Narrare l'identità

Page 1

www.barbarabertagni.info

NARRARE L’IDENTITÀ BARBARA BERTAGNI e Dipartimento di Psicologia, Università di Torino e FERNANDO SALVETTI Logos-Centro studi in psicologia e scienze umane, Torino.

Summary - The article synthesizes the research course developed during some Guided Practical Experiences connected whit the Chairs of Theories and techniques of psychological interviews, carried out at the University of Turin. The thematic core of these seminars is the language, consisting of (and inhabited by) words which, like human beings, live an indipendent life and can reveal more than we want to say. Words like “presences”, emboding whole mythologies concerning genus and genealogy of things and also the relations which inhabit our material or imaginary worlds.Words, moreover, which are ours but also “others” because they preserve traces of the people who have used them before and of the plurality we are part of, as our living depends on the meanings and concepts shared in the context in which we are rooted. Words are vehicles of sense and, above all, symbols by which we are able to give a meaning to the magmatic and indistinct multiplicity of events and ourselves. Our identity is the ever-changing synthesis of all relations and contexts (conversational or not) in which we are rooted: in our narrations, psychical conditions and events become intricate semantic structures, open to various interpretations and decodings. As Hölderlin sayd, “we are a conversation”. Without any beginning or end, perhaps. Key words: identity, narration, context. Riassunto - L’articolo sintetizza il percorso di ricerca sviluppato nel corso di alcune Esperienze Pratiche Guidate, afferenti alle cattedre di Teorie e tecniche del colloquio psicologico, svolte nell’Università di Torino. Fulcro tematico di tali seminari è il linguaggio, costituito e abitato da parole che, come se fossero persone, vivono un’esistenza autonoma e possono rivelare più di quanto vogliamo dire. Parole che sono “presenze” che incarnano intere mitologie concernenti i generi e le genealogie delle cose e delle relazioni che abitano i nostri mondi immaginali e materiali. Parole, inoltre, che sono nostre, ma anche “altrui” perché conservano le tracce degli altri, di chi le ha già usate e del Noi di cui siamo parte, in quanto il nostro vivere dipende dai significati e dai concetti condivisi nei contesti in cui siamo radicati. Le parole sono veicoli di senso e, soprattutto, simboli che ci consentono di attribuire un significato alla molteplicità magmatica e indistinta degli eventi e di noi stessi. La nostra identità è la mutevole sintesi delle relazioni e dei contesti (conversazionali e non) in cui siamo radicati: nelle nostre narrazioni, gli stati e gli eventi psichici divengono complesse costruzioni semantiche, aperte a molteplici interpretazioni e decodificazioni. Come ha detto Hölderlin, “noi siamo un colloquio”. Forse, senza inizio e senza fine. Parole chiave: identità, narrazione, contesto.

Parlare la relazione Il discorso su di sé non può che essere dis-cursus: cioè, e prima di tutto, un correre qua e là, andare e venire, aggiramento, intreccio, attorcigliamento, guizzo e poi, soltanto dopo, conversazione (e colloquio). Come il discorso dell’innamorato, che non smette mai di correre con la mente, di fare nuovi passi, magari “d’intrigare contro se stesso” (1). Ogni parola è un segno che vive in significati che possono svaporare, trascolorare,


www.barbarabertagni.info

sfumare, perdersi e disperdersi in molteplici rivoli di senso, oppure dar vita a nuove costellazioni di significati condivisi; le parole possono costituire terreno di comunicazione e dialogo, oppure di incomprensione o di scontro, evocare esperienze ed emozioni, esprimere valori e spingere all’azione. Le parole non sono solo qualcosa che impariamo a scuola o inventiamo, che sappiamo dire e dominare pienamente in ogni momento: le parole, suggerisce Hillman, “come gli angeli, sono potenze che esercitano su di noi un potere invisibile”. Le parole sono “persone” con una vita autonoma e possono rivelare più di quanto vogliamo dire, sono “presenze” che incarnano intere mitologie concernenti i generi e le genealogie delle cose che abitano i nostri mondi immaginali e materiali (2). Le parole, dunque, parlano: bisogna saperle ascoltare. Come gli angeli, le parole annunciano, fanno sapere, danno notizia, avvisano e, quindi, mettono sull’avviso: anche se nessuno potrà mai “scoprire i confini dell’anima”, tanto profonda è la sua natura, le parole possono aiutarci a capire chi abbiamo davanti e cosa abbiamo dentro (3). Come ci ricorda, da molto tempo, Aristotele, “i suoni emessi dalla voce sono simboli delle affezioni dell’anima” (4). Simboli sovente incompleti e ambigui, in quanto il linguaggio delle parole è, quasi sempre, “la tomba del furore intimo del cuore” (5): anche se, a volte, le parole “bruciano e si fanno carne mentre parliamo” (6), il linguaggio verbale fatica a cogliere ed a restituire l’invisibile dei vissuti personali, il cielo stellato e il caos che abbiamo dentro (7). A Polonio, che gli chiedeva cosa leggesse, Amleto rispondeva: “Words! Words! Words!”. Uno psicologo potrebbe rispondere allo stesso modo (8): il lavoro dello psicologo è intriso di parole, si svolge “in uno scambio di parole e su uno scambio di parole” (9). Il colloquio psicologico, in particolare, è un fenomeno complesso intessuto di pensieri, parole, relazioni e transazioni tra due (o più) persone che si pongono reciprocamente quali soggetti di parola. Sulla scena del colloquio, le parole divengono mezzo di comunicazione e relazione tra persone che interagiscono con una molteplicità di codici, verbali e non. Nella relazione che si articola, disarticola e riconfigura nel corso del colloquio, tutto è segno: le parole, le pause, i silenzi e i non-detti, le espressioni del volto e le posture del corpo, i gesti, l’abbigliamento, i toni della voce ed il ritmo del respiro, le modalità narrative, gli stili argomentativi, le discontinuità tematiche, i lapsus e le sgrammaticature. E le parole, segni per eccellenza, possono trascendere se stesse e divenire simboli dalle molteplici connotazioni di senso, aperti ad una pluralità di letture e, quindi, al rischio della semiosi illimitata: ogni dizionario contiene l’infinito, il rischio è attribuirlo ad ogni segno. In una situazione paradigmatica di double hermeneutic qual è un colloquio, infatti, ove i “contenuti” da esplorare ed a cui attribuire qualche significato sono già, a loro volta, delle interpretazioni frutto dei fantasmi e delle credenze, dei racconti e dei resoconti dei soggetti del discorso, è sempre presente il rischio della Vorverständnis, cioè della pre-comprensione che si tramuta in un’incomprensione radicale (10). “Come dinanzi a un testo da interpretare non possiamo mai sentirci in un atteggiamento di oggettivante estraneità” - scrive Gadamer - “perché noi stessi siamo coinvolti e allora il testo da interpretare mette in gioco anche la nostra comprensione di noi stessi, a maggior ragione ciò vale per l’interpretazione dell’altra persona” (11). Il colloquio psicologico, insomma, è uno spazio di coesistenza in cui si mette l’oggettività tra parentesi (12), un luogo di intuizione e interpretazione, a volte di incontro e comprensione, ove i suoni emessi dalla voce (e gli altri segni, del corpo e dell’anima) creano e modellano la situazione in cui un io si rivolge ad un tu, in un qui ed ora. E nel colloquio - inteso quale “struttura interpersonale” e, quindi, sistema di segni e


www.barbarabertagni.info

interpretazioni: ovvero, processo di interazione e comunicazione (verbale e non)(13) prende forma la relazione tra i soggetti di parola che, a loro volta, si configurano e riconfigurano a seconda degli andamenti del dis-cursus “calato nel vivo del con-loquio o dialogo” (14).

L’Esperienza Pratica Guidata come metacontesto comunicativo Ogni parola ha “l’aroma” dei contesti nei quali ha trascorso la sua vita (15), dei dialoghi a cui ha partecipato, delle persone che ha frequentato, delle relazioni in cui è stata adoperata e che ha contribuito ad edificare. Facciamo parte di un contesto discorsivo che condiziona e contribuisce a dar forma alla nostra stessa identità. Fare psicologia significa anche tener conto dei significati e delle relazioni in cui si trova immerso il soggetto (16). Ogni voce individuale è come se fosse tratta da un dialogo: in questa prospettiva, essere per l’uomo significa soprattutto dialogare con gli altri e con se stesso (17). Siamo un fenomeno di confine tra l’individuale e il collettivo: le nostre condotte ed i nostri processi mentali sono “ancorati e vincolati” dai contesti conversazionali e dagli orizzonti di senso in cui siamo immersi (18). L’individuo isolato non è che un’astrazione: il soggetto è (anche) parte di un Noi, cioè di un sistema di significati collettivamente condivisi. Siamo un romanzo polifonico, abitato da una molteplicità di voci. Parliamo e, al contempo, siamo “parlati” dalla lingua che usiamo e che è già sempre una lingua altrui, elaborata, ascoltata e ricevuta da altri (19). La lingua, le strutture della famiglia e della parentela, le istituzioni sociali e politiche, i rituali, le forme culturali ed artistiche influenzano profondamente la “costruzione” (e la costrizione) del mentale (20): la nostra mente, pertanto, può essere considerata, secondo la proposta di Harré e Gillett, “come il punto di incontro di un ampio raggio di influenze strutturanti, la cui natura può essere raffigurata solo su una tela più ampia di quella fornita dallo studio degli organismi individuali” (21). Queste le premesse teoriche e, quindi, lo scenario di un’E.P.G. finalizzata a rendere i partecipanti attori e sperimentatori della complessità dei processi di comunicazione interpersonale e delle relative dinamiche di ruolo nel corso dei colloqui, oltre che dei condizionamenti, delle difficoltà, dei rischi d’incomprensione, delle asimmetrie e dei vincoli che caratterizzano l’agire professionale dello psicologo. Un’E.P.G. volta a “problematizzare l’ovvio e sensibilizzare all’ascolto dei diversi livelli di un discorso (comunicativo, relazionale, affettivo...)”, per cercare di aumentare nei partecipanti la consapevolezza del loro stile personale di vedere (e costruire) il mondo, di entrare in relazione e di comunicare con un altro (22). Sulla ribalta del palco-segnico, simulazioni e role-playing quale spazio virtuale per divenire interpreti - al contempo attivi e riflessivi - di ruoli e situazioni professionali: colloqui finalizzati alla redazione di una perizia psicologica, colloqui di counseling, di selezione del personale e così via. Un’occasione per discutere, analizzare e rielaborare immagini e fantasmi dello psicologo all’opera in diversi contesti professionali; forse, uno spazio di sperimentazione un po’ brechtiano, dove l’attore “non permette a se stesso di trasformarsi completamente sulla scena nel personaggio che sta rappresentando” (23) e, così, consente a sé ed ai compagni-spettatori di analizzare con più facilità le molteplici sfaccettature che caratterizzano e colorano i sentimenti e le emozioni, i fantasmi, le immagini e le parole che alimentano le relazioni fra le persone (24). Un’E.P.G. intesa come l’occasione per costruire, con i partecipanti, un laboratorio e un metacontesto entro cui sperimentare possibilità e limiti dell’agire comunicativo in


www.barbarabertagni.info

situazioni di colloquio: un approccio orientato all’analisi delle forme e dei rituali del parlare-in-interazione, in contesti sia istituzionali che informali (ambulatori, consultori, aule di giustizia, prigioni, aziende, studi privati, famiglie, piazze, case...), attento all’incidenza ed all’influenza del contesto nell’enunciato discorsivo, al linguaggio quale pratica situata in un qui ed ora (25). Un metacontesto, inoltre, in cui osservare con attenzione le parole, in quanto strumenti comunicativi e, prima ancora, “pitture decadute” che rinviano a dimensioni sovente indicibili dal soggetto che parla (26). Dimensioni che le parole cercano di cogliere facendosi immagine o metafora e, quindi, ponte gettato tra il processo primario e quello secondario del nostro pensiero ed occasione per andare al di là della “dispotica dicotomia” tra cognitivo ed emotivo (27). Quando muta il nostro stato d’animo, cambia anche la fisionomia del mondo: come dice Borgna, “cambiano i modi con cui il mondo ci chiama e ci parla”. Per inseguire e definire le modificazioni della vita emozionale, cercando di renderle concrete e comprensibili, il nostro linguaggio tende a farsi “allusivo e friabile, discontinuo e sconfinante nell’indicibile” (28). Un linguaggio sovente iconico ed onirico, insieme di messaggi espressi in una molteplicità di codici che richiedono, per essere compresi, un allenamento all’ascolto (non solo uditivo) di se stessi e dell’altro. Ascolto attivo delle parole, dei silenzi, degli stili e delle modalità comunicative, finalizzato a comprendere come ciascun interlocutore costruisce il suo mondo e se stesso, come stanno le cose dal suo punto di vista. Un’attenzione costante ai linguaggi del corpo e della mente, quindi, come tentativo di comprensione di se stessi e dell’altro: un ascolto che apra alla possibilità di acquisire maggiore consapevolezza del proprio modo di guardare al mondo e consenta di poter “uscire da sé” quel tanto che necessita per scorgere l’altro (29). Parole e pensieri Ogni nostra parola è “altrui” perché conserva le tracce degli altri, di chi l’ha già usata e del Noi di cui siamo parte, ed è rivolta ad un tu (non importa se interiore). Il nostro vivere dipende da significati e da concetti condivisi in un certo contesto (30): il nostro vedere ed il nostro pensare sono il prodotto di una “prassi discorsiva più originaria”, della quale non siamo (quasi) mai consapevoli (31): io è un altro, proprio come nella poesia di Rimbaud (32). Ogni grammatica ed ogni sintassi implicano una particolare visione del mondo, non del tutto conoscibile da chi vi è immerso: l’io parla dal luogo in cui è situato. Figli della comunicazione verbale, siamo partecipi di un reticolo di sistemi segnici che sono connessi con la possibilità di pensare, parlare e agire: le realtà in cui vivamo e che conosciamo sono il frutto, in buona parte inconscio, delle abitudini linguistiche che pratichiamo, poiché le categorie del pensiero postulano una logica ed una grammatica concettuale espressione del modo di vedere il mondo tipica di ogni sistema linguistico (33). Come dice Pirandello, “un fatto è come un sacco: vuoto non si regge. Perché si regga, bisogna prima farci entrar dentro la ragione e i sentimenti che lo han determinato” (34). Conosciamo in modo soggettivo e il linguaggio tende a costituire l’orizzonte ed il limite entro cui si esplica il nostro pensiero e la nostra percezione del mondo (35). Ciò che a causa di una “illusione empiristica” sembra presentarsi in modo “spontaneo”, come mero “dato”, come “ovvio” o “naturale”, è in effetti il risultato di un processo di astrazione che attuiamo continuamente con l’uso del linguaggio e che abbiamo sviluppato apprendendo a parlare (36). Come ha sostenuto Sapir, il “mondo reale” è costruito, in gran parte inconsciamente, sulle abitudini linguistiche del gruppo, per cui “persino atti di percezione relativamente semplici sono condizionati da quei modelli sociali chiamati parole molto più di quanto si possa mai immaginare”. Per cui si può dire, con Whorf, che le categorie e i concetti che isoliamo nel flusso caleidoscopico delle


www.barbarabertagni.info

impressioni e dei fenomeni con cui ci si presenta il mondo non li troviamo in una realtà esterna e indipedente dal nostro sguardo, perché siamo noi che “ritagliamo la natura, la organizziamo in concetti e attribuiamo significati” (37). La lingua che parliamo, i sistemi concettuali e normativi che condividiamo (o in cui, comunque, siamo immersi) ci trascendono e, al contempo, ci abitano e “ci parlano”, costituendo l’orizzonte e il limite del nostro pensiero. Non possiamo pensare, dunque, senza una infrastruttura sociale che, a sua volta, contribuisce a costituire l’orizzonte e il limite di ciò che pensiamo (38): siamo opere incompiute, animali carenti che si completano e si definiscono per mezzo della cultura (39). L’habitat naturale della nostra ragione e delle nostre emozioni sono (state) le foreste e le caverne, i campi e le capanne, le case ed i loro cortili, i mercati, le piazze, i tribunali e tutti gli altri luoghi sociali di “traffico di simboli significanti” (cioè di concetti utili per definire il mondo, esprimere i sentimenti e maturare i giudizi)(40): il pensiero, le emozioni e i sentimenti sono “costruiti socioculturalmente” in quanto si strutturano sulla base di significati, credenze, valori e rapporti sociali tipici delle comunità a cui apparteniamo (41). In tale prospettiva, il soggetto è tutt’altro che un’entità isolata ed autosufficente rispetto al contesto sociale (pur senza esserne il mero riflesso): l’uomo si definisce nell’alterità ed è, in primo luogo, un essere “imprevedibile anche a se stesso” (42).

Dire e ascoltare l’indicibile Le parole sono veicoli di senso e, soprattutto, simboli che ci consentono di attribuire un significato alla molteplicità magmatica ed indistinta degli eventi e di noi stessi (43). In quanto uomini organizziamo le esperienze ed i ricordi principalmente sotto forma di racconti, individuali e collettivi: storie, giustificazioni, miti, argomentazioni per fare e per credere (44). La ricerca di senso e significato nel mondo delle cose umane, infatti, “quasi inevitabilmente prende la forma di una narrazione, di una storia”, cioè di un’interpretazione - a sua volta suscettibile di interpretazione - degli eventi della vita e del “chi siamo”. Imprevedibili anche a noi stessi, siamo la mutevole sintesi delle relazioni e dei contesti (conversazionali e non) in cui siamo radicati: nei nostri racconti, gli stati e gli eventi psichici divengono complesse costruzioni semantiche, aperte a molteplici interpretazioni e decodificazioni (45). La dimensione linguistica, che costituisce la “formante” principale del colloquio psicologico, è il luogo, per più versi metaforico, ove prendono forma, si materializzano e smaterializzano le immagini, le emozioni, le idee, le relazioni, i conflitti ed i desideri... Il discorso interiore diviene parola e, al contempo, “compromesso” tra ciò che il soggetto confessa a se stesso senza dire e ciò che può “tradurre all’esterno” (46); e il linguaggio, così, diviene un universo pluralistico ove cercano di coesistere, celandosi e svelandosi, gli opposti che dibattono e combattono in noi. E’ il momento in cui le parole trascendono se stesse e divengono simboli dalle molteplici connotazioni, aperti ad una pluralità di interpretazioni: simboli magici e musica, come nella poesia di Borges, oppure mucchi di specchi rotti e desideri infranti. I simboli sono un mezzo specifico attraverso il quale una parte oscura e nascosta della nostra psiche può, allusivamente, rivelarsi (47); e il racconto è forse, come sostiene Rella, “più propenso di ogni altro discorso a portarsi verso la frontiera interna dell’inscrutabile” (48). Una frontiera che le parole cercano di oltrepassare divenendo, appunto, simboli che restituiscono, allusivamente, le “infinite possibilità” che ci costituiscono in quanto soggetti (49). La dimensione simbolica, insomma, è quella in cui le nostre parole inseguono la profonda inafferrabilità della vita interiore, aprendoci all’alterità ad alla


www.barbarabertagni.info

polifonia che ci abita. La metafora sembra essere tra le poche vie d’accesso discorsivo al simbolico, pur essendo impensabile la riduzione ed assimilazione totale del simbolo alla metafora: come diceva Amleto, “ci sono più cose nella psiche umana di quanto la vostra psicologia possa parlare”, perché i margini del non-detto e dell’indicibile sono comunque infiniti (50).

Il racconto e la costruzione discorsiva di sé Ricordo d’infanzia (per Olievenstein): “Un grande castello di bambini. Ero in fuga. Per me era notte fonda (potevano essere le sei di sera). Ai piedi di una cartiera, una fattoria illuminata, il pasto dei maiali e i contadini che ci offrono un po’ di cibo, forse lo stesso. In quel momento arriva la notizia che un operaio è finito stritolato nella cartiera e che in quel cibo potevano esserci dei suoi resti. Io: gioia, piacere, angoscia, disgusto e colpa: tutto squisito” (51). Rispondere alla domanda “chi?” vuol dire raccontare la storia di una vita e richiede un coraggio simile a quello necessario per cominciare un romanzo (52): nessun io, nemmeno “il più ingenuo”, è un’unità monolitica, ma, come nei racconti di Hesse, “un mondo molto vario, un piccolo cielo stellato, un caos di forme, di gradi e situazioni, di eredità e possibilità” (53). La polifonia delle voci che ci abitano (senza quasi mai raggiungere le soglie della coscienza) crea, quindi, uno “spazio poetico e letterario” dentro di noi, che ci apre “alla molteplicità e al probabile” (54). L’identità del “chi?” è un fluire di racconti e di rappresentazioni: un’identità narrativa alla ricerca di una sintesi, seppur mutevole ed a volte imprevedibile - così come le nostre parole, che a volte sorprendono noi stessi e ci “insegnano” il nostro pensiero (55). “Chi si racconta?” Ancora una volta, dice Ricoeur, “la domanda chi? apre la via ad una ipotesi più che ad una ipostasi”. L’idem, cioè il medesimo sempre identico, cede all’ipse, mutevole nel tempo, che si ritrova rispecchiandosi negli occhi dell’altro: “L’altro cui debbo la risposta nel mantenermi lo stesso, l’altro da cui dipendo perché mi costituisce, l’altro dunque in me come il mio mondo, il mio partner, la tradizione che mi accoglie”, il contesto in cui sono radicato (56). Come dicono Harré e Gillett, cercare di comprendere una persona significa conoscere il modo in cui costruisce “il suo mondo e se stessa, come stanno le cose dal suo punto di vista, che esperienza fa di questo mondo, come lo valuta e lo giudica, anche attraverso le sue emozioni” - senza dimenticare che le persone abitano molti contesti e molti discorsi differenti, non necessariamente in accordo tra loro (57). Se si guarda all’identità personale come risultante di un processo interpersonale di (mutuo) riconoscimento, delimitazione e collocazione sociale, la si può concepire sotto forma di narrazione autobiografica più o meno variabile, polifonica e discontinua nel tempo in funzione del contesto e degli atteggiamenti degli altri: siamo e diventiamo la mutevole narrazione che raccontiamo, a noi e agli altri, con le nostre parole e le nostre azioni (58). “Chi siamo noi, chi è ciascuno di noi se non una combinatoria d’esperienze, d’informazioni, di letture, d’immaginazioni?” (59). Siamo i nostri ricordi e i nostri desideri, i nostri sogni, bisogni e progetti, siamo l’immagine che il mondo restituisce di noi e il significato che attribuiamo alle nostre condotte: la nostra identità è una storia risultante “dall’intreccio di mille storie”, per cui si può dire che siamo (anche) il racconto del nostro presente e del nostro passato - che è il presente della memoria (60). Chi siamo e chi siamo stati, comunque, sono sogni differenti, poiché nulla, se non l’istante, ci riconosce (61).


www.barbarabertagni.info

Gli spazi polifonici del soggetto Conoscere se stessi vuol dire continuare a cercarsi: l’io è “una ricerca un po’ iniziatica”, non si dà mai in modo definitivo, ma si costruisce (e si racconta) progressivamente “senza che esista, in senso vero e proprio, un’unità tra le sue varie espressioni” (62). L’uomo, soggetto e oggetto della psicologia, si rappresenta in una molteplicità di teorie modificate e rimodellate dal tempo, come la sua identità. Il nostro stesso percepirci come individui è condizionato dalle prospettive teoriche (più o meno ingenue) e personali da cui guardiamo, come, più in generale, dal contesto culturale a cui apparteniamo: non esiste una concezione dell’identità personale univoca, universalmente condivisa. Anzi, si può dire con Kakar che ogni uomo è sintesi di “soma, psiche e polis”, ovvero è contemporaneamente “corpo, individuo ed essere sociale” in modi diversi a seconda della cultura in cui vive (63). Se pensiamo alla pluralità dei modelli di uomo elaborati nella nostra psicologia della personalità, possiamo percorrere una serie di sentieri (più o meno interrotti) che ci conducono, a seconda dei casi, all’uomo naturalistico, definito - come nota Capello - “in base alle sue caratteristiche costituzionali”; oppure all’uomo psicologico, a sua volta “differenziato in dimensioni psicodinamiche, personologiche e psicometriche”; o, ancora, all’uomo ambientalistico, “fortemente modellato dal contesto sociale”; fino all’uomo psico-sociale, che “costituisce le sue competenze cognitive ed affettive a partire dalle interazioni sociali nelle quali si sviluppa” (64). Nel nostro contesto culturale, l’identità personale è spesso intesa - soprattutto a livello del senso comune - come stabile e coerente, persino monolitica. Ma, come si domanda ad esempio Girard, l’oggetto della psicologia può continuare ad essere “l’uomo così come è implicitamente assunto, nella definitezza conferitagli dalla sua continuità, dalla sua memoria e dalla sua identità”? (65). Forse si può dire, alla luce delle analisi di Foucault, che le più comuni concezioni dell’identità personale non sono che il frutto e l’eredità delle teorie e delle tecniche introspettive che, nel corso della storia, l’uomo (occidentale) ha elaborato per cercare di sapere la “verità” su di sé (66). La genealogia del soggetto occidentale moderno proposta da Foucault - volta a mostrare come l’esercizio di determinate “tecnologie” (educative, lavorative, sanitarie, confessionali, giudiziarie, punitive...) abbia contribuito alla formazione di una certa immagine unitaria e costante nel tempo di noi stessi - postula tra l’altro il modello cristiano dell’uomo, espressione di una società confessionale e confessante in cui “ogni persona ha il dovere di cercare di conoscere che cosa accada nel proprio intimo, di ammettere le proprie colpe, di riconoscere le tentazioni” e di individuare i propri desideri reconditi. La nostra psiche, dunque, secondo Foucault si è storicamente strutturata sulla base delle tecniche (in primo luogo confessionali) utilizzate per “svelarne i segreti”: la sua analisi è volta alla ricerca di una (e non molte) “verità”, e dunque implica un’unica identità, conoscibile dopo un lavoro di scavo profondo (67). Al di là delle pratiche ecclesiastiche e legali, nel corso dei secoli e soprattutto nell’800 la confessione, quale veicolo di accesso alla verità, ha assunto un ruolo fondamentale non solo nelle scienze psicologiche e psichiatriche, ma anche in molte altre discipline, fra cui la medicina e la pedagogia. L’aspetto centrale di tali “pratiche classificatorie” consiste nella ricerca della verità “in una sede che non solo è nascosta al soggetto, ma gli è permanentemente inaccessibile” (in quanto conoscibile “soltanto da chi studia l’inconscio, o il cervello, o i correlati fisico-chimici del comportamento”)(68). Spesso, soprattutto per i più giovani, il colloquio psicologico viene interpretato come


www.barbarabertagni.info

una situazione da confessionale finalizzata al raggiungimento di una presunta verità ultima spesso ricercata attraverso la narrazione degli eventi della storia individuale. Mentre la ricerca di una comprensione definitiva di noi stessi e dell’altro non è, forse, che un viaggio senza fine tra le immagini e le metafore della psicologia, dell’arte e della filosofia: chissà che “l’essenza” dell’uomo non si traduca proprio nell’assenza di un’unica e ben definita essenza (69). Siam molti, come nella poesia di Neruda. La nostra identità può essere pensata come la mutevole risultante (anche) di una rete di rapporti sociali nei quali veniamo “riconosciuti, delimitati, collocati e definiti” (70). Il contesto sociale e culturale condiziona infatti in molti modi non solo il sapere e l’agire degli uomini, ma anche i processi di elaborazione e di ricostruzione dell’identità personale. La nostra psiche è un poliedro dalle mille facce. Siamo una comunità di molte persone: l’io, a seconda dei casi, è la risposta che l’individuo dà all’atteggiamento che gli altri assumono nei suoi confronti. Il mentale, il sociale e il culturale sono, insomma, dimensioni da considerare tutt’altro che indipendenti: in un certo senso, come ha scritto Pirandello, “questa che crediamo la cosa più intima nostra... vuole dire gli altri in noi” (71).

NOTE (1) Barthes (1979, p. 12). (2) Hillman (1983, p.43). (3) Hillman (1983, pp. 17), secondo cui lo spirito della psicologia del profondo è già riassunto in Eraclito: “Per quanto tu cammini, e anche percorrendo ogni strada, non potrai raggiungere i confini dell’anima (psyché): tanto profonda (báthun) è la sua vera essenza (lógos)”. (4) Aristotele (1973, 1, 16a); per un commento cfr. Todorov (1984, pp. 26ss.). (5) Wackenroder (1945, p. 367). (6) Hillman (1983, p. 42). (7) Il linguaggio, insomma, dice sempre qualcosa di più e, al contempo, di meno del suo “inaccessibile senso letterale” che, come sostiene Eco (1995, p. 6), “è già perduto sin dall’inizio dell’emissione testuale”. (8) “Altrettanto può dire ogni giurista, da sempre”: Orestano (1985, p. 461). (9) Capello (1995, p. 216). (10) Come dice (anche) Popper (1983, p. 451), l’orizzonte delle aspettative, più o meno consapevoli, “gioca la parte di un quadro di riferimento: solo il loro disporsi in questo quadro conferisce senso o significato alle nostre esperienze, azioni e osservazioni”. Dopo tutto, sempre con Popper (1970, pp. 308-310), possiamo dire che “non sappiamo, possiamo solo tirare a indovinare... I soli mezzi a nostra disposizione per interpretare la natura sono le idee ardite, le anticipazioni ingiustificate e le speculazioni infondate”. Per un panorama su alcune grandi questioni relative all’opacità dell’evidenza, ed alla necessità di una radicale reimpostazione delle strategie cognitive, cfr. Vozza (1990). Comunque, come nota Eco (1995, p. 14), “dire che un testo è potenzialmente senza fine non significa che ogni atto di interpretazione possa avere un lieto fine... I limiti del’interpretazione coincidono con i diritti del testo (il che non vuol dire che coincidano con i diritti del suo autore)”. (11) Gadamer (1974, p. 388). (12) Telfener (1995, p. 355). (13) Quadrio-Ugazio (1980, p. 10), Giovannini (1998, p. 14). (14) Di Petta (1996, p. 64). (15) Bachtin (1997, pp. 101 e 148): il contesto sociale e culturale che alimenta il pensiero ed abbraccia la parola “crea uno sfondo dialogizzante, il cui influsso può essere grandissimo” nella formazione delle persone. (16) Cfr. ad esempio Watzlawick, Beavin e Jackson (1971, p. 21), Dewey e Bentley (1949), Hittleson (1970), Dilthey (1954, pp. 143ss.), Trevi (1986, p. 34), Bateson (1976), Bruner (1992, pp. 15ss. e 104), Brown e Zinkin (1996, p. 87), Harré e Gillett (1996, p. 21), Ricci Bitti e Zani (1983, p. 45), Meo (1991) e Neisser (1981, p. 207). (17) “The primary human reality is persons in conversation”, dice Harré (1983, p. 58). Cfr. anche Bruner (1992, p. 15) e Tagliagambe (1996, pp. 89 e 91), il quale sottolinea che questa prospettiva, elaborata dal teorico della letteratura Bachtin a partire dagli anni Venti del nostro secolo, “mette radicalmente in discussione un modello della mente centralizzato o unificato e fa progressivamente emergere l’idea che ‘essere’ è,


www.barbarabertagni.info

fondamentalmente, ‘comunicare’, e comunicare in forma dialogica con gli altri ma anche all’interno di se stesso, secondo una prospettiva che considera ‘l’io’ come il risultato di un ‘racconto’ di fatti, di sensazioni e di sentimenti”. Cfr. anche Bruner (1992, p. 15): “Ogni voce individuale è tratta da un dialogo, come ci insegna Bachtin”; nonché Brown e Zinkin (1996, p. 246). (18) Ugazio (1995, p. 259); cfr. anche Shotter (1994). Come ha sostenuto Bateson (1976, p. 471), “il mondo mentale, la mente, il mondo dell’elaborazione dell’informazione, non è delimitato dall’epidermide”. Peraltro, il capire che molta parte della realtà umana e naturale, come sostiene Girard (1990, p. 21), “si fa e si disfa nel linguaggio, de-fonda il soggetto nel senso della sua costruzione di coscienza” ed identità, consentendogli (a volte) di intuire il suo “essere parte di un sistema discorsivo, piuttosto che possessore di pensieri, convincimenti, credenze predeterminate nella sua mente ordinante”. (19) Montani (1996, p. 178): la “situazione narrativa” dell’analisi personale, ad esempio, “esemplifica mirabilmente l’orizzonte dialogico della parola messo in luce da Bachtin: non meno della parola romanzesca, la parola analitica è da cima a fondo parola altrui e il ‘romanzo analitico’ è un romanzo polifonico, abitato da una molteplicità di voci (a partire da quelle che l’inconscio ha sequestrato e congelato nella sua scena senza tempo”. Per una panoramica, breve e dettagliata, sul narrativo in psicoanalisi cfr. Albasi (1997, pp. 96ss.) e, più in generale, Martini (1998), Ammaniti e Stern (1991). (20) Grene (1976, p. 120). Ugazio ( 1998, p. 11) avanza alcune ipotesi sulla costruzione del significato, e dell’identità, nei contesti conversazionali, facendo riferimento, in particolare, al concetto di opposizione polare. “I contesti semantici, presenti in tutte le lingue, costituirebbero un ‘universale’ il cui scopo è rendere indipendenti gli individui. Ciascun partner conversazionale, ‘con-ponendosi’ rispetto alle polarità semantiche rilevanti nel suo gruppo, àncora la propria storia, e con essa la propria identità, alla trama narrativa del contesto”. (21) Harré e Gillett (1996, p. 25). Cfr. anche Moscovici (1997). (22) Capello (1995, p. 8): sviluppare “l’abitudine a sentire e a interrogarsi per capire prima di tutto se stessi e la situazione in cui ci si trova, può favorire l’esercizio della critica e la presa d’atto della relatività dei punti di vista”. Proprio per la sua formazione, lo psicologo non dovrebbe mai dimenticare quanto le impressioni siano prossime ai pregiudizi e le convinzioni simili alle razionalizzazioni, così come non dovrebbe mai dimenticare che il sapere teorico che orienta il suo operare non è assoluto ma limitato e parziale, radicato negli specifici contesti in cui egli stesso è “situato” (in proposito, si veda l’art. 8 del codice deontologico degli psicologi). (23) Brecht (1964, p. 137). (24) Una prospettiva, questa, che trae molteplici spunti dall’epistemologia di Bateson, che si avventura anche là dove gli angeli esitano (1997); in proposito, cfr. ad esempio Ingrosso (1998, pp. 133ss.). (25) Cfr. ad es. Garfinkel (1967), Goffman (1974), Van Dijk (1980, pp. 233ss.), Giglioli e Dal Lago (1983), Bruner (1992, p. 71), Marcarino (1997, pp. 7ss.). I contesti fanno le professioni: come sottolinea Carli, la competenza professionale si “organizza” in professione solo “se sa rispondere a specifiche problematiche del contesto”. (26) Cfr. ad esempio Kallir (1961). (27) Goodman (1976, p. 208). Come ha scritto Aristotele (1976, 1457b, p. 243), la metafora “consiste nel trasferire a un oggetto il nome che è proprio di un altro”: gamba del tavolo, piede dell’albero, cuore del carciofo, tronco umano... Forse, è come una sonda che cerca connessioni tra oggetti appartenenti a campi discorsivi distinti e che ci consente di alimentare la comprensione di noi stessi e del mondo in cui viviamo, ad esempio personificando i nostri sentimenti od entificando le esperienze soggettive: sono un palloncino alla deriva nel cielo, la recessione ci sta strangolando lentamente, è fuori di sé dalla rabbia, il pensiero di oggi non mi ha lasciato dormire... Metafora, quindi, come trasferimento di senso: come, in Grecia, i camion per i trasporti, che hanno scritto sopra metaforai (cfr. Maffei, 1993, p. 10). Inoltre, come rileva Mosconi (1990, p. 111), “tra le funzioni della metafora sembra che vi sia anche quella secondaria di mettere in difficoltà il nostro pensiero e di fare apparire l’unilateralità dei nostri tentativi di capirla”. In tema di metafora, la letteratura è amplissima: cfr. ad esempio Casonato (1994), Kopp (1995), Trevi (1986) e soprattutto Bateson (1997, pp. 46ss.) secondo cui il processo che genera le metafore sembra essere una caratteristica fondamentale dela creazione. Le metafore, infatti, non si limitano a classificare il mondo, ma comunicano le relazioni e le interconnessioni tra le idee. (28) Borgna (1995, pp. 62 e 194). (29) Uno degli esercizi spirituali di Ignacio de Loyola fa dell’anima una “stanza da commedia” dei cinque sensi... Dopo un preambolo consistente nel misurare con l’immaginazione lunghezza, larghezza e profondità dell’inferno, si sviluppa in cinque punti: il primo consiste nel “vedere, con la vista dell’immaginazione”, le grandi fiamme e le anime come in corpi ignei. Il secondo nell’udire con l’udito pianti, clamori, grida, bestemmie contro Cristo nostro Signore e contro tutti i suoi Santi. Il terzo


www.barbarabertagni.info

nell’odorare fumo, zolfo, puzzo di sentina e putridume. Il quarto nell’assaporare col gusto cose amare, come lacrime, tristezza e il verme della coscienza. Il quinto nel “toccare col tatto, ossia come le fiamme toccano e bruciano le anime”. Nell’E.P.G., invece, gli esercizi spirituali più praticati riguardano la percezione di opere d’arte (quadri, musica, testi letterari) con i cinque sensi e giochi di proiezione a partire da stimoli ambigui come l’immagine (firmata da Dalì) di un gruppo di persone che, al contempo, rappresenta il viso di Voltaire oppure una porta sagomata nel mezzo, attraversata - a seconda degli sguardi - da fantasmi, delinquenti, topolini e personaggi da cartoons, e così via. (30) Bruner (1995, p. 66 e 1992, p. 29): la nostra è “una vita pubblica, basata su significati pubblici e procedure condivise di interpretazione e di negoziazione” dei significati. (31) Sini (1991, p. 27): “L’uomo vede e dice, pensa e dice: nulla di più falso e di più ingenuo. Il suo ‘vedere’ e il suo ‘pensare’ sono già il prodotto di una prassi discorsiva più originaria della quale egli non è mai consapevole. L’uomo infatti è sempre quest’uomo, socialmente determinato... da abiti, da regole di comportamento, da fisionomie private e pubbliche”. Come si domanda Foucault (1967, p. 349), “posso forse dire di essere questo linguaggio che io parlo e in cui il mio pensiero penetra al punto di trovarvi il sistema di tutte le proprie possibilità, ma che esiste soltanto nella pesantezza di sedimentazioni che non potranno mai venire interamente attualizzate dal mio stesso pensiero?”. (32) Cfr. Moscovici (1997, pp. 2-3), il quale sostiene che “tra l’io e il mondo esterno occorre collocare un terzo termine, questo altro che introduce una distanza e cambia il senso dei nostri atti e dei nostri rapporti individuali e sociali”, poiché, come constata anche il Freud di Psicologia delle masse e analisi dell’Io, “l’altro gioca sempre nella vita dell’individuo il ruolo di un modello, di un oggetto, di un associato o di un avversario, e la psicologia individuale si presenta fin dall’inizio, contemporaneamente, come psicologia sociale”. (33) Cfr. ad esempio Altan (1996, pp. 136ss.) e Orestano (1985, pp. 461ss.). (34) Pirandello (1981, p. 71). (35) Cfr. ad esempio Cassirer (1976, pp. 55ss.). (36) Prieto (1971, pp. 179ss.). Più in generale, sull’astrazione come “proprietà delle categorie” con cui opera la mente e quindi come “strumento tramite cui la nostra mente può divenire capace di trattare con una realtà che non può comprendere appieno”, cfr. Hayek (1986, pp. 41ss. e 1990); cfr. inoltre Weimer e Palermo (1974 e 1982), Popper (1983), Heisenberg (1978), Robilant (1976, pp. 487ss.; 1983, pp. 57ss. e 1990, pp. 43ss.), Licci (1996, pp. 237ss.), Borgogno (1981, p. 10), Bohm e Hiley (1993, p. 389). (37) Cfr. Sapir (1948, p. 162) e soprattutto Whorf (1956, p. 252), i cui contributi derivano da una serie di ricerche sulle lingue degli indiani d’America con le quali ha cercato di dimostrare che la rappresentazione di certe realtà come il tempo, lo spazio o il movimento è diversa a seconda della struttura della lingua nella quale si impara a percepirli e pensarli. Cfr. anche Shotter (1994, pp. 99ss.), Girard (1990, pp. 109ss.) e Langer (1942, p. 55). Peraltro, una delle principali fonti ispiratrici di tale prospettiva è costituita dal pensiero del linguista von Humboldt che, nell’800 (il secolo, tra l’altro, della comparazione delle lingue), rielabora la concezione romantica della lingua come ricchezza culturale di origine popolare e sostiene che die Sprache ist das bildende Organ des Gedanken: cioè, la lingua è l’organo che forma il pensiero e quindi manifesta la visione del mondo tipica di ogni comunità nazionale. (38) Cfr. ad esempio Gellner (1994, p. 66), Remotti (1996, p. 12). La cultura, dice Hayek (1986, pp. 10 e 531ss.), non è “naturale né artificiale, né trasmessa geneticamente né razionalmente progettata. E’ una tradizione di norme di comportamento apprese, che non sono mai state ‘inventate’ e di cui generalmente gli individui non capiscono la funzione”. (39) Cfr. ad esempio Hayek (1986, p. 533), Geertz (1987, p. 92), Eccles (1990, pp. 278ss.) e Bruner (1992, pp. 27-28): “Quelle discusse finora sono tesi piuttosto banali in antropologia, ma certo non in psicologia”. In quanto uomini, dunque, siamo la risultante sia di “disposizioni innate” che del contesto sociale e culturale in cui siamo radicati come specie e come singoli: in proposito cfr. ad esempio Popper (1992, p. 139), che ammette una certa somiglianza tra le sue idee e la “teoria sociale dell’io” sostenuta tra gli altri da Hegel, Marx ed Engels, Mead. (40) Cfr. Geertz (1987, pp. 86-87 e 1962, p. 724) e Remotti (1996, pp. 13-16). In proposito cfr. ad esempio Stern (1987), Hughes (1991) e Mitchell (1993, p. 17): “La mente è stata ridefinita passando da una descrizione in termini di strutture predeterminate emergenti dall’interno di un organismo individuale a una descrizione basata su modelli transazionali e strutture interne derivate da un campo interattivo interpersonale”. (41) Cfr. ad esempio Harré (1992), Rosado (1984), Coulter (1985) e Pritchard (1976). Peraltro, come ha sostenuto Mead (1966, pp 22ss. e 191ss.), “l’individuo non è schiavo della società” in quanto l’interazione tra il singolo e il collettivo è circolare; l’influenza, quindi, è reciproca: “L’io è la risposta che l’individuo dà all’atteggiamento che gli altri assumono nei suoi confronti, nel momento in cui egli


www.barbarabertagni.info

assume un atteggiamento nei confronti di costoro”. (42) Girard (1995, p. 205). (43) Bruner (1992, p. 20). Grazie alla nostra attitudine ad istituire connessioni tra fenomeni per ricondurli a categorie esplicative, riusciamo a rappresentare “le cose” in modo astratto, cioè simbolico, attraverso parole e concetti che ci allontanano sempre più dall’immediatezza del “dato” naturale e sensibile. (44) Bruner (1991, p. 21). (45) Cfr. Bruner (1990, p. 10). (46) Olievenstein (1990, p. 44). Sulla contrapposizione tra il “dicibile” e “l’indicibile” cfr. Ducrot (1978, pp. 726ss.). Sul non detto (delle emozioni) - quale “terra incognita che estende il suo dominio tra il rimosso e il manifesto, tra i mali che nascondiamo a noi stessi e le parole che ci nascondono agli altri” cfr. Olievenstein (1990, pp. 7ss.) secondo cui “dire l’indicibile è il principale compito dell’arte”, alla ricerca di un “discorso udibile” per quel “soliloquio intimo di cui ognuno fa esperienza ogni giorno e grazie al quale spesso si sopportano i compromessi con l’esistenza che permettono di vivere”. (47) Sul simbolico cfr. le panoramiche di Galimberti (1992, pp. 875ss.) e Agostini (1992, pp. 61ss.). Come dice Trevi (1986, p. 1), “chiunque si accinga a studiare i problemi del simbolismo si imbatte innanzitutto nella difficoltà costituita dalla polisemia del vocabolo ‘simbolo’: la medesima parola copre una straordinaria varietà di significati. Noi usiamo lo stesso vocabolo per indicare gli elementi di un algoritmo e una delle più complesse e inesplorate funzioni della psiche; l’oggetto materiale che si sostituisce per convenzione a un’idea astratta e la professione di fede di una grande religione; il segno grafico che per pura comodità rimpiazza una rappresentazione troppo complessa e una dimensione fondamentale del segno linguistico”. Sterminata la bibliografia, molteplici (e sovente contraddittorie) le prospettive di ricerca. (48) Rella (1987, p. 154). (49) Come dice Funari (1990, vol. I, p. 25), non solo la dimensione onirica, ma “lo stesso linguaggio parlato si presenta come la manifestazione del mondo rappresentazionale che gli è sotteso, come l’evocatore delle infinite possibilità combinatorie che costituiscono il tessuto vivente del soggetto”. (50) Per una prospettiva simile cfr. ad esempio Trevi (1986, pp. XIII-XIV). (51) Olievenstein (1987, p. 8). (52) Cfr. Ricoeur (1986, vol. III, p. 375) e Hillman (1984, pp. 69-70), il quale sostiene che ci si deve confrontare con “persone” interiori “la cui autonomia può modificare radicalmente e perfino dominare i nostri pensieri e i nostri sentimenti”; secondo Hillman (1983, p. 62), infatti, “più che un campo di forze”, ciascuno di noi è “un campo di rapporti personali interni, una sorta di comunità interiore, di organismo politico. La psicodinamica diventa psicodrammatica”. Per un quadro di sintesi sul pensiero narrativo e la costruzione di sé come un testo cfr. Smorti (1994 e 1997). Come ricorda Bruner (1992, p. 109), soprattutto in ambito psicoanalitico (Spence e Schafer), tra la fine degli anni settanta e l’inizio degli ottanta, è comparso il “Sé narratore”: cioè, un “Sé che narra storie in cui la descrizione del Sé fa parte della storia” (novità dovuta alla teoria della letteratura e alle nuove teorie della cognizione narrativa). Questa svolta, come sottolinea Casonato (1994, p. 21), convergeva con i contributi di Bruner, Lakoff e Johnson che “insieme agli sviluppi dela psicologia cognitivista rompevano definitivamente con la tradizione comportamentista, riscoprendo il background pragmatista della psicologia americana. Ma anche il pensiero sistemico che stava sviluppandosi rigogliosamente mostrava attenzione alle narrazioni”, in quanto - come diceva Bateson - gli esseri umani “pensano per storie”. (53) Hesse (1978, p. XXV), citato da Demetrio (1995, p. 30). Come dice Tagliagambe (1998, p. 106), ciò che definiamo io “appare come qualcosa la cui natura può essere correttamente percepita e intesa solo se non viene considerato come un ‘sistema chiuso’ e a sé stante, da indagare unicamente nei suoi nessi e nei suoi legami interni, bensì come un insieme complesso, la cui genesi va intesa come autocostruzione nel quadro delle esperienze di relazione, esito di un continuo lavoro di ‘assemblaggio’, mediante il quale pezzi di storia vissuta, selezionati e prescelti, vengono riutilizzati per costruire l’organizzazione psichica e la ‘narrazione personale’, le strategie di base, che giudano la visione di sé e il comportamento”. (54) Demetrio (1995, pp. 17 e 20). Sulla poesia come “forma alta di conoscenza”, superiore al pensiero scientifico ed alla filosofia, cfr. Bachelard (1993). Sulla parola poetica come mezzo che “conduce nell’ovunque dell’interrogazione e dell’esistenza” cfr. Capello, De Stefani e Zucca (1997), Capello e D’Ambrosio (1993). (55) Cfr. Nerhot (1994, p. 178), che percorre i sentieri di Derrida (1967). (56) Ricoeur (1993, p. 55). In proposito cfr. Montani (1996, p. 161), secondo cui il concetto di identità narrativa in Ricoeur “si sottrae alla classica antinomia tra un soggetto inteso come un ‘medesimo’ (un idem) e un soggetto inteso come pura illusione sostanzialista (un fascio di emozioni, saperi e volizioni in


www.barbarabertagni.info

equilibrio instabile) lasciando apparire il profilo di una identità ‘compresa nel senso di un se stesso (ipse)’, cioè una figura processuale che ‘può includere il cambiamento e la mutabilità’. Una tale ipseità, com’è evidente, designa un soggetto che non finisce di ricostituirsi nel rifigurare la propria vita, cioè nel comprenderla sempre di nuovo come ‘un tessuto di storie raccontate’”. (57) Cfr. Harré e Gillett (1996, pp. 255 e 25ss.), il cui metodo “etogenico” si traduce, tra l’altro, nell’analisi della struttura significativa degli episodi di vita condotta attraverso i resoconti dei soggetti che li vivono. Secondo Harré e Gillett, pertanto, “una volta che si concepisce il compito di comprendere il comportamento umano come qualcosa che comporta interpretazione ed empatia, piuttosto che predizione o controllo, le auto-descrizioni (self-reports) delle persone che si stanno studiando divengono molto importanti... E non si dovrebbe considerarle come resoconti (falsificabili) di stati della mente, ma espressioni di come stanno le cose per il soggetto”. Peraltro, dell’importanza cruciale della considerazione del “punto di vista” dei soggetti per l’analisi degli ambienti e dei contesti umani è testimonianza tutta l’opera di Bateson: per un’applicazione all’analisi della conversazione cfr. Marcarino (1997, pp. 94ss.). (58) Cfr. Sparti (1996, p. 126). (59) Calvino (1992, p. 120). (60) Cfr. Rella (1987, p. 154), Edwards e Potter (1992) nonché Sarbin (1986, pp. 7ss. e VII): “Long before there was a science of psychology, men and women created and told stories about the efforts of human beings to make sense of their problematic worlds”. Ma quali sono le caratteristiche delle narrazioni con cui, nel fitto intreccio di relazioni e interazioni in cui siamo immersi, plasmiamo ed alimentiamo il flusso della nostra identità? In primo luogo le nostre narrazioni sono volte alla “ricerca di un significato” che è tale solo all’interno di un certo frame, cioè di una cornice interpretativa che consente di dare un senso ai pensieri, alle interazioni e, quindi, alle rappresentazioni di sé; un senso che implica una visione del mondo, determinati criteri di valutazione delle condotte proprie e altrui, un’immagine di chi parla (cfr. Bruner, 1992, p. 71 nonché Bateson, 1976 e Goffman, 1974). I significati che le storie veicolano, in altri termini, rinviano per la loro comprensione ad uno specifico contesto relazionale e culturale, oltre che all’universo interiore del soggetto narratore. Inoltre, tra le caratteristiche principali delle narrazioni vi sono “la sequenzialità”, nel senso che gli eventi accadono in un processo temporale ed hanno una propria durata; “la particolarità e concretezza”, in quanto i temi narrativi concernono solitamente avvenimenti e questioni specifiche riguardanti le persone; poi “l’intenzionalità”, poiché i soggetti principali delle narrazioni agiscono mossi da scopi ed ideali, manifestano opinioni e stati d’animo; infine “l’opacità referenziale”, perché la rappresentazione narrativa ha senso non tanto per i suoi riferimenti a eventi od oggetti definiti e concretamente esistenti, ma proprio in quanto narrazione (eventualmente del tutto “immaginale”, o verosimile solo nel “mondo possibile” del suo autore)(in proposito cfr. la sintesi elaborata da Smorti, 1994, pp. 58ss.). (61) Libero adattamento di Pessoa (1993). (62) Maffesoli (1993, p. 267). (63) Kakar (1993, pp. 10-11): ad esempio, “quando si parla di sciamani e di altri guaritori delle tradizioni popolari che intervengono sui disturbi dell’individuo operando sul suo essere sociale, bisogna ricordare che per molti indiani la polis non è composta soltanto dai membri viventi della famiglia e della comunità, ma anche dagli spiriti degli antenati - i pitr - e da tutti gli altri spiriti che popolano il cosmo indiano”. Cfr. anche Hutton (1992, p. 128) che, nell’analizzare la “genealogia” del soggetto (occidentale moderno) proposta da Foucault, sottolinea che in tale prospettiva la persona “altro non è che una congerie di teorie sulla sua stessa natura”. (64) Capello (1993, pp. 70ss. e 102ss.). (65) Girard (1996, p. 1); cfr. anche Goffman (1974, p. 516). Per una sintesi della questione del soggetto nel pensiero contemporaneo cfr. D’Agostini (1997, pp. 14 e 83ss.) e Di Francesco (1998). (66) Cfr. Foucault (1967, pp. 400ss.; 1976; 1992, pp. 135ss.). (67) Foucault (1992, pp. 37-38). Peraltro, come notano ad esempio Hutton (1992, p. 114) e Forrester (1993, p. 404), in tale prospettiva la psicoanalisi sembra essere la disciplina confessionale moderna par excellence. Come ricorda Kakar (1993, pp. 14-15), “l’introspezione nella civiltà occidentale è in realtà tanto antica che la si può fare risalire al pensiero greco, dove la definizione di individuo e di identità dipendeva da un procedimento attivo di esame, classificazione e analisi degli ‘eventi’ e dei ‘casi’ della propria esistenza. L’attività introspettiva si è andata legando strettamente al concetto del ‘vero sé’, di cui un esempio è costituito dall’uso socratico della frase ‘Conosci te stesso’”, mentre questo genere di introspezione è assente, ad esempio, nella tradizione culturale indiana ove la massima conosci te stesso (atmanvidhi) si riferisce ad un sè diverso da quello socratico, in quanto “incontaminato dal tempo e dallo spazio e, pertanto, senza la dimensione storica dela vita individuale”. (68) Cfr. Sparti (1996, pp. 157ss. e 170-171).


www.barbarabertagni.info

(69) Sulle metafore quali elementi costitutivi delle teorie cfr., per quanto riguarda la psicologia, Soyland (1994). (70) Sparti (1996, pp. 11ss. e 82ss.). Per una recente panoramica divulgativa sull’identità cfr. Jervis (1997). Per alcuni spunti, abbastanza curiosi, sull’io mancante e sulla mente multipersonale cfr. rispettivamente Cantalupo, Carotenuto, Masullo e Piro (1997) e Di Maria, Lavanco, Lo Piccolo e Menarini (1995). (71) Pirandello (1967, p. 146), citato da Sparti (1996, p. 85). Cfr. anche, in prospettive diverse, Moravia (1986, pp. XXXss. e 212s.; 1991, pp. 238ss.), Coulter (1985), Geertz (1987, passim e pp. 132-133; 1988), Margolis (1978 e 1983), Grene (1976, passim e pp. 120-124), Pettit e McDowell (1986), Sahlins (1976), Mitchell (1993), Liotti (1994, pp. 17ss.), Gava (1991), Edelman (1991 e 1993), Gergen e Davis (1985), Arcuri e Maas (1995), Brethertorn (1991).

BIBLIOGRAFIA AGOSTINI S., 1992, La teoria del simbolismo, in CAROTENUTO A. (a c.), Trattato di psicologia analitica, vol. II, Utet, Torino. ALBASI C., 1997, Narrativo e psicoanalisi. Alcune riflessioni epistemologiche, in “Connessioni”. ALTAN C., 1996, Antropologia, Feltrinelli, Milano. AMMANITI M. - STERN D. (a c.), 1991, Rappresentazioni e narrazioni, Laterza, Bari. ARCURI L. - MAASS A., 1995, Le dimensioni sociali del sé, in ARCURI L. (a c.), Manuale di psicologia sociale, Il Mulino, Bologna. ARISTOTELE, 1973, Dell’espressione, in ID., Opere, Laterza, Bari. ARISTOTELE, 1976, Poetica, in ID., Opere, Vol. X, Laterza, Bari. BACHELARD G., 1993, L’intuizione dell’istante. La psicoanalisi del fuoco, Dedalo, Bari. BACHTIN M., 1997, Estetica e romanzo, Einaudi, Torino. BARTHES R., 1979, Frammenti di un discorso amoroso, Einaudi, Torino. BATESON G. - BATESON M.C., 1997, Dove gli angeli esitano, Adelphi, Milano. BATESON G., 1976, Verso un’ecologia della mente, Adelphi, Milano. BATESON G., 1984, Mente e natura: un’unità necessaria, Adelphi, Milano. BOHM D. - HILEY B.J., 1993, The Undivided Universe. An Ontological Interpretation of Quantum Theory, Routledge, London. BORGNA E., 1995, Come se finisse il mondo. Il senso dell’esperienza schizofrenica, Feltrinelli, Milano. BORGOGNO F., 1981, L’illusione di osservare. Riflessioni psicoanalitiche sull’incidenza del soggetto nel processo conoscitivo, Giappichelli, Torino. BRECHT B., 1964, Brecht on Theatre, Eyre Methuen, 1964. BRETHERTON I., 1991, Pouring New Wine into Old Bottles: the Social Self as Internal Working Model, in GUNNAR M. - SROUFE A. (eds.), Self Processes in Development, Erlbaum, Hillsdale. BROWN D. - ZINKIN L. (a c.), 1996, La psiche e il mondo sociale, Cortina, Milano. BRUNER J., 1990, Prefazione, in SPENCE D., La metafora freudiana, Giunti, Firenze. BRUNER J., 1991, La costruzione narrativa della “realtà”, in AMMANITI M. - STERN D. (a c.), Rappresentazioni e narrazioni, Laterza, Bari. BRUNER J., 1992, La ricerca del significato. Per una psicologia culturale, Bollati Boringhieri, Torino. BRUNER J., 1995, Lo psicologo e la legge, in QUADRIO A. - DE LEO G. (a c.), Manuale di psicologia giuridica, LED, Milano. CALVINO I., 1992, Lezioni americane, Garzanti, Milano. CANTALUPO P. - CAROTENUTO A. - MASULLO A. - PIRO S., L’io mancante, Loggia de’ Lanzi, Firenze. CAPELLO C. - D’AMBROSIO P., 1993, Il giardino segreto. Far poesia nell’adolescenza, Bollati Boringhieri, Torino. CAPELLO C. - DE STEFANI B. - ZUCCA F., Tempi di vita e spazi di poesia. Percorsi di ricerca psicologica sulla scrittura poetica, Angeli, Milano. CAPELLO C., 1995, Clinica della relazione d’aiuto, in TRENTINI G. (a c.), Manuale del colloquio e dell’intervista, Utet, Torino. CAPELLO C., 1995, Introduzione, in ID. - D’AMBROSIO P. - TESIO E. (a c.), Testi, contesti e pretesti. Per una formazione al colloquio, Utet, Torino. CAPRANICO S., 1997, Role playing, Cortina, Milano. CARLI R. (a c.), 1997, Formarsi in psicologia clinica, Edizioni Kappa, Roma. CASONATO M., 1994, Metafore, Nuova Italia Scientifica, Roma. CASSIRER E., 1976,


www.barbarabertagni.info

COOLEY C.H., 1902, Human Nature and the Social Order, Scribner, New York. COULTER J., 1985, The Social Construction of Mind, Macmillan, London. D’AGOSTINI F., 1997, Analitici e continentali, Cortina, Milano. DEMETRIO D., 1995, Raccontarsi. L’autobiografia come cura di sé, Cortina, Milano. DERRIDA J., 1967, L’éecriture et la différance, Seuil, Paris. DEWEY J. - BENTLEY A., 1949, Knowing and the Known, Beacon Press, Boston. DI FRANCESCO M., 1998, L’io e i suoi sé. Identità personale e scienza della mente, Cortina, Milano. DI MARIA F. - LAVANCO G. - LO PICCOLO C. - MENARINI R., 1995, DisordinataMente. Origine e sviluppo dei fenomeni psichici, Il Pensiero Scientifico Editore, Roma. DI PETTA G., 1996, La descrizione dell’incontro in psicopatologia clinica, in BALLERINI A. - CALLIERI B. (a c.), Breviario di psicopatologia. La dimensione umana della sofferenza mentale, Feltrinelli, Milano. DILTHEY W., 1954, La costruzione del mondo storico nelle scienze dello spirito, in ID., Critica della ragione storica, Einaudi, Torino. DUCROT O., 1978, Dicibile/Indicibile, in Enciclopedia Einaudi, vol. IV, Einaudi, Torino. ECCLES J., 1990, Evoluzione del cervello e creazione dell’io, Armando, Roma. ECO U., 1995, I limiti dell’interpretazione, Bompiani, Milano. EDELMAN G., 1991, Il presente ricordato: una teoria biologica della coscienza, Rizzoli, Milano. EDELMAN G., 1993, Sulla materia della mente, Adelphi, Milano. EDWARDS D. - POTTER J., 1992, Discursive Psychology, Sage, London. FORRESTER J., 1993, Le seduzioni della psicoanalisi. Freud, Lacan e Derrida, Il Mulino, Bologna. FOUCAULT M., 1967, Le parole e le cose, Rizzoli, Milano. FOUCAULT M., 1971, L’archeologia del sapere, Rizzoli, Milano. FOUCAULT M., 1976, Storia della follia nell’età classica, Rizzoli, Milano. FOUCAULT M., 1992, La tecnologia politica degli individui, in AA.VV., Tecnologie del sé, Bollati Boringhieri, Torino, 1992. FUNARI E., 1990, Contestualità e specificità della psicoanalisi, in SEMI A. (a c.), Trattato di psicoanalisi, Cortina, Milano. GADAMER H.G., 1974, Verità e metodo, Fabbri, Milano. GALIMBERTI C. (a c.), 1992, La conversazione. Prospettive sull’interazione psicosociale, Guerini, Milano. GALIMBERTI U., 1992, Dizionario di psicologia, Utet, Torino. GARFINKEL H., 1967, Studies in Ethnomethodology, Prentice Hall, Englewood Cliffs. GAVA G., 1991, Scienza e filosofia della coscienza, Angeli, Milano. GEERTZ C., 1962, The Growth of Culture and the Evolution of Mind, in SCHER J.M. (ed.), Theories of the Mind, Glencoe. GEERTZ C., 1987, Interpretazioni di culture, Il Mulino, Bologna. GEERTZ C., 1988, Antropologia interpretativa, Il Mulino, Bologna. GELLNER E., 1994, Ragione e cultura, Il Mulino, Bologna. GERGEN K. - DAVIS K., 1985, The Social Construction of the Person, Springer, New York. GERGEN K., 1981, From Self to Science, in SULS J. (ed.), Psychological Perspectives on the Self, Vol. I, Erlbaum, Hillsdale. GERGEN K.J. - GERGEN M.M., 1983, Narratives on the Self, in SARBIN T.R. - SCHEIBE K.E. (eds.), Studies in Social Identity, Praeger, New York. GERGEN K.J., 1994, Realities and Relationships. Soundings in Social Construction, Harvard University Press, Cambridge Mass. GIGLIOLI P.P. - DAL LAGO A. (a c.), 1983, Etnometodologia, Il Mulino, Bologna. GIOVANNINI D., 1998, Colloquio psicologico e relazione interpersonale, Carocci, Roma. GIRARD G., 1990, Simulazione e identità debole, Tirrenia Stampatori, Torino, 1990. GIRARD G., 1995, Società conformista e individuo, Tirrenia Stampatori, Torino. GIRARD G., 1996, Comunicazioni di massa come psicologia dello sguardo defondativo al soggetto, in “Psicologia Italiana”, n. 1, 1996. GOFFMAN E., 1974, Frame Analysis, Harper & Row, New York. GOFFMAN E., 1981, Forme del parlare, Il Mulino, Bologna. GOFFMAN E., 1988, Il rituale dell’interazione, Il Mulino, Bologna. GOODMAN N, 1976, I linguaggi dell’arte, Il Saggiatore, Milano. GRENE M., 1976, Mind and Brain, in SPICKER S. - ENGELHARDT H. (eds.), Philosophical Dimensions of Neuro-Medical Sciences, Reidel, Dordrecht. GUIDANO V., 1995, La rielaborazione dell’identità in una prospettiva ontologica, in LOMBARDO MALAGOLI TOGLIATTI, Epistemologia in psicologia clinica, op. cit. GUMPERZ J. - HYMES D. (eds.), 1972, Directions in Sociolinguistics: the Ethnography of Communication,


www.barbarabertagni.info

Holt Rinehart and Winston, New York. GUMPERZ J., 1982, Discourse Strategies, Cambridge University Press, Cambridge. HACKING I., 1991, Two Souls in one Body, in “Critical Inquiry”. HACKING I., 1992, Multiple Personality Disorder and its Hosts, in “History of the Human Sciences”. HACKING I., 1996, La riscoperta dell’anima, Feltrinelli, Milano. HARRE’ R. - CLARKE D. - DE CARLO N., 1992, Teoria e pratica in psicologia dell’azione, Giuffrè, Milano. HARRE’ R. - GILLET G., 1996, La mente discorsiva, Cortina, Milano. HARRE’ R. (a c.), 1992, La costruzione sociale delle emozioni, Giuffrè, Milano. HARRE’ R., 1983, Personal Being: A Theory for Individual Psychology, Basil Blackwell, Oxford. HAYEK F., 1986, Legge, legislazione e libertà, Il Saggiator, Milano. HAYEK F.A., 1986, Legge, legislazione e libertà, Il Saggiatore, Milano. HAYEK F.A., 1990, L’ordine sensoriale. I fondamenti della psicologia teorica, Rusconi, Milano. HERITAGE J., 1984, Garfinkel and Ethnomethodology, Polity Press, Cambridge. HESSE H., 1978, Il lupo della steppa, Mondadori, Milano. HILLMAN J., 1983, Re-visione della psicologia, Adelphi, Milano. HILLMAN J., 1984, Le storie che curano, Cortina, Milano. HITTLESON H. (ed.), 1970, Environmental Psychology, Holt, Rinehart & Winston, New York, 1970. HUGHES J., 1991, La psicoanalisi delle relazioni oggettuali, Astrolabio, Roma. HUTTON P., 1992, Foucault, Freud e le tecnologie del sé, in AA.VV., Tecnologie del sé, Bollati Boringhieri, Torino. INGROSSO M., 1998, Verso un’estetica delle relazioni, in MANGHI S. (a c.), Attraverso Bateson. Ecologia della mente e relazioni sociali, Cortina, Milano. JAMES W., 1890, Principles of Psychology, Rinehart & Winston, New York. JERVIS G., 1997, La conquista dell’identità. Essere se stessi, essere diversi, Feltrinelli, Milano. KAKAR S., 1993, Sciamani, mistici e dottori, Pratiche, Parma. KALLIR A., 1961, Sign and Design. The Psychogenetic Source of the Alphabet, Latimer, Trend & Co., Plimouth. KOPP R.,1995, Le metafore nel colloquio clinico, Erickson, Trento. LAI G., 1993, Conversazionalismo, Bollati Boringhieri, Torino. LAI G.P., 1989, Disidentità, Feltrinelli, Milano. LANGER S.K., 1942, Philosophy in a New Key, Harvard University Press, Cambridge Mass. LICCI G., 1996, Teorie causali e rapporto di imputazione, Jovene, Napoli. LIOTTI G., 1994, La dimensione interpersonale della coscienza, La Nuova Italia Scientifica, Roma. LOMBARDO G.P. - MALAGOLI TOGLIATTI M. (a c.), 1995, Epistemologia in psicologia clinica, Bollati Boringhieri, Torino. MAFFEI G., 1993, Le metafore fanno avanzare la conoscenza, in “Rivista di psicologia analitica”. MAFFESOLI M., 1993, Nel vuoto delle apparenze. Per un’etica dell’estetica, Garzanti, Milano. MARCARINO A., 1997, Etnometodologia e analisi della conversazione, Quattro Venti, Urbino, 1997. MARGOLIS J., 1978, Persons and Minds, Reidel, Dordrecht. MARGOLIS J., 1983, Culture and Cultural Entities, Reidel, Dordrecht. MARTINI G., 1998, Ermeneutica e narrazione. Un percorso tra psichiatria e psicoanalisi, Bollati Boringhieri, Torino. MEAD G.H., 1966, Mente, sé, società, Giunti, Firenze. MEO O., 1991, Il contesto. Osservazioni dal punto di vista filosofico, Angeli, Milano. MITCHELL S., 1993, Gli orientamenti relazionaliin psicoanalisi. Per un modello integrato, Bollati Boringhieri, Torino. MITI G., 1992, Personalità multiple, La Nuova Italia Scientifica, Roma. MONTANI P.1996, Estetica ed ermeneutica, Laterza, Bari. MORAVIA S., 1986, L’enigma dela mente, Laterza, Bari. MORAVIA S., 1991, Il “soggetto” della mente e il mentale come linguaggio del soggetto, in DI BERNARDO G. BIANCO F. (a c.), Episteme e azione, Angeli, Milano. MORAVIA S., 1996, L’enigma dell’esistenza. Soggetto, morale, passioni nell’età del disincanto, Feltrinelli, Milano. MOSCONI G., 1990, Discorso e pensiero, Il Mulino, Bologna. MOSCOVICI S. (a c.), 1997, La relazione con l’altro, Cortina, Milano. MUSIL R., 1957, L’uomo senza qualità, Einaudi, Torino. NEISSER U., 1981, Conoscenza e realtà, Il Mulino, Bologna. NERHOT P., 1994, L’ipotesi perduta della legge, Cedam, Padova. OLIEVENSTEIN C., 1987, Rythmes et contre-rythme, Il Porto, Torino.


www.barbarabertagni.info

OLIEVENSTEIN C., 1990, Il non detto delle emozioni, Feltrinelli, Milano. ORESTANO R., 1985, “Realtà”, “parole”, “valori” nella scienza del diritto, in “Rivista di diritto civile”. ORLETTI F., 1998, L’analisi conversazionale negli anni Novanta, in ID. (a c.), Fra conversazione e discorso, Carocci, Roma. PALMONARI A., 1989, Processi simbolici e dinamiche sociali, Il Mulino, Bologna. PESSOA F., 1993, L’enigma e le maschere, Moby Dick, Faenza. PETTIT P. - MC DOWELL J. (eds.), 1986, Subiect, Thought and Context, Clarendon Press, Oxford. PIRANDELLO L., 1967, Uno, nessuno e centomila, Mondadori, Milano. PIRANDELLO L., 1981, Sei personaggi in cerca d’autore, in ID., Maschere nude, vol. I, Mondadori, Milano. POPPER K.R., 1970, Logica della scoperta scientifica, Einaudi, Torino. POPPER K.R., 1983, Conoscenza oggettiva, Armando, Roma. POPPER K.R., 1992, L’io e il suo cervello. Materia, coscienza e cultura, Armando, Roma. PRIETO L.J., 1971, Lineamenti di semiologia. Messaggi e segnali, Laterza, Bari. PRITCHARD M., 1976, On Taking Emotions Seriously, in “Journal for the Theory of Social Behaviour”. QUADRIO A. - UGAZIO V. (a c.), 1980, Il colloquio in psicologia clinica e sociale, Angeli, Milano. RELLA F., 1987, Limina. Il pensiero e le cose, Feltrinelli, Milano. REMOTTI F., 1996, Contro l’identità, Laterza, Bari. RICCI BITTI P. - ZANI B., 1983, La comunicazione come processo sociale, Il Mulino, Bologna. RICOEUR P., 1986, Tempo e racconto, Jaka Book, Milano. RICOEUR P., 1991, Della interpretazione. Saggio su Freud, Il Melangolo, Genova. RICOEUR P., 1993, Sé come un altro, Jaka Book, Milano. RIGOTTI F., 1995, La verità retorica, Feltrinelli, Milano. ROBILANT E., 1976, La configurazione delle teorie nella scienza giuridica, in “Rivista internazionale di filosofia del diritto”. ROBILANT E., 1983, Realtà e figure nella scienza giuridica, in SCARPELLI U. (a c.), Teoria generale del diritto: problemi e tendenze attuali, Comunità, Milano. ROBILANT E., 1990, Le teorie dall’informazione all’allusione, in ROTA GHIBAUDI S. - BARCIA F. (a c.), Studi politici in onore di Luigi Firpo, Vol. IV, Angeli, Milano. ROSADO M., 1984, Towards an Anthropology of Self and Feeling, in SHWEDER R.A. - LE VINE R.A. (eds.), Culture Theory: Essays of Mind, Self and Emotion, Cambridge University Press, Cambridge. SAHLINS M., 1976, Culture and Practical Reason, University of Chicago, Chicago. SAPIR E., Selected Writings, Berkeley and Los Angeles, 1948. SARBIN T.R. (ed.), 1986, Narrative Psychology. The Storied Nature of Human Conduct, Praeger, New York. SARBIN T.R., 1986, The Narrative as a Root Metaphor for Psychology, in ID. (ed.), Narrative Psychology, op. cit. SCHAFER R., 1984, L’atteggiamento analitico, Feltrinelli, Milano. SCHEGLOFF E., 1992, On talk and its institutional occasions, in DREW P. - HERITAGE J. (eds.), Talk at Work, Cambridge University Press, Cambridge. SEMI A., 1992, Dal colloquio alla teoria, Cortina, Milano. SHOTTER J., 1994, Conversational Realities. Constructing Life through Language, Sage, London. SHWEDER R.A., 1991, Thiking through Cultures: Expeditions, in “Cultural Psychology”. SINI C., 1991, Il profondo e l’espressione, Lanfranchi, Milano. SINI C., 1997, Teoria e pratica del foglio-mondo, Laterza, Bari. SMORTI A. (a c.), 1997, Il sé come testo. Costruzione delle storie e sviluppo della persona, Giunti, Firenze. SMORTI A., 1994, Il pensiero narrativo, Giunti, Firenze, 1994. SMORTI A., 1994, Il pensiero narrativo, Giunti, Firenze. SORO..., 1991, SOYLAND A.J., 1994, Psychology as Metaphor, Sage, London. SPARTI S., 1996, Soggetti al tempo. Identità personale tra analisi filosofica e costruzione sociale, Feltrinelli, Milano. STERN D., 1987, Il mondo interpersonale del bambino, Bollati Boringhieri, Torino. TAGLIAGAMBE S., 1996, L’epistemologia del confine, dattiloscritto. TAGLIAGAMBE S., 1998, L’identità è il destino dell’uomo, in “Atque”. TELFENER U., 1995, La terapia individuale sistemica, in ID. - MALAGOLI TOGLIATTI M. (a c.), Dall’individuo al sistema. Manuale di psicopatologia relazionale, Bollati Boringhieri, Torino. TODOROV T., 1984, Teorie del simbolo. Retorica, estetica, poetica, ermeneutica: i fatti simbolici nella storia del pensiero occidentale, Garzanti, Milano. TRENTINI G. (a c.), 1995, Manuale del colloquio e dell’intervista, Utet, Torino. TREVI M., 1986, Metafore del simbolo. Ricerche sulla funzione simbolica nella psicologia complessa, Cortina, Milano.


www.barbarabertagni.info

UGAZIO V. (a c.), 1988, La costruzione della conoscenza. L’approccio europeo alla cognizione del sociale, Angeli, Milano. UGAZIO V., 1988, I processi cognitivi: da una prospettiva intraindividuale ad un approccio sociale, in ID. (a c.), La costruzione della conoscenza, op. cit. UGAZIO V., 1995, Il costruzionismo sociale: alcune conseguenze cliniche, in LOMBARDO G.P. MALAGOLI TOGLIATTI M. (a c.), Epistemologia in psicologia clinica, op. cit. UGAZIO V., 1998, Storie permesse, storie proibite. Polarità semantiche familiari e psicopatologie, Bollati Boringhieri, Torino. VAN DIJK T.A., 1980, Macrostructures: an Interdisciplinary Study of Global Structures in Discourse, Interaction, and Cognition, Erlbaum, Hillsdale. VOZZA M., 1990, Rilevanze. Epistemologia ed ermeneutica, Laterza, Bari. WACKENRODER W.H., 1945, Fantasie sur l’art per un religeux ami de l’art, Paris, Aubier. WATZLAWICK P. - BEAVIN J. - JACKSON D., 1971, Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, Roma. WEIMER W.B. - PALERMO D.S. (eds.), 1974 e 1982, Cognition and the Symbolic Processes, Erlbaum, Hillsdale. WHORF B.L., 1956, Language, Thought and Reality, The MIT Press, Cambridge Mass.


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.