2 minute read

INTERVISTA A CLAUDIO LUCCHESI

7 Gennaio 2021

a cura di Paolo Pizzichini

Advertisement

Il network è il punto di forza del funzionamento e dell’impostazione di UFO. Gestire una rete di progettisti che abbraccia varie zone del globo comporta conseguenze che riguardano non solo l’ovvia eterogeneità culturale dei suoi membri, ma anche una diversa interpretazione dei ruoli che ciascun individuo ricopre (in una “rete”, ogni maglia ha un peso uguale alle altre): come è gestita la singola commessa progettuale? Il nuovo incarico comporta il coinvolgimento totale della “rete” o esiste un confine entro cui il globale cede il posto al locale, anche in termini di linguaggio architettonico?

CL Nel nostro acronimo UFO, la “O” indica Organizzazione perché non volevamo dare vita a una struttura rigida e gerarchica, ma efficiente e versatile. Come scritto nella tua domanda, per noi ogni maglia della rete ha un peso uguale alle altre. Nel nostro gruppo di lavoro non c’è un soggetto che emerge quale figura guida, come per esempio Peter Cook degli Archigram o Rem Koolhaas di OMA. Ci impegniamo per raggiungere lo scopo principale, che è quello di creare una buona architettura. Riguardo i nuovi progetti non è obbligatorio un coinvolgimento totale della rete, ma è desiderio comune aprire a chiunque abbia tempo, voglia e interesse per quel determinato lavoro in un determinato momento. Si tratta comunque di un’organizzazione in continuo cambiamento. L’idea di essere un insieme, come auspicato e incoraggiato da Jeff Kipnis, non è mai cambiata e, proprio per questa ragione, tutti i nostri propositi si sono evoluti con le tecniche emergenti, i materiali e le tecnologie, le ibridazioni nelle tipologie, le conseguenze nell’ambiente, la forma e gli effetti architettonici. I nostri interessi sono sempre molto diversi e influenzati dai continui aggiornamenti che ogni membro dell’organizzazione porta con sé da ogni parte del mondo. Le proposte progettuali cercano sempre di rivolgersi alle differenze locali. Il nostro,

In questa e nella pagina seguente: Sarajevo National Concert Hall, Sarajevo 1999. Immagini di UFO

TreeHugger, Bressanone

2019. Immagini di MoDus architects, foto di Oskar

Da Riz

In questa e nella pagina seguente: Jacaranda, Milano 2018. Immagini di Labics, foto di Marco Cappelletti

Avete avuto il grande privilegio e al contempo la grande responsabilità di operare nella capitale attraverso progetti di nuova costruzione o anche di intervento sul costruito. Penso ad esempio al progetto della Città del Sole e a quello sui Mercati Traianei, un’area eccezionale ma anche estremamente fragile. In che modo è possibile dialogare con il patrimonio storico della città? Che cosa ha significato fare architettura, per voi, a Roma?

MCC Roma è una città meravigliosa che ha saputo crescere su sé stessa accettando demolizioni e ricostruzioni. È un grande palinsesto, che conserva ancora un tessuto medievale, che in molte città come Parigi, ad esempio, è scomparso. È una città che si apre, che accoglie, generosa, fatta di spazi interni. Meravigliosa perché nel tempo è stata riscritta, sovrapposta. Le città non si dovrebbero fermare mai, cosa che purtroppo Roma ha fatto tempo fa. Noi, ad esempio, siamo in Prati e guardando gli interventi sul

This article is from: