Cmi Dicembre

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Setting Performance Objectives

Customer

Management

ANNO 1 - NUMERO 8

DICEMBRE 2012

Clienti soddisfatti aziende solide Letizia Olivari

Un ottimo prodotto o un servizio eccellente possono considerarsi tali solo alla prova dei fatti. Ovvero solo quando i clienti sono soddisfatti del loro acquisto e si sentono considerati importanti dall’azienda produttrice o fornitrice del servizio. Nonostante si parli di ciò da molti decenni, a leggere le indagini sembra che di strada se ne debba fare ancora molta. Sia perché il cliente non è ancora al centro dei processi aziendali, sia perché le aspettative sono sempre più alte. Tecnologie, studi, opportuntià non mancano per avere un servizio al cliente di eccellenza e per attivare un marketing attento. CMI Customer Management Insights per otto numeri nel 2012 ha cominciato a tracciare delle strade possibili e percorribili. Lo abbiamo fatto con 87 articoli (trovate l’elenco

completo nell’ultima pagina) e tantissime news che hanno toccato tutti i temi che ruotano intorno alla gestione del cliente. Dalle risorse umane dedicate a questo compito, alle nuove figure professionali; dalla Customer Experience ai Social Media; dal CRM al marketing; dalle tecnologie a supporto alle

metodologie di misurazione dei risultati. Questi saranno gli argomenti che continueremo a trattare anche nel 2013 non solo sulla rivista ma anche con incontri e convegni, come nel primo che si terrà il 21 febbraio a Milano, dedicato alla Customer Experience del cliente multicanale.

Choosing the Right Metrics: Avoid 8 Common Mistakes Are your center’s metrics driving performance, efficiency and value? Advice from our experts on making smart decisions and avoiding pitfalls. By Susan Hash

A

s contact centers add new touchpoints to their channel mix, many leaders are rethinking their metrics and goals for optimizing the customer experience. Having the right metrics in place is critical to guide decision making, yet in many cases, call center metrics fail to deliver the insights needed to drive performance, efficiency and value.

Or worse, key metrics conflict with the contact center’s vision and agent performance objectives, and end up motivating behaviors that negatively impact customers. How do you choose the right combination of metrics that will add value for your customers, company and employees? You’ll need to consider your center’s unique circumstances, such as your market, industry, culture, size, product offerings, channels, skill sets and customer de21 mographics, among other factors. While

We all do it, and it is one of the most influential activities undertaken in a contact center. When performance objectives are set, the team, and each of its members, learns exactly what is being measured and the level of performance necessary to meet expectations. The scope of the topic—setting performance objectives—is quite a bit larger than the space provided for this article, so let’s make a few assumptions in order to narrow the target. We will start off by assuming you have separated the “noise” from the important performance metrics. You also mapped key metrics back to organizational objectives, eliminating those that do not have a match. Let’s further assume you recognize that some metrics—handle time is a good example—do not translate well as an individual performance objective, since they influence behavior in ways you do not necessarily want (see the sidebar on page 16 for a bit more on this topic). So, you are left with wanting to set objectives on the metrics that have value and will not generate one of those nasty unintended consequences. With the field this well prepared, it is time to get started. Metric Categories At this point, people often want to jump in and start bouncing around 24 ideas for numbers

Mobile and the Contact Center: The Game is Changing We recently got rid of our landline, and I bet many of you have already done the same, or will soon. We live by the smartphone. It’s our “go-to” directory, information, web and application source. We use it to self-serve or seek assisted service with companies big and small. Whether we make contact frequently or infrequently, we want to get our business done on this device. I’m a “Baby Boomer,” not one of the “iGeneration” or “Millenials” or “GenX.” There is a shift in customer interaction expectations that applies to all of the generations you serve. There is ample, compelling data on the demise of landlines and the growth of and use of smartphones. (And watch out, both are accelerating!) This article is going to focus on how you handle it, not make the case that you should. I’ll define what “mobile” entails, what you can do with it, and how vendors 34 are responding


Customer

Management Il mensile per il contact center

Customer Experience: la sfida multicanale

Strategie e strumenti per coltivare la relazione con il cliente Blend Tower – Halldis Gallery Piazza IV Novembre, 7 - Milano 21 Febbraio 2013 dalle 14.00 alle 18.30 Programma 14,00 Welcome coffee e registrazione partecipanti 14,45 Saluti introduttivi 15,00 La comunicazione “social” di banche e assicurazioni (titolo provvisorio) Elisabetta Locatelli - OSSCOM - Centro di ricerca sui media e la comunicazione Università Cattolica di Milano 15,30 La tecnologia a supporto del cambiamento (titolo provvisorio)

Ezio Viola - The Innovation Group

16.00 Q&A

16.10 La customer experience multicanale in un mondo sempre connesso Armando Janigro - Oracle 16,30 touch, text, share: nuovi modi di comunicare e di servire i clienti Enrico Donati – Assist 16,50 Tavola Rotonda e dibattito con il pubblico Esperienze e progetti per una Customer Experience d'eccellenza 18.00 Aperitivo e Networking


Articoli da Contact Center Pipeline Per ogni articolo pubblicato in inglese proponiamo un rapido riassunto in italiano, per consentire di decidere a colpo sicuro quale argomento approfondire.

Choosing The Right Metrics: Avoid The 8 Common Mistakes, p. 1

Sommario 4 Call center, spaccato sul mondo dell’offerta Sergio Caserta

Il problema è sempre esistito. Oggi le possibilità di sbagliare aumentano per la crescita dei punti di contatto tra l’azienda e i clienti. Un criterio suggerito è quello di partire da come il call center sostiene l’azienda e di tenere sempre in evidenza i requisiti dei clienti, senior manager e personale.

6 I trend del marketing nel 2013 Elisa Fontana

Setting Performace Objectives, p. 1 L’autore fa una riflessione sulle metriche per le quali ha senso porre degli obiettivi massimi da raggiungere perché non è conveniente andare oltre e altre metriche, tipicamente di vendita, per cui questi massimi non hanno senso. Ciò facendo effettua una riflessione su dove porre l’asticella in modo da non aver effetti indesiderati, sia per la prima categoria che per la seconda categoria di metriche.

8 I Social Media? Non sono solo Facebook Roberto Grossi

The Biggest Problem With Nps, p. 26

12 News

Ecco il punto di vista, piuttosto negativo, di un altro istituto (TARP) sul Net Promoter Score perché non considera i clienti c.d. passivi che costituiscono una larga parte del mercato.

16 Guida alle aziende

Customer Effort Score, p. 28 Negli USA c’è una ricerca dell’indice più efficace nel predire il comportamento dei clienti. L’ultimo nato è il CES del Customer Contact Council. Nell’articolo un esperto di sondaggi e analisi dei feedback dei clienti afferma che il metodo seguito dagli ideatori dell’indice per condurre la ricerca non è adeguatamente documentato e pertanto le conclusioni restano sul piano dell’intuizione.

10 Il percorso formativo nel call center Chiara Munzi

21-37 Articoli da Contact Center Pipeline pubblicati in esclusiva per l’Italia

Customer Experience Reegineered, p. 32 Riflessioni di un consulente d’azienda sul fatto che le strategie di business dopo tutto sono abbastanza costanti nel tempo e cambia solo il modo di interpretarle. Quindi sviluppare queste best practice: come costruire un rapporto a partire dalla conoscenza del cliente, come fidelizzare i clienti acquisiti, come sviluppare gli affari con i clienti a portafoglio, come rendere il marchio rispettato e come erogare un servizio accurato. Mobile And Contact Center: The Game Is Changing, p. 1 Il passaggio in corso e in forte accelerazione dalle comunicazioni su rete fissa alle comunicazioni su rete mobile obbliga i contact center a vedere COME (e non se) gestire il customer service su richieste di clienti provenienti da dispositivi mobili. L’articolo presenta: 1) possibili scenari di processi di customer service che le aziende innovators o early adopters debbono considerare; 2) approcci delle diverse categorie di vendors presenti o nuovi entranti nel coprire i gap dei requisiti; 3) come partire bene; 4) idee da valutare per una loro implementazione. Simplexify Your Life, p. 37 Simpatiche riflessioni di Paul Stockford, noto industry analyst con tanti anni di lavoro alle spalle, su come col tempo le cose nate semplici (i telefoni cellulari) siano diventate sempre più complesse e strumenti nati molto complessi utilizzati nei contact center siano stati resi semplici grazie al cambiamento dell’interfaccia utente col web 2.0. il riferimento alla semplificazione è in particolar modo rivolto al progredire dei workforce management system che sono oggi giunti ad una nuova generazione grazie ad una elevata usabilità. E per catturare l’attenzione l’autore fa riferimenti alla teoria della Simplexity

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Management Il mensile per il contact center

Anno 1 - Numero 8 - Dicembre 2012 - www.cmimagazine.it Direttore responsabile: Letizia Olivari letizia.olivari@cmimagazine.it Hanno collaborato: Sergio Caserta, Elena Giordano, Elisa Fontana, Roberto Grossi, Chiara Munzi, Impaginazione e grafica: Matteo Olivari grafica@matteoolivari.it

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Call center, spaccato sul mondo dell’offerta Tempi di implementazione ridotti, ritorno sugli investimenti, efficienza e rapidità: questo chiedono le aziende ai fornitori di soluzioni per i call center. Come si presentano le aziende internazionali e italiane sul mercato, come rispondono alle esigenze di business delle imprese, grandi e piccole.

Sergio Caserta

I contact center hanno generato una forte domanda di tecnologia innovativa, che ha portato alla fondazione di nuove aziende e alla crescita di aziende consolidate attraverso acquisizioni di start up, di rami di azienda o di aziende entrate in crisi, ma con un interessante portafoglio clienti. L’anno che si è appena concluso è stato per l’Italia un altro lungo periodo di crisi economica. L’Ict ne ha risentito e il 2012 ha visto un’ulteriore contrazione delle spese e investimenti in tecnologia, già rilevati nel 2011 rispetto al 2010, anche se in misura minore. Il settore dei contact center ne ha risentito anche nella componente “servizi”, per la rilocazione di centri in Paesi vicini, ma con costi del personale più bassi dell’Italia e con una flessibilità della forza lavoro maggiore (offshoring). La domanda delle aziende italiane si concretizzava in volumi minori e con richiesta di prezzi unitari inferiori rispetto agli anni precedenti.

“Cerco qualcosa che mi consenta di: ridurre i costi dei processi di business e fidelizzare e/o sviluppare la customer base, tagliando significativamente tempi di implementazione e Tco (Total Cost of Ownership) della soluzione proposta, considerando tutto: dalla installazione nella rete aziendale, alla configurazione della soluzione, al training del personale interno”. Quindi si afferma definitivamente il fatto che i fornitori devono sapere vendere un ritorno sugli investimenti. È cioè vincente una soluzione presentata con un’offerta dal payback evidente, sicuro e di breve periodo, con un Tco proporzionato al valore generato. L’esigenza è generale e fatta propria dai big: si pensi all’offerta Genesys One per le Pmi proposto con tempi di implementazione di un mese, a costo fisso, e con tanti report già pronti, il tutto basato sulle cosiddette best practice di settore.

A livello internazionale sono successe cose interessanti sul piano dell’innovazione: molte soluzioni sono diventate multitenant e disponibili in “the cloud” (e ci sono piani in corso per chi non l’ha già fatto) per offrire un modello di costi di massima flessibilità sul piano delle opzioni del cliente (acquisizione, SaaS, managed), e per ridurre i tempi di deployement. Si nota un’offerta volta a coprire la domanda proveniente dallo sviluppo dei nuovi canali di contatto con il cliente, in particolare di tutto ciò che gira intorno a Internet (chat e Social Media) e al mobile (tablet e smartphone) basato su Internet (in crescita in Italia anche l’e-commerce). Dal mondo della committenza arriva questo messaggio:

Dato questo scenario, proviamo a vedere l’offerta di categorie di aziende: - con forte vocazione di telecomunicazioni - specializzate nel trattamento ordinato dei contatti in entrata e in uscita dal contact center - specializzate nell’esaudimento della richiesta di servizio - specializzate nella gestione del call center, visto come una struttura organizzativa con proprie peculiarità Le aziende “Tlc oriented” si sono concentrate sugli aspetti ove sono vincenti: virtualizzazione di call center, supporto al telelavoro e ad agenti remoti, collaborazione a distanza, conferenza (nelle varie declinazioni), mobile, messaging unificato, convergenza della comunicazione interattiva (voce,

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Sergio Caserta Country Manager di Vanguard Communications Europe, è un ingegnere elettronico esperto di ICT e di organizza­zione e gestione di strutture di customer service e di vendita, tra cui i contact center.

video e sessioni multimediali) e dei servizi dati, interoperabilità tra sistemi diversi con il supporto delle architetture Microsoft, sicurezza (nei significati di disponibilità, integrità, riservatezza delle comunicazioni). Poiché gli standard di settore sono in genere immaturi, molto resta da fare da parte di aziende specializzate e con il know-how giusto in casa. Nuovi termini si stanno diffondendo, come WebRTC, session border controller e wireless Lan. Le soluzioni sono viste essenziali alla continuità del business e sono legate alle dimensioni ed esigenze di fondo dell’azienda. La loro acquisizione rientra in progetti infrastrutturali di medio/lungo periodo. Rientrano nel gruppo aziende quali Aastra, Alcatel Lucent, Avaya, Cisco, Ericsson, Fonality, Fujitsu, Huawey, Mitel, Nec, Shoretel, Siemens, Toshiba, e tante altre specializzatesi in particolari segmenti (Acme Packet, Aerohive, Dialogic, Polycom, Selta, Zte).

Soluzioni taylor made o capaci di gestire voce, o nuovi canali, fino ai Social Media La seconda fascia di aziende accorpa tutte quelle che hanno sviluppato soluzioni per il contact center, department dell’azienda. C’è una certa sovrapposizione con le aziende precedenti e con quelle immediatamente a valle, perché un fornitore di prodotti di contact center con una significativa base di clienti tende a costruire la propria suite di soluzioni spesso in risposta alle esigenze dei clienti. Questo è tanto più vero in Italia, dove è vincente un approccio di sviluppo spesso sartorializzato di soluzioni secondo un modello di PMI a vocazione artigiana, nel senso migliore della parola. In questa fascia di aziende troviamo fornitori di software e hardware specializzati, sistemi all in one, suite di Cti/Acd/Ivr, prodotti specializzati per i nuovi canali (chat, e-mail, messaging) che cercano di contenere i costi del cliente integrandosi con sistemi telefonici già esistenti visti solo come apparati di commutazione e di trasporto e di fornire in taluni casi soluzioni applicative complete laddove possibile (gestori di email, predictive dialers). Le aziende più note, considerando anche le aziende presenti in Italia, sono Aastra, Aspect, Avaya, Cisco, eGain, Ellysse, Genesys, Ifm Infomaster, Interactive Intelligence, Life Person, Opera NetCenter, Oracle, Reitek, Siseco. www.cmimagazine.it

In particolare, Oracle è in questo mercato perché ha acquisito aziende con un particolare know-how come Telephony@ work e, a fine 2011, RightNow. Oracle in Italia è più conosciuta per Bea, Java, Hyperion, Peoplesoft e Siebel, che per prodotti specifici di contact center. Contigue a questa fascia ci sono le aziende con soluzioni specializzate nel trattamento dei media voce e testo, che possono essere inclusi in soluzioni di più ampio respiro: Avaya, Autonomy, Call Miner, Interactive Media, Media Voice, Nexidia, Nuance, Pervoice, Utopy. Operano in questa fascia i system integrator con vocazione fortemente tecnologica e specializzati nelle TLC e in sistemi affini: aziende non molto grandi, con personale fortemente specializzato, che talvolta lavora come subcontractor di terze parti in progetti di più ampia portata. Le aziende specializzate nella gestione di call center sono oggetto di un altro articolo. Restano le aziende che hanno come core business la gestione del contatto visto come esaudimento della richiesta e implementazione di informazioni per il Customer Relationship Management. Qui i leader in Italia sono Sap, Oracle, Microsoft, Salesforce, l’italiana Pat (attiva anche all’estero), ma ce ne sono tanti altri e le opzioni sono veramente tante, tra cui spicca quella di usare strumenti di desktop integration (come Cicero, Jacada, ecc.). Il trend è quello della multicanalità (vedere Desk.com) con gestione di ticket multicanale e con l’inclusione dei Social Media. È un settore in grande evoluzione, che trae enormi benefici dai notevoli progressi del trattamento automatico dei testi scritti, che consente interazioni automatiche o semiautomatiche.

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I trend del marketing nel 2013

Il consumatore multicanale, sempre connesso, multidevice: con questa figura si dovranno confrontare i marketer, che nei prossimi mesi saranno alle prese con Big Data, interazioni in real time e campagne sempre più personalizzate. Elisa Fontana

Siamo in quel periodo dell’anno in cui si fa un bilancio dei mesi appena trascorsi e si fanno previsioni sull’anno che inizierà. Partiamo dal 2012. Un anno sicuramente difficile per le imprese, che rispetto al 2009 hanno visto aumentare del 120% il costo medio di acquisizione di un nuovo cliente e contrarsi al contempo la domanda da parte dei clienti già acquisiti. Un anno difficile anche per il marketing: secondo i dati appena rilasciati dall’Osservatorio sulla Multicanalità del MIP, in Italia gli investimenti pubblicitari nel primo semestre del 2012 sono diminuiti del 9,7%, soprattutto a causa della contrazione dei budget di alcuni settori merceologici trainanti: alimentari, automotive, telecomunicazioni. Crollano i media tradizionali (Tv e stampa) mentre si registra una forte crescita degli investimenti pubblicitari su Internet (+11%).

I marketer spostano quindi sempre di più una fetta dei loro budget su iniziative digitali che ormai costituiscono oltre il 13% del media mix pubblicitario e consentono di raggiungere ottimi risultati in termini di efficienza: come si evince dal grafico, infatti, Internet si conferma essere il terzo canale, in termini di influenza sul processo d’acquisto, superando stampa e affissioni. Anche l’e-commerce è in forte crescita: oltre 14,4 milioni di italiani hanno effettuato almeno un acquisto online negli ultimi 6 mesi del 2012.

Com’è cambiato il marketing nel 2012? È diventato più multicanale, digitale, social e mobile. Esattamente come si è evoluto e come sta evolvendo il consumatore. “The customer is still king”: il cliente è infatti all’origine di ogni marketing trend, la sua evoluzione e quella del suo mondo determinano come i marketer sviluppano le loro azioni e strategie. Il consumatore è diventato più multicanale Nel 2012, i consumatori multicanali sono aumentati del 13% e rappresentano il 53% della popolazione italiana, 27,8 milioni di individui. Il marketing si trova di conseguenza a gestire una crescente complessità nella gestione di canali, informazioni e interazioni: la tendenza per il 2012 è stata infatti un tasso di crescita molto sostenuto per i software CRM di marketing automation che permettono di gestire più efficacemente la multicanalità e i dati generati. Sempre più consumatori italiani sono online 41.3 milioni hanno accesso a Internet da Pc o altri device, con un aumento del 6,6% rispetto al 2011.

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I mezzi che invogliano all’acquisto Fonte: Nielsen, Osservatorio Multicanalità 2012

I social network sono entrati a far parte della quotidianità delle persone 23 milioni di italiani sono su Facebook, Twitter è cresciuto del 111%, (3,6 milioni di utenti) Linkedin del 53.6% (2.5 milioni). I Social Media non possono più essere considerati un fenomeno di moda: la pubblicità su questi media sta entrando ufficialmente a far parte dei budget marketing delle grandi e medie imprese, ma anche delle piccole aziende, che intravedono l’opportunità di accedere in modo semplice e diretto a milioni di utenti.

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Gli italiani sono sempre più connessi a Internet tramite dispositivi mobile Sono 19,2 milioni gli utenti che nel 2012 hanno navigato tramite smartphone o tablet e questo rappresenta una grande opportunità per il Mobile Marketing. E anche per il Mobile Commerce, che nel 2012 è cresciuto del 142% rispetto al 2011, ma che rappresenta ancora soltanto il 2% sul totale dell’e-commerce. In specifici settori come quello dei viaggi, dello shopping e della ristorazione, i clienti acquisteranno sempre più frequentemente tramite dispositivo mobile. I Big Data Multicanalità, Internet, Social Network e dispositivi mobile comportano che le aziende abbiano a disposizione una quantità sempre maggiore di informazioni e dati sui loro clienti, acquisiti e potenziali. In particolare, secondo Idc le informazioni digitali stanno raddoppiando ogni due anni. Si sta affermando il fenomeno dei Big Data, ovvero di tutte quelle informazioni generate dalle interazioni con il consumatore, che ne determinano il profilo e la storia. Il marketing, facilitato dalla tecnologia, deve poter e saper sfruttare tali informazioni, che sono il vero patrimonio di ogni impresa. Ricordiamoci, infatti, che “ogni concorrente può copiare la nostra strategia di business, di marketing, le nostre scelte informatiche, il nostro vantaggio competitivo, ma… nessuno potrà copiare la nostra conoscenza e le relazioni con i nostri clienti”.

Come cambierà il marketing del 2013 Proviamo a riassumere le principali tendenze per il 2013 nei seguenti 6 macro trend essenziali: 1. Real time marketing: le campagne saranno sempre più realizzate in tempo reale, grazie all’ascolto delle conversazioni e delle interazioni sui Social Media con i consumatori e tra i consumatori. Da tale ascolto si elabora un’iniziativa di marketing tramite una piattaforma tecnologica in grado di creare una campagna che veicoli l’offerta e i contenuti più appropriati, in funzione del comportamento specifico di ogni utente. 2. Utilizzo dei Big Data da parte dei marketer per azioni sempre più personalizzate sul comportamento individuale del singolo. Il marketing del futuro non utilizzerà più i dati per sviluppare messaggi promozionali e pubblicitari generici su segmenti di migliaia di contatti, ma lavorerà su migliaia di segmenti individuali cui fornire contenuti one-to-one, da rendere disponibili sui diversi canali. 3. Tablet, Mobile Payment e Mobile Marketing: nel mondo ci sono un miliardo di smartphone in circolazione che, secondo le previsioni, raddoppieranno nel 2015. Si prevede che nel 2014 la percentuale delle connessioni da mobile (smartphone e tablet) supererà quella degli accessi da Pc. Il mobile marketing dovrà fornire contenuti sempre più adatti a essere fruibili agevolmente anche da dispositivi mobili. Il Mobile Payment rappresenta poi un’opportunità per integrare i dispositivi mobile in maniera sempre più radicata nella quotidianità dei consumatori.

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4. Content Marketing: “Content marketing is the new advertising”, il contenuto assume un’importanza sempre più strategica nella comunicazione con il target. Produrre contenuti informativi in grado di emergere dal mare magnum di ciò che si trova sul web per coinvolgere il consumatore/ buyer è il nuovo imperativo del marketing e influisce positivamente sul SEO. Articoli, blog, video, webinar, social media, newsletter, ebook, sono tutti strumenti fondamentali per influenzare il processo di acquisto fornendo contenuti di qualità. 5. I Social Media e i dati generati tramite i canali Social saranno sempre più integrati con gli altri strumenti del marketing mix e con il CRM delle aziende. Questa integrazione diventerà fondamentale per poter raggiungere i consumatori con messaggi pertinenti al loro comportamento social e in tempo reale. 6. Cloud e piattaforme di Social CRM: se finora i software di marketing erano soprattutto incentrati sull’e-mail marketing e la marketing automation, il prossimo anno vedrà l’espansione delle tecnologie di social CRM. Il diffondersi del cloud faciliterà poi ulteriormente l’accesso alle tecnologie anche per le aziende di piccola e media dimensione. Ma allora, come orientarsi tra tutti questi cambiamenti, ognuno dei quali impatta significativamente sui budget delle aziende ma anche sulle scelte strategiche, organizzative e tecnologiche? Occorre innanzitutto comprendere come sono posizionati la propria azienda e il proprio settore rispetto ai principali trend. È poi importante valutare le aree critiche e le opportunità, definire i propri bisogni e fissare delle priorità. Il piano di marketing dovrà essere coerente con gli obiettivi di business, con i budget a disposizione, con le competenze delle risorse disponibili e con gli strumenti e la tecnologia a propria disposizione. Come diceva Jack Welch, ex CEO di General Eletric: “Cambia prima di essere costretto a farlo” Un buon marketing 2013 a tutti!

Elisa Fontana, Amministratore Delegato C-Direct Consulting Srl, si occupa di CRM, Social CRM, Programmi Loyalty, Marketing Relazionale, Lead Management, Customer Experience e Brand Positioning. È docente di corsi di formazione organizzati sia presso enti di formazione che direttamente presso le aziende.

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I Social Media? Non sono solo Facebook … ma anche Pinterest, Foursquare, Google+. Viaggio alla scoperta dei mondi social di tipo orizzontale ma anche verticale, ossia capaci di interessare gli utenti per categorie, fruizione e contenuti. Roberto Grossi

Alzi la mano chi non ha mai sentito parlare di Facebook almeno una volta. Il social network lanciato da Marck Zuckerberg è diventato talmente popolare da essere ormai presente nel parlato quotidiano, nelle trasmissioni televisive, nella pubblicità e, in generale, nelle abitudini di molti navigatori online italiani. Questo fenomeno ha reso popolare l’utilizzo dei Social Media, ma ha anche contribuito a creare l’errata sensazione che i social network siano solo Facebook e pochi altri. Circoscrivere a pochi nomi (Facebook, Youtube, Twitter, Linkedin) il mondo dei social network vuol dire non aver compreso la reale portata e l’enorme diffusione di tali strumenti. Il mondo dei Social Media è diventato molto complesso, sia per il modo in cui ha cambiato le relazioni personali e professionali, sia per il numero elevato di soluzioni e servizi a nostra disposizione. Il tentativo di classificazione dei Social Media fatto da Brian Solis e dalla società Jess3 riporta infatti ben 32 categorie diverse, come si può vedere nella figura a fianco 1. Accanto ai social network generalisti, ovvero di tipo “orizzontale”, risulta disponibile una pletora di strumenti che indirizzando precise esigenze si sono ritagliati specifiche nicchie di mercato (social network “verticali”): geolocalizzazione, social content curation, enterprise social networks, social CRM, comunità musicali e molte altre ancora che, per ragioni di spazio, non è possibile elencare in questo articolo. Vogliamo comunque passare in rapida rassegna tre strumenti, Pinterest, Foursquare e Google+, che hanno delle caratteristiche particolarmente interessanti e un bacino di utenza in forte crescita.

Pinterest Pinterest è sicuramente il Social Network emergente di cui si è parlato di più in Rete durante il 2012. I pareri sulla crescita sono discordanti: se all’inizio di aprile un rapporto della società di ricerca Hitwise lo inseriva al terzo posto tra i social network per numero complessivo di visitatori, uno studio di Comscore ne evidenziava invece già qualche giorno dopo il calo del trend di crescita. Classico esempio di social network “verticale”, Pinterest deve il suo successo alla capacità di essersi ritagliato uno spazio nel mondo degli strumenti di social content curation in virtù del suo forte impatto visuale. Su questo social network, il cui nome deriva dalla fusione di due parole, pin (attaccare con uno spillo, appuntare) e 8

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Classificazione dei Social Network (The Conversation Prism)

interest (interesse), gli utenti possono postare immagini o video su bacheche virtuali attraverso un apposito pulsante. In altre parole si può immaginare Pinterest come un’enorme bacheca online di immagini interessanti, dove ognuno può condividere immagini proprie o reperite sul web. Le modalità di interazione sono quelle tipiche di un social network: accedendo a Pinterest si ha la possibilità di sfogliare le immagini di altri utenti, di commentarle, di copiarle sulla propria bacheca (repin), esprimere il proprio gradimento (pulsante Like), condividerle con i propri contatti (via e-mail, Twitter, Facebook, ecc.) o inserirle su un blog. A livello individuale, Pinterest consente di rappresentare in maniera esteticamente piacevole un riepilogo delle proprie attività e interessi (presenza web, eventi, articoli, ecc.). Meno scontata è l’adozione in ambito aziendale di questo strumento; sotto questo aspetto potrebbe essere di aiuto porsi alcune domande: 1. Quali prodotti/servizi offre la vostra azienda? Pinterest è particolarmente adatto ad aziende con un business a forte CMI Customer Management Insights


impatto visivo ed estetico (esempio, architettura, disegno di interni, ecc.). 2. Avete già una presenza sul web? Per poter trarre beneficio da Pinterest risulta consigliabile avere un sito o un blog dove i visitatori possono fare domande sui vostri prodotti o servizi ed eventualmente acquistarli. Come in qualsiasi attività di marketing online, quello che conta è la conversione dei visitatori in contatti qualificati! 3. Avete delle foto di qualità dei vostri prodotti? Vista la caratteristica prettamente visuale di Pinterest, è importante essere in grado di produrre delle foto di qualità e con discreta regolarità e frequenza, in modo da fidelizzare i visitatori delle vostre bacheche. Questi sono solo alcuni dei possibili quesiti, ma dovrebbero essere sufficienti per farvi comprendere se Pinterest faccia proprio al caso vostro o se non sia meglio focalizzare la vostra attenzione e le vostre risorse su qualche altro social network.

Foursquare Foursquare è un servizio che, a metà tra un gioco e un social network, personalizza la presenza delle aziende sui Social Media portandola in un ambito “locale”. Si tratta quindi di un approccio particolarmente indicato per il marketing delle attività commerciali di piccola e media dimensione. Sono molti i possibili ambiti di utilizzo di Foursquare: gli utenti del servizio hanno a disposizione una mappa geografica e al tempo stesso una guida di riferimento per trovare suggerimenti su dove andare, cosa comprare, cosa fare, ecc. Foursquare è un’applicazione geo-referenziata (e al tempo stesso un Social Media) che funziona praticamente come un’enorme bacheca aggiornata in tempo reale. L’applicazione permette agli utenti di effettuare, tramite il proprio smartphone dotato di GPS, il “check-in” in prossimità di un esercizio commerciale e di beneficiare di tutta una serie di informazioni precedentemente inserite da altri utenti di Foursquare (cosa fare, consigli, ecc.). L’utente può guadagnare “badge” e sconti sulla base della frequenza delle visite e dei relativi punti guadagnati, nonché approvare richieste di amicizia e aggiornare il proprio “status” come su altri Social Media. Ci sono molti modi in cui un esercizio commerciale può trarre vantaggio da Foursquare. I ritorni più immediati derivano ovviamente dall’aumento dei ricavi originati dall’incremento della frequenza delle visite dei clienti, a loro volta motivati a privilegiare un determinato esercizio commerciale per ottenere incentivi od offerte speciali. Acquisire punti, ottenere “badge” e guadagnare il titolo di “Sindaco” aumenta considerevolmente le possibilità di ottenere sconti, e incentivi e chiunque sia familiare con il marketing per le piccole e medie imprese comprenderà facilmente come questi vengano ripagati dall’afflusso di clienti attratti dal prezzo ridotto (anche se in qualche modo sussidiati dall’esercente). Guardiamo ora a Foursquare dal punto di vista dell’esercente. Foursquare attribuisce punti agli utenti che visitano un determinato “luogo”, contribuendo a compilare una speciale classifica (un meccanismo basato sui punti è generalmente indicato come un ottimo strumento motivazionale, in quanto fa appello all’innato spirito di competizione che tutti noi abbiamo). Gli utenti saranno così motivati a visitare frewww.cmimagazine.it

quentemente gli esercizi commerciali registrati su Foursquare in modo da guadagnare punti, analogamente a quanto accade con i giochi interattivi sui vari Social Media. Ma esistono anche altri incentivi. Ad esempio, le città vengono classificate in base al numero di utenti Foursquare che risiedono in una determinata area e pertanto alcune aziende e organizzazioni non-profit collaborano con Foursquare effettuando donazioni sulla base della crescita del suo bacino di utenza. Foursquare è uno dei pochi Social Media orientato alla promozione dello Small Business attraverso l’incentivo delle relazioni sociali e del networking tra gli individui. Ad esempio, una persona che effettua il check-in presso un ristorante viene immediatamente informata del numero di Amici Foursquare presenti nel locale o nelle vicinanze: avendo quindi l’opportunità di invitare l’amico/a ad unirsi a lui per il pranzo, genererà un immediato guadagno per l’esercente. Ulteriori vantaggi derivano inoltre dai commenti dei clienti, dal momento che gli utenti Foursquare hanno la possibilità di fornire recensioni o suggerimenti agli Amici. Anche questo servizio offre la funzionalità di business page, uno spazio online che consente a un esercizio commerciale di essere “visitato” dagli utenti di Foursquare anche in assenza di un vero e proprio ufficio o negozio. Le business page consentono alle aziende di adottare le strategie “tradizionali” di marketing online, pubblicando annunci promozionali o consigli che risulteranno visibili a tutti gli Amici della pagina, analogamente a quanto avviene su altri Social Media.

Google+ Concludiamo questa rassegna con un rapido cenno a un social network di tipo orizzontale: Google Plus, lanciato da Google nel luglio del 2011. Si tratta del terzo ingresso del colosso di Mountain View nel mondo dei social, dopo gli insuccessi dei servizi Wave e Buzz. È senza dubbio un progetto altamente strategico per Google e come tale sta beneficiando di un maggiore impiego di risorse e investimenti rispetto ai precedenti. Google Plus ha molti punti in comune con Facebook, il suo principale concorrente, offrendo agli utenti le classiche funzioni delle community online: condivisione di messaggi, foto, video all’interno della propria cerchia di amici, possibilità di relazionarsi con altri utenti, commentare notizie, esprimere il proprio gradimento tramite il pulsante +1, attivare chat video, ecc. È di questi giorni il lancio della nuova funzionalità per la creazione e gestione di Community, strumento che può fornire una valida alternativa ai Gruppi del social network professionale Linkedin e ai Gruppi di Facebook. Una versione di maggiori dimensioni può essere visualizzata all’indirizzo http://www.theconversationprism.com/ 1

Roberto Grossi Titolare di Social Media Easy, ha una pluriennale esperienza nel marketing di prodotti e servizi ad alto contenuto tecnologico. Si occupa di consulenza e formazione alle aziende su web e social media marketing DICEMBRE 2012

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L’ABC dei contact center

Il percorso formativo nel call center Investimento indispensabile per la riuscita di un progetto e per motivare gli operatori. Chiara Munzi

Nel mese di novembre abbiamo iniziato a parlare della formazione come di un percorso obbligato e necessario tanto per l’azienda quanto per le risorse che vengono inserite. La formazione, infatti, è un momento cruciale, perché all’interno dell’aula è possibile conoscersi reciprocamente. In un percorso formativo ben costruito, le risorse conosceranno l’azienda, le sue caratteristiche, ma avranno anche il tempo di ambientarsi e di conoscere il prodotto o servizio che dovranno poi vendere al telefono, oppure proporre ai clienti. Per l’azienda, la formazione è un momento altrettanto importante, dato che non solo le fornisce il modo di conoscere e valutare il candidato, ma allo stesso modo le consente di farsi conoscere e dà modo alle risorse interne di effettuare anche delle attività diverse da quelle che abitualmente svolgono.

Chi insegna cosa? Partiamo proprio da questo punto: quali sono le risorse che devono essere coinvolte nel processo di formazione? Dei formatori specializzati, oppure i responsabili che gestiranno le risorse dopo il percorso formativo? La risposta a questa domanda dipende dall’organizzazione aziendale e in generale dalla grandezza e dall’organigramma della stessa. In un’azienda di grandi dimensioni è presente un nucleo di formatori che generalmente programma, pianifica e svolge la formazione “base” all’interno dell’aula. Per formazione base intendiamo la presentazione aziendale, ma anche la formazione relativa alla comunicazione telefonica e alla vendita. In un’azienda di grandi dimensioni, poi, la formazione specifica sull’attività, a livello di sistemi informativi, viene in genere delegata o ai responsabili del progetto, o alla direzione dei sistemi informativi. Nelle aziende di piccole dimensioni il processo è completamente diverso, infatti all’interno di queste strutture non sono presenti delle figure cosi specializzate che gestiscono solo la formazione: l’aula viene gestita dai responsabili delle varie commesse o dalle risorse che si occupano della selezione. In ogni caso, la scelta delle risorse che gestiranno l’aula è essenziale, perché gestire un’aula - soprattutto composta da risorse che non conoscono l’azienda - non è affatto facile.

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I docenti devono essere ben formati, devono riuscire a interpretare i feedback che l’aula invia loro, devono saper capire quali sono le difficoltà dell’aula, i momenti in cui l’attenzione cala e soprattutto devono riuscire a gestire correttamente le loro energie per dare il meglio. Ricordiamoci che un percorso di formazione, se ben strutturato, è un processo molto complesso, lungo e delicato, in cui l’azienda investe molto danaro, quindi il ritorno deve essere assolutamente tangibile. Un altro aspetto da non sottovalutare è la soddisfazione del docente: una risorsa che gestisce, oltre alla sua attività, anche il percorso formativo dei neo assunti, deve essere messa nelle condizioni di vivere questo percorso come un momento di crescita per se stessa e per l’azienda e quindi deve essere anche supportata in questo percorso. Poniamo di essere nella seconda situazione, ovvero un’azienda di piccole e medie dimensione, dove l’ufficio delle risorse umane è composto principalmente da personale amministrativo e da risorse che si occupano della selezione del personale: dobbiamo necessariamente decidere di affidare il percorso alle risorse che si occuperanno del personale che stiamo inserendo. Quello che sto cercando di dire che è essenziale coinvolgere anche i supervisori o i team leader, che si occuperanno del gruppo che abbiamo appena assunto. Questo avrà un duplice aspetto positivo: 1. Responsabilizzare e migliorare anche la qualità della vita professionale dei nostri responsabili, perché riusciremo a coinvolgerli in processo di crescita e di job rotation. 2. Permettere al gruppo di conoscere i propri responsabili e quindi di vivere l’inserimento in modo graduale.

La vita dell’aula Il secondo punto che abbiamo anticipato nell’articolo dello scorso numero è relativo all’aula e al materiale che dobbiamo preparare per effettuare un percorso di formazione efficace e anche molto professionale. Questo sembra banale, ma in realtà non lo è, dato che anche l’aula e il materiale che forniremo ai nostri partecipanti parlano dell’azienda e dell’attenzione che ha dedicato a costruire questo percorso formativo.

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Partiamo dall’aula: questa deve essere adeguata, in grado di accogliere comodamente, anche per otto ore, le risorse che saranno coinvolte nel percorso formativo; deve essere preferibilmente in grado di avere la disposizione dei tavoli a ferro di cavallo, per facilitare l’interazione tra i partecipanti e infine deve avere dei supporti informatici che permettano la proiezione del materiale formativo, nonché le esercitazioni informatiche necessarie per poter iniziare una nuova attività lavorativa. Altro aspetto fondamentale è il materiale di supporto che deve essere preparato e consegnato ai nostri partecipanti. È importante a ogni fine giornata consegnare alle risorse coinvolte la sintesi, in qualsiasi formato, di quello che è stato mostrato in aula, che sia un corso di comunicazione o la formazione tecnica sul sistema informatico o sul prodotto. Questo aspetto è fondamentale per garantire a tutti la possibilità di rivedere quanto è stato trattato in aula e per consegnare, a fine corso, tutto il materiale necessario per l’avviamento del nostro neo assunto. Non sono cosa banale né il contenuto, né la sostanza di quello che viene consegnato alle nostre risorse, perché anche questo parla della professionalità della nostra azienda e del nostro modo di affrontare il percorso formativo. Ricordiamoci che se diamo serietà possiamo pretendere serietà.

Di cosa parliamo? In che modo, per quanto? Stabiliti i partecipanti, stabiliti i docenti che si avvicenderanno in aula, le location dei corsi e il materiale che sarà erogato, dobbiamo soffermarci sul contenuto e sull’avvicendamento delle tematiche all’interno delcorso stesso: in sostanza, quanto deve durare il percorso formativo, ma anche e soprattutto, quali argomenti dovranno essere trattati? Partiamo dalla prima domanda. Per esperienza, un percorso formativo adeguato non può essere inferiore ai 15 giorni lavorativi, questo sempre se le risorse che stiamo formando sono esterne, quindi non hanno mai lavorato con noi, con i nostri sistemi informativi e non conoscono i nostri prodotti. Un processo di formazione si sviluppa progettandolo a livello macro e micro. Cosa si intende, però, per macro e micro progettazione? La prima cosa da fare è dettagliare a livello macroscopico le giornate e come queste saranno scandite: che cosa vogliamo trattare in aula il primo giorno? Che cosa il secondo? Che cosa faremo durante la mattinata del primo giorno? Quanto durerà la presentazione dell’azienda? Una volta che daremo risposte a queste domande, avremo effettuato una macro progettazione del nostro corso di formazione. Una volta stabilite le linee guida, dobbiamo passare a pianificare la micro progettazione e quindi dettagliarla argomento per argomento. Questo programma deve essere condiviso e consegnato anche ai nostri partecipanti, con l’obiettivo di dimostrare anche la nostra professionalità.

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Durante la prima giornata, pare evidente come sia necessario effettuare una presentazione aziendale, magari organizzata direttamente dal responsabile della selezione o del personale, ma anche, in caso di piccole aziende, dell’amministratore delegato. Obiettivo della presentazione è quello di farci conoscere e contestualizzare l’azienda, ma anche di introdurre il corso e dare qualche punto di riferimento, in sostanza un’indicazione. Lo step successivo potrebbe essere la presentazione del progetto, ovvero: perché siamo stati assunti? Quale progetto seguiremo? Con quale inizieremo a lavorare? Che tipo di attività dovremmo fare? La sta facendo qualcuno in azienda, oppure inizieremo direttamente noi? Rispondere a queste domande significa tranquillizzare le nostre risorse e rendere loro già chiari gli obiettivi e gli impegni che dovranno assumere. Una volta effettuata questa presentazione, per degli operatori, sia di inbound che di outbound, è necessario affrontare il tema della comunicazione. Quanti degli operatori con cui ogni giorno ci relazioniamo su diversi servizi sono formati su questo tema? Quanto è importante essere formati sul tema della comunicazione, e della comunicazione telefonica? Quanto la formazione su questi temi rende un operatore e un servizio migliori? La risposta è facilmente deducibile: formare un operatore su questi temi è essenziale, per due motivi: 1. La formazione costante e continua porta necessariamente i suoi frutti. 2. Un operatore che si sente accompagnato dall’azienda nel suo percorso formativo renderà meglio nel suo lavoro, perché crederà maggiormente nel suo lavoro. Ho la fortuna di lavorare da oltre dieci anni nel settore dei call center, praticamente in tutti i ruoli, da quello di operatore a quello di call center manager e posso dirvi che il mondo dei call center, ad oggi, nonostante sia scarsamente considerato, è uno degli ambiti che al momento può dare maggiore occupazione. Quindi fare formazione significa investire nelle risorse e dar loro l’opportunità di crescere, di cambiare il modo di gestire la propria attività, quindi anche la relazione con il cliente.

Chiara Munzi durante gli studi in Scienze della Comunicazione ha iniziato il suo percorso lavorativo all’interno di un call center di vendita di prodotti alimentari surgelati, lavorando sia nel ruolo di operatrice, poi team leader e successivamente di supervisore. È docente in PNL e comunicazione. e attualmente lavora presso un’azienda di trasporto ferroviario.

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News

Customer experience sempre più importante Una ricerca Oracle mette in luce che l’81% dei clienti è disposto a pagare di più per vivere un’esperienza d’acquisto migliore. La customer satisfaction non basta più, un’ulteriore conferma arriva dalla recente ricerca commissionata da Oracle per misurare il ruolo della customer experience nella differenziazione dei marchi e nella crescita delle vendite. Condotto a livello europeo, lo studio è stato realizzato nel giugno 2012 dalla società di ricerche indipendente Loudhouse coinvolgendo 1400 consumatori che hanno fatto acquisti online (50% donne, 50% uomini) e che sono entrati in contatto con un dipartimento di customer service nei 12 mesi precedenti. La ricerca ha rivelato che nell’81% dei casi i consumatori/acquirenti sarebbe-

ro disposti anche a pagare di più pur di vivere un’esperienza di acquisto qualitativamente migliore (89% in Italia). E circa la metà (44%) si è detta pronta a pagare un sovrapprezzo di oltre il 5% (il 32% in Italia). Gli elementi che influiscono maggiormente sull’inclinazione dei clienti a spendere di più per un brand sono da un lato il miglioramento della customer experience in generale (40% della totalità del campione, 30% dei rispondenti italiani) e dall’altro la possibilità di accedere rapidamente alle informazioni e di rivolgere domande all’azienda (35% della totalità del campione,

Non so 3%

Dovrebbe esserci uno sforzo maggiore quando si tratta di prodotti costosi

15% Lo sforzo dovrebbe essere invariato, a prescindere dal valore del prodotto

8%

Dovrebbe esserci uno sforzo maggiore quando si tratta di prodotti poco costosi

74%

44% degli intervistati italiani). “L’analisi ha messo in luce una realtà in particolare: il fatto che garantire una customer experience ottimale contribuisca a incrementare i profitti e a fidelizzare nuovi clienti sottraendoli ai concorrenti” commenta Claudio Bastia, Country Leader Applications di Oracle Italia. “Creare un’esperienza coerente e connessa che abbracci tutti i punti di contatto con il cliente, inclusi i sempre più rilevanti canali social, permette alle imprese di differenziarsi nettamente sul mercato costruendo un capitale di brand che non ha prezzo. È fondamentale che le aziende garantiscano sistemi di supporto alla customer experience in grado di soddisfare i livelli richiesti dai clienti e di garantire la massima semplicità e immediatezza possibili nei meccanismi di interazione. È questa la chiave per aggiudicarsi nuovi clienti da un lato e fidelizzare nel lungo termine quelli esistenti dall’altro”. Sono cinque i punti salienti messi in luce dalla ricerca che possono essere sfruttati con successo dalle aziende che vogliono migliorare la customer experience dei loro clienti.

Catturare clienti Domanda: Ritiene che lo sforzo del customer service debba presentare differenze a seconda del costo del prodotto?

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Una customer experience soddisfacente è determinante per proteggere e garantire i canali già redditizi.

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Capacità di risolvere il problema nell'ambito di un'unica conversazione

84%

Evadere tutte le email entro 24 ore

58%

ll cliente non deve ripetersi o rispiegare il problema

58% 57%

L'addetto deve poter accedere in tempo reale allo storico degli acquisti Facile comprensione telefonica con gli addetti

51% 44%

ll cliente non deve essere trasferito telefonicamente a un altro referente

40%

ll cliente non deve essere messo in attesa

33%

ll cliente non deve essere costretto a passare da un canale a un altro Gestione delle richieste tramite chat online del sito web

20% 19%

Referenti che aiutano il cliente che lascia commenti negativi online

18%

I referenti devono essere premiati nei casi di soddisfazione del cliente

Richieste evase attraverso i social media (es. Facebook o Twitter)

10%

Altro

1% 2%

Nessuna delle precedenti

Domanda: Pensando alla customer experience ideale, quali sono le cinque priorità che indicherebbe tra quelle elencate?

Il 70% degli intervistati ha smesso di acquistare un determinato brand dopo un’esperienza insoddisfacente (62% in Italia). Un altro dato di interesse è che il 92% di essi si è subito rivolto a un brand concorrente (94% in Italia). I clienti sempre soddisfatti della propria interazione con il Customer Service si limitano a meno di un quarto (22%, in Italia il 20%); un dato che fornisce ai brand un’opportunità evidente in termini di miglioramento del customer service al fine di strappare ulteriore market share alla concorrenza.

Cinque mosse vincenti L’analisi ha evidenziato le mosse che le imprese devono intraprendere per beneficiare delle nuove opportunità offerte dalla customer experience. Gli intervistati hanno elencato i cinque principali cambiamenti che li motiverebbero a spendere di più: 1 miglioramento della customer experience in generale; 2 garanzia di poter rivolgere agevolmente domande e di poter avere informazioni con facilità prima di effettuare un acquisto; 3 adozione di policy che facilitino la restituzione dei prodotti; 4 miglioramento dell’usabilità e delle funzioni di ricerca del sito web; 5 maggiore personalizzazione del-

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l’esperienza di acquisto per i clienti.

Semplicità prima di tutto L’82% degli intervistati descrive le proprie esperienze come eccessivamente complesse (85% in Italia), suggerendo che la fedeltà a un marchio sia strettamente legata alla semplicità di comunicazione. I clienti hanno confermato di aver dovuto utilizzare modalità di contatto diverse in caso di problemi (26%, in Italia 27%) e di averle dovute utilizzare più volte (24%, in Italia 25%), dati che provano la difficoltà di dialogare con il customer service. Sono indicazioni utili per le aziende che devono pertanto focalizzarsi su interazioni e comunicazioni il più possibile semplici e dirette.

Social media sottoutilizzati Secondo lo studio, inoltre, molte imprese non starebbero sfruttando al meglio nemmeno le opportunità di gestione della customer experience generate dai social media; solo il 46% dei clienti riferisce infatti di aver ricevuto un feedback dopo aver postato un commento. Il fatto stesso di ricevere attenzione da parte dell’azienda sui social media può ottenere un effetto positivo sul consumatore. A fronte di una risposta da parte dell’organizzazione a un proprio post sui social media, infatti, il 27% dei con-

sumatori si è sentito gratificato, il 9% ha reagito postando un commento positivo sull’organizzazione, il 6% è divenuto un cliente fedele, acquistando più prodotti o servizi e il 6% di intervistati ha cancellato il post negativo originario. Non bisogna però in ogni caso sottovalutare il tipo di risposta che si fornisce al cliente: il 29% di essi, infatti, si è indispettito nel momento in cui la risposta ricevuta non ha portato alla risoluzione del problema.

Il passaparola negativo L’importanza del ruolo che giocano oggi i social media nella relazione fra azienda e clienti emerge anche dal fatto che, a fronte di una interazione poco soddisfacente con il Customer Service, sono numerosi i consumatori che riversano la loro frustrazione sul web: il 44% dell’intero campione, percentuale che sale al 48% nella fascia d’età fra i 35 e i 54 anni e al 54% fra i consumatori d’età compresa fra i 18 e i 34 anni. Il social network più utilizzato in questo senso è Facebook (26%); seguono i forum (16%), i blog (9%) e Twitter (6%). Questi dati sono ancor più significativi se si considera che i fattori che sembrano maggiormente influenzare le decisioni d’acquisto sono in primo luogo il prezzo (56%, 52% in Italia) e in seconda battuta proprio le review dei consumatori (47%, 52% in Italia).

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Leggi e norme Pratiche commerciali scorrette, si muove l’UE Stop alle truffe telematiche all’interno dell’Unione Europea. L’intenzione del legislatore è quella di rinforzare la direttiva 2006/114/CE, per fare in modo che aziende e privati non cadano vittima di veri e propri raggiri che passano attraverso pubblicità ingannevole, telemarketing, siti ed e-mail. Complice un po’ di disattenzione, il rischio è quello di stipulare contratti onerosi, fuori dalle logiche del mercato. Per far sì che le regole vengano rispettate, sono in fase di studio sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive in caso di infrazione. Il giro di vite riguarderà anche il controllo del rispetto delle norme contro le pratiche di commercializzazione ingannevoli per i casi transfrontalieri.

Ricerche Unified Communication & Collaboration, il cammino deve proseguire Cosa sono le soluzioni di Unified Communication & Collaboration? Quelle che aiutano i dipendenti, i partner e i clienti a interagire in maniera intelligente, consentendo alle informazioni di essere condivise e alle persone di lavorare in modo integrato e collaborativo. Queste soluzioni sono ben diffuse tra le grandi aziende, con un tasso di penetrazione del 95%, ma faticano a insediarsi nelle aziende del segmento Small (penetrazione del 31%). Secondo la ricerca dell’Osservatorio “Unified Communication & Collaboration” della School of Management del Politecnico di Milano, comunque, l’utilizzo di questi facilitatori del business non è completo. A essere usati sono soprattutto sistemi integrati di posta elettronica, audio e videoconferenza, infrastruttura telefonica su Ip. Sap e Social Media Today misurano l’engagement Le aziende ci stanno provando, alcune anche con entusiasmo, a posizionarsi in maniera corretta sui social media, per fornire assistenza ai clienti. Ma,

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stando alla ricerca “The Social Customer Engagement Index: Results, Analysis and Perspectives” realizzata in collaborazione tra Sap e Social Media Today, pare che – contrariamente a quanto affermato dagli esperti di marketing negli ultimi mesi – i clienti non siano poi così propensi a usare questo canale per il customer service. Per quasi la metà delle imprese intervistate, infatti, la gestione delle richieste dei consumatori tramite social media è pari al 5% del totale. Resta da capire che genere di servizio queste aziende siano realmente in grado di proporre on line, dato che il consumatore è nel frattempo diventato molto esigente, da questo punto di vista. AIDiM, Anved, eCircle: social non business I canali social sono considerati utili per aprire un dialogo con i clienti e ricevere informazioni sulla percezione di brand e prodotti, ma ancora non sono in atto vere strategie per un uso efficace che si trasformi in opportunità di business. Questo è quanto rileva un’indagine condotta da AIDiM, Anved ed eCircle. Il 75% degli interpellati usa Facebook, Twitter e blog, e il dato arriva quasi a 100 in caso di aziende di e-commerce. Sempre il 75% non ha però un’idea chiara dell’uso dello strumento, di conseguenza non ha obiettivi stringenti né quantitativi da raggiungere. La pianificazione delle campagne pubblicitarie sui social è appannaggio di un’azienda su tre. E chi si occupa, all’interno dell’azienda, di gestire questi nuovi canali? Nel 54% dei casi è presente una risorsa interna dedicata (ma solo il 58% aggiorna con regolarità il proprio profilo…).

Aziende Amazon, nuovo customer service a Cagliari Amazon ha scelto la Sardegna per insediare un nuovo centro di customer service che, stando ai programmi dell’azienda, dovrebbe generare, nei prossimi cinque anni, 500 posti di lavoro (sia a tempo indeterminato che determinato). La terza apertura in Ita-

lia, dopo quella di Castel San Giovanni (Pc) e Milano, vedrà il personale impegnato a gestire le richieste dei clienti del sito, sia attraverso risposte telefoniche che via mail. L’ampliamento del customer service è conseguenza della politica aziendale, che sta parallelamente ampliando l’offerta di prodotti, che comprendono oggi, oltre ai libri, articoli per l’illuminazione, giocattoli, tecnologia e contenuti digitali.

Esperienze Buon customer service: assicurato felice Meno sforzo fa l’assicurato nel gestire un sinistro, più è felice e soddisfatto. Sono questi i risultati emersi da un approccio tenuto a partire dal gennaio 2010 dal player assicurativo Genworth, applicato alla gestione dei sinistri relativi all’erogazione delle prestazioni in materia di prodotti assicurativi di protezione del tenore di vita, e basato su tre capisaldi: chiarezza (nella definizione delle aspettative e nel feedback che si riceve da parte dell’assicurato), velocità (nel recepire le richieste degli assicurati) e riduzione degli sforzi a carico del cliente. Questo nuovo programma di customer experience ha ridotto il numero delle chiamate per sinistro, così come le attività di follow up collegate alla gestione dei sinistri.

Soluzioni Senza interazione non c’è customer experience Questo è il pensiero dell’azienda Orange, che sta affiancando ai propri prodotti per il call center funzionalità di comunicazione spinta, uso dei social network e dei dispositivi digitali. Il tutto nel cloud, modalità che consente un’ampia flessibilità. Tra i servizi proposti da Orange spiccano Network Interactive Voice Response (Ivr), una rete internazionale per gestire le chiamate (anche via cloud) che indirizzano in modo automatico le richieste ai call center, e il Taylormade Contact Center, servizi di contact center multicanale e modellati sulle necessità delle aziende.

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Ultimo in ordine di tempo è il Flexible Contact Center (Fcc), un altro contact center solution multicanale (voice, chat, mail, Im), con interfaccia unica e semplificata, basata sul cloud. Avanade e Sitecore insieme per il marketing digitale Una si occupa di contenuti digitali, l’altra di servizi it. Si alleano per offrire alle imprese un approccio semplificato e unificato al digital marketing e al web content management, tramite i principali canali marketing, tra cui Internet, e-mail, mobile e social. I servizi offerti dalla sinergia Sitecore-Avanade – disponibili sia in modalità on-premise che on-demand, tramite la piattaforma cloud Windows Azure – comprendono per esempio la possibilità di orchestrare le campagne in maniera più veloce, o di migliorare il customer engagement. Tra i client che già utilizzano i servizi offerti dalle due società spicca la compagnia aerea Livingstone Air, che utilizza una piattaforma digitale per vendere e promuovere servizi ai clienti finali.

Customer service avanzato per le Pmi L’azienda Genesys ha lanciato la soluzione Genesys One, rivolta alle Pmi, dedicata al contact management e volta a favorire una gestione professionale del customer service. Le aziende che implementano il prodotto riescono rapidamente ad avere sotto controllo i report e di conseguenza a modificare l’attività a seconda del mutare delle condizioni di business. La soluzione si basa sulla suite Genesys 8, che include la piattaforma SIP-based Genesys Customer Interaction Management; nel nostro Paese supporta fino a 150 agenti su un singolo server, includendo tutte le applicazioni in base alle esigenze di contact management del cliente.

ciare la sua prima applicazione di tipo transazionale collegata al Crm e innestata sulla piattaforma Hana: Sap 360 Customer. Il concetto portante è quello di “tempo reale”, ossia la possibilità di conoscere, dei clienti, informazioni in tempo reale, desideri compresi; di orchestrare interazioni sempre in tempo reale, differenziando l’offerta per ciascun cliente. Le informazioni in real time sono raccolte attraverso interazioni front-office, transazioni back-office e informazioni pubbliche rese disponibili sui social network.

La customer experience secondo Sap Anche i sistemi gestionali possono garantire un’esperienza interessante ai propri user, funzionale, in tempo reale e proiettata a nuovi business. È quanto promette Sap, nell’annun-

Si iscriva al convegno gratuito Customer Experience: la sfida multicanale del 21/2/13

Gli Speciali di CMI 2013 Ogni mese un argomento affrontato insieme alle aziende del settore. Una panoramica dell’offerta preceduta da un’analisi per avere un quadro di insieme dei temi all’ordine del giorno per chi si occupa di contact center e relazione con il cliente. gennaio/febbraio

Big Data

marzo

Unified Communication

aprile

Workforce Management (WFM)

maggio

Quality monitoring interno ed esterno

giugno

BPO e costi dell’outsourcing /cosourcing

luglio/agosto settembre ottobre novembre dicembre

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Analytics Nuovi canali e media Nuove interfacce vocali applicate ai contact center Knowledge Management Systems Tecnologie per la selezione, valutazione, coaching, formazione del personale nei contact center

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Guida alle aziende Soluzioni tecnologiche

Oggi, il contact center si distingue per il ricco contenuto di tecnologie anche molto innovative. Non considerando le tecnologie trasversali e abilitanti (middleware, sicurezza, data base, ecc.), si possono distinguere quattro categorie. Per ciascuna diamo una rapida panoramica di alcune tra le piĂš importanti aziende presenti in Italia, senza la pretesa di essere esaustivi, limitandoci alle soluzioni offerte al mercato italiano. Un elenco in evoluzione che verrĂ aggiornato in ogni numero.

Tecnologie per i contact center: sistemi telefonici, VoIP/SIP, CTI, ACD, IVR e speech recognition, messaging, code universali/work distribution, dialer, sistemi allinOne, speaker verification. Aastra Italia Acme Packet ADABUS Alcatel-Lucent Aspect

Applicazioni orientate al servizio: suite di CRM, customer service, vendite e marketing, help desk, recupero crediti, sale force automation, supporto a personale esterno e al dispatching, ERP, piattafome di predictive dialling integrate, BPA, applicazioni per unificare interfaccia su desktop. Altesys Altitude Aspect

Avaya

BMC Software

Cisco

Brainforce

Ellysse

Broad Vision

Ericsson

Cicero

Fonality

Computer Associates

Genesys IFM Infomaster Interactive Intelligence Interactive Media Labitech

Front Range IBM Inaz Indra Company Interactive Intelligence

Microsoft

Jacada

Mitel

Microsoft

Nec

Oracle

Nuance

PAT

Qumido

RightNow

Reitek

Sage CRM

Shoretel

Salesforce

Siemens

SAP

Siseco Smartdhome

Sistemi gestionali: registrazione audio dual channel delle telefonate, gestione prestazioni, analisi di testi, analisi del desktop, work force management system, speech analytics, quality monitoring, sondaggi e ascolto voce del cliente, elearning e coaching, selezione del personale, monitoraggio della customer experience. Aspect Autonomy Avaya Cisco Genesys IBM Interactive Intelligence Interactive Media InVision Software Labitech Mindbox Nice Nuance Oracle Pervoice Qlikview Reputation Manager SAP SAS Studio Zeta

Sugar CRM

Voxify

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Servizi e consulenza

In questa sezione rientrano i servizi di call center in outsourcing (consultare anche www.assocontact.it <http://www.assocontact.it> ), le società che svolgono ricerche di mercato e sondaggi di soddisfazione del cliente, le società che offrono servizi di consulenza e formazione nel settore del customer contact. Rientrano anche i system integrator o altri solution provider che offrono consulenza all’interno della loro soluzione, società di consulenza indipendente,società specializzate nella selezione del personale, società ed enti di formazione, enti per i fondi paritetici. Consulenza e system integration Sistemi di supporto: Gestione di basi di conoscenza, self service via web, scripting, scrittura di testi, chat/ IM, sms e texting, email response management system, collaboration, soluzioni per disabili/portatori di handicap, videocomunicazione in HD, tecnologie per interoperabilità IP e il collaudo delle tecnologie di contact center.

Outsourcer

Accenture

Call&Call Holding

C-Direct Consulting

Comdata

Indra

Networks Contacts

Vanguard Europe Communications

Visiant Contact Wave

Mobili, strumenti, accessori

Aspect

Il mondo dei contact center ha inoltre necessità di numerosi accessori e mobili studiati per un’appropriata ergonomia della postazione di lavoro. Qui trovate alcune delle società che offrono accessori, quali pannelli elettronici, ticker, cuffie, mobili per ufficio, impianti.

Autonomy Cisco eGain Genesys H-care

Mobili

IBM

Strumenti e accessori

Labitech LogMeIn

Colebrook Bosson Saunders

Digital-fax

Microsoft

Centrufficio

One direct

Oracle

La Mercanti

Sistel

RightNow

Lab System

Spectrum

SalesForce

Mastruzzi

Verint

Office Planet

Vivisimo

Styloffice Ufficio Design Italia

Su www.cmimagazine.it aggiornamenti continui www.cmimagazine.it

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Guida alle aziende Aspect Software Inc. www.aspect.com/ita Piazza del Popolo, 18 00187 Roma Tel. 06 367 12 401

Aspect è un provider a livello internazionale di soluzioni di contatto con i clienti. Sviluppa la relazione con i clienti grazie all’unione di software per la gestione dei contatti con i clienti e le piattaforme Microsoft. Aspect è riconosciuta da analisti a livello mondiale per le competenze maturate nel settore del workforce management, outbound dialling e inbound ACD routing. Per seguire Aspect su Twitter @AspectUC, per leggere i blog Aspect http://blogs.aspect.com

Ellysse Srl

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CMI Customer Management Insights


C-Direct Consulting Srl www.cdirectconsulting.it

C-Direct Consulting Srl è una giovane società di consulenza fondata con l’obiettivo di offrire alle Aziende servizi di consulenza e formazione per lo sviluppo di progetti e iniziative di CRM, Marketing Relazionale Multicanale, Programmi Loyalty, Lead Management, Social CRM e Customer Experience. Il team è costituito da professionisti con spiccate competenze e una lunga esperienza manageriale in primarie società multinazionali, in grado di offrire un concreto supporto ai propri Clienti da un punto di vista strategico, tattico e tecnologico. Social Media Easy http://www.socialmediaeasy.it Viale Colli Portuensi, 10 00151 Roma Tel. 06 452215417 Social Media Easy fornisce servizi di formazione, consulenza e realizzazione di soluzioni alle PMI che vogliano cogliere le opportunità offerte da web e social media marketing. Mette a disposizione dei clienti esperienza e professionalità per aiutare le imprese ad orientarsi nel mondo in continua evoluzione dei social media ed utilizzare in maniera efficace risorse e potenzialità. Per seguire il blog di Social Media Easy:
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Formazione nel Customer Contact Vanguard Communications ha un programma completo per le esigenze di manager; specialisti per la pianificazione e gestione del tempo reale; addetti al controllo qualità, ai sondaggi e al reporting; specialisti del supporto tecnico, team leader, supervisori e operatori

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Operations: Regolazione del livello di servizio; gestione dei © 2012Vanguard Communications Corporation

consulenti telefonici; miglioramento ai processi

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Strategie: Conduzione; visione e missione; strategie e comunicazione; budget e pianificazione Vanguard Communications Europe Via di Vigna Murata, 40 – 00143 Roma - Tel. (+39) 06 5483 2800 www.vanguard.it - www.formazione-callcenter.it - www.formazione-crm.it

www.cmimagazine.it

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Choosing the Right Metrics: Avoid 8 Common Mistakes there isn’t a standard set of metrics that will be appropriate for all centers, common pitfalls when selecting metrics have emerged. We’ve collected the following eight missteps from our recent archives, along with our experts’ advice for making smart choices.

Metrics Not Aligned with the Contact Center Vision

Customers � Be there when I want you � Solve my problem in one contact � Treat me as a valued customer Senior Management � Retain and grow customers � Retain and grow employees � Maximize profitability Frontline Staff � Work when I want � Fair treatment � Opportunities

The starting point for determining the most effective metrics—or for checking that what you’re currently measuring delivers value—is your center’s “There will typically be some sub-items under vision statement. Your center should have a vision each of these,” Klenke explains, “but it is best to statement that is specific to your operation and concentrate on no more than 10 metrics at a which supports the organization’s overall mission time. When there are only a few things to focus and business goals. The vision statement is what on at one time, the chances of achieving those you use to develop your short- and long-term goals increase dramatically.” objectives and the metrics to track your team’s progress. Using “Canned” Metrics It’s a critical component of strategic planning, and Reports yet the majority of contact centers do not have a Contact centers tend to focus on the metrics that vision statement, says Mike Desmarais, president are readily available and easy to measure versus and founder of SQM Group, and author of the those that impact customers. Using “canned” metnewly released book, First Call Resolution. “They rics typically translates into canned reports that might have KPIs for the call center, but without are not useful and are largely ignored. a specific vision, those KPIs would be question“Most of us churn out hundreds of ‘performance able and may not be the right metrics. It really data’ reports, providing information on volumes, comes down to two questions: 1) What is your handle times, adherence rates and the like at the call center’s primary purpose? and 2) Would your interval and agent level. What we may lack in the senior management agree with that purpose?” quality of report content, we readily make up for Editor’s note: To read about aligning organiza- with quantity,” says Service Agility’s Jay Minnucci. tional objectives with agent metrics, see “What’s “With all the data we have, the possibilities for on Your Agent Scorecard?” on page 10. reporting, make that communicating, are endless.” Minnucci points out that, while there are a Not Focused on great number of tools that exist to analyze and report on the data, they are not a requirement Key Stakeholders’ Needs Contact centers capture an abundance of metrics, to develop targeted reports. “Creating analytical, but more data doesn’t necessarily translate into action-oriented reports is more a function of desire, better insights. To determine the metrics that creativity and a comprehensive understanding of would provide the most useful information, The the business rather than the technology. The goal Call Center School’s Maggie Klenke and Penny of any form of communication is to deliver a Reynolds suggest focusing on your three key message with impact for the audience.” He offers stakeholder groups: customers, senior manage- the following three tips to keep in mind: ment and frontline staff. � The most accessible data is not “Look at metrics that supply you with critical information related to each stakeholder group,” necessarily the best data. � Analysis is what transforms a report from Reynolds says. “In other words, you have to think about the three main groups of people you need information into knowledge. � Every audience is different. to keep happy every single day and put measures in place to track how well you’re satisfying each group.” “When you accept these factors, you realize Klenke and Reynolds recommend establishing why those canned reports are unable to presmetrics and measures that solve the following top ent a message that is in any way memorable. 22 issues for each stakeholder group: Regardless of the technology in front of

PUBLISHER

Linda Harden

linda@contactcenterpipeline.com EDITOR

Susan Hash

susan@contactcenterpipeline.com

Gli articoli pubblicati da pagina 21 a pagina 37 sono estratti dal numero di ottobre e novembre di Contact Center Pipeline e sono pubblicati in esclusiva per l’Italia da CMI Customer Management Insights. La riproduzione totale o parziale degli articoli è vietata senza autorizzazione scritta dell’editore.

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ContactCenterPipeline.com November 2012 NOV 2012 [ CONTACT CENTER PIPELINE

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Feature Article | Choosing the Right Metrics: Avoid 8 Common Mistakes

you, if you want to make an impact, you will have to roll up your sleeves and design reports that will generate value for your audience.”

focused on customers’ needs—and yet, very often “In lieu of asking your customers, your workforce their top performance metrics have little correla- management reports will show you what they will tion to customer satisfaction and loyalty, accord- tolerate. If you pull service level and abandoning to Reynolds. In some cases, this stems from a ment data into a scatter diagram, you will see a The Customer Experience misperception of what matters to customers. For distinct pattern about your customers’ behavior instance, speed of answer is one metric that falls based on the differing service results. It makes Is Not Defined by the Customer Contact centers typically define the customer into this category. While it is a primary metric for sense that the longer someone has to wait for experience from the company’s point of view. many centers, she points out that studies have your center to answer their call, the more likely However, Desmarais points out that, while contact shown very little statistical correlation between they will choose to abandon. Knowing where centers do an effective job of using call monitor- incremental increases in speed of answer and that threshold moves through each change in ing and QA ratings to evaluate call quality from higher satisfaction. service increments enables you to make realistic an organizational perspective (e.g., adherence to “Generally, callers don’t make much of a decisions about increasing or decreasing your policies, accuracy, etc.), they are not effective at distinction whether the call is answered in 20 service goal. This same concept of measuring evaluating call quality from a “Moment of Truth” seconds vs. 30, 40 or 60 seconds,” Reynolds your customers’ patience levels with abandons customer experience perspective (i.e., greeting says, adding that most centers also don’t seem applies to average speed of answer.” the customer, caring about the customer and to put much thought into how they choose speed resolving the call). of answer goals. Customer Surveys “QA evaluators cannot accurately assess the Contact centers can apply a more structured Are Not Well Designed customer’s call center experience because it approach to setting service level goals by con- If you want to know what your customers think was not their experience; it was the customer’s ducting a customer patience study, says Tiffany of the service experience, ask them. Right? Over experience,” he says. “The customer needs to be LaReau, a certified workforce manager at Human the past decade, companies have increased the judge of their own experience.” Numbers, a firm that provides contracted fore- their attempts to do that, in many cases, by casting and scheduling services. overwhelming customers with surveys via the IVR, Metrics Have Little Impact “So many contact centers like the 80/30 email, web and, more recently, on mobile devices. service goal, but few have actually quizzed their But offering customers more ways to provide on Customer Satisfaction Most leaders consider their centers to be highly customers to see what they like,” LaReau explains. feedback doesn’t necessarily mean that companies are gathering data that is timely, accurate and actionable—especially when customer research projects are not well thought out. Survey design is a blend of art and science. It’s one part of a complex project that requires a sponsor, project team, adequate budget and expertise. “A customer feedback program is composed of a series of projects, and good project management skills should be exerted,” says Fred Van Bennekom, Founder and President of Great Brook, and author of Customer Surveying: A Guidebook for Service Managers. For instance, customer research projects often are doomed to fail because companies bypass the critical first step: to develop a statement of project objectives that answers the Who, What, When, Where, How and Why of the research project. If skipped, the result may be an unfocused survey and a lack of data, or data that isn’t structured to meet your needs. Editor’s note: For an in-depth look at common errors to avoid with customer feedback projects, see Fred Van Bennekom’s complete series on Customer Survey Research Mistakes published in Pipeline, www.contactcenterpipeline.com.

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Metrics Drive the Wrong Results Productivity metrics are important to keep costs in check, but be careful how they are used to drive agent performance. You can confuse agents with conflicting metrics and drive undesirable behaviors. Average handle time (AHT) is a perfect example. “AHT is a metric that has been much talked about and is a great example of the choices a call center leader needs to make,” says Larry Eiser, managing principal of Contact Center Insights LLC. “There has been a lot of debate as to whether AHT is important to manage. That is the wrong question. AHT is definitely important to manage. It is a key input to your staffing model— ideally by contact channel and call reason, as well as reflecting seasonal variations. The right question is how to manage AHT. There is no single metric that is more dangerous to include as an agent incentive measure. It can send the wrong message and drive the wrong behavior—and, for a segment of your CSRs, it will.” As the saying goes, “Be careful what you ask for, or measure.” Agents will try to meet the targets that you set. “The question then becomes how they meet it,” Eiser says. Trying to lower AHT by

setting agent performance targets or incentives may cut costs, but those gains are likely to be offset by decreases in FCR, customer satisfaction and revenue opportunities, if calls are shortchanged, he adds. Eiser adds that, while AHT targets should not be included in frontline performance objectives, setting AHT targets for managers or supervisors is a legitimate approach that can be effective for improving performance. “AHT is a metric that you will want to watch in the background,” he says. “Look for outliers and trends to target coaching efforts versus establishing fixed numeric targets.” Editor’s note: To learn more about setting objectives to improve agent performance, see “Setting Performance Objectives,” on page 1.

Focusing on Metrics That Agents Can’t Control “Many of the most common contact center metrics and numbers are about the center’s ‘availability’— not the impact on the customer experience,” says Tim Montgomery, founder and managing partner at Culture.Service.Growth. (CSG). While availability metrics like service

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Feature Article | Choosing the Right Metrics: Avoid 8 Common Mistakes

level, average speed of answer and abandon rate are important, “they don’t have much to do with quality or value from a customer standpoint,” he says. Montgomery points to world-class centers, which tend to focus more on customer-centric measures like first-contact resolution, quality, customer satisfaction and agent adherence to schedule—“these are the measures over which agents have direct control, and the ones that bring the contact center much closer to the customer— and vice versa,” he says. Eiser agrees, adding that there are two key criteria for deciding whether a given metric belongs in an agent incentive or scorecard. “First is the degree to which agents have control, or at least a strong degree of influence, over the metric,” he says. “Second is the degree to which the metric matters; i.e., is it an important driver of higher level center and organizational measures, such as satisfaction/ loyalty and overall cost and profitability?”

Driving the Company’s Values Across Business Perspectives Publishing an article on common errors may give the impression that contact centers generally are not being effective in measuring or driving high performance. But that’s not the case. There are centers that have developed a holistic view of the customer experience across channels, and whose metrics are well aligned with organizational values and goals. We recently spoke with Jason Lancaster, chief operating officer for Dialogue Marketing about how its contact center uses metrics to bring the firm’s core values to life. Dialogue Marketing is a nationwide provider of BPO and customer engagement services, with four sites in the United States and one in Costa Rica. Dialogue Marketing’s business and employees are driven by seven core values: flexible, adaptable, nimble, trust, transparent, value centric and innovative. How are those values reflected in performance measures? “We operate on a balanced scorecard that looks across five perspectives,” says Lancaster. Jason Lancaster

FROM THE PIPELINE ARCHIVES

To learn more about contact center metrics, check out the following articles at www.contactcenterpipeline.com.

Common Survey Research Mistakes Series, 2012: January, February, April, May; 2011: May, July, September, November;

Customer Effort Score, October 2012 �

OK Is Not Great—The Biggest Problem with Net Promoter Scores, October 2012 Net Promoter Score: The Reality Behind the Hype, August 2012 Assess the Validity and Reproducibility of Your Research, June 2012 FCR: The Go-To Metric for a Memorable Positive Customer Experience, December 2011 What World-Class Contact Centers Do Differently, March 2011 Top Contact Center KPIs, February 2011

From a Customer and Market perspective, the company’s overall goal is to be an indispensable partner, which is measured by “organic” growth targets and key initiatives within each of the strategic business units. From an Innovation viewpoint, the goal is to develop and deploy new technology and tools that yield a competitive advantage, such as call center and CRM tools, quality assurance, intelligent routing systems, etc. Operations focuses on the day-to-day service delivery and whether the center is meeting its goals for operational excellence. Key Human Growth measures include employee Net Promoter Scores and an employee engagement index, which also impacts employee attrition (another key metric). Financial Objectives focus on the value that the centers provide for clients. “We’re not the lowest cost provider in the market, but we provide value by increasing first-call resolution and lowering average handle time for our clients,” Lancaster says. “So even though they’re paying more, they’re spending less.”

Overall, Lancaster says that the key to driving an effective balance of quality and productivity metrics in the contact center is not letting procedure outrule the philosophy. “Understand what the objective is, and the goal of the interaction,” he says. “Often, you’ll find QA teams that nitpick inconsequential details and you can spend a lot of time and focus on that. But if you focus more broadly on the interaction, the philosophy and the customer experience, you can deliver a higher quality service experience without increasing the amount of monitoring that you have to do.”

Managing Metrics Effectively, October 2010 Analysis and Reporting, October 2010 Key Performance Indicators: Are You Measuring the Right Things?, June 2010 Susan Hash is the Editor of Contact Center Pipeline. Follow @SusanHash on Twitter

twitter.com/SusanHash susan@contactcenterpipeline.com (206) 552-8831

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Agility Factor

SETTING PERFORMANCE OBJECTIVES

single-point objective. The goal should be to meet or slightly exceed the objective. If communicated appropriately and supported properly, staff will understand that there is no point in driving the metric any higher than “slightly above objective,” so any effort or resources that would have been associated with that will be put to better use tending to other performance expectations.

Performance objectives are the most powerful way to positively influence your staff’s behavior. By Jay Minnucci, Service Agility

Constant-Value Objectives

regarding where the bar should be set. There is one critical step left, though, that needs to be completed before thinking numerically. Take a look at the metrics that you have left, and drop them into one of the following two categories: 1 01

Constant value. Every gain in the performance statistic, whether above or below the objective, has the same value to the organization.

Diminished value. Once the objective is met, further improvements have less and less value. At first glance, that may seem like an odd distinction. You would expect that most of your �

data will naturally fit in the first category… after all, if some is good, more must be better, right? Not always. Consider service level. Wherever you set the mark—for discussion purposes, let’s go with 85% in 30 seconds—the goal is to actually hit the number, not greatly exceed it. If you constantly achieve a 98%, for example, it is an indication that you are either overstaffed or you are not using your staff in the most effective manner. Service level is clearly one metric where the incremental value of results that exceed the target is diminished. (Some may disagree with this… I would argue that, if you believe 98% is better, than that is what the objective should be.) Diminished-value metrics take well to a typical

The story is different for metrics in the constantvalue category. If, for example, you are a sales center, you may set some sort of objective regarding sales—close rates, revenue per call, etc. Whichever metrics you choose, you most certainly will want to see the number go higher and higher. If a 20% close rate is good, 22% is 10% better, and 30% is 50% better. There really is no upper limit to the number you want to achieve, so the objective you set will be governed more by realistic expectations than desires. The distinction between constant and diminished value is critically important. When singlelimit objectives are placed on a constant value metric, you run the risk of limiting performance results. In other words, the implementation of

Playing the Numbers Game The entire purpose of setting objectives and reporting results is to improve performance. There are a number of ways to positively influence behavior without setting an objective—trending over time is one such example. But setting an objective is typically the most powerful, especially when actual results compared to the objective are the basis for performance evaluation. If the power of objectives sounds alluring, keep in mind what Lord Action noted: “Power corrupts, and absolute power corrupts absolutely.” Setting an objective can be so influential that normally honest people will do whatever is necessary to meet the number. In confidential settings, agents have offered up many of the tricks they use to beat the numbers. Some gems are below: �

� �

Hanging up on calls as soon as they arrive is a popular way to beat Average Handle Time (AHT) and calls per hour/day/week goals. ACW camping is a way to enhance adherence statistics. “Queue slipping” is a way that agents can keep themselves in the back of line and enjoy much longer down time between calls without affecting either ACW or adherence.

Bottom line—before you set an objective, you need to be sure that the ways to game the number have been identified and addressed.

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Performance objectives matter. With the enormous impact they have on behavior, it’s well worth the time investment required to understand them and get them right. an objective does exactly the opposite of what you want. Instead of motivating staff to reach the highest levels of performance, staff is motivated to reach a certain level and then take a nap. Since there is value beyond the objective, your attempts to achieve high performance levels can actually leave you short of optimal results. So if single-limit objectives are a poor match for constant value metrics, are there other options you can consider to help guide performance? Well, there is always a continual improvement approach, where the goal is to measure today’s performance and let the objective for tomorrow simply be to “improve.” That has the advantage of removing any perceived limits to performance. On the downside, though, slow but constant improvement may not be enough if performance starts out well below a critically defined level. If, for example, you need to generate $50 of revenue per call for the contact center to be viable but you are currently at $20, you may not have the time to wait for slow and steady improvement. Another option for constant-value metrics is to set a sliding-scale objective that reflects the value of continually improving performance results. There are a couple of ways to do this: �

Tiered objectives—a 20% close rate is our minimum, 25% puts you in line for x, 30% puts in line for y, and 40% (which no one has ever yet achieved), puts you in line for z (where x, y and z can range from monetary rewards to qualifications for promotions to anything in between). Note that there is a still a limit on this, so the upper tier needs to be an aggressive goal that is exceptionally challenging to meet. Infinite objectives—Whatever the metrics, ensure that there is no upper limit. In other words, offering $500 per month once a rep reaches 20 sales is a sure way never to see anyone with 30 sales in a month. Instead, consider setting up a program where you need to make at least 20 sales to participate, and at that rate, you get $25 per sale. You can then keep the $25 rate for any sales above 20, or

you could reward even further by bumping it up to $27 for 25 or more, and $30 for 30 or more.

Defining Each Metric Since the characteristics of constant- and diminished-value metrics are so different, one of the key activities is properly defining what type of metric you have. There is no hard-and-fast rule, and you will find that some metrics can fit in a “gray area” between the two. Where a metric is difficult to define, it may help to ask the following question: Is there a downside (or unintended consequences) to everyone maxing out on this metric? For most sales objectives, the answer is no. Ditto for customer satisfaction scores or quality monitoring results. Productivity data, though, may not stand up to this test. Adherence, for example, might look like an infinite value metric on the surface—if 90% is good, 98% is that much better. But the truth is that your schedules are built on a projected adherence rate, and coming in above that number will only generate overstaffing. Yes, if the higher number regularly occurs you can up the projected adherence rate… but keep in mind that after a certain level is met, inflated adherence rates typically come on the back of increased after-call work (ACW)—in other words, staff meet the mark by overusing ACW. That is clearly a downside, so adherence likely belongs in the diminished-value category.

Setting the Mark So after that very long first step of placing the metrics in the right category, we have still yet to address where to set the mark. Some would argue that you set “stretch” objectives, while others set objectives at or near averages to ensure that they are realistic. In reality, the best approach to setting an objective is to employ a calculated approach whenever possible. A good example to illustrate this approach is setting an objective for supervisors on the

amount of time spent coaching. Often, contact center leaders throw out numbers like 75% without giving consideration to the impact this can have on other tasks. In reality, it is not too difficult to sit down with a group of supervisors and go through a time-utilization exercise. What tasks are they required to do now, and how much time do they spend on them? Better yet, how much time should they spend on them? When you start to account for meetings, emails, projects and other assigned responsibilities, most supervisors will have less than half of their time left for any other tasks. Armed with a clear understanding of where time is being spent, you can rationally evaluate the information and set an objective that is realistic, and one that supervisors can be expected to meet. This calculated approach can work with most metrics. Customer satisfaction rates are another good example. You have your current rates, and you have recorded calls that can tell you a lot about the calls that do not get a top-box rating. If you have a 75% top-box score now, and your QA program indicates that 10% of calls score something less than perfect for soft skills, then 85% represents a reasonable expectation for the upper end. You might set your objective there, or you might go a bit lower than that to allow some room to grow the objective in the future.

The Results Are Worth the Effort Performance objectives matter. Agents, frontline leaders and managers know the numbers and the vast majority work hard to achieve them. With the enormous impact they have on behavior, it’s well worth the time investment required to understand them and get them right. Jay Minnucci is Founder and President of the independent consulting firm Service Agility.

jaym@serviceagility.com (215) 679-5250

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Leading Thoughts

OK Is Not Great—The Biggest Problem with Net Promoter Scores Customers who give passive ratings make up a large part of the market. They’re not benign and shouldn’t be ignored. By John Goodman, TARP Worldwide

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believe that the Net Promoter Score (NPS) is dangerous because it can distract companies possessing apparently good scores from their biggest single opportunity—those customers who give scores of 7 or 8—what NPS promotes call passive customers. Passives are not passive and are not loyal! I will explain below. NPS was introduced in 2003 by Frederick Reichheld as “the one number you need to grow” to enhance profitability (“The One Number You Need To Grow,” Harvard Business Review, Vol. 81, December, pp. 46-54). Since then, there has been an ongoing debate about the utility of NPS, including a recent article in Contact Center Pipeline (“Net Promoter Score: The Reality Behind the Hype,” August 2012). I do not quibble with a willingness to recommend question as a strong indicator of customer loyalty and future repurchase intention. In fact, I first recommended using a willingness to recommend question in place of or as a supplement to a plain satisfaction or repurchase question in Quality Progress in May 1992 (“Ineffective—That’s the Problem with Customer Satisfaction Surveys,” by John Goodman and Scott Broetzmann). There are, however, three difficulties with how the NPS treats those respondents who assign a score of 7 or 8, what Reichheld terms passive or benign. First, they are not benign—they spread negative word of mouth, are less loyal and are much more price sensitive than customers who 18

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assign a 9 or 10 rating. Secondly, they often constitute a large part of the overall customer base and should not be ignored. If you have a strong brand with less than 10% detractors, your biggest opportunity is the passive segment, and NPS, by implication is not very actionable. Third, the passives present a huge opportunity in that there are easy ways to move them up the scale to become advocates. For these three reason, they should not be ignored, or even called passive.

Passives Are Not Passive

Passives are both significantly less loyal and very likely to spread negative word of mouth. In comparing the word-of-mouth behaviors of those assigning a 7 or 8 on a 10-point scale (or generally a 4 on a 5-point scale, which also constitutes a major part of TARP’s research), I find that passives do indicate they tell several friends and associates about their experience. (TARP is aware that there is a significant debate on the validity of direct translation of 7s and 8s on a 10-point scale to 4s on a 5-point scale. Space does not allow addressing that issue in this article.) The numbers are usually 30% to 50% of the magnitude of those told about very good or very bad experiences but they are still significant contributors to the overall volume of word of mouth being spread about the customer experience. The ambivalent experience related in passive word of mouth does the company no good and

is usually at best faint praise or actually negative. Think about how you would react if someone came to you and said, “ I just went to this restaurant and I’d definitely give it a 7.” What you hear is them saying, “ it was barely adequate,” or “they didn’t do a bad job.” Would you rush right out to that restaurant? I think not. Second, customers who give passive ratings, e.g. 7s and 8s, or a 4 on a 5-point scale, are generally significantly less loyal than those giving a top-box rating. In comparing willingness to repurchase against willingness to recommend, we find that passives are usually 10% to 20% less likely to remain loyal or intend to repurchase. In his analysis of T Mobile’s market, Bob E. Hayes, president of research and consulting firm Business Over Broadway, writing in a respected market research journal, indicated that 7s and 8s constituted 37% of the total market. He also shows that their disloyalty (those highly likely to switch) was exactly the same for 7s and 6s and 5s (“Customer Loyalty 2.0,” by Bob E. Hayes, Quirk’s Marketing Research Review, October 2008). We usually find that those customers who assign passive ratings have either had some sort of minor question or problem that was not even reported or they have had a completely uneventful transaction with no interaction with employees. As noted further on, these situations can provide a significant opportunity. Finally, passives tend to be much more pricesensitive. Correlated ratings of satisfaction with price and value for price paid with willingness to recommend show that customers who assign passive scores are significantly more sensitive to price and perceive significantly lower value for price paid. While this might seem tautological, it reinforces the point that “passives” are NOT passive Market leaders live and succeed in a top-box world. This correlation of mediocre recommend scores with ambivalence toward repurchase, value and price sensitivity was best characterized by the SVP of a major agricultural equipment company that charges a premium for its products. He said, “When someone gives you a 4 on a 5-point scale, he’s saying, ‘I’ll keep buying your product until someone else offers me a better deal.’” He then went on to say, “We don’t want to compete on price, so a 4 or a 7 (on a 10-point scale) is not acceptable!” Similar views have been

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expressed by executives in leading retail, auto and insurance companies, all of whom live in a top-box world.

other than the transaction.” This building of rapport and emotional connection can lead to a 20% to 25% increase in top-box ratings, all for a 90-second investment of talk time.

Passives Are Large Part of the Market: A Major Opportunity

I usually find that 20% to 40% of all respondents end up in the passive category. In most organizations, unless you have a train wreck, the total number of detractors is less than 10%. These detractors are vocal and submit many more complaints. Further, their problems are obvious and judged to be serious, placing the company’s reputation and treasure at risk. On the other hand, the passives are often viewed as somewhat satisfied or even satisfied (as opposed to very satisfied). Their situation is not viewed as dire and a lower priority. If, in executing the NPS calculation, you drop out passives, you are ignoring a very significant part of your market. Further, the passives can be more easily affected. They have not had any serious problems with your product or service though many of them have experienced a minor problem or question. They are the group you are most likely to move to top-box advocacy. This means that provision of a low-effort value-add can potentially move their ratings up to top box. In many cases such a low-effort action is a much more feasible approach to improving scores than assuring that serious problems that result in 6s and below will never occur. I have found that a range of “cheap delighters” can both enhance ratings and foster positive word of mouth rather than ambivalent or negative word of mouth (“Treat Your Customers as Prime Media Reps,” by John Goodman, BrandWeek, September 12, 2005, p 16). These delighters can range from transactional convenience and financial discounts to proactive communication and emotional connection (Strategic Customer Service, by John Goodman, AMACOM, pp 180-181). Several examples will illustrate moving passives to raving fans. �

At a major catalog company, when the phone queue is not excessive, customer service reps are instructed to pick a few customers they feel comfortable talking to and ‘talk to them about something

Capitalizing on the Passive Opportunity

I recommend four actions to address the pitfall and opportunity of passives identified above. �

Recently, at the O’Hare Airport Starbucks, I asked for a cup of regular coffee and the counter person said with a smile, “ I’m just making a new pot so there will be a three-minute wait… but of course it will then be free. Do you mind waiting?” The cost of a cup of regular coffee was minor compared to the increase in my satisfaction. Both of these transactions moved the rating to top box via frontline flexibility and exemplary interactions skills. A third example comes from a leading quick-service restaurant chain. They have now hired your grandmother to cruise the dining room topping off sweet tea and interacting with customers. They have found that she can create “microbursts of emotional connection” that convert unremarkable transactions into top-box experiences. Finally, if you can anticipate the customer’s next question or need and proactively deliver it, you move the transaction from uneventful and adequate to dazzling, meriting positive word of mouth. This anticipation and delivery is what we call, “Psychic Pizza”; that is, ringing your door bell and saying, “Here is the pizza you were about to order.” The Auto Club of Southern California has achieved significant increases in service ratings by moving 4s to 5s in their road service offering. They have partially achieved this by assuring that the tow truck operator, upon arrival at the broken down car, always offers a cold bottle of water and apologizes for the wait, even when they are early. Again, the cost is minimal and the impact is huge.

First, change the organization’s attitude toward the passives—they are not benign and should not be ignored. Stress that they are the biggest single opportunity, usually one-third of your total market. Second, create the economic imperative for action by quantifying the size of the opportunity; the monthly incremental revenue value if passives were moved up to top box, the word-of-mouth magnitude and direction and the customers’ current sensitivity to price and value for price paid all contribute to this economic imperative. Enhance the interaction skills and flexibility of your frontline staff to deal with the top-five minor challenges they encounter so that they can be uniformly successful in handling them and creating “micro-bursts of emotional connection.” Finally, experiment with “cheap delighters” and “Psychic Pizza” actions that convert the colorless transaction into a remarkable event. These can be simple emotional connections or minor value-adds as previously described. John Goodman is Vice

Chairman and Co-founder of TARP Worldwide, and author of Strategic Customer Service.

jgoodman@tarp.com (703) 284-9253 Strategic Customer Service, by John Goodman, summarizes 35 years of TARP’s work measuring and managing the customer experience. Available at: www.tarp.com/goodman/

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Customer Insight Metrics

Customer Effort Score

of the survey questions measured attributes of the service experience, the attitudes created on the part of the respondents, and a slew of demographic data that were used as control variables in the analysis. The article claims that the analysts controlled for a whole range of variables that could affect the results. The authors argue “that what customers really want (but rarely get) is just a satisfactory solution to their service issue,” and they have a new measure for loyalty. To paraphrase Reichheld, “forget everything you’ve ever known about loyalty research”—or do you? The authors list two critical findings for customer service strategies:

Does CES live up to the claims of being the best new predictor of customer loyalty? Take a closer look at the research. By Fred Van Bennekom, Great Brook

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y previous article assessed the argument behind the Net Promoter Score (NPS). While the creators of NPS engaged in an extensive research program to derive NPS as the best indicator of a company’s future profitability, there are many issues with NPS. Most notably, other researchers have not been able to replicate the findings. This article will examine a newcomer in the arena of customer insight metrics, the Customer Effort Score (CES). CES has received considerable airplay since an article in Harvard Business Review—yup, them again—presented the concept back in July 2010. As a follower of many group discussions in LinkedIn, I read people regaling the virtues of CES, and I have seen articles posted on the web extolling CES. Here are a couple of examples of hype I have seen: CES is emerging as the latest “it” metric, and will likely continue to garner attention over the coming years as its use becomes more widespread. —Aaron Turner, Research Director, Market Strategies International, January 2011 white paper An authoritative study by the Customer Contact Council contends that customer loyalty—that Holy Grail—is no longer driven entirely by customer delight, if it ever was. — h t t p : / / w w w. a s s i s t l y. c o m / b l og / 8 customer-service-issues-impede-loyalty-2/ But none of these people has really looked at the research basis behind CES as a customer 32 28

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insight metric. As I will show you, it is pathetically weak—as presented.

What is the Customer Effort Score?

The July-August 2010 Harvard Business Review published an article, “Stop Trying to Delight Your Customers” by Matthew Dixon, Karen Freeman, and Nicholas Toman of the Customer Contact Council (CCC). The provocative title certainly caught my attention! I have also had a number of research articles from CCC shared with me that are based on this same research study. The authors say they addressed three questions in their research: 1. How important is customer service to loyalty? 2. Which customer service activities increase loyalty, and which don’t? 3. Can companies increase loyalty without raising their customer service operating costs? Here I’ll summarize their research as reported and then discuss the serious shortcomings. The research project surveyed 75,000 B2B and B2C customers across the globe about their contact center interactions, which included interaction via multiple service delivery channels. The researchers also conducted extensive interviews of customer service managers. The published article doesn’t include the actual survey instrument, a link to it, or the details about the administration process. Such missing elements always trigger a red flag for me. But we can infer from the article that many

First, delighting customers doesn’t build loyalty; reducing [the customer’s] effort—the work they must do to get their problem solved—does. Second, acting deliberately on this insight can help improve customer service, reduce customer service costs, and decrease customer churn. Indeed, 89 of the 100 customer service heads we surveyed said that their main strategy is to exceed expectations. But despite these Herculean—and costly— efforts, 84% of customers told us that their expectations had not been exceeded during their most recent interaction. To summarize their argument in different words, companies should focus on reducing dissatisfaction, not maximizing satisfaction. I cringe at that statement since it’s what almost all U.S.based airlines seem to practice. They continue… Although customer service can do little to increase loyalty, it can (and typically does) do a great deal to undermine it. Customers are four times more likely to leave a service interaction disloyal than loyal. The loyalty pie consists largely of slices such as product quality and brand; the slice for service is quite small. But service accounts for most of the disloyalty pie. We buy from a company because it delivers quality products, great value or a compelling brand. We leave one, more often than not, because it fails to deliver on customer service. Reps should focus on reducing the effort

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CES may have tremendous value as a new customer metric for remedial customer service, but I’m not sold based on the evidence that it is the best predictor of customer loyalty. customers must make. Doing so increases the likelihood that they will return to the company, increase the amount they spend there, and speak positively (and not negatively) about it—in other words, that they’ll become more loyal… The immediate mission is clear: Corporate leaders must focus their service organizations on mitigating disloyalty by reducing customer effort. The authors’ new contribution to customer metrics is their Customer Effort Score (CES), which is based on a new survey question: “How much effort did you personally have to put forth to handle your request?” (sic) The question is rated on a scale where 1 means “very low effort” and 5 means “very high effort.” Their research found that CES had strong “predictive” power for both repurchasing likelihood and future amount of purchases, which were their measures of loyalty—more on that later—and that it was a better predictor of loyalty than were the overall satisfaction question (CSAT) and Net Promoter question (NPS). They claim it’s better than NPS since NPS captures a customer’s view of the company as a whole, which is one of my main problems with NPS when used in transactional surveys, while CES is more transactional oriented. Beyond using the CES question, the authors discuss five key recommendations: 1. Don’t just resolve the current issue; head off the next one. 2. Arm reps to address the emotional side of customer interactions. 3. Minimize channel switching by increasing self-service channel “stickiness.” 4. Use feedback from disgruntled or struggling customers to reduce customer effort. 5. Empower the frontline to deliver a loweffort experience. Incentive systems that value speed over quality may pose the single greatest barrier to reducing customer effort.

sound research, but where are the weak spots, in particular in their claim that CES is the best predictor of customer loyalty? First and foremost, I am always skeptical about findings when I don’t get a clear picture of the research methodology. This article was not the practitioner version of an academic research paper that had been submitted to an academic journal’s peer review process, which would require clean methodology. The reader is left to draw many, many inferences about the methodology. Here are some holes in the presentation of the research. �

The Issues with CES as a Loyalty Predictor

All of this sounds enticing when supported by

Reprinted with Permission

No link to the survey instrument is provided. We know the CES question is posed on a 1-to-5 scale, but it appears the “loyalty” questions are posed on a 1-to-7 scale, based on a chart provided. We don’t know where in the questionnaire the CES is posed. Sequence does matter. We don’t know how the respondents were identified and solicited or when they got the survey in relation to the transaction completion. While we learn that 84% of the respondents said their expectations were not exceeded, we don’t know how that 84% breaks down between those whose expectations were met and those whose expectations were not met. The fact that they lumped those two categories together makes me suspicious. A chart shown with no supplemental hard data implies a weak correlation between CES and CSAT, which seems hard to believe. How was the satisfaction question phrased? It appears that regression analysis was performed. We don’t know the full model with all the variables included. We are provided no statistics to know the validity

of the model. The research methodology and execution could be exemplary, but the article does not provide enough background to remove my skepticism. If I don’t feel comfortable with my understanding of the methodology, I take any findings and conclusions with a giant grain of salt—in this case, a whole salt mine. I challenge anyone to design a research project to replicate the research done by CCC. I am not asking you to do the research, just design the research project plan based on the information available about what CCC has done. You simply cannot. As I stated in the first article in this series, the ability to replicate the findings of a study is a crucial measure of its validity. Second, the researchers appear to have defined implicitly—not explicitly—delivering “delight” as “exceeding expectations.” But it does not appear that they measured what customer expectations were, nor does it appear that the survey instrument attempted to measure any delight attributes. Previous researchers posit that some attributes are satisfiers while other attributes are delighters. These researchers have said that exceeding expectations on satisfiers buys little, which jives with the findings here, but the CCC authors do not appear to have attempted to identify which attributes are delighters versus satisfiers, a lesson from Kano analysis. Further, the Kano model presents an important distinction between delighters and satisfiers that the authors do not address at all. In order for the delight attributes to have an effect, the satisfier attributes have to be delivered. Consider a hotel stay. If the room is not clean— a satisfier/dissatisfier—exemplary performance on delight attributes buys little to nothing. Rather than test this hypothesis, the researchers dismiss delivering delight attributes as wasteful with no explanation of how they measured and tested the impact of delight attributes upon loyalty, if they did at all. How can you say, “Satisfy, Don’t Delight,” if you haven’t tested delight? Third, following on the above point, 30 OCT 2012 DECEMBER 2012

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Customer Insight Metrics | Customer Effort Score

we usually talk about companies raising the bar—what was unexpected now becomes expected—but contact centers in general have lowered the bar—what was once expected now becomes the unexpected—through the drive to offload work onto the customers. The authors state that you can create loyalty by satisfying, not delighting, the customer through the delivery of good, basic, reliable service. Personally, if I can talk with a live person quickly without having to navigate some annoying phone menu, and have a courteous interaction with an intelligent, knowledgeable person who resolves my issues quickly while instilling confidence, I wouldn’t be satisfied. I’d be delighted, which is perhaps a sad statement on the state of service. Perhaps, CES is actually a delight attribute? Again, the authors don’t discuss what is a satisfier versus a delighter. Fourth, since most of the readers of this review are service managers, I suspect your blood boiled a bit to hear the role of service in creating (or destroying) loyalty. The good news for you is that authors present no specific evidence from the study to support their conclusion that: Although customer service can do little to increase loyalty, it can (and typically does) do a great deal to undermine it. Customers are four times more likely to leave a service interaction disloyal than loyal. Was the disloyalty due to the service received or due to failings in the core product, which the service organization could not remedy to the customer’s satisfaction? In a sidebar, they state they measure “perceived product quality and value” as a control variable. While the article opens by saying their research examined “How important customer service is to loyalty,” they present no statistics to support this research conclusion. Fifth. Let’s look at the core question in their research: How much effort did you personally have to put forth to handle your request? What does that mean? The tortured syntax of the question confuses who is “handling the request.” I would have written: “How much effort did you personally have to put forth to get your request addressed?” Further, “request” is jargon. I’ve worked in customer service for three decades. I know what a “request” is from the perspective of a customer service organization. Do normal people think they are making a “request” when they contact 34 30

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a company’s service organization? There is also a large difference between getting a “request handled” and getting a “satisfactory solution to their service issue,” as the authors wrote. If I call a company with a billing issue and they tell me, “Sorry, no refund,” I got my request handled, but it was not a “satisfactory solution.” My point is that the researchers used a question that (clumsily) measures the amount of work a customer has to exert to get service and transforms the results into “the work they must do to get their problem solved.” Those are different. Remember also that this research study had an international audience. No mention is made of local-language presentation of the survey. So, I assume it was presented in English only. Would those for whom English is a second language understand the question as worded? The question is also reverse coded, that is, a high numerical score is worse than a low score in contrast to other scalar questions in the survey. While there are merits to reverse coding to avoid a respondent getting into a “response rhythm,” it does run the risk of respondents inverting the scale, especially when the combined with the very awkward phrasing. Perhaps they took steps in the construction of the questionnaire to mitigate the risk of inverting the scale, but since neither the instrument nor the administration procedures is shared, it’s an open question. Since this question forms the entire basis of their proposal for a new attitudinal measure, its validity is critical. What testing did they do to ensure the validity of this question? We don’t know. If the question is ambiguous and lacks validity, that makes their whole argument dubious. Sixth, the authors claim CES has strong “predictive” power for loyalty, performing better than the NPS or CSAT questions that apparently were in their questionnaire. Repurchasing and increased purchasing, along with word-of-mouth comments were their measures of “loyalty.” In their study, CES showed a correlation to intended future behavior of those loyalty measures, not actual future behaviors. Could people’s intended future behavior be different immediately after a poor service experience, as apparently captured in their surveys, than later? One of the strengths of the NPS research is that those researchers performed longitudinal research. They compared the NPS scores for specific companies to actual future company profitability. (Note: It is true that other researchers have not been able to duplicate those NPS findings. However, no researcher could ever duplicate the

findings of this study due to the lack of information about the study.) Here the authors did not perform such longitudinal research. To claim predictive powers for CES is a semantic stretch not justified through this research. At minimum, they should have explained the shortcomings of their research method. Lastly, it is important to note that the authors investigated contact center customer service for both product-based and service-based companies. In many, if not most, of these situations, the contact center is providing remedial service. The very definition of remedial services means that the service is likely to only be a satisfier. No one wants to call for remedial service; it’s compensating for a failure in the core product or service. We are not told the difference in CES predictive power for remedial versus non-remedial contact center experiences. This distinction is important to the application of their findings. The authors claim their findings provide lessons beyond contact center services by their use of hotel and airline service examples when building their argument. Generalizing these findings to the point of saying that service organizations in general should ignore delight attributes is at best dubious and is absolutely unwarranted by the research. Those are not the claims of a trained researcher. A Final Note: The authors’ five recommendations make intuitive sense, and as a consumer I can vouch that the effort I have to exert to get service is a major factor in my satisfaction or dissatisfaction with a service experience. CES may have tremendous value as a new customer metric for remedial customer service, but as with NPS, I’m not sold based on the evidence presented that CES is the best predictor of customer loyalty. Fred Van Bennekom is Founder and President of Great Brook, a consulting and training firm specializing in survey design and customer feedback. www.greatbrook.com (978) 779-6312

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Customer Surveying: A Guidebook for Service Managers, by Fred Van Bennekom, is available in the store at: contactcenterpipeline.com


Un’iniziativa editoriale di CMI Customer Management Insights in partnership con Contact Center Pipeline I classici errori nei sondaggi di ricerca R Sbagliare a identificare gli obiettivi della ricerca R Vincolare i sondaggi alle scarse risorse R Mentire nell’introduzione R Dimenticarsi l’ultimo passo R Non curare l’aspetto

Questi i principali contenuti dell’opuscolo in italiano di 32 pagine e disponibile in due versioni: PDF inviato via email

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Si prenoti subito per essere tra i primi a ricevere una copia! Compili il form on line http://www.cmimagazine.it/iniziative-editoriali/ Chi è Fred Van Bennekom Fondatore e Presidente di Great Book, azienda di consulenza e formazione specializzata in creazione di sondaggi e feedback dei clienti. Il suo volume Customer Surveying: A Guidebook for Service Managers è stato adottato come testo da Harvard University per il corso in Management marketing e da Indiana University per il corso Evaluation of Information Systems


Customer Experience

CUSTOMER EXPERIENCE REENGINEERED

Operate like your grandparents did. Four fundamental practices that they already knew. By Michel Falcon, Falcon Consulting Group

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don’t want to discredit our generation as business people, but I believe that our grandparents were better at it. If we look at how our grandparents ran their businesses, growing organically through referrals and repeat business by delivering a memorable customer experience, it’s clear that they already knew the four fundamental business practices that many companies have just begun to focus on today: rapport building, customer retention, customer acquisition and brand admiration.

Rapport Building Growing up, I often visited my Grandfather’s seafood shop and witnessed how he grew his business. He greeted customers genuinely, offering everyone a sincere, “How are you?” rather than the now too common, “What can I get for you?” I remember seeing him dart into the back of his store after each customer left. Curious, I asked what he was doing. He responded, “Learning about my customers.” After a conversation with each of his customers, my Grandfather recorded one thing that he learned about them. When his customer Linda mentioned that her family was going on a vacation, he would mark that down. When Linda returned, whether that was the following week or the next year, he could greet her with, “Linda, how was your vacation?” What my Grandfather did with his pen and paper, we now refer to as rapport building and CRM systems. Remember, customers pick up on the small things. Information that you may be inclined to disregard is what WOWs our customers and 26 32

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makes them wonder, “How did they remember that?” Ask yourself: How are you educating your team on the importance of rapport building and gathering customer intelligence?

Customer Retention When we receive a complaint, it’s easy to immediately become defensive. As proud business professionals who care about our service or product, complaints come across as attacks. Once, while in my Grandfather’s store, I overheard a conversation that educated me on customer retention. A gentleman walked into the store, demanding his money back for a fish filet, even though he had eaten three-quarters of it. My Grandfather immediately returned his money, but not without asking what was wrong because he wanted to learn about the experience the customer had. I thought my grandfather was wrong for returning his money because the customer had eaten nearly the entire filet. When I told my Grandfather this, he educated me on lifetime value: “Michel, if I don’t return this gentleman’s money, he will take his wallet to my competitor. What’s even worse, he will tell 10 family and friends of his experience at my shop. Why should I fight with this customer over $5? The customer will return and I will recoup the money that was lost. And if the customer comes another time after that, he will again become profitable.” Sure enough, the customer returned with a friend the very next day and my Grandfather was again in the green. We’ve all been in that position where we know

our customers are maliciously cheating us. Don’t fight it. Give them what they want, within reason. I believe that the customer is always right once, not all of the time. If the same customer unjustifiably complains again, feel free to fire them. Ask yourself: Does your organization have customer retention rules and service level agreements? Setting up these rules and agreements are very easy ways to save those relationships when things go wrong.

Customer Acquisition After spending time at my Grandfather’s shop and having learned about rapport building and customer retention, I developed a bit of a swagger. With my newfound confidence, I offered my Grandfather a customer acquisition strategy, “Let’s go around the neighborhood and hand out fliers to bring in new customers.” My Grandfather politely declined. He sat me down on the stool, and said, “Michel, that’s not a bad idea, but who’s going to focus on the 50 customers who are in the store right now?” I took a quick look around and noticed that there were only five people in the store. “Um, Granddad, there are only five people here.” “Nope,” he replied. “They’re 50, because each of these five customers have 10 family members and friends who need seafood, too. Why hand out costly fliers that may or may not bring in new customers when I have 50 right here? Business doesn’t have to be so complicated.” Fast forward to 2012. We spend countless hours strategizing how we can attract new customers to grow our revenue. We build pay-perclick programs, we have social media acquisition strategies. It’s endless. I’m not saying that we should abandon these strategies. Rather, I’m saying, like my Grandfather did, that it doesn’t have to be so complicated. Everyone reading this article has a current customer base. Focus on what you have right

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now. Find a strategy that will get each customer to buy from you one more time this year or refer one family member or friend. Building the business organically is the most profitable growth you can experience because you don’t have to spend marketing dollars. There is a reason why Amazon and Zappos have smaller marketing budgets than some would believe. Ask yourself: How can you grow your business by 10% next year simply by focusing on your current customer base?

Brand Admiration Do you know why we love Zappos? It’s not because they have great merchandise. It’s not because they have a cool website. And it’s not because Tony Hsieh is their CEO. It’s because they care about us, similar to how our Grandparents cared. Zappos has experienced thousands of PR

hits directly related to their level of service. I’m confident that you know at least one person who has purchased from Zappos because they heard about them through a media article or because they wanted to experience the level of service that the company so humbly promotes. This is what customer experience does. It builds brand admiration and awareness. Whenever my Grandfather and I would leave his store to get lunch, I witnessed dozens of people warmly greeting him. They loved him because he delivered amazing service. This is the exact same reason we love Zappos. Ask yourself: What are doing to promote your level of service to drive brand admiration?

Act Small; Deliver Caring Service Our Grandparents lived by humble, not overly complicated rules and they succeeded.

Regardless of whether we are small, medium or large businesses, we need to act small and deliver a level of service that positions ourselves as organizations that care. The organizations that adopt these old-school practices will excel and will be on their way to growing organically.

Michel Falcon is the Founder and Principal of Falcon Consulting Group (FCG), a boutique customer experience management consulting agency. Prior to FCG, he led 1-800-GOT-JUNK?’s customer experience strategy and programs. michel@fcgrp.com (778) 998-3252

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Tech Line

MOBILE AND THE CONTACT CENTER: THE GAME IS CHANGING

Customers are abandoning landlines and their limitations. It’s time to get moving on a cohesive, enterprisewide mobile strategy. By Lori Bocklund, Strategic Contact 1

in varied ways. I’ll encourage you to pursue a cohesive mobile strategy and plan across your enterprise.

Comprehensive “Mobile” Technology My study of emerging mobile solutions for the contact center, combined with my 25-year history in this industry, makes me smile. Everything we’ve thought about in contact center technology over the years comes together, enhanced by the capabilities of the mobile interface. Solutions that integrate between mobile self-service and assisted service across channels are the starting point, adding the mobile phone’s inherent multimodal abilities for talking, texting and selecting from “prompts” to make choices. Self-service capabilities for smartphones can tap web or IVR capabilities, as well as unique mobile applications. Now, the interface may be speech-enabled and comfort and familiarity with “Siri” or other friendly smartphone assistants may promote its use. As we cross into the realm of assisted service, a caller from a mobile phone could skip frustrating menus by virtue of the information a smartphone application can gather and use. Whether transitioning to an inbound call that uses the information entered on the phone or selecting the option to receive an outbound call 28 CONTACT CENTER PIPELINE [ NOV 2012 34 CONTACT CENTER PIPELINE DECEMBER 2012

(complete with expected wait time and updates), it is familiar, yet better. Things like “screen pops” and “virtual hold” come with a new flair. For those of you who like chat or text messaging, you’ll appreciate using mobile chat or exchanging text messages with a company through the mobile application. You may even go “multimodal,” requesting a follow-up message or email. And when we talk mobile, we can also think about integrating with social networks (e.g., Facebook, Twitter) and leveraging things like photos, video and location services. For example, let’s say I am checking flight status on my smartphone. I see my flight is delayed and I’m going to miss my connection. I can try self service through the mobile web interface or through an application I’ve downloaded. But I can also connect with the airline’s center from my phone. If I’ve got location services on, they might use that information in considering my options. (Close enough for a flight about to leave? Other airports in the area?) If I’ve logged into an app, they’ve got my frequent flyer information and all my account details. If not, they can ask me for that information before connecting (using the keypad or speech), or confirm based on my phone number and security password. My place within the app or mobile web interface tells them what I was doing. The airline has all the information it needs to route my call, pop screens and

provide “pain-free” service. It’s much better than calling in and going through those darn menus. Alternatively, they can present a message on my phone that provides the expected wait time and ask me if I’d like to wait or be called back. As you add mobile to your service offerings, you should consider how it will integrate with Knowledge Management (KM) and Customer Relationship Management (CRM) tools. My mobile self-serve efforts can tap the same knowledge base that web users and CSRs use, and my activities could feed forums in the social world. CRM could capture my mobile interactions and outcomes so that, as I cross channels, I receive consistent information and experiences and have continuity from one media to the next. Companies using mobile and all the related technology effectively use information about me and my interactions to hone the customer experience. For example, they could set me up for proactive contact, pushing information to my phone that might preempt another contact. And, of course, all the interaction information will feed into reports and analytics to evaluate and optimize my interactions and their offerings.

Who Is Changing the Game While I started (and will end) this article with a call to action based on the compelling case for mobile and its imminent impact, I’ll admit that it’s early in the game. We’re at the “innovators” and “early adopters” stages of the technology adoption lifecycle. Nascent technology poses some risks (will this product/vendor/approach make it?!), but this lifecycle is going to move fast. The spectrum of vendors approaching mobile is very broad and varied. As Figure 1 shows, vendors are coming at it from many angles, offering varying degrees of functionality. The best way to proceed is to exercise some caution in interpreting what a vendor offers. With mobile solutions tied to so many other technologies, there is risk of confusion or over-simplification. For example, is a “virtual agent” a speech interface to a mobile app, or a helper that gets answers? It depends on who you talk to. Since there are so many vendors and approaches, make sure you are clear about what they do, where they fit, and how their offering works. Here are some notable perspectives:

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Contact center technology vendors (e.g., Interactive Intelligence, Avaya, Genesys) can leverage existing mobile apps or help build new ones. They include the functionality similar to the offerings they’ve had for voice contact routing and handling (including IVR and CTI) but with the mobile phone advantages: “visual IVR,” call through to an agent, visual queue (expected wait time), and agent call-back. Nuance offers a speech interface and biometrics for authentication. Both of these capabilities have been available for years with IVR, with limited penetration and success. Mobile may change that. IntelliResponse optimizes costs using self service while meeting customer demands for easy access to information and answers. Now customers can use the mobile phone to tap the same knowledge base developed by CSRs or customers interacting through the web.

Add-on vendors (e.g., VHT, Fonolo, PoundZero)

ACD vendors (e.g., Interactive Intelligence, Avaya, Genesys)

Fonolo and PoundZero are examples of newcomers who address the “typical” problems of transition from self to assisted service. They provide the links between the mobile interface and the agent in the contact center with minimal changes to existing technology. Many vendors push “visual IVR” to leverage existing applications via a mobile solution. The ability to sidestep the long “to do” list in IT can help companies move faster.

The “cloud” is at the center of technology sourcing changes in our industry. Many mobile apps and integrations will use cloud-based capabilities. For example, a cloud solution integrated with your center may “hold” the caller’s place in queue. That cloud solution monitors the center, and calls the customer to conference in an available agent when ready. In line with the need to lower reliance and demands on IT, these

KM and Desktop vendors (e.g., Jacada Intelliresponse)

IVR vendors (e.g., Nuance, Voxeo)

Many Angles for Mobile and the Contact Center, Figure 1, above

TECHNOLOGY TOOLS FOR MOBILE SOLUTIONS Mobile solutions for the contact center use a variety of familiar technologies. They leverage common development environments and provide Software Development Kits (SDKs) to develop applications and integrations. They can work with an existing mobile application or be the source for a new app. They can leverage Application Programming Interfaces (APIs) to create an easier, common way to integrate and communicate. The integration tools leverage Web Services and “connectors” to IVRs and phone systems, in the fashion of Computer Telephony Integration (CTI) that we’ve known for so long.

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Tech Line | Mobile and the Contact Center: The Game Is Changing

options can get mobile going sooner, with more functionality.

Strategy and Planning Considerations With all these options, along with the reality of diverse channel ownership in most companies, strategy and planning are more important than ever. As contact center and IT leaders, you must bring the right people together to define requirements and deliver a solution that truly optimizes the customer experience. You and your colleagues must sit squarely in the customer’s seat to optimize first-contact resolution, handle time, and cross-channel customer experience. Remember, the customer perspective is: “If I need information or help, I’ll start there, but I want the option to seamlessly cross media using my multimedia device.” You can’t just let those responsible for the “mobile app”—such as an IT team, web group or a mobile app team—run with it. You have to tackle issues on silos of ownership and bring together IT (including web and/or mobile-focused teams), contact center, marketing, and whoever owns social media and the IVR. Self service on the mobile phone needs to align with other self-service applications while accommodating the unique characteristics of each interface. Start by making sure to separate the mobile website and/or app from the main corporate website. A mobile app providing “visual IVR” should be simpler than the voice equivalent. And, of course, you’ve got to look at use cases and address the transition to and integration with the contact center when a customer needs help. Our industry has a chance to get it right and avoid the pain invoked for years as customers move from IVR to agent, or web to chat session or phone call. Start by defining your strategy and requirements for the mobile application and its integration with the center. Then assess what you have (because mobile builds on so many elements of existing contact center technology), identify gaps, and create a plan to close the gaps. Part of that effort will include looking at the vendors with whom you have relationships and their mobile offerings. Look broadly across your ACD, IVR, KM, desktop and CTI vendors, and understand how your mobile solution will integrate with your other platforms. This step may lead to technology selection—with existing vendor partners and/ 30 CONTACT CENTER PIPELINE [ NOV 2012 36 CONTACT CENTER PIPELINE DECEMBER 2012

THE GAME, IN A NUTSHELL

to see the differences and determine the approach that meets your needs across functionality, technical design, speed, resource demands and more.

The top things people are doing with mobile today—or soon—and the impact they can have: �

Boost self service with mobile applications (if they aren’t in place already). Transition from mobile application self service to assisted service with an agent to offer a seamless, crossmedia experience from one device. Support visual IVR to simplify customer identification and assess needs. Offer Expected Wait Time (EWT) and call-back options to reach an agent without wasting time in queue. Pass information from the mobile phone to the agent to provide context, shorten calls and improve the customer experience. Develop a new mobile application or extend an existing mobile app into the contact center through integration.

or new ones. As you pursue your requirements and planning, here are some key considerations: �

Do you already have a mobile app, or will this project trigger it? If the former, will you add to or alter it? If not, will you build a mobile app or buy a tool to build or integrate it? You’ll also have to consider the mobile app approach: native or webbased. If the project will trigger building the app and/or interface, consider vendor tools that include easy development interfaces—e.g., a “what you see is what you get” (WYSIWYG) approach that can be done by non-programmers. How will you integrate the mobile app with the contact center, and what data will you tap? Will you leverage your IVR or web interface, or will it be direct mobile app integration? Tackle security issues and your ability to gather specific identifiers to integrate with account or customer-specific data, as well. Explore architecture and integration with vendors

Consider the broad set of devices your customers may use: iPhone, Android, Windows, even Blackberry. Consider use cases and issues unique to the multimodal customer interaction. For example, can users do multiple things on the phone at once (e.g., work in app while talking to customer service)? Planning also must consider the media in play. Beyond phone calls to and from the mobile phone, will you consider mobile chat or text messaging? How about ties into your social media strategy for Facebook and Twitter integration? Don’t forget the performance optimization elements of this additional media. Reporting and analysis, quality, voice of the customer and all the other performance elements apply. Chances are you can leverage your existing technology and processes.

Get on the Move Your customers are no longer tied to their landlines or the limitations of a clunky old telephone. While this area is new and one of several hot topics vying for limited attention, resources and budget dollars, it is compelling and imminent. It’s time to get departments together across the enterprise, plunk down in the customer’s seat, and play out the mobile scenarios that make sense for your business. Then turn that role play into a plan, working with vendors—old and new. And if possible, ask your customers for input. They’ll tell you it’s time to get moving. Lori Bocklund is Founder and President of Strategic Contact.

lori@strategiccontact.com (503) 579-8560

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The View from the Saddle

SIMPLEXIFY YOUR LIFE

Why simple things become complex and how complex things can be made simple. By Paul Stockford, Saddletree Research

I

just got a new mobile phone. It’s a Samsung Galaxy S III, which is supposed to be state-ofthe-art in terms of mobile communications. I didn’t get an iPhone because iPhones aren’t supported on the T-Mobile network and I’m not really hung up on owning an iPhone anyway. The Galaxy S III is supposed to do what the iPhone does, but I don’t know for sure because I’ve never owned an iPhone. I wonder, though, if the iPhone is any easier to figure out than the Samsung Galaxy. As I searched my new phone in vain for a simple ringtone that produces, of all things, a ringing sound when I receive a phone call, I sort of got nostalgic for the days when cell phones were just phones and they were so small you could slip them into your shirt pocket and not even realize they were there. In fact, having a really small mobile phone was, at one time, a status symbol. I recall walking around the Call Centre Expo shows in London during the late ‘90s and early 2000s and looking with envy at the tiny mobile phones being used by the mobile-forward Europeans as I fumbled with my bulky Motorola phone. I should have been more appreciative of the size of my bulky Motorola back then. My new Samsung Galaxy S III is roughly the size of a salad plate. My new mobile phone provides me access to lots of sophisticated and complex applications, but it’s not nearly as easy to use as the mobile phones that I used back in the day. Not only is the size considerably greater than my old phones were, so is the time it takes to find my way around the settings and applications. While the mobile communications world becomes increasingly complex in design and operation, an entirely different phenomenon is occurring 8

CONTACT CENTER PIPELINE

[

in the contact center industry due to a concept known as simplexity. According to Wikipedia, simplexity is an emerging theory that proposes a relationship between complexity and simplicity. Apparently the term has been around for quite a while, but the first time I heard it was at the Calabrio User Group meeting in Scottsdale, Ariz., this past September. The term was used in reference to Calabrio’s workforce optimization solution, and once I started looking into exactly what simplexity means, the more I found it applied to Calabrio’s and, by extension, Cisco’s contact center solutions. To better understand how simplexity applies to contact center solutions, consider the following definition of simplexity as offered by computer scientists Andrei Broder and Jorge Stolfi: “The simplexity of a problem is the maximum inefficiency among the reluctant algorithms that solve P. An algorithm is said to be pessimal for a problem P if the best-cast inefficiency of A is asymptotically equal to the simplexity of P.” If that didn’t work for you either, let’s try this: Simplexity addresses the question of why simple things become complex and how complex things can be made simple. While the former applies to the mobile communications market, the latter applies to the contact center industry. Simple mobile communications are becoming increasingly complex while complex customer service solutions are becoming increasingly simple in terms of use. Those of you who have been around for a while will remember when workforce optimization solutions were relatively new and, while the concept of integrated technologies that worked together to optimize agent and contact center

performance looked good on paper, in practice it wasn’t as easy as it sounded. Users were constantly toggling between applications and interfaces, each with separate menus, databases and administrative requirements. The productivity gains and return on investment (ROI) were significant enough that users tried to overlook workforce optimization’s shortcomings in favor of the operational enhancements it offered. With the advent of the Web 2.0 framework a few years ago, everything changed. Browserbased Web 2.0 workforce optimization, such as the solution offered by Calabrio, has simplified the once complex workforce optimization to the point that customization has replaced complexity and familiarity enhances simplicity. Customizable user workspaces and a single user interface define the simplexity of Web 2.0 workforce optimization. Keeping in mind that Web 2.0 is the basis of social media applications, it is easy to understand how workforce optimization is becoming about as difficult to use as Facebook. Although I didn’t use the word “simplexity” specifically, I recently wrote a paper on the simplification of workforce optimization through the use of Web 2.0. If this is of interest to you, you can download the paper at www.goo.gl/hKnMe. As I scan the dozens of apps icons on my new mobile phone and wax nostalgic about the days when you could get a ringtone on the phone that sounded like a phone ringing rather than a lame Midi electronic rendition of a Justin Beiber song, it seems to me that there are not only industry lessons, but much more that can be learned from how the contact center industry is simplifying complex tasks while increasing efficiency and productivity. If only I can figure out a way to simplexify my life.

Paul Stockford is Chief Analyst at Saddletree Research, which specializes in contact centers & customer service. pstockford@saddletreeresearch.com (480) 922-5949

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Tutti i titoli del 2012 Customer Avete perso un numero? Potete chiedere l’arretrato!

Management

Risorse umane e cultura aziendale Aprile Driving Continuous Improvement on the Front Line Don’t Overlook “Overqualified” Applicants Maggio Making Work at Home Work Get your House in order to Become the Director of Customer Experience Giugno The Overtime Lie Selezione del personale un momento delicato La voce come strumento di lavoro Luglio Reasons why employee engagement fails Support your frontline leaders Top four challenges faced by workforce managers Il conflitto dell’operatore di Call Center, ovvero la doppia l’ambiguità Dalla pianificazione del processo di selezione alla pubblicazione dell’annuncio Settembre Improving forecasting accuracy with cycle planning Caro candidato, presentiamoci Salute e sicurezza: come tutelarle nei call center? Ottobre Expanding the contact center’s reach Optimize the agent desktop Il colloquio individuale e l’inserimento del candidato Il telelavoro nel call center Per la salute nei call center Novembre Employee Engagement, Core Competencies of Customer Experience Professional Il percorso di formazione? È un investimento a lungo termine Igiene generale e delle postazioni lavorative nei call centerr Il percorso formativo nel call center Case study Aprile The Time Is Right for Time and Motion Lo Sportello per il Consumatore di Energia, una best practice al servizio dei cittadini Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato Maggio “Mi piace” il Servizio Clienti via FB Giugno Lombardia informatica: servizi citizen-oriented

Luglio

GOT-JUNK? 1-800 Sound Analytics in un contact center del settore finanziario Ottobre Camomilla Milano, accessori ed emozioni, ma anche Crm Novembre Telecom Italia, nuova vita all’assistenza tecnica Tecnologie per contact center Aprile Got Insights? Ready for Action? Consolidated Reporting, Scorecards and Analytics Maggio Self service vocale e customer experience Giugno Rendere eccellente la Customer Experience Luglio Contact center technology testing Settembre Adding value with live chat Take qa to the next level Novembre Contact Center Technology Monitoring La gestione delle prestazioni nei contact center: ambiti e strumenti Dicembre Call center, spaccato sul mondo dell’offerta Strumenti di misurazione Aprile Measures of WFM Team Success Maggio Set Your Sights on FCR One and Done: First Contact Resolution Analyze the impact of Your Qa Program Behavior management and Normalized Data Evaluation Monitor your Customers to Improve Customer Experience Giugno Top Contact Center KPIs, Settembre Customer effort, il tema emergente della customer experience Dicembre Choosing The Right Metrics: Avoid The 8 Common Mistakes Setting Performace Objectives The Biggest Problem With Nps Customer Effort Score Marketing e CRM Aprile Making Your Internal Customer Service as On-Brand as Your External CS l CRM: ancora questo sconosciuto Maggio La comunicazione con il cliente sempre più multicanale Giugno Fidelizzare i clienti con il Marketing Relazionale Settembre Acting on the voice of the customer

How emotions drive a customer experience Customer Survey. Un’intervista a Fred Van Bennekom Da lead a cliente, e il gioco è fatto A cosa serve fare audit? Ottobre Far lavorare i clienti è la nuova sfida Social Media Aprile The Voice of the Customer: Where Social Media and Business Intersect Maggio Reputazione online: come cambia il servizio al Cliente, nell’era del web 2.0 Giugno Social Media in Today’s Contact Center Social Media Technology Engages the Contact Center Luglio Social Media: da passatempo a strumenti per il business Settembre Crisi sui Social Media: prevenire è meglio che curare Ottobre Social Media: qualche idea per convincere il management Novembre Social Customer Care I Social Media sono il nuovo customer service? Dicembre I Social Media? Non sono solo Facebook Ricerche Aprile Il “governo” del contatto Luglio Le imprese e il contatto multicanale con i clienti Ottobre Contact Center. L’acquisizione di nuove tecnologie, la loro implementazione e il supporto successivo Strategie e tendenze Aprile Il rinnovamento del valore del contact center per l’azienda e le organizzazioni Maggio Contact Center industry Trends Giugno Driving Customer Experience across the Enterprise, Ottobre Acting on customer insights Dicembre Customer Experience Reegineered Mobile And Contact Center: The Game Is Changing Simplexify Your Life I trend del marketing nel 2013

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