Contepriscilla
IERI ERO PROPRIO DI BUONUMORE
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Contepriscilla è: Paola Bacciocchi, Renzo Baggiani, Jury Encò, Lorena MariaTeresa Milano, Paola Mongili , Fiorella Palomba, Stefano Panicacci, Marzia-Sofia Salvestrini, Giancarla Somazzi, Emanuela Sommi, Giancarlo Visconti Illustrazioni di Emanuela Sommi
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Presentazione “L’esperienza non è ciò che capita a una persona, ma ciò che una persona fa di ciò che gli capita” Voltaire Grazie Voltaire! Niente può rappresentare meglio la nostra impresa di “costruzione” di un libro nonlibro scritto a distanza e a più mani, che vogliamo regalarci, che vogliamo regalarvi. Grazie di cuore a tutti. *** Tutto è cominciato un giorno quando uno di noi ha scritto una mail ad altri scrittori più o meno esordienti del sito “il mio libro” per proporre di scrivere dei racconti che avessero un incipit comune “Ieri ero proprio di buonumore...” I nostri 11, che non si conoscevano, ma conoscevano i lavori pubblicati, si sono messi all’opera: una valanga di mail e 21 racconti. Alcuni ingenui, altri sofisticati, altri ancora di una leggerezza per cui Calvino andrebbe fiero, altri ancora barocchi ed ermetici. Tutti, ognuno a suo modo, divertenti. Il vecchio adagio “la diversità è ricchezza” qui ha trovato concretezza e allegra cittadinanza. E’ nata anche una pagina comune di accesso al sito dal nome altisonante Contepriscilla. Niente di questo libro rispetta i cosiddetti normali canoni di un libro, molto semplicemente perché niente di questo libro è normale.Non c’è una storia, ma tante storie. Non c’è un autore, ma tanti autori. Non c’è una logica, ma tante logiche. Non c’è un senso... vorrei dire ... ma tanti sensi. *** Ma c’è qualche cosa di più… il mistero dell’altro di cui si conosce solo la scrittura con tutta la sua seduzione e la sua forza e le parole scritte. Il gioco del mascheramento, dell’infingimento e la rete ti offre una sponda sicura a questo gioco. Quando ti siedi davanti al computer la vita reale sparisce… ci sei tu, i tuoi racconti, i tuoi amici, i loro racconti… gli scambi. Tu sei la fata turchina o l’araba fenice… tutto è consentito in questo palcoscenico. Non i visi, non la voce, non gli atteggiamenti: solo parole scritte… un brusio silente, centinaia di messaggi che sono l’impalcatura di questo lavoro. Come il “sorriso-senza-gatto” di Alice… Scopri il lato buono nella distanza: si stingono i veleni della comunicazione ravvicinata, a volte forzata, affollata… Scopri che essere orfani della visibilità non nuoce al rispetto, anzi. Eppure ci chiediamo “Verrà mai la nostra epifania?”… per ora va bene così… oggi noi siamo tutti di buonumore! Domani è un altro giorno.
Fiorella Palomba
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Stuzzichini Giada, spevo non la disturbi il riferimento all’evotismo?” “Esotismo?...” “Evotismo Giada da evotico, con la errrrre… eroticus-erotica-eroticum! Lei sa cosa è l’evotismo Giada? vuol dire eros, sesso… LEI SA ALMENO COSA E’ IL SESSO?” L’occhiata arcigna dell’arpia mi colpisce come uno schiaffo. Il Genio si è chiaramente seccato La recensione di DJ Stecci e Pupibina Alla fine sollevo lo sguardo sull’immagine della Madonnina al mio capezzale (che odiosa parola, come somiglia terribilmente alla parola capezzolo), e la prego accoratamente. Con le mani giunte prego a voce bassa e come ulteriore precauzione, per non farmi sentire, recito solo le iniziali della preghiera: “M.m.t.p.f.c.s.l.t.”. Trascrivo per esteso la preghiera per rendervene partecipi: “Madonnina mia ti prego fammi crescere subito le tette Pubertà di Lorena Maria Teresa Milano “Non fa niente, però ha ragione, è favolosa la canzone dei Pink Floyd, io ogni volta che l’ascolto devo mettermi davanti allo specchio e ballarla, mi viene la pelle d’oca, chiudo gli occhi e ondeggio con le mani in alto” quindi con gli occhi chiusi canticchiai i primi versi “So, so you think you can tell heaven from hell, blue skies from pain..” … Il debutto di Lorena Maria Teresa Milano Ho visto persino Carmen asciugarsi una furtiva lacrima, con il vassoio dei rustici al salmone, in bilico su una mano sola. C’è stato solo un momento, appena un filino critico. Quando il Maestro Bellarmini, al piano, stava per mixare “L’estro Armonico” di sottofondo con “Jolanda e il tango della Mutanda”, ma è stato un attimo Il silenzio dei fiori di Emanuela Sommi
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Due mattine fa, sono ricorsa ad un piccante body. Ero veramente O. K. ! Mi sono avvicinata al mio uomo con movenze cadenzate e ho cominciato a fare la danza del ventre. Lui mi ha guardato e mi ha detto: “Ma dove vai vestita cosi? Lo vedi che poi ti contorci dal freddo!!!! Un tesoro di gatto di Giancarla Somazzi “Sono il titolare del negozio, in cosa posso aiutarla, Signora?” “Signorina, prego!” Arcua le sopracciglia in una espressione tipo ‘K…zzi tua’ e si corregge “Ovviamente, mi scusi! In cosa posso aiutarla… Signorina?!” Preferisco non indagare sul senso di quell’ovviamente Dall’estetista di Stefano Panicacci Guarda sul mio sito… mi ha detto al telefono lo sconosciuto conosciuto all’aeroporto… sono una persona per bene… e ti farò star bene, niente di particolare… è solo che non c’è niente di più noioso che andare in vacanza con la moglie… Ho guardato su Internet… Ho guardato sia il suo sito, sia l’ Hotel dove intendeva portarmi. Cazzo che roba, mi sono detta, io quella roba lì me la sogno da un po’. Una vita immersa in un laboratorio, sporca di polvere e di colore, era quello che volevo o quello che voglio… devo capire… La tentazione di Marzia-Sofia Salvestrini Sospirava, si alzava, correva in cucina, tornava a sedersi. Al terzo giro, un pensiero mi trafisse il cuore: “Babbo Natale s’è perso per strada!” Una notte speciale di Emanuela Sommi La nostra casa non è un canile!!!! Se un cane mi ha resa felice, due mi hanno fatto preoccupare, adesso averne
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tre, sarà come avere dei cicloni in casa!!! Mentre stavamo discutendo, i tre cani si rincorrevano travolgendo tutto e rompendo qualunque cosa si trovasse sulla loro strada Giada e gli amanti dei cani di Giancarla Somazzi Il mio scrittore preferito! Non stavo più nella pelle… Poi mi sono venuti mille pensieri… Perché aveva voluto che gli mandassi una foto prima di invitarmi? Perché appena gliela avevo mandata si era subito offerto di ricevermi nella sua residenza invernale… e mi mandava il suo numero privato di cellulare? Faceva così con tutte? Lo scrittore di Marzia-Sofia Salvestrini Se mancava un po’ di sale nella mia vita, e con il viaggio a sorpresa ve ne volevo spargere una considerevole dose questo viaggio rischia di farmi avere un picco di ipertensione non indifferente. Il viaggio di Paola Mongili Ennò!! Non può finire così! Ecchecazzo! Il mondo ruota intorno a due tette pizzute? Va bene. Non è trendy la pelle della faccia di 2 misure più larga? Va bene. Volete l’internocoscia di Carrara e il sottochiappa di travertino. E lo avrete! Tutto avrete! La Venere di Milo e la Nike di Samotracia vi ritroverete nel letto! Stupidi maschietti scrutatori di caccole! Lo vedremo allora chi è il cavallo di razza e chi il brocco! Perché questa donna bionica, con la vendetta siringata addosso, non conoscerà pietà! Altro che missionaria 2 sabati al mese! Il carnevale di Rio ci voglio nel letto! Sempre! Mercoledì di Emanuela Sommi Gli uomini, siamo noi a doverli educare. Loro non hanno il nostro senso estetico, il nostro senso del concederci, la nostra capacità di apprezzare fino in fondo il piacere come mix di dare e di ricevere, di sensualità complessa che comprende il vedere l’armonia delle forme, ma anche l’uso del tatto, come dell’olfatto, dell’udito come del gusto. Il nostro rapporto con loro,
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così speciale, deve essere totalitario. E dobbiamo fare in modo che non possano più fare a meno di noi”. Anno nuovo vita nuova di Giancarlo Visconti Ora, di solito, atterrare sul duro col “morbido” è cosa buona e giusta – da lì forse il detto “che culo!”-, ma se quel duro è disseminato di vetri, per di più quei vetrini lì, così fini e taglienti, per il tuo “morbido” diventa veramente dura! Ve lo posso garantire! L’emicrania di Renzo Baggiani E infatti sono morta. Non è stato neanche così difficile. Tutta la vita a pensare a come sarà, con la paura, l’ansia, l’angoscia che mi prendeva nel pieno della notte e poi Zic, in un attimo mi sono ritrovata al di qua In fine di Jury Encò Ma torniamo ai ragazzi. I loro canti intorno ad un fuoco scoppiettante che l’oscurità rendeva più magico rompevano il consueto silenzio. Carini, appetitosi… Uno di loro in particolare di una bellezza inconsueta, mi ha rapito il cuore. E adesso… che faccio… l’amore non ti aiuta… anzi. Mi sono avvicinata silenziosa e i miei occhi parlanti hanno fatto il resto. Baci incandescenti hanno coronato l’incontro. Come poteva sottrarsi al mio fascino? Sorpresa finale di Fiorella Palomba “Mi ricordo ancora quel 1968, come fosse ieri. Avevo solo 5 anni, immersa nella folla festosa e ironica, davanti alla Rinascente in corso Vittorio Emanuele, cantavo anch’io sulle note di bianco Natale il ritornello che mi ha accompagnato per tutta la vita e che è stato uno degli artefici del mio futuro: “Santo Natal..., santa TV…, con tutto questo sprecar… che cazzo c’entra Gesù…” Via dalla pazza folla di Fiorella Palomba
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Decise che ne aveva le palle piene e che se voleva divertirsi davvero doveva sfantazzare con i Segni e mandare a cagare il loro significato. Il suo buonumore stava prendendo un bel mood anarcoide Destandosi un mattino di Paola Bacciocchi Dante con Patty Pravo, Barthes e i temi scolastici, De Saussure con De André, Freud e il punto-e-virgola, Queneau e le emoticons, Blanchot con la carta igienica, Eco e ilmiolibro.it, Quasimodo con Snoopy… E tutto confluisce, come in Joyce, nel finale SI’ alla vita, … Ma… di Pupibina e DJ Stecci
Ed il nostro casato non vedrà mai pace Finchè un discendente non ponga riparo Alla morte del drago in modo efficace Lavando dell’onta il capitolo amaro” Si arrese il mercante davvero convinto Del conte Priscilla legittima brama In magnanimo slancio con fare distinto Gli dette il monile e si prese la grana Il contepriscilla di Stefano Panicacci
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I. Ieri ero proprio di buonumore E’ stato un parto difficile, pieno di contraddizioni, ma anche di ottime idee. Però, al momento di pubblicarlo, ci siamo resi conto che senza una buona recensione le speranze di successo sarebbero state meno che zero. Primo Bulino (evitiamo i veri nomi per motivi di privacy) aveva promesso una soluzione, ma dopo mesi di appostamenti e telefonate il suo “contatto” sembrava svanito nel nulla, creando il sospetto che si fosse trattato di una delle sue solite bufale. Sospetto che però fu spazzato via alle otto di sera del ‘book day’, quando un aspro gracchìo ci annunciò al telefono che….: “Il Dottor Cinico Ignazio Scarabeis riceverà la vostra procuratrice domattina alle dieci. Le concederà trenta minuti. Ditele di portare il manoscritto e …. che sia puntuale!” Incredibile! Uno dei più famosi critici letterari avrebbe recensito il nostro umilissimo lavoro! Terzo Bulino ha sparato un ultimo debole...“Per me rimane una bufala.” Ma dopo essere stato sommerso da una ventina di ‘vaffa’ ha dovuto arrendersi. Non rimaneva che decidere chi dovesse fare la parte della procuratrice. Dopo breve discussione, abbiamo pensato che Quarta Bulina avesse i numeri migliori (90, 60, 90) per rappresentarci. Per correttezza nei confronti dei lettori, abbiamo deciso di pubblicare, insieme con la recensione, anche il preciso resoconto che Quarta Bulina ha ci fatto del colloquio. Cinico Ignazio Scarabeis di Pupibina e DJ Stecci
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II. L’incontro La sera prima dell’incontro ero davvero di buon umore! Ho consumato una cena leggerissima e sono andata a letto presto. Dovevo essere in forma! Ed ora eccomi qua, davanti al “Genio”, seduta sui carboni accesi, mentre lui scorre le pagine del manoscritto. Lo vedo concentrato sulla lettura, anche se di tanto in tanto ho l’impressione di sentire un’occhiata liquida scivolarmi dentro la profonda scollatura. Volta i fogli velocemente, scuotendo la testa e leccandosi il dito. Noto con fastidio che le sue dita pelose sono ingiallite dal fumo e le unghie sono sporche... Mah. Intanto lo osservo meglio. Me lo figuravo di aspetto imponente, solido e quadrato, come immaginavo fossero le sue recensioni, dinamico e al tempo stesso riflessivo, burbero ma paterno, rude ma comprensivo. Al contrario il suo aspetto ricorda una piattola con il muso da faina. Gli occhi sono acquosi, la testa piccola, coperta da radi capelli lisci e unti che si aprono sul collo in una sottanina pseudointellectual di uno strano colore, una specie di castano artificiale. Il viso ossuto è reso appuntito da un imponente naso adunco. Le mani magrissime galleggiano sul piano della scrivania con molle oziosità. Di tanto in tanto zampettano su un pesante fermacarte di cristallo multicolore. E’ vestito di nero e lo si potrebbe considerare quasi elegante, se la giacca non fosse spiegazzata e spolverata sulle spalle da abbondante forfora. Appollaiata su una sedia accanto a me una vecchia arpia incartapecorita sorride ‘benevolmente’. Ma ha un aspetto talmente acido che il solo guardarla mi allega la bocca. Porta appesi addosso dozzinali indumenti grigi, come i suoi capelli. Potrebbe avere da 50 a 80 anni, ma probabilmente aveva lo stesso aspetto fin da quando frequentava le scuole elementari. Però ha degli occhiali piuttosto
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trendy, anche se alla ‘vorrei-ma-non-posso’ (o forse autenticamente vintage?). Le lenti sono tanto spesse che le ingigantiscono gli occhi come un uccellaccio notturno. Il Genio si passa la lingua sui denti… dal ghigno dell’Arpia credo di poter dedurre che è soddisfatto. Finalmente chiude il manoscritto e lo spinge verso di me. Di nuovo sento il suo sguardo vischioso spalmarsi sulla mia scollatura. “Non male…” Credo si riferisca al manoscritto finché non completa la frase: “Scusi, ma lei cosa pensava di fave con questo… questo scvitto?” Non mi lascia rispondere. Deciso, si rivolge all’arpia “Signorina scriva! …” Un brivido mi sale allo stomaco.
III. La recensione “…Esseve scvittori oggi, in un mondo di vigurgiti letterari disinspirati e dissipativi, vuol dire immevgersi nelle bvume dello zeitgeist più entropico. Seppur nella i(n)spirazione di un vitalistico magma creativo, ben raramente –ahinoi- si avverte il nucleo pulsante dell’afflato germinativo elevare il contenuto delle parole alla puva mercurialità della trascendenza individuale ed universale…. “Scusi, come si chiama?” “Giada” “Giada?” “Giada, sì. Perché non va bene?” “Se va bene a lei! Fa la parrucchieva?” “Come sarebbe a dire, scusi?” “Beh, lo trovo dozzinale, un po’…come dire…chip, ecco. Comunque contenta lei… signorina… dov’eravamo rimasti? “… il contenuto delle parole alla pura mercurialità della trascendenza individuale ed universale…” recita in tono meccanico la vecchia arpia. “Sì…universale” Giada invece vicama …. no, meglio…intesse in filigrana nel tessuto etimologico del textum, luminescenti fili dionisiaci di altissima potenzialità gnoseologica.
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“A lei va bene questo tevmine o pensa che magari evmenèutica possa essere un tantino meno ostico per i suoi lettori… ?” “Come scusi?” “Dicevo…pensa che sia più adeguato gnoseologica o evmenéutica?” “No…no! Il primo va più che bene! Anch’io metterei gniosciologica” Scuote la testa “Vabbe’ continuiamo…E sotto la sua penna sapiente fevmenta en abyme l’alchimia esotevapica della sua umbratile sensibilità post-kantiana e post-freudiana. Nel suo avdente crogiuolo ella fonde/fonda, amalgama, sublima e dà luce all’ovo da cui nascerà lo Scrittove di domani. La sua forza affabulatrice si fonde evoticamente… …Giada, spevo non la disturbi il riferimento all’evotismo?” “Esotismo?...” “Evotismo Giada da evotico, con la errrrre… eroticus-erotica-eroticum! Lei sa cosa è l’evotismo Giada? vuol dire eros, sesso… LEI SA ALMENO COSA E’ IL SESSO?” L’occhiataccia dell’arpia mi colpisce come uno schiaffo. Il Genio si è chiaramente seccato. “Sì sì certo… lo so… mi perdoni, ma non avevo capito! …sa, lei ha un linguaggio così…suggestivo, che fa sognare, ecco…” “Il sesso la fa sognare vagazza mia?” “No non volevo dire questo…!” Sento il viso avvamparmi. Dio che figura! Sto arrossendo come una collegiale. “D’accovdo, d’accovdo… Meglio sovvolare… SIGNORINA ARGIA!!! rilegga!” “…memore di una oralità originaria si fonde evo… eroticamente” ….si fonde evoticamente, in accumuli sussultori, dilatati da uno sperimentalismo anamorfico che sfiova e sfida la temeravietà del déjà vu. Ma Giada in quanto donna, col suo “sapeve del covpo” …e così dicendo mi getta addosso un’altra delle sue occhiate limacciose. Comincio a sudare “…conosce l’ebbrezza ovgasmica del volo pindarico e della caduta icarea, e le sue mani abili acquistano la leggevezza di una ierofanìa ieratica, ieri come oggi… “Ma lei, Giada, si identifica più nello ierofànico o nello ierogàmico?” Per un momento… ma solo un attimo, sento l’irrefrenabile desiderio di stampargli il fermacarte di cristallo nei denti “Maestro, a mio modesto avviso entrambi rendono il concetto mooolto chiaro… e magari insieme lo rafforzano… Ma in fondo uno vale l’altro, no?” “Ma non diciamo fesserie! Ierogamico richiama l’unione evotica....Vabbe’, andiamo avanti. Allora signorina, tagliamo e mettiamo…” …con la leggerezza di una vetrofania in trine finissime, nello spazio
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catartico dell’es-temporaneità/con-temporaneità/ che si trasfiguva infine in a-tempovalità, riverberandole di una fulgida eticità trascendentale eppur immanentale –no- immanente. Questo significa/segnifica “Scrivere Oggi”! “Virgolettato, maiuscole, eh….. Ha scritto tutto Argia?” “..Questo significa barra segnifica scrivere oggi maiuscole virgolette punto esclamativo. Sì, ho scritto tutto. Vuole che glielo rilegga?” “Ma per carità!...Lo batta così com’è.” “Veda, ho voluto citare il mio imprescindibile testo “Scrivere Oggi” per fare un galante omaggio alla sua -ehm- cultura, cava Gianna, Giada…E’ evidente come lei ne abbia fatto tesovo, non è vero?” Mi limito a sorridergli con un eloquente battito di ciglia. Quindi, mettendo la mano pelosa, appiccicaticcia e artigliante sulla mia (con un brivido mi ricorda la zampa vischiosa di una gigantesca mosca), il Genio mi sibila in un sorriso di circostanza “Cosa te ne pare Giada? Questo soddisfa le tue aspettative? E dunque…” (si schiarisce la voce ma gli esce un grugnito che sembra un rutto) “…anche le MIE?” Il fatto che abbia deciso di darmi del tu mi rilassa, anche se rimane il dubbio: mi ammirava o mi prendeva per il culo?. Comunque decido di considerarlo una manifestazione di stima e di amicizia, per cui non me la sento di dirgli che Giada non sono io ma la protagonista del libro e che del suo fondamentale testo ignoro anche l’esistenza. Ho avuto la mia recensione e al solo pensarlo la commozione mi annoda la gola. Gli stringo la mano umidiccia. Aspetto che l’Arpia sia uscita e lo guardo con gratitudine “E’ sublime, maestro, veramente sublime! Così intenso… così… così nobile! Alto! Ma mi permette una domanda?” “Purché non mi pvenda tvoppo tempo!” “Certo, certo. La ringrazio… ma… vede, io sono un’umile scribacchina e le sue parole mi rimangono in gran parte oscure. Cosa vogliono dire esattamente, cioè no, intendo… in sintesi?” Ritrae la mano.“Giada, parliamoci chiaro, tutti quei paroloni non significano un emerito cazzo, ma mi servono per presentare in modo appetitoso un lavoro di merda, che se venisse recensito per ciò che è veramente non ne venderesti una copia neanche a tu’ sorella!” Lo guardo con gli occhi sgranati, “…Ma…mi scusi, allora perché…” Non mi lascia finire. “Non ti ha detto niente quel tizio che chiamate Primo Belin…o…Belino?
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Eppure ero stato chiavo. Comunque, parlane con lui, ora non ho proprio più tempo“ e detto ciò mi indica la porta. “…e fatti dire dalla segretaria quando dovrai tornare!” “Tornare?!?” Non risponde e fa un cenno con la mano, come a scacciare un insetto. Esco dalla stanza chiedendomi il perché di quel nuovo appuntamento. Ma il maligno sorriso di compatimento sadico dell’Arpia me lo rende subito chiaro. Evidentemente le mie misure non lasciano il Genio del tutto indifferente. E deve essere una sua consolidata abitudine… Esco 20 minuti dopo con la Recensione in mano e una gran voglia di piangere e di farmi subito una doccia.
IV. Argia Von Stoihfen Argìa Von Stoihfen, la segretaria-arpia di Cinico Ignazio Scarabeis, fissava il citofono con un sorriso soddisfatto. 90-60-90 si era finalmente levata dalle palle! Per quanto bella e procace, ai suoi occhi appariva per quello che effettivamente era: una ignobile decerebrata bambola gonfiabile, buona tutt’al più a soddisfare un temporaneo attacco di libidine del suo Geniale Pigmalione. E lei non le avrebbe permesso niente di più! Posò il bricco del caffé sul piattino Fabergé. Ancora 20 secondi… 15… 5… Beep! - Senza zucchero. Oggi è mercoledì. - Bvava. Immobile come una statua Cinico Ignazio Scarabeis adesso fissava l’avvolgibile della finestra. 5 secondi… 3… 2… - Un po’ di luce in questo movtovio! Crrribbio! Il grigio irruppe nella stanza. Pioveva. - E dunque che ne pensa, cava?... Argìa Von Stoihfen pensava che avrebbe voluto saltare sulla scrivania, dare fuoco a tutte quelle cartacce e, nel rogo, strappargli camicia e calzoni e far ululare con una bella fellatio senza misericordia il Dottor Cinico Ignazio Scarabeis. Invece scandì composta:
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- il progetto sembra ‘promettente’. Lui annuì con un risucchio dalla tazza. Anche la pendola rococò annuiva dallo scaffale. Argìa Von Stoihfen prese la tazza dalla scrivania. - NE VOGLIO ANCOVA- l’artigliò con la mano sudaticcia - … Ancora??... -Sì! ANCOVA! ANCOVA E ANCOVA!!!! -… non sarà troppo?... -NO! ANCOVA! - dopo se ne pentirà… - ANCOVA! ANCOVA! -…ne è sicuro?? -ANCOVAAAA!!!- urlava battendo i piedi per terra e i pugni sulla scrivaniaANCOVAAA!! - Sta bene. Lo preparo e lo porto. Solo 5 minuti. Argìa Von Stoihfen preparò altro caffé. Aprì l’armadio nel corridoio. Da un ripiano prelevò un paio di guanti a mezze dita e lentamente se li infilò. Le borchie del corsetto di cuoio scintillavano sinistre come il sorriso che stava tagliando il suo viso incartapecorito. Lo schiocco del frustino risuonò festoso. - Stavolta dovrai chiedermelo in francese! Il viso del Genio si illuminò di un goffo sorriso puerile. -…Mais bien suv… ma chevie… ENCOVE…ENCOVE...et ENCOVE…
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Pubertà anni 70 Lorena Maria Teresa Milano
Ieri ero davvero di buon umore…quando mi sono spogliata per la doccia, guardandomi nuda allo specchio del bagno che mi rifletteva a mezzobusto, ho notato finalmente un accenno di tette sul mio esile torace. Stanno arrivando, si sono decise alla fine le maledette a “spuntare”, da questo momento in poi sarà un lievitare continuo (lo spero almeno). Era una situazione che non avrebbe potuto protrarsi ancora per molto, ne sarebbe andata di mezzo la mia tranquillità psico-fisica. Undici anni e mezzo ed ancora piatta come il tavoliere delle Puglie, come il tagliere dove affetta le verdure per il soffritto la mia mamma, come il fondo della pentola dove cuoce gli spaghetti, come l’asse dove stira le camicie, le uniche ondulazioni che si notano sono quelle delle costole che sporgono dalla pelle del mio torace. Quando ho visto queste piccolissime protuberanze ho spalancato gli occhi ed il mio giovane cuore ha fatto una capriola dentro al torace. Anch’io presto le avrò, come le mie compagne di scuola, tutte floride, tettute, che si scambiano gli assorbenti e si chiedono l’una con l’altra “Tu a che misura di reggiseno sei arrivata?”. Io le ascolto come ipnotizzata, ma sono costretta a stare muta, io non ho quelle due morbide sporgenze e nemmeno uso ancora gli assorbenti igienici, sono una nullità insomma, una da compatire. Loro infatti ogni tanto fanno cadere gli sguardi pieni di compassione sul mio viso, io non posso fare altro che abbassare gli occhi mortificata. Si aggiunga a ciò che ho un anno meno rispetto a loro perché mamma, da
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buona insegnante, ritenendomi matura, mi ha introdotto a scuola a cinque anni. Spesso quando torno dalla scuola, alla domanda “standard” di mia madre “Ti hanno interrogata?” rispondo sbattendo i libri sul tavolo e gridando col pianto in gola “Solo questo ti interessa, se mi hanno interrogata! Se tua figlia è l’unica in classe a non avere le tette non importa, è vero? Tutte parlano di reggiseni e pannolini ed io devo stare zitta a subire!” Scenate del genere non sembrano turbare minimamente mia madre, che “ogni volta” mi risponde alla stessa odiosissima maniera “Non ti preoccupare ti cresceranno presto.” “Si ma quandooo” urlo io esasperata andando a chiudermi nella mia stanza; poi mi butto sul letto e mi faccio un piccolo pianto. Alla fine sollevo lo sguardo sull’immagine della Madonnina al mio capezzale(che odiosa parola, come somiglia terribilmente alla parola capezzolo), e la prego accoratamente. Con le mani giunte prego a voce bassa e come ulteriore precauzione, per non farmi sentire, recito solo le iniziali della preghiera : “M.m.t.p.f.c.s.l.t.”. Trascrivo per esteso la preghiera per rendervene partecipi : “Madonnina mia ti prego fammi crescere subito le tette.” Quando esco con mamma a comprare maglie ogni volta è un dramma, finisce sempre che litighiamo e torniamo a casa a mani vuote. Lei vorrebbe scegliere per me maglie aderenti, perché “hai un bel fisichino e te le puoi permettere”, io adocchio sempre quelle spesse, o a coste larghe, che creino un illusorio effetto ottico sulla parte interessata. Mamma non è d’accordo, le trova grossolane, scadenti, dice che non mi donano; le commesse, odiose, danno sempre ragione a lei, eh, certo, è lei quella che apre il borsellino. Le magliette di grana spessa e con le costine hanno il pregio di fare delle pieghe orizzontali che ad una certa altezza di torace danno un falso effetto “piccole tette”, piccole certo, meglio che niente. La cosa inspiegabile in tutta questa faccenda è che lei, mia madre, esibisce sotto ai miei occhi un seno florido e sodo, la cui misura non ho mai osato chiedere, ma ad occhio e croce deve essere almeno una terza! A volte le chiedo, speranzosa, se lei da ragazza avesse il mio stesso fisico, e placidamente spietata mi risponde “No, ero magra, si, ma tu hai il fisico di tuo padre.” Dico io che razza di risposta è questa? Come faccio a capire, guardando il torace di mio padre, se avrò mai un bel seno florido? Come ci si può regolare con il torace di un uomo?
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Non posso neppure regolarmi con le zie, perché tutte le sorelle di mio padre sono sparse per l’Italia, e saranno sei o sette anni che non le vediamo. Ieri però finalmente davanti allo specchio stava per avvenire il miracolo: anch’io stavo diventando una ragazza con le tette! Mi misi di profilo per osservare meglio la sporgenza, se incrociavo le braccia davanti sporgevano ancora di più. Che felicità, sono arrivate, ed io userò gli accorgimenti per farlo notare a tutti. Si, mi metterò sempre in posa così, con le braccia incrociate come un mandriano australiano. Ieri sono iniziate le vacanze di Natale, quindi libera dall’obbligo scolastico, appena pronta mi sono offerta di scendere dal panettiere sotto casa. Ho indossato il maglione a coste larghe e a righe orizzontali sotto il cappottino turchese lasciato aperto, e sono scesa raggiante. Chissà se tutti avrebbero notato la bella novità su di me. Appena entrata nel panificio ho avuto un tuffo al cuore: dietro al bancone c’era la figlia minore del titolare. Era mia coetanea, era bruttina e bassa ma in compenso aveva due sporgenze strepitose che si protendevano gloriose dal bancone. Vicino c’era una sua amica con la quale confabulava a mie spese ogni volta che ci incrociavamo lì. Erano volgari e sicuramente ignoranti, ma avevano tutte e due le tette grosse e in più l’amica era anche più alta di me. Io ero sicuramente sola e svantaggiata; avrei voluto avere al mio fianco la mia compagna di banco e con lei “stracciarle” parlando tra noi a voce alta di argomenti di italiano o facendo citazioni in latino. Timidamente e a voce bassa ordinai ciò che mi serviva e la fornarina mi urlò “Che vuoi? Parla forte che non ti sento!” poi si scambiò un’occhiata con l’amica e tutte e due scoppiarono a ridere.
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Il suo accento era terribilmente dialettale, quindi le risposi col mio italiano perfetto scandendo bene le parole e ordinando ciò che mi serviva. Poi ringraziai e pagai, uscendo con la schiena ben dritta e a testa alta; volevo dimostrarle com’era una futura signora. Ma già sulla soglia sentivo le due vigliacche sghignazzare a mio scapito e caddi nello sconforto. Addio buonumore, cominciai a rimuginare sulla mia situazione. Sono una ritardata di crescita, alla mia età la maggior parte delle ragazze hanno seno abbondante, peli nelle giuste zone, mestruazioni ogni mese. E tanti sguardi addosso di adolescenti foruncolosi ed iper ormonati. Io cos’ho, invece? I miei libri, i miei studi scolastici, uso con disinvoltura vocaboli come “schivo”, “parco”(nel senso di moderato), “ieratico”, ma ai ragazzi cosa gliene importa? Loro sbavano dietro quelle già formate fisicamente e formose, figuriamoci poi fra loro, quando fanno degli apprezzamenti su una ragazza, se dicono”Sai quella quanto è intelligente, sai come parla bene!” No, le parole preferite da loro sono “bbona”, “bella carrozzeria”, “che latteria”. Io voglio essere “bbona” con tutta me stessa, voglio vedere i maschi che si girano per guardarmi quando mi sorpassano, voglio sentire i fischi di apprezzamento, e invece agli occhi dei maschi sono come trasparente. Alcune mie compagne hanno già il loro primo ragazzo, sono già esperte di baci, quelli giusti, quelli con la lingua. Una di loro me ne ha fatta una descrizione che, a dire il vero, mi ha fatto un po’ schifo. Ha parlato di scambi di saliva da una bocca all’altra, a me a sentirla è venuta subito una salivazione e un senso di vomito. E’ obbligatorio baciarsi così con il proprio ragazzo? Ma vedremo, quando poi mi capiterà di averne uno. Mentre rimescolavo le sensazioni sgradevoli risvegliatemi da quelle due sciocchine, incrociai un ragazzo che abita nel palazzo di fronte al mio. Ogni tanto ci guardiamo dai balconi, lui suona la chitarra a volte, lo vedo e lo sento perché lascia aperte le imposte del balcone , le sue preferite sono le canzoni di Battisti. E’ alto e secco ed ha la faccia da bambino, non dimostra più di quattordici anni. Ha un grosso ciuffo castano che gli cade sulla fronte e fa risaltare gli occhi color verde-azzurro. Mentre ci avvicinavamo continuavamo a guardarci poi è avvenuta una cosa
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inaspettata e bellissima: lui mi ha salutato e sorriso. Io ho risposto sorridendo al saluto, mi sono fatta coraggio e gli ho chiesto scherzosamente : “Oggi l’hai messa da parte la chitarra?” Lui mostrandosi sorpreso mi ha risposto con una domanda “Si sente da te quando suono?” Ormai camminavamo fianco a fianco, ero così emozionata che il cuore mi stava uscendo dal petto “Si, quando suoni io smetto di studiare e ti ascolto. Sei bravo.” “Grazie, e tu sei molto carina. Spesso ti osservo dal balcone, quando ti muovi sei piena di grazia.” Avrei fatto le capriole per la gioia..un ragazzo mi stava dicendo che ero “piena di grazia”! E io che spesso, per i motivi sopra citati, mi sentivo piena di rabbia! Ricordandomi che il tempo concessomi da mia madre per comprare il pane era ormai scaduto, e per evitare che si affacciasse dal balcone o scendesse già allarmata, mi congedai dal ragazzo col ciuffo.
Mi avviai, con passo leggero e con tutta la grazia di cui ero capace, verso casa, e ringraziai dal profondo del mio cuore i miei “accenni di tette”, se tutto ciò era avvenuto era anche merito loro. Ero tornata di buon umore.
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Il debutto Lorena Maria Teresa Milano
Ieri ero proprio di buonumore, mi sono svegliata così, col buonumore dentro, forse avevo fatto un bel sogno, forse era la vista incantevole che c’e dalla mia terrazza, con la città e le isole sotto il mio sguardo, fatto sta che munita di buonumore ho deciso di riordinare la cantina per decidere cosa buttare via e cosa tenere. Erano anni che non lo facevo, e c’era una vecchia cassapanca che nei vari traslochi veniva spostata chiusa e con il contenuto dentro. Non mi ricordavo più cosa racchiudesse, ogni volta per mancanza di tempo e per pigrizia rimandavo il compito di aprirla e valutarne il contenuto. Ma ieri mi sono decisa ad aprirla e dentro vi ho trovato un po’ di tutto, ma una cosa mi ha provocato un vero tuffo al cuore: avvolto in carta velina stropicciata e ingiallita c’era un abito verde a fiorellini beige. Era spiegazzato, macchiato, vagamente odorante di naftalina, ma non ho potuto trattenermi dal prenderlo e stringerlo al seno; e con l’abito stretto tra le mani ed il cuore che ha fatto un salto indietro di trent’anni, sono riandata con la mente ad un episodio che rischiava di sbiadirsi nella mia memoria... ___________ Ero pronta finalmente, mi diedi un’ultima guardata allo specchio, ciò che vedevo riflesso mi lasciava soddisfatta. Ringraziai in cuor mio papi per avermi trasmesso la sua figura longilinea e flessuosa, anche il colorito della pelle, non chiaro ma luminoso, mi piaceva, le amiche dicevano che sembravo abbronzata anche in inverno. Gli occhi a mandorla neri dall’espressione languida solitamente erano molto apprezzati dai ragazzi , e poi tutti mi esortavano a sorridere spesso perché dicevano “hai un sorriso bellissimo”. Era vero, quando papi sorrideva era come se accendesse una lampadina nel viso, si illuminava e gli occhi neri gli luccicavano, io adoravo quel sorriso…e se il mio era come il suo..beh..non potevo che esserne fiera.
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L’abito lungo verde a fiorellini con la scollatura rotonda rifinita dal pizzo beige faceva risaltare il collo lungo, le maniche a tre quarti che finivano con un volant di merletto mostravano i polsi sottili e le mani dalle dita lunghe e affusolate. Scossi la testa per ravvivare i capelli castano-scuro che scendevano morbidi sulle spalle, il mio sguardo si soffermò sul seno..sospirai, arrivavo appena alla prima di reggiseno, era il mio cruccio, ma avevo imparato a simulare quasi una misura in più indossando reggipetto a balconcino con coppe imbottite. Era la mia prima serata danzante, andavo per la prima volta ad una serata organizzata dal liceo e avrei avuto la mia bella coccarda studentesca da appuntare sull’abito, avrei incontrato i miei compagni d’istituto in veste diversa, in un ambito differente, sicuramente ci sarebbero stati ragazzi di altri istituti, da cui avrei potuto farmi ammirare, forse invidiare dalle ragazze, mi sarei lasciata corteggiare, avrei inaugurato la voglia di civettare. Fra qualche mese avrei compiuto sedici anni, e se per mia madre ero sempre “troppo piccola”, dal canto mio ero invece convinta che fosse arrivato il momento per accennare timidamente il primo volo fuori dal nido. Dovetti sorbirmi un giorno intero di raccomandazioni, moniti, richiami al senso di moderazione e responsabilità, se da bambina il “leitmotiv” era di non accettare caramelle dagli sconosciuti, adesso era quello di non accettare alcolici, sigarette, passaggi in auto. Ero abbastanza responsabile, moderata perché non fumavo e non bevevo alcolici, troppo diffidente e timorosa per accettare inviti a fare passeggiate in macchina da chicchessia. Presi il flacone di profumo e mi feci avvolgere dalla fragrante nuvola, indossai il cappottino più elegante , salutai i miei genitori e diedi un bacio alla mia sorellina che strizzando l’occhio mi sussurrò all’orecchio “Sembra che hai le tette grosse.” Sorrisi alla maliziosa solidarietà femminile di cui già era provvista mia sorella nonostante fosse ancora una bambina, e finalmente mi avviai verso la porta, mentre l’aprivo il cuore batteva forte, talmente forte che dovetti poggiare una mano sopra sperando di calmarlo. Mi girai un secondo guardando i miei, in piedi, che mi sorridevano forse emozionati oppure timorosi, la tentazione di tornare dentro e rimanere a casa, avvolta dal loro amore protettivo e dalla loro presenza rassicurante era forte, ma il richiamo verso il nuovo fu più forte e così mi chiusi la porta alle spalle ed aprii una nuova fase della mia vita. Sotto mi aspettavano in macchina la mia amica Lia e il fratello più grande di noi di tre anni, guidava l’auto già da più di un anno ed era idoneo a farci da
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autista ed accompagnatore. Dallo sguardo che mi rivolse Piero compresi che ero una visione piacevole, Lia rideva nervosamente e sembrava ancora più eccitata di me, aprì il cappotto mostrandomi cosa indossava sotto. Spalancai gli occhi, aveva una camicetta in lurex scollata in maniera esagerata, secondo me; il suo seno, più abbondante del mio, risultava procace per la sua età e non potei fare a meno di chiederle “Ma i tuoi ti hanno permesso questa scollatura?”. Lei fece un risolino malizioso “Ho litigato per poterla indossare, poi li ho rassicurati facendo presente che ci sarebbe stato Piero a farmi da scudo contro possibili..molestatori.” Per tutto il tragitto non smettemmo un attimo di parlare e ridacchiare, eravamo eccitatissime, meno contento era Piero che ogni tanto esclamava con aria di sufficienza “Che bambine!”. “Speriamo che suonino Prisencolinensinainciusol così mi scateno a ballarlo e lascio che le tette ballino più di me!” trillò Lia estasiata. Chinai il viso verso il mio modesto decolletè, quindi replicai “Io spero invece che suonino Your mama won’t like me così mi scateno sulle note di un inglese vero, e poi la batteria mi piace da impazzire!” “Ed io invece mi auguro che suonino Whish you were here, un po’ di musica con le palle!” “Piero- strillò Lia- Non parlare così davanti la mia amica! Lo dico poi al papà, sai!” Piero dondolando la testa mimò con una smorfia comica le parole dette dalla sorella. “Non fa niente, però ha ragione, è favolosa la canzone dei Pink Floyd, io ogni volta che l’ascolto devo mettermi davanti allo specchio e ballarla, mi viene la pelle d’oca, chiudo gli occhi e ondeggio con le mani in alto..” quindi
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con gli occhi chiusi canticchiai i primi versi “So, so you think you can tell heaven from hell, blue skies from pain…”. Quando riaprii gli occhi eravamo arrivati; davanti l’entrata della sala c’era un folto gruppo di ragazzi e ragazze, tutti a me sconosciuti. E sulle note dei Pink Floyd si apriva un nuovo, inebriante, eccitante capitolo della mia giovane vita.
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Il silenzio dei fiori Emanuela Sommi
Ieri ero proprio di buon umore. E per questo, probabilmente andrò all’inferno. Non si dovrebbe essere di buon umore quando si torna da un funerale. Ma quello di mia nonna Caterina era diverso. Non parlo dei fiori, dell’organo, della cassa “palissandro con raso albicocca”, e tutto il resto, no, quelli tutto regular . Cerimonia composta, ma sentita. Rinfresco discreto, ma adeguato. Partèrre di classe, compunto, ma partecipe. Ho visto persino Carmen asciugarsi una furtiva lacrima, con il vassoio dei rustici al salmone, in bilico su una mano sola. C’è stato solo un momento, appena un filino critico. Quando il Maestro Bellarmini, al piano, stava per mixare “L’estro Armonico” di sottofondo con “Jolanda e il tango della Mutanda”, ma è stato un attimo, 3 o 4 accordi appena, e suppongo non se ne sia accorto nessuno. Tutto andato per il verso giusto. “Proprio un bel funerale” hanno sentenziato 80 chili di affettuosa compunzione, insalsicciati in un Sain Laurent dell’anno scorso. “Per qualsiasi cosa, mi raccomando…” mi alitava nell’orecchio un tacchino con le mani sudaticce, che stava a significare “ E adesso, cazzi tuoi” “Fatti coraggio. Pensa che è andata a star meglio”, come a dire “ Non rompere i coglioni, che c’ho già i miei casini” “… era tanto buona…” e un ultimo sguardo dolente alla galantina di pollo, avanzata sul buffet. Ad uno ad uno, la folla dei contriti condoglianti sciamò per altri lidi. Carmen sparecchiava, alternando soffiate di naso e pedate a Miguelito, aviatore 5enne in decollo dalla poltrona, “desculpame segnora, ma proprio non sapevo dove lasciarlo”. - Dovresti far qualcosa per quel raffreddore.. - Algo sì… rogar!- singhiozzò barricandosi in cucina - Carmen! C’è qualche problema?
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- Nada, segnora Nada – urlò nel crollo fragoroso di tutto il pentolame di casa. Mia nonna non c’era più. Dal divano bianco il frullo della scarpa centrò in pieno la teiera rococò, mancò di un pelo il pappagallo alabastrino e con un rimbalzo, calcolatissimo! Si abbattè sulla pendolina veneziana. STRIKE! La cenere della Rothmans, pioveva leggiadra sul Bukhara e Oh, scellerato! un lapillo s’imboscava tra i cuscini di cretonne amaranto. Mia nonna non c’era più. Con un sobbalzo e uno stupito sgranar d’occhi, la morte l’aveva afferrata e portata via. Nessun clamore, nessuna protesta, solo le sue labbra che si serravano indignate. Scacco matto. Due infermieri, prestati dal ‘magazzino bisonti all’ingrosso’, delicatamente le tolsero di mano il bicchierino di sherry, poggiarono sul tavolino il giallo di Agatha Christie e la deposero sulla barella, con un sudario ‘usa&getta’. Mi aspettavo ringhiasse “Faccio da sola, idioti!”, ma tacque. Quella donna aveva sempre saputo riconoscere la sconfitta. La riconobbe quando le riportarono la figlia, 12 anni fa. Senza denti, livida e assente. 38 chili di alcool ed eroina, che si prostituivano alla stazione per una dose. Anche allora tacque. E non disse una parola nemmeno nella sala mortuaria. Guardò ciò che restava di mia madre e mio padre dopo l’incidente e fece un cenno col capo, appena percettibile. Poi girò sui tacchi e se ne andò, maestosamente risentita. Tacque anche quella sera di febbraio. Scese dall’auto sotto una pioggia marcia.
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Rannicchiata per terra, con le palpebre piombate e le ossa a coriandoli, cercavo disperatamente di non vomitare ancora. La sentii avvicinarsi e incombere come una montagna nera. Un artiglio guantato affondò nella mia spalla e mi sollevò da terra. Darky scattò a sedere “Cazzofai, vecchia di merda?!” La vecchiadimerda , senza mollare la presa, gli poggiò il bastone proprio in mezzo agli occhi e disse le ultime parole, che le avrei sentito pronunciare per mesi: “Ti sfondo il cranio, se appena provi a muovere un muscolo.” Sbattuta in macchina come un sacco di stracci doloranti, cercavo di decidere se vomitare o dormire. Il motore mi ronzava sotto al culo, mentre lame di luce intermittente entravano e uscivano dagli occhi. Poi fu solo il nero. A tratti dal nero emergeva la cannuccia di un beverone salatodociastro. Poi dolore e ancora nero. Poi solo nero e il beverone Poi il nero cominciò a sbiadire. Quando mi misi a sedere sul letto lei era lì. Buttò sulla coperta un paio di jeans, un maglione e uscì dalla stanza. Avevo fame! Non ricordavo più quella sensazione. Giù in cucina Carmen si parò spaventata davanti al frigorifero : “la Segnora dice che se puede mangiare solo con pavimento limpio… por favòr, segnorita… non metterme en lios!.. por favòr!” 6 mesi. Pavimento limpio = cibo - La Segnora dice che se puede mangiar solo con el cristal de las ventanas… - Limpie , sì. Ho capito Carmen, ho capito 27 finestre in quel cazzo di villa! Che alla fine, se vedevo un altro vetro lo prendevo a sassate! - La Segnora dice che se puede mangiar solo con alfombra… - Limpios!.. ecchecazzo! Desso pure i tappeti..!
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Alle 12. 30, come alle 19.30 il mio piatto aspettava in cucina. Tardare anche solo di 3 minuti significava non trovarlo più. Mia nonna si affacciava sulla porta, gli occhi di ghiaccio ispezionavano il cibo, poi se ne andava. L’avrei rivista solo la sera dopo e nello stesso modo. Ma sapevo che era lì. A spiarmi, la stronza! Una sera il mio piatto non c’era. Carmen riponeva bicchieri come fossero bombe a mano - … La Segnora dice… - COSA? - … dice che… - CHECCAZZODICE??? - … che… la lenceria no es …limpia bastante… Oh Madre de dios!! - NO! CAZZO! NO! Che se la lavi da sola la sua biancheria di merda! Io ne ho pieni i coglioni! BASTA! Ma chi si crede di essere? M’ha ripreso vicino a un cassonetto? E chi gliel’ha chiesto? Ma che si crede, che solo perché c’ha sta villa di merda, gli devo fare da serva? Ha capito male!!! E sai che nova c’è? Io me ne vado. ME NE VADO! ME NE VADO! - Calma, Segnorita, calma! Oh Madre de Dios! - Hai capito vecchia stronza?- urlavo alle scale deserte – Addio! Adiòs! Hasta luego! Vaffanculo! Il tonfo della porta, alberi neri e cespugli, lo scricchiolio della ghiaia sotto la mia corsa, le lacrime a gelarmi il collo, il cancello che aspettava in fondo al vialetto. Meglio morire che fermarsi. All’improvviso due ombre nere. Ringhiavano sulle zampe frementi, i denti scintillanti di bava. Crollata in ginocchio prendevo a pugni la terra, urlando alla luna. Per mangiare ho scrostato water, spazzolato palmo a palmo moquette, lucidato argenti e vetrate, smontato e lavato tende e tappetini, chiacchierato con 2 puntini lucidi che mi squittivano da un buco nel muro. Una sera parlò: - Alzati e vieni a mangiare in sala. Nel mio piatto una montagna di patatine fritte e due cotolette croccanti. La mia cena preferita dall’età di 3 anni, quando mia madre ancora cucinava per
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me, nel frigo c’erano tante cose buone e prima di andare a letto facevamo la guerra del solletico. - Nonna..? Alzò di scatto la testa come se un’ape l’avesse punta. - Nonna… io… vorrei uscire… vedere gente… Mi fissava come avrebbe fatto con uno scarafaggio. Poggiò il tovagliolo sul tavolo, si alzò e uscì dalla stanza. - GRAZIE EH!... Grazie per la compagnia!... È sempre un piacere parlare con te!- le urlai dietro. Quanto mi stava sul culo quella vecchia di merda! La mattina dopo trovai delle valigie ai piedi del letto. Mia nonna entrò incappottata: - Tra dieci minuti si parte. Vedi di non farmi aspettare – 18 mesi di montagna tirolese, tra vacche e caprette, che non ti fanno ‘ciao’ manco morte ammazzate. Prati verde schifo, farfalle e fiorellini che ti uscivano dalle orecchie, arcobaleni, stelle splendenti e BASTA. Ogni mattina appariva Otto, con il latte appena munto, caldo e fragrante di sterco di vacca. Masticando una mummia di sigaro, sguardo frizzante da pugile suonato, celebrava i misteri della mungitura e il sacrificio di polli e galline; sventurate creature, giustamente ritenute cretine, non foss’altro che per l’andatura e il tono di voce. Al tramonto le pecore tornavano all’ovile, le vacche al vacchile e il sole incoronava di oro rosato il limitare del bosco e le creste rocciose. Tutta gente che dei miei guai se ne sbatteva altamente. Vivaci e divertenti le serate davanti al fuoco, sotto gli occhi di mia nonna, che vigilava sulla lettura di imperdibili testi classici, con una montagna di feroci ammazzamenti per nobili cause. Una pomeriggio la trovai in piedi, davanti alla libreria - Sai fare i conti?- Intendi somme,sottrazioni e quella roba lì? Sì… Credo di sì… Mise un librone sul tavolo. - Controlla che questi siano giusti - Ok. Lo farò… - ADESSO.
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Da allora ho controllato montagne di conti. Per giorni, per settimane, per mesi. Sul tavolo i libri contabili si moltiplicavano, si ammassavano gli uni con gli altri, sicuramente scopavano e generavano piccoli quadernini, che crescendo diventavano altri libri contabili , pronti a scopare col vicino solo per esasperarmi. Ma a poco a poco quell’ idiota carosello di numeri prendeva senso. I segni odiosi cominciarono a prendere la forma di ‘cose’ e di più ancora, della ‘quantita’ di cose. Erano lo specchio del mondo ed io lo comprendevo, lo misuravo, lo confrontavo. Lo controllavo. Così, mesi dopo, quando mi accorsi che la fornitura di pellame della ditta di mia nonna non corrispondeva al prezzo pagato, presi il telefono: - Vannini! E che facciamo i furbi? Forse non le è chiaro che ci sono molti fornitori su piazza!... NO! Non mi importa che sono anni che lavoriamo insieme! Io posso fare a meno di lei in qualsiasi momento!... Non ci siamo capiti: faccia ancora una cretinata del genere e può cancellare il mio nome dalla lista, mi sono spiegata?.... Ecco bravo…diciamo così per stavolta… un errore… ma certo Vannini… a un ‘errore si rimedia… per stavolta… Certo, certo… Allora siamo d’accordo. Puntuali però. Quando riattaccai lei era lì, sulla soglia. Immobile, con una piegolina ai lati della bocca, che sembrava la pallidissima, diafana ombra, del ricordo lontano di un’idea appena abbozzata di… sorriso! Per un attimo, un attimo solo, vidi uno scintillio nell’azzurro dei suoi occhi. Poi tutto svanì e lei andò via. La sera comprai una bottiglia di sherry, il suo preferito. Entrai in salotto scodinzolando come un cokerino : - Allora nonna, oggi è stata brava la tua nipotina eh? - Tu credi? Un gelo polare colava da quello sguardo, scivolava sul tappeto, mi si arrampicava su per le gambe e, appuntito come un ghiacciolo alpino, mi si conficcava in gola. Due anni dopo ero a Boston, delegato al Convegno “ Leather in the World”. I miei contatti realizzarono un incremento del fatturato di 6 milioni di dollari.
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Al ritorno mia nonna si abbandonò ad un entusiastico: - C’è arrosto per cena. Un sera di aprile la trovai che accarezzava i miei tulipani sulla scrivania: - Nonna, ma tu… cosa pensi di me? Si irrigidì. Scostò una ciocca dalla fronte. Si schiarì la voce e mi piantò dentro il solito sguardo mortale: - Niente. Non penso proprio niente. - Ti piacciono i tulipani? Eh? Ti piacciono? Ti piacciono? Il vaso volò fuori. Lei taceva e fissava la pioggia di vetri. - Tu! Tu...Tu sei.. una vecchia…orribile…stronza! Uno scheletro putrefatto Tu sei morta! MORTA DENTRO! E io ti odio. Hai capito? TI ODIO!!! TI ODIOO!!! Mia nonna prese il bastone, gli occhiali, si girò verso di me: - Buonanotte. - NON PUOI ANDARE VIA COSì! - urlavo al corridoio vuoto - … non puoi… lasciarmi sempre così…. SOLA… non puoi… non puoi.. non puoi… Sono tornata dagli States 4 anni dopo, giusto in tempo per vederla morire. Nulla era cambiato. Lei era la solita vecchia stronza surgelata di sempre. Andrò all’inferno, ma l’idea di ereditare tutto questo non mi dispiace nemmeno un po’. E se non ereditassi niente, chissenefrega! Del resto da lei niente ho avuto e niente mi aspetto. Mi avesse sorriso una volta, una volta sola in tutti questi anni… mi avesse che dico abbracciata!... sfiorata appena… Oh certo! Che ingrata! Dimenticavo che mi ha salvato la vita… GRAZIE NONNA! GRAZIE GRAZIE GRAZIE E VAFFANCULO.
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La lettura del testamento è stata degna di lei. Un vitalizio a Carmen. E una lettera per me. Stronza! La scrittura di mia nonna: allungata, rigida, niente svolazzi né gentilezze, fredda e precisa, praticamente un sasso, tale e quale a lei. << Bambina mia, (bambina miaaa…???) adesso tocca a te. Ti ho insegnato quasi tutto quello che sapevo e l’hai imparato bene, molto bene. La larva moribonda che ho raccolto è diventata una farfalla splendida e sapiente. In tutti questi anni ho vegliato su di te, in ogni istante ti sono stata accanto, sempre. Certo da lontano, ma solo perchè ho cercato di proteggerti da quel dolore, che mi straziava il cuore e che avrebbe spezzato il tuo. Tua madre è una ferita che non si è mai rimarginata. Vedere nei tuoi gesti i suoi, nelle tue parole le sue, mi toglieva il fiato. Ma tu eri salva e viva e bella dentro, di uno splendore che mi ha sempre consolato. Dolcissima bambina mia, quante volte ti ho guardato dormire! E mentre sognavi, quante volte ho baciato i tuoi capelli, accarezzato le tue guance tiepide, quante volte ho preso tra le mie mani le tue… Che peccato non poterlo fare più! Adesso il mondo ti aspetta. Saprai viverlo tutto come ti ho insegnato. Il notaio ha un documento dove ti lascio erede universale di tutti i miei averi. So che ne farai buon uso. Ti bacio, come ho fatto mille e mille volte in silenzio. Sii più felice che puoi, te lo meriti. Tua nonna Caterina, che ti ha sempre amato come la vita. >>
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Mi accorsi che Carmen era accanto a me. Sorrideva con gli occhi lucidi: - la Segnora dice che devo darle questo Mi mise in mano una foto. Era mia madre, sorridente e bella, che mi teneva in braccio a 2 anni. Qualcosa mi sfiorò dolcemente i capelli. Per terra un tulipano.
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Un tesoro di gatto Giancarla Somazzi
Ieri sera, quando sono andata a letto, ero davvero di buonumore. La giornata era cominciata piuttosto male, perché, da quando il mio uomo è venuto ad abitare con me, ogni mattina discuto con lui per cercare di convincerlo a farmi prendere un gatto. Io fin da piccola ho avuto un micio e ora che non posso tenerlo, ne sento la mancanza. Franco, il mio ragazzo, non ne ha mai voluto sapere, lui dice che io devo scegliere tra lui e un botolo, come lo chiama lui, perché non posso pretendere di averli tutti e due. Io cerco di sdrammatizzare dicendogli che fino a quando Franco sporca meno di un gatto, preferisco lui. Ma il mio uomo non sente ragioni e per farmi capire che il suo divieto non è fatto per cattiveria, mi dice che i gatti sono nati per vivere liberi e tenerli in un appartamento è la stessa cosa di mettere una tigre in gabbia allo zoo. Ho cercato di convincerlo che non è la stessa cosa, ma lui non mi ascolta. Per tentare di fargli cambiare idea ho usato tutte le armi e le strategie che potevo. Due mattine fa, sono ricorsa ad un piccante body. Ero veramente O. K. ! Mi sono avvicinata al mio uomo con movenze cadenzate e ho cominciato a fare la danza del ventre. Lui mi ha guardato e mi ha detto: “Ma dove vai vestita cosi? Lo vedi che poi ti contorci dal freddo!!!!” Insomma non riuscivo a smuoverlo neppure di una virgola. Ma….. Ieri mattina ….. finalmente il miracolo! Gli ho portato una colazione da favola al letto, mi sono avvicinata a lui come una gatta che fa le fusa e gli ho sussurrato : ”Franco, voglio un micio!” Lui mi ha guardato deluso ( si aspettava che gli proponessi qualcos’altro?) e spazientito mi ha detto: “Ancora?! Ma non la smetti mai con questa storia del botolo” “No, non la smetterò mai!
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Lo sai benissimo quanto è importante! Devi capire una volta per tutte, che per me avere dentro casa un gatto è come ritrovare un vecchio amico!” Franco, sempre più irritato, ha urlato: “IO TI DEVO CAPIRE, MA A TE NON IMPORTA QUELLO CHE PENSO IO!! IL GATTO E’ PIU’ IMPORTANTE DI ME!!!” Mi sono sentita un verme. Come posso far pensare questo, al mio dolce Franco, che il pomeriggio lo passa a casa con me e sta con gli amici al bar solo alla sera, che dice che sono una cuoca eccezionale tanto che non vuole andare a mangiare fuori, che quando usciamo per fare acquisti non mi tratta da femminuccia e mi consente di pagare con i miei soldi o mi permette di portare le buste della spesa? Un uomo così, non merita questo trattamento!! Mi rendo conto che ho esagerato! Franco inferocito (aveva uno sguardo che sembrava una tigre pronta ad attaccare la sua preda) ha ribadito : “Tu rompi sempre col fatto che da piccola avevi un micio, ma se lo vuoi proprio sapere anche io ho avuto un gatto da piccolo! L’ho sempre odiato quel bastardo, perché mia madre lo amava più di me! I soldi non c’erano mai, ma le scatolette per il gattaccio non mancavano mai! Tenere un botolo costa molto! Non voglio avere problemi per colpa di quella BESTIACCIA!!” Ho esagerato! Ho sicuramente esagerato!! Non volevo che reagisse così!!! Se ci fosse un incontro di pugilato, per punizione andrei a vederlo insieme a lui!!!! Mi sono sentita terribilmente in colpa. Per cercare di calmarlo gli ho detto: “ Ma caro, stai tranquillo tu sei il mio uomo! Per me, siete entrambi importanti!” Poi mi sono accorta che lui è rimasto perplesso e mi sono resa conto che la frase più che servire a consolarlo, sta rischiando di peggiorare la situazione.
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Ho continuato: “Lo sai perfettamente che, per quanto io possa desiderare un gattino, non c’è paragone tra l’amore profondo e sviscerato che ho per te e il semplice affetto che potrei provare per un micio. Mi piacerebbe che tu mi dessi il permesso e se tu lo facessi, non ti devi preoccupare per il denaro, ci penserei io alle spese e poi, che vuoi che costi! Se potessi ne prenderei tantissimi, chiaramente non per venderli, ma perché, per me, avere un micio è come avere un tesoro. Ma nonostante ciò, lo sai per me, il nostro amore è l’unica cosa importante e di valore !!” Forse ho detto le parole giuste oppure era semplicemente stanco di lottare,perchè ha annunciato con tono arrendevole: “Bene, vuoi un gatto? Avrai il tuo gatto!” Finalmente!!!! Non aspettavo altro. Tutto il giorno ho fatto telefonate ai vari negozi della città,ad amici, ad amici degli amici ed alla fine ho trovato quello che faceva per me e QUESTO MI HA FATTO ANDARE A LETTO DAVVERO DI BUONUMORE ! Stamani mi sono alzata di buon’ora per andare a comprare un gattino. Come sono entrata nel negozio il commerciante mi ha guardato, valutato e ha detto deciso: “Buongiorno, lei è la signora che ha telefonato ieri. Come l’ho sentita ho capito che una come lei (chi sa se è un complimento!) sicuramente vuole un gatto d’angora con un pedigree e le devo dire che è proprio fortunata,me ne sono arrivati tre proprio ieri !” E’ andato in un’altra stanza e poco dopo è tornato portando in braccio un dolce gattino d’angora bianco. Appena l’ho visto mi sono sentita la sua padrona. Il commerciante vedendo la mia reazione mi ha consigliato il MINIMO INDISPENSABILE per DOLCE (ho deciso che questo sarà il suo nome). Quando mi sono seduta in macchina, felice di tutti i miei acquisti, ho controllato lo scontrino.
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Sono rimasta interdetta: “Come faccio a dire a Franco che ho speso tutti questi soldi! Ho pagato con il BANCOMAT e non mi sono accorta che ho preso: Otto pupazzetti per giocare; Creme e polveri per pulirlo e proteggerlo; copertine; due giochi per arrotarsi le unghie; ciotole per l’acqua, per cibo caldo e freddo, lettiera, cuccia e chiaramente il prezzo di Dolce TOTALE € 2.000,00 MAMMIA MIA, ma se ho comprato lo STRETTO NECESSARIO? Se lo sa Franco si pente di avere acconsentito a farmi comprare un gatto! Come faccio? Lo so i soldi sono i miei, ma chi lo sente!” Già stavo immaginando tutti i rimproveri che mi avrebbe fatto e i rinfacci che avrei dovuto sentire sulle mille cose da lui desiderate che però non ho mai deciso di regalargli perché costavano troppo. Non ho visto altra soluzione..... non glielo avrei detto! Tutto il resto della giornata l’ho passato a mettere a posto la cameretta di Dolce e mi sono consigliata con lui per decidere come disporre gli oggetti. Ogni volta che mettevo una cosa nel posto sbagliato, Dolce rompeva qualcosa per farmi capire che non gradiva la scelta. Per farmi sapere che tra le copertine che gli avevo comprato non gli piaceva quella gialla, ne ha tirato tutti i fili con le sue unghiette e si è accoccolato su quella prescelta: La copertina a quadretti bianchi, rosa e celesti. Alla sera, ho sentito Franco che parcheggiava nel garage. Mi sono messa davanti alla porta di casa ad aspettarlo con Dolce in braccio. Franco è uscito dall’ascensore e davanti a me si è presentata una scena incredibile. Lui stava venendo verso di me con in braccio due gattini d’angora identici a Dolce. Non potevo credere ai miei occhi!!! Preoccupata gli ho detto: “Franco, ho creduto che intendevi dire che l’avrei dovuto comprare IO il gatto e invece avevi intenzione di farlo tu??!! Adesso cosa facciamo?” I tre gatti si sono prima annusati e fatti le fusa,poi hanno incominciato a rincorrersi ed a arrampicarsi da tutte le parti. Franco incredibilmente ha detto: “Li teniamo tutti e tre! Ieri mi hai detto che i gatti sono un tesoro. Ho
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pensato che effettivamente potevi avere ragione TU. Ho perso tutta la mattina per trovare un gatto che valesse la pena di essere comprato e gli unici che erano rimasti erano questi due che il commerciante non poteva vendere separati!” “TU sei un vero tesoro! Ma come faremo a tenerli?” Lui serafico mi ha risposto: “Noi dormiremo nella cameretta e lasceremo la nostra camera ai gatti così staranno più comodi” Il mio cuore è impazzito di gioia. Non avrò un gatto, ma addirittura tre! Non me lo sarei mai aspettata! Che uomo! Non me lo merito un compagno così! Io che lo ho sempre accusato di avere i braccini corti, di non voler spendere mai un centesimo! Che schiaffo morale mi ha dato! Chi sa se il commerciante ha fatto pagare una bella cifra anche a lui? Incuriosita gli ho chiesto: “Quanto hai speso?” “Il negoziante mi ha fatto un prezzo speciale, oltretutto mi ha regalato anche molte cose. Insomma ho speso solo € 3.000,00.” Meno male che ha speso poco!!! Secondo me è andato dallo stesso dove sono andata io! “Scusa caro, non è per farti obiezioni, ma avevi tutti quei soldi in banca?” Franco per nulla scomposto mi ha risposto: “Ho pagato con la tua carta di credito, lo sai che io non ho un euro!” Poi ha continuato: “Sai, sia Dolce, sia i miei due gatti hanno il pedigree e quindi, se faranno dei cuccioli, li venderemo a peso d’oro e riusciremo a mettere via un vero e proprio tesoro!” Sono rimasta interdetta, il mio uomo non si è smentito neanche questa volta, ma anche il silenzio... è d’oro!
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Dall’estetista Stefano Panicacci
Ieri ero decisamente di buonumore. Tanto di buonumore che oggi ho deciso di concedermi un giorno di vacanza per fare shopping. Sono due mesi che non vedo Pupy ed è tempo che vada a rovistare nella sua “Boutique” per vedere se ci trovo qualche cosina delle sue. Avevo deciso di alzarmi alle nove, rimango venti minuti a godermi il tepore del letto e di due piccoli raggi di sole che filtrano dalla persiana. Alle 9 e 20 mi strascico sotto la doccia e…ci rimango mezz’ora. Una vera goduria! Già che ci sono mi peso: 52 Kg. Non male. O come direbbe il mio amico Renzo Baggiani… ”Una gran topa!” Allo specchio mi regalo un sorriso soddisfatto: “Bambina mia…” (mi chiamo così dal giorno del mio ‘ntesimo compleanno) “…Bambina mia, hai ancora un fisico praticamente perfetto!”… Sennonché .... …..Sennonché una leggera rugosità nella zona interno coscia, subito sotto la ‘Teresina’ attira la mia attenzione: Per carità, niente di vistoso, un lembo di 4… 5 centimetri al massimo, ma… la scoperta è di quelle che ti infilano un maledetto tarlo nel cervello e lo lasciano a rodere finché ti porta alla pazzia… Si impone un controllo. “Mi ci vuole un’arancia” Corro in cucina, apro il cassetto della frutta e ne rovescio il contenuto sulla tavola. Cazzo! Neanche un’arancia! Bisogna arrangiarsi. Scarto le susine (troppo lisce), le pesche (la peluria mi
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irrita), le mele (buone per i glutei), le pere… (buone per altri “viaggi”), le banane… “Ma fammi il piacere…!” mi dico “…Sei senza slip! Come fai a metterti una banana fra le gambe…!” Alla fine trovo un limone. Si, il limone mi sembra che possa andare. Me lo metto fra le gambe …. e… “Merda!!!...” A parte il colore, la mia pelle e quella del limone sono identiche! “Fanculo lo shopping… e fanculo Pupy! Ci vuole un parere professionale!”. Torno in bagno e mi preparo velocemente. Un filo di latte tonico riattivante all’aloe vera, due gocce di siero antirughe al retinolo, un dito di crema urto botulino, anti-age alla vitamina E, idratante e restaurante, un tocco di contorno occhi riequilibrante. Poi un massaggio alle gambe per 5 minuti (come da istruzioni) con gel antiossidante alla caffeina ed uno per seno e glutei di 6 minuti (verso l’alto naturalmente) con un’emulsione rassodante. Mi pettino, passo una goccia di “printemp exotique” dietro le orecchie e sul collo e… “Niente male davvero!”. Mi vesto, metto un paio di decoltè in vernice nera con tacco a spillo di 10 cm e plateau di 2 e 1/2 e, finalmente, dopo una piccola sosta di fronte allo specchio dell’ingresso, per riassettarmi i capelli, afferro la borsa nera di Fendi ed esco. Il dubbio mi assale sul pianerottolo (non è che con le scarpe di vernice nera a tacco alto ci sta meglio quella rossa di Prada?). Rientro, cambio la borsa, mi riassetto i capelli, correggo una leggera sbavatura di rossetto ed esco per la seconda volta alle 10 esatte. Alle 10 e 02 cambio le scarpe a tacco alto con un paio di sandali in Naplack Bordeaux. Alle 10 e 10 torna nell’armadio la borsa di Prada e ne esce una D&G, decisamente più intonata ai sandali. Alle 10,15 rinuncio ai sandali eleganti ed alla borsa D&G per un più sobrio paio di Ballerine in tela Bluette ed uno zainetto di camoscio. Alle 11 e 5, finalmente, fasciata da un paio di jeans slavati ed una T-shirt blu, salgo sulla mia KA blu metallizzato e metto in moto. Mi aggiusto una ciocca di capelli e parto sgommando. A mezzogiorno in punto entro al <La nouvelle Renaissance> Salone di Bellezza – SPA – Centro di Abbronzatura – di Jean Louis Le Pomme de la Villepin. Dopo 20 minuti di attesa, chiedo a Fiorella, (una specie di tranvai incastrato a forza dentro un camice azzurro) se posso avere un caffè. “Macché caffè, perché non prende una bella tisana? Ne abbiamo una rassodante all’equiseto, una drenante, una dimagrante ed una alle erbe
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orientali antistress, antiritenzione idrica, antilipidica e anti…” “Grazie, ma preferisco un espresso!” Il tranvai mi guarda con commiserazione e mi indica una macchinetta su un tavolino vicino alla toilette. “Si serva pure!” Rinuncio al caffé. A mezzogiorno e mezzo arriva un bell’uomo, sulla sessantina, con baffetti da sparviero ed un pizzetto sale e pepe. Si avvicina con un sorriso mellifluo e si presenta con un baciamano in perfetto stile anni ’20 “Sono il titolare del negozio, in cosa posso aiutarla, Signora?” “Signorina, prego!” Arcua le sopracciglia in una espressione tipo ‘…zzi tua’ e si corregge “Ovviamente, mi scusi! In cosa posso aiutarla… Signorina?!” Preferisco non indagare su quell’ovviamente e cerco di andare diretta al nocciolo della questione “Vede Monsieur Jean Louis Le Pomme….” “Monsieur Jean Louis Le Pomme de la Villepin è il titolare della catena, Signorina.” Mi stoppa lo sparviero “…Lui vive nella sua <Beauty Farm di Chateau de la Bellerue en Provence sulla Haute Garonne> e raramente visita i negozi. Io sono semplicemente il Dottor Giancarlo Gustavo Visconti DeBenedetti, esperto in Medicina dell’estetica, dietologo, dermatologo ed endocrinologo e responsabile di questo centro. Ma lei mi chiami semplicemente Giangustavo.” “Ah, d’accordo monsieur Jean-Gustavò… (non so perché uso l’accento francese, ma lui sembra apprezzarlo)… Avrei un problema, ma che dico, … un problema… un problemino…. o forse sarebbe più giusto chiamarlo…. Una semplice preoccupazione… Insomma vorrei sapere se ho la cellulite!” Senza cambiare il suo sorriso appiccicoso, lo sparviero mi spoglia con gli occhi e mi spara una cannonata nello stomaco. “E’ probabile!” Rimango in apnea per 30 secondi. Riesco ad articolare uno sbiadito “Come scusi?” “Signora… Pardon Signorina… oltre il novanta percento delle donne, alla sua età, soffrono di Pannicolopatia Edemato Fibro Sclerotica” Lo dice come fosse la cosa più normale del
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mondo! “Pannicoloché…? …E che cazzo è?” “Prego?” Non sorride più e questa la considero una vittoria, ma sento di dover recuperare credibilità. “Scusi!... volevo dire che non ho afferrato bene. Mi interessa solo sapere se ho la Cellulite?” “Come le ho già detto, è molto probabile…..” torna a sorridere accidenti a lui! “…Vede Signorina, cellulite è una definizione impropria, in quanto presumerebbe una patologia a carico delle cellule che, tuttavia, nella maggioranza dei casi non c’è! Si tratta invece di una serie di fattori che sommandosi fra loro, producono una alterazione del microcircolo, con stasi della circolazione linfatica e rallentamento di quella sanguigna………. La spiegazione dura 20 minuti. “….Sono stato chiaro?” Non ci ho capito niente, ma ho la netta sensazione di essere invecchiata di 30 anni. Faccio cenno di si e lui conclude “Bene! Lei quindi capisce che… per un fisico “quasi” perfetto come il suo quei 20 o 30 cmq di Pannicolo fibro sclerotico (ma non erano 4 o 5...?) rappresentano davvero una... (la frase resta a metà ma l’espressione di compianto è più chiara dell’acqua di sorgente). Gli chiedo cosa rende un fisico che io vedo “praticamente perfetto” solamente “quasi perfetto”. “Vede, la cellulite non è il suo solo problema! Ci sarebbero da considerare anche….” E mi snocciola una lista di altri difettucci mai notati prima, ma che ora il suo occhio esperto, rende brutalmente evidenti. Finalmente mi affida alle cure di una solerte estetista “Manuela!? Vuoi prenderti cura della Signora… mi scusi… è più forte di me! Della Signorina per favore?” La fanciulla mi guarda con un sorriso ebete e mi porge una mano appiccicosa “Buongiorno… Mi chiamo Emanuela, ma lei mi chiami pure Manu…” Per venti minuti Manu prende nota dei miei dati personali, delle mie “cattive abitudini” (che a me non sembravano poi tanto male), dei miei vecchi e nuovi problemi e di una serie di altre informazioni che, non avendo nulla a che vedere con l’argomento in discussione, mi danno l’impressione che la fanciulla (un metro e 60 di altezza per 1,60 di circonferenza) sia un tantino invidiosa. Alla fine, dopo aver riempito 4 pagine di geroglifici, sentenzia che, sia la
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Cellulite che i difetti scoperti da Monsieur Jean-Gustavò non devono essere i miei soli assilli. “Cara mia! Per un ‘bel fisico’ come il tuo ci vorrebbe più considerazione!” Le dico che il suo datore di lavoro giudica il mio fisico “quasi perfetto”. “Quasi perfettoooo?!? Ma dai! …Il signor Giangustavo ha una visione molto ‘panoramica’ del corpo delle donne, ma per apprezzare e giudicare i dettagli ci vuole un occhio più ‘attento’ e ‘professionale’ di quello di un uomo… “ -Cazzo!…- Ho pensato -…Sto Giangustavo M’ha praticamente spogliato con gli occhi, più attento e professionale di così non c’è che una radiografia… “…Nel tuo caso, mia cara …“ continua intanto la fanciulla, “…siamo ben lontane da un fisico quasi perfetto!”. Improvvisamente mi è chiaro il perchè le Estetiste ti danno del tu. In effetti il ‘confidenziale’ “Hai un fisico da ciabatta” è molto meno sgradevole di un ben più drammatico “Lei, Signora, ha un fisico da ciabatta!” Quindi chiama una pertica di 1 metro e novanta per 20 cm. presentandomela come ‘la sua collega Lorella’, e mi obbliga ad elencare la lista aggiornata dei miei difetti. Quando arrivo al dunque, decido di impressionarle “Stiamo cercando di capire se ho una pannicoloplasia dermato fibrio spleroica. Scoppiano a ridere, “Vuoi dire pannicolopatia edemato fibro sclerotica?...” sentenzia 1,60 per 1,60 mentre 1,90 per 20 annuisce. “…Meglio chiamarla CELLULITE”. Forse dovrei dirle che la definizione CELLULITE è impropria e rivogarle tutti i bla… bla … bla… di Monsieur Jean-Gustavò, ma non me la sento di frustrare le sue convinzioni. “Chiamala come cacchio vuoi! Io mi sono rotta i coglioni di questa manfrina. Quello che mi interessa è sapere se ce l’ho o no e se me la posso togliere!”. Dopo lo sbandamento iniziale, ne nasce una discussione a cui partecipano Jeangustavò, una onicotecnica (sarebbe una che si occupa di unghie), un podologo, un massaggiatore, due rappresentanti di cosmetici, una esperta di fiori di Bach, un fisioterapista, una iridiologa… ……..
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…..Mi hanno fissato 50 appuntamenti per allungare le gambe, renderle più magre, ridurre la rilassatezza muscolare, rendere le dita più affusolate, allungare le unghie di 5 cm., decorarle con fiori, farfalle, stelle, ed una riproduzione di “guernica” di Picasso, rassodare il seno (non ho capito se mangiando fieno o spalmandomelo con del fango sulle mammelle), rassodare i glutei, ridisegnare le sopracciglia con una linea meno ‘.... a zoccola’, rendere le labbra più carnose con una linea più ‘.... a zoccola’, la pelle più liscia sul viso, meno rugosa sulla schiena, più morbida sul ventre e meno ruvida sulle cosce e……. “Trasformeremo il tuo fisico da ‘men che decente’ qual’è ora in un corpo “pressoché perfetto”! Mentre esco dal centro sento una irrefrenabile voglia di piangere.
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La tentazione Marzia-Sofia Salvestrini
Ieri ero andata a letto di buonumore. E pensavo. So che la storia non si fa né coi se né coi ma, però se io non avessi accettato quel viaggio, se non avessi deciso di accettare quell’invito un po’ folle, forse non sarebbe successo niente di tutto questo. Mio figlio dice che non si può commettere un assassinio e poi lavarsene le mani e che anche se sei solo il complice tu ci sei. Lui dice che non si tira indietro, ma che si sente in colpa. Sospetto che non sopporti il fatto di vedermi così presa. Per lui la cosa deve essere quella che lui crede sia. Solo interesse. E’ un giovane contemporaneo. Gli abbiamo infuso consumismo e benessere nel biberon a colazione. Sogna la ricchezza. E forse si chiede perché sua madre sia l’unica sciocca che da sempre pensa solo a quello che prova e non a quello che trova. Pensa che invece dovrei farlo. Anche se non si chiede affatto se sia o meno morale. E se anche io mentissi a me stessa? Forse per darmi un’aura di pulizia, una specie di verginità morale? Se anch’io sentissi questa storia solo come le pagine di un romanzo che troppo spesso la vita ci nega? No, non credo. Mi piace veramente quest’uomo. Mi piace moltissimo. E’ un Luna Park di luci e di colori che mi accende la sera. E per sera intendo la mia età. Avete un bel dire che sono giovane. Anche ritoccando di dieci anni la carta d’identità, non ridivento neppure una briciola minorenne. Ho 47 anni. E un figlio di 19. Bubi è scoppiato improvviso e violento come un temporale estivo nel grigio stazionario della mia vita monocorde. Proprio nel momento in cui pensavo che esistere fosse un mistero svelato. Il nulla. Un piccolo bacillo di infezione ha risvegliato i miei anticorpi.
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‘Ehi sai che c’è’ mi sono detta, ‘perché vivo di questa morte e non muoio di questa vita?’ Lui si è spinto lentamente verso la mia anima, verso i miei più segreti ingranaggi. Improvvisamente mi muove il muscolo della sopravvivenza, mi fa battere ancora il cuore, mi scombussola lo stomaco, mi acchiappa l’intestino, mi stritola la milza. Mi rende folle di passione. Mi illude di vivere. Mi fa credere che non morirò. Credevo che già questo fosse sufficiente, ma non bastava. Poi, succede l’imponderabile. Quando meno me lo aspettavo, mi si apre un nuovo traguardo e l’imprevista vittoria non lo rende meno dolce, anzi. Provo di nuovo la sottile follia della realtà che si trasforma nel sogno, e del sogno che assomiglia proprio tanto a questa realtà, e questo proprio quando ormai ero già sveglia. Peter ha detto che ritorna. E ritorna… Nel senso che torna quello che era, o forse quello che io ho sempre sperato lui fosse. Mi dice cose che sembrano scontate ma che avevano, negli anni, assunto contorni sfumati, lontani. Connotati, persi nella memoria, rivoli di sangue che colano dalla mia armatura, in questa stanca battaglia quotidiana. Immersi nella guerriglia sterile di questi due poveri cuori che, per cercare di non amarsi più, tentano a tutti i costi di detestarsi. Due vecchi cuori che sono molli e rigidi allo stesso tempo. Amari e dolci. Peter torna. E mi stupisce ancora. Facendomi riscoprire suo malgrado una simbiosi che mi fa intravedere un futuro di calma e di speranza. Anche se con un filo di paura, mi spingo a pensare che sia facile ricominciare. Io credo che ci sia sempre una chance da dare, che si debba farlo, che lo si debba ad un amore che si muove ancora piano ma deciso, dentro le radici di te, nell’intestino e nello stomaco. Un amore che stava per essere evacuato. Ma che non era ancora stato digerito. E allora che cos’è quello che provo per quell’altro? Una passione amorosa? Un sogno ad occhi aperti? Ebbene sì. Dall’altra parte, il sogno luccica come una giostra impazzita.
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Un nuovo cuore salta dentro di me, vivo e determinato, acceso in un carosello di suoni e di colori. E’ musica che mi lascia stordita e con le ginocchia tremanti. Mi appanna lo sguardo che si fa vuoto e sognante. Mi schiude il desiderio che mi pulsa tra le cosce e mi stimola la follia. Una nuova vita che mi appare sempre più nitida, eppure non paurosa. Faccio cose che non ho mai fatto, con una leggerezza che non conosco e le sento giuste al di là di ogni stupida morale. Accetto il risarcimento a piene mani. Guardo la mia pesca miracolosa e avverto con stupore la sottile decisa presenza di un riscatto. E io mi ripago, a piene mani, decidendo di mentire, di nascondere, di fare il doppio gioco. Solo così, sento di poter esistere… e io lo voglio, esistere. Non ne sono scossa, né ferita né dubbiosa, ma certa. Inesorabilmente sicura. Non ho più valori che non lo includano, questo gioco stupendo ed eccitante che è l’abbandono al piacere. Ma…(ancora i ma )… Milioni di pensieri si affollano nella mia testa e si scontrano con la ragione ammuffita. Quella stessa ragione che forse, anche nelle segrete stanze e distanze della mia coscienza, si affaccia timida. Quella stessa ragione che pure a piccoli passi ti fa sentire anche che non puoi buttare via questo amore nuovo. No, non puoi spaventarlo e ferirlo. Quando sai che è così vivo, così inatteso, così sicuramente penetrante e presente. E allora mi chiedo, che cosa ne sarà di noi? Che cosa ne farò di noi ? E il mio sogno? Che poi di quale sogno parlo? In realtà io non so quale sogno rincorro al mattino… Quale Sogno, sogno, che ormai mi sia rimasto davvero. Dopo tutti questi anni di rotture di Sogni? Forse adesso siete entrambi tristi. Entrambi lontani. Quale assurda coincidenza che io, l’oggetto del vostro contendere
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ignaro, sia qui da sola e non sappia chi di voi debba più ricordare, a chi di voi debba pensare di più? Il vecchio amore, così fresco di addio, eppur così sconosciuto. D’un tratto così nuovo, seppure così antico e sicuro. O il nuovo amore, così eccitante e così frizzante. Leggero e naturalmente rapace, dominante. Così deciso e prepotente. Come inspiegabilmente pieno, saturo di una atavica sapienza. Infinitamente perso, nella dolcezza stupita della conquista. Ora, mentre cerco di dormire e mi giro di qua e di là nel letto vuoto, penso che voglio il vecchio amore. Il vecchio amore che torna, con la sua nuova acquisita sicurezza, così stupefacente. Teso e disordinato, tra il vacillare delle sue antiche incertezze. Come freddato, gelato, da una sapienza nuova che assurdamente lo colpisce. Come centrato da un fulmine nel mezzo di un temporale estivo, spostamento d’aria che gli spalanca le ferite e gli riapre le cicatrici, strizzandogli l’intestino. Spostandolo nel tempo e nello spazio… a ritroso. Buttato in un amore che già allora lo aveva reso schiavo e muto, derubato di ogni progetto, di ogni volere, non fosse quello di avermi e di soffocarmi tra le sue braccia con una insolitamente timida audacia. Una sapienza (nel senso dell’improvvisa lezione imparata) colpita a morte. Scosso dalla vita con forza, come una casalinga scuote un materasso sul balcone della storia. Preso a schiaffi dagli eventi e dal tempo che scorre. Un tempo apparentemente sempre uguale e lento seppur concitato. Un amore, per lungo tempo ignaro, un pezzo di amore andato a male. Un amore che sentiva stagnargli dentro come in un laghetto artificiale pieno di insetti molesti, la noia. Lago di melma e di terra sporca e maleodorante. Stagno calmo, senza guizzi né schiarite. Palude senza pesci, né selvaggina. Gora senza un solo alito di corrente che trascinasse via le pesanti ingombranti scorie, i sacchetti di plastica appiccicati alla riva e le vecchie ciabatte che galleggiano sul filo dell’acqua. Povere vecchie cose, come lingue aperte a dileggiarti. Povere vecchie cose tese a ricordarti la stanchezza e la schifezza della tua condizione. Eppure, così selvaggiamente, a stomaco e a pelle, sicuro che non ce ne sarà un altro, di amore, dopo di me. Che non ne vorrai mai un altro, che non ne
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saprai mai riconoscere un altro. Di colpo ti è chiaro. Vuoi me. E questa scoperta ti colpisce in pieno volto. Ora voglio il nuovo amore. Quell’amore che irrompe, così intenso e così esperto. Pronto a farmi rivivere emozioni che credevo assorbite e digerite, a farmi riscoprire la banalità di un sorriso, la gentilezza del tremore di una mano, che ti sfiora e trema. Pronto a farti riprovare d’ incanto il folle e sconosciuto desiderio della mia pelle così sorprendentemente nuovo, così appagante, seppur così stancante, ma divertente. Così assolutamente inaspettato. Come un gelato alla panna mangiato ad occhi bendati. Come dieci anni di vita cancellati dalla carta d’identità. Come il sapore proibito della follia che non fa male, non ferisce, non confonde. Il cuore che saltella come un bambino nel parco. Rincorre le luci intermittenti di una fiera paesana. Come un circo con i clown e gli acrobati senza rete. Con la banda che suona canzoni popolari e la gente che ride con le palle di zucchero filanti in mano e le ruote che girano in alto, mentre l’ottovolante striscia via veloce e lontano. Pericoloso e felice. Un amore che promette avventura e rischio, follia e paura. Ricordi ed accordi. Musiche impazzite e stonate che si rincorrono in un juke box scassato che si spinge a colpi soffocati. Fucili scoppiettanti che ti scattano una foto mentre ridi, con una smorfia felice, e i pesci rossi nei sacchetti di quando eri bambina. Perfino con la pesca all’oca, così antiquata e fuori moda da apparire patetica, ma che la novità scalda come fosse una coperta di piume. Di colpo mi è chiaro. Voglio anche lui. E questa scoperta mi colpisce in pieno volto. LI VOGLIO ENTRAMBI! L’Uno perché è la pace sicura del faro vicino al porto, l’ormeggio silenzioso della vecchia barca che si culla in un buio amico, ma sempre puntato di stelle. Ti calma e ti brucia. L’Altro perché è il calore del sole sulla faccia mentre la sabbia ti solletica la schiena, il mare che ti rinfranca e ti rinfresca, la pelle che brucia. Ti brucia e ti calma.
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L’Uno è quello che scrive quello che tu avresti sempre sognato scrivesse e improvvisamente diventa quello che hai sognato diventasse… e dice di amare te, solo te. Quella te che lui ha sempre detestato. Quella te che ha fatto di tutto per cambiare, per allontanare. Per distruggere. L’Altro è quello che telefona anche se gli è impossibile farlo, che dice parole che non osa dire, che fa cose che si stupisce di fare. Quello che si inventa follie inaspettate. Momenti che sono attimi rubati al tempo e allo spazio, deleteri alla ragione ma ottimi per lo spirito. Acerbi come un frutto dolceamaro, eppure un frutto di cui sei golosa. Voi due mi dite le stesse cose. Toccate la mia pelle all’unisono e usate le stesse parole per descriverla. Voi la baciate come se fosse e dovesse essere solo vostra. La pretendete. Voi, e la vostra anima leggera e pesante al tempo stesso, siete golosi di un qualcosa che non sapete. Entrambi ambite di infilarvi dentro di me. L’uno un po’ più in fondo dell’altro. Protesi a scoprire un territorio più segreto. Oasi che vi faccia primeggiare sull’altro. Quello che è solo un fantasma per l’uno, ma che lo è anche per l’altro. Voi, a combattervi con ogni arma in una gara che solo io dirigo. Voi vogliosi e spasimanti entrambi, alla ricerca di una speranza di vita dentro le mie cosce. Tavola calda accogliente per entrambi. Oasi agognata. Isola nella tempesta. Raggio di luce nel buio. Ognuno di voi certo di essere il solo. Certi di nutrirvi solo dei miei sapori, dei miei odori, delle mie urla. Quelle che sperate siano solo per voi. L’ uno così stranamente coinvolto. L’ altro così stranamente ri-coinvolto. Un amore nuovo e un amore antico. Due piatti golosi e saturi di calorie. Ambedue alla mia portata, alla mia tavola, nel mio menu. Prego, voglio che mi siate serviti su un enorme piatto di vetro decorato e degnamente
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riempito di leccornie e di decorazioni barocche. Un piatto da gourmet. Siete due piatti di cui io mi sazierò, o forse siete qualcosa con cui mi strozzerò. So che vi mangerò fino in fondo, entrambi, fino alla colica. Perché io vi voglio, perché siete miei. Perché mi spettate. Io vi ho ispirati, io vi ho realizzati, io vi ho decorati. E io vi mangerò. Due uomini per me. Forse mi amate entrambi, e forse vi amo anch’io. Forse. Chi mai avrà detto che si può amare una sola volta per volta? Anche stamattina mi sono alzata di buonumore Il telefono ha squillato, due volte. Io l’ ho lasciato suonare. Poi ho guardato le chiamate perse. Erano loro due. E allora mi son rimessa a dormire… di buonumore
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Una notte speciale Emanuela Sommi
Ieri ero davvero di buonumore. Dal fondo di un cassetto era emersa una manina di lana rossa, con il pollice sfilacciato. Sapevo benissimo dov’era l’altro guantino. 24 dicembre 1959. Il natale dei miei 5 anni. Per una volta felice d’andare a letto, ferma immobile, con gli occhi sgranati nel caldo delle coperte, aspettavo i fruscii incantati di Babbo Natale. Quella era la sera più speciale dell’anno e tutto poteva accadere. Alle 10 e mezza, il telefono fece a pezzi la magia. Voci, bisbigli sempre più concitati. Se mio padre si concedeva un “mannaggia la zozza impestata!” la faccenda doveva essere seria, e poi il turbinio avanti e indietro per il corridoio: “Ernesto, fa freddo, non puoi uscire senza cappello” “Dove diavolo s’è cacciata la sciarpa?!” “Non penserai mica di andare in giro in ciabatte?!”, e alla fine, tutta per me, la fucilata: “TU! Tornatene a letto, che queste sono cose da grandi” Ma come!?! Natale non era per i bambini? Uscito papà, mia madre, seduta accanto al telefono, si torturava le mani: “Lo sapevo … lo sapevo!...TORNATENE A LETTO, HO DETTO!” Sospirava, si alzava, correva in cucina, tornava a sedersi. Al terzo giro, un pensiero mi trafisse il cuore: ”Babbo Natale s’è perso per strada!” All’improvviso il campanello di casa. Mia zia si scaraventò dentro ululando “L’ha fatto ancora!” “Calmati Evelina! Stai calma. Vedrai che lo troviamo… Tieni, bevi un sorso d’acqua” All’improvviso ancora il telefono. Fulmineo lo scatto di mia madre… zia Evelina, con un colpo di reni, dribbla la pattumiera, abbatte due sedie e guadagna la porta. Mamma l’afferra per il golfino, ma la zia Evelina la schiva con un salto, ed
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è quasi sulla cornetta… quando mamma si lancia a corpo morto, rimbalza sullo stipite e… : ”PRONTO! Ernesto… l’hai trovato?… AL BAR?! Come al bar?!?... Ma c’è o non c’è?... Che significa ‘I soliti tre’??... - Zia Evelina scuoteva la testa - Ma come facciamo a venire? Dove la lascio Giada?... e va bene VA BENE, ho detto. Arriviamo” “Mamma, che succede? Perché dobbiamo uscire?” “Svelta! Metti il cappotto… fai in fretta. Cappello, sciarpa e i guanti, che fa freddo! Sì quelli rossi, dai!” Fantastico! Per strada il gelo ci fumava dal naso e la festa di mille lampadine colorate aspettava solo noi: io, mamma e zia Evelina, in missione specialissima. L’eco dei passi nella strada addormentata. Quasi di corsa, trascinata per un polso, capivo ogni metro il guaio di avere le gambe più corte degli altri. Mamma trottava dietro a Zia, che continuava a brontolare come un temporale in fuga. “25 anni di questa vita! Ma ti rendi conto!?!” “Devi avere pazienza. Lo sai che Gaspare è fatto così” Zio Gaspare era il mio preferito. Aveva girato tutto il mondo sulle navi e adesso, che era in pensione, dentro una casa proprio non ci si sapeva vedere. Così ogni tanto, zia Evelina piombava a casa nostra urlando che “Basta! Questa è l’ultima volta! Adesso cambio la serratura e chi s’è visto s’è visto!!” Ora, non era tanto il fatto che zio Gaspare se ne andasse per qualche giorno, quello che la mandava in bestia, era che doveva sempre andarlo a riprendere, perché non aveva per niente il senso dell’orientamento e una parte o l’altra della città, per lui era lo stesso. Il bar profumava di calduccio alla vaniglia e la signora Rosa, nonostante fosse più arrabbiata di zia Evelina, mi mise davanti un tazzone fumante di cioccolato e un cornetto alla crema :”Ma guarda questi tre imbecilli!!”
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I tre imbecilli non eravamo noi, ma zio Gaspare, il marito della signora Rosa e il ‘monnezzaro’, un omone nero con un sacco sulle spalle, che sorrideva con i denti bianchissimi e mi diceva “Bela bimba” ogni volta che saliva a svuotare la pattumiera. “E certo!! Se ne vanno in giro per la città, sti cretini! Gliene importa assai se una si danna l’anima per lo spavento!” Manco c’avesse inseguito, anche qui squillò il telefono, ma vista la stazza della signora Rosa, nessuno osò tentare il sorpasso: ”PRONTO” ruggì a gambe larghe, con il pugno sul fianco “…A FIUMICINOOO!?! E CHE CAVOLO CI SONO ANDATI A FARE A FIUMICINO??... Ellosapevo..!... Eccerto si capisce..!...Ma che imbecilli idioti!... Grazie signor Ernesto… sì, all’edicola. L’aspettiamo lì” sbattè la cornetta al suo posto, che doveva avere un rinforzo metallico, visto il carattere della signora Rosa e le crepe sul muro. Dunque papà ci veniva a prendere e, nel cuore della notte, si andava tutti a Fiumicino a riprendere zio Gaspare e i suoi amici! Non era BABBO NATALE, ma era comunque un’avventura stupenda! Miliardi di stelle splendevano nel nero. Adesso in pole position c’era la signora Rosa, che ci trascinava tutti nella sua scia di rabbia e vaniglia, verso l’edicola sulla statale “Quella trojetta!” continuava a ripetere E intanto Zia Evelina, con le mani strette al collo di pelliccia, tentava l’allungo “QUALE trojetta, scusi!” “15 anni, 16 al massimo!” “Ma chi, scusi CHI?” trottava zia, sempre più querula. “Come una figlia l’ho trattata! Tutto le ho insegnato! Tutto! Che quella non sapeva riempire manco una zuccheriera !” tuonava la signora Rosa “MA INSOMMA! MI VUOLE DIRE DI CHI STA PARLANDO?! PER LA MISERIA!!!” Si bloccò zia, urlando e ansimando.
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La signora Rosa si voltò di scatto come una leonessa inferocita. “Non lo sa? E allora glielo dico io: l’inverno scorso mi entrò nel bar questa ragazzina. Sporca e affamata come un cane randagio. ‘Vuoi guadagnarti da mangiare?’ faccio io. ‘Sì’ mi fa lei con un filo di voce. Le mostro gli stracci, il secchione e tutto il resto. Si mette lavorare come un soldato. Impara alla svelta. Arriva a servire ai tavoli. Precisa, gentile con tutti, sempre col sorriso in bocca. Mi ci ero pure affezionata, scema che sono!..” “Sì sì! Adesso me la ricordo! Anche carina... E allora?” “Allora un bel giorno sparisce!” Dal fondo della strada due fari: è papà! “ Forza, salite” Schiacciata tra le cosce ossute di zia Evelina e il sederone della signora Rosa, cercavo inutilmente di salvare il lembo del cappotto, sepolto sotto quella montagna di ciccia vanigliata. “Ma insomma è sparita così, senza un motivo?” chiese mamma “…Veramente un motivo ci sarebbe…” fece zia Evelina, indicandomi col mento e le sopracciglia che andavano su e giù. Io non c’entravo per niente, ne ero sicurissima, ma zia doveva pensarla diversamente, perché si girò verso il finestrino, con la faccia scura. “Oh insomma! Ti vuoi spiegare?” cominciava ad irritarsi mamma “Era incinta!” sbottò zia con l’aria di chi c’è tirato per i capelli “Signore, per favore!!... C’è la bambina!” protestò papà “Guardate che so benissimo che significa, pure se ho 5 anni!” dissi offesissima, a braccia conserte. “Me l’ha detto Gaspare..” “Evelina! Non mi vorrai dire che lui e quella lì…” “Mannòò!! Che vai a pensare!!” “Ne sei sicura.. .?” “Ma scherzi?!” “Ci metteresti la mano sul fuoco?” “MACCHEDICIII!!!!!” “Evelina!... Tutto è possibile” sentenziò mamma minacciosa. Poi si girò a guardare la strada. Da quel momento più nessuno parlò. Chissà perché tutti sembravano arrabbiati. L’avventura non mi sembrava più così stupenda, anche perché il sedere della signora Rosa stava sicuramente lievitando, come i suoi maritozzi e presto avrebbe invaso tutto l’abitacolo. Nessuno se ne accorgeva, ma tra poco avremmo fatto una fine orrenda. E domani i titoli sui giornali: “Famiglia sterminata, morta soffocata da un sedere”
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“Ma perché Fiumicino?” chiese mamma Papà cominciò a ridere ” Me l’ha spiegato Amilcare, quello della pescheria. L’ho incontrato per caso. Dice che stamattina gli ha dato un passaggio. A tutti e tre. Dice che erano allegrissimi, che cantavano.. “Ecco! Pure ubriachi!” ringhiò la signora Rosa “E che Gaspare…” continuò papà “…. Scusa Evelina, ma è proprio sciroccato tuo marito, senza offesa… Insomma che voleva a tutti i costi andare lì, perché diceva ‘Quella luce non mente mai’…” “Quella luce? Quale luce?” “Il faro!” “Ommadonna!cominciò a piangere zia- Ma allora è proprio arrivato!... Oh povero…! Povero marito mio!” “Sissì…povero… Evelì, ma ti vuoi svegliare?” fece acida mia madre “Adesso mi ricordo!... Massì! A Fiumicino!...” - s’illuminò di sacro furore la signora Rosa – “…E me l’avevano pure detto! Quella, la trojetta, era scappata con Peppe… Ve lo ricordate? Il garzone del falegname... Quel bel ragazzo, tanto educato… Ma certo! È così che fanno quelle lì! Ti imbambolano col faccino pulito e ti fregano! Ah!... faccia pulita e anima lercia!” “Mallora… i nostri uomini?...il mio Gaspare?!?” fece zia Evelina tra singhiozzi e trombe disperate nel fazzoletto “Coglioni! Tutti coglioni, con rispetto parlando! E il suo, mi scusi signora Evelina, ma è anche un po’ fuori di testa.. Scusi, sa, che poi si tira dietro pure il mio e quell’altro imbecille.. Come l’altra volta, che siamo dovuti correre a Monte Mario, perché secondo loro, ci doveva passare una cometa…Mi dia retta, signora, lo faccia vedere” “NAAA!! NAAAA!! NON DICA COSÌ!!” ululava ormai zia Evelina
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Il faro di Fiumicino era una torre nera, altissima e misteriosa, che sparava fasci di luce sul mare e lo faceva brillare più delle stelle. Dappertutto c’era un odore bellissimo, che mi faceva ricordare l’estate, e la voglia di correre coi piedi nell’acqua, anche se mi sentivo le gambe un po’ molli e gli occhi pesanti come due palle da tennis, perché doveva essere notte fondissima, e io non ero mai stata sveglia così tanto. “GASPARE!” fu allora che zia Evelina si catapultò fuori della macchina e corse a braccia aperte verso una figura nera, che pure gli correva incontro. Quando si abbracciarono sotto la luna, capii perché zio Gaspare era il mio preferito: non era tanto perché aveva mille storie da raccontare e nemmeno perché non si arrabbiava mai e sembrava sempre contento, ma solo perché era terribilmente facile volergli bene…o forse perché tutte quelle cose erano legate insieme. “Venite, venite… ma fate piano…” bisbigliò, come chi custodisce una gran sorpresa. Dentro al faro c’era una calda luce dorata. “Guardate..” “È… è lei!...” disse la signora Rosa, e chissà perché non sembrava più tanto arrabbiata. Seduta in mezzo al fieno una ragazza sorridente teneva in braccio un bimbo bellissimo. Accanto a lei un ragazzo, che sembrava un principe povero, le cingeva le spalle orgoglioso e ogni tanto le baciava piano i capelli. Accucciati ai lati dormivano una mucca e un asino. “ Mamma, è bello quel bimbo vero?” “Sì, è molto bello” Bello, era bello, anche se visto l’odore, più che addormentato, secondo me doveva essere svenuto. “Gli vuoi fare una carezzina?... Piano però, senza svegliarlo” La calda luce dorata aveva acceso un sorriso sulla faccia di tutti ed io mi sentivo buona, ma così buona, che giurai di non tirare mai più calci al gatto fetente della portiera. Mai più avrei sputato nella merenda di quella smorfiosa di Marilina e GIAMMAI! avrei messo in giro la voce che Marco Fiaschetti attaccava le caccole sotto al banco. Adesso ero buona. Buona e generosa: “Fuori fa freddo… mi sa che appena esce, questo si prende il raffreddore.. Posso regalargli un guantino?” Papà e un furgoncino del pane riportarono tutti a casa. Finalmente a letto, mi lasciai abbracciare dalla stanchezza.
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“Ma come si chiama quella ragazza?” chiesi dal fondo del sonno “Si chiama Maria”
Il sorriso bellissimo di mamma fu l’ultima cosa che vidi quel giorno.
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Giada e gli amanti dei cani Giancarla Somazzi Tre giorni fa ero davvero di buonumore perché finalmente mio marito, quando gli ho ripetuto per l’ennesima volta che desideravo avere un cane in casa, invece di urlare e andarsene fuori ha semplicemente fatto finta di non sentire. Saranno i primi segni di cedimento? Ho sempre desiderato avere un cane, ma Enrico non vuole assolutamente che ce ne sia uno in casa. Dice che sporcano, puzzano e ogni volta che gli dico: “Enrico, sono sempre sola, tu lavori continuativamente, prendimi almeno un cane per farmi compagnia!!” Lui mi risponde: “Giada, non fare la bambina! Pensi che mi diverta a lavorare? DOMANDAMI TUTTO, ma questo non me lo puoi proprio chiedere!!!! Se avessimo un cane dentro casa non riuscirei neanche ad entrare nell’appartamento!!!” Ora “domandami tutto” è chiaramente un modo di dire, perché tra il suo stipendio e il mio, la parola TUTTO corrisponde a una pizza con acqua minerale frizzante. A dir la verità mi piace più naturale, ma ogni tanto bisogna esagerare! Per quanto riguarda i cani, non so se dipende da un morso avuto da bambino, ma Enrico non li può proprio vedere e questo lo rende selettivo addirittura anche con le amicizie. Le persone, per lui, possono avere mille difetti, ma, mai possedere un cane! Dice che chi, nella sua abitazione, ha un cane è una persona trasandata e che non ama l’estetica. Insomma, per farla breve, per lui i padroni dei cani sono peggio degli appestati. Non posso descrivere il mio stupore, quando al pomeriggio si è presentato con un Cocker biondo. Quando ha notato la mia faccia sorpresa,
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ha detto, mentre il cane
abbaiava: “Giada, non so che cosa ha di speciale questo cane, ma come mi ha visto, mi ha fatto le feste come se io fossi il suo padrone! Non ho resistito e l’ho preso!” Mi sono data un pizzicotto, ho controllato che il soggetto che stava parlando fosse proprio mio marito. Sembrava proprio che fosse Enrico! Solo che per me vedere mio marito e un cane nella stessa stanza è come vedere atterrare gli U.F.O. Comunque, poiché i due, nonostante i lividi sul mio braccio, erano ancora nell’appartamento ho proposto: “Ormai che è in casa, sarei tanto felice se ce lo tenessimo!” Enrico, bruscamente mi ha risposto: “Cara, ti pare che avrei il coraggio di abbandonarlo? Vorrà dire che poiché tra poco è il tuo compleanno, lui sarà il mio regalo per te. Sei contenta? Ben rimarrà con noi!” Stanca di darmi pizzichi al braccio, mi sono arresa all’evidenza piena di gioia: questo è un vero e proprio GESTO D’AMORE!!!! Finalmente mio marito ha capito l’affetto che può dare un cane e si è ricordato del mio compleanno che è tra cinque settimane. La mia felicità è dovuta anche alla cattiva memoria di mo marito che spesso dimentica i miei compleanni, tanto che l’ultima volta che lo abbiamo festeggiato, era tre anni fa. Me lo ricordo perfettamente, perché in quell’occasione invitò anche Antonietta una sua parente, tutte curve. Mentre mi abbandonavo ai ricordi, mi è venuto un dubbio: “Ma come fai a sapere che si chiama Ben?” Enrico, infastidito, mi ha risposto: “Lo ha scelto il cane! Prova a chiamarlo.” L’ho fatto e l’animale si è girato scodinzolante. Non ci posso credere!!!!
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HO un cane!!!! La mattina dopo mi ha dato il buongiorno con una leccatina sulla mano, ha voluto tanto coccole e mi ha tenuto compagnia. E’ proprio come avevo sempre sognato!!!! Anche Ben è felice : non vuole il cibo cucinato per lui, ma mangia volentieri l’arrosto con le patate e le lasagne al forno, non gradisce il pane e si degna di assaggiarlo solo dopo che è stato inzuppato nel sugo al ragù, quello al pomodoro non è di suo gusto! Ha preso possesso della mia ex-poltrona, su cui guardavo la televisione, e ringhia se provo a sedermi. L’unico problema è che non vuole uscire con me, ma andare fuori solo con mio marito. Alla sera, Enrico è ritornato dalla passeggiata con Ben e... un altro Cocker nero. Quando ho visto il nuovo ospite, per prima cosa mi sono riempita di lividi in entrambe le braccia e ho controllato se avevo anche altre allucinazioni e magari ci fossero stati nella stanza anche Pinocchio e Mastro Geppetto, ma visto che per mia fortuna c’erano solo i due cani ed Enrico, ho detto: “Ora ne hai portato a casa addirittura un altro!!! Un cane mi ha riempita di felicità, ma due sono troppi!!! Dobbiamo andare dal veterinario, qualche bambino potrebbe averlo smarrito! Io ho sempre desiderato essere padrona di un cane, ma non voglio passare un guaio per averlo!! Dobbiamo pensare inoltre, che la padrona di casa ci manderà via, se viene a sapere che ne abbiamo due!!!!” Enrico, con tono scocciato, mi ha risposto: “Tu sei sempre tragica e vedi tutto nero! Pensi che sia uno stupido? Ho incontrato mia cugina Antonietta, ti ricordi? L’abbiamo invitata qualche volta a casa nostra. Lei mi ha consigliato di andare dal veterinario Bianchi. Lui mi ha detto che il nome del cane è Black e che effettivamente il nostro si chiama Ben. Sei stata fortunata, perché Bianchi mi ha riferito che entrambe le bestiole sono state definitivamente abbandonate dai loro padroni che non le vogliono più!” Dentro di me ero incerta e rivolta a mio marito gli ho spiegato: “Non ti riconosco più, mi hai sempre detto di no, adesso TU li vuoi e IO sono quella che fa difficoltà!!! Sono felice che finalmente hai capito quanto per me è importante avere un
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animale in casa. Però devi comprendere che sono un po’ perplessa nel tenere DUE cani nell’appartamento, perché questa abitazione è già piccola per noi. Quante volte ti ho detto di affittarne una più grande, ma al solito i soldi....” Lui irritato mi ha interrotto: “Giada, non sei mai contenta! Prima rompi che vuoi un cane, poi scocci che sono troppi! Ti devi decidere !!! Per tanti anni, mi hai ripetuto che sei un’amante dei cani e quanto TU desiderassi un animale che ti facesse compagnia! Adesso che ti ho esaudita non va bene. Sei una donna incontentabile!!!!” Non posso credere alle mie orecchie! Quanto è cambiato Enrico! E’ vero i suoi toni sono bruschi, ma i fatti parlano per lui: nonostante siamo sposati da vari anni mi ama ancora tanto! Black è rimasto con noi e Ben non è geloso di lui, anzi, vanno molto d’accordo e si scambiano effusioni, come se fossero vecchi amici. Ieri mattina mi sono svegliata davvero di buon umore, perché finalmente non ero più sola e il buongiorno non me lo ha dato la solita stridula sveglia, ma i MIEI due cani: Ben con la solita leccatina e Black abbaiando e scodinzolando felice. Sono veramente contenta, anche se combinano un po’ di guai. Hanno rotto la televisione, stappato una tenda, morso tre paia di scarpe, ma non mi importa, perché i loro giochi sono divertenti e non riesco ad arrabbiarmi seriamente con loro e la giornata è passata velocemente e piacevolmente. Ieri sera mio marito è ritornato dalla solita passeggiata nel parco, con tre cani. Non è un’enciclopedia, ma Ben, Black e....Bill. Ora insieme agli U.F.O. , Pinocchio e mastro Geppetto, mi aspettavo che arrivasse anche Babbo Natale con tutte le sue renne. Ho cercato di ricordarne i nomi, ma non ci sono riuscita. Babbo ha sicuramente capito la mia confusione di idee. Il nuovo ospite è un Cocker biondo, simile a Ben. Enrico, senza perdere tempo, mi ha spiegato che anche Bill è stato regolarmente visitato dal veterinario e abbandonato dal padrone. Ho cominciato ad urlare:
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La nostra casa non è un canile!!!! Se un cane mi ha resa felice, due mi hanno fatto preoccupare, adesso averne tre, sarà come avere dei cicloni in casa!!!” Mentre stavamo discutendo, i tre cani si rincorrevano travolgendo tutto e rompendo qualunque cosa si trovasse sulla loro strada. Il loro abbaiare era intervallato dalle urla dei vicini. Enrico mi ha rinfacciato : “Giada, hai sempre detto di essere un’amante dei cani e ora che hai la possibilità di essere proprietaria di tre dolci bestiole, non le vuoi! Sei proprio senza cuore!” Enrico, il mio Enrico, quello che appena può, urla contro i cani, adesso li chiama DOLCI BESTIOLE, forse stanno arrivano pure la Befana e il Grillo Parlante. Punta sul vivo, gli ho rinfacciato: “Tu che dicevi di odiarli, in realtà, li amavi più di me! Tu hai barato! Sei sempre stato TU, il vero amante dei cani ! Già arriviamo alla fine del mese con difficoltà, se li teniamo tutti e tre come facciamo? Non è possibile!!! Dobbiamo prendere una decisione!” La discussione è durata tutta la notte. Alla fine, esausti, abbiamo deciso di rinviare al giorno dopo, cioè ad oggi, la ricerca di una nuova soluzione. Ben, al mattino,come sempre, mi è venuto a svegliare con la leccatina sulla mano, mentre Black e Bill giocavano a chi tirava di più la mia vestaglia. Sono andata in cucina a farmi un caffè e ho notato una busta sul tavolo. L’ho aperta, ho preso il foglio che stava al suo interno e ho letto: “Giada, ti lascio per compagnia Ben, Black e Bill. Erano della mia fidanzata Antonietta. (Come fa ad avere una fidanzata, se è sposato con me!!! Ma non era una
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sua parente!!!!!) Abbiamo deciso di andare ad abitare insieme nella casa che le ho comprato. ( Ma se ha sempre detto che era già tanto se riuscivamo a pagare l’affitto!!!) Antonia ed io abbiamo sistemato tutto: Ben, Black e Bill rimangono con te, così tu non resti sola. Lei ed io, andiamo ad abitare insieme nella nuova casa dove non si possono portare gli animali.” Ho posato rincretinita il foglio sul tavolo e ho pensato:
Si ha proprio ragione, adesso ho compreso la storia dell’amante dei cani. Io avevo capito che il problema era legato ad un discorso cinofilo, ma la realtà è di tutto un altro genere: Gli amanti mi hanno proprio sistemata con... dei cani !!
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Lo scrittore Marzia-Sofia Salvestrini Ieri sera prima di andare a letto, ero decisamente di buonumore… La mattina dopo sarei dovuta andare a conoscere il mio idolo! Non ci potevo credere… Il mio scrittore preferito! Non stavo più nella pelle. Mi aveva invitata alla presentazione del suo nuovo libro dopo che io gli avevo mandato una semplice mail. Volevo leggergli una mia cosa. Un lavoro che avevo scritto alla sua maniera. Lui era stato carinissimo… mi aveva subito risposto di sì, “Portamelo così e così”, aveva detto. Ero agitatissima mentre dentro di me cantavo un’ode sperticata alla chiavetta internet che mi permetteva, dopo anni, di arrivare al mondo virtuale senza passare attraverso i bastardi dei call-center Telecom, cosa che avevo giurato e spergiurato di non dover mai più fare. Avevo il mondo nelle mani. Virtuale o reale non c’era gran differenza. Era lì. Nelle mie mani. La chiavetta Internet, una dea madre, vai, la infili e procrei… Santa Chiavetta usb... ora (e per sempre) pro nobis… Insomma ero felice. Anzi di più, quando sono andata a letto ero letteralmente euforica… Poi mi sono venuti mille pensieri… Perché aveva voluto che gli mandassi una foto prima di invitarmi? Perché appena gliela avevo mandata si era subito offerto di ricevermi nella sua residenza invernale? Perché rispondeva ad ogni mail e mi mandava il suo numero privato di cellulare…? Faceva così con tutte? Quando glielo avevo chiesto non aveva risposto e mi aveva invitato a leggere i suoi libri, ma io lo avevo già fatto e li conoscevo a memoria, i suoi libri. Insomma avevo una sensazione strana. “Beh!...” mi son detta “… è pura paranoia. Ho cinquant’anni e, che si vedano o no, ci sono… Appena compiuti, freschi freschi, con relativa festa. La finiranno finalmente gli uomini di saltarmi addosso!!!…”
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Mi sono addormentata tardi. Non ero del tutto tranquilla, mi chiedevo “Perché lo fai? Nella tua vita hai lasciato correre un sacco di occasioni… per timidezza, per paura che pensassero che tu ci marciavi ... “. Mi era venuto in mente quando nel 2000 avevo conosciuto per caso, in mezzo alla strada, quello che allora era il mio scrittore preferito… Mi aveva guardato, con aria tra lo scocciato e l’incredulo e quando io gli avevo detto…”Ma, lei è… mio dio! Lei è il mio scrittore preferito! Ho letto tutti i suoi libri sa?” Lui mi aveva guardato e mi aveva chiesto con quell’aria notoriamente gay “Perché, leggi anche ? E a uomini come va?” Avrei voluto dormire, ma continuavo a chiedermi: perché ? Perché tutto ciò, non mi convinceva? In verità non mi aspettavo un granché. Volevo solo fare un’esperienza nuova. Qualcosa che non mi ero mai concessa… Onestamente non credo molto alle raccomandazioni. Era solo una roba così, tanto per fare… per conoscerlo. Di solito non faccio cose del genere, ma ultimamente, beh, avevo voglia di una novità. Da quando il mio amante mi ha mollato, per tornare come pecorella smarrita improvvisamente rinsavita all’ovile, il mio adorato figlio ventenne è tornato a vivere a casa e a rompere, perché pensa di dovermi proteggere e in più, come se non bastasse, i miei migliori amici si stanno separando e devo far da cuscinetto, per le lacrime e le lamentele di entrambi… Beh, insomma, nella mia vita, via, non c’era mica tanto da ridere… Stamattina dunque mi sono guardata allo specchio, e come al solito mi sono incazzata. Sta’ stronza di faccia... mi son detta incazzata nera, io mi sento di merda e lei non denuncia mai un problema. Sta qui da cinquant’anni, florida liscia e distesa come il culo di un bambino… sembra davvero che mi prenda per il culo! Sono triste? La mia faccia non lo denuncia. Sono sola? Meno che meno. Io sorrido sempre, come una scema, eppure di problemi ce ne avrei…anche se vivo in maniera molto yoga e non me ne frega un cazzo del domani. Vivo l’oggi… Ho imparato da poco. A mie spese.
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E che spese!!! E’ costato come una borsa di Vuitton o un cappottino di Prada. L’ anno scorso avevo due uomini. Il mio amante e il mio ex compagno che non mi decidevo a mollare del tutto, opportunista come solo le donne impaurite sanno essere… Ed ora nemmeno uno! “Chi se ne frega!” mi dico “peggio per loro”. Avrebbero dovuto decidersi, loro. Uno a scegliere me, e l’ altro a dirmi dove voleva stare. Comunque, sia come sia… mi sono preparata. Ci metto due minuti, mi trucco sotto dettatura automatica, a volte bene e a volte male. Non ci faccio caso. Basta poco, per fortuna. Dovrei essere euforica. Con una semplice mail, il mio pesce preferito ha abboccato all’amo. Con una mail, o con una foto ? “Smettila di farti le seghe…” mi son detta “… Che siano mentali o no, non producono…” Il treno ci ha messo un’ora, neanche poi tanto. Quella città io la conoscevo. Anni fa ci venivo spesso. Mio figlio mi ha accompagnato, poi è andato per i cazzi suoi. Ha una ragazza lì. Una. La prima cosa che ho notato è che era piccolo. Molto piccolo. E brutto. Molto brutto. Questo era molto pericoloso. Io amo solo i cessi, nel senso di umani, non i sanitari. Mi ha sorriso e mi ha offerto una birra. “Peccato… sono astemia…” ho detto del tutto a mio agio. “… Me ne vergogno, un po’…” ho aggiunto sincera. “Perché dovresti?” ha detto lui magnanimo. Un feeling pazzesco! Abbiamo parlato per un’ora. Io ho imparato la lezione, so esattamente come comportarmi. Ho letto tutti i suoi libri. Li ho -diciamo di più- imparati a memoria. Lui ha parlato sempre di sé, tutte cose che sapevo. Dopo un po’ mi ha chiesto se volevamo fare una passeggiata, poi avremmo potuto mangiare qualcosa insieme, giù al… Sì va bene, non c’è problema.
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Ma la passeggiata l’abbiamo fatta in casa sua. Era lì a portata di mano. Sopra alla birreria. Non mi sono stupita più di tanto, contavo sull’età. Pensavo, è tutto ok. Questi vecchi marpioni vogliono solo le ragazzine… Beh, evidentemente mi sbagliavo. Mi ha fatto l’oroscopo… poi l’ascendente… e gli ho detto con orgoglio la mia età. Non ha battuto ciglio. Mi ha chiesto se volevo ballare per lui. Ha spento tutte le luci e ha chiuso le persiane. Fuori c’era un sole strano, appena spruzzato di pioggia. Il divano vibrava. Ha detto che era lui, ma per colpa mia. Insomma che ero io che lo provocavo. Io non stavo facendo niente, ma sorridevo. Mi pareva tutto così ridicolo. Non credevo ai miei occhi, e nemmeno alle mie orecchie se devo essere sincera. Ma lui continuava a parlare, a parlare. Sempre di sé. E io ascoltavo. Ad un certo punto, quando mi è sembrato il momento più adatto, ho provato a parlare di quella cosa che avevo scritto. Ci stava perfettamente nel discorso. Se non gliel’avessi portata il giorno prima stampata e tutto, avrebbe potuto dire che l’avevo copiata. Quindi ho parlato: “Sai, io,” ho detto con voce sottile “…ho scritto una cosa che…” Mi ha guardato, poi ha voltato la testa lentamente, verso il muro di fronte e ha detto serio...guardando davanti a sé come se io non esistessi nemmeno, “Non me ne frega un cazzo. Non ti dar disturbo a lasciarmela, quella roba. Siete tutte uguali, voi fan! ma non ti accorgi che mi stai rompendo i coglioni? Siete tutte uguali, venite qui a farvi psicanalizzare gratis, e rompete le palle con la vostra vita di merda.” Io ho sorriso, come una scema forse, ma stranamente non mi sono affatto incazzata. Ho un problema, io. Dentro di me io la vita non la vivo, la scrivo. Così pensavo a come farlo. Stavo solo pensando a come scriverlo. Lui mi ha guardato per un attimo e poi ha detto serio: “Lo leggerei solo se
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tu scopassi con me… ma tu non lo farai mai vero?... Non sei il tipo. Sei una convinta che ce l’ha solo lei… hai pure sbagliato l’italiano… E poi, vedi, non sento attrazione fisica da parte tua, solo mentale. Non ti attraggo per niente vero?” Volevo dirgli “Come? Ma come? Così no di sicuro! Ma non eri tu che insegnavi a me?” ‘Solo attrazione mentale’ ha detto…E gli par poco? ho pensato.. Allora l’ho guardato. Lui mi ha guardata. Gli ho sorriso. Dentro di me pensavo a cosa potevo fare. Tirargli un calcio nei coglioni, ammesso che li avesse. Strizzargli le palle con una mano e farne uscire il sangue marcio. Infilargli un dito in un occhio fino a fargli uscire la bava dalla bocca… Ma poi mi sono detta ‘Eh no! E dove starebbe il divertimento? E poi cosa scrivo?’ Allora gli ho fatto una carezza sulla guancia liscia e gli ho detto sussurrando come una puttana… “e perché no? Chi te lo dice? Chi te lo dice, a te, che io non possa farlo….e poi ho sbagliato volutamente l’italiano”. Cinquant’anni sul mio viso son passati invano, ma nella mia testa no! Lì ci sono tutti, fortunatamente. “Balla!” mi ha ordinato lui allora, con un filo di voce strozzata dall’eccitazione o forse dallo sconcerto “…fammi vedere come balli.” Io mi sarei rotolata in terra dal ridere, ma non mi sarebbe servito a nulla, e allora mi sono messa a ballare. Volevo vedere fino a che punto sarebbe arrivato. Volevo proprio vedere… Io non so ballare! Mai ballato. Mi muovo sì, ma neanche tanto a ritmo. A me non è mai piaciuto ballare. Odio dimenarmi e sudare. Tutto sarò stata meno che sexy. Ma lui non pareva pensarla così. “Chiudi gli occhi…chiudi gli occhi e lasciati andare ” mi diceva, e io li riaprivo di nascosto… “Ti farò un regalo” mi ha detto serio… e io stavo a vedere che cazzo era. Si è messo in ginocchio vicino a un mobilone antico e ha cambiato disco. Era una sorta di mantra, credo si dica così. Avrei dovuto ripetere quello che diceva… Mi veniva da ridere, e forse lui se n’è accorto. Si era seduto sul divano ad occhi chiusi e voleva che io continuassi a ballare. Io dentro di me ridevo e non riuscivo affatto a concentrarmi. Avrei voluto
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dirgli ‘che stronzata!’ ma me ne è mancato il coraggio. Poi si è alzato, è venuto dietro di me e ha cominciato a carezzarmi dappertutto; io lo lasciavo fare… volevo vedere fin dove arrivava. “Libera la mente dai pensieri.” mi diceva e io pensavo a come avrei potuto scriverlo. Poi… si è inginocchiato ai miei piedi e si è messo a guardarmi tra le cosce. Immobile, sotto di me, vedevo la sua testa un po’ spoglia coi riccioli appiccicati dal sudore. ‘Come siamo tutti ridicoli…’ ho pensato ‘… poveri esseri umani-disumani’. Allora mi sono fermata, ho spalancato le cosce e sono rimasta immobile. Lui non si muoveva e neppure io mi muovevo… Non so quanto tempo sia passato. So solo che io stavo osservando il mio idolo caduto. Un altro. Tutti gli idoli cadono. Con le gambe spezzate, era caduto, anche lui, come la statua di bronzo di Saddam. “Devo andare a pisciare…” ho detto proprio così. A pisciare. Avrei anche potuto dire a cagare, non avrebbe fatto alcuna differenza, perché la volgarità non era quella. “Io scendo un attimo a comprare un sigaro” mi ha detto. ‘Forse si crede Clinton’ ho pensato, tra me e me. Ho preso il cellulare e ho detto a mio figlio “chiamami tra mezz’ora esatta”. Quando è rientrato ballavo ancora e lui si è seduto sul divano. Mi fumava addosso. Io odio il fumo, e lui mi fumava addosso. Parlava piano, e io non lo ascoltavo. Pensavo a come avrei potuto raccontarlo al mio amico del cuore. Si sarebbe fatto due risate ed avrebbe detto, “gallina vecchia fa…” Mio figlio ha chiamato puntuale. Non ci capiva un cazzo di quello che gli stavo dicendo.. Ho finto di dover andare… Mi aveva anche pregato “No no, non rispondere…”
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Mi sono ritoccata il trucco pensando che sarebbe stato abbastanza teatrale. Lui si è ricomposto. Ho sentito che ha chiuso la porta del bagno. E’ stato un attimo. E’ tornato inondato di profumo. Adoro quel profumo, lo riconoscerei tra mille… “Perché non lo hai messo prima?” gli ho chiesto. “Non so, non ne ho avuto il tempo” mi ha detto dispiaciuto. “Peccato!” gli ho detto seria “peccato davvero…”. Mi sentivo tanto Julia Roberts quando rimprovera le commesse di Rodeo Drive perché non l’hanno servita quando era vestita da puttana. “Lavorate a percentuale?” aveva chiesto lei piena di pacchi coi nomi più famosi…mentre le due la guardavano basite “Peccato!”. “Hai perso una grossa percentuale!” gli ho detto. “Peccato!”. Sono uscita lentamente. Ho sceso le scale senza far rumore. Il portiere mi ha guardato in silenzio. Con compassione. Sono uscita. Non prima di avergli chiesto dove era un cestino, però. Lui mi ha guardato a lungo in silenzio, mentre scendevo le scale. Aveva una faccia seria, un sorriso dolce, ma pareva disperato. Mi ha fatto pena. Davvero. Pena e ribrezzo. Ma più pena. Solo, in quel palazzo immenso, prigioniero dei suoi ricordi più tristi, di tutte le sue vuote giornate, della sua vita solitaria. Delle sue delusioni. Costretto a dover convincere gli altri che va tutto bene, che lui sa come fare… Costretto agli amori da usare e gettare per paura di doverli conservare. Io li ho buttati via davanti a lui, quei due cosi. Li ho buttati via tutti e due. I due romanzi che avevo in borsa per farglieli leggere. Li ho buttati via. Li ho presi e li ho gettati nel cestino con eleganza. Nel cestino… Poi, l’ho guardato con dolcezza e gli ho detto seria “Pesano troppo per riportarli indietro”. Sono uscita dal portone e la città scalpitava correndomi ai lati… macchine, gente, e vento, molto vento. ‘Meno male che c’è il vento’ ho pensato. Così mi avrebbe ripulita. E pensare che ieri sera ero andata a letto così di buonumore…
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Il viaggio Paola Mongili Almeno all’inizio dell’idea, lo ero. Eh sì! Basta problemi, e il lavoro, gli exmariti, i post-fidanzati e i falsi gigolò. Le amiche, poi. AMICHE?! Via via via... Via dove? A caso! Certo! A caso! Non ero io quella arrivata, anzi: “arrivata”, che non doveva più chiedere niente a nessuno, tanto meno al lavoro CI MANCHEREBBE. Perché io NON lavoro, mi occupo di che, ammettiamolo, fa la sua bella differenza. Quindi basta pochi discorsi si parte. Aria viaggiare partire. Già: e dove si va? Panico. Ma che panico e panico, e il mappamondo? Mica di quelli normali, poi, ecco che mi fa comodo quell’impiastro arrivatomi lo scorso Natale (...secondo me un riciclo che vaga di casa in casa da anni...), quel “mappamondo elettronico” esiliato di corsa in soffitta trascorso il santo periodo nel quale era molto probabile che l’autore o autrice di tale orripilante dono facesse visita – non tanto per la visita quanto per verificare se nel mio superbo salotto avessi esposto quella vergognosa circonferenza, per altro ingombrante e... e... Insomma! Il mappamondo, sì, dicevo, ecco è elettronico. Finalmente ne comprendo e apprezzo l’uso, e in quel preciso istante si è messo in moto il mio buonumore. Tre buoni quarti d’ora se ne sono andati tra la ricerca dell’oggetto, il suo ritrovamento, conseguente trasferimento nello studio e più precisamente sulla scrivania di non ricordo più quale ex-marito, lancio del libretto delle istruzioni nel senso di lancio fuori dal terrazzo dopo un’accurata quanto vana ricerca della lingua italiana tra quell’accidenti di paginette e, finalmente, azione! L’idea mi divertiva da morire: far ruotare il mappamondo con tutte le geografie socio-economicopolitiche aggiornate, chiudere gli occhi, puntare l’indice e... Tirana. ODDIO, TIRANA?! Non potevo barare con me stessa, con quale coraggio poi mi sarei guardata allo specchio? Avevo detto IL PRIMO POSTO A CASO, in qualsiasi posto del mondo fosse stato, no? Cioè si: questa era l’inderogabile decisione che mi aveva messo di buonumore, proprio di buonumore, ed il risultato era il nome del luogo sul quale avevo infine puntato il mio indice e che se ne stava ben illuminato, ingrandito, sottolineato e in grassetto sul mio mappamondo sicuramente riciclato come dono ma soprattutto elettronico. Tirana in Albania! Con tutti i luoghi, le città, i paesi, i continenti, le pianure e le montagne che esistono sulla terra, quell’obbrobrio di mappamondo si era fermato ed aveva attratto il mio innocente indice della mano destra
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su Tirana. Niente Maldive, nessuna Africa o Sud America. Tirana, Tirana in Albania. Cinque minuti dopo avevo ritrovato comunque il mio buonumore, soprattutto perché prima di cambiarmi per uscire ed andare a prenotare il biglietto aereo – era deciso – la super sfera elettronica aveva fatto un bel volo dal terrazzo seguendo la precedente traiettoria del suo libretto delle istruzioni. - Evvaffantasca alla Corea, del Nord e del Sud! - è stato il mio soddisfatto commento seguito al tonfo. Tirana in Albania doveva essere, e Tirana in Albania sarebbe stato. Non sono donna che manca a una promessa, soprattutto con se stessa. Un’ora dopo, però, il mio buonumore già veniva messo a dura prova colpa di un impiegato imbecille – con contratto a termine, mi auguro, che altrimenti glie l’avrei terminato io appena rientrata in Italia e trovati cinque minuti per far due chiacchiere col direttore dell’agenzia di viaggi – Come si fa a non perdere la pazienza con un idiota che, mentre smanetta sulla tastiera del computer per l’aerea prenotazione, improvvisamente esclama: - Però, parla bene l’italiano! - Mentre che decidevo se l’imbecille parlava col monitor o si fosse azzardato a parlare con me, realizzato che stava parlando con me e quindi che la domanda idiota dall’impiegato imbecille era stata rivolta a me medesima, ho inspirato ed espirato a modo e quindi sibilato la risposta: - Parlo molto bene l’italiano sì: sono nata a Firenze a Villa Ulivella! Uscita dall’agenzia di viaggi distrutta da una estenuante discussione col precedente imbecille fatta di precisazioni e sottolineature a proposito di presunti permessi di soggiorno e puntualizzazioni riguardo il mio passaporto che ci credo sembra di quelli che emettono in tutta l’Europa Unita dal momento che, OH GUARDA UN PO’, io ci vivo da sempre nell’Europa Unita, fermo perentoriamente un taxi e faccio un salto in centro, certo, ho ancora una piccola questione da risolvere e subito. Infatti, nella locale boutique di Tod’s dove è risaputo che io faccia i miei migliori investimenti “in borsa”, esigo dalla gagliarda store manager che la dirige il numero personale di fax del signor Diego Della Valle: ho due paroline da dirgli a proposito della mia preziosissima quanto costosissima ed esclusivissima per l’appunto borsetta in coccodrillo. Che razza di coccodrillo ha usato se un imbecille d’impiegato con contratto a termine – e sul termine di tale contratto ero via via più che certa - della mia agenzia di viaggi usata abitualmente mi aveva infine accompagnata alla porta consegnandomi un biglietto con l’indirizzo
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sicuro e di persone per bene di un’anziana nobile cui fare da badante? Eh?! Partendo dal presupposto che per tutto il resto c’è Mastercard, tornata a casa ho sistemato la faccenda dei bagagli distribuendola tra due mie trolley ed il beauty-case, arancione come tutto il mio set (praticamente un antifurto viaggiante, lo so: il bel colore solare è un cazzotto in un occhio rispetto alla moltitudine di valigie di foggia e materiale variabile, ma quasi sempre tutte indiscutibilmente nere . E chi è il fesso che scippa una signora con un set di valigie simili? Soprattutto: dove scapperebbe mai?) abbondando in prodotti solari e morbidissime spugne Frette. C’era qualcosa che, per associazione d’idee, nella mia mente legava con un filo sottile l’Albania ed il mare, tanto mare, che io ricordassi. Se mancava un po’ di sale nella mia vita, e con il viaggio a sorpresa ve ne volevo spargere una considerevole dose questo viaggio rischia di farmi avere un picco di ipertensione non indifferente. Sono le tre di notte e mi trovo ancora al Guglielmo Marconi, l’aeroporto di Bologna, sì: tanto per cominciare ho perso l’aereo, a volte mi mancassero le emozioni, per sessanta secondi, un minuto appena! Che accidenti se ti cambiano la vita, e te lo credo! Non ho ancora capito chi ringraziare per essere rimasta in ostaggio della tangenziale per due inqualificabili e interminabili ore! Perché, perché non ho dato seguito al mio istinto che mi consigliava d’abbandonare la macchina lì in mezzo al traffico, prendere i bagagli e andarci a piedi all’aeroporto dove sarei arrivata tonificata, serena ma soprattutto comprensibile dal momento che in seguito alla folle corsa fatta con i sempre presenti bagagli al seguito l’impiegata addetta al mio imbarco neanche capiva cosa cappero le stavo farfugliando causa fiatone inarrestabile e conseguente sventolio di biglietti aerei e passaporto sotto al naso. Ho anche pensato fosse parente stretta dell’impiegato della mia agenzia di viaggi – quell’impunito – quando anche lei per ben tre volte ha iniziato lo stesso discorso in tre lingue diverse. “ SONO ITALIANA, signorina, distrutta ma ITALIANA”. Tanto non m’ha fatta partire lo stesso, il check -in era stato eseguito esattamente un minuto prima (...sarà la padrona della tangenziale di Bologna?!) per cui... Avrei dovuto sorvolare tutta l’Europa, a darle retta, e invece no! Vuoi la guerra? Prenoto il prossimo identico sputato viaggio che parte da qui! “ Bene, esattamente tra 24 ore, stessi orari, stesso Gate. 56 euro, grazie” Il bello è che ho pure pagato felice, certo! Non mi rendevo conto in che guaio a pagamento mi stavo andando a cacciare, neppure dopo il primo caffè scipito preso al bar al piano. E ora? L’unica e anche ultima saggia faccenda
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capitatami da quel momento in poi è stata l’appropriarmi del caddie, ovvero il carrello, dove ho stivato i miei bagagli. Talvolta ci sono avvisaglie e piccoli dettagli che possono rendersi utili nel semplificarsi la vita. Stasera sono fermamente convinta che se avessi preso a martellate subito il mappamondo elettronico, e per subito intendo immediatamente dopo l’averlo ricevuto, non mi sarei trovata in questa incresciosa situazione che doveva essere il mio viaggio liberatorio, quello che avrebbe dovuto rimettermi in pace con il mondo e con me stessa, quello indimenticabile perché scelto a caso puntando un dito e... Credo di non aver litigato tanto in vita mia e con un incredibile numero di persone come in queste ultime ventiquattr’ore, oltretutto senza il conforto dell’ausilio del mio avvocato al quale non ho potuto telefonare semplicemente perché la mia compagnia telefonica, qui in Albania, non esiste. Ci son tutte, ma la mia no. Mi è stata data qualche spiegazione in proposito, ma in confronto a ciò che è capitato questo è un dettaglio insignificante, ormai. E’ finire nell’Ufficio del Consolato Italiano di Tirana in Albania che è increscioso! Stanno trattando il mio rimpatrio immediato. Del resto, meglio così: potrò telefonare al mio avvocato, essere ricevuta seduta stante, e una volta nel suo studio... Ah: ci sarà da ridere! In ordine, uno dopo uno risolverò tutti i guai causati da quel maledetto mappamondo elettronico e dall’impiegato imbecille della mia agenzia di viaggi. Oltre al biglietto del volo, avevo la prenotazione per una camera d’albergo con vista mare all’Holiday Inn di Tirana. Sì, esatto, proprio così. Non mi sono accorta subito del disguido perché dopo aver perso l’aereo a causa di un blocco totale sulla tangenziale bolognese, dopo aver trascorso ventiquattr’ore all’aeroporto Guglielmo Marconi in attesa del successivo quanto puntualissimo volo per la suddetta capitale albanese, dopo il volo stesso sul quale è meglio stendere un velo pietoso, dopo il non aver fatto storie se il taxista non è passato dal lungomare come richiesto – poteva non aver capito, del resto- l’unico desiderio era raggiungere la mia camera, fare una doccia fredda tonificante e ben meritata in seguito alla notte
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insonne e rissosa trascorsa a fumare come una turca tra una litigata e l’altra al già citato aeroporto Guglielmo Marconi di Bologna in Italia, spingendo il caddie contenente tutti i miei bagagli, che ormai mi pareva d’essere a fare la spesa da ventiquattr’ore, tanta era la stanchezza dello spingere il carrello per tutti i piani del Guglielmo Marconi e che dovevo fare per ammazzare il tempo? Lasciamo stare: è acqua passata. E’ a proposito dell’acqua, assaporando l’istante in cui mi sarei affacciata al balcone per abbracciare con lo sguardo l’adorata distesa marina da me prenotata che mi sono resa conto del disguido, senza dubbio un disguido, mi son detta, aprendo il balcone e rimanendo allibita dal traffico caotico che starnazzava nell’enorme quanto sconosciuta piazza sottostante. Non ricavando un ragno dal buco quando sono scesa a chiedere gentilmente delucidazioni ad una imperturbabile impiegata della hall che parlava perfettamente italiano, dirottata da questa al gentilissimo Direttore in persona che si è preso a cuore il mio problema, che a sua volta ha controllato e ricontrollato la prenotazione giunta dall’Italia, non mi è rimasto che uscire in strada e non ricordo proprio come, qualche ora dopo, mi son trovata a sbraitare col Console italiano che la smettessero di prendermi in giro, una buona volta, sapevo bene che per anni partivano i gommoni da Tirana per raggiungere le coste italiane, che si voleva fare, negare l’evidenza per non ripagarmi i danni di una prenotazione con balcone vista mare, eh?! Il Console ed il suo staff han cominciato a ciancicare di Valona, e non di Tirana, che i gommoni partivano da tale Valona, ma vogliamo scherzare? Sono una donna informata, che diamine! Anni di TG e quotidiani letti e ora mi si voleva dare ad intendere che i gommoni non partivano da Tirana, a chi, a me?! Son qui che mi limo le unghie, tutta tranquilla. Cerchino, cerchino pure il primo volo Tirana-Bologna per rimpatriarmi. Tanto non c’è fino alle 12:30 di domani. Potevano anche chiedermelo: ho studiato tutti gli orari dei voli internazionali del Guglielmo Marconi nelle ventiquattr’ore che vi ho trascorso, in quell’aeroporto. Ah, la vita. E’ incredibile ma, proprio come ieri in Italia, anche oggi in Albania mi sento proprio di buonumore, chissà perché
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Mercoledì Emanuela Sommi
Ieri ero proprio di buon’umore. Non saprei dire perché, magari perché a 55 anni ancora mettevo una 42, magari perché avevo trovato 10 euro per terra, o forse perché avevo incontrato Annalisa, mia compagna di banco al liceo, e pareva mia nonna. Acida e pelosa, tutta beige&filodiperle, alla “ho una morale io!”, con le manine strette sulla borsa e quel sorrisetto tra il deluso e lo schifato: “Che piacere vederti!”, che stava a significare “ Mi stavi sulle palle allora, figurati adesso!”. Me ne trotterellavo verso casa con il regalo per Amedeo, orgogliosa, perché regalare a un uomo con la barba e che odia le cravatte è un’impresa mica da ridere. Ma anche stavolta ce l’avevo fatta e con il “Pelamele” a manovella, avremmo festeggiato i nostri 30anni insieme. Compagni di strada, compagni di vita, venuti su con niente in mano e arrivati, lui a dirigere una banca, io il settore creativo della “Comptonmax”, agenzia pubblicitaria di un certo peso. Una bella casa, 2 figli in college inglesi, salute e prosperità di media grandezza, come si dice di quelle stelle, a cui si sorride nelle notti d’estate. All’improvviso, dalla borsa l’ouverture della Carmen: “Cara, non buttare la pasta. La riunione stasera va per le lunghe” Perfetto, avevo tutto il tempo di fare un salto da “Rodrigo delicatessen”, il Secondigliano più buono del reame, piccante e saporito al punto giusto. Fu quando stavo meditando sulle olive ascolane che li vidi. Flash. Fermo immagine. Fermo respiro. Il cuore solo, che martellava in testa. Seduti, come in vetrina, al Cafè Royal (coglioni, potevano almeno scegliere un tavolo più interno!). Amedeo le teneva una mano e parlava, con la testa appena piegata di lato, come fa quando vuol’esser convincente. Lei scannucciava il suo frappè rosa maiale, scuoteva il capoccione biondo e si protendeva verso di lui con tutto il suo corpiciattolo vermoide, incartato in un golfino giallo merda. Età massima 25.
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Per un attimo il mondo cominciò a roteare senza di me. Trovai un appiglio “Signora, ma che fa?... Si sente male?” La strada di casa: 3000 km infestati di fotogrammi. Amedeo, e loro due. Le nostre vacanze in Birmania, e loro due. Il matrimonio e loro due. Un carnevale di immagini mi correva incontro come in mezzo ad un tornado. L’Hotel Champagne della nostra prima notte da “persone per bene”, il corridoio con la moquette blu, la porta della camera 37, il vaso di fiori sul tavolino “Infiniti auguri di felicità agli sposi. Firmato La Direzione” L’acqua che spuma profumata nella vasca. L’accappatoio bianco. Due corpi nel letto. LORO!... Mi avventai urlando come un samurai e stavo per abbassare il coltello quando … Svanita la stanza 37. Era la mia cucina, il mio tavolo e minimo 8 chili di carote tagliate a rondelle, sottili come ostie (devo fare più attenzione quando vado da Osvaldo, quello frega sul peso) Le 8.30. Devo prendere una decisione. D’accordo. Mi arrendo. Terzo cassetto… no! Scatola rotonda nell’armadio. Eccole! Dal bordo del letto una cornuta di 55 anni (taglia 42) dopo 4 eroici anni di virtù, si godeva la meritata Marlboro light. Cos’aveva più di me la capocciona col golfino giallo merda? Mai Amedeo mi era sembrato così bello. Quell’uomo al tavolino del Cafè Royal non ruttava dopo pranzo, non si tagliava le unghie dei piedi in salotto e certo non si annusava i calzini; quell’uomo meraviglioso abbassava la tavoletta del water, strizzava il dentifricio dal fondo e certo portava fuori l’immondizia. Quell’uomo aveva diritto a una stronzetta di 25 anni, con le chiappe sode, la pelle di seta… e il cervello di una gallina. Avevo perso. Avanti esercito di trojette! La cultura, l’intelligenza e l’eleganza s’inchinano a voi. Vostro è il mondo, vostro il futuro… e vostro anche… A…me..deooo!!! Occhi e naso a Niagara. Per terra una nevicata di Kleenex (cazzo! Mai che dia retta al pakistano del semaforo, desso mi tocca usare la carta igienica, che si spappola da schifo) Ennò!! Non può finire così! Ecchecazzo!
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Il mondo ruota intorno a due tette pizzute? Va bene. Non è trendy la pelle della faccia di 2 misure più larga? Va bene. Volete l’internocoscia di Carrara e il sottochiappa di travertino. E lo avrete! Tutto avrete! La Venere di Milo e la Nike di Samotracia vi ritroverete nel letto! Stupidi maschietti scrutatori di caccole! Lo vedremo allora chi è il cavallo di razza e chi il brocco! Perché questa donna bionica, con la vendetta siringata addosso, non conoscerà pietà! Altro che missionaria 2 sabati al mese! Il carnevale di Rio ci voglio nel letto! Sempre! Il rumore delle chiavi nella toppa. Presto sotto la doccia! Che non mi veda in questo stato. Dignità, donna. DIGNITÀ! - Che succede? - Succede che domani parto. - M. Il sale, per favore. E per dove? - Gstaadt. Convegno su nuove strategie di marketing. Passami l’insalata, per piacere. - Ma che ve ne frega a voi creativi del marketing? - Ce ne frega, ce ne frega. Sapessi quante cose ci dovrebbero fregare! Invece di starcene lì, con le mani in mano, passivi come scimmioni suonati, mentre la vita scorre. Va avanti quella! Ehh! E ci sorpassa! E noi lì come deficienti, come imbecilli, a pettinare le bambole! - Sei di cattivo umore? - Chi? Io? E perché? - Mah… ti vedo strana.. Cè rimasto formaggio? - AH! Il formaggio! CERTO ch’è rimasto! Troppe cose rimangono! Uno si crede che non ce ne sono e invece, quelli, gli avanzi, se ne stanno lì, a imputridire, dimenticati da tutti!!! EHh!! Troppo facile buttarsi sulle cose fresche, tutte carine, gnè gnègnè, col saporino bello! Quelle cosettine idiote, che ti vanno giù e manco te n’accorgi! Tsk! - Tesoro… ma sei sicura di stare bene? - BENISSIMO! Desso mi faccio questo bel convegno sul marketing e quando
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torno AH! Caromio altra musica! Si svecchia tutto! Aria nuova!! - Vuoi cambiare la tappezzeria? - No. Me ne vado a letto. Guardalo lì. Mai che lasci le ciabatte sotto al letto, che poi uno ci inciampa e magari sbatte la testa a uno spigolo e ci resta invalido, con la bava e tutti tubi che gli escono dal culo… E i vestiti?! Ecco, LO SAPEVO! Guarda tu come lascia i calzoni, che domani, in bocca a un cane, se li rimette e sai poi la figura che mi fa fare, manco fossi una balorda alcolizzata che non si cura del marito AH! Ma tanto a lui che gliene importa?... - Tesoro, ti serve qualcosa o posso spegnere la luce? - Ma sì spegni spegni, tanto che vuoi lasciare acceso a fare.. - Dormi? -NO! Se dormivo non ti rispondevo! - Ma lo sai che m’è successo in ufficio? - No! Non lo so e invece VORREI TANTO SAPERLO! MA TANTO, GUARDA UN PO’!! - Ti ricordi della signorina Mignatelli.. - Bel cognome per una ragazza onesta! - Quella chè stata assunta 6 mesi fa… una bella ragazza.. avrà al massimo 25 anni.. quella che ti dicevo restava fino a tardi a lavorare… - NO! Non mi ricordo! Perché me lo dovrei ricordare? EH? C’è qualche motivo perché dovrei ricordarmela? EH? - Mbè… oggi mi entra in stanza con una scusa. Due occhi spiritati, la voce rotta dal fiatone, pareva avesse visto un fantasma. Si siede e comincia un discorso strampalato su come gli uomini della sua età siano tutti bastardi, e che lei non ne può più di sentirsi una preda braccata. E intanto comincia a sudare e dice di sentirsi avvampare. Preoccupato le prendo un bicchiere d’acqua e mentre glielo porgo, lei mi afferra e mi salta addosso… Una pazza ti giuro! Mi butta sulla scrivania urlando che mi ama, che mi ha sempre amato, mi strappa la camicia e comincia prima a leccarmi e poi a mordermi. Cerco di divincolarmi, ma lei niente, mi cavalca come a un rodeo e intanto urla che mi vuole tutto per sé, perché siamo predestinati. Con la schiena che mi ritrovo, ti puoi immaginare come mi sentivo “adesso mi parte una vertebra” Cerco di arrivare all’interfono per chiamare aiuto. E all’improvviso BAM! Si accascia come un burattino coi fili tagliati. Poi si alza e mi guarda
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come una bambina “ Mioddio… potrà mai scusarmi?.. non so cosa m’è preso..” Appena riesco a parlare capisco che la situazione è delicata. Allora la porto fuori, prima che faccia qualche altra sciocchezza. Siamo andati in un bar e ho cercato di tranquillizzarla e di spiegarle che aveva bisogno di un aiuto psicologico. Lei ascoltava in silenzio. Poi mi prende una mano e mi dice con un filo di voce “Mi vergogno tanto, ma… Grazie. Avessi avuto un padre capace di parlarmi così… magari adesso sarei…normale” Che storia! M’ha raccontato delle violenze subite, della fuga, droga e prostituzione e di certi amici (te li raccomando che amici!) da cui s’è fatta fare documenti falsi.. perché, pensa! aveva mentito su tutto: niente laurea, niente titoli. Persino il nome era falso… mioddio che giornata! - ……. perché… mi hai detto che eri in riunione? - Preferivi ti dicessi che ero al Cafè Royal con la camicia strappata, vari graffi sul collo, insieme a una ninfomane drogata? - … e… ti fanno male i graffi…?... - Un po’… - … e…. la schiena…? - Un po’… - … vuoi… che ti faccio un massaggio con la pomata?... - magari… - Amedeo?... - Dimmi - Ma tu… la vorresti… una donna più giovane?... - Senti, adesso ascoltami bene, perché non lo ripeterò tanto spesso… Io voglio la mia donna… Quella che porta scritta addosso tutta la storia meravigliosa che abbiamo vissuto insieme… Voglio contare sul suo viso tutti i giorni di pioggia e di sole che ci siamo regalati… Io voglio TE. - … Amedeo… - Sì? - Che giorno è oggi? - Facciamo ch’è Sabato... ?
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Anno nuovo, vita nuova Giancarlo Visconti
Non sono affatto di buonumore. Oggi è il 2 Gennaio, credo, e sono passate le undici. Mi sto svegliando da una sbornia paurosa e rimettendo insieme i cocci della mia testa. Non sono riuscita ad affogarmi nell’alcol, ma non ho avuto il coraggio di fare niente di più. Ora ho solo bisogno di maledire il mondo e di qualcuno che mi aiuti a farlo. Nella maniera più porca possibile. Chiamerò Nadia che è come me. Il 31 Dicembre ero di buonumore. Di mooolto buonumore. Oh yeah! E ne avevo tutte le ragioni. Marcello, il mio compagno, si era preso la giornata libera perché tanto l’ultimo dell’anno nessuno ha voglia di farsi cavar denti e nel caso di una emergenza c’è il Pronto Soccorso Odontoiatrico. Alle otto di ieri, no dell’altro ieri, dunque, dopo non so più quanto tempo, ci siamo seduti allo stesso tavolo a fare colazione. Un evento. Mi ero già alzata con l’idea di sfruttare al massimo questo giorno insieme. Dalle intenzioni ai fatti. Fette tostate con burro e marmellata, caffé nero bollente bello forte e, come chiusura a sorpresa, una leggerissima mousse al cioccolato. Marcello, pur sorpreso da tutto quello show, accettò di buon grado la novità. Ci scherzò anche su: “Uhm … che ti serve? O … cosa hai combinato? La macchina è tutta sana?”. Sfoderai il mio miglior sorriso, feci flap flap con le mie lunghe ciglia e modulai “Voglio solo avere un Capodanno
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spaventosamente bello, e voglio cominciare da questa mattina. Voglio avere un Capodanno “nostro”. Ti coccolerò, ti corteggerò anche e vorrei essere coccolata e corteggiata”. “Molto corteggiata…” aggiunsi maliziosamente. Sgranò gli occhi, o almeno così mi sembrò. Presuntuosamente, facevo affidamento sulla profonda conoscenza del mio uomo, sul fatto che ho due gambe, un culo e un seno da schianto (ma non l’ho avuto gratis!) e che sapevo come attrarre la sua attenzione. Era troppo tempo che non giocavamo più, la nostra intimità era diventata abbastanza scontata e, purtroppo, anche con qualche defaillance da parte sua. La cosa non mi piaceva affatto. I nostri momenti folli andavano rispolverati. La vestaglia di seta scivolò dalla gamba, scoprendola. Attesi i pochi secondi che lui se ne accorgesse, accavallai le gambe e la richiusi con noncuranza. Forse c’era stato un guizzo nei suoi occhi. La mattinata filò via velocemente tra qualche compera e una sosta all’enoteca – Marcello mi descrisse dei vini per la cena ma lasciai a lui, l’esperto, l’onere della scelta – poi ricordai che dovevo fare un salto al negozio di abbigliamento per comperare le calze che avrei indossato la sera. Avevo anche una certa idea, però dovevo chieder consiglio alla mia amica negoziante e vedere anche l’effetto che avrebbe fatto. Mentre l’idea mi frullava nella testa arrivammo a destinazione. Mi chiese se poteva aspettare in macchina per via del parcheggio, mentendo sapendo di mentire perché nei negozi da donne si era sempre mostrato a disagio. Ma a me era esattamente ciò che serviva. “Ma certo tesoro, ci metto un attimo, non più di dieci minuti, so già cosa voglio comprare”. Aprì il giornale sul volante, “Ok!”. “Ciao Nadia! Ho bisogno di qualcosa, ma soprattutto di un consiglio. Voglio che stanotte sia per me e Marcello una notte speciale, da capogiro, che ci riporti ai tempi in cui eravamo pazzi l’uno dell’altro. Voglio essere
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super sexy. Il vestito ce l’ho ed è adattissimo, ma soprattutto ho ancora il fisico che mi assiste. Che mi dici?”. “Ho senz’altro quello che serve. Facciamo un paio di prove. Vado a prendere i capi, intanto tu spogliati” Tolsi gli stivali, poi la gonna, la maglia, le calze rimanendo in reggiseno e mutandine davanti allo specchio. L’immagine che esso mi rimandava non era affatto spiacevole: gambe lunghe, cosce tornite, natiche belle alte e vita sufficientemente stretta, ma soprattutto le mie tette se ne stavano lì, sfrontate, a sfidare la forza di gravità. Dallo specchio vidi anche gli occhi di Nadia dietro la tenda. Entrò, badando a chiudere con cura la tenda del camerino. “Allora, penso che questi modelli siano i più adatti. Suggerirei infatti qualcosa che sottolinei la linea dei fianchi e faccia risaltare le gambe, qualcosa così – disse mostrandomi uno slip nero ed un reggicalze dello stesso colore – credo sia bene che tu li provi”. Presi lo slip e alzai la gamba sinistra per indossarlo. “Ma cosa fai lo provi con le mutande?” “Ma devo solo vedere come mi sta, e provare la biancheria intima che magari poi non compro non mi sembra corretto”. “Ma piantala lì, tira via quella roba e provalo senza storie”. Mi colpì il ritmo delle sue parole e la forza con cui furono pronunciate. Stava prendendo a cuore i miei desideri, pensai. “Sono d’accordo di eliminare il reggiseno – disse Nadia ponendomi tre dita sotto il seno destro – non ne hai assolutamente bisogno. Adesso indossa lo slip”. Lo feci, sollevando quindi il sottile filo in vita fino ai fianchi. “Perfetto”. “Nadia, non lo so, non sono sicura, tu sai che il mio rapporto con Marcello è sempre stato anche molto cerebrale, talvolta fino al punto di non comprendere più l’aspetto, diciamo così, carnale. Non vorrei che fosse troppo”. La risposta si fece attendere solo due – tre secondi ma l’espressione del suo viso diceva molto più delle sue parole. “Gli uomini, siamo noi a doverli educare. Loro non hanno il nostro senso estetico, il nostro senso del concederci, la nostra capacità di apprezzare fino in fondo il piacere come mix di dare e di ricevere, di sensualità complessa che comprende il vedere l’armonia delle forme, ma anche l’uso del tatto, come dell’olfatto, dell’udito come del gusto. Per loro è solo prendere, stropicciare, sbattere. E poi lasciare…”.
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Ma Nadia volle aggiungere il colpo di grazia: “…Un uomo non può essere innamorato solo di una bocca, per quanto bella e sensuale possa essere, né di un’altra singola parte di un corpo. Il nostro rapporto con loro, così speciale, deve essere totalitario. E dobbiamo fare in modo che non possano più fare a meno di noi”. Le sue mani, le sue dita semiartigliate, sottolinearono con veemenza, quasi con rabbia, questa ultima affermazione. “D’accordo, farò che sia così”, ma la mia testa era in fiamme. La sua mano si avvicinò rapidamente entrandomi tra le gambe, carezzandomi per un secondo. “Beati voi! Dai rivestiti” sussurrò uscendo dal camerino. Marcello stava fumando appoggiato alla macchina. “Era ora! Stavo per venire a vedere che fine avevi fatto. Tutto ‘sto tempo per quel pacchettino?” “Beh, cosa vuoi, sai come sono le donne” “Sì, vabbè!...”. Il pomeriggio fu apparentemente più corto della realtà. Non avevo bisogno di molto tempo per la cena, era già praticamente pronta per la tavola. Erano i preparativi per il durante, e per quello che volevo fosse il dopo, che tennero occupata la mia testa. Passai un’eternità in bagno lavorando di forbici e rasoio con il terrore di combinare qualche “casino estetico”. Lavorai sul mio pube per dare una forma, o meglio un aspetto, che celasse ma senza nascondere. Il risultato fu un piccolo scudo di morbida peluria che rendeva la “zona” molto intrigante. E con il reggicalze a farle da discreta cornice, poteva favorire un’eccitazione che mi auguravo consistente. Mi stavo vedendo sotto una luce diversa che nel recente passato. Pensai anche che stavo tentando di apparire come una puttana, e la cosa mi
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faceva sorridere di compiacimento. Non ci volle molto a preparare la tavola per noi due e lo feci con tutto l’impegno di cui ero capace. Erano quasi le nove, era ora di prepararsi, in altre parole: ora toccava a me. E siccome volevo anche avere tutta la scena per me, chiesi a Marcello di prepararsi prima che lo facessi io. Mi guardò con aria interrogativa “Non possiamo prepararci insieme? E poi cosa vuoi che indossi lo smoking?”, era rientrato dalle sue commissioni con l’aria imbronciata, quasi contrariato e sul viso non aveva l’espressione di chi si appresta a festeggiare l’arrivo del nuovo anno. Ribadii: “Ti ho detto che voglio una serata speciale, quindi fai quello che vuoi ma ti voglio elegante e… aitante. Non mi interessa in modo particolare quello che metti” Si alzò e si diresse verso il guardaroba, girandosi appena una volta. Sorridevo per la curiosità che stavo suscitando in lui; ma forse più che curiosità era una sorta di inquietudine, come ogni volta che non aveva tutto sotto controllo o doveva fare qualcosa che non si accordava col suo stato d’animo. Appena dieci minuti e ricomparve. Il cachemire blu mare e la camicia bianca davano una luce particolare al suo viso, ai suoi profondi occhi azzurri, due magneti, messi ancor più in risalto dalla perenne leggera abbronzatura. Il mio respiro accelerò giusto quel tanto. “Mmmh… sarà un bell’impegno essere alla tua altezza stasera! Ma vedrò cosa posso fare”, gli mandai un bacio sulle dita e scomparii alla sua vista. Completai il trucco, poi il rossetto color ciliegia e un’idea di mascara. Gli orecchini erano lunghi, chiari e di bella luce come solo i diamanti possono dare. Il lungo abito di seta nera era appena una carezza sulla mia pelle. Il tacco più che alto slanciava con grazia la mia figura e la scollatura faceva egregiamente il suo lavoro, lasciando ben vedere ma senza esibizionismo. Lo spacco di lato alla gonna si sarebbe aperto al giusto movimento. Ero pronta, il mio uomo era mio. L’entrata ad effetto schiaffeggiò l’apparente indolenza di Marcello. Mi fermai a pochi passi da lui, mimando una posa da modella, compiendo una lenta giravolta, poi lo raggiunsi e gli stampai un bel bacio sulla bocca. Confesso che mi aspettavo molto più entusiasmo ed interesse da parte sua. Ricambiò il bacio in punta di labbra, la fronte aggrottata, e la bocca, ma soprattutto gli occhi, non sorridevano. Anche il mio sorriso si stava spegnendo. “Amore, è tutto qui l’interesse che riesco a suscitarti? C’è qualcosa che non gradisci del mio abbigliamento?
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Non dirmi che non ti piaccio più !!!” scherzai con una ilarità che non sentivo. Nessuna risposta. Sentivo tutto quello che avevo costruito sgretolarsi sotto quel silenzio. Sentivo il gelo della sua distanza indifferente percorrermi la schiena, avvolgermi il ventre, le gambe, i piedi. “Cosa diavolo hai? Vuoi dirmi cosa accidenti ti succede? Che c’è? Cosa dannazione c’è???” finii urlando. Mi guardava, spento, come un cero spento in un angolo di una chiesa. “Vuoi parlare dannato e maledetto?” la voce mi uscì roca dall’angoscia. E la risposta arrivò come una mannaia: “Mi sono innamorato di Elisa la mia nuova segretaria. E ho intenzione di andare avanti con lei”. Barcollai, caddi sul divano. “Ma come, ma perché? Così, all’improvviso, dopo sette anni passati insieme. E me lo dici adesso, la notte di Capodanno. Mi hai soffocato col tuo amore fino a farmi sentire una donna vera. Ed ora, tutta la mia felicità distrutta, tutta la mia vita distrutta, tutti i nostri bei momenti passati insieme bruciati. Marcello, non hai pietà, come è possibile che tu voglia rovinare, cancellare tutto questo?”. “Senti – rispose lui con la testa tra le mani – non so nemmeno io come è stato possibile per così tanto tempo. Tutto questo fa tremendamente male anche a me, ma io non ho mai potuto dimenticare che sei… che sei… un transessuale. Più bello di quasi tutte le donne che ho conosciuto, che mi ha dato momenti di puro, folle, appagamento sessuale. Mi spiace, mi spiace tanto. Ora esco, tornerò qui tra un paio di giorni. Non cambierò la mia decisione perché, semplicemente, non è possibile. Ti prego di prendere le tue cose. Se hai bisogno di soldi usa pure la carta di credito sul mio conto, ma sappi che tra tre giorni verrà disabilitata. Grazie, grazie davvero, per tutto quello che mi hai dato”. Ero morta dentro. Presi dal mobile bar la prima bottiglia della fila.
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L’emicrania Renzo Baggiani
Ieri sera mi sono coricata di buonumore. Come sempre mi succede da un bel pezzo a questa parte. Stamattina però, mi sono svegliata con una emicrania terribile. Avrei voluto rigirarmi un po’ sotto le coperte ma, distesa, il mal di testa mi è diventato ancora più insopportabile. Dovevo alzarmi. Ho acceso il lume sul comò, le 7 e 05. Mi sono seduta sul lato sinistro del letto e ho acceso il televisore. Sta lassù su un trespolo fatto a torretta. Scorrevole, su tre rotelle. Quando non riuscivo a prendere sonno, guardavo Bruno Vespa. Credo, che “Porta a Porta” sia tra le trasmissioni più gettonate secondo l’auditel, proprio perché la gente l’accende quando va a letto e poi… si addormenta. Per questo, vanta uno share pressoché imperturbato fino all’ultimo secondo ed anche oltre. Ad alcuni deve succedere quasi subito di appisolarsi, forse già al primo ritornello di “Via col Vento”. Sapete, quello dei titoli di testa. La melodia, poi, viene intercalata più volte durante il dibattito, forse per assecondare il bisogno di quanti, con sempre maggior sofferenza, oppongono una maggior resistenza a conciliare il sonno. Non che “Via col Vento” sia un brano particolarmente soporifero; è solo che diviene una stoccata micidiale per il povero spettatore inerme, già avviato com’è tra le braccia di Morfeo dal protrarsi fino all’inverosimile delle discussioni, orchestrate dal “bravo conduttore”, nonché prolifico scrittore. Ci si domanda come faccia a vendere tutti quei noiosissimi tomi, in un paese come il nostro, poi, dove tutti scrivono, ma nessuno legge. Ve lo state domandando anche voi, èh? A me, lo ha spiegato la mia amica Giulia. Sarebbe per via del noto fenomeno del “riflesso condizionato” e degli “stimoli appaiati”. Io, Vespa, faccio il cronista rassicurante e rassicurato dal Potere, della serie “E’ tutto uno schifo, ma in fondo va bene così e non c’è da preoccuparsi”.
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Di conseguenza, quanti cercano sicurezza e rassicurazione – e sono tanti – è a me che possono, anzi debbono rivolgersi. Quest’altra cosa, invece, la comprendo anch’io… Una cosa è, per uno scrittore, andare a vendere i propri libri porta a porta; un’altra cosa è venderli a “Porta a Porta”. Ci credo… Secondo la mia cara amica, ci sarebbe anche il fatto del messaggio subliminale. Assai più potente – dice - se ricevuto durante il dormiveglia. Una congrua percentuale di spettatori nottambuli, al mattino si sveglierebbe con la voglia irrefrenabile di acquistare l’ultimo strombettato successo del grande giornalista. Non fosse altro che per coprire, con la “rilassante” e “rassicurante” lettura, la fascia pomeridiana della pennichella. O quella delle serate in cui non si da l’ormai leggendaria trasmissione. Tanto, dopo poche pagine, uno è bello e secco e non c’è molto da patire. Si è sicuri, che l’apparecchio rimarrà acceso fino alla fine della trasmissione. Nessuno lo spegnerà, nemmeno durante il successivo telegiornale della notte. Non a caso, proprio questo, risulterebbe dalle statistiche uno dei più “seguiti”, nonostante l’ora tarda. Lo stesso succederà per le previsioni del tempo a seguire. Fin quando nella camera ormai ovattata, il suono Sussurround dei trailer di “Appuntamento al Cinema” irromperà sconquassante. A quel punto, i fedeli del Vespa nazionale si scuoteranno dal sonno e, muovendosi come automi alla luce soffusa dallo schermo lampeggiante, occhi semichiusi e bocca semiaperta, faranno una salutare puntatina in bagno. Se non sbatteranno le ginocchia contro lo spigolo di un mobile, si rimetteranno tranquillamente sotto le coperte e… buonanotte! Non prima, ovviamente, di aver spento il televisore. Giulia va a giocare a tombola alla Casa del Popolo e dice che lì accusano Vespa di essere prono di fronte al Cavaliere. Non solo quando lo ospita
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in trasmissione. Se replico che sono malignità, lei insiste: - Cara mia!… Per forza, gli tocca farlo! Se no, lo fa sostituire con Rossella! – Ora io, non so chi sia questa Rossella qua… certo, sarebbe suggestivo, che all’inizio della trasmissione, mentre riecheggia la melodia di Via col Vento, si vedesse passare la scritta: “conduce in studio… Rossella…”. Bah! Comunque stiano le cose, per fortuna io, da lungo tempo, non ho più bisogno di questo espediente. Oramai, l’insonnia è per me l’ultimo degli spauracchi. Ho ritrovato un mio, tutto personale, equilibrio. Solo che stamani, uscendo dal letto mi ha ceduto la gamba sinistra per il dolore all’anca e questa volta, l’equilibrio l’ho perso. L’altra, di anche, va abbastanza bene. Dall’ anno scorso ho una protesi. Ora… bisogna che pensi anche a questa. Fatto sta che, come dicevo, sono andata giù. Nel tentativo vano di non cadere, però, mi sono aggrappata al trespolo a tre rotelle del televisore. Col risultato di tirare giù anche quello. Meno male che ho saputo avvitarmi sul dorso. Per non battere la testa, sono atterrata, come da manuale, astutamente sui glutei. E mentre la schiena prima e la testa poi, atterravano dolcemente sul pavimento, io atterrita èh sì, atterrata ed atterrita - vedevo con preoccupazione le mie gambe alzarsi in aria e ripiombare in basso. Oddio! Proprio mentre il tubo catodico, per l’oscillazione del trespolo, veniva a sua volta a sbattere rovinosamente al suolo, a pochi centimetri dal mio bacino. Non vi dico che scoppio! Una fumata strana. Schegge di vetro dappertutto. Un macello! Tant’è vero, che quella scema del piano di sotto ha picchiato più volte sul soffitto. Penso lo stesse facendo con un manico di scopa. Come a dirmi di smetterla di fare quel baccano. M’ha fatto una rabbia, ma una rabbia, che avrei voluto alzarmi, andare a prendere il televisore del salotto a…, a… quanti pollici non lo so nemmeno io - ma parecchi - e scaraventare di brutto sul pavimento anche quello!
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Solo che… non riuscivo ad alzarmi, dal dolore alle vertebre lombari. Aggiunto al dolore all’anca e al mal di testa, che di certo non m’era passato - anzi dal nervoso ora mi pulsava più che mai - ecco il quadro della situazione. Comunque, piano piano, come m’ha insegnato l’istruttore di ginnastica morbida, mi sono girata dalla parte dell’anca buona, cioè quella della protesi e mi son tirata su a sedere spingendo con gli arti superiori. Mi sono aggrappata al letto per tirarmi su. Ma il panno di lana che avevo afferrato con entrambe le mani, si è scalzato dal materasso, facendomi sbilanciare all’indietro. Me lo son tirato appresso come fosse la coperta di Linus. E son di nuovo atterrata col morbido del fondoschiena. Questa volta, su un mucchio di vetri rotti. Ora, di solito, atterrare sul duro col “morbido” è cosa buona e giusta – da lì forse il detto “che culo!” - ma se quel duro è disseminato di vetri, per di più quei vetrini lì, così fini e taglienti, per il tuo “morbido” diventa veramente dura! Ve lo posso garantire! Purtroppo, a vivere da sole - povere anziane! - c’è anche questo difetto. A chi si chiede aiuto? … Se avessi bussato a quella cretina di sotto, mi avrebbe risposto ribussando contro il soffitto… e non la si sarebbe più finita! Accidenti al Vespa, a Porta a Porta e a Via col Vento!… Via col vento un corno! Qui se non facevo da me, chi mi ci portava via da quel “nido di vespe” in cui ero caduta? Meno male che ho conservato la mia silhouette da modella… leggera, voglio dire. Giada - mi son detta - già da giovane non eri un granché come ginnasta, ma ora dai, fatti forza! Sotto con la ginnastica. Ripetere la manovra: girarsi sul fianco destro, fare leva con le braccia e mettersi seduta. Bene! Ora, aiutandoti con le braccia… Nooo! La tenda no!… Assolutamente!… Dai, punta le mani a terra e su… su!… Insomma, dopo sette o otto tentativi - anche la cera sul marmo ci si doveva mettere! - ce l’ho fatta a rizzarmi. Puntellandomi prima alla spalliera del letto e dopo dove potevo, sono arrivata ancor più dolorante nel bagno. Lì, con sollievo, ho notato che la vestaglia da notte aveva fatto scudo alle schegge di vetro. Insomma, me l’ero cavata con delle semplici fitte, acute sì, ma innocue.
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A quel punto pungeva di più la vescica piena. Mi sono messa sul water. Non prima però di aver acceso la radio che tengo sulla consolle, allo specchio, tanto per farmi compagnia. … Seppure, stare seduta sulla tazza, è la situazione in cui, forse, anche una donna sola meno sente il peso della solitudine. E’ stato a quel punto che mi sono corsi i brividi sulla schiena. Sentivo trasmettere quella vecchia canzone che cantava sempre mia madre. “La vita è un paradiso di bugie/ Quelle tue, quelle mie/ Che ci danno una calda ansietà/ Son stelle risplendenti/ Sulle vie profumate/ Che cantate, e lontane dalla buia realtà/ …” “Un Paradiso di Bugie”! Che commozione, mi è presa! Fiotti di lacrime mi sono sgorgati dagli occhi, scivolando ai lati del naso. All’altezza del labbro superiore, sono decollati, per cadere nel vuoto. Allora, mi sono contratta per un attimo. Ho allargato le gambe quel tanto da farli transitare e lasciarli infrangere sullo scivolo di ceramica del vaso. Non l’avessi mai fatto! Dolori lancinanti alla schiena, all’altezza delle lombari, e all’anca sinistra. Proprio nel momento in cui aveva inizio il giornale radio delle otto. Se ricordo bene, lo speaker diceva che il premier Silvio Berlusconi aveva gridato al mondo intero, che il suo di governo era, un… Paradiso… Che uomo, Silvio!… Non che io mi interessi di politica, èh! Però, lui è stupendo! La mia amica Giulia, che, come vi ho detto, gioca a tombola alla Casa del Popolo, dice: - Ma dai! Quell’ometto che sarebbe completamente pelato, se non si fosse reimpiantato quella polentina nera di capelli finti?! Mah!… Sentite cosa vi dico. Io di uomini ne ho avuti tanti, ma vi posso assicurare che i migliori, a letto, sono quelli senza capelli. Si dà il caso che vidi una puntata di Quark Speciale, dove dicevano che… i capelli… gli uomini… li perdono proprio quando hanno troppi ormoni mascolini. I testi…? … i testo…steroni, ecco! Quindi… è scientifico! Ma è anche vero che l’occhio vuole la sua parte. Certo!… Ecco, allora, dimostrato un altro miracolo del Cavaliere: ti da l’abbondanza di testosteroni e tu hai davanti ai tuoi occhi un maschio supertestosterato con un bel capo di capelli. Altro che polentina! E poi, sarà anche piccolo, ma questo viene a dargli un piglio speciale, un carisma ancora più grande. Quando, circondato dai fan acclamanti, monta su qualche predella o sale su uno scaleo gentilmente offertogli nel mezzo della
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strada, se specialmente lo associate all’affascinante bandana – vi ricordate? - come fate a non vedere in lui un novello Douglas Fairbanks, in … che so… “Il Ladro di Bagdad”?… O in “Il Pirata nero”?… Sì, vi giuro … io ce lo vedo… aggrappato alle sartie d’un veliero ad arringare la sua ciurma. Ci vedrei anche un… un Burt Lancaster - che era però, diciamocelo, un altro pezzo d’uomo! - in “Il Corsaro dell’Isola Verde”. Insomma stamani, pensavo, mi si è rotto il televisore di camera… Giulia quando le ho telefonato mi ha detto: - Bene …così ora ne compri uno a cristalli liquidi.- Sì, benino! Così se mi si rompe anche quello… allago il pavimento di marmo e… addio cera. Ora sto un po’ meglio. Ho preso un paio di bustine di Nimesulide. Me l’ha ordinate il dottore. Mi ha detto di mettere uno di quei cerotti antidolorifici appiccicosi, sulla parte dolorante. Se me la fossi sentita. Figurarsi, se c’è problema! Avevo già le fasce elastiche ai ginocchi, una polsiera, il busto per sostenermi la spina, la pancera per tenermi caldo lo stomaco: quella coi cerotti, per me, più che una cura è una simbiosi! A quest’ora sono stanca. Sono piuttosto avvilita e non ceno nemmeno. Tanto tra poco mi passerà tutto il malumore. Questa volta, ho deciso di scolarmi una bottiglia di cherry e poi, “buonanottemicopro”. Ieri sera, per addormentarmi in santa pace, mezzo litro di liquore al mandarancio. Tutte le sere cambio gusto. L’unico che non funziona, indovinate cos’è… Ma via!… E’ il liquore alla crema di caffè! Me ne frego di Bruno Vespa! Al diavolo anche “Via col Vento”!… Cosa dite? Anche domattina avrò il mal di testa?! Boh… Domani è un altro giorno…
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In fine Jury Encò
Ieri ero proprio di buon umore ma oggi sto da dio! E infatti sono morta. Non è stato neanche così difficile. Tutta la vita a pensare a come sarà, con la paura, l’ansia, l’angoscia che mi prendeva nel pieno della notte e poi Zic, in un attimo mi sono ritrovata al di qua. Perché adesso lo so, siete voi ad essere rimasti chiusi nell’aldilà, noi siamo qua all’aperto, al chiaro di luce eterna. Voi siete ancora lì, incastrati nella vostra armatura di carne, a trascinarvi quintali di compromessi, tonnellate di complessi, macigni di ricordi. A volte penso come potessi muovermi con tutta quella roba che mi appesantiva il respiro. Penso ai miei anni passati a desiderare. Ah, quanto ho desiderato! Desideravo di tutto. Le mode, i tessuti, le borse, le scarpe, le vacanze, le macchine, le borse, le amiche delle amiche, le emozioni, i sapori, gli amici delle amiche, le borse, la bellezza, i cani, i giochi, i suoni, i viaggi, qualcuno con cui farli, i posti esclusivi dove infilarmi, qualcuno che mi vedesse, le borse. Quanto mi piacevano le borse…. E poi ho sempre desiderato qualcuno che mi desiderasse e devo dire che, forse a intermittenza, quel desiderio l’ho esaudito. Eppure adesso che non ho niente, neanche un corpo da esaltare, dipingere, abbronzare, deprimere, curare, pulire, accarezzare... adesso che non sento più lo scorrere dei giorni, il soffio del vento, l’umido delle lacrime, il caldo del sudore… rivedo i miei desideri, soltanto come barattoli gonfi d’aria compressa, pronti ad esplodere in un fragoroso niente. Avevo tutto quello che mi serviva e non lo utilizzavo, in compenso collezionavo bisogni, odi ed amicizie, e non ne curavo nessuno. Curavo me stessa, e per quanto pensassi o provassi a curare anche gli altri, i diversi rapporti, l’amore e l’amicizia, non riuscivo ad ottenere o a capire ciò che veramente volessi o stessi cercando. Per quanto tentassi di essere onesta, sincera, premurosa e simpatica, mi scontravo quotidianamente con il muro di chi vedevo diverso da me, talmente diverso da volerlo distruggere o abbandonare senza mai cercare di attraversarlo. Così, semplicemente.
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Ora che capisco, ora che posso posarmi alla fine dei sogni, fin sulla punta dei desideri, ora che posso toccare le emozioni, vedere ogni suono, vederli amoreggiare e fecondarsi uno nell’altro per generarne altri mille, infinite volte, ora che posso essere ogni cosa, ora che sono tutto, immersa nella felicità totale, sorrido. Lo faccio in un modo che voi non sapete ancora fare ma sorrido. Sorrido del bene e del male, della vita e della morte, della tristezza e della gioia, del caldo e del secco, del vento e del mare, delle domande e delle risposte, del blu e del rosso. Sorrido delle bocche aperte sorprese, delle bocche chiuse e di quelle distese. Sorrido di chi s’affanna e di chi dorme, sorrido dell’uomo e delle donne. Osservo quello che è stato e ciò che è rimasto e non posso evitare di sorridere. Se avessi i vostri occhi sarebbero socchiusi a tirare le rughe che li incorniciano, illuminati da una lacrima dolce. E’ così che sorridevo: guardando teneramente. Ma oramai è vostro, non è più il mio mondo. Io sono con voi senza esserci più, io sono nel verde di un cielo blu. Ieri ero proprio di buon umore, ora sono…
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Sorpresa finale Fiorella Palomba
L’alcova di raso rosa mi attendeva ed io di buon umore mi disponevo all’uopo. Ripensavo alla ”giornata” trascorsa, una giornata fantastica, sublime, soprattutto di caccia grossa. Scusate l’impeto verbale, ma erano secoli che non mi accadeva una fortuna così. Ma forse devo cominciare dall’inizio. Per prima cosa devo dire che abito in una residenza tra i boschi da una vita e più. Un posto stupendo del quale dispongo praticamente in modo esclusivo. Sono fortune che capitano ormai ai pochi eletti in via di estinzione. Così appena alzata mi sono guardata intorno e ho girovagato nell’immensa tenuta di mia proprietà. Non esageriamo con proprietà, diciamo di mio uso come affermano le monache che, avendo fatto il voto di povertà, non posseggono niente e quello di cui dispongono è appunto “di mio uso”. Io ci abito e basta. Così come ci abitava il mio nonno, il mio bisnonno e tutta la discendenza da mio padre indietro. Mio padre! Un grande signore, ci somigliamo soprattutto nell’incarnato e nel sorriso. Mi piace perdermi nell’immensa tenuta lo faccio sempre appena levata, un po’ per necessità, un po’ per il piacere di godere del luogo magico, selenico. Non c’è mai nessuno, la tranquillità è sovrana e pure il silenzio, interrotto appena dallo sciabordio del ruscello dove i cerbiatti si abbeverano, ma sospettosi fuggono ad ogni lieve fruscio. “Chiusi gli occhi e udii il vento e il suono dell’acqua che scorreva
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dolcemente, velocemente nel fiume. Mi bastò per un momento. Ma sapevo che non sarebbe durato, che questa pace sarebbe volata via come se mi venisse strappata dalle braccia, e io l’avrei inseguita, io, la più disperatamente sola tra tutte le creature di Dio, per riportarla indietro”. Quante volte avete letto questa descrizione di Anne … ecco è proprio così… L’aria frizzantina solleticava i sensi, i rami dei cedri erano mantelli argentati che nascondevano alla vista l’incedere dell’anima errante… Ma che accidenti sto dicendo…? Oggi sto proprio vaneggiando…perdonate. Andiamo avanti. Dicevo che non c’è mai nessuno nel bosco, invece ieri mattina, no oggi, no ieri notte, no, no …insomma prima di ….“L’alcova di raso rosa mi attendeva ed io di buon umore mi disponevo all’uopo” c’erano molti giovani belli e aitanti. Ora mi è chiaro il piano dei signorotti titolari della tenuta: vogliono rendere la dimora produttiva dal punto di vista turistico organizzando dei tour a tema. Ottima idea. Perché non sfruttare la storia, la leggenda e quell’aurea di mistero che circonda il sito? Troppo giusto! E’ questa evidentemente la ragione della presenza dei giovani. Ecco giusto quello che ci vuole dopo una dormita. Scusate non mi sono ancora presentata. Io sono una bellissima creatura. Avete dei dubbi? Bene ascoltate lo specchio delle mie brame!!! Lo ricordate? C’era una volta una bella principessa di nome Biancaneve. La sua malvagia e vanitosa matrigna, la Regina Grimilde, temeva che un giorno la bellezza di Biancaneve offuscasse la sua, per questo vestì la principessa di stracci e la obbligò a lavorare come sguattera. Ogni giorno la vanitosa regina interrogava il suo Specchio Magico: «Specchio, servo delle mie brame, chi è la più bella del reame?» e finché lo specchio rispondeva: «Sei tu la più bella del reame» Biancaneve restava al sicuro dalla crudele gelosia della Regina. Grimilde: -Specchio, servo delle mie brame, chi è la più bella del reame?-
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Specchio: -Bella, tu sei bella, mia Regina, ma attenta: al mondo una fanciulla c’è, vestita solo di stracci, poverina, ma ahimè, assai più bella è di te!– Grimilde: -Guai a lei! Dimmi il suo nome!Specchio: -Ha la bocca di rose, e d’ebano i capelli, come neve è bianca.Grimilde: -Biancaneve!No, lo specchio no, vietato. Lo dicono i miei… come li posso chiamare… le mie vittime!? Intanto però devo parlarvi di me così cominciamo a mettere i puntini sulle i. Ho un fisico da schianto: minuta, mora morbida, insomma le tre M che fanno appunto il meglio delle donne. Poi gli uomini preferiscono le bionde, ma questa è un’altra storia e poi… a noi…ce ne importa un fico secco. Dunque dicevo un fisico da schianto. Beh, insomma mettiamoci d’accordo sulle parole e sulle loro relazioni. Minuta e schianto mal si coniugano, bisogna precisare. Non parliamo di attributi fronte e retro eccessivi, parliamo di coppe di champagne e di mandolino, la perfezione, insomma. Allora diciamolo chiaramente: le proporzioni giuste, la bellezza da manuale, in sostanza, se vogliamo rendere meglio dobbiamo dire un fisico perfetto. Schianto è un po’ troppo da… formose, da…. matrone e non sono io, proprio no. Bene chiarito questo passiamo al viso. Ecco qui raggiungiamo l’eccellenza del creato. Voi maschi non arricciate il naso per via del colore dei capelli e guardatevi tutte le madonne dell’orbe terracqueo poi tirate le somme. Le bionde, con vostra buona pace, sono fuori registro e fuori catalogo...con qualche eccezione s’intende.
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Dettaglio meglio. Incarnato di porcellana quasi trasparente, a volte esangue, occhi da cerbiatta color nocciola che ridono sempre e chiamano dolcemente. Naturalmente c’è chi risponde e come se risponde… Poi il nasino francese. Un vezzo che dalla scuola elementare fino al liceo non è stato adeguatamente preso in considerazione, poi col passare del tempo la considerazione è arrivata. Infine la bocca: carnosa e sensuale color amarena matura, insomma una delizia. E il sorriso? Perle alabastrine lo adornano, ne vogliamo parlare? No, per ora transeat. Va da sé che il tutto è contornato da un ovale perfetto. Si. Torniamo giù per concludere il quadro. Giù giù intendo dire. Le gambe. Mozzafiato. Tornite nella giusta misura che concludono la loro lunghezza in caviglie sottili e piedi armoniosi dalla perfetta curvatura. Quando avrò ‘ntanni come mia madre ancora si volteranno per strada a guardarle. Sto farneticando di anni e di mamme… ma che ne sapete voi… Ma torniamo ai ragazzi. I loro canti intorno ad un fuoco scoppiettante che l’oscurità rendeva più magico rompevano il consueto silenzio. Carini, appetitosi… Uno di loro in particolare di una bellezza inconsueta, mi ha rapito il cuore. E adesso… che faccio…l’amore non ti aiuta… anzi. Mi sono avvicinata silenziosa e i miei occhi parlanti hanno fatto il resto. Baci incandescenti hanno coronato l’incontro. Come poteva sottrarsi al mio fascino?… Caro e perspicace lettore devi sapere che mi è accaduto un fatto inusuale: mi sono innamorata di quel bel giovane e ho “abusato” diciamo così della sua linfa vitale in modo parziale, q.b. per capirci. Ma subito mi sono rifatta quando sono arrivati gli altri, ne andava della mia vita, altrimenti… Che delizia! Poi sono fuggita di corsa appagata. Io però non capisco come mai questi ragazzi, che paiono provenire da situazioni di benessere e di cultura, si lascino attrarre da una sconosciuta in un luogo isolato e non vedano più in là nel loro naso. Hanno un bel da fare i titolari della tenuta ad organizzare stage sulle leggende locali… niente, non riescono a vedere oltre… Peggio per loro!!! Comunque io sono soddisfatta e posso addormentarmi dopo l’anelato pasto di sangue, prima che il sole mi riduca in cenere.
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Via dalla pazza folla Fiorella Palomba
L’ingegnere Maria Vittoria Degli Incerti, stanca ma soddisfatta, era andata a letto di buon umore. Si era accoccolata nella brandina da campo che aveva improvvisato a destra nel salone. Maria Vittoria era nata a Milano da una famiglia borghese, austera e rigorosa. Aveva studiato al politecnico prima e alla facoltà di fisica poi seguendo le orme del padre e del nonno, fisici e cattedratici di fama. Nonno Francesco aveva trasferito alla nipotina l’amore per la ricerca. Aveva collaborato con Schrödinger nella prestigiosa Università di Princeton e narrava di meraviglie della scienza ai confini della realtà. Era quello che si dice “uno scienziato pazzo”. Aveva sposato una dolcissima nobildonna viennese che accondiscendeva a tutti i suoi desideri: viaggi, ricerche, esperimenti. Era il suo factotum. Poi papà Giulio. Anche lui pervaso dalla follia della ricerca estrema. Giovane, bello, intrigante. Era già affermato professore universitario quando, con la piccola Vittoria issata sulle spalle e la moglie Carolina per mano, partecipava con i suoi studenti ai cortei in piazza del Duomo. Aveva attraversato intensamente gli anni del fermento culturale nell’asburgica città che si era fatta invadere prima dall’immigrazione operaia, poi dai figli dei fiori, poi ancora dalla contestazione studentesca. Maria Vittoria aveva vissuto dall’alto delle sue spalle, come in un film, la storia del movimento che aveva cambiato la storia. Una esperienza memorabile!!!
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“Mi ricordo ancora quel 1968, come fosse ieri. Avevo solo 5 anni, immersa nella folla festosa e ironica, davanti alla Rinascente in corso Vittorio Emanuele, cantavo anch’io sulle note di bianco Natale il ritornello che mi ha accompagnato per tutta la vita e che è stato uno degli artefici del mio futuro: “Santo Natal..., santa TV…, con tutto questo sprecar… che cazzo c’entra Gesù…” Milano era una città che diceva futuro, che si colorava delle canzoni di Jannacci, del teatro di Streler, dei jeans dei giovani come mio padre, delle minigonne di giovani ragazze come mia madre, dei balli in piazza del Duomo. Una città aperta alle novità, al mondo, una città lucente. Ora è una città grigia e opaca, con una leggera patina di muffa e con i suoi abitanti perduti in una bolla di incomunicabilità e di opulenza. Accidenti come passa il tempo! Parlo come una vecchia befana eppure sono una splendida cinquantenne! Già la befana… Quanti ricordi affiorano questa sera nel mio lettino arrangiato… La befana era una grande festa per noi figli dei dirigente Stipel al teatro Gerolamo, una piccola bomboniera con le poltrone dorate. Ci accoglieva per la festa con la recita delle marionette dei Colla, i pacchi dono, e la cioccolata calda con la panna. Ancora mi lecco i baffi… e ricordo la mia giovane e bella mamma che mi portava ogni anno a questo “dolcissimo” appuntamento. - Come è diventata grande Vittoria e tu sempre più bella Carolina!! - era il solito chiacchiericcio tra colleghi che io ascoltavo distratta, più interessata ai giochi con i bambini. Un’altra festa molto attesa era il carnevale ambrosiano coloratissimo, con i gruppi teatrali che organizzavano performance fantasiose. Io e la mamma, vestite dei colori più pazzi e degli abiti inventati da noi, immerse nelle folle e nelle follie delle piazze. E i dolci? Di alcuni molto, molto particolari ho una memoria che non si sa se parte dal cervello o dal gusto: confetti di una delizia suprema. All’apparenza normali confetti tondi e duri, ma poi… al primo morso… la morbidezza e la voluttà ineffabile del marzapane. Non ho più trovato questi confetti celestiali! Poi gli studi a San Diego, poi ancora a Boston e via via sempre più veloce:
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le prime esperienze di fisica quantistica, la sfida del teletrasporto, la realtà virtuale con Rosedale. Ed ora eccomi qua. Il teletrasporto è stata la ragione della mia vita, della mia ricerca in fondo solitaria. Avevo vinto questa sfida e poi un altro obiettivo: trovare la zona d’ombra per “traslocare” nello spazio-tempo. In fondo che senso ha pagare un affitto, avere mobili per una come me che vive di immaterialità!? Voglio andare via, voglio vivere fino in fondo nel virtuale, ciao. Ma attenzione il mio non è un virtuale qualsiasi: è la casa di mio nonno, nel 1970, in corso Magenta 33 a Milano, nella grandiosa biblioteca.
Non era stato facile individuare le coordinate per giungere nel luogo e nel tempo desiderato. Anni di tentativi, critiche di colleghi, incertezze del ritorno. Non era stato facile lasciare questo presente per quanto vano… ma non è più tempo di parole… restano i pensieri, restano i segreti… E ora nell’anno del Signore 2013, dopo aver fatto avanti e indietro dal reale
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al virtuale, dal virtuale al reale, eccomi arrivata nella casa di nonno Francesco invasa da odori di cannella, cacao e marzapane. Nelle orecchie “santo Natal…, santa Tv…” il ritornello che è stato il pilota di questa avventura. Rivolevo i suoni, i colori, gli odori della mia infanzia, rivolevo la mia città amata… con buona pace del resto del mondo. Per ora sono in questa meravigliosa biblioteca con la mia fedele brandina da campo, poi mi sistemerò meglio. Se aguzzate gli occhi riuscite anche a vedere il mio provvisorio giaciglio, a destra della biblioteca. Quando voi avrete finito di scannarvi con le guerre, gli attentati e i giochi di borsa e i crolli finanziari, quando avrete finito di avvelenare le api, allora tornerò tra voi… …se voi ci sarete ancora… …forse… Per ora mi addormento serena qui”.
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Destandosi un mattino da sogni inquieti… Pupibina
…il prestigioso critico Cinico Ignazio Scarabeis si sentì strano, cambiato: era –se così poteva dire- stranamente di buonumore! Eppure avvertiva un disagio, qualcosa di alieno, anche nel suo corpo. Molle, disarticolato, ma anche pesante e incapace di muoversi… UMANO, okkazzo! Un corpo umano! Non riuscendo ad alzarsi per strisciare come di consueto fino al suo studio, decise di restarsene ancora un po’ sdraiato lì a pensare. ‘Pensare’?: era come una specie di strano fermento nella sua nuova testa così pesante, piena di una sostanza densa eppure ariosa, frizzantina… Divertente! Pensò al tanto lavoro da fare: manoscritti, piedescritti, zampascritti e altre deiezioni da recensire. Quante leggiadre barchette se ne potevano ricavare, quanti aeroplanini da veder volteggiare via dalla finestra, quanta carta igienica (no, quella no, erano scritti su carta troppo extra-strong); quanti coriandoli e stelle filanti… Uffa. Ma perché ‘sti benedetti ‘Scrittori’ non si limitavano al titolo, visto che ormai la critica aveva definitivamente teorizzato che tanto poi il resto lo fa il lector-in-fabula, che possediamo solo i puri Nomi dei Libri, che ogni testo è un “Libro-a-venire”? Oppure perché non si fermavano agli incipit, che erano così di moda, anche se –ammise tra sé sogghignando- solo lui ne avrebbe saputo trovare uno davvero originale, “Era una notte buia e tempestosa…”, altro che tutte quelle banalità; o magari, per essere un po’ più nuovi, perché non scrivevano solo dei bei finali? Beh, questo era più difficile, però se quel Dante era diventato famoso ripetendo la sola parola stelle, perché no? Chissà perché nessuno ci aveva mai pensato… Immaginò come sarebbe stato bello poter far giocare le parole anziché costringerle a lavorare (alla catena di montaggio, povere!). Già, la parola: ma come Significante o come Significato? Il dibattito specialistico sul tema era stato sfiancante e irrisolto. Decise che ne aveva le palle piene e che se voleva divertirsi davvero doveva sfantazzare con i Segni e
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mandare a cagare il loro Significato. Il suo buonumore stava prendendo un bel mood anarcoide. Comunque, se fosse stato lui uno scrittore, si sarebbe sicuramente divertito di più a stravolgere, sconvolgere e fraintendere i titoli in modo assolutamente incongruo, demenziale, in modo da svolgerli rigorosamente fuori-tema, operazione tra l’altro fichissima, roba da psicoanalisi o da filosofia del linguaggio: tanto la parola parla sempre di ALTRO, no? Mah… pensandoci bene però, capì che era impossibile far meglio di generazioni su generazioni di studenti, assolutamente geniali, inossidabili e imbattibili nel fuori-tema. Era una partita persa. Forse avrebbe potuto giocare con entità minori, meno impegnative, ad esempio le singole lettere delle parole, come con le tesserine del suo amato ‘Scrabble’: sostituirle, scambiarle, tirarle fuori a caso dal sacchetto. Cazzi lazzi pazzi, grande glande, rischi fischi… Ehi, bello però, che ritmo, sembra un proverbio, una poesia! Ma anche questo divertimento durò poco, gli sembrava già visto, già fatto. E poi richiedeva una recensione troppo seria. Poteva però recensire le sole lettere iniziali dei paragrafi, ecco un bel risparmio di energie! Metti che poi saltasse fuori qualche acrostico, sai che sballo! Oddìo, magari era un’idea un po’ medioevale… Forse era più divertente la modernità: ci volevano testi cubisti, picassiani -ecco- quelli che lavorano sulla ‘decostruzione’ del testo, del senso e della sintassi, anche degli spazi tipografici, sul contrasto tra il silenzio delle parti bianche della pagina e la densità scura e rumorosa della scrittura. Sì, gustoso… ma anche faticoso, come il jazz. E lui invece si sentiva addosso una crescente pigrizia, un delizioso bozzolo di svogliatezza da cui non voleva proprio uscire. Come moschine volanti negli occhi gli balenò l’idea della punteggiatura: ecco la soluzione! Recensire solo le virgole, quelle simpatiche e buffe
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strizzatine d’occhio, così spesso usate in modo magnificamente insensato! occhio chiuso…occhio aperto…ma certo, come aveva fatto a non pensarci prima: il PUNTO-E-VIRGOLA!… pop il punto swishhhh la virgola, pop swishhhh, giocarci anche col suono…pop swishhhh… Che genialata! Tanto ormai non lo usava quasi più nessuno, così se la sarebbe cavata con poco lavoro e avrebbe avuto un sacco di tempo libero… libero da… libero di… libero per… Per sperimentare il suo nuovo corpo, quel dorso indifeso e flessibile, quelle grottesche quattro appendici così articolate e ingombranti, per imparare a muoverle con eleganza e leggerezza, oh sì, la leggerezza!... una danza, un volo, una nostalgia come di… liquido amniotico? Dalla stanza accanto la sorella accese la radio… “Portami al mare – fammi sognare – e dimmi che non vuoi – morire…” nananà nananà na na na nanà SI’. Oggi vado al mare, decise prima di riaddormentarsi trafitto da un raggio di sole. Con un solco lungo il viso, come una specie di sorriso…
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…Ma… Pupibina e DJ Stecci
…un sonno inquieto lo risprofondò nella realtà. Sognò di dover dettare un’auto-recensione alla Segretaria, un uccellaccio occhialuto dal volto incartapecorito di ex-donna, lunghe tette vuote, artigliata come un’arpìa, come un incubo, sullo schienale della sua poltrona… …Signorina scriva: “Con questa sofisticata opevazione meta-critica e meta-narrativa il Cvitico stesso ci offre un ironico (ed autoironico) excursus del momento angolare dell’attuale landscape lettevavio. Il classico, il moderno, il postmodevno vengono qui declinati magistralmente in un pevcorso ammiccante e di-vertente, in cui convivono (e si consumano fino ai loro esiti estremi) diversi registri linguistici, espressioni colte e gergali, cvuciali citazioni esplicite o crrriptiche, la letteratuva alta e la canzonetta, la metamorfosizzazione delle maschere –umane e animali- e il veciproco (s)mascheramento delle metamorfosi attraverso cui il gioco diviene tragedia (il lavoro di routine, l’esser-ci heideggeriano, il non voler morire), il riso muta in rim-pianto nostalgico (il bozzolo, i coriandoli, gli aeroplanini di carta), dove il senso viverbera il non-senso, che ridà così significato ai significanti esplosi e teatralizzati. Segni e indizi ne scandiscono il percorso. Già l’incipit letteralmente mutuato da Kafka (come simboleggiano le due kappa di ‘okkazzo’) ci indica –capovolgendola- la trasformazione del Critico: da insetto, corazzato del suo ruolo, a creatuva umana, nuova ed inerme. Alla ricerca della propria libertà/liberazione, egli è l’in-fante che scopre la primigenia fovma di conoscenza: il Giuoco. E quale giuoco più inconscio e sapiente se non quello del linguaggio? La letteratuva –nella sua stessa distruzione- rivela la sua Verità. Poiché solo dal caos può nascere una stella (il Nietzsche della metafova delle stelle filanti). Tutto dunque è (deve essere!) reiventato, immaginato e giocato: Dante con Patty Pravo, Barthes e i temi scolastici, De Saussure con De André, Freud e il punto-e-virgola, Queneau e gli emoticon, Blanchot con la carta igienica, Eco e ilmiolibro.it, Quasimodo con Snoopy… E tutto confluisce, come in Joyce, nel finale SI’ alla vita, che si iconizza
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nella gvandiosa metafora-matrice: l’etevno ritorno amniotico, il MARE. Il ‘gran mare dell’Esseve’, dove tutto trova infine senso e identità nell’Assenza: senza più peso né pavola, né inizio né fine…” Si girò verso la segretaria. Ora indossava un corsetto nero attillatissimo, tutt’un riflesso di bulloni e catene. Guanti neri di pelle a mezze dita le fasciavano le mani ossute. Nella mano destra uno scudiscio si agitava minaccioso, come la coda di un gatto in attacco; nella sinistra teneva una tazza di caffé che stava porgendogli. Un brivido corse lungo la schiena di Cinico Ignazio. - Senza zucchero! Oggi è mercoledì. - Bvava. La segretaria adesso roteava il frustino. Cinico si portò fino alla finestra. - Un po’ di luce in questo mortovio! Crrribbio! Il grigio irruppe nella stanza. Pioveva. - E dunque che ne pensa, cava?... Per un momento Argìa Von Stoihfen sembrò voler saltare sulla scrivania, dare fuoco a tutte quelle cartacce e, nel rogo, strappargli camicia e calzoni e farlo ululare con una bella fellatio senza misericordia... Invece scandì composta: - Il progetto sembra ‘promettente’. Lui annuì con un risucchio dalla tazza. Anche la pendola rococò annuiva dallo scaffale. Argìa prese la tazza vuota. - NE VOGLIO ANCOVA- l’artigliò con la mano sudaticcia - … Ancora??... -Sì! ANCOVA! ANCOVA E ANCOVA!!!! -… non sarà troppo?... -NO! ANCOVA! - dopo se ne pentirà… - ANCOVA! ANCOVA! -… ne è sicuro??... -ENCOVE!!!- urlava battendo i piedi per terra e i pugni sulla scrivania.
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- NON E’ PIU’ TEMPO DI CAFFE’! rispose acida. Lo schiocco del frustino risuonò secco. Le borchie del corsetto di cuoio scintillarono sinistramente. - che…che cosa ha intenzione di fave….? Argìa lo guardò con un sorriso sadico - Stavolta dovrai chiedermelo in tedesco. -…ach so!? Abev natuvlich, meine Liebe…… Buio. Una voce beffarda -la sua stessa voce!- irruppe nel sogno a liberarlo da ogni visione: E adesso, caro il mio Scarabeis, guardiamoci allo specchio e parliamoci chiaro: tutto questo non significa un emerito cazzo, ma ti servirà sempre a presentare in modo appetitoso e conturbante un qualunque lavoro di merda, che se venisse recensito per ciò che è veramente non se ne venderebbe una copia nemmeno alla tu’ sorella e a ‘sta fava dell’Argìa! Alzati e va’ a lavorare…
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Il Conte Priscilla Stecci (Storia in versi di come è nata una grande amicizia) Il conte Priscilla, frugando in cantina Aveva nel fondo d’un vecchio cassetto D’una fratta malcerta e scassata vetrina Un giorno trovato un grasso draghetto Così rimembrando di un dolce passato Felice a cotanta inattesa scoperta con grande trasporto l’aveva baciato commosso dal fato per l’umile offerta poi tutto contento lisciandogli il pelo sentendo improvvisa destargli la vena scolpì con maestria su un ciocco di melo una dolce draghetta con occhi verbena.
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Li pose indi il conte l’un l’altra vicino Fra libri e monili in un grato giaciglio Al dolce tepore d’un morbido lino Sul trave scolpito di grigio bardiglio Del grande camino di ruvida pietra La luce del fuoco, sfiorandoli ognora Salendo la cappa lugubre e tetra. scaldò dei draghetti l’amena dimora Il giorno d’appresso il conte Priscilla Si reca al mercato dei mobili antichi E in fondo ad un banco. riempito di argilla Vede-un-bel cofanetto, fra ninnoli e plichi
Di ambra era il corpo e di bronzo brunito Con verde cornice di giada lucente I manici grandi d’avorio scolpito, Due schegge ricurve di forma cadente
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Il conte Priscilla si sporse sul piano “Lo voglio, “ strillò con voce sicura e tosto afferrò, allungando la mano lo scrigno di Giada, con ratta premura Tanto era solerte e fiero il suo sguardo Che il rude mercante lo prese in disparte Dicendogli “Conte ne abbia riguardo Che questa è davvero un’opera d’arte L’avorio fu inciso dal Grande Bulino Che di mano sublime la Giada scolpì dell’ambra il colore è così sopraffino che chiamata fu l’<occhio dell’ade Kalì>. Si narra da tempo l’oscura leggenda Che un drago ne fosse il custode fedele ma che in un fervore di furia tremenda Ucciso l’avesse una strega crudele Il sangue si perse nell’acqua di un lago Ma nel calco di giada ne cadde una stilla Ed è ciò che resta del povero drago Coperto da un pugno di umile argilla
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“Del drago conosco la livida sorte” “Giacché” Disse il nobile “vuole credenza Che l’arida strega che addusse sua morte Dei conti Priscilla sia diretta ascendenza. E il nostro casato non avrà mai pace Finchè un discendente non ponga riparo Alla morte del drago in modo efficace Lavando dell’onta il capitolo amaro” Si arrese il mercante davvero convinto Del conte Priscilla legittima brama In magnanimo slancio con fare distinto Gli dette il monile e si prese la grana Stringendo il trofeo al petto raggiante Tornò alla magione e pose il vasetto Sul trave bardiglio di pietra fumante Sul candido lino fra draga e draghetto Sognò quella notte di armi e fazioni Con draghi e fantasmi e spade e duelli Magie e fatture e guerre e tenzoni Con giovani ancelle e tetri castelli
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Ma quando la notte si tacque allo sguardo E apparve sul mare il sole infuocato Si scosse dal cuore il conte gagliardo Sogni, incubi e pene châ&#x20AC;&#x2122;ebbe sognato Nel grande camino al fievole lume vide nove draghetti di bianco cristallo Con le ali coperte di soffici piume E la schiena solcata da scaglie corallo Ogni piccolo drago sul petto recava Una scura bisaccia di cuoio incordato E della bisaccia ogni interno mostrava Un plico di tela di rosso vergato I plichi ritrasse il conte curioso E li lesse del fuoco alla fiamme tremanti. Cantavano storie del tempo glorioso Dâ&#x20AC;&#x2122;una giovane donna e dâ&#x20AC;&#x2122;ella gli amanti I suoi sogni, utopie speranze e viaggi progetti ed amori spemi e avventure Tristi avventi ed imprese antichi retaggi Di gioie e dolori e le tristi paure
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Che alfine la poser nell’ombre funeste del tempo e del fato immagine oscura che veste di notte la vivida veste dell’empio vicario l’orrenda figura La dolce pulzella nascoste le brame Scomparve nel buio, lasciando i ricordi Aleggiare sottili in finissime trame Di un canto gentile in deboli accordi Del suo nome custode fu l’eroico drago Che lo trasformò in vivido scrigno Finchè il conte Priscilla di sua storia presago Non pagò il riscatto dal fato maligno Nel piccolo scrigno un candido fiore Avea preso il posto dell’umile argilla Un giglio sbocciato al dolce tepore Del grande camino del conte Priscilla
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Indice Presentazione
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Stuzzichini
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I. Ieri ero proprio di buonumore II. L’incontro III. La recensione IV. Argia Von Stoihfen
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Pubertà anni 70 Il debutto Il silenzio dei fiori
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Un tesoro di gatto Dall’estetista La tentazione
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Una notte speciale Giada e gli amanti dei cani Lo scrittore
52 59 65
Il viaggio Mercoledì Anno nuovo, vita nuova
72 77 82
L’emicrania In fine Sorpresa finale Via dalla pazza folla
88 94 96 100
Destandosi un mattino da sogni inquieti… …Ma…
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Il Conte Priscilla
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