Nel 1850, a pochi mesi di distanza l’una dall’altra, Samuel Colt aveva immesso nel mercato le sue riv-
.31, con il tamburo adornato da disegni floreali e trofei d’armi, decorazioni che, talvolta, furono incise
Il “Wesson & Leavitt Belt Revolver” fu, in ogni caso, una novità nell’esiguo panorama d’armi a
oluzionarie rivoltelle modello 1849 e 1851; “pistole a rotazione” di semplice costruzione, rapide da cari-
anche sulla cartella laterale che copre il meccanismo di scatto. Le canne furono fatte sempre cilindriche,
ripetizione dell’epoca e doveva certo far gola agli ultimi mountain men e trappolatori, ancora girovaganti
care, leggere e ben bilanciate. Fino allora chi aveva necessità di più colpi doveva munirsi delle pesanti
con misure che variarono dai tre ai sette pollici; le matricole iniziarono dal numero 1 e i marchi più co-
in mezzo a montagne vergini e lungo i torrenti per cacciare gli ultimi castori e soddisfare l’incessante
e poco precise “Pepper Box”, in pratica rivoltelle costituite dal solo, lunghissimo, tamburo. Naturalmente
muni che possiamo trovare impressi sono: MASS. ARMS CO., CHICOPEE FALLS sulla parte superiore
richiesta delle loro pregiate pellicce, proveniente dagli Stati dell’Est, dove andavano di moda per farne
furono molti gli armieri che si gettarono nella strada aperta da Samuel per trarre beneficio dal nuovo
del telaio dell’impugnatura, WESSON’S & LEAVITT’S PATENT sul retro della cartella laterale, LEAVITT’S
copri abiti e cappelli. I montanari erano uomini robusti, tagliati a tutte le avversità, capaci di mettere in
orientamento dei clienti; una delle prime fabbriche d’armi che lo fece fu la Massachutes Arms Co., di
PATENT APRIL 29, 1837 sul tamburo. Per quanto abbiano un aspetto massiccio e robusto, non credi-
atto ogni accorgimento per sopravvivere in luoghi lontanissimi da qualsiasi risorsa civile; dotati, per-
Chicopee Falls, iniziando sia con la “Wesson & Leavitt Dragoon” calibro .40, prodotta in circa ottocento
amo che i “Wesson & Leavitt Belt Revolver” avrebbe creato molti problemi di concorrenza alle rivoltelle
tanto, di grande capacità d’adattamento e ingegnosità per soddisfare la loro sete d’indipendenza. Alcuni
esemplari nel periodo 1850/51, sia con la rivoltella che appare in primo piano nel disegno, una “Dra-
modello 1849 e 1851, dalla linea semplice ed elegante, leggere e, nello stesso tempo, molto robuste;
di loro erano inguaribili solitari, altri lavoravano in piccoli gruppi, molti convivevano con gli indiani
goon” in scala leggermente ridotta da portare alla cintura; fu chiamata “Wesson & Leavitt Belt Revolver”
quelle della Massachutes, invece, hanno l’apparenza di un accorpamento di vecchie armi: il calcio, la
adottandone anche usi e costumi. Furono i primi a scoprire i geysers dello Yellowstone, nonché nuovi
e dall’officina della Massachutes Arms fecero in tempo ad uscirne mille prima che, nel 1851, l’Azienda
cartella laterale e il cane esterno hanno reminiscenze delle pistole ad avancarica, il tamburo ha i luminelli
valichi che consentivano d’attraversare con agevoli percorsi la dorsale montana e raggiungere il versante
perdesse la causa intentatagli da Colt per infrazione del suo brevetto. La Massachutes Arms, allora,
per le capsule d’innesco posti superiormente, similmente a molte delle pepperbox che la rivoltella, in-
del Pacifico. Il momento topico per questi rudi personaggi era l’annuale “Rendez–vous”, durante il
costruì un’altra rivoltella, munita del sistema d’innesco inventato da Maynard, così da aggirare i diritti
vece, doveva sostituire, la canna, infine, appare come un’aggiunta e un adattamento. Il tutto comportava
quale, vendute le pelli, si sfogavano a bere, giocare, partecipare a gare di tiro a segno, andare a donne.
di Colt. Il nostro “Wesson & Leavitt Belt Revolver” era adatto per essere portato appeso o infilato in
un peso e un ingombro notevolmente superiori a quello della Colt, che era, e restò grazie all’innovazione
Le armi più usate dai Mountain Men erano i fucili Hawken e Pennsylvania, pistole e rivoltelle, asce e
una cintura, oppure in tasca, secondo la lunghezza della canna; era ad avancarica e a sei colpi calibro
e alla fama che acquisì, del tutto imbattibile.
grossi coltelli per scuoiare. Per quanto attiene le Montagne Rocciose si ricordano i celebri nomi di Jim
1. Colt Model 1849 Pocket Revolver
2. Wesson & Leavitt Belt Revolver
3. Colt Model 1851 Navy Revolver
4. Colt Model 1855 Sidehammer
5. Colt Model 1862 Police Revolver
Pocket Revolver
6. Colt Single Action Army Revolver
7. Colt Model 1877 “Lightning” e “Thunderer”
8. Colt Model 1877 “Lightning” e “Thunderer”
9. Colt Model 1878 “Frontier”
Model 1873
D.A. Revolver
D.A. Revolver “Sheriff Model”
Double Action Revolver
12. Colt Third Model Deringer
13. Colt New Line .22 Revolver
11. Colt Second Model Deringer
10. Colt Open Top Model Revolver
a rivoltella inventata da Samuel Colt rivoluzionò il mondo delle armi statunitense, consentendo di avere a disposizione strumenti leggeri e maneggevoli che consentivano di sparare più colpi, con grande precisione e potenza. Il revolver Colt Pocket modello 1849 era, ovviamente e data l’epoca di costruzione, ad avancarica e fu prodotto dagli inizi del 1850 fino al 1873; 325.000 pezzi vennero fabbricati a Hartford e 110.000, con matricola separata, a Londra. Era calibro .31 e il tamburo poteva contenere cinque o sei colpi; le canne erano lunghe tre, quattro, cinque o, meno frequentemente, sei pollici. La maggior parte delle rivoltelle Pocket 1849 era munita della leva di caricamento, ma ne furono costruite anche prive di essa, chiamate “Wells Fargo Model”. Le guancette dell’impugnatura erano fatte con un unico pezzo di legno di noce, protetto da vernice trasparente; la leva di caricamento, il cane e il castello erano tartarugati, il resto brunito. La guardia del grilletto, di forma ovale, era fatta generalmente d’ottone argentato e solo raramente fu costruita d’acciaio, in tal caso, e a scelta, brunito o argentato. La tascabile Colt 1849 sostituì la “Baby Dragoon” e, in pratica, era la versione più piccola della di poco successiva Colt Navy modello 1851. I numeri di serie proseguirono quelli dalla Baby Dragoon e andarono da 12.000 circa e 340.000 circa. Sulla canna si possono trovare tre tipi di scritte; la prima fu ADDRESS SAML COLT/NEW–YORK CITY, la seconda ADDRESS SAML COLT/HARTFORD CT., la terza ADDRESS COL. SAML COLT NEW–YORK U.S. AMERICA. Sono, ovviamente, più rare quelle che riportano la dicitura ADDRESS COL. COLT./LONDON, oppure SAM. COLT. LONDON. Sul lato sinistro del castello era stampigliata la scritta COLTS/PATENT e sul tamburo fu incisa la scena di un attacco alla diligenza. Quelle citate sono le principali tipologie di Colt 1849; in realtà questa bella rivoltella conta circa duecento varianti, tenuto conto dei vari tipi d’incisione, finitura, guancette, mirini, tacche di mira (tutte le Colt ad avancarica le hanno fresate sul becco–percussore del cane), creste del cane stesso, forma del paragrilletto, ecc. Ce ne sono anche alcune calibro .36 che montano un tamburo con il cilindro avente un ridotto diametro posteriore. Il Governo degli Stati Uniti ne acquistò cinquanta per la Marina, comprese fra le matricole 203.000 e 204.000 e con indicato l’indirizzo di Hartford. Avevano la guardia del grilletto larga, il marchio dell’Ispettore P/GG e impressa la sigla USN (United States Navy); sul retro dell’impugnatura e sotto il telaio
del calcio venne pure stampigliato l’acronimo U.D.C. (Union Defense Committee). Nel 1850 le prime Colt 49 cominciarono a circolare, giusto in tempo per partecipare alla forsennata corsa all’oro iniziata pochi mesi prima; città, villaggi, caserme, allevamenti furono abbandonati per rincorrere il sogno di ricchezza, talvolta ottenuta solamente con le sole regole del più forte. Fu un periodo eccezionale e abbastanza unico nella storia umana, le concentrazioni d’uomini fecero sorgere come d’incanto tendopoli e villaggi provvisori dove c’era di tutto, dai barbieri al materiale per i minatori e i cercatori, dai saloon ai postriboli e alle case da gioco. Alcuni tendoni erano appena ingentiliti da una finta facciata di legno con le insegne dipinte a vivaci colori. Le armi – ancora ad avancarica e con innesco a capsula – erano in quantità, qualità e varietà incredibili: pepperbox, pistole ad una o due canne di varia misura e calibro, rivoltelle Colt Baby Dragoon o 1849 per chi poteva permettersele. Uno dei mitici depositi d’oro, che fece sognare gli avventurosi fin dagli albori della colonizzazione nord americana, fu la cosiddetta “Miniera degli Olandesi”, situata da qualche parte fra le montagne dell’Arizona e della quale parlarono per la prima volta alcuni monaci spagnoli, dopo che fu loro mostrata dagli Apaches. Si affermava che aveva le pareti coperte d’oro e che il prezioso minerale si potesse raccogliere da terra con la pala. Successivamente, nel 1748, fu fatta menzione del giacimento nel documento con il quale Ferdinando VI di Spagna concesse quella che oggi è l’Arizona a Don Miguel Peralta, un messicano la cui famiglia sembra abbia raccolto l’oro almeno fin al 1864, allorché gli Apaches, respinti sempre più in zone invivibili dai bianchi, iniziarono a massacrare tutti quelli che capitavano loro a tiro, compreso il gruppo guidato dal suo pronipote Enrico Peralta. Gli scontri durarono tre giorni e si salvò solo un uomo; l’evento fu confermato dal ritrovamento, nel 1912 e nel luogo della battaglia, dei resti di un accampamento e di alcuni lingotti d’oro. Sembra che il superstite avesse conservato una mappa per raggiungere la miniera, peraltro scoperta di nuovo nel 1870 dal cercatore Abraham Thorne, uno dei pochi amici degli indiani e che lì lo portarono dopo avergli bendato gli occhi. La benda gli fu tolta in un canyon e lui vide sullo sfondo, quale unico punto di riferimento, un appuntito roccione; alla base di una delle pareti del canyon c’erano mucchi d’oro e Thorne ne prese quanto più poteva prima che gli bendassero di nuovo gli occhi e lo riaccompagnassero indietro. Quando vendé il prezioso metallo ne ricavò seimila dollari, all’epoca una cifra
Livio Pierallini
enorme, tanto che Thorne avrebbe potuto passare il resto dei suoi anni fra agi e tranquillità; ma l’avidità lo accecò e, con un gruppo di amici, tornò nella zona per tentare di ritrovare la miniera, provocando l’irritazione degli Apaches, che li massacrarono tutti. Nel 1871 due avventurieri tedeschi (non erano olandesi, come, invece, erroneamente fu chiamata da allora la miniera), Jacob Waltz e Jacob Weiser, salvarono il figlio di Enrico Peralta, dal nome Miguel come l’avo, che raccontò loro del giacimento di famiglia e propose di accompagnarli in cambio di una percentuale sul ricavato; lo ritrovarono e dall’oro raccolto ricavarono la bellezza di 60.000 dollari, intascati dal fortunato Miguel dietro cessione della mappa ai tedeschi. I Weiser tornarono nella miniera nel 1879 e vi trovarono due cercatori messicani; li uccisero, raccolsero altro oro e vi restarono a lavorare ancora qualche tempo; poi gl’indiani tesero loro un tranello e Weiser scomparve, lasciando come unica traccia una camicia insanguinata con vicino alcune frecce. Walz raccontò che la miniera era fatta ad imbuto, giacché Enrico Peralta aveva fatto eseguire lavori di scavo. Fu trovata, di nuovo e per caso, nel 1880 da due soldati, poi assassinati dai banditi in un agguato quando tentarono di tornarci. Gli Apaches, ai quali “il metallo giallo” non interessava ma che temevano un’invasione massiccia del loro territorio, stante anche il fatto che la miniera era solo fonte di guai e di morte, la fecero ricoprire dalle squaw e nascosero l’accesso con grossi massi; la natura, poi, con un terremoto che cancellò tutti i punti di riferimento, nascose per sempre il giacimento maledetto. Jacob Waltz era l’unica persona che, forse, avrebbe potuto rintracciarne l’ubicazione, ma alla sua morte portò con sé il segreto. Ovviamente la “Miniera degli Olandesi” fu cercata ancora, ma conservò la sua dannazione, giacché nel 1931 un uomo che aveva tentato di riscoprirla fu trovato decapitato fra le montagne dell’Arizona, nelle tasche gli venne trovato un biglietto nel quale si leggevano a malapena le frasi “A circa sei metri dall’imboccatura della miniera…” e “Veni, vidi, vici”; dopo di che è restata solo la leggenda… L’ultimo “Gold Rush” avvenne nel 1896, in Alaska. Nel 1867 gli Stati Uniti avevano acquistato dallo Zar di tutte le Russie quell’immenso territorio; una landa poco ospitale, ghiacciata e semidesertica. Poi, però, vi fu scoperto l’oro e, quasi trent’anni dopo, migliaia e migliaia d’avventurosi – e avventurieri – ripeterono quanto accadde nel ’49: una forsennata corsa all’oro.
el 1850, a pochi mesi di distanza l’una dall’altra, Samuel Colt aveva immesso nel mercato le sue rivoluzionarie rivoltelle modello 1849 e 1851; “pistole a rotazione” di semplice costruzione, rapide da caricare, leggere e ben bilanciate. Fino allora chi aveva necessità di più colpi doveva munirsi delle pesanti e poco precise “Pepper Box”, in pratica rivoltelle costituite dal solo, lunghissimo, tamburo. Naturalmente furono molti gli armieri che si gettarono nella strada aperta da Samuel per trarre beneficio dal nuovo orientamento dei clienti; una delle prime fabbriche d’armi che lo fece fu la Massachutes Arms Co., di Chicopee Falls, iniziando sia con la “Wesson & Leavitt Dragoon” calibro .40, prodotta in circa ottocento esemplari nel periodo 1850/51, sia con la rivoltella che appare in primo piano nel disegno, una “Dragoon” in scala leggermente ridotta da portare alla cintura; fu chiamata “Wesson & Leavitt Belt Revolver” e dall’officina della Massachutes Arms fecero in tempo ad uscirne mille prima che, nel 1851, l’Azienda perdesse la causa intentatagli da Colt per infrazione del suo brevetto. La Massachutes Arms, allora, costruì un’altra rivoltella, munita del sistema d’innesco inventato da Maynard, così da aggirare i diritti di Colt. Il nostro “Wesson & Leavitt Belt Revolver” era adatto per essere portato appeso o infilato in una cintura, oppure in tasca, secondo la lunghezza della canna; era ad avancarica e a sei colpi calibro .31, con il tamburo adornato da disegni floreali e trofei d’armi, decorazioni che, talvolta, furono incise anche sulla cartella laterale che copre il meccanismo di scatto. Le canne furono fatte sempre cilindriche, con misure che variarono dai tre ai sette pollici; le matricole iniziarono dal numero 1 e i marchi più comuni che possiamo trovare impressi sono: MASS. ARMS CO., CHICOPEE FALLS sulla parte superiore del telaio dell’impugnatura, WESSON’S & LEAVITT’S PATENT sul retro della cartella laterale, LEAVITT’S PATENT APRIL 29, 1837 sul tamburo. Per quanto abbiano un aspetto massiccio e robusto, non crediamo che i “Wesson & Leavitt Belt Revolver” avrebbe creato molti problemi di concorrenza alle rivoltelle modello 1849 e 1851, dalla linea semplice ed elegante, leggere e, nello stesso tempo, molto robuste; quelle della Massachutes, invece, hanno l’apparenza di un accorpamento di vecchie
armi: il calcio, la cartella laterale e il cane esterno hanno reminiscenze delle pistole ad avancarica, il tamburo ha i luminelli per le capsule d’innesco posti superiormente, similmente a molte delle pepperbox che la rivoltella, invece, doveva sostituire, la canna, infine, appare come un’aggiunta e un adattamento. Il tutto comportava un peso e un ingombro notevolmente superiori a quello della Colt, che era, e restò grazie all’innovazione e alla fama che acquisì, del tutto imbattibile. Il “Wesson & Leavitt Belt Revolver” fu, in ogni caso, una novità nell’esiguo panorama d’armi a ripetizione dell’epoca e doveva certo far gola agli ultimi mountain men e trappolatori, ancora girovaganti in mezzo a montagne vergini e lungo i torrenti per cacciare gli ultimi castori e soddisfare l’incessante richiesta delle loro pregiate pellicce, proveniente dagli Stati dell’Est, dove andavano di moda per farne copri abiti e cappelli. I montanari erano uomini robusti, tagliati a tutte le avversità, capaci di mettere in atto ogni accorgimento per sopravvivere in luoghi lontanissimi da qualsiasi risorsa civile; dotati, pertanto, di grande capacità d’adattamento e ingegnosità per soddisfare la loro sete d’indipendenza. Alcuni di loro erano inguaribili solitari, altri lavoravano in piccoli gruppi, molti convivevano con gli indiani adottandone anche usi e costumi. Furono i primi a scoprire i geysers dello Yellowstone, nonché nuovi valichi che consentivano d’attraversare con agevoli percorsi la dorsale montana e raggiungere il versante del Pacifico. Il momento topico per questi rudi personaggi era l’annuale “Rendez–vous”, durante il quale, vendute le pelli, si sfogavano a bere, giocare, partecipare a gare di tiro a segno, andare a donne. Le armi più usate dai Mountain Men erano i fucili Hawken e Pennsylvania, pistole e rivoltelle, asce e grossi coltelli per scuoiare. Per quanto attiene le Montagne Rocciose si ricordano i celebri nomi di Jim Bridger, Soublette e della “Rocky Mountain Fur Company”. A sud delle Rocky Mountain, a Taos, altri personaggi divennero leggendari, quali Jedediah Smith, Kit Carson, Old Bill Williams. Il crepuscolo di questa vita avventurosa si può far risalire al 1849, con la scoperta dell’oro alla segheria di John Sutter, dove oggi c’è la città di Sacramento. È in queste molteplici realtà che si trovò a vivere il “Wesson & Leavitt Belt Revolver”; una situazione
Livio Pierallini
d’effervescenza che vedeva una moltitudine d’umanità cercare di crearsi una nuova esistenza. A metà dell’ottocento, inoltre, gli Stati Uniti stavano allargando sempre di più i propri confini verso il lontano Ovest (il “Selvaggio Far West”) e i nuovi insediamenti necessitavano d’essere collegati con il resto del Grande Paese. Non c’erano ancora le ferrovie e i contatti fra i vari villaggi, nonché il trasporto delle merci, avvenivano con muli, cavalli e, dove possibile, con le diligenze, ma occorreva attraversare migliaia di chilometri di deserti, praterie, montagne perennemente innevate; una natura (e un’umanità) ostile e selvaggia. Nel 1857 fu fatto un tentativo di portare la posta da Independence allo Hutah transitando sulla pista dell’Oregon, raggiunta in diligenza fino alla “Devils Gate” (il nome dà l’idea di cosa doveva trattarsi) per poi proseguire con i muli; ma, a causa della neve e delle bufere, fu impossibile superare il South Pass fino alla primavera dell’anno dopo. Sempre nel 1857, per attraversare il deserto furono perfino acquistati e affidati all’Esercito settantacinque dromedari, ma fu un completo fallimento, sia perché muli e cavalli si spaventavano quando li vedevano, sia perché il deserto nord americano è in buona parte pietroso e rovinò ben presto i piedi delle povere bestie africane, nonostante fossero tardivamente rivestiti con apposite calzature di pelle. Gli animali vennero, così, venduti a circhi oppure abbandonati nelle praterie. Il problema dei trasporti fu risolto nel 1858 da John Butterfield, che aprì una pista, poi a lui dedicata, lunga più di quattromila chilometri, presidiati da solo quattro avamposti militari. Butterfield, però, costruì un’infinita serie di stazioni di posta, presidiate da gente dura e capace, e affidò le diligenze – trainate da muli – a coraggiosi postiglioni che, nell’incredibile tragitto, dovevano vedersela con Apaches, Comanches e fuorilegge d’ogni risma. Non sembra, con l’immaginazione, di scorgere fra il turbinio di polvere, un tizio dall’età indefinibile che urla alle pariglie di cavalli e fa schioccare una lunghissima frusta, il cappellaccio ben calzato e con un giaccone dalle falde svolazzanti che coprono e scoprono la rivoltella Wesson & Leavitt infilata alla cintura?
l disegno generale, l’equilibrio delle dimensioni, la potenza e la precisione resero queste armi fra le più apprezzate dell’epoca, tanto che, dalla fine del 1850 fino al 1873, anno d’adozione della “Peacemacker” a retrocarica, ne furono fatte 215.348 a Hartford e circa 42.000 a Londra. Le “Navy” trovarono intenso uso durante la Guerra di Secessione e furono scopiazzate in mezzo mondo, in particolare da Confederati, spagnoli e belgi. La rivoltella Colt modello 1851 era ad avancarica del tamburo, calibro .36; la canna ottagonale, lunga 7 pollici e ½, era ricavata dalla lavorazione di un blocchetto di metallo pieno e comprendeva l’appendice posteriore per congiungerla al castello tramite due viti. Nell’appendice erano fresati: il canale per il passaggio del braccio premente la leva di caricamento e il foro per il suo perno di rotazione, l’asola per il passaggio della zeppa che, attraverso l’asse del tamburo, bloccava solidamente la canna al castello. Sotto la parte anteriore della canna, vicino alla volata, era lasciata una piccola sporgenza metallica nella quale s’inseriva il fermo a molla del braccio della leva di caricamento, da impugnare per premere le pallottole di piombo nelle camere di scoppio. Le guancette erano costruite con un solo pezzo di noce verniciato trasparente; su quelle militari erano impresse le iniziali dell’Ispettore di controllo. Il castello, il cane e la leva di caricamento erano tartarugati, la guardia del grilletto era d’ottone argentato e solo in pochissimi casi fu fatta d’acciaio, in tal caso brunito come il rimanente delle parti metalliche. Le matricole iniziarono da 1 e sull’arma furono impressi tre tipi di marchi: ADDRESS SAML COLT NEW – YORK CITY dal numero uno di serie al 74.000, ADDRESS SAML COLT. HARTFORD CT. dal 74.000 al 101.000 circa e ADDRESS COL. SAML COLT NEW – YORK U.S. AMERICA dal 101.000 in poi. L’attributo di “Colonnello” a Colt sembra risalire agli inizi del 1851. Su alcune rivoltelle fabbricate negli Stati Uniti fu stampigliata, sul lato sinistro del castello, la scritta COLTS/PATENT, con l’aggiunta di U.S. o U.S.N. se militari. Si riscontrano anche le lettere U.C. o L.C., secondo se i revolvers erano destinati a chi operava nell’Alto o nel Basso Canada. Le sigle riscontrabili sulle Navy, peraltro, sono un visibilio, si pensi che furono usate da vari Corpi Armati e di Polizia Britannici, sia in Inghilterra, sia nei vari suoi possedimenti sparsi per il mondo. Caratteristica della Colt Navy 1851 è la scena della battaglia navale incisa sul tamburo, che mostra uno scontro fra la Marina del Texas e quella messicana. Una delle peculiarità che convinsero i militari delle varie Nazioni (e non solo le Marine) a adottare le Navy, fu l’intercambiabilità delle sue parti, e tale possibilità fu fatta ben presente da Colt alle Autorità
Governative, alle quali l’inventore propose d’inviare cento rivoltelle che potevano essere completamente smontate, le varie parti mischiate e poi rimontate a caso, assicurando che ciò non avrebbe comportato alcun problema. Quanto sostenuto da Samuel era vero, le prove furono effettuate e i risultati gli diedero ragione, cosicché Colt – abile propagandista di se stesso – pubblicizzò al massimo l’esperimento denominandolo “1 of 100 Test Gun”. Il nostro Samuel, infatti, cercava con ogni mezzo d’interessare potenziali acquirenti di tutto il mondo ai suoi prodotti, per far questo non mancava d’inviare rivoltelle ai Capi di Governo, re e potentati, oppure a grandi condottieri, come fece con il nostro Garibaldi. L’apprezzamento per questa rivoltella portò alla realizzazione di una miriade di sue varianti e personalizzazioni, da quelle di fabbrica, in particolare per quanto attiene la possibilità d’applicarvi un calciolo e trasformarle in mini–carabine, oppure il cambiamento del disegno posteriore del paragrilletto, da squadrato a rotondo, fino alle personalizzazioni richieste dai civili, con finiture di tutti i tipi: argentate, brunite, dorate, incise negli stili in voga al tempo, e con le guancette fatte con vari materiali, fra i quali i preferiti erano l’osso, il corno, l’avorio, la madreperla…e anche questi spesso decorati con rilievi o incisioni. I messicani, poi, ne fecero di rutilanti e fantasiose, un po’ come quella del disegno che, però, ha un’incisione di semplice fattura e sembra fosse oggetto di dono agli sceriffi che andavano in pensione, mentre, pagando cifre di non poco conto per l’epoca, si potavano ottenere con i bellissimi lavori incisi da artisti; anche la Freund Armory, dei fratelli Freund, a richiesta incideva le superfici delle Navy e provvedeva pure a migliorarne gli scatti e i sistemi di mira. La “Colt Model 1851 Navy Revolver”, come abbiamo detto, fu una delle rivoltelle più usate negli Stati Uniti nel corso della Guerra fra Nord e Sud. A quel conflitto parteciparono anche molti italiani, negli Stati sudisti erano presenti numerosi soldati ex borbonici, fuggiti dal meridione dopo la sua annessione all’Italia, mentre fra i nordisti era abbastanza nutrita la presenza di toscani, lealisti leopoldini. La Toscana Leopoldina, infatti, nel ‘700 e per prima al mondo aveva abolito la tortura e la pena di morte e non vedeva certo di buon occhio la schiavitù. In un bando uscito dalla Stamperia Granducale, già nel 1839 si affermava che “La R. Consulta…fa pubblicamente noto l’appresso…Motuproprio…” a questo punto fu trascritta la convenzione firmata il 24 novembre 1837 dal segretario del Granduca Leopoldo, Vittorio Fossombroni, e i ministri dei re di Francia e Inghilterra per la repressione della Tratta dei Neri, indicando i criteri per riconoscere le navi che praticavano la
Livio Pierallini
tratta, come la presenza di collari e catene di ferro, razioni di cibo supplementari, ecc., e le punizioni da applicare ai responsabili e ai navigli. La Colt Navy modello 1851, al termine della guerra, equipaggiò molti americani, dall’una e dall’altra parte della legge. Suoi entusiasti utilizzatori furono i cow boys, in virtù della buona equilibratura, robustezza e potenza; quest’ultimo poteva essere, talvolta, un aspetto non proprio positivo, giacché molti pellirossa usavano combattere a torso nudo e le veloci palle attraversavano il loro corpo senza abbatterli immediatamente, con la conseguenza di vedersi saltare addosso uno di quei terribili guerrieri che ben pochi bianchi poteva affrontare in un combattimento a corpo a corpo. Nell’estate del 1868 Joe McCoy fece giungere ad Abilene migliaia di capi di bestiame, organizzando recinti e spedizioni ferroviarie verso i mercati dell’Est e del Nord. Ci furono, pertanto, momenti di concentrazione incredibili di cow boys, ubriachi, bari, e liti con scontri nei saloon e nelle strade, spari, coltellate, e scazzottate erano all’ordine del giorno. Nel 1870, finalmente, il Marshall “Bear River” Smith impose di depositare le armi nel suo ufficio all’arrivo in città e le cose migliorarono. Successore di Smith nella carica di Marshall fu Wild Bill Hickok, che integrava i proventi di tutore della legge con quelli di giocatore d’azzardo ai tavoli dell’“Alamo”. È interessante leggere una cronaca del tempo che riguarda Wild Bill; il Croniche del 8 giugno 1871 scrive: Armi da fuoco. Il Capo della Polizia ha affisso manifesti a stampa per informare tutti i cittadini che ad Abilene sarà applicata la disposizione che vieta di portare armi da fuoco e da taglio. È giusto. Non vi è alcun coraggio nel portare una pistola in una comunità civilizzata. Una tale pratica può essere accettata, o addirittura rendersi necessaria, fra gli indiani e altri barbari, fra i bianchi deve essere abbandonata. Nel 1871 due teste calde e giocatori di professione, Ben Thompson e Phil Coe, aprirono in società il Saloon “Bull Head” e cercarono d’istigare il pistolero John Wesley Hardin a sfidare Hickok; senza, tuttavia, riuscirci; cosicché, la sera del 5 ottobre, Coe stesso sparò contro Wild Bill mancandolo, ma altrettanto non fece Hickok che, estratta una delle due rivoltelle Colt Navy dall’impugnatura d’avorio (che, come sua abitudine, teneva con il calcio in avanti per sparare incrociando le mani) e colpì Coe, mandandolo al Creatore, peraltro non senza compagnia, giacché Wild Bill, con la coda dell’occhio, vide un uomo armato correre verso di lui e, di puro istinto, lo centrò senza rendersi conto che era il suo aiutante Mike Williams che veniva ad aiutarlo.
ai collezionisti è conosciuto con il nomignolo di “Root”, perché il suo meccanismo fu ideato da Elisha K. Root, disegnatore alle dipendenze di Colt. La produzione di questa rivoltella ebbe inizio nel 1855 e cessò intorno al 1870/72; la vendita di quest’arma ebbe inizio nel 1857. Ne furono fatte circa 40.000, numerate in due serie distinte. Fu la prima rivoltella ad avancarica che Colt costruì con il castello chiuso, a differenza di quelle che la precedettero (e delle successive) che erano tutte prive del ponticello superiore, con canna e tamburo che potevano essere separati dal castello, mentre nella Root, per togliere il tamburo stesso, occorreva sfilare dal retro asse e stella di rotazione, vincolati insieme. Altre due caratteristiche di questo revolver erano il cane laterale, fortemente disassato per far penetrare il percussore nella fessura posteriore del castello e raggiungere la capsula, e il grilletto a sprone, non protetto dalla classica guardia. La produzione iniziale era nel calibro .28, con cifre da 1 ai numeri superiori a 30.000 (non si sa quale è l’ultima matricola), la seconda produzione era calibro .31 ed era numerata separatamente da 1 a 14.000 circa. Le rivoltelle con la canna ottagonale erano calibro .28 e avevano la sola lunghezza di tre pollici e mezzo; quelle calibro .31, invece, potevano avere la canna sia ottagonale, sia rotonda, lunghe tre pollici e mezzo o quattro pollici e mezzo. Le guancette erano di un unico pezzo di noce, verniciato trasparente. La finitura standard prevedeva la tartarugatura del cane e della leva di caricamento e la brunitura del resto. Sono state classificate sette varianti di “1855 Sidehammer”; le prime erano calibro .28, avevano rullata sul tamburo un’incisione riproducente uno scontro con gli indiani, la canna ottagonale e l’indirizzo di Hartford. I numeri di serie andavano da 1 a 25.000 e con un particolare che rende rare le prime 386, poiché la scritta sulla canna era priva del motivo della mano puntata; questa simpatica interiezione appare, però, in alcune rivoltella calibro .31 comprese fra i numeri 1 e 1.350. Poi ne fu fatta una buona quantità con il tam-
buro completamente scanalato, sia calibro .28, sia .31, con i numeri di serie compresi nel gruppo fino a 28.000 e la manina vicino alla scritta, che scompare di nuovo nel blocco numerico fra 1.351 – 2.400. Una produzione più tarda, matricola comprese fra 2.401 e 8.000, era calibro .31, aveva sempre il tamburo scanalato e stampigliata sulla canna rotonda la dicitura COL. COLT NEW YORK; le canne erano lunghe tre pollici e mezzo oppure quattro pollici e mezzo. Questa variante fu seguita da un’altra piccola serie, calibro .31, con la scena dell’attacco alla diligenza impressa sul tamburo (che era tornato ad avere, ovviamente, la superficie piena); le canne rotonde avevano le due lunghezze canoniche e portavano la stessa dicitura COL. COLT NEW YORK. Le matricole di questa tipologia sono comprese fra 8.001 e 11.074. La produzione finale aveva ancora le canne rotonde con stesse lunghezze e marchio, erano calibro .31, scena dell’attacco alla diligenza rullata sul tamburo il quale, però, era fissato all’asse di rotazione con una vite; le matricole sono le ultime, da 11.075 a 14.000 circa. Negli anni nei quali circolava questa peculiare rivoltella, le tensioni e gli scontri lungo la frontiera fra statunitensi e messicani portavano a frequenti dipartite “con gli stivali ai piedi”, verso le “Boot Hill”, appunto le “Colline degli Stivali”, dove numerose erano le lapidi di morti per cause non naturali. Le cittadine poste al confine erano anche, per ragioni etniche, fra le più turbolente e folcroristiche, stante l’abitudine dei messicani (ma, anche, di alcuni statunitensi) d’andare in giro con cappelli enormi e molti, vistosi, orpelli. Il quotidiano Union del 7 marzo 1868 riferisce di un messicano, spalleggiato da suoi connazionali, che era entrato in un saloon di Junction City e, gridando “Gli americani sono diversi dai messicani”, si era messo a sparare ferendo un avventore, il quale, estratta a sua volta la rivoltella, centrava in pieno l’assalitore. Gli abitanti del Texas avevano spesso a che fare con i messicani, che li chiamavano con disprezzo “Gringo”. Tale soprannome sembra ebbe origine ai primi tempi dell’invasione nord americana del territorio del Mes-
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sico; gli occupanti portavano camice verdi (“green” in lingua anglosassone) e i messicani li invitavano ad andarsene al grido di “Green – go” (camice verdi andatevene). I saloon, in genere, erano locali dove era difficile restare tranquilli e le risse erano la norma, anche se non sempre risolte a revolverate. Nelle cittadine del West questi locali erano molto frequentati, per giocare a carte, bere un bicchierino (c’erano liquori e birre di tutte le marche e d’ogni provenienza), sentir strimpellare un pianoforte o qualche altro strumento, scherzare o appartarsi con le “donnine”, dure e decise quanto i loro clienti e che non esitavano a metter mano alle piccole pistole o rivoltella nascoste fra gale e trine. È da ricordarsi, in fin dei conti, che tolti i saloon, dopo una giornata (o settimane) di fatica non c’erano altri posti dove andare a chiacchierare o a divertirsi. Altri luoghi dove non potevano mancare la “Root” erano i territori lungo le migliaia di chilometri di linee ferroviarie in costruzione, sia dal lato della californiana Central Pacific, partita da Sacramento in direzione della costa atlantica, sia dalla parte della Union Pacific che, invece, andava verso il Pacifico iniziando da Omaha; ciascuna aveva proprie difficoltà: l’improbo attraversamento della Sierra Nevada per la Central Pacific, mentre l’Union Pacific doveva affrontare l’ostilità delle tribù Sioux e Cheyenne, che temevano l’invasione e la rovina delle loro terre, già percorse dai pali del “filo parlante”. Alla guida della Central Pacific era Charlie Crocker e gli operai erano quasi tutti cinesi, ancora con il caratteristico “codino” e sfruttatissimi, tanto che molti di loro morirono per gli stenti, il freddo e la fatica fra i picchi della Sierra; le squadre della Union Pacific, invece, erano composte da iracondi irlandesi, coordinati dal Generale Grenville Dodge. A Promontori Point, nell’Utah, il 10 maggio 1869 ci fu l’incontro dei due tronconi ferroviari e gli Stati Uniti furono resi ancor più tali, da costa a costa. Elementi caratteristici del frenetico lavoro intorno ai binari erano gli addetti ai trasporti di traversine e rotaie, chiamati “Jehu”; termine che derivava dal nome di un re biblico, ricordato perché sembra facesse correre i suoi cavalli fino a farli morire per lo sforzo.
uesta simpatica e filante rivoltella fu costruita dal 1861 al 1873, contemporaneamente alla “sorella” Model 1861 Navy Revolver, dalla quale differisce principalmente per avere il tamburo scanalato (rarissimo, invece, nella versione Navy) e le canne, rotonde, di varie lunghezze, però sempre inferiori ai sette pollici e mezzo, unica misura prevista, invece, per l’arma militare. C’è anche un’altra rivoltella che fa parte della “famiglia”, la “Colt 1862 Pocket Navy” che, pur avendo canne più corte dei canonici sette pollici e mezzo delle armi destinate ai militari, conservava il tamburo pieno, ma con la parte posteriore cilindrica di diametro più piccolo, e aveva la canna ottagonale. I numeri di matricola della rivoltella 1862 Police erano mischiati con quelli della Navy 61, pertanto non si sa con esattezza quante ne furono prodotte, anche se si è certi che siano state circa 28.000. Il calibro era .36 centesimi di pollice, il tamburo ad avancarica era alleggerito dalle scanalature e conteneva cinque colpi, le canne, di sezione rotonda, potevano essere lunghe 3 pollici e ½, 4 e ½, 5 e½ e 6 e ½. Le guancette erano di noce, di un solo pezzo e protette da vernice; il castello, il cane e la leva di caricamento erano tartarugati, il resto brunito, salvo la primissima produzione, che aveva argentato anche il telaio del calcio. Il paragrilletto standard era d’ottone argentato e solo in rari casi fu fatto d’acciaio, anch’esso brunito. Sulla canna fu apposta la scritta ADDRESS COL SAML COLT NEW – YORK U.S. AMERICA, sul lato sinistro del castello la dicitura COLTS/PATENT e sul tamburo PAT SEPT. 10th 1850; se ne possono trovare pure con inciso sulla canna ADDRESS COL. COLT/LONDON. La Colt 1862 Police fu l’ultima rivoltella ad avancarica disegnata dalla Colt durante la Guerra fra gli Stati. Finito il conflitto c’erano così tante armi in giro da soddisfare la pur consistente richiesta degli avventurosi che si spostavano verso Ovest e, dopo pochi anni, la cartuccia metallica la fece da padrona, cosicché le vendite della 1862 Police non furono soddisfacenti e la Colt puntò, con successo, verso altri modelli e facendo divenire ancor più rara la 1862, giacché, all’inizio degli anni ’70, ne trasformò moltissime a retrocarica con i sistemi Thuer, Richard o Richard – Mason. Nel 1865, quando finì la guerra, ripresero i commerci fra i vari Stati, rimasti bloccati per ben quattro anni. All’Est e al Nord c’era il benessere e un gran bisogno di carne, ma gli allevamenti erano concentrati soprattutto nel lontano Texas, invaso da circa sei milioni
di bovini. Al Sud, migliaia di reduci dovevano ricostruirsi la vita e, a questo punto, cominciò la grande avventura della transumanza per coprire l’enorme distanza fra gli allevamenti e i compratori nordisti, attraverso centinaia di chilometri di prateria, e poi micidiali tratti desertici, alture d’ogni tipo, decine di fiumi da guadare; a tutto questo occorrevano aggiungere i pericoli derivanti dagli animali selvaggi, dai rettili e insetti velenosi, dagli indiani, dai banditi e fuorilegge, strascico del rancore, della miseria e del disadattamento conseguente il conflitto. La “Grande Migrazione” iniziò nel 1866 e tutti i cow boys erano armati con ogni genere di fucili, pistole e rivoltelle. È nell’immaginario di tutti la mandria mugghiante, i mandriani che, nella polvere, corrono avanti e indietro fischiando o urlando, con i gambali dei pantaloni protetti da vari tipi di “Chaps” (le coperture di cuoio derivate dagli “Chaparrals” messicani; le due tipologie più utilizzate erano quelle “ad ali di pipistrello” e “a doppietta”), preceduti nel luogo dove accamparsi dal carro coperto con tutto il necessario per la cena. Tutto questo, però, solamente quando capitava di fermarsi a riposare, altrimenti cow boys (e viaggiatori) ricorrevano al cosiddetto “Campo buio”, vale a dire cenare lungo la strada e poi allontanarsi da quel luogo per pernottare, srotolando il “Bed Roll”, la coperta contenente tutti i loro beni. I pur rudi uomini, in genere, erano però molto superstiziosi e, nelle terre dei Navajos, se erano viaggiatori solitari quelli che dovevano passare la notte all’addiaccio, avevano il sonno disturbato non solo dal freddo o dalla pioggia, ma anche dal timore degli “Chindi”, gli spiriti malevoli dei defunti, che si manifestavano con fruscii e stridii nel pesante silenzio di quei luoghi solitari. Lavati i piatti di stagno nei torrenti o nelle pozze d’acqua o, se mancava, puliti con erba o sabbia, un’usanza diffusa per chi dormiva all’aperto era di togliersi, per prima cosa, gli stivali e metterli voltati verso il basso per impedire l’ingresso a ospiti indesiderati, magari velenosi, poi il cappello; al risveglio la sequenza era invertita: prima il cappello e poi gli stivali, dopo averli ben scossi. Tutti i cavalieri avevano la coperta, il laccio e quant’altro strettamente necessario appesi alle selle; queste erano di vario tipo, c’erano le “Brazos”, derivate da quelle messicane, le “Denver” con il caratteristico incavo per il cavaliere, le piatte “Texas” o “Cheyenne”, gli “Alberi del White River” di derivazione canadese, fino alla più famosa “Madre Hubbard”.
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Per quanto attiene le mandrie e la transumanza dal Texas, è da tener conto che quelle bestie erano piene di pulci e tali insetti trasmettevano la “febbre spagnola” agli altri bovini, le “texane” ne erano immuni, ma fra le altre bestie provocavano spaventose morie; perciò i texani dovettero vedersela anche con gli allevatori del Kansas del Missouri, con i quali ci furono vari scambi di revolverate. I cow boys si dividevano i compiti e avevano diversi ruoli; c’erano i “Wrangler” addetti ai cavalli di riserva, la “Remuda”, che stavano sempre dietro la mandria, gli “Swing Riders”, che andavano avanti e indietro controllandola e si distinguevano fra quelli in testa “On the point” e quelli in coda “Drag Riders”, infine i “Flank Men” che fiancheggiavano le bestie per mantenerle in gruppo. Una volta l’anno gli allevatori organizzavano i “Round–up”, i raduni di tutti gli animali per marchiare i nuovi venuti. Finita la guerra lo spostamento nel West si intensificò, ma già molti erano arrivati sulla costa del Pacifico, dove c’erano nuclei consistenti di popolazione; mancavano, però, le donne e allora i pionieri di Seattle, quasi tutti scapoli, fecero un annuncio sul giornale locale, il “Puget Sound Herald”, proponendo un incontro per accordarsi su come fare ad attrarre aspiranti mogli verso Ovest. Il risultato del summit fu l’incarico al concittadino Asa Mercer di “…procurare una moglie di buon carattere e di buona morale facendola venire dall’Est a Seattle, entro il mese di settembre del 1865, per ciascuno dei sottoscrittori le cui firme sono allegate; essi avendomi da prima pagato la somma di 300 dollari con i quali finanziare il viaggio di dette signore dall’Est e compensare me per il mio disturbo”, come il buon Asa ebbe a scrivere in un secondo annuncio sul quotidiano. Mercer partì con ben cinquecento “ordinazioni”, ma nella Nuova Inghilterra, terra allora bigotta e prevenuta, trovò non poche difficoltà, il che lo fece ritardare nella “consegna” delle ragazze, molte delle quali, peraltro, anche per sfuggire a una vita di difficoltà o d’oppressione religiosa e di costume, si presentarono spontaneamente. Sarebbe bello fare un viaggio nel tempo e assistere al loro arrivo a Seattle, dove trovarono la città dipinta a nuovo, le strade pulite, i locali malfamati chiusi e gli uomini sbarbati e puliti di tutto punto, in mostra con i migliori vestiti. Volete saperlo? Tutte trovarono marito in pochissimo tempo, e anche Asa Mercer si fece, con gran soddisfazione, “accalappiare”.
“la Colt” per antonomasia, il fantastico revolver del vecchio West, il modello 1873 nato per uso militare e che fra i civili conobbe un tale successo da non essere cessato neanche ai nostri giorni. Era affidabile, robusto, perfettamente impugnabile e facilmente utilizzabile, composto di pochi pezzi e, quindi, facilmente riparabile. L’arma nacque nell’Azienda Colt mentre sfornavano migliaia di conversioni a retrocarica delle precedenti rivoltelle ad avancarica. La Colt 1873 fu creata da William Mason, un progettista che aveva già lavorato con Colt nel 1861, prima che Samuel morisse, poi era passato alla Remington ed era tornato all’azienda del cavallino rampante nel 1866, restandovi fino al 1882, quando mise le sue capacità al servizio della Winchester. La Colt 73 calibro .45 interessò subito l’Esercito, che ne acquistò 14.400. Le prove comparative successivamente fatte con la Remington Army modello 1875 e la Smith & Wesson Schofield confermarono la superiorità della 73. La Schofield, infatti, pur potendo sparare un maggior numero di colpi al minuto, era meno robusta della Colt e aveva lo stesso tallone di Achille della Remington 1875 a castello chiuso, vale a dire una minore resistenza allo sporco – dominante nell’ambiente dove operavano i soldati – e sabbia e fango le inceppavano con facilità. Alla Colt avevano seguito le orme del fondatore, grande propagandista, perciò sfruttarono appieno il successo presso i militari della singola azione modello 1873, tanto più che ebbero l’immediata accortezza di camerare le rivoltelle destinate al mercato civile. Sceriffi, banditi, cow boys, pistoleri, minatori, coloni, esploratori, cacciatori, rangers… si munirono della nuova arma, che acquistò tanta fiducia da parte dei suoi utilizzatori da vedersi affibbiare un sacco di nomignoli, da quello di probabile origine aziendale che recita “Dio creò gli uomini diversi, Colt li rese uguali”, a “Peacemaker” (Pacificatrice), “Equalizer” (Livellatrice), “Judge Colt” (Giustiziera), “Last Court” (Ultimo Giudizio), “Manico d’aratro”, ecc. La Colt Single Action fu costruita dalla fine del 1872 al 1940, quando iniziò la seconda guerra mondiale e l’azienda aveva tipi d’armi più moderni da produrre. In ogni caso, con vistose impugnature d’avorio, era al fianco del Generale Patton e nel giugno del 1940 ne furono fornite un centinaio al Governo inglese per contrastare l’eventuale invasione tedesca dell’isola. Le 1873 furono immatricolate a iniziare dal numero 1 fino al 357.859; le matricole comprendono, però, dopo il numero 310.386, anche la variante Bisley con il calcio più angolato e la “Flat top target”, con il ponte superiore del castello piatto e differ-
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enti organi di mira. A fine Ottocento alla Springfield Armory e alla Colt assemblarono un certo numero di rivoltelle con la canna da cinque pollici e mezzo; avevano i numeri di matricola miscelati e furono chiamate “Artillery Model”. Le munizioni che era possibile sparare con la Colt 73 sono tantissime, dalle standard .45, .44/40, .38/40, .32/20 e .41 alle meno comuni .22rf, .32rf, .32 Colt, .32 Smith & Wesson, .32/44, .38 Colt, .38 Smith & Wesson, .38 Colt Special, .38 Smith & Wesson Special, .38/44, .357 Magnum, .380 Eley, .45 Smoothbore (usate nelle esibizioni anche da Annie Oakley e Buffalo Bill), ecc. Le lunghezze di canna andavano dai due pollici e mezzo fino a sedici pollici (quasi quarantun centimetri), ma le misure fondamentali erano tre: 4 e ¾, 5 e ½ e 7 e ½. Ce ne fu un modello che Ned Buntline fece appositamente costruire per donarlo agli uomini di legge di Dodge City; l’iniziativa fu raccontata dal periodico Dime Novel e queste rarissime e fantasiose Colt 73, conosciute come “Buntline Special” avevano le canne da 10 a sedici pollici e l’attacco per un apposito calciolo, così da trasformarle in mini carabine. La generalità delle Colt 73 ha la bacchetta d’espulsione dei bossoli, tranne quelle conosciute come “Sheriff’s”, oppure “Storekeeper’s Model”, che ne erano prive e avevano, di solito, la canna lunga quattro pollici. La testina della bacchetta era a forma di ciambella, poi divenne a mezza luna. Le guancette erano di materiale disparato; quelle standard erano inizialmente di legno finito ad olio o verniciato e con i marchi dell’Ispettore di controllo, se militari. Poi, dal numero di serie 75.000 circa, furono fatte di gomma dura, zigrinata, con l’aquila americana e l’emblema del cavallino rampante fino al numero 165.000 circa, poi restò solo lo zigrino e il cavallino. A richiesta, le guancette furono realizzate pure d’avorio, d’osso, di legni pregiati, di madreperla; lavorate e ornate di metalli preziosi e gemme, ecc. La finitura normale dei metalli era la brunitura, con il castello e il cane tartarugati; abbastanza comuni quelle nichelate, ma su ordinazione furono fatte anche argentate, dorate, con una combinazione dei due rivestimenti o con parti brunite, e poi incise, niellate d’oro… insomma, la Colt 73 era un oggetto essenziale per salvare la vita a un cow boy restato intrappolato in mezzo a una stampede, o caduto da cavallo e impigliato nella staffa, oppure a chi si trovava aggredito da pellerossa, banditi, puma o serpenti, ma era pure un’arma da esibire per vanità, considerato che, all’epoca, cinturoni e rivoltelle erano parte essenziale dell’abbigliamento. I due tipi standard di scritte sulla canna furono, da 1 a circa 24.000, + COLT’S PT.
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F.A. MFG. Co HARTFORD, CT. U.S.A. +, poi divenne COLT’S PT. MFG. Co. HARTFORD, CT. U.S.A. Si trova anche la dicitura PALL MALL LONDON su quelle destinate al mercato inglese. L’indicazione dei brevetti fu apposta sul lato sinistro del castello, con le date di quelli del 1871 e 1872 su due linee nelle armi precedenti la matricola 34.000 circa, poi venne impressa su tre linee. Sulle armi militari è stampigliata pure la sigla U.S. Dal numero di matricola 34.000 circa al numero 135.000 circa furono indicati su tre linee i brevetti del 1871, 1872 e 1875; gli stessi numeri furono, infine, impressi di nuovo su due linee. Dalla matricola 130.000 circa, vicino ai brevetti fu aggiunto anche il cavallino rampante. Sempre fantastiche sono le rivoltelle, calibro .45, con la sigla W.F. & Co, appartenute alla Wells Fargo. I numeri di serie furono apposti anche sul tamburo e la consuetudine cessò con il numero 120.000 circa. Sul lato sinistro della guardia del grilletto era generalmente stampigliata l’indicazione del calibro. Suggestiva la dicitura COLT FRONTIER SIX SHOOTER stampigliata sulla canna delle armi calibro .44/40, costruite fra i numeri di matricola 21.000/130.000 circa. Per togliere l’asse del tamburo e procedere alla pulizia della 73, inizialmente occorreva rimuovere una piccola vite collocata sotto la canna, nella parte anteriore del castello; intorno al numero di serie 144.000 la vite fu sostituita da un piccolo fermo a molla trasversale, più robusto e adatto a sopportare il maggior stress derivato dall’adozione della polvere senza fumo, in sostituzione della polvere nera usata fino allora. Sulle rivoltelle Colt 73 a singola azione comprese fra i numeri di serie 330.001 e 331.480, infine, si possono trovare tamburi con scanalature più lunghe, montati in fabbrica prendendoli da quelli destinati ai nuovi revolvers a doppia azione modello 1878. La Colt 1873 con la canna corta si prestava ottimamente ad una rapida estrazione dalla fondina, nei frequenti scontri nelle cittadine, oppure fra viaggiatori e banditi, fra fuorilegge e cacciatori di taglie o membri delle implacabili “Posse”. Sembra che l’estrazione veloce sia stata inventata, agli inizi degli anni ’60, dai texani Cullen Baker e Bill Longley; ma Wyatt Earp, che se ne intendeva, sostenne: “Il vincitore di una sparatoria era di solito colui che non aveva fretta”. E lo dimostrò il 26 ottobre 1881, a Tombstone, nella famosa “Sfida dell’OK Corral” quando, insieme ai fratelli Virgil, James, Morgan e a Doc Holliday, affrontò il gruppo composto da Ike e Billy Clanton e Tom e Frank Mc Lowery; si spararono a quattro o cinque metri di distanza e tre fuorilegge restarono a terra, mentre degli Earp solo Virgil e Morgan riportarono ferite non gravi.
a Colt non si era mai cimentata nella costruzione d’armi a doppia azione, all’epoca di normale utilizzo in Europa, forse perché il meccanismo più fragile e complicato avrebbe reso difficili le semplici riparazioni che, invece, erano alla portata dei fabbri o degli armaioli presenti in tutti gli agglomerati urbani, peraltro dispersi lungo la Frontiera e distanti giornate di cavallo gli uni dagli altri. L’Azienda del Cavallino Rampante ruppe gl’indugi nel 1877, con quest’elegante rivoltella, costruita fino al 1909 nel bel numero di 166.849 esemplari. Era camerata per due tipi di munizione, il .41 Colt, e l’arma era soprannominata “Thunderer” (tuonante), e il .38 Colt, dal nomignolo di “Lightining” (lampo); la fantasia commerciale non faceva certo difetto neanche a quel tempo. Ne furono fatte alcune, eccezionalmente rare, calibro .32. E’ vero che le cittadine del West si stavano sempre più civilizzando, con la presenza di professionisti in ogni settore, compreso quello armigero; però la Colt modello 1877 aveva davvero un meccanismo molto delicato e inutilmente complicato (nel Vecchio Mondo c’erano già da anni le Chamelot Delvigne, un esempio di robustezza e semplicità). In ogni caso le “Thunderer” e le “Lightining” erano rivoltelle belle e maneggevoli e potevano essere scelte con varie misure di canna, dalla tascabile un pollice e ½ alla mostruosa dieci pollici (25,4 centimetri). La lunghezza standard era di 2 pollici e ½ o 3 e ½ e queste armi avevano la caratteristica d’essere prive della bacchetta per espellere i bossoli spenti, strumento presente, invece, sui revolver con canna da 4 pollici e ½ in su. Le prime rivoltelle avevano le guancette di palissandro, ma poi sulla maggior parte di esse furono montate quelle di gomma dura, con sopra stampigliato un ovale nel quale faceva bella mostra di sé il cavallino rampante. Normal-
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mente erano brunite e con il castello tartarugato, ma erano molto richieste anche quelle nichelate. Le matricole iniziarono dal numero 1 e furono attribuite indifferentemente alle due varianti, pertanto non conosciamo quante furono quelle costruite in calibro .38 e quelle in .41; l’indicazione del calibro appare stampigliata sulla guardia del grilletto o sul lato sinistro della canna (o su tutte e due le superfici). Sopra la canna era impressa la scritta COLT’S PT. F.A. MFG. C°/HARTFORD. CT. U.S.A., mentre sul lato sinistro del castello erano indicati i brevetti del 1871, 1874 e 1875, normalmente accompagnati dal simbolo del cavallino. Sulle armi costruite per il mercato inglese fu aggiunta la dicitura DEPOT 14, PALL MALL LONDON, mentre sul telaio dell’impugnatura di 1.200 di esse appare la fascinosa sigla AM. EX. CO, che indica l’antica appartenenza all’American Express Company. Negli anni nei quali circolavano le “Thunderer” e le “Lightining”, in America c’era una delle tante figure eccezionali che hanno reso mitico il West, il Marchese Antoine de Vallombrosa, un nobile danaroso d’origine francese che, a metà degli anni ’80, acquistò 45.000 ettari d’ottima terra nel Little Missouri (vicino alla proprietà di Roosevelt), aprì una fabbrica di carne in scatola e costruì una città, nei pressi della ferrovia, chiamandola con il nome dell’altrettanto ricca moglie, “Medora”. Antoine fu uno dei primi ad usare estesamente una nuova invenzione, il filo spinato, scontrandosi ovviamente con chi non tollerava ostacoli nelle praterie. Tre cacciatori di bisonti, Riley Luffsey, Dutch Warmigan e Frank O’Donald, tagliarono più volte il reticolato, finché il Marchese non li aspettò al varco e, colti sul fatto, uccise Luffsey e ferì gravemente gli altri due. Poi, nell’inverno 1886 – ‘87, una grande bufera di neve imperversò negli States mettendo in ginocchio gli allevatori,
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che videro morire, impotenti, quasi tutte le loro bestie; anche Antoine perse bovini e pecore (quest’ultime da poco introdotte nei suoi terreni), perciò mollò tutto e tornò in Francia. La carne conservata nelle scatole di metallo era già in uso fin dagli inizi dell’ottocento. Nel 1833 l’apertura degli involucri – fino allora effettuata con martello e scalpello – fu semplificata ma restò sempre piuttosto ostica per un uso immediato e individuale; per giungere all’apriscatole occorre attendere fino al 1860, quando, con l’introduzione della latta, fu possibile fare barattoli sottili, facilmente apribili con il coltello o l’apriscatole stesso. È singolare scoprire che il personaggio simbolo degli Stati Uniti, lo “Zio Sam”, ha direttamente a che a vedere con la carne in scatola. Tutto nasce nel 1812, allorché Samuel ed Ebenezer Wilson, titolari di un’azienda newyorchese d’inscatolamento di carne, ottennero un contratto per la fornitura di carne di maiale e di manzo conservate alle truppe statunitensi. Samuel era un bel tipo, barbuto e capelluto e con molto grigio che svolazzava intorno all’altissimo cappello a cilindro, e teneva tanto alla sua azienda da aprire i cancelli a tutti coloro che desideravano visitarla, dai quali era affettuosamente soprannominato “Uncle Sam”, lo “Zio Sam”, appunto. Uno dei visitatori vide che sui barili di carne da inscatolare c’era la sigla E.A. – U.S., vale a dire le sigle dell’appaltatore governativo Elbert Anderson e Stati Uniti. Gli fu risposto, scherzosamente, che invece significavano “Elbert Anderson e Uncle Sam” e la risposta divenne di dominio pubblico, tanto da impadronirsene perfino i disegnatori umoristici. Samuel Wilson morì nel 1854, ma era divenuto un personaggio così popolare da farlo scegliere dal Congresso, nel 1861 e con l’inizio della Guerra Civile, quale simbolo degli “States”.
appellativo di revolver da sceriffo è stato attribuito dai collezionisti, un po’ fantasiosamente, a questo tipo di rivoltella a doppia azione, costruita dalla Colt insieme alla “sorella” munita d’espulsore. Non si sa esattamente quante ne furono fatte nel periodo dal 1877 al 1909, poiché rientrano nella produzione che va dal numero 1 al 166.849. L’arma è inconfondibile e si distingue immediatamente dall’altra per l’asse del tamburo zigrinato sottostante la canna e per la misura di quest’ultima, che può andare da un minimo di un pollice e mezzo ad un massimo di quattro pollici e mezzo. Il delicato meccanismo, le finiture e le scritte sono identiche a quelle della variante con l’espulsore e, anche nel caso della “Sheriff”, i calibri erano il rarissimo .32 Colt, oppure il “Lightning” .38 e il “Thunderer” .41, tutti a innesco centrale. La “Sheriff” era filante e con poche sporgenze, atta ad essere celata nelle grandi tasche delle ampie giacche, infilata alla cintura quale arma di supporto, come faceva abitualmente Billy the Kidd, o nelle fondine ascellari, già in voga al tempo. Era un’arma molto maneggevole e che ben si prestava ad essere portata in città, anche per non esibire la pesante Colt modello 1873, magari appoggiati al lussuoso bancone di un “Bar” cittadini, riflessi nell’immancabile specchio appeso alle spalle del barista, oppure a quello più spartano fatto d’assi appoggiate su botti capovolte. Nell’Ovest estremo, il saloon, con il
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suo bar, erano ambienti dove era difficile arrivare alla fine della serata senza assistere, se non a sparatorie, almeno a liti, scazzottate, voli d’ubriachi fuori delle ante girevoli, fino alle – per la verità poco frequenti – occasioni nelle quali uno sfortunato e poco abile baro si faceva pescare sul fatto e veniva esposto al ludibrio generale coperto di catrame e di piume. Intorno al bar e ai tavoli da gioco, infatti, giravano mucchi di soldi e, talvolta, interi capitali o proprietà passavano di mano. Nel caso il perdente non avesse avuto immediatamente a disposizione i fondi, peraltro, era data la parola, sacra a quel tempo come nelle nostre campagne fino agli anni cinquanta del secolo scorso, o veniva sottoscritto uno “I. O. You” (“Io ti devo”), un vincolo d’onore e un impegno socialmente accettato, giacché era impensabile non fosse rispettato. Non tutte le cittadine del Far West, peraltro, erano centri d’estrema turbolenza, ce ne furono anche di tranquille, ma in quelle del bestiame doveva essere un bel problema vivere normalmente, se sono vere le testimonianze di alcuni viaggiatori (forse texani, che tutto ingigantiscono) nelle quali era affermato: “Alla luce degli spari si poteva leggere il giornale”. Dei tanti momenti topici nei quali fu presente la “Lightning” ne citiamo due; uno si verificò nel 1889, allorché le cosiddette “Nazioni Indiane”, ribattezzate Oklahoma, furono aperte alla colonizzazione organizzando un’incred-
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ibile corsa d’aspiranti proprietari terrieri che, schierati al primo mattino per chilometri lungo il confine con le nuove terre, al segnale di partenza scattarono allo loro conquista montando ogni genere di veicoli. Chi prima arrivava nel luogo dove intendeva stabilirsi, preferibilmente beneficiato da qualche sorgente o corso d’acqua, piantava i paletti e otteneva una concessione di 180 acri. Però, come sempre, ci fu chi “fece il furbo” e di notte, elusa la sorveglianza delle guardie di frontiera, occupò alcuni appezzamenti di terreno; furono chiamati “Sooners” (“svelti”) e tale definizione traslò allo Stato dell’Oklahoma, conosciuto pure come “Sooners State”. Il secondo avvenimento che ci piace ricordare fu l’ultima corsa all’oro fra i ghiacci del Klondike, in Canada, dove nell’agosto del 1896 George Carmak, un americano che cercava il prezioso metallo, lo scoprì in un affluente del fiume che assegna il nome alla regione. Due sue guide indiane dalla bocca larga, però, parlarono troppo e la notizia finì nei giornali, cosicché americani e canadesi si precipitarono nel territorio del fiume e del lago Yukon, a stento controllati dalla “Giubbe Rosse” nel transito obbligato del Passo Chilckoot. La nostra rivoltella c’era senz’altro, pur se in compagnia delle nuovissime “Swing Out”, le ancora attuali armi a rotazione con il tamburo basculante di lato e l’espulsore a stella, nate giusto in quegli ultimi scorsi d’ottocento.
na bella, pesante e possente rivoltella a doppia azione, costruita dal 1878 al 1905. Ne furono fatte 51.210 in diversi calibri, dagli standard .32/20, .38/40, .41 Colt, .44/40 e .45 fino ai meno comuni .22 rim fire, .38 Colt, .44 Russian, .44 d’ordinanza tedesca, .44 Smith & Wesson, nonché agli inglesi .450, .455 e .476 Eley. Il tamburo era sempre a sei colpi, ma le canne variavano di lunghezza, dai normali 4 pollici e ¾, 5 ½, e 7 ½ munite d’espulsore, alle più rare, lunghe 3, 3 ½ e 4 pollici, in questo caso prive d’espulsore e ribattezzate dai collezionisti “Sheriff’s Model”. Ce ne sono esemplari, quasi unici, con la canna dalle assurde misure di 2 pollici e mezzo o di dodici pollici. I numeri di serie iniziarono da 1 e sulla canna fu impressa la scritta – su una o due linee – COLT’S PT. F. A. MFG. C°, HARTFORD CT. U.S.A., senza designazione di brevetto o di data, mentre l’indicazione del calibro appare sulla guardia del grilletto e sul lato sinistro della canna. Ne furono fatte alcune anche per il mercato britannico, con o senza espulsore, in questo caso alla normale dicitura venne aggiunta la frase DEPOT 14, PALL MALL LONDON e vi si trovano i marchi del Banco di Prova inglese. La finitura consueta delle superfici metalliche era la completa brunitura, ma, a richiesta, era possibile ottenerla nichelata; le guancette dell’impugnatura furono inizialmente realizzare con due pezzi di legno zigrinato e verniciato, quasi subito sostituiti dalla gomma dura, sempre con la superficie zigrinata e con un ovale nel quale appariva il marchio del cavallino rampante. Il revolver “Frontier” fu uno dei più massicci costruiti dalla Colt, immediatamente distinguibile per la forma del calcio “a becco d’uccello”, similmente ai più piccoli “Lightning” o “Thunderer” modello 1877; nei confronti di questi, però, era di costruzione più robusta e camerato per calibri di buona consistenza, il che ne decretò il soddisfacente successo. Caratteristico lo sportellino di caricamento, molto sottile. Una variante del Colt Fron-
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tier modello 1878 fu realizzata nel 1902 ed è subito riconoscibile dalla forma del grilletto e della sua guardia, eccezionalmente larghi per consentirne l’uso con i guanti; fu chiamata “Alaskan Model”, poiché acquistata dell’Esercito e finalizzata all’uso in quella gelida regione. Era nel calibro .45 Colt d’ordinanza militare e finì, anziché fra i ghiacci dell’Alaska, nelle Filippine, dove gli statunitensi si trovavano in difficoltà nel combattere i “Moros Giuramentados”, che sembravano insensibili ai colpi del revolver d’ordinanza dall’asfittico calibro .38 del New Army Revolver e, prima di cadere, facevano in tempo a tagliare qualche importante parte del corpo agli americani; cosa che non accadeva se gli veniva sparata la pesante palla del .45. Ecco perché questa variante della “Frontier” aggiunse al nomignolo di “Alaskan”, quello di “Philippine Model”. Queste armi sono tutte brunite e riportano il marchio U.S., hanno la canna lunga sei pollici, l’anello per il passaggio della tracolla e le matricole che vanno dal numero 43.401 al 48.097, per un totale di circa 4.600 rivoltelle. Nel sud degli “States”, fra il 1878 e il 1881, ci furono le più sanguinose faide fra allevatori, che si misero in guerra gli uni contro gli altri per controllare le aree di pascolo nel territorio del New Messico, divenuto Arizona nel 1863. Una delle zone dove maggiore fu la violenza era la Contea di Lincoln, nella quale la legge era o assente, o asservita agli interessi dei grandi proprietari terrieri. Più che proprietari, peraltro, erano occupanti, come John Chisum, che aveva trasferito nella Contea di Lincoln le proprie mandrie fin dal 1870. Altri già c’erano, o si trasferirono nel territorio, quali Lawrence G. Murpy, che aveva interessi diversi dall’allevamento, ma contrastanti con quelli di Chisum, e la “Santa Fe Ring”, una compagnia che, anch’essa, mirava ai contratti governativi per l’approvvigionamento di carne verso l’Est del continente, in gran crescita economica, industriale e d’abitanti dopo aver terminato vittoriosamente la guerra civile.
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C’erano di mezzo anche i raggruppamenti politici, che controllavano la “Santa Fe Ring” e che, di fatto, tramite James J. Dolan, giunsero ad avere una sorta di monopolio sulle attività legate al commercio del bestiame. Questa situazione di latente violenza fu fatta esplodere dall’arrivo dell’inglese John Tunstall che, insieme all’avvocato del luogo Alexander Mc Sween, s’inserì pure lui nel commercio schierandosi con Chisum e avendo quali concorrenti Murpy e Dolan. Murpy, peraltro, si ritirò e cedé la sua parte a Dolan e James H. Riley, incapaci di competere con Tunstall. Chisum, d’altronde, soffiava sul fuoco, giacché s'appropriava di terre pubbliche e private, costringendo alcuni piccoli allevatori ad allearsi con Dolan e Riley. C’era quanto bastava per assistere ai fuochi d’artificio: furti di bestiame e ricettazione con reciproche accuse, litigi, azioni legali e, poi, l’assassinio di Tunstall e la feroce vendetta da parte di Billy the Kid, nonché la formazione di squadre di “Regolatori” con sparatorie, giustizie sommarie e assassinii. I morti furono a decine, senza che il Governatore repubblicano del territorio, Samuel B. Axell, sostenitore del “Santa Fe Ring”, facesse alcunché per intervenire e porre fine al disordine. Billy the Kid, arrestato da Pat Garrett nel 1880, riuscì a fuggire dopo aver ammazzato uno dei carcerieri con una rivoltella che qualcuno gli aveva lasciata nascosta nel gabinetto, ma la sua fuga durò poco e, due mesi dopo, fu ucciso dallo stesso Pat Garrett. La faida cessò nel 1884, quando Chisum morì e Dolan se n’andò da Lincoln. In quegli anni di violenza fu estesamente applicata la cosiddetta “Legge di Lynch”, l’uccisione sommaria di una persona giudicata, a ragione o a torto, colpevole di reato. L’usanza nacque a Bedford, nel 1777, durante la Guerra d’Indipendenza; le Corti di Giustizia avevano dei problemi ad operare e il giudice di pace Charles Linch ricorse a questo tipo di condanna solo una volta, nei confronti di un cospiratore. Un precedente strumentalizzato alla fine del secolo successivo, tanto da contarsi in oltre cinquemila le vittime dei “linciaggi”.
u fabbricato dal 1871 al 1877 in 114.200 esemplari. Era a sette colpi, calibro .22 a percussione anulare. Le canne avevano due diverse lunghezze: 2 pollici e 3/8 e 2 pollici e 7/8. Le guancette dell’impugnatura erano di noce, protette da vernice trasparente. Il fusto era nichelato, mentre il tamburo poteva essere sia nichelato, sia brunito; rari esemplari furono argentati. Le matricole iniziarono dal numero 1, sulla canna venne marcata, con quattro diversi tipi di punzoni, la dicitura COLT’S PT. F.A. MFG. C°/HARTFORD CT. U.S.A., mentre sul lato sinistro del fusto fu stampigliata la scritta .22 cal. La produzione iniziale era munita di bacchetta per l’espulsione dei bossoli, poi abolita; anche la cresta del cane cambiò successivamente forma e, da dritta e volta verso l’alto, divenne sinuosa, più bassa e piegata all’indietro. In quegli anni lo spostamento verso Ovest si faceva pressante e i grandi spazi deserti, pur ancora presenti, erano punteggiati da forti militari e cittadine, sorte come per incanto da un giorno all’altro nei nuovi insediamenti di coloni, allevatori, minatori o cercatori d’oro, cacciatori, ecc.; con al seguito la solita fauna di giocatori di professione, truffatori di vario tipo, donnine dei saloon e commercianti. Per quanto gli agglomerati urbani avessero molto di provvisorio, con poche costruzioni costituite, in pratica, da capannoni con la finta facciata di legno, oppure da tende d’ogni dimensione, e nelle strade imperassero fango e polvere, evitabili solamente nei marciapiedi, rialzati, fatti anch’essi di legno e generalmente
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correnti davanti alle costruzioni, l’affollamento era enorme: abitanti, mandriani, gente di passaggio alla ricerca di propri spazi di fortuna, cavalli in quantità, giacché sembra che senza cavallo non si attraversasse neanche la strada, poi pesanti e cigolanti diligenze, traballanti sulle sospensioni di cuoio e trainate da tre o quattro pariglie; in mezzo a tutta questa babele i balordi e i deviati di sempre, difficilmente controllabili nelle improvvisate associazioni di persone provenienti da mezzo mondo. Questo spiega il successo delle armi di piccolo calibro e facilmente nascondibili, laddove la presenza ostentata e invadente, oltre che troppo frequentemente usata, di questi oggetti iniziava ad essere disapprovata da chi, pur non potendo far a meno d’essere armato, nel posto voleva mettere radici e vivere con tranquillità. La fortuna delle rivoltelle tascabili costruite dalla Colt e dalle altre grandi fabbriche d’armi, armi indubbiamente ben fatte con ottimi materiali, cessò quando il mercato statunitense fu inondato dai poco costosi revolvers costruiti da una miriade d’armieri, talvolta più pericolosi per l’utente che per l’avversario e, pertanto, soprannominati “Suicide Special”. All’interno delle cittadine del West il porto delle armi era sempre meno tollerato, agli inizi degli anni ’70, oltre ad Abilene, provvedimenti di divieto furono presi a Wichita, ad Ellswort e in altre località meno famose, forse perché erano meno violente. Il giornale Eagle di Wichita del 7 giugno 1873 affermò Wichita vuole la legge e l’ordine, con le con-
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seguenti pace e sicurezza, e respinge gli spargimenti di sangue e una reputazione che provoca brividi di orrore ogni volta che ne viene pronunciato il nome e che impedirà alla gente di buona condizione sociale di venire da noi. Erano buone intenzioni, ma l’ordinanza che vietava il porto d’armi in città non fu rispettata e gli scontri continuarono. I rappresentanti della legge, peraltro, erano spesso anch’essi dei violenti. Nella città di Newton, per esempio, nell’agosto del 1871 c’era da approvare la proposta di procurare ventimila dollari per la costruzione di un braccio ferroviario utile alla città. Per controllare le operazioni di voto fu conferito l'incarico di poliziotto a Michael Mc Cluskie, ex dipendente della Wichita & Southwestern Railroad, un tipo prepotente e provocatore che, quasi subito, per ragioni di gioco venne a diverbio con Billy Bailey e si presero a revolverate. Brailey ebbe la peggio e morì il giorno dopo per le ferite riportate, perciò i suoi amici texani volevano vendicarlo; Mc Cluskie, però, se l’era già filata. Commise l’errore, peraltro, di tornare pochi giorni dopo e, nella sala da ballo di Perry Tuttle, successe un massacro. I texani spararono contro Mc Cluskie e lo colpirono al collo, lui sparò a sua volta e ferì un aggressore alla coscia, ma i colpi vagarono anche per la sala e tutti si misero a far fuoco contro tutti, cosicché, fra fumo, lampi, urla, fracasso di suppellettili e di spari, ci andarono di mezzo pure alcuni innocenti, per un totale di una decina di morti e un bel po’ di feriti nel giro di pochi minuti.
uesta piccola pistola a retrocarica fu costruita dal 1870 al 1890 in circa 9.000 esemplari. Era ad un solo colpo, calibro .41 a percussione anulare (solo duecento circa divennero ad innesco centrale). Per caricarla occorreva basculare a sinistra e verso il basso la canna, ovale e lunga due pollici e mezzo. Le guancette erano di legno di noce, zigrinate e verniciate; il castello era, di norma, d’acciaio. Intorno ai numeri di matricola 1.500 – 2.500 ne furono costruite pochissime con il fusto d’ottone, ma ce ne sono d’ancor più rare che lo ebbero ricavato da un blocchetto d’argento. Le finiture standard dell’arma erano l’argentatura, la brunitura o la nichelatura; le incisioni a volute erano di serie, caso abbastanza unico nella produzione Colt. Le matricole iniziarono dal numero 1, sulla parte superiore piatta della canna fu inizialmente impressa la scritta ADDRESS COL. COLT/HARTFORD CT. U.S.A., poi sostituita, dopo la matricola numero 200, da COLT’S PT. MFG. C°/HARTFORD CT. U.S.A./N° 2. 41 CAL. Un tragico episodio che vide coinvolta una deringer fu quello che accadde nell’incontro fra gli indiani Modoc e una Commissione governativa, incaricata di stilare con i capi tribù un trattato di pace. La Commissione era composta dal brigadiere generale
Canby, dagli agenti per gli Affari Indiani Leroy S. Dyar e A. B. Meacham, dal reverendo Eleazer Thomas e dall’interprete Ridde accompagnato dalla moglie indiana Winema. Nessuno di loro era ostile ai Modoc e avevano promesso al loro capo, Capitan Jack, di presentarsi disarmati all’incontro, cosa che non tutti fecero, giacché i due agenti per gli Affari Indiani avevano nascosto in tasca una deringer ciascuno. Il luogo dell’incontro, una tenda, era circondato da un lato dalla scorta armata dei soldati, dall’altro dai guerrieri Modoc. Oltre a Capitan Jack la delegazione indiana era formata da Hoocker Jim, Schonchin John ed Ellen’s Man. I bianchi, ora, desideravano la pace, ma poco tempo prima aveva assalito il campo dei Modoc, massacrandone gli abitanti, e gli indiani volevano solo vendicarsi, cosicché, a un cenno di Capitan Jack, tirarono fuori le armi e spararono ai delegati; Canby fu ferito più volte e finito a pugnalate dallo stesso Jack, il reverendo Thomas, solo ferito dalla prima fucilata, fu finito con una seconda, sopravvissero solamente l’agente Dyar, che sparò con la deringer e approfittò dello sconcerto per schizzar via dalla tenda, e la moglie dell’interprete che si mise a gridare “Arrivano i soldati”, facendo fuggire gli indiani dai loro com-
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pagni appostati fra le rocce. I Modoc, comandati da Capitan Jack che ora indossava la giacca del generale Canby, dopo essere stati decimati e messi alla fame e alla sete, si arresero solo negli anni settanta, ma non prima d’aver inflitto dure sconfitte ai soldati nelle “Lava Beds” e averli assaliti per l’ultima volta a Hasbrouk, nel 1873. A favore degli indiani, peraltro, è da tener presente che queste persone, in un’epoca colonialista che vedeva gli europei prevaricare il resto del mondo, erano considerate come animali e come tali trattate, fino al genocidio; le loro terre erano invase ed espropriate a forza, le grandi mandrie di bisonti sviate e distrutte, le foreste tagliate e i terreni devastati alla ricerca dei metalli preziosi. I gradi appezzamenti, poi, erano occupati – ne avessero o no il diritto – per migliaia d’ettari dai grandi allevatori, mentre appezzamenti coltivabili furono concessi dal Governo, sia con l’“Oregon Donation Law”, allorché offrì 80 acri di terreno alle famiglie che volevano stabilirsi in detto Stato, sia al termine della Guerra di Secessione, quando fu emanato l’“Omestead Act”, che prevedeva un premio di 160 acri di terreno ai veterani, purché vi costruissero una casa e lo coltivassero per almeno cinque anni.
appellativo di “terzo modello” è stato attribuito a questa graziosa pistola non dalla Colt, ma dai collezionisti, ed è conosciuta pure con il nomignolo di “Thuer”, il cognome del suo ideatore; ne fu iniziata la produzione nel 1875 e prima affiancò, poi sostituì la simpatica, ma sgraziata, “Colt Second Model Deringer”. Questo terzo modello di piccola pistola monocolpo uscito dalle linee Colt conobbe un grandissimo successo, tanto da essere prodotta fino al 1912, giungendo, pertanto ai tempi della massiccia entrata in uso delle pistole semiautomatiche. Ne furono fatte circa 48.000, tutte calibro .41 a percussione anulare, escluso pochissime destinate al mercato inglese che, pur sempre in .41, furono appositamente costruite a percussione centrale e riportano i marchi della Colt London Agency. Alcuni, rari, esemplari hanno impresso il cavallino rampante e l’iniziale “C” (ma non sempre insieme). La serie matricolare iniziò dal numero 1 e proseguì, approssimativamente, fino al numero 45.000; sulla canna, di sezione cilindrica, fu impressa la sola scritta COLT in caratteri italici. Sulle prime duemila, circa, pistole si può trovare la dicitura .41 CAL. sottilmente impressa, inoltre queste armi avevano il perno di rotazione della canna sporgente sotto alla tavola del castello e il cane con la cresta d’armamento corta e dritta verso l’alto. Successivamente la scritta divenne più grande e profondamente impressa, la sporgenza del perno di rotazione scomparve e il cane assunse la forma arcuata all’indietro, più armoniosa e moderna, facendo assumere alla pistola un’inconfondibile linea filante ed elegante. Per caricarla occorre mettere il cane a mezza monta e girare la volata della canna verso sinistra, si scopre, così, la culatta sul lato destro, s’inserisce la cartuccia e si riporta la canna in chiusura; se occorre sparare bisogna armare del tutto il cane di modo che, tirando il grilletto a sprone, possa percuotere il bordo del bossolo attraverso la piccola fessura fresata sul vivo di culatta, garantendo, nello stesso tempo, il ferreo blocco della canna. La finitura standard della “Colt Third Model Deringer” era canna brunita e castello
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nichelato o argentato, ma la fantasia degli (e, in particolar modo, delle) acquirenti poteva essere soddisfatta in tutti i modi, con incisioni – non di serie nel terzo modello –, finiture dei metalli, materiale delle guancette, del mirino, e chi più ne ha, più ne metta. All’epoca della diffusione della Colt Deringer terzo modello stava avvicinandosi il crepuscolo della traversata delle grandi praterie con le carovane di pionieri, partiti al grido di “Wagon Ho!” e fermatisi da qualche parte, dove terreno e clima promettevano di garantire la sopravvivenza. I luoghi scelti, però, non sempre erano i migliori, almeno all’epoca, stante il tipo di territorio e l’arcaicità degli strumenti agricoli a disposizione (si pensi che l’aratro era tirato dai cavalli i quali, a causa del giogo appoggiato alla base del collo, non potevano esprimere tutta la loro forza); per di più, il vomere penetrava pochissimo nel terreno, sfruttando solo in minima parte la sua capacità produttiva. Chi si fermava nella prateria in genere si costruiva una casa di zolle, la cosiddetta “Dog Out”, piena – secondo la stagione – di fango e polvere e frequentate da insetti, topi e serpi. I coloni erano chiamati “Soddbuster”, vale a dire “Rompizzolle”. Il diffondersi dei contadini, comunque, negli ultimi decenni dell’ottocento ridusse molto la possibilità delle transumanze delle mandrie, il trasporto delle quali, d’altronde, era sempre più affidato ai vagoni bestiame di un’efficace rete ferroviaria, e l’invenzione del filo spinato iniziò rapidamente a delimitare gli appezzamenti, sia dei coloni, sia dei grandi allevatori. Dalle piste che attraversavano i grandi spazi disabitati fra una cittadina e l’altra si dipartiva una ragnatela di strade di collegamento, percorse da diligenze, corrieri, carri trasporto, talvolta enormi, come il “Twenty Mile Team”, il gigantesco mezzo trainato da venti muli, colmo di borace estratto nelle miniere della Valle Della Morte. La Colt Deringer n. 3 passò dalla piena epopea del West alla nascita delle automobili, i “Garages” sostituirono le “Livery Stable”, chiusero i “Trading Post” (le stazioni commerciali dove talvolta veniva venduto pessimo whisky “Snake–Head”, addizionato con teste di serpente)
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e le pistole semiautomatiche trovarono posti più consoni, anche se meno fantasiosi e romantici, delle giarrettiere, polsini delle giacche dei “Gamblers”, interni di libri nei quali erano state ricavate apposite nicchie per nasconderle. D’altronde l’unico colpo della deringer, anche se sparava una pesante palla di piombo calibro .41, era esploso con la vecchia polvere nera, incendiata dall’innesco cosparso nella flangia di un corto bossolo di rame; la sua potenza, pertanto, era raggiungibile da qualsiasi munizione a innesco centrale, con il bossolo d’ottone e, quindi, capace di resistere alle più alte pressioni causate dai moderni propellenti. Agli sgoccioli dell’ottocento, peraltro, come seconda arma aveva ancora un suo ruolo; la “Frontiera” non c’era più, ma i guai all’Ovest non mancavano. Nelle città non si potevano portare armi, ma in tasca o sotto le sottane chi ci frugava? Inoltre le tensioni non mancavano, con gli indiani furono superate nel 1886, quando il Generale Nelson A. Miles fece arrendere Geronimo, poi con il massacro di Wounded Knee, ma continuavano alla frontiera con il Messico e con gli spagnoli, con scaramucce e vere e proprie guerre. Con il Generale Miles c’era Tom Horn, un personaggio che divenne celebre al passaggio del secolo. Horn era un abile cavallerizzo e, al termine delle “Guerre Indiane”, si dedicò ai rodei, vincendo un premio nel 1891; fu anche agente della famosa Agenzia Pinkerton dal 1890 al 1893. Successivamente si arruolò con i Rough Riders e combatté a Cuba. La cattiva strada la prese allorché s’impiegò presso la Swan Land and Cattle Company e cominciò ad ammazzare senza scrupoli i ladri che tentavano di rubare il bestiame. I tempi non erano più quelli di una volta e, naturalmente, fu accusato di omicidio plurimo; fra gli uccisi c’era un ragazzo di quattordici anni appartenente alla famiglia Nickell che, guarda caso, era in contrasto e aveva una faida con quella dei Kimmel, alla quale apparteneva la ragazza di Tom Horn. Per la verità non si sa se Tom aveva davvero ucciso il giovane Kimmel, in ogni caso fu arrestato con un inganno e, seppur senza prove, velocemente processato e impiccato.
uest’arma, nel 1873, affiancò il “Colt Open Top Model Revolver” (rivoltella a retrocarica e castello aperto superiormente, costruita dopo la scadenza del brevetto Rolling White detenuto dalla Smith & Wesson) e, pur essendo di piccolo calibro, il .22 a percussione anulare, conobbe un buon successo; ne furono realizzati 55.343 esemplari fino al 1877, anno nel quale cessò la sua produzione. Aveva il tamburo a sette colpi e la canna era lunga 2 pollici e ¼; le guancette erano di legno di palissandro, protetto da vernice trasparente, e la finitura standard era o una completa nichelatura, oppure aveva il fusto cromato e il tamburo e il suo asse di rotazione bruniti. L’esterno del tamburo delle rivoltelle fabbricate inizialmente era scanalato fino agl’incavi per il blocco della rotazione, poi, dal numero di matricola 16.000 fino alla cessazione della produzione, le scanalature d’alleggerimento si allungarono fin quasi alla faccia posteriore del cilindro e scomparvero gl’incavi per il blocco della rotazione, deputato ad un nuovo congegno collocato dietro il tamburo. I marchi standard erano COLT’S PT, F.A. MFG. CO./HARTFORD, CT. U.S.A., talvolta, ma raramente, fu aggiunta la dicitura DEPOT 14 PALL MALL LONDON. Sul lato sinistro della canna, poco dopo l’inizio della produzione, fu impressa la scritta COLT NEW 22, mentre 22 CAL appare nel lato sinistro del castello. Dopo il numero di serie 16.000, alla profusione di scritte venne aggiunta pure la data del brevetto, un bel 1874. Analogamente a quanto accadde con il precedente nato, ma contemporaneamente costruito “Colt Open Top Revolver”, il “New Line .22 Revolver” subì la concorrenza della miriade di rivoltelle “Suicide Special”, talune di scarsa qualità e sfornate a poco prezzo dalle moltissime fabbriche d’armi statunitensi. Nel 1877, come abbiamo detto, la fabbricazione del “New Line .22 Revolver” cessò e lo stesso accadde, in breve tempo, alle altre “New Line” di maggior calibro. La “New Line” calibro .30rf, infatti, costruita in 11.000 esemplari, fu
dimessa nel 1876, quella calibro .32, a percussione anulare o centrale (22.000 pezzi) nel 1884, quella calibro .38, sempre con i due tipi d’innesco (5.500 rivoltelle), nel 1880, mentre di quella “più persuasiva”, calibro .41, pure rim e center fire, fino al 1879 videro la luce solamente 7.000 armi. In totale, peraltro, la Colt vendé intorno a 100.000 “New Line”, a dimostrazione che la qualità paga; tant’è che, nonostante l’invasione delle “Suicide Special”, dal 1880 al 1886 fece uscire dalla fabbrica di Hartford altre 40.000 armi simili, con il calcio squadrato e nei calibri .38 e .41, ribattezzate “Colt New House Model Revolver”. Il periodo nel quale il “Colt New Line .22 Revolver” si aggirava per le grandi estensioni del continente Nord Americano fu anche quello delle vicissitudini di Tashiunka Uitko, “Cavallo Pazzo”, soprannome attribuito al grande capo pellerossa in sostituzione di “Riccetto”, il vero nome datogli dagli Oglala a causa dei capelli ricciuti, cosa poco comune fra gli indiani. Cavallo Pazzo aveva giurato vendetta contro i bianchi, avendone conosciuta tutta la dissennata violenza fin da quando aveva tredici anni, quando, tornato dopo una battuta di caccia al villaggio dei Lakota Brulé nel quale era ospite dello zio “Coda Macchiata”, lo trovò completamente distrutto dalla truppe del colonnello “Barbabianca” William Harney, comandante di Fort Laramie, che aveva fatto massacrato anche tutti coloro che erano nell’attendamento. Cavallo Pazzo fu costretto a fuggire e incontrò “Donna Gialla”, una Cheyenne salvatasi perché era lontana dalle tende per partorire. Cavallo Pazzo raggiunse i Brulé e suo zio gli disse di avvertire gli Oglala delle nefandezza compiute dagli “Uas’ichu”, nomignolo affibbiato ai bianchi e che significa “Coloro che rubano il grasso”. Il comandante Harney, peraltro, aveva intimato ai capi Brulé di consegnarsi a Forte Laramie, pena la sospensione dell’assegnazione di cibo e coperte al popolo Siux, nonostante spettassero agli indiani in seguito al trattato del 1851, con il quale i nativi avevano consentito il pas-
Livio Pierallini
saggio della pista dell’Oregon sul loro territorio. Coda Macchiata, insieme a Piccolo Tuono e Scudo di Ferro, andò al Forte e Cavallo Pazzo li seguì, però li vide mettere ai ferri e il suo odio aumentò ancor di più. Se ne andò con Donna Gialla, divenuta la sua compagna, dopo di lei si mise insieme con “Donna del Bisonte Nero”, addirittura nipote di Nuvola Rossa, e, infine, con “Scialle Nero”. L’unico bianco con il quale strinse un rapporto d’amicizia fu il tenente Caspar Collins, che frequentò per circa un anno. Cavallo Pazzo aveva delle visioni, una delle prime (ma era la vibrazione del terreno, avvertita mentre dormiva) l’avvertì dell’arrivo di una mandria di bisonti; corse al villaggio e tutti si trasferirono verso la zona di caccia, raggiunta dopo tre giorni e che consentì alla tribù di procurarsi cibo e pellicce per tutto l’inverno. Un’altra visione Cavallo Pazzo l’ebbe dopo aver digiunato tre giorni; sognò un cavaliere invulnerabile e, su consiglio del padre stregone, per essere pure lui invulnerabile si vestì come il guerriero del sogno, cingendo solo un perizoma di pelle, mettendosi una penna di falco rosso fra i capelli e una piccola pietra appesa dietro un orecchio. La visione, però, finiva con il cavaliere che veniva disarcionato dal suo popolo, una previsione alla quale Cavallo Pazzo non diede molta importanza ma che, invece, purtroppo per lui doveva tragicamente realizzarsi. La vita del nostro fu tutto un susseguirsi di combattimenti contro gl’invasori e prevaricatori bianchi, fino alla distruzione del contingente comandato dal Generale Custer nella battaglia di Little Big Horn. Poi, nel 1877, per non far morire di fame donne, vecchi e bambini Sioux, Cavallo Pazzo si arrese ai soldati di Fort Robinson, distante circa ottanta chilometri da Fort Laramie; e qui si compì l’ultima infamia: un suo ex compagno di lotte, Piccolo Grande Uomo, che si era messo al servizio dei militari, lo trattenne per un braccio mentre un soldato lo trafiggeva alla schiena con la baionetta.