DONATELLA ATZORI
LE FRUTTETE DI SAN BARBINO ovvero L’ORGOGLIO DI UN RE
La Riflessione
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fruttette di san ovvero
L’orgogLio di un re
PRoPRietà
LetteRaRia RiseRvata
L'oPeRa è fRutto DeLL’ingegno DeLL'autoRe
© 2011 La Riflessione Davide zedda editore via f.alziator, 24 09126 – Cagliari www.lariflessione.com redazione@lariflessione.com ordini@lariflessione.com Prima edizione finito di stampare nel mese di marzo 2011
“Il suddito ideale del regime totalitario non è il nazista convinto o il comunista convinto, ma l’individuo per il quale la distinzione tra realtà e finzione, tra vero e falso non esiste più”. Hannah Arendt
“La rabbia è un requisito indispensabile per cambiare. Rabbia non nel senso personale del termine, bensì razionale. Rifiuto ragionato di accettare l’inaccettabile”. Ken Loach in “Il bello della rabbia”.
Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma. In merda. Attribuita ad Antoine Lavoisier
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dedicato alle donne di san Barbino
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Personaggi e Interpreti: Personaggi e Interpreti: Il Giullare: Piergoffredo I Augusto Il papa Longamanus CCXLVII: Piergoffredo I Augusto L’impiegato dell’ufficio provinciale: Piergoffredo I Augusto Le Ronde del Fiuto: Piergoffredo I Augusto e Piergoffredo I Augusto Il commesso del negozio dei dispositivi: Piergoffredo I Augusto Il ministro della Cultura: Piergoffredo I Augusto Il ministro dell’Ambiente: Piergoffredo I Augusto Il ministro della Sicurezza Pubblica: Piergoffredo I Augusto Il ministro delle Finanze: Piergoffredo I Augusto Il ministro del Lavoro: Piergoffredo I Augusto Il ministro dell’Economia: Piergoffredo I Augusto Il ministro della Giustizia: Piergoffredo I Augusto Il ministro della Pubblica Istruzione: Piergoffredo I Augusto Il ministro dei Giardini: Piergoffredo I Augusto Ippolito Racconigi: un onesto cittadino 8
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Mariastella Stiliconi: la sua signora Enzino: cognato del signor Racconigi, idraulico factotum Il signor Arnolfo di Cambio: un vicino di casa Il Popolo di San Barbino ..naturalmente Sua Maestà il Re PIERGOFFREDO I AUGUSTO e Dulcis in fundo Le Fruttette Reali
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Un brutto mattino di settembre, il signor Ippolito Racconigi andò a prendere la posta e notò la grossa busta del Ministero delle Finanze col timbro regale, opulento e vistoso. Il signor Racconigi non si preoccupò, pagava regolarmente tutte le tasse e conservava tutto con minuzia certosina, era un vero burocrate dal quel punto di vista, nonostante si occupasse di tutt’altro: era infatti un bravo orologiaio che aveva pochi ma fidati clienti, anche se ultimamente aveva pochissimo tempo per svolgere il suo lavoro, proprio lui che del tempo aveva fatto la sua principale passione e che ora sembrava sfuggirgli sempre più. Eppure non era stato sempre così, ma di quel lontano periodo Ippolito Racconigi aveva solo un vago ricordo. Tornando indietro con la memoria ricordava a malapena come andassero le cose quando c’era il vecchio re morto diversi anni prima. Quello nuovo era indiscutibilmente un grande illuminato e soprattutto era sempre preparato per le emergenze che si presentavano con svizzera puntualità. Sembrava che il regno fosse stato preso di mira dalle sette piaghe d’Egitto. Quando anni prima, a San Barbino, un simpatico giullare si era presentato a corte, il re se n’era invaghito a tal punto che dalla notte al giorno lo aveva nominato suo factotum dandogli carta bianca in tutte le questioni del regno, poiché oltre ad essere arguto e ad avere un’intelligenza brillante, si era rivelato anche un sapiente curato11
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re degli affari del re. Poi un brutto giorno il giullare aveva fatto un triste annuncio: il vecchio re s’era improvvisamente ammalato e lui e la corte stavano facendo l’impossibile per allietargli le ahimè, ultime giornate. Infine un brutto giorno egli morì, ma non prima di aver nominato il giullare suo successore poiché lo aveva fatto ridere sino alla morte. Dopo l’imprescindibile periodo di lutto, il nuovo re parlò alla popolazione annunciando un periodo di grande splendore per San Barbino: lui amava i sanbarbinesi come fosse stato uno di loro e avrebbe fatto per il suo regno il possibile, l’impossibile e anche qualche miracolo. Il tempo passò e come per tutte le cose nuove, la popolazione di San Barbino si abituò senza troppi problemi al nuovo sovrano. Egli era allegro, sempre di umor faceto ed era insuperabile in battute di spirito e lazzi di ogni specie. Tutto il regno era scosso dalle risa e commosso nel profondo del cuore per codesto Re che sembrava uno di loro. Il sovrano, che si era autonominato Piergoffredo I Augusto, era un grande innovatore: intendeva dare a San Barbino una veste nuova e moderna, pertanto decise di essere diverso da tutti coloro che lo avevano preceduto e scelse i suoi ministri tra una rosa assai peculiare di candidati: questi furono infatti scelti tra i peggior criminali delle carceri di San Barbino, che in una sola notte si svuotarono. Il Re aveva deciso di dare a tutti loro una grande possibilità, pensando che solo un cambiamento radicale nella vita di una persona avrebbe potuto fare di criminali incalliti, truffatori, assassini e corruttori della società, degli uomini integerrimi con una missione importante da svolgere. Nelle carceri, invece, rinchiuse chi non pagava le piccole 12
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tasse perché era fortemente convinto della necessità di prevenire il male anziché curarlo in uno stadio avanzato, perciò rispettosi cittadini che per circostanze avverse erano stati colti senza biglietto del tram o avevano perduto per pura distrazione lo scontrino fiscale, si ritrovarono all’improvviso in gattabuia. E le carceri furono di nuovo piene. Il Re era tenuto in grande considerazione e nessuno fiatò, tutti ritennero questi cambiamenti poco ortodossi ma vi si adeguarono senza troppi pensieri, pensando che un Re non era mica un Re per niente e doveva di certo avere le sue buone, Reali ragioni. Piergoffredo I Augusto cominciò con l’apportare poche ma fondamentali riforme. Dato che i giovani e l’educazione occupavano il posto d’onore nel suo programma e soprattutto nel suo cuore, con un Promoveatur ut amoveatur, tutti i volumi della Reale Biblioteca di San Barbino, i libri nelle librerie, negli scaffali delle case sanbarbinesi, nelle edicole e persino quelli appoggiati sui davanzali delle finestre dei bagni, per la lettura occasionale durante l’espletamento di funzioni corporali, furono promossi. Da quel dì memorabile vennero insigniti del titolo di “Nobiletti”. Fu così che L’Orlando Innamorato e quello Furioso divennero due preziosi comodini, che il Barone Rampante diventò un delizioso poggiapiedi, il Fu Mattia Pascal un efficiente sottopentola e la Divina Commedia, con le belle illustrazioni di Gustave Dorè, uno splendido vassoio da tavola. Tutti i volumi della storia del mondo diventarono i gradini di una chiesa; gli atlanti, tettucci per le culle dei piccoli che osservavano con curiosità le strane forme colorate che oramai nessuno riconosceva più. Nessuno rammentava che oltre le mura del regno 13
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c’erano altri paesi, altri mari, monti e altri popoli. Solo i vecchi ne avevano un vago ricordo, ma è risaputo: i vecchi vaneggiano in preda a nostalgici ricordi e nessuno prestava loro molta attenzione. Grazie a questi provvidenziali accorgimenti il Re restituì a San Barbino la visione tolemaica del mondo, di cui Lui divenne il fulgido Astro Lucente o per amor di brevità, Sua Maestà lo splendido f.A.L. Le sue misure per la salvaguardia dell’Economia furono definite dai più quasi miracolose. Dal Ministero della Cultura dispensò, prima di ogni cosa, la Letteratura che per la sua innegabile lunghezza e una costosa doppia t gravava maggiormente sulle casse del Regno. Le parole geografia e storia erano ormai obsolete e quasi del tutto cadute nell’oblio, licenziarle fu perciò rapido e indolore. Solamente davanti alla Cultura il re titubò, tentennò ed infine cogitò. Si consultò con un gruppo di ministri fidati e fu stabilito che per la delicatezza della questione, questa dovesse essere discussa direttamente in conclave. Il giorno successivo arrivò a palazzo un esercito di preti, cardinali e vescovi e il papa Longamanus CCXLVII in persona, arrivato direttamente dal suo SS, alias Santissimo Seggiolone, sulla sua SC alias Santissima Cadillac lunga quattordici metri per trasportare i quattordici puttini che sorreggevano la sua SS, alias Sacra Stola, altri quattordici che lo aiutavano a sollevare il SV alias Santissimo Vestitino e altri tredici che lo aiutavano a sollevare il SA e dai… Santissimo Augello per la SM, ebbene sì: Santissima Minzione. Il suddetto conclave durò tre giorni e tre notti. Trepidanti cittadini attendevano con ansia il verdetto che avrebbe condannato o salvato la Cultura da tagli dolorosi ma ahimè, necessari. Il giorno tanto agognato arrivò e final14
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mente la fumata bianca annunciò che la decisione era stata presa. I cittadini sotto le mura del castello muti e assorti, attendevano con ansia crescente la sentenza. Il papa si affacciò alla finestra e annunciò che il verdetto era stato emesso, il Re in persona aveva risolto infine la delicatissima questione con una soluzione che pareva ispirata direttamente da Dio. Il Re si affacciò alla finestra visibilmente provato, fece un respiro profondo e annunciò che la Cultura era stata salvata e che avrebbe subito solo una leggera sfoltitura: quel giorno memorabile furono dispensate dal loro millenario incarico la t, la u, la erre e la a finché rimase solo il Cul, padrone incontrastato, a dominare la scena di tutto il Panorama Letterario di San Barbino. I cittadini esplosero in un applauso che scosse il regno e tutte le mura del Castello e ci furono festeggiamenti e banchetti che durarono tre giorni e tre notti. Ma il Re era instancabile, lavorava senza sosta per il suo popolo e dopo i giorni di gaudio e tripudio si rimise subito al lavoro. Per prima cosa affrancò il sistema scolastico da ogni fastidiosa e scomoda coercizione, poiché teneva in gran conto la motivazione ad apprendere ed era fortemente convinto che fosse più utile imparare solo le cose che si amano; in tal modo la gioventù sanbarbinese non avrebbe perso tempo dietro ai banchi di scuola ad imparare tediose nozioni che sarebbero cadute nel dimenticatoio dopo breve tempo. Era molto più ingegnoso che facessero esattamente ciò di cui avevano voglia, così sarebbero stati felici e motivati. Il popolo di San Barbino non cessava di tessere le lodi di Sua Maestà lo splendido f.A.L., e pensare che prima di essere Re era solo un modesto giullare che allietava le serate a corte. Lui era l’esempio 15
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vivente che anche una persona di umili origini poteva ambire alle più alte cariche grazie a bravura, creatività e impegno. Per aprire le porte al mondo delle occupazioni più ambite, il Re sdoganò diplomi e lauree e le mise in vendita: c’erano lauree e diplomi per tutti i gusti e tutte le tasche, quelle più a buon mercato erano quelle di Lettere, Filosofia, Sociologia e Storia, oramai demodé, così gli antichi nostalgici avrebbero soddisfatto le proprie velleità intellettuali; quelle più ambite e indubbiamente più dispendiose erano le lauree in Diritto, Economia, Matematica i cui prezzi erano saliti alle stelle dalla notte al giorno. Il Re istituì inoltre uno Speciale Ufficio Raccomandazioni e Intercessioni per facilitare l’acquisto di un impiego. Attraverso la semplice compilazione di un apposito modulo e il pagamento di una Speciale Tassa, si sceglieva un Padrino tra vari personaggi della politica e della cultura in uno Speciale Listino, che avrebbe guidato l‘amata progenie all’impiego ambito. Ma quale genitore avrebbe esitato davanti alla prospettiva di un impiego decoroso per i propri figli? Avrebbero risparmiato all’amata prole anni di studio e sacrifici, ormai erano lontani i tempi in cui si studiava a fatica e a fatica si cercava un impiego. Il Re aveva risolto il problema con una geniale intuizione e aveva trasformato il tutto in un semplice Contratto di Compravendita. Madri e padri di San Barbino erano commossi da cotanta generosità, tutti pensavano ormai con certezza che Egli fosse l’autentico Uomo dei Miracoli. Ma il Piergoffredo I Augusto fece molto, ma molto di più per il paese che tanto amava: lo splendido f.A.L. come il feroce Rodomonte, lottò ardito e impavido e in un colpo 16
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solo liberò le Parole prigioniere dei Significati e dopo una lunga battaglia menata a colpi di articoli e decreti, conquistò le Università, liberandole dall‘Assedio del Vuoto Parlare e del Ciarpame Libresco. Le adibì a luoghi per il tempo libero istituendo una rosa di corsi mai uditi prima d’ora quali: Corso per una Perfetta Rasatura, Corso Café Magique, Corsi per una Copula senza intoppi, Corso di Origami in carta igienica per la pulitura del delicato Deretano dei piccoli: in tal modo le composizioni non sarebbero state fini a se stesse e i bimbi non si sarebbero sporcati di cacca le dite inesperte. Andava da sé che le composizioni richiedevano molta più carta di una pulitura normale ma fu talmente divertente che ben presto tra la popolazione di San Barbino si diffuse una vera e propria mania: nettarsi il Buco del Culo con gli Origami di carta igienica diventò la moda del momento. I corsi erano frequentatissimi e il Re era felice di colmare il tempo libero dei suoi adorati cittadini che sembravano in preda alla febbre da divertimento. Il Corso Café Magique fu quello che riscosse maggior successo tra le signore attempate e non, che accorrevano a frotte. Il successo era dovuto a un’invenzione geniale del sovrano in persona, sempre attento alla bella forma e all’armonia del corpo e della mente. In un colpo solo si scolpivano glutei, cosce e polpacci con l’unico ausilio di un cucchiaino d’argento ben stretto tra le natiche a mescolare lo zucchero nella tazzina tra squittii, cinguettii e gridolini non meglio identificati. Il Re, Piergoffredo I Augusto, appariva tutti i giorni sugli schermi dei centoventisette canali per parlare ai suoi amati sudditi agghindato delle sue vesti più belle. Un giorno sfoggiava una coda di pavone mandatagli direttamente da un sovrano nella lontana Asia, un giorno una 17
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pelle di leone, un altro ancora indossava una giacca in pelle di bambino cinese e persino un turbante in pelle di serpente albino che metteva in risalto i suoi ridanciani occhi scuri come due olive in salamoia. Accanto ai corsi per il tempo libero, il sovrano istituì quelli per manager, imprenditori e in alcuni casi anche per ministri, poiché non tutti avevano un curriculum d’eccezione come quelli che erano stati in gattabuia per crimini internazionali, corruzione, bancarotta o quant’altro; pertanto con un editto speciale predisposto nel giro di una notte dalla schiera dei suoi collaboratori fidati, istituzionalizzò l’arte della dolcegabbana. Perché mai vi chiederete, cara lettrice e caro lettore, era necessario apprendere una simile Arte? Il motivo apparentemente semplice è invece di una sottigliezza degna di uno studioso di microbiologia nucleare. Piergoffredo I Augusto era fortemente convinto che il popolo andasse educato subliminalmente: era persuaso che solo la gabbaneria spinta all’estremo avrebbe risvegliato nei suoi sudditi qualità sopite da secoli. Certo, qualcuno potrebbe obiettare e dire che codesto Re è un Furfante di prima classe, un Farabutto impenitente, un Malfattore senza speranza di redenzione. Ma sarebbe un gravissimo errore di valutazione, basato su una conoscenza sommaria delle cose. Il fiuto di Piergoffredo I Augusto era degno di un segugio, la sua visione lungimirante degna di un telescopio per osservare le stelle. Era un sovrano illuminato, ma soprattutto un inguaribile filantropo e solo un occhio attento e un’intelligenza raffinata potevano intuire le profonde ragioni del suo agire. Nessuno avrebbe mai immaginato che Egli, nella sua profonda conoscenza dell’essere umano, avesse avuto l’intuizione geniale di applicare al suo popolo un Vaccino Mentale: il primo 18
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nella storia dell’umanità e unico nel suo genere. Ma non mi dilungo oltremodo che potrei tediare il lettore. Vennero dunque istituiti corsi di tre livelli: il Gab1, il Gab2 e infine il MasterGab, quello per gabbanier professionisti. Naturalmente i corsi erano a numero chiuso e i ministri del Re istituirono un unico concorso in cui vincevano quelli che la sparavano più grossa, perché la creatività era l’elemento fondamentale per un compito così importante. Il Gabbage1, nome scelto in base ai gusti del Re che amava profondamente i francesismi, dava la certificazione per il gabbage nelle vendite immobiliari e contratti di ogni genere. Il Gabbage2 era rivolto soprattutto al personale medico e ospedaliero per indurre i pazienti all’acquisto di medicinali che servivano in primo luogo e anche in secondo e in terzo, a risanare le casse del regno. E infine il Gabbage3, quello per manager e ministri: era il più costoso ma chi arrivava al terzo livello era indubbiamente un gabbanier professionista. In tal modo egli combatteva la pigrizia mentale, la svogliatezza e il laissez-faire dei cittadini di San Barbino. Ma questo lo sappiamo solo noi, cara lettrice e caro lettore, i cittadini andavano risvegliati pian piano dal loro torpore mortale, un risveglio brusco non era pedagogico agli occhi del sovrano. Piergoffredo I Augusto fu un grande innovatore anche nel campo della comunicazione e dell’informazione. Ogni mattina, pomeriggio e sera appariva nella sua Reale Persona sui centoventisette canali per aggiornare il popolo sulla temperatura all’interno delle mura del Castello, sulla nascita di nuovi frutti, su nuove ragnatele che si estendevano da un ramo all’altro dei meli e dei 19
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peri, lodando al contempo l’alacrità, la pazienza e la tenacia dei Ragni. Ragguagliava sui percorsi delle api tra un fiore e l’altro, lodando la capacità di orientamento e la cooperazione delle stesse e… chi sarebbe diventato l’Insetto dell’anno? Sulle nuove colonie di formiche, nonché sull’invasione non gradita di qualche topolino intrufolatosi senza permesso nei Giardini Reali. Il popolo era informato in tempo reale di ciò che avveniva all’interno delle mura del Castello, in tal modo tutti sentivano di far parte di un’unica Grande Famiglia. Il sovrano inoltre possedeva un’ulteriore e non meno importante virtù: era infatti un grande Affabulateur e ogni giorno il suo GFR alias grande faccione Regale raccontava favole a tutti: vecchi, adulti e piccini e tutti, incantati dalle sue parole, si addormentavano cullati da quella voce suadente e dormivano sonni tranquilli e profondi. Lui vegliava su di loro giorno e notte. Ogni mattina i centoventisette canali replicavano le notizie, affinché nessuno si perdesse alcunché e soprattutto veniva erudita la popolazione su ogni nuova nascita, sullo stato delle gemme, dei fiori e sullo spuntare infine del meraviglioso Frutto nel Giardino Reale; quello era un evento a cui tutti assistevano con grande curiosità e trepidante attesa. Ora, devi sapere cara lettrice e caro lettore, che il Re andava orgogliosissimo del suo Giardino e ne aveva ben donde. Era infatti quest’ultimo una meraviglia per gli occhi e per tutti gli altri sensi. Era l’unico giardino di San Barbino, poiché con un editto promulgato una notte tempestosa, il Re li aveva fatti chiudere per evitare alla popolazione lunghi lavori di potatura, innesto, semina o anche la semplice pulitura. Egli aveva profondamente a cuore la salute dei suoi sudditi e non intendeva aggrava20
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re ancor più le loro fatiche giornaliere. Pertanto lo Splendido f.A.L. si era preso sulle spalle la responsabilità di tutto il verde che teneva tra le mura del Castello. Finalmente i sanbarbinesi avevano tempo libero per dedicarsi davvero a se stessi e per ascoltare le meravigliose Fiabe Reali. Il frutteto di Piergoffredo I Augusto era la sua gioia e la sua autentica passione: là v’erano ogni sorta di mele e di pere, il giardino era sconfinato e ci sarebbe voluta un’intera settimana per visitarlo tutto. Dato che era appassionato di Botanica e dotato di un grande intuito, decise di rendere il suo frutteto ancora più bello: istituì un Corpo Speciale di giardiniere di sesso femminile che per l’ampiezza del petto avrebbero inverosimilmente potuto svolgere altre mansioni e le nominò ufficiosamente le “Fruttette Reali”. La sua bontà d’animo e ampiezza di vedute non conoscevano eguali: così, dall’oggi al domani, schiere di fanciulle prosperose si recarono a corte per diventare ufficialmente le Fruttette del Re. Fu la sua profonda conoscenze delle cose del mondo e del cielo a far sì che egli applicasse al suo giardino la Legge della Corrispondenza: difatti, durante lo svolgimento delle mansioni di pulitura, lucidatura, accarezzatura e levigatura, il Re corredò le Fruttette di vesti succinte che avrebbero così messo in luce le rotondità delle fanciulle e propiziato in tal modo la fioritura di succosi e tondeggianti frutti. Per la legge del simile attrae simile, ogni collina carnosa ne avrebbe propiziato una vegetale, ogni monticello curvoso, un frutto rotondo e gustoso, ogni globo turgido e rigonfio ne avrebbe attratto uno sodo e tornito; la Natura dava il meglio di sé galvanizzata da cotanta abbondanza e il Re nella sua saggezza e impenetrabile intuizione 21
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sapeva che anche la Natura andava presa tra le braccia, incoraggiata, sorretta e infine spinta… Appena spuntava un frutto nuovo, il Re in persona lo annunciava dagli schermi, orgoglioso di mostrare tutte quelle rotondità e il pubblico a casa non cessava di meravigliarsi di cotanta opulenza e abbondanza. In tutto il regno echeggiavano gli “ooooh!” di stupore e gli “aaaah!” di meraviglia e tutte le restanti vocali: tra le colline sinuose delle Fruttette e i monticelli ondulati delle mele, era tutto un tondeggiare e un serpeggiare, era tutta una flessuosità e una circolarità; globi, sfere e rotondità si confondevano tra loro, quei monticelli delicati, quelle colline preziose e quei turgori tondi e pieni, avrebbero incatenato gli occhi di un santo. Tutto quel popò di roba rigonfia, succosa e invitante, tutto quel ben di Dio tondeggiante, collinoso e curveggiante era una delizia per gli occhi, per il palato, per l’olfatto e per tutti i sensi che se fossero stati dieci anziché cinque sarebbero ugualmente stati soddisfatti tutti ampiamente… dopodiché non restava che un lungo e beato riposo. Ma quello che tutti attendevano con grande trepidazione e che fermava tutto il regno di San Barbino come toccato da un incantesimo, era il Gioco. Sua Maestà, lo splendido f.A.L., pioniere in tutti campi dello scibile umano, si distinse ancora una volta per la sua geniale intuizione. Profondo conoscitore degli umori del suo popolo, aveva escogitato un lubricissimo giogo per il diletto dei suoi amatissimi sudditi e lo aveva battezzato Il segreto delle fruttette! Nessuno e per nessuna ragione al mondo si sarebbe perso un solo istante dello spettacolo che teneva tutti col fiato sospeso. Tra una schiera di fanciulle prosperose, la Fruttetta eletta 22
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dal pubblico avrebbe conservato il dolce segreto da indovinare. La dolce fanciulla celava tra i Rigonfi Globi Gemelli, il Frutto ambito da cui spuntava, come un’appendice erettile, il Picciolo. Gli occhi dei sanbarbinesi erano incollati allo schermo che a malapena riusciva a contenere tanto ben di Dio. E a quel punto iniziava la canzoncina che tutti cantavano a ogni ora del giorno e qualche volta anche di notte e che preannunciava la Spinta…: spingi il picciolo, fruttetta spingi il picciolo spingi il picciooooloooo, fruttetta spingi il picciooooloooo! A quel punto la Fruttetta poggiava lentamente le dolci manine ai lati degli Splendidi Globi Gemelli e dava inizio alla Spinta. Quella leggera pressione spingeva con garbo il Picciolo nascosto tra le graziose rotondità sino a lasciar intravvedere un principio del Frutto segreto. E allora tutto il popolo, nella fattispecie la Fauna Maschile, da quello in carrozzina a quello in carrozzella, da quello che gattonava a quello che arrancava, erano accomunati e indissolubilmente uniti dallo stesso, lunghissimo e sbrilluccicante Filo di Bava. Ma quelli erano i tempi d’oro di San Barbino: i bei giorni tranquilli erano tramontati e brutti eventi si erano susseguiti l’uno dopo l’altro portando il popolo allo sgomento. Solo la tempestività e la grande generosità del sovrano aveva restituito ai sanbarbinesi un po’ di serenità e fiducia nel futuro. Ippolito Racconigi inghiottì l’ultimo sorso di caffè pensando ai bei tempi passati. Poggiò la lettera sul tavolino e decise di leggerla al suo rientro a casa, visto che era 23
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quasi in ritardo per il settimanale taglio delle unghie. Quindi si precipitò col giornale sottobraccio all’Istituto di onicologia per il consueto appuntamento. Come prevedeva, la fila era lunga, perciò si sedette a leggere il giornale che lodava il Re per aver risolto la questione dei veleni in maniera tempestiva e pratica come sua consuetudine. Da quando era entrata in vigore la legge del taglio obbligatorio delle unghie presso l’Istituto di onicologia, la vita nel piccolo regno era cambiata dalla notte al giorno. Lo sbigottimento fu generale quando il notiziario della sera aveva annunciato che erano stati riscontrati ben tre casi di avvelenamento da onicofagia nel giro di un giorno. Le immagini spaventose mostravano persone agonizzanti con la faccia blu. A causa di una sostanza trasportata dai venti dell’est ed estremamente velenosa per l’organismo, l’aria si era improvvisamente inquinata. Il Re si era mobilitato senza indugio e aveva predisposto persino i suoi Carri Armati, istituito un comitato d’emergenza in cui i cittadini potevano fare uno screening gratuito e informare in tempo reale i suoi cittadini dello stato dell’aria. Grazie agli scienziati del Re, si era scoperto che il veleno si depositava nelle unghie, pertanto mangiarle o addirittura tagliarle a casa era divenuto pericolosissimo. I sanbarbinesi guardavano con orrore i quadratini rosei sulle dita, la fila al comitato d’emergenza era interminabile, ma grazie al lavoro di alcuni volontari scelti direttamente dalla corte, nel giro di qualche giorno tutti i cittadini vennero esaminati e furono presi provvedimenti immediati. Nelle unghie dei sanbarbinesi era presente un alto tasso di svetonio e brocurio e l’unica soluzione era farsele tagliare da esperti in modo che le polveri sottili 24
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non venissero inalate. Alcuni ricercatori elaborarono uno speciale smalto protettivo in modo che nessun frammento potesse malauguratamente sfuggire. Era un po’ costoso, ma la salute era la cosa più importante, pertanto nessuno si lamentò. Il signor Racconigi rifletté sulla triste sorte del loro stato, ma per fortuna il Re aveva sempre una soluzione: tutta la popolazione poteva asserire con lapalissiana certezza che erano stati miracolati! Quando arrivò il suo turno, il signor Racconigi si spogliò e indossò il camice precauzionale, la mascherina protettiva e si sedette per il taglio delle unghie dei mignoli. Era il più rapido, così si sarebbe messo subito in fila per gli anulari: aveva già pagato la tassa per tutte le dita, ben 10 sesterzi in tutto. Era un bel po’ di soldi, ma il Re li aveva rincuorati dicendo che il denaro sarebbe andato a finanziare la ricerca di un antidoto. Il signor Racconigi si commosse pensando a quanto fosse illuminato, pensava sempre in grande e soprattutto non teneva i soldi per sé come avrebbe potuto fare un qualunque altro Re farabutto e malintenzionato. Lui no! Lui li devolveva alla ricerca. Che grand’uomo! Quando ebbe terminato, si guardò felicemente le unghie di nuovo innocue almeno per un po’; alle dita dei piedi avrebbe pensato la settimana successiva. Quando tornò a casa, prima di riprendere il lavoro interrotto, si versò una tazza di caffè appena preparato dalla sua fidata compagna da ormai quarantadue anni, Mariastella Stiliconi, poi prese la lettera del Ministero delle Finanze e la lesse con grande attenzione e con crescente timore: Dal 1° ottobre, compleanno del Re, a causa dell’inquinamento atmosferico si erano dovuti prendere seri provve25
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dimenti per la salubrità dell’aria in modo che la respirazione di ognuno potesse continuare in tutta tranquillità. Per fare ciò sarebbe stata introdotta una nuova tassa. Il signor Racconigi lesse più volte e trasecolò. “Che succede, Ippolito?” chiese la signora Mariastella nel vedere suo marito sbiancare all’improvviso. “I nostri wc!” rispose lui. “Cosa c’è che non va nei nostri wc?” domandò la signora che lo puliva più volte al giorno e lo disinfettava con l’alcol: ci si sarebbe potuto addirittura mangiare dentro. “Non sono a norma…!” “Oh bella! E perché mai?” “Non hanno il dispositivo…” disse con un filo di voce. “Da quando in qua un water deve avere un dispositivo? E di che genere?” Il signor Racconigi bevve il caffè e stette un attimo in silenzio. Era l’ennesima misura precauzionale del Centro di Sicurezza di San Barbino che lavorava in stretto contatto col Ministero delle Finanze affinché i provvedimenti fossero presi in tempo reale. Con rassegnazione sospirò e spiegò alla moglie la nuova tassa nonché il dispositivo per il wc. “Dal 1° di ottobre, compleanno di Sua Maestà, tutti i wc dovranno avere i dispositivi che pesano le feci. È per l’inquinamento dell’aria e delle falde acquifere… si evacua troppo in questo paese e hanno dovuto prendere provvedimenti!” spiegò. “Di cosa vai cianciando Ippolito, una tassa sulla cacca? Si sono ubriacati al ministero o cosa?” “No Mariastella, rifletti un po’... dove va a finire tutta la… insomma le feci. In mare, no? E la puzza? Nessuno vuole mari inquinati, figuriamoci l’aria! Da ora innanzi 26
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ognuno dovrà stare attento a quanto mangia e cosa mangia, inoltre ci saranno delle differenze non solo per quanto riguarda la quantità ma anche per la compattezza, le feci da stipsi per esempio sono più difficili da smaltire a causa della loro consistenza, quelle normali un po’ meno...”. Ippolito Racconigi spiegò il nuovo provvedimento alla moglie con tutta la flemma che lo contraddistingueva; lei per tutta risposta alzò i tacchi e si rinchiuse nella piccola serra abusiva. Già, perché dal tempo della chiusura dei giardini era severamente vietato tenere in casa qualunque pianta, ma Mariastella Stiliconi non era riuscita a lasciare le sue orchidee, erano come figlie per lei. Sfidando i divieti, aveva allestito una minuscola serra nel ripostiglio dotato di abbaino e temperatura conforme e là trascorreva gran parte del suo tempo dopo i lavori domestici: quello era il suo regno. Davanti alle orchidee, Mariastella Stiliconi dimenticava le tasse da pagare, i provvedimenti per la sicurezza, i giardini che non c’erano più e il taglio delle unghie all’Istituto di onicologia. Il signor Racconigi, invece, con pazienza e rassegnazione raccolse le carte e si avviò all’ufficio provinciale più vicino per ritirare il modulo e la tabella annessa. Davanti all’ufficio c’era già una lunga coda di sanbarbinesi. Ippolito Racconigi sospirò e attese con pazienza. Quando, dopo ben tre ore di attesa, arrivò il suo turno, si trovò davanti all’impiegato dell’ufficio provinciale: un omino piccolo con grandi occhiali che si muoveva come un bradipo. “I nostri dipendenti sono motivati e felici” diceva un cartello sopra di lui. Era la politica di motivazione al lavoro del Re, nei posti di responsabilità e dove era richiesta maggiormente un’elevata efficienza e un’indicibile velocità, sistemava persone che non conoscevano 27
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neanche il significato delle sopraccitate parole, non avrebbe avuto senso metterci qualcuno che fosse già efficiente e preparato. Sarebbe stato troppo facile, cosa avrebbe appreso? Che lezione ne avrebbe tratto? Dopo un’attesa di altri venti minuti in cui l’impiegato si era allontanato per non meglio specificate questioni, il signor Racconigi entrò in possesso del modulo e della tabella annessa. Arrivato a casa, cominciò a studiare modulo e tabella con stoica acribia: erano ben quattro fogli in cui si spiegava a caratteri piccoli piccoli la procedura per la catalogazione delle feci: prima di tutto si doveva acquistare l’apposito wc con dispositivo incorporato che avrebbe permesso di rilevare con accuratezza e precisione svizzera peso, consistenza, colore e odore. La tabella elencava il tipo di feci e relative caratteristiche organolettiche. Il signor Racconigi non avrebbe mai immaginato che esistessero così tante varietà di feci, non si finiva mai di imparare, pensò. Accanto ai tipi di feci si trovava il corrispettivo codice alfanumerico e accanto a quello, la tassa di riferimento da aggiungere alla tassa complessiva di ben 25 sesterzi, che sarebbe andata a un fondo speciale per la costruzione di un grande impianto di smaltimento. Dato il grande quantitativo di persone che defecava ogni giorno (il signor Racconigi non avrebbe neanche mai lontanamente immaginato che un così grande numero di persone defecasse una volta al giorno, lui per lo più andava un giorno sì e un giorno no), il Re aveva dovuto prendere seri provvedimenti in modo che l’aria già gravemente provata dall’inquinamento, non fosse ulteriormente compromessa dalle mefitiche esalazioni. Il signor Racconigi fece un calcolo settimanale di produzione presunta: non aveva mai pesato, né tanto meno si 28
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era mai soffermato sull’odore delle feci sue e della sua gentile signora. Facendo due calcoli pensò che tutto sommato, considerando il fatto che lui espletava le sue funzioni corporali un giorno sì e uno no, per un totale di quattro volte alla settimana e che la sua signora andava di corpo meno di lui, forse se la sarebbero potuta cavare con 15 sesterzi alla settimana. Dopodiché decise di prendere il toro per le corna e andare senza ulteriori indugi ad acquistare il wc col dispositivo, nonché a chiamare suo cognato Enzino che lo avrebbe aiutato a montarlo per la modica cifra di un pranzo luculliano, dato che Enzino era un grande mangiatore e una persona affidabile. Gli idraulici erano cari come i dentisti e non aveva la benché minima intenzione di farsi spennare per niente. Tutti i negozi di sanitari del regno erano affollatissimi, i sanbarbinesi sembravano in preda alla follia del dispositivo. Quelli che avevano due o più bagni si trovarono davanti a un amletico dilemma: come avrebbero fatto con un solo wc a norma? E se a uno dei due fosse venuta un’improvvisa necessità di andare al bagno? Non si poteva rischiare di farla da qualche altra parte. L’odore avrebbe tradito il cagatore di frodo. Quasi tutte le famiglie si trovarono ad affrontare lo stesso dilemma, ma non rimaneva che una soluzione: acquistarne due avrebbe risolto tutti i problemi di evacuazione in casa. Nessuno voleva essere un evasore fiscale e soprattutto finire in gattabuia per una questione di merda… Adesso ognuno era libero di evacuare quando voleva e soprattutto conformemente alle nuove disposizioni. Dall’alto arrivò inoltre l’ordine di controllare l’odore dell’aria e venne istituito all’uopo un corpo speciale: le Ronde del Fiuto. In tal modo a nessuno sarebbe venuto 29
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in mente, per esempio, di farla in giardino o ancora peggio nel bosco. Naturalmente le categorie più svantaggiate erano quelli con prole in tenera età e genitori in tarda età e relativa difficoltà a controllare gli sfinteri. Sfuggire alle Ronde del Fiuto non era cosa semplice. I peti all’aria aperta furono tassativamente vietati ed erano previste multe salate per chi contravveniva alle disposizioni precauzionali. Chi non poteva astenersi dall’emettere gas intestinale poteva acquistare appositi mutandoni in plastica che trattenevano le esalazioni intestinali per liberarle poi a casa attraverso un aspiratore che sarebbe stato messo in vendita di lì a pochi giorni. Non v’era altra soluzione! Così i mefitici venticelli intestinali e i goliardici strombazzamenti all’aria aperta, videro la fine del loro periodo d’oro. A causa dei disagi che com’è ovvio le nuove misure precauzionali comportavano, il Re si distinse ancora per la sua infinita generosità: per ogni piccolo sanbarbinese aveva messo a disposizione un bonus da due sesterzi che i genitori avrebbero utilizzato per pagare le tasse sulla cacca dei piccoli, i quali la facevano almeno tre volte al dì. Il Re non voleva che le famiglie avessero un eccessivo carico fecale… o meglio fiscale… La generosità del sovrano fece spuntare qualche lacrima negli occhi adoranti delle mamme sanbarbinesi: come sempre erano le famiglie il suo primo pensiero, e anche i possessori di animali domestici. Perché se le famiglie erano fortunate e i pargoli si limitavano a una cacca quotidiana, avrebbero potuto utilizzare il bonus persino per gli animali di casa. Naturalmente chi non aveva figli e invece aveva cani era un po’ sfortunato, ma non si poteva mica pretendere l’impossibile da un uomo (era pur sempre un essere umano seppur con doti sovrumane), che lavorava giorno 30
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e notte per il suo popolo. I possessori di cani col cuore meno tenero affidarono gli animali a un canile, gli altri accettarono a malincuore di pagare la tassa sulla cacca dei loro amici a quattro zampe. Fu così che la vita nel regno di San Barbino cambiò dall’oggi al domani. Tutti i cittadini si apprestarono a provare il nuovo wc. Dovevano solo fare attenzione a non tirare lo sciacquone prima del tempo, altrimenti avrebbero evaso le tasse. Il dispositivo nel water era subacqueo e non temeva acqua o liquidi di provenienza indubbia, era dotato di ripiano con bilancia sensoriale incorporata che dava immediatamente peso, consistenza, colore e odore, catalogandola tra una di quelle nella tabella; lo zelante cittadino appuntava sul modulo appositamente predisposto il codice alfanumerico corrispondente. Il Re parlava ogni giorno alla popolazione e li incoraggiava, grazie a loro sarebbero usciti dalla grave situazione di inquinamento e tutto sarebbe tornato alla normalità. Incoraggiava e lodava l’alacrità e solerzia dei suoi cittadini nell’importante compito per la salvaguardia della salubrità dell’aria pubblica; inoltre, continuava il sovrano, al di fuori delle mura del regno vivevano popoli barbari che la facevano ancora alla vecchia maniera compromettendo l’aria di tutto il mondo, loro erano il primo paese all’avanguardia, i primi al mondo ad usare il dispositivo. Qualcuno si ricordò all’improvviso che esistevano anche altri popoli e altre città… meno male che il sovrano risvegliava le memorie assopite dei sanbarbinesi! Erano stati fortunati, diceva il Re, ad essere i primi al mondo, e lo ripeté ancora, ancora e ancora. Ogni cittadino dello stato di San Barbino si inorgoglì e dimenticò per un attimo il risentimento per la nuova tassa e per l’arduo compito giornalie31
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ro. Ormai erano famosi in tutto il mondo: erano gli unici a pagare le tasse sulla Merda. Mariastella Stiliconi, seduta in poltrona accanto al suo consorte, guardava il Re che si complimentava con i suoi cittadini e fu a quel punto che qualcosa nella sua testa scattò: girò la testa da un lato e si stirò il collo, che fece uno strano rumore, come accadeva sempre quando qualcosa nel suo cervello cominciava lentamente a ribollire. “Dovremmo alzarci almeno tre quarti d’ora prima per compilare il modulo come si deve!” disse il signor Racconigi alla moglie. Lei per tutta risposta lo guardò come se non lo vedesse, si alzò, poggiò la tazza di tè facendo tintinnare la tazzina e sobbalzare il suo consorte e si rinchiuse nella piccola serra abusiva senza dire né ah né bah! Il signor Racconigi non se la prese. La sua adorata moglie non aveva il suo spirito di rassegnazione e neanche la sua incredibile pazienza. Pertanto pensò fosse meglio lasciarla sola, il tempo avrebbe sistemato tutto e lei si sarebbe adeguata come tutti gli altri. Del resto era per il bene del paese. Certo che c’era da diventar matti: prima le unghie velenose e poi la questione delle feci, ma lui era un pragmatico e affrontava le situazioni con grande flemma; quel che si doveva fare andava fatto, era importante essere un buon cittadino, altrimenti dove si sarebbe andati a finire? A poco a poco, come per tutte le cose, la nuova attività di catalogazione feci divenne un’abitudine. Dapprima la ricerca nel lungo elenco fu un compito arduo e complicato, ma man mano che il tempo passava diventò normale quanto lavarsi i denti. Certo c’erano i più fortunati, come il signor Racconigi, che andavano di corpo un giorno sì e uno no e quelli meno fortunati che andavano anche due volte al giorno. 32
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Poi una sera il Re, prima della fiaba della notte e dopo aver tessuto ancora le lodi del suo amato popolo, fece un importante annuncio: finalmente era stato inventato un ritrovato che avrebbe reso le feci di tutti i cittadini meno pesanti e più consistenti e persino meno odorose, si era ancora lontani dall’eliminazione degli odori ma per il momento potevano ritenersi soddisfatti. Il nuovo ritrovato si chiamava Fechin ed era disponibile in comode pasticche o in formato spray. Costava ben 12 sesterzi ma il signor Racconigi considerò, essendo anche un bravo ragioniere, che se avesse acquistato il ritrovato avrebbe speso 12 sesterzi ma avrebbe risparmiato sulla tassa complessiva delle feci e soprattutto non avrebbe superato lo scaglione che lo avrebbe scaraventato nella fascia media e aumentato la tassa complessiva, quindi non gli restò che acquistare il nuovo prodotto. I cittadini affetti da colite cronica erano in fila dalle quattro del mattino perché erano quelli che evacuavano più volte al giorno e le loro feci erano le più costose di tutte. Quelli affetti da stitichezza cronica erano in fila dalle tre del mattino in quanto le loro feci, pesanti, maleodoranti e scure erano comunque soggette a una tassazione elevata. Il nuovo ritrovato avrebbe equilibrato la flora patrimoniale di tutti i cittadini di San Barbino. Chi soffriva di stitichezza cronica si ritrovò ad andare di corpo due volte al giorno e la consistenza delle feci cambiò. Ma il numero delle evacuazioni, il colore e la consistenza, la catalogava nella categoria da 5 sesterzi in quanto il peso e la consistenza delle feci precedenti si equiparava con il numero delle evacuazioni che era inevitabilmente aumentato. Chi soffriva di colite cronica si ritrovò ad evacuare solo una volta al giorno, ma il nuovo peso e la nuova consistenza si equiparava con le tasse 33
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delle evacuazioni precedenti, pertanto nulla cambiò in fatto di tassazione. I cittadini non persero comunque la speranza e la fiducia in Sua Maestà lo splendido f.A.L. Di certo le cose sarebbero cambiate col tempo, forse dovevano cambiare tipo di alimentazione. Dopo un paio di mesi, però, accadde un fatto strano. Un brutto mattino, in casa Racconigi il dispositivo del wc si inceppò. Nonostante l’evacuazione di feci brune e dalla consistenza medio-dura, il dispositivo indicava feci diarroiche. Il signor Racconigi si grattò il capo perplesso, cliccò il tastino per le emergenze sulla tazza del water ma il responso fu lo stesso: feci diarroiche odorose e dalla consistenza limacciosa. Cosa doveva fare ora? Catalogarle secondo verità o secondo il risultato del dispositivo? Nel primo caso avrebbe rischiato di essere preso per un evasore delle tasse, visto che il dispositivo era collegato a un cervello elettronico centrale. Decise di contattare il Numero Marrone per la segnalazione guasti, ma nessuno rispose nonostante lo facesse squillare a lungo. Decise di lasciar correre, di certo la questione si sarebbe sistemata da sé. Mentre usciva perplesso dal bagno, incrociò sua moglie che si teneva la pancia. “Mi è venuto un gran mal di pancia!” e si chiuse dentro. “Il dispositivo deve avere un problema!” urlò fuori dalla porta il signor Ippolito. Ma la signora impegnata in altra attività rispose con un grugnito. Il signor Racconigi aspettò che uscisse per interrogarla sul responso del dispositivo. Quando uscì affaticata ma felice, il signor Ippolito la interrogò. “Allora che mi dici del dispositivo… ha segnalato le feci 34
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esatte?” “Avevi ragione!” - rispose sua moglie - “C’è qualcosa che non va. Il dispositivo ripeteva: feci diarroiche, odorose livello quattro e consistenza limacciosa!”. Il signor Racconigi riprovò col Numero Marrone. Nulla. Dall’altra parte c’erano solo fantasmi. Allora si recò un po’ imbarazzato dal suo vicino di casa, il signor Arnolfo di Cambio. Pensò a come l’evacuazione fosse ormai un argomento talmente discusso che l’imbarazzo gli passò immediatamente. Lo interrogò per vedere se anche lui aveva avuto problemi col dispositivo del wc. “Sì signor Racconigi, sia io che la mia signora siamo affetti da stitichezza cronica, a dire il vero un po’ meno da quando prendiamo il Fechin, ma stamane il dispositivo ha dato lo stesso responso sia a me che a lei!” Il signor Arnolfo aveva contattato il Numero Marrone per le emergenze ma nessuno aveva risposto. Dalla via principale, gruppetti di persone andavano tutti nella stessa direzione. Mai vista tutta questa mobilitazione, pensò il signor Ippolito. Che sarà mai successo? Si accodò al corteo e domandò a un suo conoscente dove fosse diretta tutta quella gente. “Il dispositivo del wc si è inceppato e il Numero Marrone non risponde. Stiamo andando a protestare al negozio dove lo abbiamo acquistato!” Nessuno voleva pagare tasse altissime per un errore di fabbrica. Fuori dal negozio, la fila era interminabile. Tutti i cittadini non si erano recati al lavoro perché la questione si doveva risolvere in fretta. Non potevano mica evacuare in giardino! Le multe erano salatissime e si rischiava persino la gattabuia. Finalmente dopo un paio di ore di attesa si affacciò un commesso che col megafono si rivolse alla folla: 35
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“Il guasto dipende dalla sede centrale. Non preoccupatevi! Vi verranno stornati gli importi che pagherete in più!” I cittadini tornarono sollevati alle loro abitazioni. Il signor Racconigi entrò in casa e si mise le pantofole. C’era sempre una soluzione a tutto, certo a volte si dovevano fare sacrifici, ma era necessario per il bene di tutti e per l’ambiente. Mentre sorseggiava un caffè, si affacciò sua moglie sulla porta del salotto. “Allora?” chiese. “Niente di grave, un guasto alla sede centrale. Ci verranno stornati gli importi che non ci competono!” disse il signor Ippolito con aria serafica. “E come faremo a dimostrare che tipo di feci produciamo ogni giorno, Ippolito?” la signora cominciò a diventare paonazza e il signor Ippolito la tranquillizzò: “Cara, dobbiamo semplicemente appuntare ogni giorno il tipo di feci come abbiamo sempre fatto!” “Già ma come faremo a dimostrarlo? Hai idea di cosa potrebbe accadere? Chi ci crederà?” La moglie non aveva tutti i torti, si sarebbe creato un pandemonio! Alla fine gli venne un’idea brillante: le avrebbero fotografate! Corse dal suo vicino a suggerirgli l’idea, così avrebbero potuto presentare le prove e tutti avrebbero avuto il rimborso. Il signor Arnolfo lo disse al suo vicino e quello al suo e così via sino a che la voce si sparse in tutto il regno. Il signor Ippolito era fiero dell’idea brillante che aveva avuto, da quel giorno ogni sanbarbinese si armò di macchina fotografica per immortalare la propria produzione giornaliera: sulla foto apponevano il codice alfanumerico corrispondente, data e ora. Ora tutti i cittadini erano impegnati a fotografare il loro prodotto e ben presto le 36
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case si riempirono di foto di Merda, mentre il dispositivo continuava imperterrito a dare sempre lo stesso responso: feci diarroiche! Il tempo passò, le tasse furono pagate e tutti attendevano il rimborso. Finché un giorno decisero di tornare al negozio e il commesso li rassicurò: tutto si sarebbe sistemato il più presto possibile, era una questione di emergenza e il Re in persona stava mobilitando persino i corpi speciali per aggiustare il guasto. I cittadini tornarono alle loro case perplessi, erano seriamente preoccupati. Quando entrò in casa e raccontò tutto alla moglie, la signora Mariastella disse: “Ippolito, qui non bisogna farsi illusioni. Le tasse ce le faranno pagare per intero e il rimborso chissà quando arriverà!”. Era visibilmente arrabbiata; il soggiorno, la cucina e persino la stanza da letto erano colmi di foto che ritraevano le loro produzioni giornaliere. Come avrebbero fatto quelli con bambini e cani? Il giorno dopo accadde un altro fatto strano: il vicino del signor Ippolito, il signor Arnolfo di Cambio, venne a bussare alla porta facendo una comunicazione un po’ imbarazzante. “Tutta la carta igienica dei negozi di San Barbino è stata ritirata!” disse mogio. “E per quale motivo?” domandò il signor Ippolito iniziando a sentire un po’ d’ansia. “Pare che la cellulosa contenga una sostanza che irrita oltremodo l’orifizio anale e per fortuna se ne sono accorti in tempo… hanno dato il servizio alla tv e posso garantirle che quello che ho visto è spaventoso!” il signor Arnolfo di Cambio era visibilmente scosso. “E come faremo ora?” domandò Ippolito Racconigi già 37
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presentendo quale sarebbe stato il seguito della faccenda. “È stato istituito un comitato per le emergenze che sta distribuendo quadratini di carta igienica sterilizzata. E domani verrà messa in vendita!” Ippolito Racconigi da un lato si tranquillizzò, per fortuna l’intervento del sovrano e del comitato per le emergenze era sempre tempestivo. Ma dentro di sé cominciò a sentire una vaga inquietudine. Si mise cappotto e cappello e senza dire nulla alla sua signora uscì di casa. Quando rientrò consegnò alla moglie i due quadratini di carta sterilizzata per la Pulitura del Deretano; la signora lo guardò, guardò quei due minuscoli quadratini e non disse una parola. Quel giorno non preparò il pranzo, non andò a fare la spesa, non riassettò la casa, non mangiò, non spiccicò neanche una parola. Si chiuse dentro la serra insieme alle sue amate orchidee e vi restò per tre giorni e tre notti. Intanto a San Barbino c’era già una lunga fila di persone davanti al negozio che avrebbe venduto la nuova carta igienica. Il prezzo era ovviamente più alto per via del trattamento di sterilizzazione. I cittadini con bambini si trovarono in serie difficoltà: oramai i loro pargoli, abituati alla Pulitura del Deretano con gli Origami di carta igienica, avrebbero avuto serie difficoltà ad effettuare l’operazione con due miseri pezzettini di carta seppur sterilizzati. Il Re parlava alla popolazione e la incoraggiava. I genitori, rinfrancati, decisero che valeva la pena sacrificarsi per i loro figli e acquistarono grossi quantitativi di carta sterilizzata. Avrebbero costruito Origami più piccoli. Il signor Racconigi ne acquistò due rotoli per la modesta cifra di 25 sesterzi sperando di non avere evacuazioni a sorpresa. 38
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Era un grande conforto sapere che il Re interveniva sempre con prontezza a risolvere ogni situazione di emergenza, pertanto decise che da buon cittadino non si sarebbe lamentato e se la sua signora avesse protestato avrebbe avuto il fatto suo per la prima volta nella sua vita. Non avevano mai litigato nei lunghi quarantadue anni di matrimonio e questa sarebbe stata la prima volta. Ma tornato a casa, constatò che la sua signora era ancora nella serra. Tutto era come lo aveva lasciato e con pazienza si apprestò a riassettare la casa e a preparare un piccolo pranzo, si avvicinò alla serra col piatto in mano e discretamente bussò. Nessuna risposta. Solo un’ombra si stagliava accanto alle orchidee. Depose il piatto vicino alla porta, lo coprì e si allontanò. Era meglio non disturbarla. Alla fine del terzo giorno Mariastella Stiliconi riaprì la porta della serra. Era visibilmente provata ma un luccichio nei suoi occhi lasciava presagire che la signora avesse appena avuto una Rivelazione. In piedi sullo stipite guardò il marito con occhi accesi; disse di avere un’idea risolutiva per la questione delle feci e voleva convocare un’assemblea con tutte le massaie di San Barbino. Per non destare sospetti nelle Ronde del Fiuto che passeggiavano alla ricerca di furbi cagatori, decise di fare una catena di preghiere insieme alle massaie una volta alla settimana per sostenere il regno che sembrava colpito dalla maledizione del faraone. Nella piccola parrocchia, la signora Mariastella parlò alle massaie sedute col fazzoletto sulla testa e il rosario in mano. “Non possiamo correre rischi di rimanere al verde per pagare tasse che non ci competono…” – disse - “propon39
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go di conservare le feci e di congelarle, dopodiché noi signore le porteremo via nei freezer portatili in modo che l’odore non ci tradisca. Ho chiesto il permesso al sagrestano, qui in chiesa non ci disturberà nessuno. Ho trovato un modo per smaltirle senza inquinare le acque, l’aria o la terra!”. Per un paio di giorni tutta San Barbino si impegnò nella segreta raccolta delle feci col vecchio e intramontabile Vaso da Notte, che non sputava mai sentenze e assolveva la sua missione in silenzio e con grande umiltà; le trasferirono in comodi sacchetti trasparenti e le occultarono nell’ultimo cassetto del freezer in attesa del giorno fatidico. Nessuno sapeva ancora cosa aveva escogitato Mariastella Stiliconi. Quando il giorno fatidico arrivò, le casalinghe uscirono di casa con un piccolo freezer portatile e il suo costoso carico; in sagrestia le attendeva la signora con un sorriso angelico. Le donne rimasero chiuse in chiesa per ben due giorni e le feci vennero finalmente smaltite, ma il tutto doveva rimanere segreto anche agli stessi mariti. Infine per festeggiare la geniale idea della signora Mariastella e la risoluzione del problema, prepararono un lauto pranzo di ben sette portate in onore di Sua Maestà, lo splendido f.A.L., a base di piatti esclusivamente francesi secondo i gusti del Re. Il pranzo sarebbe stato un’occasione per ringraziare il Re per la tempestività dei suoi interventi e per tutte le parole di conforto che aveva sempre generosamente distribuito alla popolazione. Insomma, volevano ricambiare l’amore che il Re aveva sempre mostrato per loro. Alle porte del palazzo le signore furono accolte con grandi onori, un tavolo lungo venti metri era imbandito e le signore disposero le prelibate pietanze sugli appositi car40
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relli, dopodiché mandarono i saluti al Re augurandogli lunga vita e un buon appetito. Il primo delizioso piatto che apparve sulla tavola del Re e dei suoi ministri, fu una sontuosa Bourride provenzale, poi una specialissima Bouillabaisse marseillaise; seguì una magnifica Daurade à la crème d’oursins, un gustosissimo Fricandeau di vitello all’acetosella, una deliziosa Mousse de saumon, Quiche alle cipolle, degli squisiti Rissoles al fegato d’oca, una Quiche Lorraine, e per finire una Marquise alla Crema di Vaniglia, Noisettes e naturalmente una Charlotte al cioccolato. Il Re e i suoi fidati ministri mangiarono con gusto tutto quel ben di Dio e per un’ora buona nessuno parlò. I cibi preparati da Mariastella Stiliconi e le sue compagne erano semplicemente divini, e il Re decise di dar loro un premio e di invitarle a corte. Dal canto suo Mariastella Stiliconi mandò a dire al Re che sarebbe stato un onore per lei e le sue compagne poter onorare lo splendido f.A.L. una volta alla settimana con un lauto pranzo di sette portate. Sarebbe stata per loro una grande gioia, più grande di qualsiasi altro regalo. Così fu deciso e così fu stabilito. Quando la signora rientrò in casa, il signor Ippolito la interrogò: “Allora cara, cosa avete fatto delle feci congelate?” “Segreti femminili mio caro, non c’è più ragione di preoccuparsi: abbiamo trovato un modo per smaltirle avendo cura di non inquinare l’ambiente almeno sino a quando l’ordine non verrà ristabilito; piuttosto, le signore ed io abbiamo deciso di omaggiare il nostro Re con un pranzo tutte le settimane in modo che si ricordi sempre quanto bene gli vogliamo noi donne di San Barbino…” rispose la signora Mariastella. 41
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Ippolito Racconigi non credeva alle sue orecchie, la sua signora era serafica e aveva gli occhi sognanti. Che si stesse veramente abituando alle misure precauzionali e si fosse davvero resa conto che era importante essere una Buona Cittadina? Sospirò e bevve un sorso di caffè mentre la moglie continuò: “…e vorrei anche che contattassi quel grosso negozio di insaporitori per cheeseburger e aromi artificiali e ordinassi grossi quantitativi di tutto ciò che trovi!”. Il signor Racconigi acconsentì felice nel vederla tranquilla; a cosa le occorressero gli insaporitori non lo sapeva, ma era sicuro che avesse le sue buone ragioni e pertanto non discusse. Ogni settimana, ora, il Re riceveva dalle donne di San Barbino un lauto pranzo di sette portate. Il Re e i suoi dignitari non finivano di tessere le lodi delle signore e una sera, prima della quotidiana Fiaba Reale, le ringraziò dai suoi centoventisette canali e disse che era grazie alle donne e al loro impegno che un buon regno funzionava a dovere e che lui era felice di essere un loro servitore. Gli ohhhhh e gli aahhhh delle popolazione maschile sanbarbinese, orgogliosa delle loro consorti, si udirono sin oltre le mura del regno mentre le signore sedute in disparte con un sorrisetto soddisfatto non furono particolarmente sorprese di tanta adulazione. Tra l’altro sua Maestà lo splendido f.A.L. era anche un po’ donnaiolo e la presenza femminile gli faceva sempre un gran piacere. Nessuno si preoccupò più delle tasse sulle feci. Le donne congelavano la produzione settimanale e la facevano sparire senza lasciare traccia... Qualche mese dopo, Mariastella Stiliconi si svegliò presaga che stesse accadendo qualcosa di insolito. Si alzò, aprì la finestra e annusò l’aria. Proprio come sospettava: 42
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l’aria era impregnata di un nauseabondo e penetrante odore, ne dedusse perciò che il Sacco di Merda era scoppiato. La signora chiuse la finestra e fece colazione pensando al da farsi. Ben presto tutta la popolazione di San Barbino accorse sulle strade per capire donde provenisse quel tanfo indescrivibile, quel fetore degno delle fogne infernali, quel lezzo miasmatico che avrebbe risuscitato i morti. Tutti si coprivano il naso e la bocca e accorrevano per le strade poiché nessun messaggio era arrivato dai centoventisette canali del Re che stranamente era sempre tempestivo nell’annunciare nuovi pericoli all’orizzonte, ma quella mattina i canali non davano segno di vita. Pertanto si diressero tutti a palazzo con grande fretta, ma più si avvicinavano e più il numero delle persone decresceva: chi sveniva per strada, chi sulle panchine, il traffico si bloccò, i negozi rimasero chiusi, e le strade si riempirono di gente e animali che cadevano come birilli a causa di quel puzzo letale… Mariastella Stiliconi infilò guanti e mascherina e sorrise al marito che la guardava con occhi sgranati. “Esco a vedere che succede!” disse flemmatica. Aprì la porta e uscì per strada. Scavalcando corpi andati in deliquio, andò incontro alle sue amiche massaie armate di mascherina, guanti e stivali da giardino e come un piccolo esercito entrarono finalmente a palazzo. Tutto era deserto e silenzioso: le guardie giacevano addormentate sul pavimento, gli inservienti dormivano sui gradini, i cuochi sui tavoli da cucina e le Fruttette giacevano nel Giardino Reale insieme ai frutti caduti e immediatamente appassiti per il tanfo nauseabondo. Mariastella Stiliconi sorrise soddisfatta dentro la mascherina ed entrò col suo corteo di massaie 43
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nella Sala Consigliare: il pavimento, le sedie, il tavolo, le pareti e persino il soffitto erano coperti da uno spesso strato di merda. La signora Stiliconi scorse la sedia del Re, scavalcò grossi cumuli di merda e ne dedusse che fosse ciò che era rimasto dei ministri, poi con un’intima eccitazione si avviò verso la sedia Regale. E fu lì che la vide: del Sacco di Merda era rimasta la testa vuota, solo quel sorriso suadente di quando raccontava le fiabe. Neanche la Merda era riuscito a cancellarlo. Decise di conservarla come cimelio e di esporla sulle mura del regno di San Barbino in modo che tutti potessero vedere che il faccione era sempre stato un sacco pieno di merda, ma nessuno lo aveva mai sospettato. Dopodiché tornò a casa mentre i sanbarbinesi, che si erano ripresi dallo svenimento e sembravano come risvegliati da un lungo sogno, pulivano le strade e chiacchieravano animatamente tra loro colmi di una gioia sconosciuta. La signora Stiliconi e il suo esercito organizzarono una Festa della Liberazione. Finalmente ora tutti erano liberi di defecare senza timore di farne troppa o quant’altro. La festa durò tre giorni e tre notti e al culmine della goliardia, quando Bacco Tabacco e Venere avevano ormai superato se stessi, tutti si esibirono nella grande dC alias defecazione Collettiva sul grande faccione Regale ribattezzato grande fetente Rottinc… posto al centro del sagrato di Chiesa. La giornata sarebbe stata festeggiata come festa nazionale e ricordata come il giorno della Liberazione dal Sacco di Merda e com’è d’uopo, la defecazione Collettiva si ripeteva ogni anno con tanto di processione e canti a cui tutti partecipavano. L’Istituto di onicologia fu chiuso e preso a uova marce in seguito a una incredibile scoperta della signora Mariastella. La signora, un giorno si era inavvertitamente mangiata le 44
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unghie in un attacco di nervosismo dovuto ai fattacci accaduti nel regno; quando si era accorta di ciò che aveva fatto non si era scomposta: era pronta a guardare la morte in faccia, e invece non era accaduto assolutamente nulla. Si era mordicchiata anche le unghie della mano sinistra ma anche allora non era successo un bel niente: del veleno pareva non esserci nessuna traccia. Era stato allora che i suoi neuroni avevano cominciato a scalpitare. Ippolito Racconigi guardò orgoglioso la sua signora. Un certo vigore giovanile stava facendo capolino e quella sarebbe stata una serata memorabile. Eh sì! pensò il signor Ippolito avvicinandosi alla moglie con sguardo colmo di un ardore che credeva sopito, non bisogna sottovalutare le donne, quando si arrabbiano sono capaci persino di una rivoluzione!
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Qualche anno dopo...
Qualche tempo dopo l’Insurrezione delle Massaie, tutto ritornò alla normalità e il governo del regno venne preso in mano da una Democrazia Partecipativa, ovvero un gruppo di dieci cittadini estratti a sorte che ruotavano ogni due anni e che avrebbe governato. Dopo le prime difficoltà, tutto cominciò ad andare per il verso giusto, tutti presero sul serio il governo del paese e non ci furono né liti né incomprensioni, ognuno si aiutava l’un l’altro, furono riaperti i giardini e il Giardino del Re fu gestito a turno dai cittadini. Un mattino di settembre di qualche anno dopo, giunse a San Barbino uno straniero; era costui un divertentissimo Giullare che conosceva fiabe e racconti mai uditi prima. I Sanbarbinesi, a dire il vero, sentivano la mancanza delle fiabe del re nonostante tutte le vicissitudini, pertanto ascoltarono rapiti il fiume di parole del Simpatico Buffone. Egli aveva inoltre conosciuto Piergoffredo I Augusto e da un palchetto allestito per la festa annuale della Liberazione raccontava e raccontava senza sosta. Le parole del giullare che distribuiva sorrisi e ammiccamenti a destra e a sinistra furono tali che dalla notte al giorno Egli trasformò la festa annuale della Liberazione, nella Giornata di Commemorazione di Piergoffredo I Augusto Martire. L’unico re, continuava il giullare, che aveva applicato un vaccino mentale e aveva funzionato. Proprio grazie a lui ora esisteva una democrazia di cittadini in grado di gestire le cose del regno. I cittadini si guardarono l’un l’altro perplessi: in effetti le cose che diceva codesto giullare avevano un fondo di verità. 47
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Dopo una breve consultazione, i cittadini dell’assemblea decisero di dedicare al Re almeno una statua con tanto di cerimonia ufficiosa e qualcuno a dire il vero pensò perfino alla beatificazione. Il Giullare continuava senza sosta in tono serio e grave e qualcun altro pensò che i ragionamenti del Goliardico Saltimbanco non fossero poi così male. Forse era giusto accoglierlo nell’assemblea di cittadini, le sue idee erano innovative e un po’ di aria nuova non poteva che essere benefica per San Barbino… ma ad un tratto si materializzò dal nulla Mariastella Stiliconi e il suo esercito di massaie; le donne circondarono amabilmente il Baldo Buffone Rampante e lo omaggiarono di una visita ai magnifici giardini ricchi di tutta la frutta che madre Natura e la cura degli uomini aveva creato e infine gli prepararono il lauto pranzo luculliano per Ospiti Speciali che lo rese innocuo e parco nella favella. Lo scortarono con lodi, chiacchiere e moine alle porte di San Barbino e con sorrisi e ammiccamenti lo spinsero garbatamente al di là delle mura…
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POSTFAZIONE In un contesto cronologico volutamente confuso e stravolto e in una scenografia letteraria da Basso Impero, un ex giullare con la passione per i miracoli viene nominato Re dell’ameno villaggio di San Barbino e in barba ai sanbarbinesi, il Re illuminato e filantropo dispone una serie di provvedimenti all’insegna della corruzione, che essi da bravi soldatini e onesti cittadini, accolgono senza batter ciglio. Così, dai tagli alla cultura che finiscono per mantenere in vita solo le prime lettere della parola stessa, alla decontestualizzazione dei libri da strumenti di cultura a oggetti d’arredamento insigniti del titolo di “nobiletti”, quasi un’anticipazione dell’home design contemporaneo, la vita a San Barbino procede serenamente allietata anche da un corpo speciale di giardiniere di sesso femminile, le cosiddette “Fruttette”, orgoglio del Re. Finché un giorno, un provvedimento di troppo innesca una vena dissidente, non a caso nella componente femminile del villaggio che rende inefficace il vaccino mentale somministrato a tutti i cittadini come base fondamentale del consenso. E con una soluzione rivoluzionaria del tutto naturale ed eco-compatibile, le cose andranno magicamente a riequilibrarsi, senza spargimento alcuno di sangue. Il ritmo narrativo del racconto, si dipana così in un crescendo di situazioni esilaranti e grottesche, ironiche e a tratti irriverenti, che faranno sorridere il lettore, più volte chiamato in causa, ma che al contempo faranno riflettere su un contesto verosimilmente e tristemente attuale di un modello di società fatto di apparente uguaglianza ma 51
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senza libertĂ , di furbizia ed egoismo prevalenti rispetto al bene comune. Una speranza nel finale profeticamente salvifico? Donatella Atzori è nata in Olanda nel 1964. Ăˆ laureata in Lingue e Letterature Straniere, vive e lavora a Cagliari come operatrice telefonica in un Call Center
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