelligenza artificiale mai prodotto”. Dispone di 21 miliardi di transistor e ci hanno lavorato 3.000 ingegneri umani. Qi Lu, direttore generale di Baidu (il Google cinese) ed ex vice presidente esecutivo Microsoft, oggi al volante del programma Apollo per sistemi di guida autonoma basati su AI in concorrenza sia con il colosso californiano che con quei costruttori tradizionali di automobili impegnati nella stessa corsa, lo dice chiaro: “Se si vuole costruire una vera intelligenza artificiale – ha spiegato in una intervista a Wired – capace di acquisire conoscenza, prendere decisioni e adattarsi all’ambiente circostante, c’è bisogno di sistemi automatizzati. Fra questi, l’automobile è la prima più grande applicazione commerciale che sta per arrivare”. A casa di Facebook Il boss di Baidu paragona i veicoli ai telefoni: l’auto a guida autonoma creerà un ecosistema “ancora più grande”, fatto di hardware, sensori, chip, software che sarà utilizzato per costruire di tutto, compresi i robot per la casa. Uno di questi lo sta sviluppando anche Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, che racconta di star utilizzando l’intelligenza artificiale per avere una vita ancora più “like” quando torna in famiglia dall’ufficio. “Qualsiasi tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile
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dalla magia” è la terza – diciamolo, bizzarra - legge di (Arthur) Clarke, lo scrittore americano di libri di fantascienza che come il russo Isaac Asimov ci ha lasciato proprie “leggi” sulla robotica. Ma più che loro, sono docenti, sociologi, etnologi, geek e chissà chi altri a essere stati ingaggiati dalle aziende in veste di consulenti in futurologia. Che non è una scienza esatta per definizione – anzi, più spesso è pratica di ciarlatani – ma sta diventando una disciplina perfino universitaria e una casella da riempire in diverse multinazionali. Futurologi sono già al lavoro in Volkswagen, Ford, Ibm, Intel, così come nella banca Capital One o dal produttore di cioccolato Hershey’s. Sono pagati non per pre-
Qi Lu, Baidu: "C’è bisogno di sistemi automatizzati. Fra questi, l’automobile è la prima grande applicazione commerciale in arrivo"
dire il futuro ma per “capire l’essere umano”, pensare a più scenari possibili e preparare la società ad adattarsi o a scegliere la situazione migliore. Cose che insegneremo prima o poi a tutte le macchine. Nel frattempo AI imparerà a guidare e a evitare molti incidenti stradali nei quali noi umani troppo distratti incappiamo quotidianamente. Forse cancellerà molti posti di lavoro nell’industria dell’auto e altrove, anche se non secondo gli scenari drammatici di alcuni analisti. E forse terrà in memoria quanto Jorge Luis Borges ha scritto nel lontanissimo 1941, sempre che qualcuno avrà avuto la lungimiranza di inserirlo in quei big data da apprendere automaticamente: “Il tempo si biforca perpetuamente verso innumerevoli futuri”.
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