Settimanale digitale • Anno 3 • Numero 71 • 1/2/2019
Supplemento settimanale a l’Automobile.
INNOVAZIONE I MOTORI I LIFESTYLE
Super Bowl Spot. PAOLO BORGOGNONE ■ Qualcuno – forse scherzando, forse no – sostiene esista una fetta di pubblico che guarda il Super Bowl, la finale del campionato professionistico Usa di football, soltanto per vedere le pubblicità tra un’azione e l’altra. Forse è un’esagerazione. Quel che è certo è che anche quest’anno i costruttori di auto sono i principali investitori pubblicitari spendendo milioni di dollari per un passaggio di 30 secondi davanti agli occhi degli americani. Lo fanno quasi sempre con spot
inediti, creati appositamente per reclamizzare un nuovo modello o una nuova strategia. In queste pagine abbiamo cercato di capirne di più: chi ci sarà, chi no, se avvalendosi di un personaggio noto o di un volto sconosciuto. La partita – quest’anno tra New England Patriots e Los Angeles Rams – è il più grande spettacolo sportivo sulla terra. Gigantesca macchina che mangia e produce soldi. L’America, in bilico tra crescita economica e dazi, tra apertura al futuro e muri da costruire, si unisce e si divide nel nome del tifo e assiste al balletto di giocatori e spot. Perché il Super Bowl non è mai solo un gioco.
LIFESTYLE
Super Bowl 2019, parola agli spot. PAOLO BORGOGNONE
■ Domenica pomeriggio – a mezzanotte e mezza in Italia – al Mercedes Benz Stadium di Atlanta si alzerà il sipario sul Super Bowl LIII, la finale del campionato a stelle e strisce di football. In campo New England Patriots (la squadra di Boston) e i Los Angeles Rams. Le due coste degli Usa – e il Paese che c’è in mezzo, dai monti Appalachi al deserto del Nevada – si fermano per un match che mediamente inchioda oltre 110 milioni di americani davanti alla televisione. Uno degli spettacoli nello spettacolo è quello degli spot pubblicitari, contesi a suon di dollari. Ce ne vogliono – in media – 5 milioni per uno spazio da trenta secondi: quelli nei dintorni dello show di mezzo tempo e, soprattutto, verso la fine della partita (quando lo share è più alto) arrivano a costare ben di più. Come ogni anno sono le Case automobilistiche a essere tra gli inserzionisti più attivi. 2
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· 1 Febbraio 2019
Kia, il record Sei minuti e venticinque: tanto durerà l’esposizione complessiva del marchio coreano durante il Super Bowl 2019. Nessuno aveva mai acquistato cosi tanto spazio durante la finale. Sarà il decimo anno consecutivo che Kia è presente all'evento. Al centro della campagna uno spot da trenta secondi che andrà in onda nel terzo quarto della partita, dopo l’intervallo. Il filmato non utilizza, come successo negli anni passati, testimonial di grido (l'anno scorso protagonista era Steven Tyler, cantante degli Aerosmith) ma accende i fari, invece, su una iniziativa intitolata “The Great Unkown Scholarship”. Si tratta di un fondo, istituito da Kia, che vuole aiutare i giovani meno fortunati a intraprendere un percorso scolastico completo.
Fca si fa in tre Saranno tre gli spot – della durata dai 45 ai 90 secondi – per Fca, uno per ciascuno dei marchi del gruppo più attivi negli Usa. Dodge ha realizzato un filmato intitolato “The Devil Went Down to Georgia” (titolo ripreso dalla celebre canzone southern rock di Charlie Daniels del 1979) che presenta l’intera gamma della Srt in giro per Atlanta. “Crusher” – cioè distruttore – è il titolo dello spot realizzato per il Jeep Gladiator. Un vecchio esemplare del pick up entra nella pressa di un autodemolitore, da dove esce il nuovo modello, presentato al Los Angeles Auto Show dello scorso anno. Ironica la clip per il marchio Ram: due anziani cowboy ricordano vecchi spot legati al mondo dell'auto e al Super Bowl ma non riescono a collegarli ai marchi di riferimento. Tutta un’altra storia quando si tratta della nuova pubblicità che ha come protagonista il Ram 3500 Heavy Duty. Toyota oltre i pregiudizi Toyota pubblicizzerà al Super Bowl la versione ibrida del Rav4 2019. Per farlo è stata scelta una testimonial famosissima negli Usa, Antoinette Harris. “Tony”, come ama farsi chiamare, è una ragazza di 22 anni che studia al California Community College e ha un sogno: essere la prima donna a giocare nella lega professionistica di football. Impossibile? Lo sostenevano in molti, ma intanto la volitiva Antoniette è la prima ragazza ad aver ottenuto una borsa di studio grazie al football e sogna una carriera tra i “grandi”, anche se quasi tutti suppongono che non ce la possa fare. “Ma io non sono tifosa delle supposizioni”, dice la Harris – un roccioso difensore difficile da superare – al volante del suv giapponese alla fine dello spot. L’ascensore di Hyundai Anche Hyundai torna al Super Bowl con un filmato umoristico dedicato ai servizi al cliente attraverso il
programma “Shopper Assurance”, che garantisce test drive con consegna dell’auto a domicilio, prezzi fissi e trasparenti e una serie di altre agevolazioni per chi voglia acquistare un veicolo del marchio coreano. Protagonista del video – che si svolge in un affollato ascensore – l’attore, regista e produttore sia cinematografico che televisivo Jason Bateman. Gli altri in campo Audi – dopo un anno di assenza – si ripresenta al pubblico con uno spot di 60 secondi che andrà in onda prima dell’intervallo e che sarà dedicato allo sviluppo della elettrificazione. Mercedes – che ha la propria sede americana ad Atlanta, dove si giocherà il match, e che dà il proprio nome allo stadio della finale – parteciperà con uno spot dedicato alla Classe A e affidato a Christopher Brain Bridges, meglio noto come Ludacris, rapper di Champaign Illinois da 10 milioni di dischi venduti. Per Jaguar Land Rover sarà trasmesso uno spot di sessanta secondi realizzato specificatamente per la concessionaria Haron di Fresno, California. Volvo contro tutti Controcorrente la scelta di Volvo. Il marchio svedese non ha mai finora portato un proprio spot al Super Bowl e la tradizione viene rispettata anche quest'anno. Anzi, la sede Usa dello storico costruttore – oggi di proprietà dei cinese di Geely – ha inventato un concorso via smartphone che sfrutta un sistema di riconoscimento facciale ed è dedicato a tutti quelli che scelgono di non guardare la partita (e quindi gli spot dei concorrenti). La piattaforma sarà in grado di sapere quanto tempo i concorrenti iscritti online avranno tenuto gli occhi incollati sul proprio cellulare durante il match: i tre che resisteranno di più senza guardare le azioni in campo vinceranno una S60 in comodato d'uso gratuito per due anni. 1 Febbraio 2019 ·
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che a scendere dal suv Suburban è un elefante. La pubblicità risale ai primi anni 2000.
BUSINESS
Automobili e pubblicità, sfida continua.
Ford
EDOARDO NASTRI ■ La sfida tra costruttori automobilistici si combatte anche a colpi di inserti e spot pubblicitari. Negli Stati Uniti l’evento che più di ogni altro attira l’attenzione è il Super Bowl, la finale della lega professionistica statunitense di football americano. Le cifre investite per comprare uno spazio pubblicitario durante questa manifestazione sono da capogiro: uno spot di 30 secondi ha un costo medio di 5 milioni di dollari. Il ritorno d’immagine è forte dato che incollati agli schermi ci sono più di 110 milioni di persone solo sul suolo americano e circa un miliardo nel mondo. D’altronde è sempre viva l’esigenza di realizzare pubblicità creative e intelligenti in grado di attrarre un pubblico vasto e diversificato e gli eventi sportivi sono l’ideale per reclamizzare un marchio o una vettura.
La multinazionale di Dearborn per pubblicizzare la G Series utilizza immagini di un viaggio tra colline verdi e paesaggi rilassanti: “Siediti e goditi il momento. All’interno di questa cabina spaziosa, c’è la navigazione satellitare e il climatizzatore con controllo della temperatura individuale che ti mantiene fresco e comodo”. Lamborghini
Le più significative Le pubblicità in tema automobilistico sono costruite seguendo tre tipologie tematiche: la presentazione del marchio o la volontà di rafforzarne l’immagine, la pubblicizzazione di un modello specifico o di un’offerta, oppure le cosiddette “Corporate Social Responsibility”: informazioni pubblicitarie che spiegano le responsabilità delle imprese per il loro impatto sulla società, i miglioramenti raggiunti o gli obiettivi del futuro. Abbiamo raccolto cinque tra le pubblicità più significative degli ultimi anni che seguono questi temi di differenti costruttori automobilistici. Chevrolet Lamborghini, pur appartenendo al gruppo Volkswagen, da sempre fa del made in Italy il valore aggiunto della sua produzione. Lo stabilimento dove vengono costruiti tutti i modelli di trova infatti a Sant’Agata Bolognese e i vertici dell’azienda sono di nazionalità italiana. L’annuncio pubblicitario vuole dimostrare quando sia importante per il costruttore automobilistico la presenza sul suolo italiano tanto da essere parte integrante delle costruzioni della città di Bologna.
Chevrolet – chiamata colloquialmente Chevy dagli americani – è un marchio del produttore statunitense General Motors. L’annuncio che abbiamo scelto vuole dare l’immagine di forza e robustezza dei veicoli del produttore americano visto 4
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· 1 Febbraio 2019
Mini La Mini è la vettura icona della cultura automobilistica britannica pur appartenendo al gruppo Bmw dal 2000. Da sempre alla piccola inglese si associano divertimento alla guida e prestazioni, concetti che vengono utilizzati anche per sviluppare le campagne pubblicitarie del marchio. In particolare nell’annuncio che abbiamo scelto si vede una strada tortuosa costruita appositamente per raggiungere un’abitazione. La motivazione è presto detta: data la tipologia di percorso il proprietario di casa sicuramente avrà una Mini.
un miliardo e poco più nel mondo punteranno gli occhi sul centro del campo del Mercedes Benz Stadium di Atlanta, Georgia. A quell’ora e in quel preciso punto prenderà il via il Super Bowl LIII, la finale del campionato professionistico americano di football. In campo i favoritissimi New England Patriots dell’eterno quasi 42enne Tom Brady e i classici “underdog” i Los Angeles Rams del 24enne quarterback Jared Goff.
Škoda
Škoda è un costruttore automobilistico ceco fondata nel 1895 con il nome di Laurin&Klement e che appartiene dal 2000 al gruppo Volkswagen. Škoda realizza pubblicità creative e divertenti che mostrano l’adattabilità e l’appeal dei loro veicoli. In particolare per lo spot scelto per reclamizzare i sensori di parcheggio i pubblicitari hanno immaginato di dover posteggiare una pallina tra i due cursori tipici del flipper. “Parcheggia senza il boing”, recita l’annuncio, per sottintendere che il dispositivo può avvisare il conducente prima del contatto con un’altra vettura in fase di parcheggio.
LIFESTYLE
Mercedes Benz Stadium: è Super Bowl.
Un miliardo e mezzo di meraviglia Lo stadio dove si svolgerà la partita è il nuovissimo impianto – inaugurato il 26 agosto 2017 – che ha preso il posto del leggendario Georgia Dome, dove si erano giocati i due Super Bowl assegnati alla città del sud. È considerato il più bello d’America. Per costruirlo, proprio a fianco del predecessore in piena downtown di Atlanta, ci sono voluti 39 mesi di lavori e 1 miliardo e mezzo di dollari. In parte pagati dal costruttore tedesco – che ha proprio qui la sua sede centrale negli Usa – e che darà il proprio nome all’impianto almeno fino al 2042. Concepito dal team di architetti dello studio HOK di Saint Louis, Missouri, il Mercedes Benz Stadium occupa una superficie di 186mila metri quadri. Quando è la casa degli Atlanta Falcons di football ospita 71mila spettatori: le tribune si muovono, per le partite dell’Atlanta United Fc, la squadra di calcio locale la capienza scende a 32.456. Un’intera facciata, quella rivolta a est, è in vetro e permette così dall’interno di godere di una spettacolare vista sulla città. Ispirato a Roma Fiore all’occhiello dell’architettura un foro centrale della copertura retrattile, ispirato a quello del Pantheon di Roma. Pantheon era anche il nome del progetto prima della sua assegnazione a Mercedes. La copertura è formata da otto pannelli triangolari in un materiale polimero (etilene tetrafluoroetilene) trasparente ma in grado di modificare autonomamente l’opacità per controllare il livello di illuminazione interno. L’oculus può essere chiuso nel giro di pochi minuti e può essere anche “acceso” di differenti colori. Il perimetro del tetto è caratterizzato da uno schermo a 360 gradi in grado di garantire una visione unica delle immagini proiettate. La videocamera principale si trova a 20 metri di altezza. A completare l’installazione una colonna alta 101 metri e totalmente ricoperta di una scheda video 3D. Non solo stadio Il Mercedes Benz Stadium non è solo partite. È un centro multifunzionale al centro della città che conta quasi mezzo milione di abitanti e anche uno dei monumenti più visitati di
PAOLO BORGOGNONE ■ Domenica 3 febbraio ore 18 e 30 (ore locale, mezzanotte e mezza in Italia): 110 milioni di spettatori negli Usa, circa 1 Febbraio 2019 ·
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Atlanta. L’offerta varia dalla più grande statua di una falco mai costruita (i Falcons sono come abbiamo visto la squadra di casa) a ristoranti e bar considerati i migliori fra quelli degli impianti dove si gioca il football professionistico. Ma è anche un luogo di cultura e commercio. Al suo interno si trova una mostra permanente realizzata in collaborazione con il Savannah College of Art and Design che ha raccolto oltre 1.200 differenti proposte per opere con tema lo sport o la storia dello stato. 54 artisti, sia locali che internazionali espongono nella Art Collection dello stadio. Mercedes ha poi un proprio spazio dedicato dove i tifosi possono ammirare le ultime proposte del marchio di Stoccarda. Amico della città Per garantire il minore impatto possibile sul traffico cittadino, il Mercedes Benz Stadium ha stretto un accordi con “Marta”, il sistema di trasporti pubblici di Atlanta, che offre differenti soluzioni per arrivare alla location utilizzando mezzi come la metropolitana o i bus al prezzo di soli due dollari e mezzo. Presso lo stadio esistono anche parcheggi riservati alla piattaforma di ride hailing Lyft. Inoltre allo stadio – raggiungibile anche da una rete di piste ciclabili che si diramano in tutte le direzioni – è attivo un servizio di deposito biciclette: chi si reca alla partita con una due ruote può lasciare il proprio mezzo in tutta sicurezza presso un parcheggio custodito e riceverà sul proprio smartphone – senza bisogno di scaricare un’app – un codice identificativo personale per rientrarne in possesso una volta giunto il momento di tornare a casa.
BUSINESS
Mercato Usa, nubi all’orizzonte.
■ Marchi che cessano la produzione e fabbriche che tagliano turni, licenziando migliaia di lavoratori: per l’industria automobilistica americana sembra essere arrivata l’alba di una probabile recessione. Un periodo nero durante il quale a pagarne maggiormente le spese sarà come di consueto la città di Detroit, capitale statunitense dell’automotive, in controtendenza con l’andamento positivo dell’economia Usa che vede oggi la disoccupazione ai minimi storici. Dal record alla recessione Dopo aver chiuso il 2018 con 17,3 milioni di unità, quarto risultato migliore nella storia del Paese, stando alle stime della National Automobile Dealers Association (Nada), l’associazione dei concessionari degli Stati Uniti, il mercato americano delle automobili e dei light-truck potrebbe scendere a fine 2019 a 16,8 milioni, un calo vicino al 3% imputabile a diversi fattori. Primo fra tutti il crollo delle vendite di berline che ha minato i piani industriali di molti costruttori costringendoli a rivedere le stime di produzione. Il crollo delle berline Nel 2018 le berline e altre tipologie tradizionali di vetture, come wagon, minivan e sportive, si sono fermate al 31%. Appena sei anni fa solo le berline rappresentavano il 50% delle targhe totali e secondo le previsioni il segmento andrà incontro a una progressiva riduzione fino a contare il 21,5% di unità nel 2025. Una drastico calo non compensato dall’exploit di suv e pick-up tornati alla ribalta negli Usa: nel 2018 hanno totalizzato il 69% delle immatricolazioni, grazie alla riduzione del prezzo della benzina e alla elevata efficienza delle più moderne motorizzazioni disponibili ormai sulla maggior parte di modelli della categoria. General Motors la più a rischio Fra le aziende Usa destinate a pagare maggiormente la situazione c’è General Motors costretta, per evitare il rosso nei bilanci, a tagliare i costi con la chiusura di 5 stabilimenti in Nord America nei quali sono impiegati circa 20mila lavoratori. FCA ha invece già puntato sui nuovi suv Jeep e Ram per uscire dalla “spirale mortale delle berline” come definita dagli stessi manager del gruppo italo americano.
SPORT
Wolfsburg, calcio e motori.
PAOLO ODINZOV
CARLO CIMINI ■ Ottanta anni di storia. 120mila abitanti immersi in un vortice di emozioni sportive e automobilistiche, non necessariamente distinte. Anzi. Sin dagli albori, calcio e motori hanno 6
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· 1 Febbraio 2019
formato un legame indissolubile con Wolfsburg. La giovane città della Bassa Sassonia venne fondata dal Terzo Reich nel 1938 sotto il nome di Stadt des Kdf-Wagens, per fornire alloggio ai lavoratori della neonata Volkswagen (che tradotto significa “auto del popolo”). Partì così la produzione in serie della vettura tedesca per eccellenza: il Maggiolino. Nel 1945, al termine della Seconda Guerra Mondiale, la città venne occupata dall’esercito inglese. Lo stesso anno, il centro urbano assunse l’attuale denominazione e nacque la squadra di calcio Vfl Wolfsburg, club che attualmente milita in Bundesliga, la massima serie tedesca. Il paradiso Nel 1992, dopo circa mezzo secolo di purgatorio vissuto nei campionati federali di terza divisione, il Vfl Wolfsburg sale per la prima volta in seconda serie e cinque anni più tardi conquista la storica promozione in Bundesliga, senza mai più retrocedere (seppur con qualche difficoltà). Negli stessi primi anni ’90, la Volkswagen del nuovo numero uno Ferdinand Piëch, succeduto a Carl Hahn, introduce in gamma la citycar Lupo (come il simbolo della città) e rinnova Golf e Polo. Ma la lscommessa più forte è la nascita del New Beetle: l’icona dell’automobilismo teutonico cambia generazione senza riuscire più a emulare l’incredibile successo di vendite della storica antenata. Promessi sposi Inizia il terzo millennio e il marchio automobilistico partecipa alla costruzione del nuovo stadio della città, comprando i diritti di denominazione (naming rights) dell’impianto, ribattezzato Volkswagen Arena. Nel frattempo, la squadra assaggia per la prima volta l’esperienza europea in Coppa Uefa. La stessa competizione la ritroverà nel 2007, l’anno in cui Volkswagen acquisisce il 100% delle quote del club, affidandolo a Hans Dieter Pötsch, presidente del Consiglio di Sorveglianza del costruttore. La svolta Wolfsburg città volta pagina. Nel 2007, Volkswagen presenta Tiguan. Al suo debutto, il suv compatto di medie dimensioni raggiunge ottimi risultati: 120mila unità vendute. Parallelamente, i biancoverdi allenati da Felix Magath, ex campione tedesco, compiono un vero e proprio miracolo sportivo: stagione 2008/09, il Wolsfburg diventa campione di Germania per la prima volta nella sua storia. Una macchina perfetta, composta da “ingegneri” di livello internazionale, tra cui gli italiani Barzagli e Zaccardo e i bomber Dzeko e Grafite, tandem d’attacco micidiale, autore di 54 goal complessivi.
Flessione imprevista Da quando è proprietaria del club della sua città, Volkswagen ha investito una media di 100 milioni di euro a stagione, acquistando giocatori del calibro internazionale di André Schürrle e Julian Draxler, campioni del mondo con la Germania nel 2014 in Brasile. Gli investimenti, però, non sono stati all’altezza dei risultati raggiunti: la squadra, dopo il trionfo del 2009, ha vinto solo una coppa e una supercoppa nazionali. Nonostante l’exploit vissuto nella Champions League 2015/16 – eliminato ai quarti dal Real Madrid – il Wolfsburg ha vissuto perlopiù momenti difficili, proprio in contemporanea con quelli della Casa automobilistica impelagata nello scandalo Dieselgate dal settembre 2015. A un certo punto si pensò anche di tagliare le attività di sponsorizzazione, calcio compreso. Alla fine c’è stato solo un piccolo ridimensionamento, mentre nelle ultime due stagioni il club ha rischiato di retrocedere in seconda divisione, pericolo scampato solo dopo lo spareggio con la terza classificata della Zweite Liga, la nostra Serie B. Nuovi investimenti Da quest’anno, Volkswagen è anche il nuovo sponsor della nazionale di calcio della Germania. La Casa ora guidata dall’amministratore delegato Herbert Diess ha preso il posto della rivale Mercedes – al fianco della Deutsche Fußballnationalmannschaft da 45 anni – mettendo sul tavolo circa 30 milioni di euro a stagione.
SICUREZZA
Al volante per un Super Bowl sicuro. PAOLO BORGOGNONE
■ “I tifosi non lasciano che i tifosi guidino ubriachi”. È il motto scelto per la campagna 2019 realizzata dall’Nhtsa – l’Ente 1 Febbraio 2019 ·
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per la sicurezza stradale negli Usa – dedicata alla giornata del 3 febbraio. Quella domenica gli occhi di tutta America (e non solo) saranno concentrati su Atlanta dove si giocherà il Super Bowl numero 53, la finale del campionato di football. Ma non sarà solo la città della Georgia e il suo bellissimo “Mercedes Benz Stadium” ad accogliere i tifosi in festa per l’annuale appuntamento sportivo più seguito d’America. Festa per tutti Ogni anno oltre 100 milioni di americani si sintonizzano sul canale che trasmette l’incontro (quest’anno la Cbs) e a prescindere da chi andrà in campo l’evento sarà l’occasione per incontrarsi, passare del tempo in famiglia o con amici. Magari bevendo qualche birra. Ecco che allora, come sempre, l’Nhtsa ricorda l’importanza di lasciare spazio solo alla festa e invita tutti i fan a organizzarsi in anticipo, magari attraverso la figura del guidatore designato, qualcuno che sceglie di moderarsi nel bere per poter essere in grado di aiutare gli altri a tornare in sicurezza a casa. L’Nhtsa ha realizzato come ogni anno leaflet, striscioni, adesivi e ogni possibile strumento di comunicazione per ricordare a tutti l’importanza dei comportamenti corretti prima di mettersi alla guida. Quanto al campo, che vinca il migliore.
SMART MOBILITY
Turo e Avis Il primo accordo è stato siglato con Turo, una startup che permette ai proprietari di un’auto di metterla in condivisione quando non viene utilizzata e che conta più di 350mila modelli sulla sua piattaforma. Più innovativa invece la soluzione che Fca ha concordato con Avis, la nota società di noleggio americana. I proprietari delle Jeep avranno la facoltà di scambiare la propria vettura con un altro modello del gruppo Fca pagando una tariffa fissa mensile. Lo scambio è limitato a sei prodotti. Per i primi 100 iscritti I due progetti pilota avranno una durata di tre mesi e saranno limitati ai primi 100 proprietari che si iscriveranno ai servizi. Una volta concluso il periodo di prova, Fca deciderà se confermare o meno i progetti. “Conosciamo bene tutti i vantaggi e gli svantaggi che possono portare i servizi di questo tipo in abbonamento. Sarà senz’altro una sfida”, ha dichiarato Tim Kuniskis, responsabile del marchio Jeep per il Nord America. “Il progetto è in fase sperimentale. Proviamo a fare questo passo e ci riserveremo la facoltà alla fine dei tre mesi di continuare oppure no”.
SMART MOBILITY
Jeep, il car sharing parte da Boston.
Congestion charge a Los Angeles.
GIOVANNI BARBERO
VALERIO ANTONINI
■ Fca sta sperimentando nuove soluzioni per attrarre ulteriore interesse verso il marchio Jeep che, al momento, è il suo fiore all’occhiello e che è a tutti gli effetti il suo brand globale. A Boston sono partite due iniziative legate al car sharing, che permetteranno ai possessori di Jeep di mettere a noleggio o di scambiare la propria auto con altri modelli del gruppo.
■ La Metropolitan Transportation Authority di Los Angeles sta facendo sempre più pressione sulle amministrazioni locali per introdurre – possibilmente entro il 2021 – una forma di tassazione sugli automobilisti, una “Congestion charge” sulla falsariga di quelle già in vigore in città europee come Londra.
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· 1 Febbraio 2019
Proposta al vaglio La proposta attualmente allo studio e che deve essere ancora vagliata dagli organi legiferanti, includerebbe l’assegnazione di corsie riservate agli innumerevoli caselli autostradali di ingresso alla città per chi paga l’imposta. La tariffazione potrebbe essere decisa anche in base al numero di chilometri percorsi o con l’addebito di un importo fisso (nell’ordine dei 5 dollari) per accedere in determinati quartieri come Downtown – la zona centrale cuore degli affari – e Beverly Hills. Non c’è scelta Per anni i governi della California meridionale – l’area tra Los Angeles, San Francisco e San Diego che ospita gran parte dell’economia dello stato – hanno evitato di prendere decisioni che aumentassero i costi per gli automobilisti, nel timore di inimicarsi una parte importante del proprio elettorato. “Oggi – dicono alcuni responsabili dell’agenzia dei trasporti di Los Angeles – la congestione nelle arterie principali della città è cresciuta così tanto che i politici non avranno altra scelta che tassare il passaggio nelle zone più trafficate. Anche i cittadini non sanno più come evitare il traffico, sono esausti”. 100 ore l’anno in auto Secondo gli esperti della società dei trasporti pubblici dello stato della California, imporre dei pedaggi per raggiungere determinati punti della città consentirebbe spostamenti più veloci e quindi meno inquinanti e costosi per la comunità. La nuova tassa vorrebbe spingere i “Los Angelenos” – che lo scorso anno hanno passato di media oltre 100 ore a testa nel traffico – a desistere dal prendere quotidianamente l’auto, liberando spazio per accelerare il servizio di autobus. I mezzi pubblici, a fronte delle nuove entrate, potrebbero diventare totalmente gratuiti. 120 miliardi per le Olimpiadi Soprattutto in vista dell’organizzazione dei Giochi Olimpici che si svolgeranno nell’estate del 2028, Los Angeles vuole presentarsi nei prossimi anni come una delle più avanzate smart cities del mondo: intelligente, connessa e sostenibile. L’amministrazione del sindaco Eric Garcetti ha pronto il suo piano d’azione: è stata preparata una lista di 28 progetti per facilitare la mobilità urbana (soprannominata “i 28 del ’28”) che potrebbero usufruire di finanziamenti proprio grazie alla ventilata Congestion charge e che in tutto dovrebbero costare 120 miliardi di dollari. I dubbi del sindaco Se la proposta dovesse passare – secondo quanto dicono le stime delle Metropolitan Transportation Authority – potrebbero entrare nelle casse dello Stato oltre 112 miliardi in dieci anni. Denaro da ridistribuire per lo sviluppo della mobilità urbana in vista dell’appuntamento a cinque cerchi. “Non sono favorevole per principio a forme di tassazione ulteriore della mobilità – ha detto il primo cittadino della Big Orange (il soprannome di L.A. in contrasto con New York, la Big Apple) – ma se funzionasse e ci aiutasse a raggiungere i nostri scopi, sono disposto a parlarne”.
INNOVAZIONE
Mit Boston, frontiera dell’auto autonoma. PATRIZIA LICATA
■ Boston culla dell’auto autonoma? Forse no, ma di certo la città affacciata sulla confluenza dei fiumi Charles e Mistyc può vantare uno dei centri di eccellenza internazionale nello studio – fra le altre – della robotica applicata alla guida. Gli scienziati del Massachusetts Institute of Technology (Mit) – nel loro storico campus di Cambridge, nel nord della città – lavorano in modo continuo sulla tecnologia driverless. Una novità è il sistema che potrebbe consentire all’intelligenza artificiale di districarsi in una delle situazioni potenzialmente più difficili. In autostrada, all’improvviso nello specchietto retrovisore appare la sagoma bianca di un’ambulanza che si avvicina, accompagnata dalle luci e dalle sirene spiegate. Per noi umani è facile accostare e lasciar passare. Ma l’auto a guida autonoma? Potrebbe avere – se così si può dire – un dubbio. Il software non ha occhi e orecchie. Nel suo sistema l’ambulanza è classificata come una serie di dati che ne forniscono la descrizione il cui elemento chiave è: grande veicolo bianco. Gli esperti del Massachusetts Institute of Technology e di Microsoft hanno definito queste zone grigie della guida autonoma come “blind spots”. Sono elementi ambigui che possono generare una decisione errata della macchina e che vanno affrontati subito per rendere sicuri e affidabili i trasporti automatizzati del futuro. La soluzione trovata al Mit è che il robot alla guida fa accostare l’auto, come farebbe un essere umano. Virtuale o reale? I ricercatori hanno individuato una serie di situazioni, come quella dell’ambulanza in autostrada, in cui ciò che le auto au1 Febbraio 2019 ·
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tonome “imparano” in laboratorio non combacia con quello che capita nel mondo reale. Le auto-robot o, meglio, i loro sistemi che contengono i dati e le tecnologie di intelligenza artificiale che li elaborano per prendere decisioni, vengono testati in ambienti virtuali che simulano i molteplici scenari della guida su strada. Di solito questo è sufficiente a istruire la macchina, ma in alcuni casi, una volta messa nell’ambiente reale, l’auto autonoma può comportarsi in modo non corretto. La soluzione, secondo i ricercatori, è nell’affiancare in fase di training un istruttore in carne ed ossa: le simulazioni non bastano. Ci vuole l’istruttore (umano) Nel metodo che viene studiato dal Mit l’auto autonoma prima viene testata negli ambienti virtuali, poi viene messa su strada, in situazioni controllate ma reali, insieme a un istruttore in carne ed ossa che analizza e riporta tutti i casi in cui la macchina non si comporta nel modo corretto. “L’idea è di
usare le persone per colmare il divario tra simulazione e guida su strada, in modo sicuro, così da ridurre i possibili errori”, afferma Ramya Ramakrishnan, autore della ricerca “Computer science and artificial intelligence laboratory” del Mit. L’istruttore agisce in due modi. Il primo sono le “dimostrazioni”: l’essere umano mostra il comportamento corretto nel mondo reale e la macchina osserva e impara. Il secondo sono le “correzioni”: l’essere umano è nel veicolo come osservatore ma se l’auto prende una decisione non corretta l’uomo assume i comandi e l’auto registra l’intervento, associandolo a un suo errore. L’obiettivo è fare un catalogo dei “blind spots” e un potenziamento dei programmi usati per l’apprendimento dei veicoli driverless, che si arricchiscono con i dati raccolti dagli istruttori di guida negli ambienti reali. L’insieme delle informazioni viene inserita nei sistemi di machine learning dell’auto autonoma migliorando l’affidabilità e la sicurezza della macchina. Poi guiderà da sola, ma per ora impara dalla conoscenza umana.
LIFESTYLE
Colin Kaepernick, 31 anni in prima linea. PAOLO BORGOGNONE Ogni generazione ha i suoi eroi sportivi. Atleti capaci di andare oltre la fama, i successi, i soldi, le auto fuoriserie e di lasciare un segno nella società. Uno dei più importanti dell’ultima generazione, capace di grandi successi sul campo ma soprattutto di azioni clamorose al di fuori, è nato il 3 novembre del 1987 e compie 31 anni. Si chiama Colin Kaepernick, fa (anzi faceva perché è senza contratto e dopo capiremo il perché) il giocatore di football americano ed era uno dei migliori, tanto da essere nel 2014 scelto come testimonial dalla Jaguar (a proposito, a casa ne ha una collezione). Colin è colui che – inginocchiandosi invece di stare sull’attenti durante l’inno americano trasmesso prima delle partite – ha dato vita a una nuova protesta che ha coinvolto dapprima molti giocatori di colore e poi via via l’intero movimento del football Usa. Figlio di Milwaukee Quella di Colin Rand Kaepernick è la classica storia che piace agli americani. Nato a Milwaukee da madre bianca e padre afroamericano dileguatosi prima della sua nascita viene dato in adozione a una famiglia della middle class del Wisconsin poi trasferita in California. La sua parabola inizia a 8 anni, quando diventa quarterback della squadra della scuola elementare, prosegue all’high school e poi all’università del Nevada dove sceglie definitivamente il football, dopo aver ottenuto record e risultati notevoli anche nel basket e nel baseball. Il 2011 è l’anno del debutto tra i professionisti nella National Football League con la maglia rossa e oro dei 10
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· 1 Febbraio 2019
San Francisco 49ers. Due anni dopo Kaepernick porta la sua squadra al Superbowl 47, quello giocato a New Orleans dopo che l’uragano Kathrina aveva distrutto la città. La partita è passata alla storia come il “Brothers Bowl” in quanto per la prima volta due fratelli, John e Jim Harbaugh si sono sfidati come capo allenatori delle due formazioni protagoniste, i 49ers appunto e i Baltimore Ravens che si sono imposti alla fine per 34 a 31. Campione in Jaguar Raggiunto il successo professionale e firmato un sontuoso contratto pluriennale con San Francisco, Colin segue la strada di molti suoi colleghi e diventa testimonial di una Casa automobilistica. Non una qualunque, ma la Jaguar che lo rende protagonista al lancio negli Usa di alcuni dei suoi modelli più importanti, come la F-Type (nel 2014). Kaepernick dimostra di apprezzare e il suo garage è da allora composto proprio dalle auto del marchio inglese di proprietà degli indiani di Tata. A New York dove ora vive lo hanno visto al volante di due F-Type di colore arancione – di cui una decappottabile – e di una Xj bianca di cui lui stesso ha pubblicato un’immagine su Instagram chiamandola “la mia bambina”. Il giorno della protesta La storia personale e la carriera di Colin cambiano completamente il 26 agosto 2016. Prima di una amichevole precampionato contro i Green Bay Packers, Kaepernick rima-
ne seduto in panchina durante la tradizionale esecuzione dell’inno nazionale. Non è la prima volta che lo fa ma stavolta la foto finisce sui social e inizia il pandemonio. Ai cronisti che gli chiedono spiegazioni il giocatore risponderà: “Non dimostrerò in piedi l’orgoglio per la bandiera di un Paese che opprime i neri e le minoranze etniche”. In quell’estate del 2016 i telegiornali americani riportano la notizia dell’uccisione di diversi afroamericani a opera della polizia. “Un altro uomo disarmato freddato solo per il colore della sua pelle. Ci stanno linciando”, commenta il quarterback dei 49ers sulla sua pagina Facebook dopo l’ennesima tragedia. Il 6 luglio, poi, si diffondono online le scene terribili dell’uccisione di Philando Castile, un 32enne di colore di Falcon Heights, Minnesota, che non portava armi con sé, ucciso nella sua auto da un poliziotto che lo aveva fermato per un controllo. “Siamo sotto attacco” scrive sui social Kaepernick il giorno successivo, postando il video, girato dalla fidanzata della vittima, con le terribili immagini di Castile agonizzante sul sedile della sua auto. Come Alì La reazione di Kaepernick – mettere un ginocchio a terra durante l’esecuzione dell’inno – viene subito imitata, prima da alcuni compagni di squadra, poi anche da altri giocatori della Nfl. L’America è in piena campagna elettorale per l’elezione del successore di Barack Obama e il candidato repubblicano Donald Trump attacca il campione dei 49ers: “Dovrebbe trovarsi un Paese più adatto a lui” le dure parole del futuro inquilino della Casa Bianca. Anche molti proprietari di squadre del campionato si schierano contro le proteste. Ben 7 di loro, scopre la stampa Usa, stanno finanziando con generose donazioni da milioni di dollari la campagna di Trump. A San Francisco sostenitori del candidato repubblicano bruciano le maglie con il numero 7 del loro stesso quarterback e c’è chi parla di offesa ai caduti militari e di vilipendio alla bandiera. Una storia tornata in ballo durante
queste settimane di campagna per le elezioni del Mid Term. A tutto questo si contrappone un’altra America, quella che sostiene Kaepernick e la sua protesta. Uno storico attivista per i diritti civili, il sociologo Harry Edwards – quello che spinse i suoi colleghi della San josè University Tommy Smith e John Carlos ad alzare il pugno guantato di nero durante la cerimonia di premiazione per le medaglie appena vinte nei 200 metri piani alle Olimpiadi di Mexico 68 – definisce Colin “il Muhammad Alì della sua generazione”. Il riferimento è chiaramente al rifiuto dell’allora campione del mondo dei pesi massimi di servire come militare in Vietnam, gesto che costò al pugile più celebre della storia il titolo mondiale, un breve soggiorno in galera e la licenza per combattere. Sogni pazzi Anche Kaepernick ha pagato a caro prezzo la sua presa di posizione. I San Francisco 49ers lo hanno licenziato, rompendo il contratto da oltre 16 milioni di dollari l’anno e nessuna squadra lo ha da allora preso in considerazione. Questo non ha fermato il ragazzo di Milwaukee dall’impegnarsi nella società. Sono molte – e spesso anche poco conosciute – le iniziative benefiche che hanno ricevuto suoi assegni. Tra questi la “Black Veterans for Social Justice” di Brooklyn o la “H.o.m.e.” (Helping Oppressed Mothers to Endure), un’organizzazione che affianca le ragazze madri in Georgia. Il nome di Kaepernick comunque non smette di fare notizia. Nel 2018 la Nike lo ha messo sotto contratto come testimonial, suscitando un vespaio di polemiche ma vedendo anche una crescita di parecchi punti percentuali delle vendite. Il video della campagna pubblicitaria mostra atleti di ogni età, razza e condizione fisica e afferma che non ci siano limiti o confini che non si possano superare, barriere impossibili da abbattere. Nel finale del video è Kaepernick stesso a prendere la parola: “Non chiedetevi se i vostri sogni sono pazzi. Chiedetevi soltanto quanto lo siano”. 1 Febbraio 2019 ·
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LIFESTYLE
Spot auto in cerca d’attore. GIUSEPPE CESARO
■ Attori, artisti, cantanti, campioni dello sport, icone dello spettacolo: sembrano loro i testimonial preferiti dell’industria dell’auto. Da Clint Eastwood (Ram, Dodge, Jeep & Chrysler) a Tiger Woods (Buick), da Di Caprio (Honda) a Celine Dion (Chrysler), da Daniel Craig (Range Rover) a Andy Murray (Jaguar), da Jude Law (Lexus) a Kylie Minogue (Ford): impossibile citarli tutti. Scartabellando, però, nei media internazionali capita di fare incontri curiosi o divertenti che vale la pena raccontare. 1966. Provaci ancora Wilt! “Quando Wilt Chamberlain – 2 metri e 16 – ha provato a entrare in una Volkswagen tutti hanno commentato: ‘È impossibile!’”, recita lo speaker di uno spot del 1966 per il Maggiolino. Seguono alcune immagini dei tentativi, destinati al fallimento, di Chamberlain (uno dei più grandi cestisti della storia dell’Nba). “E, in effetti, è impossibile – riprende la voce – in compenso, c’è un sacco di spazio per Bill Cunningham (compagno di squadra di Chamberlain, nei Philadelphia 76ers), il quale, però, è alto solo 1 12
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metro e 98!”. A questo punto si vede Cunningham entrare nel Maggiolino, accendere il motore e si allontanarsi, sotto lo sguardo sconsolato dell’amico Wilt: miglior rimbalzista di sempre (23.924 rimbalzi), sesto miglior realizzatore (31.419 punti), con una media punti a partita (30,07) seconda solo a quella di Michael Jordan (30,12). Come dire: il Maggiolino può molto ma non tutto: non chiedetegli l’impossibile. È Jennifer quella sul “Cinquino”? “Ecco, questo è il mio mondo. Questo posto mi ispira. Mi invita a essere più ‘dura’, più attenta, a pensare più velocemente. A voi potranno sembrare semplici strade ma per me sono un parco giochi”. La voce è quella di Jennifer Lopez, cantante-attrice tra le più amate e premiate: 7 Billboard Music Award, 7 MTV Video Music Award, 5 Billboard Latin Music Award, 4 Alma Award, 3 Mtv Europe Music Award, 3 American Music Award, 2 World Music Awards, 2 MTV Movie Award, 1 nomination ai Golden Globe, 2 ai Grammy, solo per ricordare i riconoscimen-
ti più prestigiosi. Siamo a New York, l’anno è il 2011, e l’auto al volante della quale J-Lo torna nel suo quartiere d’origine, il Bronx – dipinto come luminoso, famigliare, pacifico e felice – è una raggiante Fiat 500 cabrio, bianco latte. Qualcosa, però, sembra che non abbia funzionato. Più di qualcuno, infatti, mise in dubbio il fatto che la Lopez fosse davvero al volante, insinuando che, nelle scene girate nel Bronx, al suo posto ci fosse una controfigura. Indiscrezioni di stampa riportavano, infatti, che – mentre, a New York, si girava lo spot – la star se ne andava in giro per le strade di Los Angeles. A bordo di una 500, bisogna dire, però, a onor del vero.
vane Robert De Niro – 5 film all’attivo (in due dei quali, non appariva nemmeno nei crediti) – ancora lontano da quel “Mean Streets” (1973) – scritto e diretto da Martin Scorsese (anch’esso ambientato a “Little Italy”) – che lo proietterà sulla scena cinematografica internazionale.
De Niro ambasciatore dell’Ambassador “Non ci vuole una fortuna per comprare una Ambassador 1970. Sembra che sia così”. New York. La strada profuma di “Little Italy”. Una berlina lunga più di 5 metri, accosta davanti a un negozietto di frutta e verdura. “Ehi, ma’, pa’: Joe ha una macchina nuova!”, strilla un ragazzino. Una coppia in grembiule bianco si affaccia sul marciapiedi. “E chi è questo pezzo grosso?”, commenta il padre. “Il fighetto è appena uscito dall’università e già si compra un’auto costosa…”. “Joe – interviene la madre, preoccupata – avevi davvero bisogno di un’auto così costosa?”. “Ehi’, mamma, non costa così tanto”, replica l’uomo. Poi si china verso il finestrino e, accompagnandosi con una gestualità tipicamente italiana, strilla al fratello piccolo: “Ehi, Ritchie: tira giù quelle sneaker dai sedili, coraggio!” E il ragazzino: “Mamma: Joe ha l’aria condizionata!”. “Ma è troppo lussuosa, Joe!” “Ma no, l’Ambassador è così di serie. Coraggio: andiamo a farci un giro!” “Ma Joe – si schermisce la donna, toccandosi i capelli, imbarazzata – non sono in ordine”. “Ma sei bellissima!” Chi è il dandy italo-americano protagonista dello spot? Un gio1 Febbraio 2019 ·
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AUTO E MOTO
Renault Clio, buona la quinta. EDOARDO NASTRI
una presa d’aria di maggiori dimensioni. I fari a led sono stati disegnati seguendo la firma luminosa “C-Shape” che caratterizza gli ultimi modelli Renault. Rivoluzione interna La vera rivoluzione è avvenuta all’interno dove l’impostazione dell’abitacolo è stata completamente rivista. La battaglia con le rivali si combatte a colpi di tecnologia e qualità percepita. Al centro della plancia c’è il nuovo schermo verticale da 9,3 pollici per la gestione del sistema infotainment, il più grande mai installato su una Renault. Sotto al display ci sono alcuni comandi fisici e alla base della console quelli per la gestione della climatizzazione caratterizzati da un design circolare. Davanti agli occhi del guidatore la strumentazione analogica è stata sostituita da quella digitale grazie ad un nuovo display che può essere da 7 o 10 pollici a seconda dell’allestimento scelto. Tre versioni La nuova Clio sarà disponibile in tre versioni: Intens, la sportiveggiante RS Line e l’elegante Initiale Paris e potrà supportare tutti i nuovi sistemi di assistenza alla guida, dal Cruise Control adattivo al dispositivo per il mantenimento della corsia a quello per la gestione automatica dei fari abbaglianti.
AUTO E MOTO ■ Cinque generazioni e 15 milioni di unità nel mondo dal 1990. La Renault Clio, il modello più venduto del marchio francese, si rinnova completamente grazie alla architettura inedita (prima vettura dell’Alleanza Renault-NissanMitsubishi ad utilizzare la piattaforma CMF-B), al design di esterni ed interni rinnovato e a nuovi motori. Sarà anche ibrida La Clio è anche il primo dei 12 modelli elettrificati promessi dal Gruppo francese entro il 2022, grazie al nuovo motore ibrido E-Tech di cui saranno svelati maggiori dettagli nel corso dell’anno. Il debutto ufficiale avverrà al Salone di Ginevra 2019 (7/17 marzo). “È una vettura fondamentale per il nostro marchio dato che è la best-seller nel suo segmento e la seconda auto più venduta in Europa. Abbiamo notevolmente migliorato la qualità percepita e rivoluzionato alcune parti della vettura, soprattutto negli interni. Siamo comunque riusciti a mantenere un legame con il modello passato”, ha detto Laurens van den Acker responsabile del design del gruppo Renault. Esterni migliorati Guardando le immagini della vettura ci si accorge di alcune migliorie e cambiamenti che hanno subito gli esterni sebbene non siano stati stravolti nell’impostazione stilistica. La nuova Clio è più corta di 14 millimetri e più bassa di 30 rispetto alla precedente, ma ha interni più spaziosi. Ora è lunga 4,05 metri, larga 1,80 e alta 1,44. Gli sbalzi della carrozzeria sono stati ridotti al minimo per avere una linea più pulita e nel complesso elegante. La griglia frontale è più grande e il paraurti anteriore più pronunciato ospita 14
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Cina, pick up per Usa ed Europa. VALERIO ANTONINI
■ Pensare di vendere pick up stranieri agli americani è un po’ come sperare di piazzare gelati agli eschimesi. Eppure una giovane e rampante Casa cinese, la Kaiyun Motors - nata a Pechino nel 2014 – vuole fare proprio questo. E ha appe-
na ottenuto il via libera per iniziare la commercializzazione negli Stati Uniti del Pickman, un piccolo veicolo cassonato a batterie. La speranza dei coraggiosi imprenditori cinesi è di piazzarne 10mila entro la fine dell’anno. E poi toccherà anche all’Europa. Sfida coraggiosa Il Pickman se la dovrà vedere sul mercato a stelle e strisce con leggende come il Ford F150, il modello più venduto negli Usa. Ma come nella migliore tradizione della sfida di Davide contro Golia lo farà partendo dal basso. Il prodotto cinese, infatti, non supera i 45 all’ora di velocità massima e ha un’autonomia di soli 120 chilometri con una ricarica. Potrà trasportare a pieno carico poco meno di 500 chilogrammi di materiale. “Quello che serve alla maggior parte dei clienti”, dicono alla Kaiyun Motors. Il vantaggio per i cinesi è quello del prezzo: il piccolo Pickman elettrico, infatti, costerà negli Stati Uniti soltanto 5mila dollari. Circa un decimo rispetto al “rivale” di Detroit. A febbraio in Europa L’invasione dei piccoli pick up cinesi non si ferma agli Usa. Alla Kaiyun Motors hanno già annunciato che sono pronte le prime consegne anche per l’Europa, a partire da Italia e Germania. Da noi – a causa di regole di sicurezza maggiormente stringenti e che hanno richiesto modifiche strutturali – il Pickman costerà 5.700 euro. L’omologazione per l’Europa è arrivata a gennaio e lo sbarco dei primi esemplari è previsto per la prima settimana di febbraio, subito dopo il capodanno cinese che quest’anno cade il 5 del mese.
AUTO E MOTO
Aston Martin Rapide E, più vicina.
800 Volt e 610 cavalli A settembre 2018 il costruttore aveva reso note alcune specifiche della Rapide E. I due motori elettrici dovrebbero avere la potenza complessiva di 610 cavalli per 950 newtonmetri di coppia disponibile al tocco dell’acceleratore. Velocità massima 250 chilometri orari e 0-100 in meno di quattro secondi. Le batterie, con una capacità da 65 chilowattora consentirebbero alla vettura di percorrere circa 321 chilometri. Il sistema a batteria da 800 Volt dovrebbe essere in grado supportare la ricarica rapida da 100 chilowatt.
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Renault Twizy, nuova vita in Asia. EDOARDO NASTRI
GIOVANNI BARBERO ■ “Un momento straordinario per la storia di Aston Martin”. Andy Palmer, il ceo del marchio delle sportive inglesi, ha twittato questa frase riferendosi a un video che mostra i primi passi mossi dal prototipo dell’elettrica Rapide E. Le immagini riprendono una Rapide che si muove silenziosamente nel retro di quella che sembra essere una fabbrica. La prima elettrica del marchio inglese dovrebbe arrivare, secondo quanto dichiarato da Aston Martin, entro la fine dell’anno. La vettura verrà prodotta in Galles in edizione limitata a 155 esemplari ed è sviluppata in collaborazione con la Williams Advanced Engeneering. Rivale numero uno nel mirino sarà la Porsche Taycan che arriverà anch’essa nel 2019. Alla Rapide E dovrebbe poi seguire nel 2021 un suv a zero emissioni marchiato Lagonda.
■ La Renaut Twizy trova nuova vita in Asia. Il costruttore francese ha deciso di spostare in Corea del Sud la produzione della piccola elettrica a partire dal mese di marzo dove la Twizy sta avendo notevole successo e viene venduto circa il 1 Febbraio 2019 ·
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60% delle unità prodotte. Nella fabbrica coreana di Busan Renault prevede di costruirne circa 5mila esemplari l’anno con specifiche tecniche che saranno potenziate rispetto all’attuale versione che vede la luce in Europa nello stabilimento spagnolo di Valladolid. “La sede centrale ritiene che la produzione della Twizy in Corea sarà più efficiente e potrà soddisfare in maniera adeguata la richiesta”, ha fatto sapere un portavoce di Renault. In Corea del Sud la piccola elettrica francese occupa il primo posto del suo segmento con una quota di mercato dell’80%. Solo a novembre dello scorso anno nel paese asiatico sono state vendute più di 1.400 unità. Ideale per le consegne In Europa la due ruote elettrica non ha avuto il successo sperato e attualmente è al di sotto degli obiettivi di vendita stabiliti. “La Twizy non è morta e noi non abbiamo intenzione di smettere di fare questo modello. Siamo stati in grado di personalizzarlo per la domanda locale in Corea ed è perfetto per le società di servizi, come le poste e le aziende di consegne. Il mercato coreano ha risposto molto bene alla nostra offerta”, ha dichiarato Gilles Normand, responsabile dei veicoli elettrici di Renault. La Twizy sembra attrarre l’interesse dei clienti per diverse ragioni: è ultra compatta, adatta e agile per girare nei vicoli stretti delle città ed è facile da parcheggiare. Alcune attività commerciali, come le catene di Fast Food BBQ e Mr.Pizza, l’hanno scelta come veicolo per le consegne, dato che può essere scelta in versione cargo e godere così di un bagagliaio da 180 litri di carico e sopportare un peso di circa 75 chilogrammi. Due versioni di potenza Anticipata dal concept Z.E. al salone di Francoforte del 2009, la Renault Twizy è un quadriciclo elettrico in vendita dal 2012. Il primo anno le immatricolazioni superarono le 9mila unità ma successivamente ci fu una contrazione di circa 2mila vetture all’anno. Attualmente in Italia è proposta in due versioni di potenza: la prima con un motore elettrico da 4 chilowatt e 45 chilometri orari di velocità massima (guidabile dai 14 anni di età con patente AM), la seconda con motore da 8 chilowatt e 80 chilometri orari di velocità massima (guidabile dai 16 anni con patente B1, oppure dai 18 anni con patente B).
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Opel Insignia, dance on ice. SAMUELE MARIA TREMIGLIOZZI ■ TAMSWEG (Austria) – Il clima alpino non spaventa l’Opel Insignia che sfodera ottime doti dinamiche lungo le piste di ghiaccio di Thomatal, complesso dove si svolgono i Winter Training del marchio tedesco. Trazione integra16
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le e gomme termiche sono sufficienti per lasciarsi andare e per divertirsi in tutta sicurezza, anche in condizioni di scarsissima aderenza. Tanta sostanza Oggetto della prova, la versione GSi diesel del modello tedesco – la versione più performante nel listino italiano – nelle declinazioni Gran Sport (berlina) e Sports Tourer (station wagon). Sotto il cofano un 2.0 litri biturbo da 210 cavalli e 480 newtonmetri di coppia massima, abbinato al cambio automatico a 8 rapporti e alla trazione integrale. L’Insignia GSi accelera da 0 a 100 in 7,9 secondi e raggiunge una velocità di punta di 231 chilometri orari. Valori dichiarati ovviamente. Per portarla a casa si parte da 44.400 euro, con 1.000 in più si può acquistare la familiare. Pattinatrice provetta E ora il momento di scendere in pista. Quando il termometro scende sotto lo zero e all’asfalto si sostituiscono 4,5 chilometri di neve ghiacciata, gli istruttori di guida ci ricordano che i numeri del motore non contano. La differenza sta nel modo in cui la potenza viene scaricata a terra: per farlo, l’Insignia si affida a una trazione integrale Twinster, in grado di dialogare perfettamente con un’elettronica vigile ed efficace. La tedesca è perfettamente a suo agio e sembra danzare tra le curve del circuito innevato, nonostante le dimensioni generose (4,90 metri di lunghezza per la versione berlina, 9 centimetri in più per la wagon). Torque vectoring Il merito di una simile dinamica risiede nelle scelte tecniche adottate dagli ingegneri del marchio tedesco: oltre a disporre di quattro ruote motrici, l’Insignia utilizza il “torque vectoring” per acquistare maneggevolezza, precisione e stabilità anche sui fondi più scivolosi o in caso di repentini cambi di direzione. Il sistema agisce da controllo dinamico della trazione, distribuita in modo indipendente tra le ruote frontali e posteriori. In condizioni di scarsa aderenza dell’anteriore, la coppia viene trasferita – fino a 50% – al posteriore, evitando dispersione di potenza e migliorando la tenuta di strada. Il torque vectoring deve il suo funzionamento a due frizioni montate davanti ai semiasse, soluzione che permette di risparmiare peso e spazio. Il sistema di controllo della trazione migliora, inoltre, l’agilità in curva: durante la sterzata la coppia viene trasmessa alle ruote posteriori così da indurre un leggero sovrasterzo e permettere alla vettura di assecondare con maggiore facilità la curva.
Come lavora l’elettronica Il tracciato ghiacciato di Thomatal ci ha permesso di testare il lungo elenco di controlli elettronici montati sull’Insignia: oltre all’Esp (controllo elettronico della stabilità), l’ammiraglia del marchio tedesco dispone del controllo di trazione (entrambi disattivabili tramite l’apposito comando). I sistemi lavorano in sincrono e sono ben tarati: la vettura ha un comportamento pressoché neutro (se particolarmente sollecitata, tende a un leggero sottosterzo), è stabile e facile da guidare anche in condizioni non ottimali. Se si esagera con l’acceleratore, i controlli intervengono e tagliano l’erogazione del gas, ma in maniera mai invasiva. L’Abs (sistema anti-bloccaggio delle ruote) è efficace: in caso di bruschi arresti e improvvisi cambi di direzione è necessario mantenere il piede sul freno e agire dolcemente sullo sterzo affinché il sistema lavori correttamente. Ottimo l’impianto frenante firmato Brembo per la versione GSi.
AUTO E MOTO
biettivo comune di essere usati anche da chi non abbia una patente motociclistica: veicoli leggeri, maneggevoli ed agili, facili da guidare e che strizzano l’occhio soprattutto ad un pubblico giovane e alla vasta platea degli scooteristi. Sono caratterizzati da una batteria estraibile, per essere ricaricata in casa o in ufficio, utilizzando una normale presa elettrica. Una visione chiara Non si sa ancora se le due moto siano destinate alla futura produzione di serie. Di sicuro sono la riprova che la “visione” annunciata lo scorso anno e denominata More Roads to Harley-Davidson non è solo un concetto, ma una chiara strategia indirizzata verso l’obiettivo di produrre un’ampia gamma di veicoli elettrici a due ruote a zero emissioni allo scarico. Anche per rivolgersi, fidelizzandolo, a un nuovo target di motociclisti.
INNOVAZIONE
Harley Auto robot, Davidson, la rinuncia sfida elettrica. di Apple? ANTONIO VITILLO
VALERIO ANTONINI
■ Harley-Davidson, dopo aver dato notizia della commercializzazione ufficiale della LiveWire – l’attesissima prima moto a batteria della Casa di Milwaukee – ha svelato due inediti “concept”, anch’essi elettrificati. Per la presentazione delle inedite proposte si è scelta la vetrina offerta dagli X Games invernali, celebre manifestazione dedicata agli sport estremi che si svolge ad Aspen, sulle montagne del Colorado.
■ Apple starebbe rivoluzionando ancora una volta il Project Titan, il suo reparto top secret specializzato nello sviluppo dell’intelligenza artificiale che governa le auto robot. Secondo le prime indiscrezioni filtrate da Cupertino e che hanno trovato successiva conferma, almeno 200 dipendenti assegnati a questo incarico sarebbero stati licenziati o dirottati su altre funzioni.
Moto leggere per tutti I due nuovi “concept” si presentano innovativi sia nel design che nella dotazione tecnologica. Si pongono l’o-
Tagli in vista La notizia, rilanciata nei giorni scorsi dalla emittente americana Cnbc, è stata avvalorata dalle conferme di un portavoce dell’azienda: “Per il 2019, alcuni talentuosi professionisti del 1 Febbraio 2019 ·
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Project Titan dovranno lasciarci. Ma la maggior parte di loro sarà ricollocata in altri reparti con l’obiettivo di accelerare, in tutta Apple, il processo di apprendimento automatico delle intelligenze artificiali e le relative tecnologie applicate”. Detta così sembra assumere quasi i contorni di una promozione. Sta di fatto che il Project Titan (o quello che ne rimane) continua a perdere pezzi e cambiare volto. Nato con l’intenzione di sviluppare un vero e proprio veicolo a guida autonoma – la Apple Car – il programma è stato poi ridimensionato al “semplice” studio dei software applicati al governo di mezzi già esistenti. Alla sua guida, la scorsa estate, è tornato Doug Field che aveva già lavorato per la “mela” prima di diventare il responsabile dello sviluppo della Tesla Model 3.
INNOVAZIONE
Hyundai, airbag pronti.
ni più disparate cui più andare incontro un’auto durante un sinistro. Questo, considerando diverse statistiche secondo le quali gli incidenti a collisione multipla avvengono nella maggior parte dei casi per veicoli che invadono la corsia opposta (30,8%), vetture che si fermano improvvisamente ai caselli autostradali (15,3%), urti contro lo spartitraffico (8%) e collisioni contro alberi o pali della luce (4%).
PAESE
Metano, via al self service. MARINA FANARA
PAOLO ODINZOV
■ Presto chi ha un’auto a metano potrà fare il pieno in autonomia, senza per forza ricorrere a uno degli addetti all’area di servizio, come è tuttora obbligatorio. La Commissione europea, infatti, ha dato il via libera a un provvedimento che autorizza il self service in Italia per il rifornimento di gas naturale e che interessa circa un milione di automobilisti. ■ A breve le vetture del gruppo Hyundai verranno equipaggiate con airbag d’ultima generazione in grado di proteggere gli occupanti anche in caso di impatti multipli che caratterizzano circa il 30% degli incidenti. “Si tratta di una tecnologia – spiega Taesoo Chi, capo dello Chassis Technology Center di Hyundai Motor Group, che potrà migliorare significativamente la sicurezza sulle auto”. Viene analizzata la posizione degli occupanti A differenza di quanto avviene nei tradizionali dispositivi airbag, il sistema sviluppato da Hyundai analizza la posizione degli occupanti per stabilire se, pur non avendo la prima collisione attivato gli airbag, sia comunque necessaria la loro apertura in seguito a un altro impatto. Ciò comporta l’impiego di un processore e di un software capaci di elaborare in millesimi di secondo tutto quello che accade all’esterno e all’interno della vettura. Per consentire l’ottimale funzionamento degli airbag i tecnici di Seul hanno effetato test e ricerche simulando le situazio18
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· 1 Febbraio 2019
Superato l’esame di Bruxelles Federmetano e Metanoauto, le due associazioni di categoria, annunciano che Bruxelles ha concluso “senza osservazioni e variazioni, il suo iter di valutazione dello schema di decreto che modifica il testo, attualmente in vigore, della norma inerente l’esercizio degli impianti di distribuzione stradale del gas naturale per autotrazione e che permetterebbe il rifornimento di metano in modalità self service”. Ora il provvedimento dovrà essere firmato dai ministeri dell’Interno e dello Sviluppo economico e pubblicato in Gazzetta Ufficiale (si stima intorno alla fine di febbraio prossimo). Trascorsi 30 giorni, la nuova norma sarà concretamente in vigore, quindi, presumibilmente verso l’inizio di aprile. Ricordiamo che in Italia sono attivi circa 1.200 distributori di metano, mentre le auto a gas naturale in circolazione (dati ACI 2017) ammontano in tutto a 926.626 e sono concentrate per lo più nel nord est del paese (319.269 autovetture). La classifica regionale però vede in testa l’Emilia Romagna, seguita da Marche e Veneto.
PAESE
Anas, arrivano le colonnine in autostrada. FRANCESCA NADIN
e sostenibile e contribuisce al programma per la riduzione delle polveri sottili previsto dalle norme europee”. “A ulteriore conferma della nostra attenzione alla qualità dell’aria”, aggiunge Claudio Andrea Gemme, presidente Anas, “abbiamo avviato un’altra iniziativa: le aree di servizio della nostra rete saranno dotate di isole ecologiche per la raccolta degli oli esausti”.
PAESE
Elviten, carica per l’Europa. REDAZIONE
■ L’Anas ha avviato il piano per installare le colonnine di ricarica veloce dei veicoli elettrici in tutte le aree di servizio delle autostrade di sua competenza: Grande raccordo anulare di Roma (Gra) e Roma-Fiumicino, A2 del Mediterraneo (ex Salerno-Reggio Calabria) e A19 Palermo-Catania. Le colonnine in calendario I bandi sono stati pubblicati e sono stati dati anche i tempi: entro la fine del 2019, le nuove infrastrutture elettriche di tipo veloce (per la ricarica servono circa 30 minuti) saranno operative in 10 stazioni di rifornimento distribuite tra Gra (dove c’è già una colonnina nell’area di servizio Selva Candida Esterna) e autostrada per l’aeroporto “Leonardo da Vinci”. Dal 2020, si procederà per l’installazione sulla A2 del Mediterraneo (21 aree di servizio) e sull’autostrada siciliana Palermo-Catania (una decina di distributori). Aree di servizio per tutti L’Anas sottolinea che i bandi per il servizio “Oil” prevedono che i distributori di carburante, per ottenere la concessione, dovranno garantire, oltre al rifornimento di benzina e gasolio, anche la ricarica veloce per i veicoli elettrici in tutte le aree di servizio della rete, oltre al Gpl e metano (dove è tecnicamente possibile). Le colonnine, in particolare, dovranno essere di tipo multi-standard a potenza elevata, in modo da permettere la ricarica a ogni tipo di auto a batteria. Rifornimento ecologico “Questo progetto”, dichiara Massimo Simonini, amministratore delegato di Anas, “conferma il nostro impegno per lo sviluppo del Piano nazionale sulla mobilità elettrica
■ Dalla fine del mese di gennaio il progetto europeo Elviten – sotto la supervisione della Fia Region I (Europa e Africa) – sarà avviato in tre delle sei città del vecchio continente (Trikala, Genova, Malaga, alle quali si aggiungeranno Roma, Berlino e Bari) che prevede la dotazione, nelle aree urbane, di veicoli elettrici leggeri (El-Vs). Il consorzio riunisce 21 partner provenienti da diversi Paesi. Tre delle sei città pilota dell’iniziativa si doteranno di tricicli (10), quadricicli (10) e bici elettriche (40) a disposizione per i cittadini per un anno. La città di Malaga fornirà anche punti di ricarica e stazioni per le e-bikes. Anche Genova Il progetto è partito nel novembre del 2017 e il termine è previsto a fine 2020. Il costo totale è di 9,5 milioni di euro e il contributo dell’Unione Europea è di 7,8 milioni. L’obiettivo è quello di agevolare la distribuzione sul mercato di una mobilità sostenibile, integrando le città di infrastrutture e piattaforme all’avanguardia. Infine, incentivare l’uso di mezzi a batteria per i viaggiatori urbani, fornendo un’esperienza migliore. La Region I della FIA è responsabile anche della sensibilizzazione dei cittadini di tutte le città partecipanti al progetto, attraverso la campagna di comunicazione individuata dallo slogan #LetsGoElectric. 1 Febbraio 2019 ·
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LIFESTYLE
Paul Newman, pilota per sempre. GIUSEPPE CESARO
■ “Recita la sua parte con il fervore emotivo di un autista di autobus che annuncia le fermate locali”. Delle due l’una: o l’attore che aveva impersonato Basilio ne “Il calice d’argento” (1954) aveva sbagliato carriera oppure il critico cinematografico del New Yorker aveva mandato al cinema il suo pesciolino rosso. Tertium non datur. Il film segnava l’esordio sul grande schermo di un aitante trentenne con all’attivo una manciata di apparizioni in qualche serie tv. Chi avrebbe mai immaginato, però, che quel giovane uomo sarebbe diventato una delle stelle più grandi, luminose e affascinanti dell’intero firmamento hollywoodiano? Non il New Yorker, evidentemente. Di chi stiamo parlando? Di Paul Leonard Newman, nato a Shaker Heights (Ohio) il 26 gennaio 1925: 94 anni fa esatti. Quaggiù qualcuno lo ama Forse vi sorprenderà scoprire che il critico del New Yorker aveva ragione. Di certo, però, non vi sorprenderanno onestà intellettuale, franchezza e schiettezza che caratterizzeranno sempre Newman, il quale chiese pubblica20
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· 1 Febbraio 2019
mente scusa per la sua scadente interpretazione, acquistando un’intera pagina di un quotidiano nazionale. Due anni dopo, il suo Rocky Graziano – leggenda del ring negli anni ’40 – lo imporrà all’attenzione di pubblico e critica. È “Lassù qualcuno mi ama” (1956), firmato Robert Wise. Titolo profetico: più di qualcuno, infatti, comincerà ad amare Newman anche quaggiù. E non smetterà più. Carriera stellare Impossibile sintetizzare, senza falcidiarla, una carriera come quella di Newman: 56 film in 48 anni, con un’interminabile lista di titoli immortali come “La lunga estate calda” (1958), “La gatta sul tetto che scotta” (1958, nomination Oscar miglior attore), “Lo spaccone” (1961, nomination Oscar e Golden Globe miglior attore), “La dolce ala della giovinezza” (1962, nomination Golden Globe miglior attore), “Hud il selvaggio” (1963, nomination Oscar e Golden Globe miglior attore), “Intrigo a Stoccolma” (1963), “Il sipario strappato” (1966), “Nick mano fredda” (1967, nomination Oscar e Golden Globe miglior attore), “Butch Cassidy”
(1969), “La stangata” (1973: che conquisterà 7 Oscar su 10 nomination), “Diritto di cronaca” (1981, nomination Oscar miglior attore), “Il verdetto” (1982, nomination Oscar e Golden Globe miglior attore), “Il colore dei soldi” (1986, Oscar come migliore attore e nomination ai Golden Globe) ed “Era mio padre” (2002), nomination come migliore attore non protagonista sia agli Oscar che ai Golden Globe. Golden Globe alla regia Newman – che sarà diretto da alcuni tra i registi che hanno fatto la storia del cinema mondiale (Otto Preminger, Alfred Hitchcock, George Roy Hill, John Huston, Robert Altman, Sydney Pollack, Sidney Lumet, Martin Scorsese, James Ivory, Joel ed Ethan Coen, Sam Mendes) – sarà a sua volta per cinque volte dietro la macchina da presa, vincendo addirittura un Golden Globe per la miglior regia con “La prima volta di Jennifer” (1969). “Discreto pilota” Il mondo dell’auto e il suo si incontrano a Indianapolis nel 1969. La scintilla scocca durante gli allenamenti alla Watkins Glen Racing School in preparazione delle riprese di “Indianapolis pista infernale”. Nel film (firmato James Goldstone) Newman interpreta Frank Capua, un pilota che – dopo mille vicissitudini personali e agonistiche – vince la 500 Miglia di Indianapolis. Alle riprese partecipano anche alcuni piloti professionisti: Bobby Unser (vincitore di tre 500 Miglia 1968, 1975, 1981 e di ben 13 edizioni della Pikes Peak International Hillclimb), Dan Gurney (87 GP in F1 tra il ’59 e il ’68: 4 vittorie, 19 podi, 3 pole) e Bobby Grim (a Indianapolis, senza interruzioni, dal ’59 al ’68; primo alla 100 miglia di Syracuse nel ’60). È anche grazie a loro che il nostro scopre il suo vero dono. “Sono stato un attivo pugile – commenterà – un deludente giocatore di football, tennis e badminton, e anche un pessimo sciatore. Non ho mai avuto il dono della grazia nello sport. Poi un giorno mi sono detto: vuoi vedere che, invece, sono un discreto pilota?’”. “Il primo vince” All’inizio degli anni ’70 – dopo avere perfezionato la tecnica di guida con Bob Bondurant (9 GP in Formula 1 tra il ’65 e il ’66; istruttore anche di Clint Eastwood, Robert Wagner, James Garner, Tom Cruise e Nicolas Cage) – si prende lunghe pause dal set per dedicarsi alle corse. “Come attore – dichiara – cominciavo a sentirmi insoddisfatto. In parte perché lo facevo da tanto tempo e in parte perché le sceneggiature peggioravano sempre di più. Senza considerare che sono sempre stato un tipo molto competitivo ma quando reciti non c’è modo di competere. Non si possono fare paragoni tra uno che recita in una commedia e uno che recita in un film drammatico, né puoi dire che una performance sia migliore o peggiore di un’altra, anche perché magari una viene fuori da una sceneggiatura straordinaria e l’altra da uno scarabocchio che non dice assolutamente niente. Nelle corse, invece, non c’è discussione: il tipo che attraversa per primo la linea del traguardo è, senza alcun dubbio, il vincitore. È semplice”. Secondo a Le Mans Prime gare a inizio anni Settanta nel Campionato dello Sport Car Club of America, su Lotus Elan e Triumph TR6. Nel ’76 titolo D-Production e President’s Cup, nel ’79 vince
la C-Production, nel biennio ’85-’86 la GT1. Partecipa anche al Campionato Trans-Am, vincendo Brainerd (1982) e Lime Rock (1986). I risultati più prestigiosi, nelle gare di durata. Nel 1979 (a 54 anni!) divide secondo posto finale e vittoria di classe alla 24 Ore di Le Mans, con Dick Barbour e un fuoriclasse come Rolf Stommelen su Porsche 935. Corre 6 volte la 24 ore di Daytona. Quinto al debutto (1977: 52 anni) su Ferrari 365. Corre ancora nel ’79, ’95 (terzo assoluto: 70 anni), 2000, 2004 e 2005 (80 anni!). Le scuderie con Freeman e Haas Guidare non basta: Newman diventa anche titolare di scuderia. Nel ’78, insieme a Bill Freeman, fonda il “Newman Freeman Racing” team, specializzato in Indy e Can-Am. Una partnership che attira molti piloti che diventeranno leggende. Un nome su tutti: Keke Rosberg, primo finlandese a vincere il Mondiale F1: 1982 su Williams. Nel ’79 la scuderia di Newman e Freeman si aggiudica il Can-Am Team Championship. 1983: nuova scuderia. Nasce la “Newman-Haas” con Carl Haas. Anche grazie a due ex campioni del mondo di Formula Uno come Mario Andretti (1978 su Lotus) e Nigel Mansell (1992 su Williams), la Newman-Haas diventerà uno dei più blasonati team automobilistici americani, vincendo, tra gli altri, ben 8 titoli Champ Car. Oggi il team corre in Formula 1. L’ultima vittoria “Lascerò le corse – aveva dichiarato – quando proverò imbarazzo di me stesso”. Quell’imbarazzo, però, non arriverà mai. Nel maggio 2007 annuncerà, invece, il suo ritiro dal cinema. “Non sono più in grado di lavorare come attore al livello che vorrei – dichiarerà a Good Morning America. Cominci a perdere la memoria, la fiducia in te stesso, l’inventiva. Quindi è decisamente un libro chiuso per me”. Dall’auto, invece, non scenderà mai. Correrà per l’ultima volta nel settembre di quell’anno, a 82 anni. Sarà la sua ultima vittoria. Il tumore lo costringerà ai box un anno dopo. Il 21 febbraio 2009 – pochi mesi dopo la sua morte – verrà inserito nella Hall of Fame dello “Sport Car Club of America”. Niente male per uno che di professione faceva l’attore e che aveva cominciato a gareggiare a 47 anni.
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...dal nostro mensile PUBBLICATO SUL NUMERO 24 - DICEMBRE 2018
COVER STORY FORD
Prima e dopo, solo leggenda. MONICA SECONDINO
La Mustang originale di Steve McQueen del 1968 riappare improvvisamente due anni fa. E il costruttore americano le affianca una versione speciale che sa di macchina del tempo. ■ Ci si accomoda sulla Bullitt, versione speciale della Ford Mustang, e sembra di entrare in una macchina del tempo. Ci sentiamo quasi catapultati sulle strade di San Francisco, pronti a partire per un inseguimento dopo un'occhiata allo specchietto. S’impugna il pomello bianco della leva del cambio – sì, perché la Bullitt 2018 è rigorosamente manuale come la vecchia - si inserisce la marcia e ci si sente un po’ pilota, come quando Steve McQueen diceva: “Gareggiare è vita. Tutto ciò che viene prima o dopo è solo attesa”. Un film che vince l’Oscar La storia di un’auto diventata leggenda inizia il 17 ottobre 1968, quando negli Stati Uniti esce un film che vince l’Oscar per il miglior montaggio: “Bullitt”. McQueen è Frank
Bullitt, un detective immaginario ispirato alla figura di Dave Toschi, vero ispettore della squadra omicidi al San Francisco Police Department. Freddo è il suo sguardo riflesso nello specchietto della Mustang GT Fastback che guida in uno degli inseguimenti più lunghi e coinvolgenti della storia del cinema: “Io vivo per me stesso e non rispondo a nessuno”. Quasi undici minuti lungo i saliscendi tortuosi di San Francisco: non si sa chi guardare, se lui o la Mustang, vera protagonista femminile del film, rubando la scena anche a Jacqueline Bisset. Sulla nuova Bullitt, ci sono i profumi e la “musica” di quell’auto del 1968: la benzina che brucia nel V8 di 5 litri dotato ora di 460 cavalli e 529 Nm di coppia e il sound dello scarico Active Valve Performance Exhaust, che conferisce il rumore tipico dell’e-
dizione originale. I sedili Recaro sono avvolgenti e coinvolgenti con le cuciture verdi a contrasto. Unico elemento rosso sono le pinze dei freni Brembo. In Italia è disponibile solo nella tonalità Dark Highland Green, proprio come la vecchia e, quando si accende, c’è una schermata di benvenuto a tema Bullitt. In principio erano due Ci si aspetta quasi che inizi una proiezione. Ma è tutta la storia di quest’auto che potrebbe diventare un altro film. In principio erano due, identiche, numeri di telaio 558 e 559. La prima, usata dagli stuntman e molto danneggiata durante le riprese, viene scovata in un cantiere di recupero a Baja, in California, e restaurata: dell’originale, tuttavia, rimane ben poco. Della seconda,
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quella guidata proprio da Steve McQueen, si perdono le tracce e diventa l’auto “cinematografica” più ricercata per i successivi cinquant’anni. Dopo le riprese e qualche attività per il lancio, con circa 1.000 miglia sulle spalle, viene venduta nel 1969 a Robert Ross, che lavorava alla Warner Bros., Casa di produzione del film. Un anno dopo è acquistata per 6.000 dollari dal detective Frank Marran-
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ca del New Jersey, che la tiene fino al 1974 e poi la vende per la stessa cifra alla quale l’aveva comprata, però con 19.000 miglia. Finisce nelle mani di Robert Kiernan che, per sei anni, la tiene come unica auto di famiglia: sua moglie, insegnante, la usa quotidianamente per andare a scuola. Nel 1977, McQueen prova a fare un’offerta per comprarsela, ma Kiernan dice no. Nel 1981, nasce Sean e la
Mustang viene parcheggiata in garage. Nel 2001, la Ford lancia la prima versione commemorativa della Mustang utilizzata nel film, già famosa ma non ancora leggenda. Il segreto della sua storia Nel 2014, all’età di 66 anni, Robert muore e a Sean rimangono l’auto e il segreto della sua storia cinema-
tografica. All’epoca, lavorava in un negozio specializzato nel restauro di Ford Mustang, il cui proprietario ha l’idea di scrivere la sceneggiatura di un film che racconti la storia di due ragazzi che ritrovano la Mustang di Bullitt. Quando Sean gli racconta la vicenda, è il gennaio del 2016, iniziano a sistemare la macchina. L’idea è di mantenerla il più originale possibile, bulloni compresi.
A quel punto, Sean decide di far sapere tutto al mondo. Quale occasione migliore se non il lancio della terza versione dell’automobile in occasione del 50° anniversario del film? Prima al Salone di Detroit e successivamente al Festival of Speed di Goodwood 2018, la “vecchia” Mustang Bullitt compare al fianco della nuova. Un film che non finisce mai. Come le leggende.
Sulla nuova Bullit i profumi e la “musica” della versione del 1968
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