Anno VI | numero 2 marzo | aprile 2014 ISSN 2283-9356
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2 | Il Notiziario sulla Sicurezza | marzo - aprile 2014
Sommario
Il Notiziario sulla Sicurezza | marzo - aprile 2014
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L’editoriale
Un Paese in emergenza ambientale | Renato Pedrazzini
11 Spazio Confinato | Adriano Paolo Bacchetta
20 Psicologia del Lavoro | Piergiorgio Frasca
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MECI 2014
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| Riqualificare il costruito Sfida e opportunità per l’edilizia | Risparmio energetico, antisismica e isolamento acustico gli ambiti operativi
Formazione alla Sicurezza | Mario Romeo
32 La formazione per la conduzione dei trattori agricoli e forestali | Paolo Peretti
36 La nuova direttiva RAEE | Massimo Granchi, Riccardo Bozzo
40 D.Lgs 81 | Alvise Bragadin
42 La Parola al Legale | Maurizio Cilione
46 Casa dolce casa... cosa aspetta 10 miliardi di inquilini | Achille Cester
28 | Bando a sostegno delle piccole e micro imprese | Mario Romeo
54 Verifiche Impianti | Luigi Cucchiararo
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L’editoriale Care lettrici e cari lettori, Il mese di marzo inizia con un importante notizia: dal 18 marzo 2014 entra in vigore il Decreto Interministeriale 6 marzo 2013 che detta i “Criteri di qualificazione della figura del formatore per la salute e sicurezza sul lavoro” stabiliti dal Ministero della Salute e del Ministero del Lavoro. I requisiti richiesti ai formatori sono stati sanciti dalla Commissione consultiva permanente il 18 aprile 2012 col fine di stabilire nel dettaglio quelli che sono i requisiti minimi e imprescindibili che deve possedere il Formatore per la Sicurezza, rilevando come caratteristiche principali la conoscenza, l’esperienza e la capacità didattica. Analizziamo dunque le caratteristiche che deve possedere un formatore. All’interno del decreto viene richiesto un prerequisito di base, cioè il possesso di un diploma di scuola secondaria superiore, e il possesso di almeno uno dei sei criteri segnalati, che riguardano: l’esperienza, l’istruzione universitaria, i corsi di formazione accompagnati o meno da esperienza lavorativa, sola esperienza lavorativa nel campo specifico, esperienza come RSPP oppure ASPP. Mentre il prerequisito e i criteri si applicano a tutti i soggetti formatori, il prerequisito non è richiesto per il datore di lavoro che effettua formazione ai propri lavoratori, se in possesso dei requisiti di svolgimento diretto dei compiti del servizio di prevenzione e protezione, regolamentati dall’articolo 34 del Testo Unico, e nel rispetto delle condizioni stabilite dall’accordo del 21 dicembre 2011. Questo avviene grazie ad una Misura transitoria della durata di 2 anni, adottata per preservare le situazioni ancora in essere: in base alla Misura transitoria, il prerequisito di istruzione ed i criteri di qualificazione non sono vincolanti per corsi di formazione già formalmente approvati e calendarizzati alla data di pubblicazione del documento in Gazzetta Ufficiale. Al termine di tale periodo il datore di lavoro che intenda svolgere direttamente l’attività formativa deve dimostrare di essere in possesso di uno dei sei criteri previsti nel Decreto. Esiste anche una Clausola di Salvaguardia (art.1.6), che permette ai docenti non in possesso del prerequisito alla data di pubblicazione del documento sulla Gazzetta Ufficiale (18 marzo 2013), di svolgere l’attività di formatore, qualora siano in grado di dimostrare di possedere almeno uno dei sei criteri previsti e a patto di aderire all’obbligo di aggiornamento triennale introdotto dal Decreto. Ritengo l’entrata in vigore di questo Decreto estremamente importante per l’innalzamento del livello di qualità della figura del formatore, grazie anche all’introduzione dell’area tematica di competenza, che ha come scopo garantire il possesso di conoscenze, competenze e capacità mirate alle docenze da svolgere. Questa riflessione vale soprattutto se si considera che il “mercato” della sicurezza del lavoro sta diventando estremamente lucroso, attirando anche l’attenzione di soggetti che non sempre hanno le competenze adatte al ruolo, che, invece di garantire la sicurezza, potrebbero comprometterla. Invito dunque tutti i lettori ad andare sul nostro sito www.emmev.it e visionare il testo completo del Decreto nella sezione Formazione. Gaspare Vannicola
4 | Il Notiziario sulla Sicurezza | marzo - aprile 2014
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Modulo di iscrizione per l’anno 2014
Un Paese in emergenza ambientale a cura di Renato Pedrazzini
Da diverso tempo la cronaca italiana pone in evidenza la questione ambientale che si aggrava ogni anno in modo considerevole, mettendo a rischio l’ambiente in generale e la salute delle persone.
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a situazione che oggi si presenta ha origini molto lontane, stiamo difatti ereditando tutte le problematiche ambientali mai sottoposte a controlli e verifiche, che hanno compromesso vaste e numerose aree del territorio a seguito dello sviluppo produttivo di origine industriale che, dagli anni Sessanta, ha imperversato in modo incondizionato e quasi indisturbato. Nell’ottica dello sviluppo sociale dell’economia nazionale e locale, del benessere generale ecc..., non si è minimamente tenuto conto del prezzo che tutto ciò avrebbe comportato per l’intero Paese, in termini di inquinamento e problematiche per la salute dei lavoratori e della popolazione. Oggi, come possiamo constatare, il prezzo di un’ottica esclusivamente economica o di profitto risulta essere molto alto sotto ogni punto di vista. L’aspetto inquietante è che tale prezzo sta aumentando e salirà ancora nei prossimi decenni. Il nostro Paese, purtroppo, è ancora lontano da una logica politica ed etica che risponde al paradigma: “chi inquina paga”. Per questo senza un equilibrato senso di giustizia sociale avremo ancora per molto tempo numerose questioni aperte di carattere ambientale e, di conseguenza, di salute. Ambiente e salute delle persone sono oggetto di totale sfruttamento e, paradossalmente, quando la Magistratura ne chiede conto, sembra non sia possibile ottenere quel minimo di giustizia a cui avrebbero diritto le persone che si sono ammalate e i familiari di chi, a seguito della malattia, è deceduto. Oltre alle problematiche derivanti dai processi di produzione, vi sono quelli relativi ai rifiuti che ne conseguono. Rifiuti di ogni genere e pericolosità e, ovviamente, d’interesse economico per la loro gestione. E qui un’altra piaga del Paese si mette in evidenza aumentando ulteriormente i pericoli e quindi i rischi per le persone: la pratica della gestione malavitosa dei rifiuti. Continua....
“Oltre alle problematiche derivanti dai processi di produzione, vi sono quelli relativi ai rifiuti che ne conseguono”. |7
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a cura di Adriano Paolo Bacchetta e Rossana Prola
Tra i molti ambiti in cui è applicabile il D.P.R. 177/2011, possono rientrare anche zone e/o impianti presenti nei locali tecnici e interventi, specie quelli che prevedono l’accesso all’interno delle vasche di compenso.
Spazio Confinato
Applicazione del D.P.R. 177/2011 agli impianti natatori
L
a definizione di tali ambienti, ai fini della loro identificazione nell’ambito degli impianti natatori, è, infatti, da ricercarsi nel D.P.R. 177/2011 che disciplina la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi definendo i requisiti necessari per operare in tali ambienti e le modalità di gestione dei rapporti tra le parti in caso di ricorso all’appalto e al subappalto. In tale Decreto, infatti, si precisa che sono definiti ambienti sospetti di inquinamento quelli ricompresi negli articoli 66 e 121 del D.Lgs. 81/08 e s.m.i. (pozzi, pozzi neri, fogne, cunicoli, camini, fosse e fosse in genere, gallerie e in generale in ambienti e recipienti, condutture, caldaie e simili, ove sia possibile il rilascio di gas deleteri), mentre sono definiti ambienti confinati quelli previsti al punto 3 dell’allegato IV dello stesso Decreto Legislativo (tubazioni, canalizzazioni e recipienti, quali vasche, serbatoi e simili, in cui debbano entrare lavoratori per operazioni di controllo, riparazione, manutenzione o per altri motivi dipendenti dall’esercizio dell’impianto o dell’apparecchio). Facendo riferimento a diverse interpretazioni derivanti da documenti e indicazioni elaborate a livello nazionale e alla normativa internazionale, si evidenzia come la classificazione di questi ambienti sia caratterizzata dal fatto che sono spazi circoscritti, non progettati per la presenza continua di un lavoratore, che presentano aperture di accesso con dimensione limitate (difficoltà di accesso e/o di uscita) e da una ventilazione naturale sfavorevole... Continua...
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Psicologia del Lavoro
È possibile conciliare il benessere personale e organizzativo? a cura di Piergiorgio Frasca
Il lavoro costituisce una parte essenziale della vita dell’uomo, non solo per procurare quanto necessario per sopravvivere, ma anche come riconoscimento dell’identità personale e del proprio valore nell’ambito di una comunità sociale. Nell’enciclica sul lavoro “Laboram exercens” Papa Giovanni Paolo II afferma che “il lavoro porta con sé un particolare segno dell’uomo e dell’umanità, il segno di una persona operante in una comunità di persone; e questo segno determina la sua qualifica interiore e costituisce, in un certo senso, la stessa sua natura”.
C
on le sue parole il Pontefice attribuisce al lavoro umano un’importanza fondamentale e decisiva “una chiave e, probabilmente, la chiave essenziale di tutta la questione sociale”. Sempre secondo le parole del Pontefice, quest’ultima consiste in fondo nel rendere la vita umana più umana, scopo che può essere raggiunto solo attraverso un lavoro più umano. Risultato che richiede inevitabilmente la creazione di condizioni organizzative e lavorative che rendano motivante il lavoro, che salvaguardino la sicurezza e la salute del lavoratore e rendano conciliabili le esigenze lavorative con le sue esigenze familiari, personali e sociali. Tuttavia nella società moderna, tecnologicamente avanzata, mentre la condizione di benessere materiale è stata in buona misura realizzata, per cui non è possibile comparare le condizioni di vita tipiche di questi ultimi anni, rispetto a quelle degli anni 60 e 70 del secolo scorso o rispetto a quelle della prima metà del ‘900 e ancor più rispetto alle condizioni di vita tipiche dei secoli scorsi, lo stesso non è avvenuto per il benessere psicologico e sociale. Continua...
“...più aumenta il benessere “tecnologico”, più cresce, di pari passo, il disagio lavorativo e lo stress da condizioni di vita e di lavoro...”
10 | Il Notiziario sulla Sicurezza | marzo - aprile 2014
Formazione alla Sicurezza
I quesiti dai territori a cura di Mario Romeo, Dirigente Salute e Sicurezza
Gli obblighi formativi in caso di trasferimento e cambio mansioni
Il Ministero del Lavoro chiarisce, con la nota n.20791 del 27 novembre 2013, sulla necessità o meno di provvedere alla formazione di lavoratori in caso di trasferimento o di cambio mansione. La Direzione Generale per l’Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro, con la nota n.20791 del 27 novembre 2013, ha fornito alcuni chiarimenti in ordine agli obblighi formativi del datore di lavoro in caso di trasferimento del lavoratore da un reparto all’altro della stessa azienda, mantenendo le stesse mansioni lavorative. Ricordiamo che il comma 4 dell’art. 37 del D.lgs. 81/08 prevede l’obbligo formativo in caso: • della costituzione del rapporto di lavoro o dell’inizio dell’utilizzazione qualora si tratti di somministrazione di lavoro; • del trasferimento o cambiamento di mansioni; • della introduzione di nuove attrezzature di lavoro o di nuove tecnologie, di nuove sostanze e preparati pericolosi; tutte situazioni caratterizzate dall’inserimento di nuovi rischi a cui potrebbe essere sottoposto il lavoratore in relazione alla sua attività all’interno dell’azienda. La nota del Ministero prende in esame la lettera b) “trasferimento o cambiamento di mansioni” e chiarisce che “la necessità di integrare la formazione del lavoratore nel caso in cui lo stesso venga trasferito nell’ambito della stessa azienda andrà dunque valutata in considerazione della prestazione ... Continua...
11 | Il Notiziario sulla Sicurezza | marzo - aprile 2014
La formazione per la conduzione dei trattori agricoli e forestali a cura di Paolo Peretti
L’accordo tra il Governo, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano del 22 febbraio 2012, entrato in vigore il 12 marzo 2013, definisce un protocollo didattico minimo (argomenti, durata, verifiche, test, prove pratiche, valutazioni, etc.) per lo svolgimento dei corsi di formazione alla conduzione di macchine operatrici, compresi i trattori agricoli e forestali. Chi è obbligato alla formazione? Qualsiasi lavoratore che presta il proprio lavoro alle dipendenze di un datore di lavoro o che svolge attività lavorativa con trattori agricoli o forestali nell’ambito dell’organizzazione del datore di lavoro, con o senza retribuzione. Sono equiparati i soci lavoratori di cooperative o di società, anche di fatto, che prestano la loro attività per conto delle società o degli enti stessi, i coltivatori diretti ed i lavoratori in proprio.
“La formazione adeguata e specifica è diventata un obbligo per il datore di lavoro e per chi utilizza macchinari ed attrezzature nello svolgimento delle attività lavorative ...”.
Per quali trattori agricoli vige l’obbligo di formazione? Per qualsiasi trattore agricolo o forestale con motore, a ruote o cingoli, con velocità per costruzione non inferiore a 6 km/h e che venga utilizzato per lavorazioni in contesto agricolo o forestale, potendo essere equipaggiato con attrezzi per tirare, trainare, movimentare e trasportare carichi (Accordo Stato/Regioni del 22/02/2012). Da quando è obbligatoria la formazione per condurre il trattore? L’obbligo di formazione è stato codificato in modo chiaro e cogente nel 2008 (Dlgs. 81/08). Da quell’anno non sono più possibili fraintendimenti. La formazione adeguata e specifica (documentabile anche con il cosiddetto “patentino”) è diventata un obbligo per il datore di lavoro e per chi utilizza macchinari ed attrezzature nello svolgimento delle attività lavorative, comprese quelle in ambito agro-forestale. Continua...
12 | Il Notiziario sulla Sicurezza | marzo - aprile 2014
La nuova direttiva RAEE a cura di Massimo Granchi e Riccardo Bozzo
Nel luglio del 2012 è stata pubblicata la nuova Direttiva RAEE, ovvero la Direttiva 2012/19/UE “sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE)”. Questa Direttiva sostituisce la precedente Direttiva RAEE 2002/96/CE, apportando in realtà poche modifiche sostanziali, in particolare in merito al campo di applicazione, che entreranno in vigore nell’agosto del 2018.
A
differenza di quanto accade per la Direttiva RoHS non esistono al momento Linee Guida dettagliate ufficiali, visto il campo di applicazione sterminato e che riguarda nello specifico anche la regolamentazione nazionale e locale sullo smaltimento e gestione dello smaltimento di questo tipo di rifiuti. Lo scopo della Direttiva RAEE è quello di regolamentare la gestione dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, ponendo obblighi in materia di gestione sia relativi ai fabbricanti, che ai consorzi di smaltimento che agli stati membri in generale. La nuova Direttiva RAEE, come la versione precedente, si presenta molto complessa e necessita di professionalità specifiche per la valutazione del miglior percorso da intraprendere, anche dal lato economico, per la gestione del singolo prodotto elettrico ed elettronico da parte del suo fabbricante, al momento in cui questa apparecchiatura diventa un rifiuto.
“La nuova Direttiva RAEE necessita di professionalità specifiche per valutare il miglior percorso per la gestione del singolo prodotto elettrico ed elettronico...”. 13 | Il Notiziario sulla Sicurezza | marzo - aprile 2014
Campo di applicazione e di esclusione All’Allegato I la Direttiva propone un elenco di gruppi di apparecchiature elettriche ed elettroniche (AEE) che rientrano nel campo di applicazione, che riportiamo qui di seguito: • grandi elettrodomestici; • piccoli elettrodomestici; • apparecchiature informatiche e per telecomunicazioni; • apparecchiature di consumo e pannelli fotovoltaici; • apparecchiature di illuminazione; • strumenti elettrici ed elettronici (ad eccezione degli utensili industriali fissi di grandi dimensioni); • giocattoli e apparecchiature per il tempo libero e lo sport; Continua...
D.Lgs 81 - Analisi - Approfondimenti - News
Il concorso di responsabilità tra datore di lavoro e lavoratore in caso di infortunio Nel caso in cui l’infortunato sia un dipendente esperto a cura di Alvise Bragadin, AIESIL
In materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro ed in particolare in caso di esecuzione di opere di montaggio o smontaggio delle impalcature e di lavorazioni che espongano i lavoratori a rischi di caduta dall’alto, il datore di lavoro è sempre responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga effettivamente fatto uso da parte del dipendente, se non viene specificamente dimostrato che ricorrono tutti gli elementi propri dell’ipotesi del cd. rischio elettivo.
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a vicenda sottoposta all’esame della Corte di Cassazione riguarda la caduta, dall’altezza di sei metri, di un lavoratore intento alla realizzazione di un ponteggio per il rifacimento dell’intonaco sottostante ad un viadotto autostradale. A seguito della caduta il lavoratore riportava gravi lesioni quali, le frattura del bacino e l’amputazione del braccio e dell’avambraccio sinistro. Da quanto emerso nel corso del processo: • il lavoratore non fece uso delle cinture di sicurezza perché quelle in dotazione, essendo munite di una catena di soli cm. 60, erano inidonee allo svolgimento del lavoro di montaggio del ponteggio, che stava eseguendo; • le tavole costituenti il piano di calpestio del ponteggio non erano fissate o comunque tenute ferme onde evitare la caduta del lavoratore; • tali tavole non erano in perfetto stato di conservazione; Continua...
“...La vicenda riguarda la caduta, dall’altezza di sei metri, di un lavoratore intento alla realizzazione di un ponteggio...”
14 | Il Notiziario sulla Sicurezza | marzo - aprile 2014
La Parola al Legale
La responsabilità del coordinatore per l’esecuzione dei lavori Analisi di un caso rappresentativo a cura di Maurizio Cilione, LML Avvocati Associati
Cerchiamo in questa sede di rispondere ad un’ultima domanda dell’attento lettore: quando “scatta” la responsabilità del coordinatore per l’esecuzione dei lavori?
E
bbene, in linea generale, questi è responsabile, unitamente al datore di lavoro dell’impresa appaltatrice, dell’infortunio occorso ad un dipendente di quest’ultimo, quando ometta di svolgere quell’azione di coordinamento derivante dal suo ruolo e necessaria in ipotesi di compresenza di più soggetti operanti nel medesimo cantiere. Tale principio risulta così assimilato da una interessante decisione della Cassazione che è il caso qui di evidenziare. Punto di partenza è un incidente sul lavoro verificatosi all’interno di uno stabilimento industriale di proprietà di una S.r.l.; quest’ultima, dopo aver nominato un coordinatore per l’esecuzione dei lavori, aveva commissionato ad una ditta esterna, della quale l’operaio successivamente deceduto era dipendente, l’esecuzione di alcuni lavori “in quota” riguardanti il rifacimento della copertura di un capannone. Il detto operaio, sebbene dovesse eseguire la dismissione della preesistente copertura grecata dal capannone e predisporla per il successivo montaggio di nuove tegole, si portava sul tetto, la cui copertura era costituita in parte da pannelli in vetroresina traslucidi non calpestabili... Continua...
“...egli è responsabile quando ometta di svolgere quell’azione di coordinamento derivante dal suo ruolo e necessaria in ipotesi di compresenza di più soggetti operanti nel medesimo cantiere ...”
15 | Il Notiziario sulla Sicurezza | marzo - aprile 2014
Casa dolce casa... quale futuro aspetta 10 miliardi di inquilini a cura di Achille Cester
Se un giorno un uomo del futuro riuscisse ad aggirare il paradosso di Einstein-PodolskyRosen e visitare Caserta, si troverebbe di fronte ad un opera che ancora oggi suscita tanta ammirazione nei visitatori da essere considerata patrimonio dell’Umanità: la Reggia. Di certo il suo fascino ha conquistato George Lucas che, in “Guerre Stellari”, ha immaginato un possente impero galattico e la reggia Naboo con il suo cuore nel bellissimo palazzo italiano.
| Il Corno Rosso all’ingresso della Reggia di Caserta e i “paninari” del Colosseo |
Il patrimonio edilizio italiano è di fatto un unicum che non può perdere l’EXPO 2015 per farsi conoscere al mondo. Come preservarlo e valorizzarlo è una sfida che ci potrebbe permettere anche di ridurre il deficit pubblico (dalla Divina Commedia alla “Dolce Vita”, per finire alla Cappella Sistina di Michelangelo: l’immenso patrimonio storico, artistico e letterario dà al Belpaese un valore che non può essere ridotto a una serie senza senso di cifre). Non basta però dirlo, bisogna farlo concretamente e secondo le regole di mercato. Un modo potrebbe essere coniugare l’attività dell’Istituto per la Conservazione ed il Restauro con risorse economiche dei privati sul modello della sponsorizzazione dei lavori di restauro del Colosseo da parte della Tod’s di Diego della Valle. Di sicuro non è la direzione giusta quella di porre il Corno Rosso, opera di Lello Esposito, davanti all’ingresso o le auto dei dipendenti che percorrono i bellissimi viali della reggia o ancora gli interventi di piccola edilizia di servizio che nulla hanno a che fare con questo monumento che non ha niente da invidiare a Versailles, ma che fa il paio con il degrado di Pompei. E nemmeno il panino selvaggio davanti al Colosseo con i gazebo in mano ai piccoli raket. L’Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro nato nel 1939 con la denominazione di Istituto Centrale del Restauro, su felice intuizione di Giulio Carlo Argan e Cesare Brandi, per rispondere all’esigenza di impostare l’attività di restauro su basi scientifiche e di unificare le metodologie di intervento sulle opere d’arte e i reperti archeologici è senz’altro la direzione da perseguire. Rinnovato con Decreto del Presidente della Repubblica del 26 novembre 2007, n. 233, Capo III, art. 15, Comma 3, lettera g... Continua...
16 | Il Notiziario sulla Sicurezza | marzo - aprile 2014
Verifiche impianti
Manovra di soccorso e chiamata di emergenza Norme e dubbi a cura di Luigi Cucchiararo, Ocert Srl
L’evento dell’intrappolamento di persone nella cabina di ascensore è un evento piuttosto raro, almeno sul territorio italiano. Statistiche non ufficiali riportano che questa eventualità si verifica circa 0,1 volte all’anno per impianto, quindi circa una volta ogni dieci anni.
I
n sostanza questo significa che solo un guasto su venti implica l’intrappolamento di una persona e, considerando che mediamente in un anno un ascensore installato in edificio residenziale faccia circa 20.000 corse, questo significa che solo una su 10.000 vede un guasto e quindi solo una corsa su 200.000 vede una persona intrappolata. A conferma di quanto sopra si tenga conto che una delle cause più comuni di intrappolamento, la mancanza improvvisa di energia elettrica, è evento raro in Italia. Inoltre nel mercato italiano vede una presenza imponente di ascensori idraulici, per i quali l’installazione di una semplice manovra automatica di ritorno al piano in caso di mancanza di alimentazione, magari con la riapertura automatica delle porte, è poco costosa e quindi molto comune e presente nel parco impianti installato. Riprendendo a fare qualche calcolo, gli ascensori italiani in esercizio sono circa 900.000, e tenendo conto che non tutti gli ascensori sono installati in edifici residenziali, ma ci sono anche uffici, alberghi, ospedali, che hanno un traffico di gran lunga superiore, gli intrappolamenti in Italia in un anno sono sull’ordine di grandezza di più di 100.000, diciamo 300 al giorno, cioè più di una dozzina ogni ora. La legge dei grandi numeri fa sì che un evento raro su un solo impianto, in assoluto non sia così raro su larga scala!! Continua...
17 | Il Notiziario sulla Sicurezza | marzo - aprile 2014
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