Routes Mag Underground cultcha from Italy

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rumori dal bassifondo. Musica|Arte|Fotografia|AttualitĂ numero1


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outes è un progetto in continuo divenire che si propone in primis di divulgare la conoscenza musicale ed artistica in genere, con un occhio di riguardo verso le culture underground. Routes è un contenitore di idee, passioni e proposte. Ingredienti provenienti dai più svariati percorsi personali: strade e radici che si intrecciano al fine di tracciare e definire le linee di culture isolate e troppo frequentemente lasciate in disparte. Un disegno dinamico. Inarrestabile. Tra dischi impolverati, montagne di bombolette spray, mixer e piatti, rullanti e microfoni, club anni ‘60, vecchie fanzine e fogli di carta, Routes si lancia in uno slalom tra passato e presente, ma con lo sguardo sempre avanti, forte della convinzione dell’importanza in ambito umano, sociale e della potenza dell’underground culture. Artigiani sognatori armati di creatività, interesse e passione per condividere, relazionarsi e accrescere la rete di collegamenti già esistente anche con tutti coloro che, con un un pizzico di romanticismo, avranno il piacere di affrontare insieme questa nuova avventura.

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outes grows everyday. His first aim is to spread the music and artistic knowledges in general, with a special attention towards underground cultures. Routes is a container full of ideas, passions and proposals, wich are the ingredients originated by our various personal routes: ways and roots that cross each other to draw and fix the lines of isolated and forgot cultures. A dynamic drawing. Unrestrainable. Surrounded by dusty records, heaps of aerosol bombs, mixers and turntables, mikes, 60’s clubs, old fanzines and peaces of paper, Routes is ready to launch out into a slalom between past and present but always looking to the future, because of its firm about the importance of undreground cultures within human and socials issues. We are artisans and dreamers armed with creativity, interest and passion to share them and grow up together and with those who whish walk with us, with a touch of romanticism, towards this new adeventure.


Editoriale E ccoci. Finalmente. Credeteci: aspettavamo questo momento tanto quanto voi! Con i nostri tempi, le nostre apprensioni e la nostra mania di eccellere, o quanto meno, di provarci; e alla fine: abbiamo partorito!

Sono passati alcuni mesi da quando abbiamo pensato di realizzare questo magazine. Le idee sono tante e le teste anche. Amalgamare e mixare tutto quello che salta nelle nostre menti è un’impresa ardua! ROUTESmag vuole essere una rivista che tratti con le dovute precauzioni, le giuste parole ed immagini le culture underground a 360°, passando per la musica, all’urban art nazionale ed internazionale. L’esordio promette bene. In questo primo numero infatti siamo riusciti nel nostro intento proponendovi interviste, recensioni di dischi, letteratura, fotografia, fumetti, storia delle sottoculture musicali. Il tema per la prima uscita? Non poteva che essere il Trip, un modo come un altro per dare inizio a questo viaggio che siamo certi sarà meraviglioso. Di fatto però si parlerà anche di viaggi all’interno di ROUTESmag #1 e non soltanto in senso metaforico. Da Cuba all’Est Europa, dalle tonalità calde dei Paesi Sud Americani ad una piacevole sfacchinata in Vespa dall’Italia alla Macedonia. Ma di trip si parla anche negli ascolti proposti, nel passato burrascoso di una delle voci più belle del jazz internazionale, nelle illustrazioni di un piccolo astronauta e l’amico robot a spasso per l’Universo, nella Brooklyn de La Fortezza Della Solitudine, nella Miami del rap-jazz. Questi sono solo alcuni degli ingredienti che compongono la ricetta di questo magazine. A renderlo speciale è senza dubbio la passione che ci muove: una passione autentica e datata. Una redazione “volante” composta da writer, musicisti, dj, art director e scrittori; una redazione forte della collaborazione di giovani ragazzi trasportati dai suoni e dai colori di culture ben radicate ma spesso dimenticate. Culture che nascono nelle strade delle città di tutto il mondo. Culture che nel tempo hanno saputo far nascere grandi artisti e menti geniali.

Editorial H

ere we are. Finally. Believe it: we have been waiting for this moment as much as you were waiting for it. With our time, our fears and our obsession to excel, or at least, to try to excel, we have given birth! It’s been several months since we planned this magazine. The ideas are many and many are the heads. Stir and mix all that each of us has in its mind is hard! ROUTESmag wants to be a magazine that deals with the precautions, the right words and images at 360 ° underground cultures, through music and international urban art. The debut bodes well. In this first issue we have succeeded by offering you interviews, reviews of records, literature, photography, comics, history of musical subcultures. The theme for the first number? It had to be the trip, as the perfect way to start this journey which we are sure will be wonderful. However we will also discuss about travel on ROUTESmag # 1 and not only in a metaphorical sense. From Cuba to Eastern Europe, from warm colors of the South American countries to a leisurely trek on a Vespa from Italy to Macedonia. We also talk about trip in the suggested listening, in the tempestuous past of one of the most beautiful voices of jazz, in the illustrations of a little astronaut and his robot friend that go together for a walk in the Universe, in the Brooklyn of The Fortress of Solitude, in the rap-jazz of Miami. These are just some of the ingredients of the recipe for this magazine. What makes it special is the passion that moves us: a true and old passion. A “flying” editorial staff composed of writers, musicians, DJs, art directors; a strong editorial collaboration of young guys moved by sounds and colors of rooted but often forgotten cultures. Cultures born in the streets of cities around the world. Cultures that over the time, have been able to give birth to great artists and brilliant minds.


index

Routes issue1

Assalti Frontali Kid Koala Musteeno Art Official Opinione: Legge Bavaglio Banana Spliff Mr.T Digi G’Alessio Sandro Su 16 Barre Storia del Reggae pt.1 Fuga da Fermi I Marleys in tour

da un’idea di: Nicoletta Cogoni Nadia Montanari Mattia Raschi Filippo”Mozone”Tonni

Recensioni

redazione/traduzioni: Nicoletta Cogoni Nadia Montanari progetto grafico/coordinamento artistico: filippomozone.com

Rigenerarte

booking/eventi: Mattia Raschi hanno partecipato e collaborato: Michael Deva Converso Francesco Iampieri Francesco Rovito Alessio Perlato Kento Marco Sibi Sibillano Francesco Kambo Figliola Giacomo Barrichello Federico Tomoz Bandini Marta Ciccolari Micaldi Sara Fattori Giusy Ciampetti

Cuba Balkanika2011

www.lesroutes.it | FB: Routesmag | Issuu: LesRoutes Cover: “Grovigli” Tirana 2011. Lomo by FilippoMozone Doppia pagina presentazione: “Sbirrificio Lambrate”Milano. Lomo by Filippo Mozone

Sei un artista, fotografo, illustratore, musicista? Ti piacerebbe collaborare, comparire, essere sulla rivista? Contattaci su facebook o inviaci le tue proposte a info.lesroutes@gmail.com

Tema di questo numero: t.r.i.p.

Tema prossimo numero: ho visto la musika



A cura di Francesco Iampieri Striscia di Sara Fattori

UNA CHIACCHIERATA CON MILITANT A TRA IMMIGRAZIONE, SPERANZA E LIBERTA’. ROMA - L.O.A. ACROBAX. 30 SETTEMBRE 2011. L’ultima notte di settembre è calda come le prime di giugno. Un po’ di aria fresca arriva solo dalle rive del Tevere, a pochi passi dall’entrata. Fino a dieci anni fa il rumore che potevi sentire appena entrato nella struttura era l’abbaiare dei levrieri, pronti a correre dietro la finta lepre e gli scommettitori che incitavano il proprio numero su cui avevano puntato soldi e speranze. Per fortuna, da quando il cinodromo ha chiuso i battenti, quest’area molto grande si occupa di ben altre faccende. Dopo essere stato occupato e trasformato in laboratorio autogestito, tante sono state le iniziative promosse e le battaglie portate avanti. Un luogo dove i giovani possono ritrovarsi e confrontarsi, stare insieme e coltivare passioni. La musica ha sempre avuto una parte molto importante e i concerti sono stati sempre momenti di grande aggregazione, proprio come questa sera in occasione del live degli Assalti Frontali, con i pezzi della loro ultima fatica discografica Profondo Rosso. Sono passati pochi minuti dopo la mezzanotte quando le note della prima traccia, da cui prende il nome il disco, fa esplodere le centinaia di persone che sono arrivate da tutta Roma e dintorni. Le parole scorrono veloci e sono un vero e proprio atto d’accusa verso la grave situazione economica mondiale, il baratro verso cui stiamo cadendo, le banche e gli economisti che hanno fallito. Quando parte la potente tune Roma Meticcia il pubblico alza le mani e urla in coro il titolo del brano: la rabbia di una città che rivendica il melting pot con orgoglio; la rabbia di una città con la voglia di combattere insieme. I pezzi che seguono sono una denuncia verso i centri di immigrazione clandestina, con la struggente Mamy e un appello alla solidarietà verso i disperati in arrivo dal mare con la bellissima Lampedusa lo sa. Non manca il tempo per un tuffo nel passato con il cavallo di battaglia Banditi e Enea super rap, seguita da una profonda riflessione sulla situazione dell’istruzione in Italia. Più di un’ora di musica ad alto livello. Musica intensa che lascia il segno e che invita a ragionare e riflettere. Terminato lo show lascio Militant A ai tanti amici che vanno a salutarlo e mi da appuntamento per l’intervista dopo quindici minuti. Il tono è quello di una piacevole chiacchierata: nessuna domanda, ma solo l’invito a parlarci di cosa ne pensa sulle questioni attuali esposte nel nuovo album.


Due temi portanti del vostro ultimo lavoro discografico Profondo Rosso sono, senza dubbio, la questione immigrazione e la situazione politica mondiale attuale. Militant A: “Penso che il momento sia grave ma anche interessante; un momento molto pesante che ci mette alla prova! Dobbiamo darci da fare e tirare fuori il meglio di noi stessi. La crisi si fa sentire e viene chiaramente usata dal potere per ristabilire tutta una serie di gerarchie, comandi, controlli, espropriazioni della ricchezza. Ma noi dobbiamo reagire e farci valere! Allo stesso tempo l’immigrazione è una grande sfida che può farci solo bene. Gli immigrati oggi sono persone dinamiche che si danno da fare e ci offrono l’opportunità di confrontarci con realtà diverse dalle nostre e ci stimolano a non rimanere fermi. Su molti aspetti siamo sullo stesso livello: la loro battaglia è la nostra e la nostra è la loro! Noi ci siamo trovati a parlare di questi temi perché li affrontiamo giorno per giorno sulla nostra pelle. Noi parliamo di quello che viviamo: stare con gli immigrati è combattere con loro per i loro diritti e insieme a loro combattere per i nostri. Il disco racconta anche la nostra vita.” Dopo vent’anni di carriera avete dimostrato una fiera coerenza, anche se nel corso del tempo i messaggi si sono evoluti di conseguenza alle situazioni ma il significato è rimasto immutato e, anzi, si è rafforzato.

Militant A: “C’è’ chi dice che un artista ripropone sempre la stessa canzone: la cambia, la modifica, ma chiaramente alla fine l’ispirazione forte, soprattutto per un gruppo coerente come il nostro, è sempre la stessa. Abbiamo lavorato per tanti anni sul discorso della terra di nessuno, degli hic sunt Leones, del creare, appunto, la zona liberata. Profondo rosso è più una situazione dove tentare di andare a parlare anche con un linguaggio più diretto, più esplicito e più ricettivo da parte di tantissime persone sotto alcuni aspetti. Questa per noi è comunque sempre un’evoluzione.” Parliamo del futuro e dello spirito con cui dobbiamo affrontarlo. Dobbiamo guardare al domani con speranza e positività? Militant A: “Dobbiamo avere sempre la speranza: per noi, per la nostra stessa vita e perché ce lo chiedono anche gli altri. Non possiamo abbatterci e deprimerci, anche se spesso si passa dalla depressione all’esaltazione e viceversa. La speranza dobbiamo averla e soprattutto comunicarla, dobbiamo farci forza gli uni con gli altri. Il nostro dovere è contagiarci ed innescare meccanismi virtuosi che ci porteranno alla liberazione.”


A cura di Nicoletta Cogoni

Tra Turntablism, Graphic Novel e Ninna Nanne. l’intervista a KID KOALA. Uno dei progetti più interessanti di quest’anno, quello di Space Cadet, la graphic novel disegnata e ideata da Kid Koala, uno dei più eclettici e strabilianti produttori a livello internazionale. Un fumetto che riporta alla memoria Il piccolo principe, Le Petit Prince. Delle tavole prive di dialoghi, stilizzate e bicolore: bianco e nero. Ad aggiungere cromatura la magnifica colonna sonora realizzata per accompagnarne la “lettura”. Non è la prima volta che il turntablist canadese prende in mano la matita: tutte le copertine dei suoi dischi sono infatti sempre stati partoriti dalla sua creatività. Legato da anni alla più importante etichetta trip-hop europea, Ninja Tunes, Kid Koala, all’anagrafe Eric San, per il 2011 ha voluto regalarci un vero e proprio gioiello d’arte contemporanea visiva e sonora. One of the most interesting projects this year is Space Cadet, the graphic novel designed and created by Kid Koala, one of the most eclectic and entertaining producers in the world. A comic book that brings back memories of The Little Prince, Le Petit Prince. A comic with no dialogue, stylized and just in two-tone: black and white. Chrome is added by the magnificent sound track to accompany the “reading”. This is not the first time that the Canadian turntablist picks up the pencil: all the covers of his records in fact, were always born from his creativity. Kid Koala, originally Eric San, has been working for years for the most important European trip-hop label, Ninja Tunes. For 2011 he wanted to give us a real gem of contemporary visual and sound art.


Space Cadet è una storia che si basa sull’importanza della famiglia, dell’amicizia e dei legami in generale; per certi versi potrebbe essere una novella istruttiva, non solo per gli adulti, ma anche per bambini, considerando che si tratta di illustrazioni di una storia in grado di trasmettere e insegnare valori importanti anche ai più piccoli. “Mi è sempre piaciuto disegnare. Quando ero un bambino avrei voluto scrivere fumetti buffi: per me è sempre stato un modo davvero indiretto per raccontare delle storie. Quando ho scritto Space Cadet non avevo pianificato che potesse essere utilizzato in un contesto educativo; tuttavia, recentemente, un’insegnate di una scuola locale (n.d.r. Canadese) ha affermato di usare il libro durante le sue lezioni! Mi ha detto che ai bambini è piaciuta molto la narrazione e la grafica, anche se sono stati sorpresi dalla fine. È stato stimolante sentirmelo dire!” Space Cadet è accompagnato da una colonna sonora (come Nufonia Must Fall). Non è un progetto comune: solitamente sono i film ad essere accompagnati dalla musica e non i libri. “La musica e le immagini si intrecciano. Quando disegno ho sempre la musica nella mia mente. E quando scrivo musica, c’è sempre una narrazione che cerco di trasmettere. Penso a questi libri come una sorta di film tascabile.” La graphic novel e l’illustrazione legata ai suoni è una delle caratteristiche davvero originali della tua arte. Come e quando hai sviluppato una connessione tra queste due discipline? E qual’è la reazione delle persone a questo link? “Finora alcune persone mi hanno confessato di aver pianto dopo aver letto il libro. Far piangere la gente non è l’intenzione del mio lavoro! Tuttavia sono contento di sentire che le persone si sentano mosse dalla storia. Altri mi hanno detto di aver dovuto telefonare ai genitori dopo averla letto. Penso che sia fantastico! Invece di essere il deejay che ti fa ballare, io sono il deejay che ti fa venire voglia telefonare a tua madre.” Space Cadet fa parte di un programma di residenza artistica presso il Massachusetts Museum of Modern Art. Il risultato è stato il “Concerto per Cuffie” e l’esposizione delle illustrazioni. Un progetto molto ambizioso e che innalza il turntablist verso un nuovo livello: in questo caso abbiamo infatti un turntablist che ci porta a concentrarci sulla musica, a prendere il tempo necessario per farlo, libero da rumori esterni. Inoltre hai descritto Space Cadet come ‘una ninna nanna del domani alla ricerca del nostro posto nell’ universo ‘, nonché il lavoro più tranquillo che tu abbia mai realizzato. Puoi dirci qualcosa di più su tutto questo progetto? “La colonna sonora di Space Cadet è musica molto tranquilla, è vero. Ho scritto la maggior parte del lavoro poco dopo la nascita di mia figlia. Ecco perché molte tracce sono molto simili ad una ninna nanna. Ho registrato in studio pianoforte e giradischi a volumi molto bassi e spesso in cuffia in modo da non svegliare la bambina. Mi sembrava opportuno che il pubblico sperimentasse questa musica allo stesso modo. Quindi stiamo andando praticamente in giro con questo pop-up planetario. La gente si siederà in questi baccelli gonfiabili per godersi la musica e i racconti.” Space Cadet è una storia fatta di dolcezza, amore e unità in un Universo tecnologico. Una storia ambientata in un pianeta molto simile al nostro Mondo (se pensiamo alla tecnologia e alle connessioni) accompagnato da sentimenti di cui oggi, in un periodo così duro, ogni luogo della Terra avrebbe davvero bisogno. Tuttavia nel nostro mondo tutti temiamo la solitudine. “Sì, l’isolamento e la connettività sono due temi molto centrali nella storia. La tecnologia può essere a volte isolamento, d’altra parte ci permette di comunicare e rimanere in contatto come non mai. Questo è ciò che la rende meravigliosa. La vita a volte può schiacciarti e l’amore delle persone che fanno parte della nostra esistenza sono ciò di cui abbiamo bisogno davvero. I due personaggi della storia arrivano da galassie diverse ma condividono ancora gli stessi sentimenti. Credo che la storia celebri il fatto che non si è mai veramente soli. Siamo tutti parte di questa avventura strana e meravigliosa.” Che dire dei tuoi dischi? So che hai una grande collezione! “Possiedo un incisore di dischi nel mio studio quindi ho spesso registrato i miei vinili personalizzati. Amo il suono del crepitio del disco!” L’arte del Turnatablism nasce alla fine degli anni ‘70. Come pensi si sia evoluto da allora? “Penso che continui a condividere lo stesso cuore. E’ sempre stato un modo per realizzare qualcosa di fresco; un modo di esprimere sé stessi con un qualsiasi strumento si possedesse; di infinite possibilità. Questi ideali sono ancora estremamente centrali in questa arte e per questo continuo a scratchare ogni giorno!”

Space Cadet is a story that is based on the importance of family, friendship and links in general. It might be an instructive story, too. Not just for adults but also for children, because of its illustrations. And also because it could teach important values to youths. “I’ve always enjoyed drawing. I would write silly comics when I was a kid. It has always been a very meditative way to tell stories for me. When I wrote Space Cadet, I was never planning on it to be used in an educational context, but recently, a teacher at a local school said she has used the book in her class! She told me the children really enjoyed the storytelling and artwork even though they were surprised by the ending. She is using it as a tool to facilitate creative writing of their own. That was very inspiring for me to hear.” Space Cadet is accompanied by a soundtrack (as Nufonia Must Fall). It’s not a common project: generally movies are accompanied by music, not books. “The music and the visuals are intertwined. When I draw, I always have music in my mind. And when I write music, there is always a narrative that I try to convey. I think of these books as kind of paperback films.” Your graphic novel linked with sounds is one of the real original features of your art. How and when did you develop a connection between these two disciplines? And how people react to it? “So far, a few people have told me that they’ve cried after reading the book. Making people cry isn’t the intention with my work... but I’m glad to hear that people are feeling moved by it. Someone told me they had to phone their parents after reading it. I think that’s great! Instead of being the deejay that makes you dance, I’m the deejay that makes you want to phone your mother.” Because of Space Cadet you took part in an artist residence program at Massachusetts Museum of Modern Art. The result was the Space Cadet “Headphone Concert” and Gallery. This is a very ambitious project and it puts the turntablist on a different and new level: concentrate on music, taking your time to do that, free from external noises. You describe also this work as ‘A tomorrow-days lullaby about finding your place in the universe’ and you told in an interview that it’s the quietest thing you’ve ever done. Which is the reason of this choice? Could you tell us something more about this program? “The soundtrack for Space Cadet is very quiet music. I wrote most of it just after my daughter was born. So in many ways every track is quite lullaby-like. I recorded in the studio on piano and turntables at very low volumes and often on headphones so I wouldn’t wake the baby. It seemed appropriate for the audience to experience the music the same way. So we’re basically going on the road with this pop-up planetarium. People will sit in these inflatable space pods and enjoy the music and storytelling.” Space Cadet is a story about sweetness, love and unity in a technology universe. A story sets in a planet very similar to our world (if we think about technologies and connections) accompanied by feelings that today, in these hard times, every place on Earth really needs it. But in our world everyone is afraid of isolation. “Yes, isolation and connectivity are two very central themes to story. Technology can sometimes be isolating but it allows us to communicate and stay connected like never before. That is the wonderful thing about it. Life can sometimes get overwhelming but the love and the people in your life are what makes it all worthwhile. The two characters in the story are galaxies apart but they still share the same sentiments. I think that the story is about celebrating the fact that you’re never really alone. We are all part of this weird and wonderful adventure.” Let’s talk about your records. I know you own a big collection! “I have a record cutter in my studio so I often cut my own custom vinyls. I love the sound of record crackle!” Turnatablist art was born at the end of ‘70. How do you think turntablism has evolved since then? “I think it still shares the same heart. It was always about doing something fresh. It was always about expressing yourself with whatever tools you had. It was always about infinite possibility. Those ideals are still very central to the craft and that’s why I still scratch records everyday!”


A cura di Michael Deva Converso e Nicoletta Cogoni

IPNOSI COLLETTIVA: Tra produzioni e beat MUSTEENO È stato per mesi uno dei dischi più attesi del 2011, Ipnosi Collettiva per Relief Records, il primo album da solista di Musteeno, all’anagrafe Andrea Gorni, milanese, classe 1978. Nel suo background si annoverano esperienze come quella della DNA Crew (oggi Clickplaza, in cui entrò a far parte nel ‘94) e la collaborazione con quella che fu una vera e propria istituzione dell’hip hop italiano: Zona Dopa. Nella Bologna degli anni che vanno dal 1998 al 2008 vive e studia a Bologna dove incontrerà CeeMass, conosciuto anche come The Night Skinny, oggi produttore del primo disco di Musteeno. Tornato nella provincia milanese, Andrea si butta a capofitto nella Street Art Academy, che instrada, attraverso laboratori di Mcing, Djing e writing, i ragazzi più giovani verso lo spirito dell’hip hop old school. Una breve nota sulla vita vissuta di Musteeno era doverosa per capire con chi si ha a che fare. Ipnosi Collettiva, invece, lo conosciamo con lui. Come ha giustamente consigliato Ghemon nello skit video promozionale, abbiamo preferito concentrarci sul disco e non tanto sulle collaborazioni, i beat e i feat, anche se, tuttavia, abbiamo ritenuto necessario spenderci due parole comunque. A questo proposito di seguito troverete un’intervista suddivisa in due parti: la prima sulla produzione, l’idea, gli “ospiti”; la seconda sul contenuto dell’album. Michael: Il disco presenta nomi noti e meno, che spaziano da sonorità più classiche a più futuristiche. Con quale criterio hai scelto questi produttori e sopratutto le produzioni per far sì che il disco avesse un senso? Musteeno “La vibrazione innanzitutto. Non ho puntato all’omogeneità del suono ma solo ad atmosfere che mi aiutassero a sottolineare quello che volevo trasmettere. In alcuni casi le note sono state cucite ad arte (“Inno Nazionale Personale” by BruttOldBeat, “Cruciverba” by CeeMass) per un testo già pronto; altre volte è stato il testo a crescere grazie all’ispirazione data dal beat (“La mela di Eva” by Saz, “Megalopolis” by Shablo, “La mia storia” by Mbato’). Devo dire che quando sono andato a cercare i beat, i testi erano tutti almeno in fase di ideazione, quindi sapevo già quali tipi di atmosfere mi sarebbero servite. La scelta è caduta su quei beat che sono stati un “amore al primo ascolto”. Nicoletta: Hai sottolineato più volte che per il tuo primo disco ufficiale hai scelto di andare in controtendenza preferendo evitare una lista infinita di feat. Una presa di posizione e un atteggiamento assolutamente da stimare. D’altra parte il disco presenta i nomi di grandi produttori e che per gli appassionati è un punto importantissimo per il risultato finale di un album. Mi pare, correggimi se sbaglio, che in fase di promozione si sia spinto parecchio su questi nomi. Musteeno “È andata un po’ diversamente: la tracklist l’abbiamo liberata un mesetto prima che il disco uscisse. Sui forum sono usciti i nomi dei produttori un bel po’ prima perché non so stare zitto quando sono entusiasta e parlando con chi mi chiedeva informazioni spifferavo tutto anzitempo. Diciamo che i nomi sono grossi e fanno un certo effetto a chi sa di cosa stiamo realmente parlando, ma ti assicuro che dal canto mio c’è più orgoglio nell’aver lavorato con tutti loro piuttosto che una precisa

strategia commerciale. Chiedi al mio discografico quanto io sia esperto in materia e riceverai una enorme risata in cambio. In realtà il mio scopo è quello di dar il giusto peso alle cose: chiunque partecipi alla figata ha ugual merito nella figata, perciò, a parte il mio nome che è gigantesco per ovvie esigenze di scarsa fama, sono tutti scritti grandi uguali sui banner, dal più celebre al ninja. Volevo evidenziare che se il mio nome è scritto lì in alto, il merito è pure di tutti quelli che stanno là sotto, nessuno escluso”. Nicoletta: La mano di Night Skinny è inconfondibile dal primo ascolto; riportano inevitabilmente alle sonorità di Metropoli Stepson, per cui, tra l’altro, avevi collaborato. Si percepisce una sinergia molto forte, vista la riuscita dei pezzi in questione e come hai già detto in precedenza esiste una stima reciproca tra voi due. Su base empirica dunque ti chiedo: quanto è importante questo tipo di rapporto tra mc e produttore? Musteeno “Beh, è tutto. Ma in generale, non solo nel caso di MC e beatmaker. Quando fai musica, secondo me, devi innanzitutto trasmettere un feeling e se uno vuol suonare la polka e uno il punk potranno nascere dei meravigliosi esperimenti, non una costante. E senza falsa modestia, le cose mie e di mio fratello sono un calcio in bocca all’ascoltatore e una palpata alla nostra soddisfazione. È una cosa che va al di là della musica ma che nella musica si trasmette, a maggior ragione nell’Hip Hop e nel rap che rappresentano la vita stessa”. Michael: il concept del disco è sicuramente legato alla sua data d’uscita. Eppure hai rivelato che ci sono voluti anni per riunire i pezzi dell’album. Nonostante siano passati circa sei anni, sei riuscito a mantenere un certo discorso a distanza di tutto


questo tempo. Riascoltando ora, col senno di poi, c’è qualcosa che riguarderesti? E che ti sembra non aver sviluppato nella giusta maniera? ? Musteeno: “In effetti ci sono dei pezzi che avrei un po’ riguardato perché presentano punti deboli nella stesura e diciamo che con questi “cali di interesse” non mi sento di aver valorizzato liriche e beat a dovere. Ma so anche di essere un perfezionista cagacazzi (vergine ascendente vergine per i superstiziosi) e se fosse per me, praticamente non uscirebbe mai nulla. Diciamo che quando il tutto ha raggiunto una sua forma compiuta (un buon feeling appunto) era ora di smettere di guardare nella mutanda e inforcare di nuovo il telescopio. In generale non ho ritenuto opportuno ritoccare le cose che erano uscite in spontaneità e dato che quando inizio una strofa difficilmente la lascio incompiuta o “da rifinire”, capisci bene che a volte il mio perfezionismo rischia di diventare accanimento terapeutico. Il lavoro di cesello lo faccio sulla metrica più che sulla stesura in modo che il ritmo e la musicalità siano trascinanti. Perciò è inevitabile fare alcuni aggiustamenti sull’esposizione e cambiare alcune parole ma nulla di più. Insomma, citando Bambaataa & Soulsonic: always “Looking for the perfect”… shit.” Nicoletta: i testi e le produzioni dell’intero lavoro accompagnano in un viaggio nel tempo: dalla sfumatura più vicina alla tradizione hip hop per arrivare alla sperimentazione più elettronica. Ora: sei un cultore della doppia h con la C maiuscola, di come, oggigiorno, ne sono rimasti pochi (penso all’esperienza della Street Art Academy e alla grande importanza che dai e trasmetti delle jam). Nonostante il tuo essere in qualche modo old school riesci a dar vita alle tue parole con l’ausilio di svariati tipi di melodie, apparentemente estremamente lontane tra di loro. Anche in questo senso possiamo considerarti una “carpa” della scena, se consideriamo che non tutti riescono ad apprezzare innovazione e sperimentazione.... Musteeno: “Scusami ma è una certa ora e la metafora della carpa, dato anche il mio street name, rischia di generarmi un po’ di manie tripolari o di trasformarmi in Manimal. Facciamo così, rispondo seguendo l’istinto. Per quanto riguarda la mia parte Old School (minchia se leggesse un pioniere vero sarebbero calci volanti) è chiaro che sono affezionato a un certo tipo di suono - che molti tendono a classificare semplicemente come “vecchio” - perché me lo sono passato nel walkman con le cassettine fino ai 17 anni, quando ho scoperto il cd. Però ci sono due aspetti della faccenda che vengono sottovalutati a mio avviso: uno è il fatto che non sono Old School perché ho iniziato nei ‘90. Intendo dire che non è che per i successivi 10 o 15 anni ho sentito solo chi mi ha preceduto: se spulci tra i miei dischi ci trovi roba 2011 (oh, ma Del che mina è?). Due: il problema vero (dell’ascoltatore non avvezzo, non mio) è che mi ha sempre ispirato maggiormente quel lato sperimentale e avanguardista della faccenda che non arriva alle grandi orecchie (se non in casi eccezionali e sono sempre comunque orecchie di buoni ascoltatori di musica in generale). Ti faccio qualche esempio concreto: in alcune robe della prima ora come possono essere i classici (boh a caso, Bambaataa e Public Enemy per gli USA, Isola Posse o Radical Stuff per l’Italia) ci trovi “in potenziale” tutta la roba (suoni, elettronica, distorsioni, e compagnia bella) che ti spacciano per new wave e che a me risulta solamente noiosa e ripetitiva con l’aggiunta di qualche specchietto per le allodole in più. Roger

Troutman suonava il vocoder negli anni ‘70 e mo’ ‘sti cazzari escono con i merdosi plugin autotune perché non sanno fare... Bah! Le robe strafiche per me sono quelle che hanno appreso la lezione aggiungendo quel tocco di genio e portando gradini più in su la questione, chessò Snoop su Bootsy (per dirne uno che piace anche ai cazzari ma di cui non colgono il senso culturale). Chi crede di prendere l’ascensore o lo space shuttle sta solo prendendo cantonate e cercando la stessa merda che va a Ibiza. Non mi interessa, io faccio Hip Hop e cerco di eccellere in quella roba lì. Tipo, quello che oggi in Italia usiamo chiamare rap “immediato” (per definire chi scrive in maniera più “impressionista” – passami il termine, anche se dovrei dire “per i facilmente impressionabili” – e meno tecnica) per me è solo rap “ad accesso facilitato”, non aggiunge nulla, è solo più fruibile ma non comunicativo. E poi dico: se viene da te (nel nostro caso, tra l’altro, è lei che ti sceglie e sei te che le vai incontro) l’inventore della cassoüla e ti spiega come si fa, te non è che ci togli il maiale, ci metti il macdonald e continui a chiamarla cassoüla. La chiami macCàzzula se vuoi e magari ti viene pure un bel piattino, per chi ci crede. Ma se la vuoi reinterpretare e continuare a chiamarla cassoüla devi comunque (di)mostrare rispetto per la ricetta originale. Sennò vaffanculo te e il tuo precotto del cazzo.”

Part. II. IPNOSI COLLETTIVA: CONTENT a cura di Nicoletta Cogoni Quanto segue è di fatto una sorta di “esperimento”: attraverso alcuni dei versi di Ipnosi Collettiva, l’intento è quello di parlare di Andrea Gorni e della sua visione del mondo, della vita, della realtà e della cultura hip hop. L’idea è nata captando l’importanza che in tutto il disco viene data alle parole: un modo per accompagnare l’orecchio di un ipotetico ascoltatore passivo aiutandolo a capirne il loro potere. Musteeno: “Mi hai tolto le parole di bocca” “Intrappolati dentro confini invisibili, fili legano giorni che trascorrono sempre simili. Privi di spessore […] Puntano il dito indice d’ascolto al tuo programma preferito, lo show della realtà nella quale ti consumi guardando te stesso sopraffatto dal peso dei luoghi comuni […] E la coscienza bisbiglia nell’orecchio che il nemico peggiore è quello nello specchio […] Mordi la mela di Eva, frutto del progresso [...]Corri attraverso il vuoto dell’esistenza scappando dal nulla che ti spaventa” [La mela di Eva]. Progresso come male assoluto, risultato di un mondo fatto di cervelli lobotomizzati da tv e da un’esistenza che si ripete, sempre uguale, giorno dopo giorno. Nemici di noi stessi. Una denuncia a ciò che siamo e sorbiamo passivamente? Si può dire che queste strofe contengano il concetto dell’intero disco? Un album che si pone un obiettivo in modo particolare, come suggerisce Come quando fuori piove: “La prima sfida: il modo per svegliarci da ‘sta ipnosi collettiva”? Musteeno: “Che altro devo dire: ottimo collage, penso che hai centrato in pieno il punto. Diciamo che questa idea di progresso mi pare la peggiore possibile: lavoro totalizzante, nessun tipo di soddisfazione o sbocco (se non in versioni estreme o estremizzanti), pochi godono, tanti succhiano. Mi ricollego all’altra intervista, dato che siamo in via sperimentale: se avessi la possibilità di scegliere questo o di inventarti qualcosa da zero, quanti dici che sceglierebbero consapevolmente la condizione attuale? Io dico nessuno, solo che ci intortano (dall’im-

pero romano a oggi, senza esclusione di colpi) con il circo e la repressione e per noi va tutto bene. In più con uno strambo culto del sole, chiamato religione, ci convincono che se non facciamo i bravi, il vecchio con la barba (tanto buono e misericordioso) ci sculaccia e ci fa bruciare amminchia per l’eternità. Boh, io ho un idea di futuro, mondo e vita spirituale un po’ più articolata e integrata e se qualcuno è interessato cerco di raccontarla, plasmarla e scambiare qualche idea attraverso la mia musica”. “Seconda (sfida) è quella di toccarti dentro e farti guardare attorno per tirarne fuori il meglio”[Cruciverba] Parole/musica in aiuto a chi ascolta per guardare con occhi diversi il mondo circostante? Musteeno: “Appunto, ma non solo in senso terapeutico. Proprio in senso conoscitivo: abbiamo uno degli strumenti rivoluzionari più potenti a nostra disposizione. Anche qui, il mio senso del termine Rivoluzione è un po’ diverso da quello canonico che si può dare al termine: 2011, quando tutto ha fallito, le soluzioni sono o l’annientamento totale o l’avvento di una macro-creatura organica fatta di tutti noi, che respira e vive con tutte le sue diversità in un ambiente a misura per lei (siamo noi a non essere a misura di ambiente), regalo stupendo! La seconda che hai detto, grazie. Non abbiamo più bisogno di spargere violenza (che storicamente ne ha sempre e solo portata altra), abbiamo il dovere di allenare la materia grigia, nostra e di chi ci sta accanto, attraverso scambi veri di idee e visioni per lasciarli tutti senza armi né appigli. Liberi, finalmente. La musica può crescere le idee, le persone, la sensibilità (non solo intesa come nell’accezione “delicata” del termine); non la spreco solo con le filastrocche. Ed anche se non sono un monotematico a cui non piace divertirsi, ora come ora non c’è proprio un cazzo da ridere”. “Una finestra aperta che mi ispira ogni rima, la mia retina narra ciò che mi riguarda, non bada a fatti altrui e tanto meno ne parla [...]Odio i prepotenti, le chiacchiere, l’immagine, l’arroganza in faccia mi è indigesta come l’anice […] So cos’è importante per me di questi tempi, proteggo dalle radiazioni affetti e sentimenti […] Mi ci vuole un po’ ad avere coscienza della realtà, la mia immaginazione la fa spesso da padrona. Sognatore di professione fin dalla tenera età, la mia mentalità mi condiziona […] Provo a pensare sempre meno in astratto ma mi ritrovo all’ultimo banco in fondo, distratto. Carta e penna, sguardo all’aria aperta, a labbra spalancate come quando fai una gran scoperta” [E.M.M.E.]. Da sognatore, cosa vorresti vedere fuori da quella finestra aperta? Musteeno: “Hahaha, adesso ti rispondo “la pace nel mondo” come Missitalia. Hahaha... consapevolezza innanzitutto, tante teste alte, nessuna schiena curva. Donne e uomini insomma, non mancanza di rispetto di stronzi che si azzannano per un pugno di mosche (me compreso ovviamente). Sto lavorando a un pezzo con un MC più giovane (Carach, 47 Ronin Crew, l’idea di base è sua) dove ci immaginiamo che “le cose vadano per il verso giusto” e noi MC’s non sappiamo più cosa scrivere... beh, la Celebrazione (tanto per tornare al tema dell’Old School) della collettività svegliata dall’ipnosi è un’ottima risorsa. E a me, personalmente, l’ha insegnata l’Hip Hop”. “La sacra scrittura alla quale devo la mia essenza più reale a districarmi in queste strade complicate […] E’ lei che mi protegge sempre, ogni volta che appare il buio. Fa parte di me; mi ascolta

quando non c’è scampo. In silenzio, chiede solo rispetto in cambio” [Sacra Scrittura] “Il mio unico mezzo per uscirne indenne: musica che forma, suono che protegge” [Quindici minuti]. Senza mezzi termini affermi l’importanza e il potere che hanno musica, suono e scrittura, tanto da formare e proteggere. In questo senso: come ti hanno formato? E da cosa ti hanno protetto o da cosa pensi siano in grado di proteggere? Musteeno: “Mi ricollego nuovamente a una delle altre interviste: quando ho detto che da ‘ste parti ho trovato solo noia e robba non stavo scherzando. Il primo pub (se così si può chiamare un bar diverso da quello dove i nonni giocano a carte) a Cesate (mio domicilio fino alla maggiore età) l’ho visto aprire quando avevo 15 anni, ma aveva dentro sempre le stesse facce. Non mi fraintendere: amo e odio il mio paese (tant’è che ci ho riportato la mia esperienza e le mie testimonianze a distanza di anni e di coordinate geografiche, con Street Art Academy), ma se non fosse per l’affetto della mia famiglia da una parte e gli input positivi della cultura Hip Hop dall’altro (la spinta a evolversi, a prendere coscienza, a guardare il mondo al di là del proprio naso), non avrei la consapevolezza che ho oggi delle cose che mi circondano e quella che avrò domani e dopodomani... C’era tanta scelta negli anni ‘80 da ‘ste parti, solo che le cose da scegliere erano piuttosto sintetiche per un ragazzetto senza grandi possibilità di movimento. Fortunatamente anche la bicicletta mi ha aiutato a scoprire che Cesate non è il pianeta terra”. “Buttano fuoco ad altezza d’uomo mentre dall’altra parte lanciano molotov sempre più frequentemente [...]Per strada armi, bombe, ombre di guerriglia, spiata dai satelliti della bunkervilla […] Tira aria di giustizia fittizia, sommaria; la tele anestetizza la coscienza della massa” Le prime immagini che mi sono venute in mente ascoltando Inno Nazionale Personale sono state quelle di Genova 2001, i visi di Aldrovandi e Cucchi, la Roma del 14 dicembre 2010 e il Val di Susa. Casi non citati, innominati ma a cui è impossibile non pensare sentendo raccontare il nostro stato di repressione. Argomenti sempre meno presenti nei testi. A pensarci siete rimasti in pochi (parlo di mc) a ricordare e denunciare lo stato delle cose. Negli anni ‘90 avevamo le Posse che se ne occupavano, anche se ancora ad oggi c’è chi pensa siano stati una rovina per questa cultura in Italia. Tu cosa ne pensi? Musteeno: “Come dicevo prima, la Celebrazione passa prima dalla Liberazione. Se no cazzo celebri? La schiavitù? Mmmhh... in schiavitù si canta il blues, non il country. E comunque non c’è bisogno di tirare in ballo le Posse per guardarsi attorno. O forse sì per capire quanto sia ancora attuale parte di quella roba. Penso che uno dei fraintendimenti su tutte queste robe che hai citato sia quello di non riuscire a slegare la parola (posse, politica, impegno, messaggio, ecc…) dall’accezione ideologica e di bandiera. Basta con la tifoseria, per piacere: le scelte e le rinunce che uno fa nella vita quotidiana e la vita vista in un senso più ampio (collettivo appunto) sono “politica”. I fatti che hai citato sono cose a cui senza dubbio mi riferisco, ma senza citarli esplicitamente perché si portano dietro un carico di cose che lascia spazio a preconcetti. Secondo me bisogna guardare ai fatti puri per coglierne un senso più profondo: siamo messi malissimo da qualunque parte stiamo! Io e il mio rap vogliamo essere il proiettile inesploso, se capisci cosa intendo. Sarebbe la versione meno chiassosa ed eclatante ma sicuramente quella che cambia davvero le cose. Quando riesco a farti capire che hai bisogno di responsabilizzarti per essere padrone di te stesso ho raggiunto il

mio scopo. O un primo passo verso una nuova consapevolezza. Passiamo alla prossima che darai tu a me, se vuoi. In realtà non sono troppo d’accordo con la tua “accusa di leggerezza” nei confronti del rap, anzi io riscontro alcune scintille di impegno e messaggio anche in quello che, per semplificare, siamo abituati a etichettare come “gangsta rap” (che mi piace pure ascoltare, quando è veramente verace), solo che le riflessioni sono fatte su un microcosmo grande come il nostro buco del culo e perciò, a mio avviso, con molto potenziale sprecato (anche per scarsità di abilità dialettica, in alcuni casi). Chi pensa che le Posse siano state una rovina è come se guardasse con un occhio solo e pure mezzo cecato dato che per lungo tempo sono state “il rap”. È come uno che oggi dice che il mainstream è tutto e solo merda: valutazioni “di reazione” da undicenni. Prenditi una pausa di riflessione e cerca di valutare senza fare il tifo”. “La mia storia è fatta di cinema senza sceneggiatura, immagini istantanee che danno forma alla mia natura” [La mia storia] Una laurea in Disciplina delle Arti, Musica e Spettacolo, con un’evidente passione per il cinema. Ipnosi Collettiva pullula di richiami al mondo cinematografico. Da dove nasce questa passione? Musteeno: “Credo che cinema e Hip Hop siano i mezzi di comunicazione più efficaci per portare messaggi complessi in maniera relativamente semplice e infinitamente interessante. La passione è ovviamente nata in maniera “istintiva” per entrambe le cose (produrre significato tramite l’accostamento di immagini, wow!) ma come dicevo prima è giusto rispettare la ricetta originale. Così mi sono applicato nello studio di entrambe le cose e a un certo punto della mia vita ho ritenuto giusto fissare alcune delle riflessioni che avevo fatto. Tutto questo ha composto e fortificato il mio stile (ops, scusa il vocabolo Old School, hehehe). “Discipline che mi insegnano a vivere” [La mia storia]“La puoi vedere sopra fogli, muri o treni; ha regole ben precise per uscire dagli schemi” [Sacra Scrittura] “e la passione per l’hip hop che pompa forte e riflette la vita in tutte le sue forme, mi gasa se mostra il suo potenziale enorme: chi non riesce a sentirlo forse è perché dorme” [+ Potente]. Tre pezzi differenti per un solo amore: la cultura hip hop con le sue discipline, la potenza delle lettere, attraverso writing, mcing e turntablism “In principio fu il verbo che ha dato movimento al tempo/ linee guida dentro l’universo dando il senso alla forza che ci circonda e comunica attraverso le vibrazioni della musica” [+ Potente]. Una cultura che differenzia “i sogni della massa mi stanno stretti e distanti” [+ Potente]. Una musica dai contenuti forti, vomitati addosso per raccontare una realtà spogliata da bei vestiti sotto i quali qualcuno vuole nascondercela. Un bisogno inarrestabile, patologico “Cerco note in tutto ciò che c’è intorno a me e anche altrove […] La musica mi gasa come non so cosa e non c’è calmante per questa sindrome nervosa”[Elogio della follia]. Eppure non tutti la sentono e la percepiscono. Qualcuno ci prova ma con scarsi risultati “C’è una cosa che volevo dire ad ogni rapper: una regina vale molto più di mille vacche” [+ Potente]. Una tendenza che sta prendendo un po’ troppo piede negli ultimi anni rispetto ai valori originali. Come credi si sia evoluta in questi anni la cultura hip hop? Pensi che lo sporco sia giunto anche qui? Musteeno: “Ma, più che lo sporco che è giunto, credo che non

sia mai stato altrove. Voglio dire: quando una (non) “cultura” massificata e alienante si appropria di qualcosa, lo massifica e lo aliena per renderlo fruibile ai suoi adepti, quindi perché l’Hip Hop dovrebbe essere esente da tutto ciò? La differenza è che l’Hip Hop non lo metti sulle magliette o nei quadri come le foto di Andy Wharol (capito perché l’intro si chiama “Quindici minuti”?) o della faccia del Che. Puoi fare tutti i pupazzi in posa coi pantaloni larghi e le catenazze che vuoi, ma i fatti saranno sempre sul vagone dipinto che ti unge il giacchino di Gucci mentre vai al lavoro, sotto la puntina del prossimo trick per il suono nuovo, nel prossimo footwork che ti intralcia il passaggio sotto i portici, nella rima che ti gira in testa e ti fa dire “Ahpperò! Non ci avevo mai pensato, ma detta così...”. Adesso mi autocito: “Cerco la parola che ci salvi / che pesti giù potente sulle tue credenze finchè le ribalti” [+Potente]”. “Un tot di anni dopo mi ritrovo rintronato dalla mia autoradio con la penna in mano” [+Potente] “Nottetempo tendo a tirare tardi stendendo microfoni e note con gli altri pazzi” [Elogio della Follia]. Folgorato da Apocalypse 91... The Enemy Strikes Black, ad un certo punto della tua vita ti ritrovi a scrivere i primi pezzi. Cosa ricordi di quel periodo? Nonostante siano passati diversi anni passi ancora molte tue nottate scrivendo, registrando, componendo nuove storie; è cambiato il tuo modo di vivere e intendere la musica e questa cultura? Musteeno: “Beh, sono le 5:50 di notte, sono tornato da un paio d’ore da una trasmissione in radio e alle 10.30 mi alzo per andare a fare il turno centrale al lavoro. All’epoca mi potevo permettere di dormire. Ma non è la sola cosa che è cambiata e che ricordo. Ricordo che ogni volta che beccavo qualche persona che potesse anche lontanamente somigliare a un Hip Hopper andavo lì e cominciavo a parlare di questa roba e, nei migliori casi, a farla. Ora di solito invece prima faccio la radiografia, poi apro bocca se è il caso. Sono diventato un po’ più geloso e diffidente, pur rimanendo aperto per natura, ma non significa che non riesca a trovare gli spazi per vivere le stesse cose con lo stesso entusiasmo. Anzi, la ricerca incessante degli stimoli nuovi è il motore del mio miglioramento e dove sento la vibra, fidati che corro proprio. Come in piazza coi miei 15 amici della DNA Crew, dal novembre 1994, ‘sta roba mi dà ancora una “discreta” spinta alla veneranda età di 33 anni. E non ti dico quando faccio i laboratori con i ragazzi (esperienza relativamente nuova, dal 2006), tipo che la mia Vale mi deve venire a recuperare che se no mi dimentico pure di mangiare. Oh, mi diverto sempre come un pirla quando la formula è quella in cui respiro quella roba lì e non ti devo spiegare altro”.


A cura di Francesco Rov Rovito

ArtOfficial Vitamine, minerali e buona musica.


Vi sentite stanchi? Debilitati? Siete stufi della solita musica? Niente paura! Gli ArtOfficial hanno la cura per la vostra anemia musicale. Dopo FistFights and FootRaces e The Payback che li hanno fatti conoscere in giro per il mondo e li hanno portati a suonare sugli stessi palchi di KRS-One e PharoaheMonch, il 5 novembre esce Vitamins&Minerals, nuovo album della band, già preordinabile dal loro sito (www.artofficialmusic.net). Costato quasi due anni di lavoro, Vitamins&Minerals si preannuncia un lavoro interessante, maturo, che sviluppa ulteriormente l’ottimo mix tra jazz e rap che contraddistingue la band di Miami, come dimostra il primo singolo: “Migraine”. Per ingannare l’attesa e per sapere un po’ cosa aspettarci dalla loro nuova fatica, abbiamo mandato agli ArtOfficial qualche domanda, a cui ha risposto Ralf, il loro bassista.

Do you feel tired? Debilitated? Are you fed up with the same old music? No fear! ArtOfficial got the treatment for your musical anemia. After Fist Fights and Foot Races and The Payback, that made them known around the world and took them to play live on the same stage of KRS-One and Pharoahe Monch, on November 5th it will be released Vitamins & Minerals, their brand new album, that you can already pre-order on their website (www.artofficialmusic.net).Vitamins & Minerals, that took almost two years of job, seems an interesting, mature job, that develops further the excellent mix between jazz and rap that characterizes the band from Miami, as the first single “Migraine” attests. Wating for it and to know what we have to expect from their new effort, we sent ArtOfficial some questions, and Ralf, their bass-player, gave us the answers.

Cominciamo dall’inizio: come nascono gli ArtOffcial? “Gli ArtOfficial si sono formati nel 2006. Logics e Newsense erano in un gruppo rap assieme prima della nascita degli ArtOfficial. Keith, Danny e io suonavamo in una jam band reggae/hip hop francese a quei tempi. Tramite alcuni amici in comune venni invitato ad una prova col gruppo di Logics e Newsense perché avevano bisogno di mettere su una piccola band per suonare le loro canzoni live ad un evento in cui dovevano aprire a Jeru the Damaja. Entrambi questi gruppi si sciolsero quasi nello stesso momento. Danny Keys e io invitammo Logics, Newsense, Keith e Manny per una jam session. Immediatamente ci trovammo bene assieme. Suonammo la prima volta live in una sala da biliardo di Miami Beach. Ricordo che Keith disse: “E’ stato davvero divertente, dovremmo farlo ancora. Sto partendo per l’India per un mese ma quando torno dovremmo riprendere in mano questa cosa”. Sentivamo tutti la stessa cosa e adesso siamo qui… da 5 anni e con altra strada davanti!” Il vostro primo album, FistFights and FootRaces, che vi ha fatto conoscere in giro per il mondo grazie al passaparola in internet, aveva uno stile molto orientato al jazz. Quali sono le vostre influenze principali? “Abbiamo tutti tante influenze diverse: jazz, hip hop, funk, rock, soul. Black Star, Beatles, Portishead, Wu-Tang, Radiohead e Black Keys. Amiamo la buona musica. Tutti noi abbiamo le nostre personali influenze musicali e quando le combiniamo assieme otteniamo il nostro sound. The Payback è stato il nostro modo per rendere omaggio a tante delle influenze musicali che condividiamo.” Lo street album The Payback, in free download sul vostro sito (www.artofficialmusic.net), oltre a rivisitazioni di classici dell’hip hop, come Don’t Sweat the Technique, contiene anche citazioni rock, come ad esempio Voodoo Child di Jimi Hendrix o Ocean dei Led Zeppelin. Qual è il vostro rapporto con la musica rock? “Nutriamo il massimo rispetto per la musica rock. Dove sarebbero la maggior parte dei gruppi di oggi senza l’influenza di gruppi come i Beatles o i Led Zeppelin? Furono degli innovatori e cambiarono il modo in cui il mondo ascolta la musica. Alla fin fine, comunque, per noi il rock, il rap e il pop sono la stessa cosa. Se è buona musica, allora è buona. Non ci piace fare tante divisioni di genere o preoccuparci di aderire a un certo stile musicale quando lavoriamo assieme. Il nostro rapporto è con tutta la musica. Qualunque sia lo stile o il genere, si può sempre trovare una canzone scritta incredibilmente che è in linea con i gusti personali di ognuno. Fortunatamente, negli ArtOfficial, i nostri gusti personali sono molto simili”. Sentendo Migraine, il vostro nuovo singolo, l’atmosfera sembra più cupa dei vostri lavori precedenti. Cosa dobbiamo aspettarci dal vostro nuovo album Vitamins&Minerals? “Potete aspettarvi un po’ di tutto in Vitamins&Minerals. Questo album ci è costato un anno e mezzo per essere finito e alcune canzoni sono state in lavorazione da quando abbiamo iniziato cinque anni fa. Potete aspettarvi canzoni più cupe come “Migraine” e potete aspettarvi di sentire l’esatto opposto; canzoni dal suono più luminoso come “All in all”, assieme ad altre sorprese. Sinceramente, sono fottutamente fiero di questo album. Mi sento come se il nostro suono si fosse sviluppato molto dal nostro EP Stranger. Individualmente e collettivamente come band, sento che questo progetto mostrerà agli ascoltatori come il nostro suono si sia evoluto su larga scala, ma io faccio parte della band e sono totalmente di parte, per cui dovrete ascoltarlo voi stessi ahahaha. Abbiamo anche sperimentato di più in studio su questo album, rispetto al passato. Potete aspettarvi di sentire sezioni di archi suonate dal vivo, degli ospiti per le parti vocali, un intero gruppo di tamburi e molto altro!” Parliamo di Vitamins&Minerals. Com’è stata la lavorazione? “Sono stati quasi due anni di lavoro! Abbiamo messo davvero tutto quello che avevamo in questo progetto e nonostante qualche volta sembrasse che fossimo finiti in un buco nero e che avremmo finito

Let’s start from the beginning: how did ArtOfficial born? “ArtOfficial formed in the summer of 2006. Logics and Newsense were in a rap group together prior to starting ArtOfficial. Keith, Danny and myself were playing in a french reggae/hip-hop jam band at that time.Through some mutual friends I got invited to a rehearsal for Logics and Newsense’s group because they needed to get a small band together to perform their songs live for a gig they had where they were opening for Jeru the Damaja. Both of those groups broke up around the same time. Danny Keys and I invited Logics, Newsense, Keith, and Manny over to jam. We instantly all gelled together. We played our very first gig at a billiards lounge in Miami Beach. I remember Keith saying “that was a lot of fun man, we should keep this going. I’m leaving to India for a month but we should keep at it when I get back”. We all felt the same and here we are now... 5 years and counting! “ Your first album, Fist Fights and Foot Races, that spreads your name around the world through the internet, had a very jazz-oriented style. What are your main influences? “We all have so many different influences: Jazz, Hip Hop, Funk, Soul, Rock, you name it. From Black Star, The Beatles, Portishead, Wu-Tang, Radiohead and The Black Keys. We love good music. All of us have our own distinct musical influences and when we combine them together we get our sound. The Payback project was our way of paying homage to a lot of the musical influences we mutually shared”. The street album The Payback, free downloadable from your web site (www.artofficialmusic.net), beside revisiting hip hop classics, like Don’t Sweat the Technique, contains also rock citations, like, for instance, Voodoo Child by Jimi Hendrix or Ocean by Led Zeppelin. What is your relationship with rock music? “We have the utmost respect for rock music. Where would most of today’s bands be without the influence of groups like The Beatles or Led Zeppelin? They were musical innovators, and changed the way the world listens to music. At the end of the day though, rock music, rap and pop are all the same to us. If it’s good then it’s good. We really don’t like to categorize so much on genres or worry about sticking to one style of music when we work together. Our relationship is with music as a whole. Whatever the style or genre is, you can always find incredibly written songs according to everyone’s own personal tastes. Luckily in ArtOfficial, our musical tastes are very similar for the most part”. Listening to Migraine, your new single, the atmosphere seems darker compared to your previous works. What do we have to expect from your new album, Vitamins & Minerals? “You can expect a little bit of everything on Vitamins & Minerals. This album has taken us over a year and a half to finalize and some songs have been in the works since we started together 5 years ago. You can expect darker songs like “Migraine” and you can also expect to hear the complete opposite, very bright sounding songs like “All in All” along with a few other surprises. Honestly, I’m really fucking proud of this album. I feel as though our sound has developed a lot since our Stranger EP. Individually and collectively as a band I feel like this project will show listeners how our music and sound has evolved in a big way, but I’m in the band and am totally biased so your going to have to listen for yourself hahaha. We also experimented more in the studio on this album then we have in the past. You can expect to hear live string sections, guest vocalists, a full drum corps drum line and more!” Let’s talk about Vitamins & Minerals. How was working on it? “It was almost two years of work! We really put everything we had into this project and although sometimes it felt like we were stuck in a black hole and it felt like we were going to drop this album when i turned 40. At the end, I feel as though every single hour we put into this didn’t go unaccounted for. We tweaked and tweaked and listened back and re-wrote, re-recorded etc. Fast forward to now and I think I speak for the rest of the band when i say we couldn’t be happier with this album”. Why the title Vitamins & Minerals?

l’album quando avrei compiuto quarant’anni. Alla fine, sento che ogni ora di lavoro non è stata sprecata. Abbiamo ritoccato e ritoccato e riascoltato e riscritto, ri-registrato ecc. Guardando ad oggi (e credo di parlare per il resto del gruppo) non potremmo essere più felici di quest’album”. Perché Vitamins&Minerals? “Vitamine e minerali sono essenziali per la salute umana. Questo progetto sono state le nostre vitamine e minerali. E’ ciò che ci ha permesso di proseguire, il nostro supplemento giornaliero per permetterci di andare avanti. La musica è ciò di cui ci nutriamo. Non è facile stare in un gruppo, a die il vero; ed è ancor più difficile quando stai cercando di raggiungere un obiettivo che la maggior parte della gente crede impossibile. Lavorare su questo progetto è fondamentalmente ciò che ci ha tenuto insieme e che ci tiene ottimisti su ciò che il futuro ha in serbo per gli ArtOfficial”. Nella vostra carriera avete condiviso il palco con grandi nomi dell’hip hop mondiale. Qual è quello di cui andate più fieri? “Parlando per me, devo dire Pharoahe Monch. Suonammo prima del suo live all’Università di Miami. Dopo lo show ci invitò al suo hotel per parlare e passare la serata. Siamo rimasti seduti nella hall dell’albergo per due ore a parlare del music business e di dove è diretto e in generale a ricevere un sacco di buoni consigli da Pharoahe e dal suo manager. A parte la sua grande umiltà, è uno dei rapper più talentuosi della storia dell’hip hop. E’ stata davvero un’esperienza fantastica”. Come scrivete i vostri pezzi? Avete un modus operandi, oppure ogni pezzo prende vita in modo diverso? “Non abbiamo una formula per scrivere le nostre canzoni. Il più delle volte uno di noi viene alle prove o in studio con un’idea e se a tutti noi piace aggiungiamo partendo da lì. Ogni tanto ci troviamo tutti insieme e partiamo dall’improvvisazione. Ogni canzone è al 100% frutto di collaborazione e tutti contribuiamo. Ad esempio la canzone “Vitamins&Minerals” è partita con Danny Keys che suonava una parte di piano. E’ venuto con l’idea e ognuno di noi ha aggiunto la propria parte”. Diteci il nome di un artista con cui vorreste collaborare e perché. “Questa è dura. Ci sono un sacco di artisti con cui ci piacerebbe lavorare. Sarebbe grande avere MosDef a collaborare con noi su una canzone, Fiona Apple, Dan Auerbach (dei The Black Keys) per una strofa, JonBrion, Danger Mouse, Herbie Hancock… Posso andare avanti per giorni!” Parlateci di Miami, la vostra città. Com’è il vostro rapporto con essa? “Miami è la nostra casa base! E’ dove tutto è cominciato. Amiamo questa città. Penso che la maggior parte del mondo abbia questa falsa idea di Miami, che sia come la si vede in TV, senza niente a parte musica elettronica, club, dorghe e soldi, come se tutti vivessimo in un episodio di Miami Vice. Anche se tutte queste cose esistono, qui puoi comunque trovare una città piena di gente reale e genuina. C’è una scena musicale dal vivo che sta crescendo e diventando una delle più forti del nostro paese. Ci sono una sacco di artisti e gruppi incredibilmente dotati, di tutti i generi. E questo perché questa città in realtà è culturalmente diversa. Ha un po’ di tutto, per tutti. Amiamo la nostra città natale e rappresentiamo sempre Miami ovunque ci troviamo a viaggiare”. Dopo l’uscita del vostro nuovo album, avete altri progetti in mente? Sapete già quali saranno i vostri prossimi passi? “Dopo il rilascio di V&M saremo davanti a una lavagna bianca e dovremo ritrovarci per cominciare a scrivere nuovo materiale. Per quanto sia terrificante per me anche solo pensare di avere una tela vuota su cui lavorare per i nostri progetti futuri, è anche molto eccitante e non vedo l’ora di iniziare e far partire il processo creativo coi ragazzi. Completare un album ti prende molto e richiede un sacco di tempo e di sforzi. Quindi essere pronti a tornare alla lavagna è qualcosa per cui non vediamo l’ora! Per adesso, il nostro prossimo passo è viaggiare e suonare dal vivo, promuovendo il nostro album il più possibile e sperando che raggiunga più orecchie possibili. Speriamo che l’Italia sia uno dei posti in cui potremo suonare!”.

“Vitamins and Minerals are essential to human health. This project was our Vitamins and Minerals. It’s what kept us going, our daily supplements to keep us pushing forward. Music is what we thrive off of. It’s not easy being in a band to say the least, and it’s even harder when your trying to achieve a goal that most people think is impossible. Working on this project together is essentially what kept us together and what keeps us optimistic for what the future has in store for ArtOfficial”. In your career you shared the stage with big names of international hip hop. Which is the one you are more proud of? “For me personally I’d have to say sharing the stage with Pharoahe Monch. We got to rock out before his set at the University of Miami. After the show he invited us over to his hotel to just talk and hang out. We sat in the hotel lobby for two hours just talking about the music business, where it’ss headed, and generally received a lot of great advice from him and his manager. Aside from him being very humble, he’s one of the most talented MC’s in hip hop history. It was a truly awesome experience”. How do you write your songs? Do you have a modus operandi or every song takes life in a different way? “We don’t really have a set formula to writing our songs. Most of the time one of us will come into rehearsal or the studio with an idea and if we all like it we all add to it from there. Sometimes we’ll all get together and start from scratch. Every song is 100% collaborative and we all pitch in. For example, the track “Vitamins and Minerals” started off with Danny Keys playing a piano part. He came in with the idea, and we all added our own parts to it from there”. Tell us a name of an artist you want to collaborate with, and why. “That’s a tough one. There are so many artists that we’d love to work with. It’d be great to get Mos Def to collaborate with us on a song, Fiona Apple to sing a hook, Dan Auerbach (of the black keys) to sing a hook, Jon Brion, Danger Mouse, Herbie Hancock....I can go on for days!” Tell us about Miami, your city. How is your relationship with it? “Miami is our home base! It’s where everything started for us. We love this city.I think the majority of the world has this false perception on Miami being like it is on television with nothing but electronic music, clubs, drug money, like if we all live in an episode of Miami Vice. Although all of those things exist here, you’ll find a city full of real, genuine people. There is a live music scene that is growing into one of the strongest in our country. There are so many incredibly talented artists and bands down here from all sorts of styles. And its because of how culturally diverse this city really is. It’s got a little bit of everything for everyone. We love our home town with a passion and always represent Miami wherever we might be traveling to”. After the release of your new album, do you have other projects in mind? Do you already know what your next steps will be? “After releasing V&M we will be at a clean slate and will have to regroup to start writing new material. As terrifying as it is for me to even think of the fact that we have a blank canvas to work on for our future projects, it is also really exciting and I can’t wait to get started on getting the creative process started with the guys. Finalizing an album takes a lot out of you and demands a lot of time and effort. So, being able to go back to the drawing board is something we all are looking forward to! Right now, our next step is to hit the road and play live, promoting this album as much as we can and hope it reaches as many ears as possible. Hopefully Italy will be one of those spots for us to play!”.


A cura di Francesco KENTO Carlo Sketch by Filippo Mozone Tonni

Opinions, la parola agli artisti. LEGGE BAVAGLIO E CENSURA

Sono passati pochi giorni da quando Routes mi ha chiesto

un contributo sul tema della libertà di espressione e oggi, in cui mi accingo a scriverlo. Pochi giorni in cui sono successe tante cose e in cui ho visto parte dell’opinione pubblica, che si dichiara “progressista”, cambiare idee e bandiere come se fossero vestiti. Solo undici giorni dal 4 ottobre, in cui Wikipedia si è vistosamente schierata contro la legge bavaglio e il 15 ottobre, data della grande manifestazione di Roma e degli scontri - o “riot”, per usare un termine d’attualità- che ne hanno contraddistinto una parte. Era facile schierarsi dalla parte di Wikipedia e di una libertà di espressione in rete che per qualcuno era forse un concetto astratto. Oggi, dopo i sampietrini, i lacrimogeni e gli incendi di Roma, la libertà di espressione e di manifestazione del proprio pensiero ha meno paladini ed è appunto per questo un valore ancora più importante. Per quanto mi riguarda, non mi trovo particolarmente bene sui carrozzoni in cui stanno tutti o quasi tutti. Se le stesse parole d’ordine lanciate, vengono lanciate da destra, da “sinistra” e, peggio ancora, tramite i microfoni di artisti che dovrebbero essere indipendenti, mi preoccupo. Significa che il messaggio non è chiaro o che è

così edulcorato da poter essere condiviso da tutti, un “tutti” che mai come in questi casi confina con “nessuno”. È facile dire “no alla guerra”, è difficile dire “riportiamo subito a casa i soldati italiani dall’Afghanistan”, così come è facile dire di sì a una libertà di espressione astratta e più difficile opporci alla repressione bipartisan che appare oggi all’orizzonte come una minaccia sempre più concreta. In un momento storico in cui l’opposizione al pensiero unico manca delle grandi organizzazioni di massa partitiche, sindacali e di opinione che facevano da collante negli anni ‘70, che fare? È una domanda che mi faccio spesso e mi rispondo che la musica, il giornalismo, il cinema e le arti figurative, gli strumenti di espressione in generale diventano il nostro baluardo e gli strumenti per riprenderci quello spazio che ci appartiene e che sicuramente non ci verrà dato gratis né volentieri. Una canzone che scrissi qualche tempo fa dice, in modo forse un po’ magniloquente, che la musica è l’ultima trincea di Stalingrado, intesa come elemento di resistenza e di speranza allo stesso tempo. Oggi rileggo quel testo e mi accorgo che molti fronti di lotta sono all’ultima trincea. È sempre più urgente decidere da che parte schierarsi.


A cura di Michael Deva Converso Filippo Mozone Tonni foto di Antonio Pellegrino

2 Spaghi 1 Incubo. Banana Spliff


Q

ualcuno li avrà conosciuti già dal primo disco per via delle produzioni accattivanti. Relativamente, perché la loro freschezza stilistica fu già dal primo lavoro una vera è propria boccata d’aria. La conferma fu addirittura in un risultato maggiore con il supporto del calabro Fiume sotto il famigerato nome di “Rasklatt 5”. Il terzo lavoro, in compagnia dei compaesani Neuro Garage, fu solo l’ennesima convincente bomba in faccia. Ora sono tornati. Di nuovo. E di nuovo convincenti. E sembrano pure più incazzati. Di certo dimostrano una capacità di coesione come mai hanno fatto in precedenza, nelle vecchie fatiche. Ed in definitiva il nome “Banana Spliff ” è il significato più adatto ad un vecchio detto che recita: “L’unione fa la forza”… Il vostro è un gradito ritorno. Gli ascoltatori cosa devono aspettarsi questa volta? Effettivamente il titolo del disco (“Spaghetti Nightmare”, ndr) lascia un margine di curiosità su qualche novità. Volgendo uno sguardo verso i precedenti lavori, cosa trovate di diverso (esperienza a parte)? C’è qualche peculiarità che rende particolare “Spaghetti Nightmare”? Se c’è qualcosa che volete sottolineare o aggiungere, fate pure. Grazie per il “gradito”. Dunque, partiamo dal fatto che il titolo è uscito una volta concepito l’album e Spaghetti Nightmare è, parlando a posteriori, il nome più concreto vicino all’incubo in cui siamo passati per sbobinare quello che avevamo accumulato nel tempo. La diversità sta appunto nell’aver ricondotto il nostro rap a dei significati forse meno cosmici ma più universali. Non proprio “a prova di scemo” come tanta immondizia che passa oggidì ma sicuramente più commestibili. Se ascolti Rasklatt 5 o altri nostri precedenti lavori troverai anche li delle profonde verità, in qualche maniera perse in ciò che è stato chiamato rapnon-sense. Ma noi abbiamo il pallino di evolvere, non ci basta fare il rap su quelle basi mezze house e mezze samba, che oggi vanno tanto, per sentirci aggiornati. Dall’ascolto sembra prevalere per l’appunto, una sonorità un po’ più oscura (sempre legato comunque al funk) e temi soprattutto impegnativi, di carattere politico. Proprio questi fattori sembrano aver dato il titolo al disco, in qualche modo. Come mai avete deciso quindi di costruire un discorso quantomeno legato a tutto ciò? Sembra che anche la scelta di alcune collaborazioni (sia al microfono che alle macchine) siano stati scelti in base a questo criterio…

Allora, se parliamo delle sonorità di questo disco, a noi non sembra cosi “oscuro” e prima di tutto Oskie è sempre il nostro Funky Fresh Beat SasquatchSupa Producer. Se poi vogliamo analizzare in dettaglio, sicuramente la presenza di Kaos One (che ringraziamo ancora), Fez e Argento (un King assoluto) e il lavoro dell’Hell’zEye Studio hanno indirizzato il sound verso la “caverna” piuttosto che alla pista da ballo, questo è innegabile. Seguendo le nostre modalità di approccio ai singoli pezzi (base-rap-rec) e per i motivi che prima ti spiegavamo, le tematiche non potevano poi che girare intorno a certi argomenti. Per dire, ascoltando la base che è diventata “Vita,Morte,Miracoli” anche se avevamo fatto un gran cannone non potevamo decidere di scrivere un pezzo che parlasse di spiagge o il classico dissing puerile. Sono valide le stesse motivazioni anche per le collaborazioni al rap, primo fra tutti il Danno che ci ha lasciato una strofa da pelle d’oca. E i featuring con 5ft e Sean Price? Come sono nati? Tutto è partito, come spesso accade per certi fatti, da un amico comune che ci ha messi in contatto ovvero Enrico di 159management (non ti ringrazieremo mai abbastanza), che risiede in pianta stabile a NYC e che ha lavorato e lavora alla realizzazione di molte altre collaborazioni Italia/Usa , non ultimo War Music, il lavoro dei produttori italiani Ceasar&PStarr che invitiamo tutti ad ascoltare e spingere. Non vorrei alzar polveroni, ma date alcune tematiche la domanda sorge spontanea: ma i Banana come vivono la situazione politica attuale e degli ultimi anni? Che peso e considerazioni danno a questa? Come qualsiasi persona che abbia un pò di sale in zucca o non abbia capitali di famiglia, cioè molto male. La politica è stata sempre una cosa schifosa gestita da persone con le quali non berremmo nemmeno un caffè. Consideriamo la classe politica un insieme di parassiti, del tutto indifferente alle vite e ai bisogni della gente. L’unico politico che stimiamo è Sandro Pertini. La speranza è che la politica torni ad essere lo strumento di governo del popolo e non di gente interessata solo al benessere immediato suo e della sua claque, ma questo finché a dettare legge sarà il mercato non potrà accadere. E il mercato ormai guida il mondo. C’è un qualcosa che mi preme fortemente. Vedo molti gruppi validi che, provenendo da realtà in “secondo piano”, faticano a trovare il giusto apprezzamento. E purtroppo è una cosa che a voi ho visto pesare dal primo disco in poi, senza esclusioni. E dire che parliamo del posto della storica Juice di cui Drugo e Oskie ne sono veri e propri testimoni. Vi ha mai creato problemi questa situazione, ammesso che la mia impressione sia giusta e che voi siate d’accordo con essa?

Beh, saremmo dei bugiardi a non essere d’accordo con te. Quindi si, questo essere spesso al margine di certe faccende disturba. Ma è anche vero che non siamo nemmeno persone che sorridono sempre, per cui in certi schemi proprio non ce la facciamo a rientrare. Non siamo amiconi di chiunque per convenienza. Citando Lou X, cerchiamo fratelli e non colleghi. Questa volta avete scelto un’ottica promozionale diversa dalle precedenti. Avete deciso di stampare il vinile, il cd in copie davvero limitate e soprattutto il free-download per una settimana sul sito di XL di Repubblica (che tra l’altro ha sempre avuto una posizione controversa col rap nostrano; vedere che spinga gente come voi è davvero una novità). Come è nata questa collaborazione? Come mai avete deciso di muovervi così e cosa vi aspettate? In effetti questa volta abbiamo deciso di allargare l’orizzonte di diffusione del nuovo disco. La stampa dei cd è stata concepita oltre che dal punto di vista strettamente promozionale anche per consentire agli amanti del supporto “disco compatto” di poterne usufruire. La scelta del free download per una settimana, invece, è nata con la volontà di far arrivare SPAGHETTI NIGHTMARE a quante più persone possibili, magari anche a quelle che non si contano nelle file degli ascoltatori più integralisti del genere. L’utilizzo della piattaforma di XL, in particolare, è stato possibile grazie alla mediazione del nostro uomo nella promozione, Filippo di SMC Italia (che salutiamo e ringraziamo). Il fatto di poter far ascoltare la nostra musica nei canali più vari è collegata anche alla scelta di stampare in vinile. Senza dover ribadire il valore artistico, storico e sentimentale che ha questo particolare tipo di supporto per un particolare tipo di ascoltatori di musica, la nostra speranza è che coloro che siano rimasti positivamente colpiti dal disco, ascoltato magari in versione digitale, possano scegliere di assicurarselo nell’intramontabile scrittura dei solchi di un vinile. Senza contare la nostra personalissima e genuina soddisfazione di stampare un LP... Echeccazzo Riallacciandomi a Juice (una jam hiphop internazionale, nonchè una rivista ndr), ricordo ancora muri anconetani sulle riviste a metà anni 90; ma i Banana come vivono al giorno d’oggi il rapporto con i graffiti? se mi è lecito chiederlo; c’è ancora il richiamo allo spray? Vi emoziona e stimola ancora come un tempo? Il Juice è stata una parte importantissima di storia, sia per Ancona che per l’Italia intera. Una delle prime Convention ( e poi anche Rivista) fatte nella penisola, entrata nell’immaginario di tutti i B-boys vecchio stampo. Chi c’era sà di cosa parlo. Altro mood, altra voglia, altra passione. Sai com’è...Non c’erano

mica tutti i soldi che girano ora…Quegli anni sono stati per noi 4 un pò la “Golden Age” del writing, anni in cui abbiamo fomentato e bombardato di brutto sotto diverse sigle: BMW crew, SPZ e JUICE. Poi è stata la volta degli MG… Insomma, siamo andati avanti per più di 10 anni sempre con la stessa passione, ma piano piano con ritmi e dinamiche molto più blande. Vuoi l’età e vuoi anche il fatto che abbiamo focalizzato quasi esclusivamente la nostra attenzione sul Rap. Prima era una lotta armata con gli spray e si colpiva quasi esclusivamente illegalmente. Ora ci facciamo qualche murata a stare bene coi vecchi e nuovi soci, non disdegnando cmq sortite in notturna… A tal proposito un saluto a tutti i componenti della neonata NWO /No Way out / New Words Order (crew di cui facciamo parte assieme a Skue, Shorde, Zee, Shape), e tutti gli amici writer a cominciare dai fratelli di Bari (Soap, Just, Giose, Move, Flame, Mosher, Hulk, Bros) per proseguire con Rife, Worm, Korea, Trota, Vela, Lego, Mozone, Estro, HR crew, Blast, Korvo, Same from Holland e Musa from Spain. Al momento con l’eccezione di O.P. , tutti dipingiamo. La nostra rivista tratta svariate tematiche legate all’arte figurativa, i vostri albums presentano sempre grafiche curate e a passo coi tempi, cosa mi dite a riguardo...? Essendo, come Banana Spliff, più o meno tutti legati al mondo dei graffiti e dell’arte figurativa in generale, è inevitabile che alla nostra musica siamo portati ad associare un certo tipo di discorso estetico a livello di grafica e presentazione. La realizzazione della parte grafica della totalità dei nostri lavori usciti fino ad ora, è stata affidata ad Andrea Casaccia di RealDC, grafico talentuosissimo ed estremamente originale, proveniente anch’egli dall’ambiente del writing. Siamo legati a lui da un’amicizia fraterna di vecchissima data e le sue creazioni avanguardistiche e irriverenti ci hanno sempre fatto impazzire, per cui la cosa è nata in maniera estremamente naturale. La cover di Spaghetti Nightmare è stata realizzata a quattro mani con Drugo. 3 artisti contemporanei legati al mondo della street-art, del writing, dell’illustrazione e tutto ciò che ruota intorno a ciò, degni di nota? Obey Giant Enzo Cucchi Marco Puca Saluti e baci a... ..Alle nostre famiglie, a tutti quelli che ci supportano e sopportano.. One Love!


T

A cura di Michael Deva Converso

intervista a: MrT

ommaso Casadei. O Mr. T. San Marino, classe 1989. Grazie allo zio, già dall’età di 10 anni si approccia alla musica elettronica e Trip Hop, successivamente scoprì l’Hip Hop, Jungle, Drum&Bass e grazie al fidato B.Kun (Scratchbusters) allo Scratch e al Funk anni 70. Ma un legame particolare viene stretto anche con il Jazz, che lo porterà a studiare il sassofono e la composizione. Da tutto ciò è nato qualcosa. Un qualcosa chiamato “Part-time Love”. Vediamo di scoprire di più su questo disco parlando con l’autore. Un disco senz’altro più che riuscito… Parliamo di questo “Part-time Love”. Come è stato concepito e con quale ottica? Qualche aspetto tecnico che non è riportato nel digipack? Hai in qualche modo seguito una sorte di filo logico nella composizione dell’album? E soprattutto: hai sperimentato? Perché se è così, che significato attribuisci alla parola “sperimentale”, associata alla tua musica? Part-Time Love è nato in una fase molto riflessiva su me stesso e su ciò che mi circonda. Dopo ormai un paio di mesi che buttavo giù pezzi nuovi mi sono reso conto che il mio approccio era diventato quello: fare musica riflessiva. Avevo raggiunto un buon numero di brani che ritenevo “potenziali” così ho deciso di impegnarmi nell’incorniciare questo momento della mia vita. Nasce così l’album. Ho sperimentato? Mah non saprei. Penso che la parola “sperimentale” sia relativa al soggetto. Mi spiego: per un jazzista questo album può essere sperimentale, magari per chi fa musica elettronica è banale. Io faccio semplicemente ciò che mi sento di fare. Se mi va un assolo di chitarra jazz ce lo metto, se mi va anche un wobblebass marcissimo ci metto pure quello! Comunque per quanto riguarda “Part-Time Love” posso dirti che ho campionato tantissimo e fatto largo uso di effetti! Parlando di Musica questa domanda potrebbe risultare subdola. Anzi, sicuramente. Però voglio capire di più il tuo approccio nella composizione. Sembra che il jazz abbia un forte ruolo dentro te. Ma qui lo dimostri anche sotto forma di un qualcosa di viscerale e, a volte, anche freddo (tant’è che nella recensione ho persino ammesso di notare similitudini con DJ Krush). Ci spieghi cosa si scatena nel tuo “Full-time Love”? Beh si, il jazz mi ha espanso molto la musicalità e l’orecchio. Inoltre adoro lo swing e l’improvvisazione nel jazz. Fin da piccolo mi sono sempre interessato alla musica trip-hop-elettronica e a età più ma-

tura ho deciso che dovevo capire da dove veniva tutto ciò che avevo ascoltato. Quindi iniziai ad ascoltare funk-soul, poi dopo un paio di anni ho iniziato ad andare ancora più alla radice ed ho iniziato ad interessarmi al jazz. Quindi ho iniziato ad ascoltarmi una tonnellata di dischi jazz dei più grandi e che dire... mi ci sono innamorato! In un assolo di certi artisti c’è più musica che in tutta la discografia di Nek! In generale la cosa che curo di più è il trasmettere sensazioni. Penso seriamente che in molta musica contemporanea manchi il “soul”. Dopo la precedente domanda, mi sento quasi obbligato nel chiederti le tue influenze: ci dai i nomi di 5 dischi per te fondamentali? Ce ne sono troppi...ti scrivo il titolo di 5 dischi che hanno fatto parte del mio bagaglio sin da piccolo : “Mezzanine” dei Massive Attack “Entroducing...” di Dj Shadow “Dummy” dei Portishead “Meiso” di Dj Krush “What Sound” dei Lamb Onestamente sul risultato del disco posso solo parlar bene, come appunto sai. Mi sento solo di dissentire sulla promozione quasi inesistente. Sia chiaro: non è che abbia una chiara ottica di promozione, solo che dispiace vedere questa gemma che non va oltre la tua pagina artista. Non credi sia forse meglio muoversi diversamente? Ci sto lavorando... Siamo alla fine: progetti alternativi? Stai già lavorando a qualcosa e/o ci sono idee per progetti futuri? Sentiamo cosa bolle in pentola! Si, sto lavorando alla produzione del disco “Notturni”, che sarà disponibile gratuitamente quest’inverno su Bandcamp. “Notturni” è un progetto ideato da Oder (cantante-batterista), con alcune basi mie e di Pastel Case (dj-producer). Voglio lasciarti dello spazio bianco, come la grafica del tuo disco. Riempilo come vuoi. “L’universo è l’armonia degli opposti...” cit. Terzani http://www.facebook.com/Mr.t.music http://soundcloud.com/mrt-music


A cura di Michael Deva Converso

intervista a: Digi G’Alessio

Anzitutto, per chi non ti conosce, ma chi è questo Digi G’Alessio? Digi G’Alessio è il mio progetto solista nato per scherzo (dal nome si capisce) nel 2008. Nel 2002 insieme a Simone Brillarelli (Freshyolabel) e Jonathan Calugi (happyloverstown.eu) creammo A SMILE FOR TIMBUCTU, progetto ancora attivo che oscilla tra Sounds molto sdolcinati e grafiche a tema. Col passare degli anni ho iniziato a coltivare una passione sempre più grande verso i campionatori e i ritmi più Black fino ad arrivare appunto alla realizzazione del progetto Digi G’alessio. E’ interessante notare la tua forte attività e l’elevato numero di dischi usciti fin’ora. Cosa ti spinge a far tanto e, soprattutto, ti approcci differentemente in base ad ogni progetto? O si tratta semplicemente di esser molto produttivi e far uscire molti lavori? Per me suonare è una grandissima forma di comunicazione nonché di sfogo. Ci sono molte emozioni che riesco a trasmettere meglio in musica che in parole. Infatti ogni disco ha un concetto ben preciso ed una tecnica di approccio differente. Preferisco non farti esempi perché vorrei che fosse l’ascoltatore stesso a percepire i messaggi che trasmette ogni singolo disco! Per ogni lavoro hai sempre, bene o male, lo stesso metodo di ideazione e lavorazione? E riguardo alla distribuzione? Dato che c’è un 7” in discussione, tanto vale parlarne dal suo concepimento e, magari, del rapporto collaborativo con questa a noi sconosciuta etichetta chiamata Phonocake… Come ti dicevo sopra, no, ogni lavoro ha una tecnica ed un concept differente dall’altro! “The BrownBook” è il secondo di una collezione di 5 album rappresentanti 5 colori differenti. E’ uscito “The Yellow Book” sotto la label belga PLYNT, ogni brano di questo album è ispirato al colore giallo, ai suoi significati e a tutto quello che può trasmette quel colore. “The BrownBook” invece è uscito sotto Phonocake, storica label di Koln. Ovviamente ogni beat si ricollega al marrone, infatti si possono sentire suoni molto più grezzi e legati alle radici, alla terra... al marrone! Dato il successo del release, Phonocake ha deciso di stampare un singolo con i due pezzi punta dell’album; purtroppo le copie (tiratura limitata) son quasi finite, quindi chi fosse interessato agli ultimi vinili gli può prendere direttamente da: http://phonocake.bandcamp.com/album/the-brown-book o comprarli direttamente ai mie live. Se vuoi segnalarci progetti futuri o vuoi ringraziare qualcuno, fa pure. E’ appena uscito su digital download e su cassetta: TaprikkSweezee - Repolyx per ErrorBroadcast dove c’è un remix mio all’interno! Usciranno: DigiG’Alessio - OH SP DAYS! per bedroom research DigiG’Alessio - YES WE GAIN per id-eology Digi G’Alessio and UXO - UXO vs DIGI per PLYNT Colossius n Digi - Ballacoi Loop - per bedroom research altro materiale uscirà su overknights.blogspot.com nei mesi di novembre e dicembre!! MUCH MUCHMUCH LOVE a tutti!!! YOOO!


A cura di Michael Deva Converso

intervista a: SANDRO SU Il suo esordio è un esordio come si deve (vedi recensione). Uno di quelli duri, decisi e convincenti. E soprattutto affatto banale. Non troverete che argomentazioni serie, problemi e quant’altro per farvi riprendere un minimo, come i vecchi schiaffi convincenti; quelli che non ti scordi quando li ricevi da bambino. L’ approccio, inoltre, ricorda quello di alcuni grandi del passato. E sentire oggi, in questo momento storico, “Bisogna mantenere la posizione”, fa l’effetto di una molotov che esplode sulle crepe di un sistema a picco. Il tempo è ora, il posto è qui ed è sempre lui. Sempre lui. Non ci resta quindi che scambiare due chiacchiere direttamente col diretto interessato…

Facciamo che in molti non ti conoscono e che neanch’io so

bene chi sei. Agevoliamoci tutti: chi è Sandro Su? Chi è Phogna? Ci parli del tuo percorso? E qual è la tua di posizione, quella che mantieni? Anzitutto, il fatto che molti non abbiano idea di chi io sia, trattasi di realtà e non di ipotesi, dunque mi presento: sono un distinto signore di 30 e rotti anni che fa il rap dai tempi degli spinelli in 20 persone, delle pisciate in compagnia, delle birre grandi a 1600 lire col vuoto a rendere, dei bei goal di Baggio. Phogna era il ragazzino che scriveva sui muri, Sandro Sù è l’uomo che si è accorto che Phogna non era poi troppo capace di scrivere sui muri, iniziando così lo studio di una maniera differente di portare in giro un messaggio (perché l’arte è messaggio, sempre!). La posizione? La posizione è quella di chi rifiuta un’immagine hyped-up (pompata) come si usa dire, quella, per intenderci, che va a braccetto con l’idea di stupire per fare quattrini; io non sono una rock star, io ho delle idee, delle robe da dirv. Io sono destinato a sparire, le cose che vi dico no! Quindi vanno dette bene. Nella mia recensione ho azzardato un paragone con le robe di Costa Nostra, non in senso di clonazione ma di approccio ai pezzi. Se ci ho visto bene, non penso ti sia dispiaciuto. Condividi? Quali sono state le tue influenze? Ascolto e seguo Costa Nostra dai primi anni 90, sono stato a contatto con la scena hip hop abruzzese negli anni della formazione ed ho collaborato spesso e volentieri con chi ne faceva parte, con molti di loro sono in contatto ancora adesso. Quindi, si! ci hai visto giusto, di sicuro sono stato molto influenzato da queste grandi personalità. Penso di avere introiettato così tanto gli insegnamenti di queste

persone che non è ormai più corretto parlare di ispirazione, sarebbe più corretto parlare di approccio alla realtà. Nel disco c’è un brano che mi ha colpito in particolare: il tributo a Monicelli. Più che altro perché hai campionato un frammento di un suo discorso a mio avviso tremendo. Tremendo perché è esplicato con evidente rassegnazione interiore, cosa che non auguro a nessuno. Specie a me stesso. Condividi appieno ciò che dice? So che può risultare strano come quesito dato che l’hai utilizzato ma è per sapere se c’è rassegnazione in te dato che nel disco si avverte molta determinazione a resistere. Sono d’accordissimo con il maestro, sappilo! resisto per puro spirito di sopravvivenza e non ho mai capito se vale la pena farlo per non avere rimpianti il giorno della sconfitta o per essere ben allenato il giorno della rivoluzione. Staremo a vedere. Un partigiano non combatte mosso dalla speranza di essere eletto presidente di una repubblica democratica; un partigiano combatte perché è un partigiano. Hai una certezza: racconti il mondo pure se il mondo casca. Parli di problemi. Mi viene da chiederti se in qualche modo, ti sei posto il problema (guarda caso) se farlo potesse in qualche modo accumunarti ad un tot di altri rapper che comunque si, ne parleranno pure, ma non arrivano mai al sodo. Fortunatamente di te non ho avuto quest’impressione. Hai quindi affrontato la cosa in maniera diversa dal solito? Un tot di altri rappers? Mah, se mi vengono in mente tre nomi in croce è già grasso che cola per quel che mi riguarda. Ti assicuro che, per altro, questi tre che mi vengono in mente sono arrivati spesso a ben più d’una conclusione (sensata e

pregevole), solo che nessuno gli ha dato retta. Noto che è ormai da tempo diffusa (in particolare negli ambienti di quelli che credono di sapere cosa piace/serve alla gente) la convinzione che le persone odiano pensare, odiano riflettere sulle cose, odiano sentire parlare dei problemi con i quali fanno i conti ogni giorno. Io per fortuna non mi occupo di tendenze di mercato ne di satanismo ne di nazismo (che sono grossomodo tutte e tre la stessa cosa) e seguito a confezionare in musica argomenti che sono pane per il cervello e l’anima degli ascoltatori e ti assicuro che siamo in pochi a far questo. Indipendentemente dai testi, con quale criterio hai invece scelto le musiche e i collaboratori per costruire musicalmente questo lavoro? Guarda, i criteri coi quali scelgo i produttori, i collaboratori, i dj e i rappers con cui duettare di fatto non esistono. Ho la fortuna di avere molti amici veramente bravi a fare il loro mestiere e quando gli impegni di tutti lo permettono nascono pezzi. È un fatto di amicizia. Hai presente? Pronto,come stai? Passi da queste parti? Ma va! Ti fermi da me? Ti porto a mangiare in un posto assurdo! Grande! Ecco, quando è possibile succede così. Ricordo a tal proposito un tizio che da qualche parte commentò un mio pezzo così: “Quanto s’è preso Ghemon per la strofa?”. Ecco, questo è uno che lo prende in culo tutta la vita. Ho letto da qualche parte su internet che sei già a lavoro su un tuo nuovo progetto. Vuoi darci anticipazioni? Uhm…vediamo: c’è un disco che per il momento esiste nella mia testa e in quella di Color. Qualche pezzo è già in cantiere. Creetrio c’è, Sawerio c’è, Sonakine c’è. Chi vivrà vedrà. Non vorrei aver trascurato qualche aspetto in mancanza di elementi o di dettagli che non ho scovato. Ti lascio spazio libero per dire ciò che vuoi. Gestire una concessione di “carta bianca” è sempre complesso. Io so preparare un’ottima pepata di cozze (chiedete a Color). Certo poi qualcuno non mangia piccante. Che faccio tolgo il peperoncino? Ok… a qualcuno l’aglio fa acidità di stomaco, che faccio lo cavo via? Ok… ad altri il pepe irrita l’intestino, via anche il pepe? Vaaa bene… infine qualcuno non mangia pesce, tolgo pure le cozze? Ok… ora ho fatto una pepata di cozze che piace a tutti tutti tutti e che posso vendere a chiunque accontentando chiunque….. ma bada bene! Ora è una pentola vuota! Pace e grazie della bella intervista.


A cura di Alessio Kobra Shock Perlato

16 barre

L’ALMANACCO DEL COMPLOTTO

Dopo La bella musica italiana (2006), A volte parlano (2007), Li ho visti ancora

(2009) in collaborazione con Watch the Dog e “Morte”, realizzato con Boulevard Pasteur, tornano da Rovigo i 16 Barre con L’Almanacco del complotto, accompagnati da Manto, beatmaker con cui già avevano collaborato in precedenza. ci presentano un lavoro dal packaging accattivante che richiama le confezioni dei videogiochi anni ‘90: una veste grafica apparentemente semplice, raffigurante all’esterno due triangoli rossi che, intersecandosi, rievocano il sigillo di Salomone. Dal titolo sono già chiare le tematiche. Chi li conosce sa che Princekin e Benni spaziano da sempre tra rime di denuncia contro i poteri forti e occulti, sostenute da una vena esistenzialista intrisa di pessimismo. L’intro parte con Blue Moon cantata da Frank Sinatra e sfuma lasciando il posto ad una strumentale dal suono spaziale e apocalittico, che i cultori di EL-P apprezzeranno sicuramente; quattro misure di Princekin che si ripetono due volte descrivendo la situazione attuale e la volontà di riscatto che anima i due mc, terminando con un jingle pubblicitario americano. La seconda traccia, V’era tenebra sulla superficie dell’oceano, sfoggia un beat cupo e ipnotico che non perdona, su cui Princekin e Benni tracciano uno spaccato sull’evoluzione umana - Benni:”partendo dal big bang abbiamo teorizzato tutto\ le nuvole si offuscano\ le colpe sono ferite che si aggiustano [...] e poi presi per mano Darwin\non realizzando in un cammino le troppe parti mancanti”- giungendo alle costrizioni attuali - Princekin:”la presunzione umana non perdona\più la massa è numerosa\ più il singolo non ragiona” Benni:”io cerco un regno che sia molto più di un credo\ ma l’inconscio me lo fà scappar via sotto effetto placebo” - con qualche flebile speranza - Princekin:”e arriverà il giorno in cui svuoteremo lo stagno\e troveremo in fondo solo fango”-. Ritorno da Cromlech, mette in evidenza le contraddizioni e le falsità della scienza, della conoscenza ufficiale e delle religioni monoteiste che credono di avere l’esclusiva sulla spiritualità umana e hanno spazzato gli antichi culti seppellendoli; il pezzo invita ad un’introspezione maggiore supportati da un altro beat delirante di Manto sui cui suona un bel giro di piano tagliato a regola d’arte. Altro giro di piano tagliato chirurgicamente e batteria bella spessa per La setta car-

bonia in cui Princekin e Benni evidenziano il paradosso della rappresentazione del nostro peggior nemico, ovvero noi stessi, manipolati dai potenti che ci tengono alla loro mercé - Princekin:”hanno installato dentro alla tua mente\l’idea di un nemico inesistente”-. Totalmente diverso invece il “tappeto melodico” in Volutamente io dove la batteria è composta solo da cassa e strumenti a percussione con un campione di chitarra molto malinconico che conferisce al pezzo una sonorità molto intimistica dove, infatti, Princekin parla di sé stesso, ponendosi a confronto con la chiusura mentale dell’uomo medio. Dal nucleo del pianeta si avvale di un beat magnifico dal sapore classico, con gli archi che tagliano ogni ottavo quarto e di due strofe sincere di Princekin in cui parte con un confronto con finti mc che parlano di una realtà non vissuta, per poi passare alla descrizione della condizione lavorativa dell’uomo - “non è questione di un lavoro buono\ma che le macchine valgono almeno quanto il lavoro di un uomo”- e alla situazione attuale con i suoi risvolti occulti - “sai?\quanto veloce si sparge la voce\di un impiccato con in tasca una rosa e una croce\non lo faranno mai\salvo aspiranti suicidi”- giungendo infine al possibile riscatto che emerge dal ritornello. Più sperimentali suonano invece i campioni del supporto sonoro per La dea bianca che ricordano i suoni di Dj Muggs realizzati per il suo album in combo con Sick Jacken, pur senza emularlo né copiarlo; in questo pezzo la denuncia li porta a distanziarsi dalla cultura odierna - Benni: “la verità è un immensa immagine da tutto e subito\non sono umano se il disegno umano è così stupido”- e lasciano concludere Woof. Luminal parte con un’ipotetica invasione aliena descritta da Princekin e intervallata da un jingle pubblicitario con di nuovo in sotto fondo Blue Moon di Sinatra; nella seconda strofa Benni mette in discussione il sapere che ci viene imposto come un dogma. L’album si conclude con un beat che determina ulteriormente l’impronta oscura del beatmaker, mentre la coppia di mc mette di nuovo a nudo le incongruenze della società attuale. In altre parole L’almanacco del complotto un album dalle sonorità cupe, ipnotiche e labirintiche, ideali per due mc come Princekin e Benni. Gli argomenti trattati non spaziano molto dalla linea guida data anche dal titolo, se ciò è un bene o un male lo deciderete voi; le produzioni suonano omogenee tra loro senza però essere ripetitive. L’Almanacco del Complotto è uno dei migliori prodotti dei 16 Barre, con sonorità molto distanti da quelle dei progetti passati con Watch the Dog e Boulevard Pasteur, che suonavano più sperimentali. Un consiglio: compratelo! Secondo voi cosa o chi dobbiamo combattere maggiormente per essere davvero liberi? “Possiamo combattere contro chi ci fa credere sia il problema. O possiamo combattere il vero primo problema. Se la pioggia fosse acida, sta a te a decidere se il problema sono gli ombrelli troppo poco resistenti, i tetti troppo poco conformi alla situazione, la tua pelle troppo facilmente corrodibile o magari che il problema è altrove. Tipo il perché piove acido. Lo stesso è per noi e la nostra lotta quotidiana verso la “libertà” o per lo meno l’indipendenza dalle dipendenze, tenendo comunque presente, ci tengo a precisare, di non far diventare una dipendenza anche la ricerca dell’indipendenza, perché saremo punto a capo, direi. Detto questo, il presente è il tempo assoluto; non il domani, tanto meno ieri. Questa continua ricerca al benestare nel domani farà sempre si che l’oggi scorra inevitabilmente nel Perduto per sempre, dunque, siamo noi quelli da combattere. Più chiaramente: le nostre convinzioni mentali, i più grossi mostri da sconfiggere. Sconfitti questi, potremo parlare dell’esterno. Ma se in primis i problemi sono in casa, è meglio riordinarsi le idee e dedicarsi più tempo in assoluto. Almeno credo” Ma quando, oltre a questo, è evidente che i diritti e le libertà personali sono ormai in mano a personaggi che non stanno in mostra ma impartiscono ordini nell’ombra? Com’è possibile capire chi davvero dirige le nostre vite oltre a noi stessi? “Basta guardare la Tv per quelli; andare in farmacia o a fare benzina. Per le società segrete. Non serve che dica chi siano per capire che esistono; anche perché ne citerei cinquanta, minimo. Basta fare questo semplice ragionamento: la natura umana e non è bastata su scala piramidale. Io ho un capo, che ha un capo, che a sua volta ha un capo e via così. Detto questo, la geometria ci insegna che una piramide ha una base e una punta e di norma la punta della punta è un atomo; la punta dell’atomo è un elettrone; la punta dell’elettrone è una stringa; la punta della stringa chissà. Magari è un altro universo”. Cosa ne pensate delle religioni e della spiritualità? “Credo che ogni persona abbia bisogno di credere in qualcosa e che dunque sia inevitabile nel cammino dell’uomo in questa vita terrena cercare un senso alla morte. Le religioni monoteiste mi fanno ridere per un solo motivo: è anni che si fanno guerra fra loro e tutti parlano delle stesse cose. Solo che uno ha un profeta in più qua e l’altro ha un profeta in più là. Tutte, teosoficamente parlando, derivano da un’unica religione. La religione Babilonese. A Babilonia c’era Tammuz, nato dalla vergine Semiramide, cresciuto da un artigiano e via dicendo, proprio come Gesù, Maometto, Buddha, Zarathusrta e molti altri profeti. Non mi piace molto la New Age e queste cose un po farneticanti. Amo la Scienza e la Ragione. Amo me stesso come unico Dio. In conclusione: le religioni sono sempre apprezzabili perché smuovono all’interno delle persone un lato molto importante. Odio fortemente gli umani che si considerano a capo del movimento religioso nella Terra.”

Cosa vi ha spinto a realizzare pezzi con diversi produttori e come vi siete trovati a lavorare su basi differenti? “Principalmente lavoriamo con i Watch the Dog, un duo di beatmaker di Bologna. Giampaolo Paderno e Federico Antonini. Giampaolo è il cugino di Princekin, quindi si può tranquillamente parlare di una famiglia allargata. Loro sono dei beatmaker particolari con i quali si è piacevolmente costretti a tirare fuori il massimo della sperimentazione. Con loro abbiamo prodotto un disco dal titolo Li ho visti ancora nel 2009 ed è in produzione il secondo che uscirà a inizi 2012. Lavoriamo molto anche con Manto, il beatmaker classico diciamo, vecchio stampo, con il suono grezzo del vinile e dell’Akai, a rappresentare quello da cui veniamo, ossia l’hip hop fatto come si deve. Con Manto siamo amici di vecchia data e si vive nella stessa piccola città. Quindi si gira assieme e si condividono le stesse gioie e gli stessi dolori delle serate rodigine. Poi c’è Slam (Luca Brazzorotto) con il quale abbiamo iniziato e tuttora si tira fuori qualche bel pezzato; Princekin ogni tanto si diletta a tirare fuori qualche beat. Infine c’è Boulevard Pasteur, amico di vecchia data di Princekin. Anche con Boulevard si tenta sempre un suono sperimentale che, a differenza dell’electro dei Watch the Dog, gira attorno al cantautoriale, dark ambient, con sinth, chitarre e bassi suonati dal buon Pastore.” Interagite molto con i beatmaker durante la costruzione del pezzo o aspettate che sia finito per farlo? “Con i beatmaker non interagiamo molto. Preferiamo affidarci alle loro teste, specialmente con i Watch The Dog che si affidano, per una buona resa del prodotto, alla costruzione del beat in seguito alla registrazione della voce. Non ci siamo mai trovati in disaccordo con i loro lavori per ora, speriamo che non succeda in futuro.” Cosa ne pensate della scena Hip Hop italiana? “La scena italiana è una merda. No, dai scherzo. Ci sono dei buoni gruppi che ci danno molta ispirazione! da Roma con Rancore, Madman, Gemitaiz, passando per Milano con Mastino, i Fuoco negli occhi a Bologna, i Dsa Commando a Savona , Stokka , Mad e Salmo dalle isole, dj Shocca, Ago, Mista, Cali dal Veneto e tanti altri. Siamo molto contenti della musica che l’Italia offre. Poi le porcherie vanno per la maggiore ma è così in tutto il mondo al giorno d’oggi” Quali sono i vostri progetti futuri? “A inizio del prossimo anno usciremo con il nuovo disco in feat con i Watch the Dog. Se ne sentiranno delle belle! Sperimentazione massima.” Ultima domanda, quella goliardica: qual’è il vostro alcoolico preferito? “La vodka!” ridono “Grande routesmagazine! grazie di tutto!”


A cura di Giacomo Barrichello

REGGAE

Un po’ di storia round 1

A cura di Francesco Kambo Figliola

Fuga da fermi Morti come i presidenti sui dollari. The Last Poets N

La musica jamaicana affonda le sue radici e si espande nell’area geografico culturale dei Caraibi. La Jamaica e’ considerata la

patria dei cosiddetti “work songs”, canti di lavoro, intonati per ritmare il duro lavoro nelle piantagioni, supportati da primari strumenti di percussione. Con l’avvento del periodo della schiavitù e il conseguente abbandono dei primitivi strumenti autoprodotti, prese inizio la contaminazione tra la musica africana e quella europea. Sarà proprio il Calypso la prima vera forma musicale moderna: spopolo’ sopratutto in Trinidad e Tobago ma influenzò con i suoi ritmi tutte le isole caraibiche, Jamaica compresa. Nell’immediato dopoguerra la musica popolare jamaicana prese il nome di Mento, un folkloristico e vivace connubio di percussioni, banjo, flauti, fiati di legno, sax, trombe e tromboni. Sulla scia del grande successo esotico del Calypso, numerose orchestre Mento allietavano i turisti nei lussuosi alberghi della costa occidentale della Jamaica. Siamo intorno al 1962. Il Rhythm’n’Blues suonato dai musicisti jamaicani cominciò a produrre contro-tempi musicali particolari. Con l’avvento dell’elettrificazione di strumenti come la chitarra, il basso, l’aggiunta di organi e fiati, eccoci approdare al veloce e ritmico Ska. In questi anni sono da ricordare personaggi eccellenti e musicisti professionisti come Mr. Lynn Taitt, chitarrista degli Skatalites, la prima e tra le più importanti ed influenti band jamaicane. E ancora Mr. Don Drummond, Mr. Jackie Mittoo, Mr Tommy McCook e Mr. Roland “Al Pancho” Alphonso, musicisti che ci lasciano fortunatamente parecchio materiale discografico. Ascoltando i loro capolavori possiamo ancor oggi immaginare il periodo della storia jamaicana in cui riuscivano a comporre deliziosi album in studi pressoché fatiscenti. Siamo nel 1966-67 quando il ritmo divenne più’ lento, la batteria meno frenetica ed il basso più’ melodico. L’evoluzione musicale di questo periodo prende il nome di Rocksteady. Sul finire degli anni ‘60 questo genere si impose come il principale della musica jamaicana anche a livello internazionale. Il Reggae attuale propone un ritmo in levare di basso e batteria sul quale si inseriscono le tastiere, le chitarre e le voci e dove l’importanza del basso è fondamentale: in esso si ricordano le profonde sonorità’ delle percussioni africane. Grandi bassisti fecero la storia del reggae fino ai giorni nostri: Aston “Familyman” Barrett, Robbie Shakespeare, Micheal Fletcher, Errol “Flabba” Holt, Leebert Morrison, per citarne alcuni. Il momento di svolta fu costituito dai testi delle canzoni: per la prima volta si parlava dell’emarginazione nera, della vita nel ghetto, della schiavitù e della rabbia dilagante tra la popolazione dell’isola. Nè con lo Ska e tanto meno con il Rocksteady si parlava della comunità nera fino all’avvento del più puro sound del Reggae che fu la prima e l’unica musica di lotta e di coscienza del popolo jamaicano, la cui forza deriva dall’identità e dalla fierezza della nuova generazione in Jamaica. Comincia l’era dei Sound System...

el ‘70 la funkitudine era ovunque. Dopo essere stata considerata una parolaccia improvvisata divenne una parola di moda. Tutte le frequenze e le radio furono invase letteralmente dalle strumentali di James Brown e nacquero nuovi brillanti balli: funky kitchen, funky walk, funky boot. Era cool. Era fottutamente di moda. La vita dei neri americani era questo. Era diventato questo. Il principio operativo era rappresentato dal cambiamento, anche se non tutti i cambiamenti furono per il meglio. “ Mi piacciono i negri Mi piacciono i negri Mi piacciono i negri Perché anche io sono un negro e dovrei amare soltanto quelli che sono come me Mi piace vedere i negri subire cambiamenti mi piace vedere i negri agire mi piace vedere i negri fare il loro gioco ma c’è una cosa dei negri che proprio non mi piace i negri che hanno paura della rivoluzione.” I The Last Poets cominciarono a predicare i mali della società americana a ritmo di un tamburo africano battente nelle caffetterie di New York e nelle manifestazioni politiche. Nel 1970 registrarono per la Douglas Records il loro album di street poetry più importante e assalirono il pubblico con la seminale “Nigers are scared of Revolution” . I“ L.P .” che annoveravano fra le loro rime poeti come Kain, Felipe Jeliciano, Omar Ben Hassen, rappresentarono l’ultimo grido in fatto di sentimenti anti-estabilshment, quasi precursori del popolarissimo rap politicizzato dei Public Enemy. Il primo album dei Poets vendette più di trecentomila copie. Dopo questa pietra seguì “This is madness” , che conteneva la classica Mean machine, per poi scomparire nell’oscurità nella seconda metà del settanta. Nel 1984 la Celluloid Records tornò ad incidere l’album reunion: “

Oh my people”, con tre dei loro membri, accompagnati dalle tastiere di Bernie, Bernie Worrell dei Funkedelic. L’elemento visionario di quel periodo fu la rivoluzionaria convinzione di questi singoli artisti: Abiodun Oyewole, Umar Bin Assan, Jalal Nuridin . Si conobbero in carcere. Jalal aveva rifiutato la chiamata alle armi dell’Esercito. Gli ultimi poeti elaborarono un’estetica ancora una volta sviluppata da due opposte tensioni. Qualcosa di profondamente innovativo: il rap e una tradizione di cantastorie che partiva dai Griots dell’Africa Occidentale. Le invettive politiche si rivolgevano alla Comunità stessa e scuotevano quella apatia, quella paura, quella stereotipizzazione dei ruoli nella mentalità dei Nigers. Cominciarono ad immaginare una liberazione completa e totale per la propria gente, tema che alimentò gli exploit musicali di molti altri gruppi soul e funk nella seconda metà degli anni ‘70. L’ossessione era la rivoluzione possibile, la rivoluzione incompiuta. C’era una rivoluzione nera e quella rivoluzione è andata perduta. E insieme a questa sconfitta anche la consapevolezza. Aumentarono i problemi. Le generazioni che seguirono non possedevano quell’orientamento e nemmeno l’educazione alla rivoluzione, che significava anche comprendere il posto dei negri nel mondo accanto alla gente oppressa. Significava avere una naturale sintonia con chi combatté per la libertà e soprattutto comprenderne ragioni e lotte. Il fine era liberarsi dall’oppressione e dalla discriminazione imposte dell’America bianca. Un’oppressione che affonda le sue radici in quella terribile pratica chiamata schiavitù. Allora i The Last Poets e Gil-Scott Heron cantavano quasi la stessa poesia/canzone: l’idea che la rivoluzione era alle porte e che né la Televisione, né la pubblicità avrebbero potuto mai arrestarla. ASCOLTO CONSIGLIATO “In the bottle” Gil-Scott Heron


A cura di Nadia BestJamaica Montanari

I Marleys in tour

Il 2011 è decisamente stato l’anno di Marley. Sono passa-

ti trent’anni da quel triste 11 maggio 1981, eppure Bob è ancora assolutamente presente ed attuale, grazie alla sua musica che continua a tenerlo vivo. Bob ci ha lasciato una grande eredità attraverso i suoi figli, che continuano a portare in tutto il mondo il suo messaggio, i suoi principi, i suoi insegnamenti. E proprio a commemorazione del trentennale della morte di Bob, numerosi sono stati gli eventi a lui dedicati, tanti dei quali hanno visto protagonisti proprio i suoi figli, impegnati nelle loro tournée negli Stati Uniti, in America Latina e in Europa. Coloro che hanno avuto la fortuna di poter andare al “nostro” Rototom Sunsplash, ormai emigrato, forse definitivamente, in Spagna, hanno avuto la grande opportunità di poter assistere alle performance non solo di alcuni dei fratelli, ma anche della vedova di Bob, Rita Marley, ospite speciale dell’edizione di quest’anno. Anche noi in Italia però ci siamo difesi bene, visto che il nostro paese è stato una delle mete toccate da tutti i Marley brothers. Abbiamo iniziato alla grande con quello che è stato definito l’ “evento dell’anno”: un attesissimo Damian che con Nas ad aprile si è esibito di fronte ad oltre 7000 persone a Milano. Abbiamo poi rivisto con piacere Julian, in una fresca serata di giugno, a Bosco Albergati. Un altrettanto atteso ritorno è stato quello per il fratello più discusso, soprattutto dopo l’uscita del suo libro-biografia

“Dear Dad”, colui che si autodefinisce la pecora nera della famiglia: Ky-mani Marley, che oltre per la sua musica, è anche conosciuto nel mondo dello spettacolo, come attore cinematografico. Purtroppo Ky-mani ha dovuto interrompere la sua tournée Europea, a causa di un infortunio subito al ginocchio a Rimini, proprio durante la performance nella sua prima data italiana, ad agosto. Sicuramente Stephen è considerato uno tra fratelli Marley più ricchi di talento: è uscito da qualche mese il suo ultimo lavoro-capolavoro discografico “Revelation part 1 – The Root Of Life” con il quale si è presentato in tour in Europa. L’Italia l’ha visto protagonista ad agosto, per una delle serate del Festambiente a Grosseto e precedentemente al Rock Oz’Arenes Festival di Avenches e al Rote Fabrik di Zurigo, dove parte dello staff del ROUTESmag ha preso parte. Come si suol dire “last but not least”, ultimo ma non meno importante, il maggiore tra i fratelli Marley, colui che per primo raccolse l’eredità musicale di suo padre: nuovamente in Europa, dopo una prima tournée durante i mesi di giugno e luglio, con il suo ultimo album “Wild and Free”, anche Ziggy Marley è tornato ad esibirsi nel nostro Paese in una calda notte bolognese di fine agosto. Una stagione in cui i Marley sono stati protagonisti come era giusto che fosse, per ricordare e celebrare un grande artista, ma soprattutto un grande uomo che ha influenzato, se non addirittura cambiato, le vite di molte persone.


A cura di Marco Sibi Sibillano

LADY DAY: Billie Holiday

La prima grande artista di cui mi accingerò a parlare è Eleanora Fagan

Gough, in arte Billie Holiday, una delle voci più grandi e famose di tutti i tempi. Una vera icona del Jazz e del Blues. Ebbe una vita decisamente particolare: a 10 anni fu vittima di uno stupro e riuscì a salvarsi da molti altri tentativi. Poco più che bambina si trasferì a New York dove, per racimolare quei pochi dollari necessari a vivere, iniziò a prostituirsi in un bordello clandestino della Grande Mela, nel quartiere di Harlem. Per arrotondare puliva l’ingresso delle case del quartiere in cui abitava. Da lì a poco la polizia avrebbe scoperto il bordello. La casa di piacere venne chiusa e Billie passò quattro mesi in carcere. Uscita di prigione cercò lavoro come ballerina in un locale. Lo fece pur senza saper ballare: infatti venne assunta immediatamente come cantante. È qui che ebbe inizio la sua carriera. Ad Harlem, New York. E Billie ha solo 15 anni. Da quel momento venne dapprima notata dal produttore John Hammond che la impegnò in sala di incisione con il cognato Benny Goodman, con cui la collaborazione non ebbe i risultati desiderati; Hammond, che rimase comunque convinto del suo talento, decise allora di farla riprovare col pianista Teddy Wilson. Fu con lui che i brani di Billie cominciarono a girare, a piacere e pian piano la fecero conoscere al grande pubblico. Fu così che iniziò un’escalation di successi e collaborazioni con i più grandi del Jazz dei tempi e si affermò come una delle voci più entusiasmanti e calde del panorama Jazz & Blues di Harlem, capace, come solo lei sapeva fare, di trasmettere anche con una nota soltanto un arcobaleno di emozioni. All’inizio degli anni ‘40 cadde anche lei nel buco senza fondo dell’eroina. Dopo la morte della madre e un rovinoso matrimonio, Billie diede inizio al suo lento viaggio fatto di droga e alcool che segnarono in maniera indelebile la sua carriera. Nonostante un’esistenza rovinosa ha saputo lasciare ai posteri la sua Musica. Una musica paragonabile ad una lettura di Bukowsky: appena terminato di leggere un suo libro, ci si sente meglio.

Billie Holiday non canta. Prega con sofferenza e desiderio. Ascoltando la sua musica si avverte chiaramente il suo strazio e allo stesso tempo la sua gioia e determinazione. Potete immaginare di vedere, nel modo in cui sinuosa si intreccia con la melodia del brano, sterminati campi di cotone verso il tramonto e sopra una collina. Lei che sotto un nocciolo ride e piange dolcemente, finalmente in pace. Per sentire il suo spirito inciso sul vinile consiglio di ascoltare uno dei dischi più belli che abbia mai inciso: “Lady in Satin”. Ma prima di appoggiare la puntina sui solchi, leggetevi questo magnifico “ritratto” di Billie scritto dalle sapienti mani di Stefano Benni. Negra? Non si vede? Cantante? Ascoltami e vedrai Puttana? Sì, ho fatto anche quello E bevo anche come quattro uomini Non mi fai paura, ho suonato in posti peggiori di questo In bar di cow boys nel sud dove mi sputavano addosso In una città dove il giorno stesso avevano linciato un nero A New Orleans dove un diavolo alla moda Ogni sera mi regalava fiori di droga E a Chicago mi innamorai di un trombettista sifilitico E all’uscita del night mi hanno spaccato la bocca Sotto la pioggia da una stazione all’altra Lady sings the blues Negra? Sì, ma ci sono abituata Cantante? Canto come una gabbia di uccelli Note gravi e alte, e tutto il repertorio Posso svolazzare come quelle belle cantanti dei film E poi posso piantarti una ballata nel cuore Vuoi strange fruit? Vuoi midnight train? Posso cantartela anche da ubriaca O con un coltello nella schiena O piena di whisky e altro, perché sono una santa E il mio altare è nel fumo di questo palco Dove Lady sings the blues Negra? Negra e bellissima, amico Cantante? Non so fare altro Puttana? Beh sì ho fatto anche quello E bevo come quattro uomini Non toccarmi o ti graffio quella bella bianca faccia Posate il bicchiere, aprite quel poco che avete di cuore

State zitti e ascoltate io canto Come se fosse l’ultima volta Fate silenzio, bastardi e inchinatevi Lady sings the blues E quando tornerete a casa dite Ho sentito cantare un angelo Con le ali di marmo e raso Puzzava di whisky era negra puttana e malata Dite il mio nome a tutti, non mi dimenticate Sono la regina di un reame di stracci Sono la voce del sole sui campi di cotone Sono la voce nera piena di luce Sono la lady che canta il blues Ah, dimenticavo... e mi chiamo Billie Billie Holiday. Stefano Benni Non poteva mancare un piccolo approfondimento con l’autore, Stefano Benni, che ha gentilmente concesso le risposte a due domande che abbiamo voluto rivolgergli per sapere come lui viva la musica. “Lady sings the blues” è un graffiante e toccante ritratto della grande Billie Holiday, che nasce senza dubbio da una conoscenza profonda dell’opera di Lady Day. Quale passione ha saputo portarla a dipingere un ritratto così perfetto? “La passione per i musicisti che danno tutto misteriosamente , fino all’ultima goccia di sangue”. In che modo la sua opera è influenzata dalla Musica e quale ruolo ricopre nella sua vita il suono? “Come non posso fare a meno dei libri, così non posso fare a meno della musica. La parola è anche una musica, è bello saperla suonare”.


RECEN-

A cura di Marta Ciccolari Micaldi

Il bianco e il nero, le tag e l’uomo volante Recensione del romanzo La fortezza della solitudine , Jonathan Lethem (2003), Il Saggiatore, pp. 552

Brooklyn è povera. Brooklyn è povera negli anni Settanta. È abitata da neri e portoricani, da bianchi alternativi in cerca di affitti più bassi e

vicinati meno frenetici, da ragazzini che fanno vita di strada mentre agli incroci, seduti su cassette o bidoncini, i vecchi cantano nenie in lingue straniere; e qualcun altro, poco oltre il grande magazzino di colori, in lingua straniera si ammazza. C’è la droga, a Brooklyn, tanta cocaina e il crack in arrivo. Brooklyn negli anni Settanta è Dean Street e Gowanus e i Wyckoff Gardens; Manhattan è troppo lontana per scorgerne più che uno spicchio di grattacielo dalla finestra di casa o dal tetto, quando si sale lassù per recuperare qualche spaldeen, le palline gommose e luride usate durante gli scatenati e oziosi giochi dei ragazzi in strada. Brooklyn è la strada. Brooklyn è la casa di Dylan e Mingus, giovani, complicati e irruenti protagonisti di una rincorsa ai valori profondi e commossi dall’amicizia che occupa quasi tutta la durata della storia; Brooklyn è l’immensa terra natia dello scrittore americano Jonathan Lethem, altisonante sineddoche di un’America ormai scassata ma pur sempre grandiosa che lui rappresenta e conosce con indubitabile padronanza. Brooklyn, prima e dopo il grande boom turistico e la gentrification, prima e dopo il personale successo di Lethem come scrittore cult della contemporaneità letteraria avantpop e pop in generale. Dylan e Mingus fanno fatica a diventare amici: Dylan è l’unico ragazzino bianco in una scuola di neri; Mingus è uno dei neri più duri e rispettati della zona, che non sempre ha piacere di farsi vedere in giro con il ragazzino bianco della scuola, nonostante lo adori, lo protegga e lo rispetti come si fa solo con un fratello. A tenerli insieme è un mondo fatto di tag, brevi ma potentissimi nomi propri – nomi d’arte – scolpiti sui muri con scaltro e frettoloso uso del colore onnipotente e di fantasia da fumetto segreto, da supereroe personificato. Insieme hanno infatti battezzato ogni angolo delle loro strade: da quelli così visibili da essere terreno di guerra, a quelli tanto invisibili da poter essere raggiunti solo con dei super poteri. I super poteri di Areoman, l’uomo volante, il cui volo è garantito da un anello magico che i ragazzi hanno ereditato da un barbone, anche lui uomo di strada, caduto al suolo come Lucifero dopo una librata finita male. Areoman deve combattere il crimine nelle strade, deve stare dalla parte dei giusti e contemporaneamente, nel suo costume fatto in casa, deve essere allenato a volare, deve sapere atterrare addirittura dal ponte di Brooklyn battuto dal vento gelido e superare le rivalità che inevitabilmente ha creato tra i due amici; deve conservare la sua anima in un anello-feticcio, così tante volte nascosto tra le mani sudate e ansiose di Dylan che per poco non ha smesso di funzionare. Aeroman è un’amicizia quasi impossibile. Aeroman è il supereroe che cambierà super poteri quando Dylan e Mingus avranno cambiato identità, vita, età. I due ragazzini crescono e si allontanano. Brooklyn si spacca, lacerata da se stessa e affonda in Manhattan, nel Vermont, nel college, nella galera, fin nella California dalle mille luci magiche e fuggevoli. Non davvero, forse, non per sempre, di sicuro. Intanto gli altri personaggi – il cattivo Robert Woolfolk, l’ambiguo antagonista Arthur Lomb, i genitori Abraham, Rachel e Barret Rude Junior – inseguiranno i due protagonisti a ritmo di colpi di pistola, di cartoline misteriose, di strisce di coca e di musica. La musica e la scrittura di Lethem sono un tutt’uno, infatti. È il ritmo che conta in questa storia non per forza accelerato e rullante, anzi molto spesso gonfio, rigonfio, come una vera onda sonora ha da essere. Dal funky al punk, toccando indietro il blues e il jazz e avanti il rock psichedelico, intere frasi di canzoni, ritornelli e recensioni musicali arricchiscono uno stile di scrittura già di per sé sonoro, sentito, solido, ricco. Di certo domate da redini sempre vigili e attente, le frasi che Lethem sceglie per il suo romanzo – che tanto ha di autobiografico – sono lunghe, contengono ripetizioni e ridondanze, si rincorrono, riempiono la lettura di particolari, di segni e suoni, di slang e dialoghi che sanno di vero. Una colonna sonora cruda e abbondante per raccontare di un’America che ancora non sa bene come e dove si possano mescolare il bianco e il nero. Nonostante tale segreta e graffiata unione suggerisca un dolce calore a chi è in grado di coglierlo.


recordz

A cura di Michael Deva Converso

recordz MR. T – PART-TIME LOVE (AUTOPRODUZIONE)

SOLE & THE SKYRIDER BAND - HELLO CRUEL WORLD (EQUINOX RECORDS)

Ed eccoci di fronte ad un disco che potrebbe lasciarvi straniti. Procediamo per ordine: anzitutto la EquinoxRecords di Berlino è l’etichetta che più mi suscita interesse da un paio di anni a questa parte per via della sua diffusione di una musica in qualche modo alternativa che si sposa con i miei gusti almeno nel 85/90% dei casi. Inoltre Sole, per chi ha un occhio di riguardo verso un certo tipo di rap, si ricorderà della Anticon e dell’autore di una gemma underground hardcore del 2000 denominata “Bottle of Humans” e dei suoi degni seguiti sempre per la stessa etichetta. Certo, è passato molto tempo e il nostro Tim Holland ha mutato il suo approccio musicale, tant’è che ha persino abbandonato l’Anticon (di cui era il co-fondatore con Alias) e si è concentrato sull’autoproduzione di materiale inedito. Riguardo invece le sue uscite più “ufficiali” c’è il progetto con la Skyrider Band che prosegue dal 2008 con l’album omonimo, seguito da “Plastique” e da due EP (uno contenenti vari brani remixati, l’altro è invece “Battlefields”). Ora finalmente siamo giunti a ciò che è di nostro interesse: “Hello Cruel World”. Chi ha seguito, anche non attentamente, il percorso evolutivo del rapper in questione sa bene che non bisognazz aspettarsi qualcosa di simile al suo esordio, anzi, specialmente se si tratta di un disco con la Skyrider Band. Già dall’esordio sopracitato con questo gruppo, sono state fin chiare le loro intenzioni; una musica con forti influenze elettroniche sviluppate sotto una sorta di vena “conscious” (anche se i momenti di rabbia non mancano affatto), dove Sole narra di storie o di pensieri personali utilizzando forti rime astratte e ricche di metafore. In “Hello Cruel World” troviamo di nuovo tutto questo ma forse in una chiave ancora più particolare. La peculiarità di quest’ultimo lavoro sta nelle sonorità leggermente diverse. Più precisamente nell’utilizzo di synth che riconducono in qualche modo a sonorità “pop” o commerciali, ma attenzione: questo disco non è commerciale. Eh no, non può esserlo date le liriche incise sopra, molto intime e profonde (a tratti ironiche) di Sole. Come se non bastasse, quasi tutte le tracce sono dotate di una malinconia a tratti appassionata. La prima traccia (“Napoleon”) è un ottimo inizio per comprendere il viaggio del disco, specie con il suo ritornello cantato che vi trascinerà lentamente nelle atmosfere di questo lavoro. Vorrei invitare ad ascoltare il progetto in questione con attenzione e non con superficialità perché, anche se apparentemente non sembra, merita molta attenzione. Perché basta farsi rapire dal violoncello di “BadCaptainSwag” per capire che non stiamo ascoltando una traccia di Kanye West. Ho fatto ricerche su molti siti esteri per leggerne i pareri ed ho trovato curioso come sia stato letteralmente bocciato dai siti più “puristi” ma ampiamente promosso e, in alcuni casi, indicato anche come disco dell’anno da altri con vedute più ampie. In definitiva sento di promuovere questo “Hello Cruel World”, compiaciuto che la Equinox di DJ Scientist abbia donato l’ennesimo prodotto valido: un disco che riesce, anche con le sue piccole sbavature, ad emozionare. Ma emoziona solo se gli è permesso. Dategli quindi una possibilità. Una possibilità che merita.

SANDRO SU’ – BISOGNA MANTENERE LA POSIZIONE (HOLE CITY RECORDS)

“Bisogna mantenere la posizione”? Beh, è “semplicemente” un disco per chi cerca roba fatta seriamente. E dico sul serio. Per i più attenti, Sandro Sù non è proprio un personaggio nuovo; date un’occhiata al lato B di “Viene e va” organizzato da Gruff oppure ad uno dei lavori più sottovalutati di questo 2011, “Versatile 2.0” di Mess2, dove Sù da molteplici dimostrazioni di sapere scrivere un rap a dir poco intelligente. Quello che parla dei problemi, che cerca di far aprire il più possibile gli occhi dell’ascoltatore, utilizzando la propria rabbia: quella di una persona stanca e sola ma che non si rivela affatto arrendevole. Un disco che farei ascoltare al nostro Silvio, insomma. Ironia a parte, la posizione di Phogna (altro nome per cui è noto) risulta abbastanza chiara già in partenza nella potentissima “Tornare come Hank”, un intro di quelli come non se ne sentivano da tempo: un beat rigorosamente hip hop di Fano dei Cutdealers, gli eccelsi scratch di un sempre in forma B.Kun degli Scratchbusters e un testo che lascia tutt’altro che indifferenti (e ad ogni mio collega che “vò fa l’americano” dico: che può andare in guerra nel nome di un altro stato amigo!”). Una nota di merito da segnalare è la buona presenza di scratch sparsa per gran parte del lavoro, cosa che sembra molto trascurata negli ultimi anni. Nella prima traccia abbiam già citato Bioshi ma nel resto del disco c’è la massiccia presenza di Creeterio che riesce ad elevare musicalmente i brani con il suo prezioso contributo. Tornando alle argomentazioni, troviamo anche il “declino” (come è giusto che sia), essenziale per narrare la risalita che si sente sottolineare, bene o male, in tutte le tracce. Di fatti il monologo campionato del maestro Monicelli per il brano “Liberazione” dona un senso di asfissia per le dure parole che utilizza. Per quanto riguarda la “rivalsa”, è narrata con forte tenacia che a molti ricorderà in qualche modo una certa attitudine simile a quella che i grandi di Costa Nostra hanno diffuso in passato. In sostanza, l’esordio di Sandro Sù convince ottimamente e ci auguriamo possa essere più presente nel nostro panorama. Qui c’è chi mantiene la sua posizione. Addirittura fieramente mentre lì fuori ancora in molti non sanno neanche da che parte stare.

DJ SHADOW – I GOTTA ROKK EP (RECONSTRUCTIONS PRODUCTIONS) /I’M EXCITED (ISLAND RECORDS) + FREEDOWNLOAD TRACK

Quello di Shadow è senza dubbio uno dei ritorni più attesi dell’anno. Ricco di elevate aspettative, specie se si considera che l’ultimo lavoro ufficiale risale ad ormai qualche anno fa e sopratutto al fatto che “The Outisder” non ha ottenuto gli stessi riscontri dei primi due storici lavori. Potrebbe sembrare “superficiale” dare un’occhiata ai due EP che anticipano il nuovo album ma non così: entrambi posseggono, oltre alle ovvie anteprime, remix e tracce che, stando alla tracklist ufficiale di “The Less You Know, The Better”, non saranno contenute nel disco. E in alcuni casi questo è davvero un peccato. A dir poco coinvolgente la prima anticipazione: “I Gotta Rokk”. Una batteria secca impostata su delle chitarre a dir poco ipnotiche che fanno ben sperare. Molto ben riuscita è anche “I’ve Been Tryng”, costruita su un rilassante campione di chitarra di Gabor Szabo. Scarsamente all’altezza è la terza elettronica traccia che si distacca molto dalle precedenti. Rendono merito senz’altro il vero pregio del singolo in questione, ovvero le versione remix delle tracce sopraelencate. Quella della titletrack sembra addirittura completarla, con i suoi bpm velocizzati. Se l’originale era coinvolgente, questa rivisitazione ne amplia il suo impatto sull’ascoltatore. Stesso dicasi per il secondo remix nonostante si distacchi molto dall’originale entrando in un’ottica più elettronica che può risultare comunque molto piacevole. “Def Sorrund Us” sembra funzionare più in chiave Drum N’ Bass come il suo remix che nell’originale. “I’m Excited” ha invece dinamica diversa: contiene solo quattro tracce di cui due scarti e due delle bonus track del prossimo LP. In più esiste solo una versione digitale di questo EP. Può risultare un po’ strano constatare che la titletrack non sarà nel disco nonostante abbiano girato un video ufficiale, d’altronde non sembra convincere appieno. Shadow tocca addirittura chiavi “distopiche” nel secondo scarto, “Banished And Forsaken”: traccia dai toni ambient e molto distante dai suoi soliti lavori ma non per questo meno riuscita. Fantastico il risultato della prima anticipazione “Come On Riding (Through The Cosmos)”, ennesima dimostrazione della strabiliante bravura del produttore statunitense nell’assemblare i campioni tratti dai dischi più disparati della sua collezione. Gli amanti delle sue vecchie batterie “grezze” apprezzeranno l’ultima traccia “Let’s Get It Bass”: un ottimo esperimento di fusione tra un suono riconducibile alla golden age, voci elettroniche e synth di un basso elettronico. Da segnalare è anche l’ultima anticipazione diffusa in freedownload sul suo sito ufficiale, la traccia denominata “Warning Call”: un ottimo giro di chitarra coinvolge già da subito l’ascoltatore; inoltre l’aggiunta di batteria e voce contorna il tutto. Sembra un vero e proprio pezzo rock ma è composto da vari campioni provenienti da dischi e pezzi diversi. Tirando le somme, oltre ad indicare che è di dovere dare almeno un ascolto ad ognuna di queste tracce, è probabile che il prossimo lavoro spazierà come al solito tra varie sonorità, ma sarà comunque più presente rispetto ad altre qualche tono decisamente più rock. Dati gli ottimi risultati fino ad ora giunti, non dovrebbe essere affatto un aspetto negativo.

Autoproduzione e underground in pura fusione. Curioso come la sua grafica davvero minimale possa risultare adatta alla musica. E’ molto difficile definire questo disco. Ma sono del parere che una recensione non serva a questo, quindi non troverete risposte in ciò che scrivo. Ascolto Mr. T. Per un attimo mi sembra di ascoltare DJ Krush. Il paragone non lo trovo affatto errato. Nel disco la sonorità che prevale è il Jazz, ma questo non è un disco Jazz. Questo disco prende amorevolmente i vecchi dischi e li rimescola in una strana forma strumentale. Strana. E dinamica. Dinamica perché il disco si apre come un punto-luce nelle tenebre, che molto timidamente vien fuori a suon di batterie siderali. Ma le intenzioni di questa creature iniziano a mutare già da “Searching”, la seconda traccia. E bisogna ammettere che anche la sua oscurità lascia spazio a note che trasmettono più allegria nel corso del disco, perlomeno sembra che “Sollazzo” faccia proprio questo effetto. L’aspetto Trip-hop è quello che prevale, tanto per essere precisi, ma qui sono i sentimenti a fare da padrone, non le sonorità. Sempre ammesso che non le si considerino di pari passo. Anche quando Oder inizia a rappare inaspettatamente a metà disco. E senza sfigurare. Con una sorta di strofa molto intima che si amalgama efficacemente al contesto. Ascoltare l’intero processo di questo disco (perfetto per un giro in macchina sotto la pioggia) e arrivare ad una perla sensuale come “In This World pt.2” (quella che è forse la traccia migliore), beh, è davvero emozionante. Tanto per non voler nascondere la sofferenza, come il dialogo finale suggerisce. In questo disco troverete un po’ di tutto, per emozionarvi. Come lo Yin e lo Yang. Come il bianco e il nero del digipack in contrasto con il nero e bianco del cd. Come il suo essere minimale e, al tempo stesso, pregno di sostanza. Ecco cosa è Part-Time Love. E poi, onestamente, se il disco conclude con una traccia splendida come “Calma”, sento proprio che non c’è affatto nient’altro da dire. Forse non avrei neanche dovuto tentare di scrivere qualcosa. L’unica cosa sensata da scrivere è che potete richiedere la vostra copia a info.mrtmusic@gmail.com. Concludendo, per quanto mi riguarda, fuori piove. Esco in macchina, senza una meta. Ma porto “Part-Time Love” con me. Vi consiglio di fare altrettanto. “Trame fra il vento asciugano lacrime di una clessidra senza sabbia, ogni risposta pare ovvia…Il dubbio mastica sta nebbia, piccoli appigli in palio osservano il silenzio che si sveglia. Attenti osservano il tempo su una mano che cancella”.

DOPE D.O.D. – THE EVIL EP (35 MUSIC)

I più attenti li avranno conosciuti con il brano che fu un vero e proprio biglietto da visita in tutta Europa (e non solo), la potentissima “What Happened” di cui è disponibile anche un ottimo videoclip. Per chi non lo sapesse, questo gruppo olandese è formato da Dopey Rotten, Jay Reaper e Skits Vicious, tre giovani losche figure che ricordano molto i vecchi Psycho Realm. Tuttavia, oltre allo stile denominato “horrorcore”, c’è l’aggiunta di sonorità dubstep. Il risultato è senza dubbio brutale e lo si intuisce appunto dalla traccia d’apertura, “Brutality”. Con molta sorpresa, la produzione di questa traccia è di un dignitoso Maztek, produttore di Roma. Per il resto delle tre tracce che seguono il breve EP, il filone rimane comunque costante con la stessa carica e decisione. Se proprio vogliamo cercare i suoi punti deboli li troviamo in alcune carenze sul rap che non sembra proprio originale, quantomeno solo uno dei tre riesce a mantenere un certo interesse. I suoi punti di forza sono senz’altro in tutto il resto: nei beat coinvolgenti, nella grafica e nei video ottimamente girati. Per questi aspetti “The Evil” presenta l’originalità che lo contraddistingue e che lo afferma senza dubbio come un lavoro attuale. Un breve ma sentito antipasto per l’attesa del nuovo lavoro ufficiale in uscita a Novembre 2011.

BANANA SPLIFF – SPAGHETTI NIGHTMARE (HELL’Z EYE RECORDS)

I Banana. Di Ancona. Ancora. Ancora loro. Col suono che ti spacca quando attacca la band. I famigerati ritornano dopo gli ottimi precedenti lavori (ultimo L’Isola della morte con i Neuro Garage, 2009) e con loro non si tratta di discutere se suonino “vecchi” o “attuali”. Loro suonano bene, a dovere, dimostrando una volta per tutte di essere tra le realtà più di spicco del panorama underground della penisola. E non per numeri. I beat sono per maggioranza del membro Oskie, con un intervento del buon vecchio Kaos, uno di Fez, un altro di Onto e tre di DJ Argento, ormai stretto collaboratore del gruppo. Tutto suona ottimamente amalgamato. Le strumentali trasudano di funk, di quello corposo, quello massiccio e come si poteva intuire dal titolo anche molto più oscuro che in passato, tutto ricavato da vinili sempre più remoti. Tempo fa furono definiti come miglior gruppo rap no-sense in Italia. Non si sbagliarono. Ma in questo lavoro non si può effettivamente parlare di questo: molte tracce presentano un valore contenutistico non ignorabile, più precisamente dal carattere politico e rivoluzionario, trattati con molta determinazione e rivelando forti e amare verità (“Il popolo: vale a dire strati e classi. Eppure la galera inghiotte solo i ceti bassi!” oppure “Ponendo condizioni di miserie anche gravi, ci si crede onesti solo perché si è schiavi!”). Comporre in no-sense ma suonare efficaci in gruppo non deve esser affatto semplice. Ma qui, questa volta, troviamo disagio e ribellione, malessere e veleno come non mai. Anche le collaborazioni al microfono non sfigurano nelle argomentazioni più impegnative. Nei lavori precedenti la cosa che è sempre scaturita da subito è stata l’ottima alchimia dei vari membri tra loro e in questo lavoro sembra tutto molto più accentuato: pezzi come Febbre generale ne sono prove valide, dove il gruppo si alterna in maniera molto efficace. Uno dei migliori lavori dell’anno questo Spaghetti Nightmare e in un certo senso anche il lavoro migliore del gruppo in questione. Una riuscita al pari di Prego notare la mancanza totale di potenziale commerciale (anche se in questo nuovo lavoro effettivamente l’assenza del caro Ffiume un po’ si fa sentire). Consigliandone fortemente l’ascolto, spero vivamente che certi lavori abbiano il giusto credito che meritano e che di conseguenza il suo forte messaggio arrivi a più menti possibili, specie a quelle più narcolettiche. E’ tempo di lottare e questo disco ne è, indipendentemente dai suoi limiti, un fuoco pronto a divampare. D’altronde in paradiso non si arriva con gli occhi asciutti.

DIGI GALESSIO – THE BROWN BOOK 7” LIMITED EDITION (PHONOCAKE)

E’ quasi un dovere farvi questa breve segnalazione. Gli appassionati di un certo tipo di elettronica italiana, avranno notato gli Overkinghts. Uno dei loro esponenti più noti, Digi Galessio, tra le sue numerose uscite ha appena stampato un 7” in edizione limitatissima con due estratti da “The Brown Book”, il suo ultimo lavoro che si può trovare, tra le altre cose, su digigalessio.bandcamp.com. Certo, i brani sono solo due, ma ottimi. Come se non bastasse il singolo è venduto ad un prezzo davvero basso e si sa che di questi tempi con il supporto vinilico, certi discorsi si possono fare davvero raramente. Ottima iniziativa quindi e invito a tener d’occhio anche la suddetta etichetta che, a quanto pare, è disposta a stampare solo vinili in edizione limitate. Solo amore per certa gente.




Testo e Foto Federico Tomoz Bandini Lomografie Filippo Mozone Tonni

RIGENERARTE RAVENNA2011 3 settembre 2011, ore 10.00.

Presso alcuni muri della darsena della città di Ravenna 32 writers italiani e 6 writers stranieri (da Francia, Germania, Inghilterra, Danimarca e Spagna) iniziano con i loro spray a rigenerare visivamente alcune vecchie superfici, per un totale di 1500 metri quadrati, di un edificio lasciato all’abbandono in pieno centro cittadino. Lasceranno i muri solo domenica 4 settembre, al calare del sole, dopo averli completamente dipinti, interpretati e vissuti. Sicuramente è stata una delle manifestazioni più partecipate e più “grasse” degli ultimi 15 anni per quanto riguarda il writing in Emilia Romagna, sia a livello numerico che a livello qualitativo, ma ciò che più ha convinto partecipanti e visitatori è stato lo spirito di condivisione e gioia (quella che si può respirare solo gratuitamente) che ha intriso l’aria in quei due giorni al posto del solito odore di carburante navale misto a qualche molecola d’acqua. Una cosa del genere è ovviamente difficile da organizzare. È difficile gestire 38 ospiti ma pensavamo, per esperienza diretta, che gestire tanti “artisti dello spray” fosse una pazzia ai limiti della sopportazione umana (quindi ci siamo buttati a capofitto nell’impresa!) sia per il numero elevato di ospiti che per le rinomate caratteristiche del writer medio; un ego smisurato (provate voi a scrivere il vostro nome ossessivamente per anni sui muri delle città senza una buona dose di ego), una pazzia visionaria che può sfociare solo nella concretizzazione di un gesto, qualunque esso sia e un’organizzazione personale pressoché assente nella maggior parte dei casi. I writer, insomma, sono menti costantemente in fermento che spesso, pur avendo lo stesso fine, si muovono in direzioni diverse, se non addirittura opposte e a volte si scontrano senza neanche sapere il perché. Una mandria impazzita che riconosce i propri simili tra mille ma si rifiuta di essere gruppo proprio perché l’unicità è l’elemento basilare del proprio essere. “Il nome è solo mio e solo io lo scrivo in quel modo”. Per questi motivi, spesso non visibili ad un occhio “esterno al movimento”, la soddisfazione è tanta, quasi quanto lo sbattimento che risulta più che ripagato dai sorrisi, dall’energia e dalla collaborazione attiva di tutti i presenti. Gli ospiti europei hanno dimostrano nuovamente di essere degli assoluti king del settore come del resto anche moltissimi degli ospiti Italiani che si sono difesi più che bene. La cosa che ci rende maggiormente orgogliosi di ciò che abbiamo realizzato è il sentirci dire che ci riconfermiamo gente ospitale, che si preoccupa del risultato finale del muro senza però porlo come unico traguardo. Può sembrare strano a dirsi, ma quando si pensa esclusivamente alla riuscita del muro si perdono di vista le persone che lo dipingono, che sono comunque esseri umani con i propri difetti e i propri bisogni. Saper agevolare tutto questo è per noi basilare nella buona riuscita di una parete collettiva, che non intendiamo come vetrina di tanti singoli, ma tela unica dove la pittura passa di mano in mano rafforzandosi. È un concetto che cerchiamo di applicare in ogni aspetto delle nostre attività, vita compresa. Un atteggiamento questo percepito da tanti, ospiti e avventori casuali. Non possiamo che esserne felici. In ultimo rimaniamo positivamente colpiti dall’accoglienza che la cittadinanza, la gente che quella zona la abita quotidianamente, ci ha riservato nei giorni del festival. Quando si parla di “graffiti” tutti storcono il naso a prescindere, si impauriscono rimandando subito l’idea ad un concetto di degrado e svilimento. Cosa normale in un paese che non ha mai saputo valorizzare l’arte di strada, specialmente in questi periodi e che ha fatto della paura, anche quella visiva, un cavallo di battaglia elettorale (basti pensare alle innumerevoli campagne antigraffiti che negli ultimi anni circolano in televisione). Il comune e i cittadini si sono fidati di noi, hanno aspettato di vedere prima di giudicare e il risultato è che ad oggi ci chiedono di continuare quella parete anche su quelle delle loro case. Insomma: abbiamo fatto centro e ne siamo fieri! “RigenerArte Jam” è solo uno degli eventi organizzati all’interno del più ampio progetto “RigenerArte” reso possibile grazie ai finanziamenti del bando “Giovani energie in comune” indetto dal Ministero della Gioventù e ANCI, rivolto ai comuni e alle associazioni Italiane che promuovono l’arte di strada e che ha visto l’associazione di promozione sociale Romagna in Fiore, congiuntamente al comune di Ravenna, aggiudicarsi il primo posto grazie ad un progetto molto articolato che fonda la sua forza su eventi finalizzati alla diffusione della cultura urbana (writing nello specifico), non solo attraverso l’atto del dipingere, ma anche grazie all’avvicinamento del cittadino tramite esposizioni, cineforum, concorsi e corsi nelle scuole. Per info: www.romagnainfiore.org




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Testo e Foto Giusy Ciampetti

Cuba,

un paese che ha bisogno di Rinascere Un viaggio a Cuba è come un salto nel passato e dentro noi stessi. Regala consapevolezza, crude realtà, ma anche la speranza nello scoprire che in ognuno di noi esiste una forza capace di conservare la gioia di vivere. Ciò che salta subito all’occhio sono i sorrisi, i colori e la musica. Osservando tutto questo ci si chiede come ci si possa rovinare la giornata per un semaforo rosso o da una messa in piega sgualcita dalla pioggia. Cuba è vera, autentica, un prezioso angolo di mondo coperto di fango e raggiante di luce che riflette negli occhi dei bambini sempre sorridenti e cresciuti così in fretta da giocare a 5 anni disinvolti ai bordi della strada disseminata di piccoli e grandi pericoli, come tombini aperti, pezzi di ferro arrugginiti che spuntano dal cemento, cani randagi anche se docilissimi perché troppo impegnati a procurarsi del cibo per pensare di mordere qualcuno. Ma la situazione attuale a Cuba è disastrosa, anche se in fase di miglioramento. La gente non ha niente, solo un cuore così grande che li porta ad abbracciare la vita foraggiati dalla musica che suona a tutte le ore in quasi tutte le abitazioni. Qualcuno balla mentre spazza il piazzale mentre altri parlano tra loro come se quel rumore facesse parte del discorso. La situazione politica non è migliore. Accade ovunque: i governi si barricano dietro ad improbabili facciate che non rispecchiano la realtà, la “comunicazione” mostra solo ciò che favorisce i vertici al potere ma a Cuba non esiste una scelta, la gente non vive, nella migliore delle ipotesi, sopravvive. Oggi i Cubani sono tornati a coltivare le loro terre per anni abbandonate a causa di una pessima gestione economica da parte dello Stato che acquistava dall’estero i prodotti primari e “los agromercados” (n.d.r. i mercatini del paese) hanno riaperto i battenti riportando alla vita la categoria dei commercianti che fino ad allora erano costretti ad infrangere la legge con il mercato nero. Sono state riabilitate le licenze per aprire i banchi in strada e vendere i prodotti artigianali che variano dai lavori in legno, ai dipinti, ai “churros”, dolcetti fritti fatti con acqua, farina, uova e spolverati di zucchero. Il libero arbitrio è ben lontano dalla vita di un Cubano che non può accedere ad internet, alla tv via satellite e non può sopravvivere con quello che il governo fornisce per la sussistenza. Il cibo della “libretta” che ogni cubano possiede prevede mensilmente quantità di cibo e prodotti di prima necessità che non coprono il fabbisogno di una famiglia. Gli Italiani come sempre regnano sovrani anche in questo Paese, avvolti da un’improbabile abbigliamento nel tentativo di “intonarsi” al luogo. Uno sguardo curioso, a tratti allibito dai particolari sconcertanti della vita vera, alla ricerca del mito della cubana perfetta e disponibile, con la macchina fotografica al collo intenti ad acquistare pacchiani oggetti di artigianato e magliette con il volto di Che Guevara stampate a Bangkok. “La terra più bella che occhi umani abbiano mai visto”. Con queste parole Cristoforo Colombo descrisse l’isola. Ed è vero: Cuba è bellissima, ma ha bisogno di una rinascita, perché questa meravigliosa gente possa raggiungere ciò che ad ogni uomo spetta di sacrosanto diritto: la libertà.








Testo e Lomo Filippo Mozone Tonni

Balkanika

Vespa, Lomo & Mandolino Giorgio Bettinelli docet. E io, quale adepto psicopatico, raccolgo. Era un’idea che sbatteva qua e la nella testa da tempo, i Balcani, su due ruote, con il celeberrimo scooter e con le amate macchinette fotografiche di plastica...why not?! Unico problema la mia malfidata 50 Special, non ce l’avrebbe mai fatta! Quindi appena trovato un po’ di tempo e deciso un giorno adatto, ho prenotato il traghetto dalla città dorica per me e per il socio di disavventure e in pochissimi giorni sono riuscito in un’impresa alquanto stressante, ma altrettanto stimolante; ho comprato una Vespa P200E dell’83 (la prima col miscelatore), l’ho registrata, assicurata, revisionata un pochino e, cosa importantissima, ho preso la patente. Tempo record. Pronto alla partenza. Qualche spicciolo, qualche straccio, molti ricambi, una tenda, una cartina e l’indispensabile tanica. This is Balkanika2011! Paesi 3, lingue 3, valute 3, Vespa P200E 2, macchina fotografica analogica 3, digitale 1, Km 1500 ca, tabacco tanto, dolori cervicali assai... More pics: http://www.lomography.it/homes/mozone/albums/1760316-balkanika-2011






Routes#1: Who is Who FRANCESCO KENTO CARLO. Nato e cresciuto all’estrema periferia di Reggio Calabria, Francesco “Kento” Carlo ha mosso i primi passi negli anni delle guerre di ‘ndrangheta ma anche delle ultime grandi lotte sociali condotte dal PCI nei quartieri popolari della città. Nella prima metà dei ‘90, l’approccio antagonista alla dura realtà di Reggio ha come conseguenza quasi naturale l’avvicinarsi al microfono: sono infatti gli anni del rap combattente, un’eredità rivendicata ed idealmente proseguita da Kento, con lo stesso spirito originale, nell’album d’esordio solista, “Sacco o Vanzetti”, appena uscito per Relief Records EU. Ma prima c’è stato tempo per importanti esperienze musicali, tra cui quella (conclusa) con la compagine romana de Gli Inquilini, che, tra il 2003 e il 2007, ha prodotto 4 album e quella (tuttora in corso) con i reggini Kalafro Sound Power , in un progetto tra l’hip hop e il reggae il cui disco d’esordio, “Solo l’Amore”, ha visto la luce nell’estate 2007. In questi anni Kento, anche grazie al fatto di essersi trasferito in pianta stabile a Roma, ha avuto modo di accreditarsi come uno dei rapper più maturi e concreti della scena nazionale. FEDERICO TOMOZ BANDINI. Nasce in terra di Romagna nel 1977 da famiglia contadina. Nel 1996 si diploma in oreficeria all’Istituto Statale d’Arte di Forlì e nel 2002 si laurea in scultura all’Accademia di Belle Arti di Ravenna col massimo dei voti. Nel 1993 inizia ad interessarsi agli spray e nel 1995 fonda insieme al writer Noneim la 3F crew, conseguendo permessi, spazi e fondi in ambito comunale e regionale fino ad ottenere, nel 2003 un permesso stabile per un’area adibita al writing nella città di Forlì. Nel frattempo continua a coltivare differenti tipi di arti, dalla scultura all’illustrazione, dal design alla grafica pubblicitaria , non tralasciando commissioni per privati. Non abbandona mai gli spray e negli anni organizza e partecipa a numerose manifestazioni e concorsi, ottenendo ottimi risultati e pubblicazioni. Nel 2005 fonda assieme a Noneim, Louke , Flake e Taxy la RnF (Romagna In Fiore), crew che nel 2007 diventa associazione no profit a tutti gli effetti. www.romagnainfiore.org MICHAEL DEVA COVERSO. Calabria. Corigliano Calabro. Lì nacque sotto ferma forma di punto e da lì iniziò inconsciamente ad espandersi. Ma privo di sensi di appartenenza,sempre stato altrove, in qualche modo. La Musica gli tese la mano, penetrò nei suoi bulbi oculari per qualche secondo durato qualche eternità. E d’istinto l’abbracciò. La totalità degli insiemi tornava ad esser colorata e sfumata secondo un non-preciso criterio dettato dalla sinestesia. E lui avvertì qualcosa che non crede riuscirà mai a comprendere. E forse sarebbe pure presuntuoso cercare di farlo. Si muovo in un diagramma cartesiano a molteplici livelli dimensionali denominato “Vita”, ossessionato a dir poco dalla composizione musicale delle lettere e degli strumenti, che lo incastrano ancora in questo pianeta. Ah, ed ha un viscerale legame con il supporto vinilico.

FRANCESCO IAMPIERI. Nato a Roma il 7 agosto del 1974, da sempre appassionato di viaggi e scrittura, in particolare del reportage. Viaggiare e annotare su diario impressioni e sensazioni, descrivere paesaggi e città, piccoli paesi lontani e villaggi sperduti. Questa passione lo ha portato a pubblicare il libro “Verso Puerto Escondido-diario per un viaggio in Centro America”, fedele trascrizione del viaggio intrapreso in solitaria in America Latina per un mese. Vive e lavora a Roma. Presto sara’ pubblicato il suo secondo lavoro: un romanzo ambientato in Messico.

FRANCESCO ROV ROVITO. Nato nel dicembre 1989 vicino a Bologna e cresciuto a Rimini per diciotto anni, nel 2009 ritorna nel capoluogo emiliano per frequentare il DAMS, indirizzo musicale. Qui trova un ambiente creativo e pulsante, che gli permette di approfondire le sue conoscenze e di stringere rapporti di amicizia con persone che condividono la sua stessa passione per la musica e per l’arte. Appassionato di rap e amante della cultura hip hop fin da ragazzino, lo si può trovare spesso in prima fila ai concerti rap che animano le serate bolognesi.

SARA FATTORI. Nata a Rimini nel 1991, è cresciuta affascinata dai paesaggi della Valmarecchia, trasformando la noiosa vita provinciale in un infinito sogno ad occhi aperti. La passione per la lettura e la scrittura creativa, dalle prose alle poesie, la porta a vincere alcuni concorsi nel territorio riminese. Nel 2010 frequenta un corso di fumetto con professionisti come Stefano Babini e Mauro Masi e decide di votarsi a fumetto ed illustrazione, partecipando a concorsi ed esposizioni, mentre lavora come agente di viaggi. Sempre nel 2010 disegna la copertina di un libro per ragazzi che viene pubblicato in Germania, “Weltenstrudel” di Antonia Kraus.

MARTA CICCOLARI MICALDI. Nata a Torino col peperoncino calabro a tinteggiar di rosso le vene e il temperamento, Marta studia Lettere e American Studies immersa nel folklore spagnolo, nella cultura hipster berlinese e nella megalomania newyorchese. Un gran bel mix. Occupandosi di scrittura in infinite forme – redattrice, assistant professor, script consultant, ricercatrice, ufficio stampa – ogni tanto balla il rock’n’roll e sogna il surf, tanto per distrarsi.

MARCO SIBI SIBILLANO. Marco Sibillano nasce a Rimini il 17 agosto 1985. Sin da bambino ha una forte predisposizione per l’underground, snobbando e combattendo tutto ciò che rientra nell’ufficialità e nelle istituzioni. A scuola il comportamento è un disastro e anche il grembiule all’asilo, emblema di omolagozione, è un problema! Fin da piccolo ascolta i dischi country e rock del padre: dai Rolling Stones a Corsby, Stills, Nash & Young, cominciando un percorso che lo porterà fino al Jazz e al Funk, passando per il Punk e il Rap. Un bel miscuglio! Al giorno d’oggi è parte integrante del progetto “BigThingsMusic” con cui condivide la passione per la musica, l’arte sotteranea e un’amicizia fraterna inossidabile! L’insofferenza per il mondo commerciale e la pecoronaggine dilagante è tutt’oggi presente e parte integrante della sua vita.

NADIA BESTJAMAICA MONTANARI. Appassionata di Bob Marley, della Giamaica e della musica reggae sin dai primi anni ‘80 quando era solo una teen-ager, Nadia Bestjamaica continua a coltivare la passione per questo fantastico mondo. Sempre in prima linea come reporter o per semplice passione personale, ha avuto l’opportunità di vedere e conoscere numerosi artisti di rilievo della scena musicale reggae

GIACOMO BARRICCHELLO. Affascinato fin dall’adolescenza dai graffiti comparsi nella sua città natale, Belluno, ha cominciato ad interessarsi di writing e cultura hip hop per poi lasciarsi trasportardalle coinvolgenti sonorità in levare. Ha fatto della bass culture qualcosa di più di una passione, collezionando vinili e diffondendo la cultura reggae in Romagna da ormai dieci anni. E’ componente dello Jagermighty Sound.

PERLATO KOBRA SHOCK ALESSIO. Appassionato del rap e della cultura hip hop dal ‘95 grazie a SXM dei Sangue Misto, di cui ne conserva una copia originale, quella col cd rosso, in un bunker. Accanito lettore sia di saggi che di narrativa moderna, i libri che lo hanno appassionato maggiormente sono quelli che trattano della libertà negata e dei meccanismi di controllo sociale e mentale, oltre che delle oscure profondità della natura umana. Da qui trae ispirazione per i suoi testi facendo rap con un certa dedizione dal 2005, dopo svariati anni di ascolto e studio, accompagnato da Masty Beat nei Kompagni Di Merende.

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