Loci Scriptorum - Profilo storico della letteratura latina

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questo volume, sprovvisto del talloncino a fronte (o opportunamente punzonato o altrimenti contrassegnato), è da considerarsi copia di saggio - campione gratuito, fuori commercio (vendita e altri atti di disposizione vietati: art. 17, c. 2 l. 633/1941). esente da iva (dpr 26.10.1972, n. 633, art. 2, lett. d). esente da documento di trasporto (dpr 26.10.1972, n. 633, art. 74).

L OC I R OR UM PR OF IL O

LOCI SCRIPTORUM Una proposta innovativa e flessibile per lo studio del latino nel triennio. • Il profilo storico della letteratura latina: gli autori, le opere, i generi della letteratura latina. • I volumetti monografici: autonomi e acquistabili separatamente, con la loro ricca scelta antologica permettono eccellente lettura degli autori. • Il versionario: ripasso grammaticale e versioni di diversa tipologia, uno strumento ponte per il recupero e il completamento del programma del biennio. Profilo storico della letteratura latina Livio Seneca Il romanzo. Petronio e Apuleio Quintiliano e l’educazione a Roma Tacito

Versioni latine

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Quadri chiari ed esaustivi, che si completano con citazioni di brani, schede di approfondimento culturale e tavole cronologiche, in un percorso storico letterario che annovera tutti gli autori richiesti dalle Indicazioni Nazionali.

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Mortarino, Reali, Turazza LOCI SCRIPTORUM Profilo storico della letteratura latina NELL’ELENCO DEI LIBRI DI TESTO INDICARE L’INTERO CODICE ISBN

LOCI SCRIPTORUM

Profilo storico della

LETTERATURA LATINA

Profilo storico della letteratura latina

IL PROFILO

Loci Scriptorum

Lucrezio Catullo Cesare Sallustio Cicerone Virgilio Orazio

In copertina: L’acquedotto romano di Segovia, Spagna. © Shutterstock.com

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4. D all’età giulio-claudia all’età flavia 4.1 L’età giulio-claudia. Storia e cultura da Tiberio a Nerone 4.2 Seneca 4.3 Petronio 4.4 Lucano 4.5 La satira: Persio e Giovenale 4.6 Storia, cultura, poesia nell’età dei Flavi 4.7 La prosa di età flavia 4.8 Marziale


DATE

Dall’età giulio-claudia all’età flavia

14-37 d.C. Principato di Tiberio, che succede ad Augusto; Augusto, dopo la morte, è divinizzato.

15 ca. d.C. Nasce Fedro, il primo favolista latino.

17 d.C. Morte di Tito Livio.

17-18 d.C. Morte di Ovidio a Tomi.

23-24 d.C. Nasce a Como Plinio il Vecchio.

55-56 d.C. Seneca scrive il De clementia e probabilmente il De constantia sapientis.

59 d.C. Nerone fa assassinare la madre Agrippina.

61 d.C. Nasce a Como Plinio il Giovane.

62 d.C. Morte di Afranio Burro, prefetto del pretorio: lo sostituisce Tigellino. Morte di Persio. Seneca si ritira a vita privata; scrive il De otio, il De providentia, il De beneficiis, le Naturales quaestiones e le Epistulae morales ad Lucilium.

64-68 d.C. Incendio di Roma. Prima persecuzione contro i cristiani. Costruzione della Domus Aurea di Nerone.

65 d.C. Fallisce la cosiddetta «congiura dei Pisoni»: dura repressione a opera di Nerone. Seneca e Lucano, sospettati di essere complici della congiura, sono costretti al suicidio.

66 d.C. Suicidio di Petronio, autore del Satyricon.

68 d.C. Galba è proclamato imperatore; con il suicidio di Nerone finisce la dinastia giulio-claudia.

69 d.C. Anno dei quattro imperatori: Galba, Otone, Vitellio e quindi Vespasiano, che dà inizio alla dinastia flavia.

70 d.C. La lex de imperio Vespasiani ufficializza il potere degli imperatori. Tito, figlio di Vespasiano, doma la rivolta giudaica e distrugge il Tempio di Gerusalemme.

70-75 d.C. Nasce Svetonio, autore del De vita Caesarum, pubblicata fra il 119-122 d.C.

34 d.C. Nasce a Volterra Persio.

35-40 d.C. Nasce a Calagurris, in Spagna, Quintiliano.

37-41 d.C. Principato di Caligola.

38-41 d.C. Nasce a Bilbili Marziale, autore di 12 libri di epigrammi pubblicati fra l’86 e il 101 d.C.

39 d.C. Nasce a Cordova Lucano, autore della Pharsalia o Bellum civile.

39-49 d.C. Seneca scrive le Consolationes, i primi due libri del De ira.

41-54 d.C. Principato di Claudio.

49-50 d.C. Seneca scrive il De brevitate vitae.

50-65 d.C. Nasce Giovenale, autore di 5 libri di Satire pubblicate fra il 100 e il 127 d.C.

54 d.C. Ascesa al trono di Nerone, che governerà fino al 68 d.C. Seneca scrive l’Apokolokýntosis.

55 d.C. Probabile data di nascita di Tacito.


77-78 d.C. Plinio il Vecchio scrive la Naturalis historia. Nel 78 d.C. Vespasiano assegna a Quintiliano la prima cattedra statale di eloquenza.

79 d.C. Morte di Vespasiano: gli succede Tito, che governerà fino al 81 d.C. Eruzione del Vesuvio e distruzione di Pompei ed Ercolano. Durante l’eruzione muore Plinio il Vecchio.

80 d.C. Inaugurazione dell’Anfiteatro Flavio, detto «Colosseo». Marziale pubblica il Liber de spectaculis.

L’esercito romano reca in trionfo le spoglie del Tempio di Gerusalemme; particolare dai rilievi dell’Arco di Tito a Roma.

81 d.C. Morte di Tito: gli succede il fratello Domiziano, che governerà fino al 96 d.C. Costruzione dell’arco di Tito.

84 d.C. Il generale Giulio Agricola riporta importanti vittorie in Britannia.

96 d.C. Quintiliano pubblica l’Institutio oratoria e nello stesso anno muore. Domiziano viene ucciso in una congiura: fine della dinastia flavia.


4.1 L’età giulio-claudia. Storia e cultura da Tiberio a Nerone

4.1

L’età giulio-claudia. Storia e cultura da Tiberio a Nerone

Le coordinate storiche Una difficile successione Il problema della successione

Ad Augusto, nel 14 d.C., succedette Tiberio figlio di prime nozze della moglie Livia e di Tiberio Claudio Nerone. Già in vita Ottaviano si era posto il problema della successione sapendo quanto eccezionale fosse la figura del princeps sia per l’autorità morale detenuta sia per il cumulo di cariche e di poteri che gli erano stati attribuiti. Augusto, inoltre, era consapevole che sarebbe stato improponibile un ritorno alle istituzioni repubblicane per governare un’entità così vasta come l’impero romano e aveva perciò preparato la successione, dapprima associando al potere il genero Agrippa, che gli premorì, poi nominando cesari i nipoti Gaio e Lucio, anch’essi morti in giovane età.

Tiberio, erede designato

Pertanto, a causa di queste morti precoci, la scelta di designare come erede Tiberio, già adottato da Augusto nel 4 d.C., fu quasi obbligata. L’adoptio di Tiberio, appartenente alla gens Claudia, nella famiglia di Augusto, che apparteneva alla gens Iulia, diede origine alla dinastia giulio-claudia che vide l’avvicendarsi di quattro imperatori (Tiberio, Caligola, Claudio, Nerone), i quali, legati tra loro da rapporti di parentela, detennero il potere dal 14 al 68 d.C.

La dinastia giulio-claudia Impossibile continuità con la politica augustea

Tutti e quattro gli imperatori dovettero sostenere l’impegnativo confronto con l’auctoritas e il prestigio militare

La cosiddetta Gemma Augustea, cammeo in onice del 10-20 d.C.; nel registro superiore, al centro, è raffigurato Augusto in trono, a sinistra, Tiberio che, con la veste trionfale, scende dal carro (Vienna, Kunsthistorisches Museum).

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4. Dall’età giulio-claudia all’età flavia che Augusto aveva lasciato in eredità; inoltre, venuta a mancare l’urgenza della pacificazione dall’orrore delle guerre civili, il grande potere da essi rappresentato non fu sempre facilmente sopportato dai Romani: giuridicamente, infatti, la qualifica di princeps non aveva avuto alcuna legittimazione costituzionale e si fondava sull’accumulo di cariche o poteri diversi nella stessa persona. L’aristocrazia senatoria, per esempio, mal sopportava questa concentrazione di potere nell’imperatore poiché costituiva un impedimento alle proprie ambizioni oligarchiche: la necessità di affermare l’autorità imperiale e il mandato di proseguire sulle orme dell’ordinamento statale augusteo produssero pertanto in età giulio-claudia episodi e forme di repressione, anche violente, nei confronti di oppositori politici o intellettuali scomodi.

Tiberio (14-37 d.C.) Salito al potere a 55 anni, Tiberio all’inizio si mosse in continuità con l’azione augustea, mostrando doti adeguate di amministratore delle finanze pubbliche e della burocrazia imperiale. Elio Seiano

Progressivamente però, anche a causa del carattere scontroso e sospettoso, guastò i rapporti con l’aristocrazia senatoria, complice Elio Seiano, crudele prefetto del pretorio che, aspirando alla successione, attuò repressioni e violenze per liberarsi degli avversari politici e personali. L’imperatore, sempre più inquieto, diffidente, condizionato da astrologi e indovini, si ritirò a Capri nel 27 d.C. lasciando Roma nelle mani di Seiano; ma il potere di quest’ultimo divenne talmente grande che il princeps stesso se ne liberò facendolo assassinare nel 31 d.C. Gli ultimi anni del principato di Tiberio furono ugualmente funestati dalla repressione poliziesca di veri o presunti oppositori.

Caligola (37-41 d.C) Successe a Tiberio il nipote Gaio, figlio del fratello Germanico, soprannominato Caligola per l’uso delle caligae («sandali militari») quando si trovava nei campi legionari al seguito del padre. Una politica orientalizzante

Salì al potere con un vasto consenso popolare, grazie anche alla buona memoria del defunto Germanico, ma ben presto si alienò le simpatie dell’aristocrazia senatoria per il modo dispotico e autocratico di interpretare il suo ruolo, che esercitò ispirandosi ad Alessandro Magno e ai monarchi dell’Oriente ellenistico. I suoi atteggiamenti filo-orientali lo spinsero inoltre a introdurre o valorizzare nell’impero culti come quelli degli dèi egiziani Iside o Serapide. Anche la sua politica estera, economicamente assai dispendiosa, guardò soprattutto all’Oriente nell’intento di riorganizzare i rapporti tra Roma e i monarchi locali che Caligola considerò suoi sudditi. Nel 41 d.C. fu assassinato da un ufficiale pretoriano in seguito a una congiura.

Claudio (41-54 d.C.) Figlio di Druso, fratello di Germanico e, pertanto, zio del defunto Caligola, Claudio fu scelto dai pretoriani per succedere a quest’ultimo.

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Statua dell’imperatore Claudio, raffigurato come Giove; 43 d.C. (Città del Vaticano, Musei Vaticani).


4.1 L’età giulio-claudia. Storia e cultura da Tiberio a Nerone Buona amministrazione dell’impero

Nonostante la fama di uomo impacciato, inadatto al potere, succube dei liberti di corte (cui affidò incarichi di responsabilità) e delle sue quattro mogli (tra le quali la lussuriosa Messalina e la spietata Agrippina), Claudio resse l’impero con dignità. Risollevò le finanze pubbliche dissanguate da Caligola, promosse importanti opere pubbliche, rafforzò e ampliò i confini dell’impero, soprattutto con la conquista della Britannia (43 d.C.) e la riorganizzazione del governo di numerose province. Nel 54 d.C. morì, forse avvelenato dalla moglie Agrippina, desiderosa di insediare al potere Nerone, il figlio che aveva avuto da un precedente matrimonio.

Nerone (54-68 d.C.) Il quinquennium Neronis

Nerone salì al potere appena diciassettenne, e il suo principato parve iniziare sotto buoni auspici. Sotto l’influsso della madre Agrippina, del prefetto del pretorio Afranio Burro e del filosofo Seneca, suo precettore, il giovane princeps mostrò infatti segni di ossequio al senato, moderazione e clemenza. La tradizione vuole che questo atteggiamento sia durato un solo quinquennio (quinquennium Neronis), dopo il quale l’imperatore si sarebbe trasformato in una sorta di «mostro». In realtà Nerone perseguì con ancora maggiore coerenza la politica, già intrapresa da Caligola, di trasformazione dell’impero in una sorta di regno ellenistico.

Crimini familiari e governo assolutistico

L’uccisione del fratellastro Britannico (55 d.C.), della madre Agrippina (59 d.C.), della moglie Ottavia (62 d.C.), come pure l’allontanamento di Seneca (62 d.C.) rientravano, infatti, in un disegno di accentramento personalistico e assolutistico del potere. Per conseguire i suoi fini, egli cercò l’appoggio dei ceti più bassi, cui offrì frequenti donativi in denaro e viveri, e per i quali fece organizzare numerosi spettacoli teatrali o circensi (tra questi, i famosi Neronia); queste ingenti spese, accompagnate a quelle militari, impoverirono di molto l’economia romana e costrinsero il princeps a svalutare la moneta. Nerone, condizionato anche dal feroce Tigellino, nuovo prefetto del pretorio che nel 62 d.C. aveva preso il posto del defunto Burro, perseguitò molti membri dell’ordine senatorio tra i quali si annidavano i suoi oppositori. Oltre all’incendio di Roma del 64 d.C., che fu probabilmente doloso e motivato da ragioni di speculazione edilizia (cui forse non era estraneo lo stesso imperatore, che fece poi edificare la sfarzosa Domus Aurea), uno degli eventi più importanti del suo regno fu la cosiddetta «congiura dei Pisoni», ordita contro di lui nel 65 d.C. Questa fallì, ma molti autorevoli personaggi, fra i quali lo stesso Seneca e gli scrittori Petronio e Lucano, in precedenza legati all’imperatore, furono costretti al suicidio. Il regime neroniano crollò quando il diffuso malcontento portò le legioni a proclamare imperatore Galba, l’anziano governatore della Spagna Tarraconese: abbandonato da tutti, Nerone si fece uccidere da un servo il 9 giugno del 68 d.C.

Il clima culturale Nonostante la mancanza di una politica culturale organica come quella delineata da Augusto e Mecenate, numerose e varie furono le esperienze letterarie di questo periodo. In particolare, Nerone delineò un orientamento culturale di cui si riconosce la matrice ellenizzante: l’imperatore, infatti, appassionato di letteratura, musica e teatro, ed egli stesso poeta, coltivò rapporti personali e ospitò a corte – prima della definitiva involuzione autocratica – intellettuali come Seneca, Petronio e Lucano.

Cultura del consenso e opposizione L’ansia e l’incertezza che permearono Roma a seguito della morte di Augusto e l’accentuarsi del dispotismo politico determinarono un clima culturale fondato preva-

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4. Dall’età giulio-claudia all’età flavia lentemente sul consenso e sulla paura. La conseguenza di ciò sul piano culturale fu il formarsi di schiere di letterati condizionati da intenti adulatori e acquiescenza al regime accanto ad altri che, al contrario, espressero opposizione nei suoi confronti. Una smaccata adulazione

Per esempio le dediche a Tiberio contenute nelle opere storiche di Velleio Patercolo e Valerio Massimo contengono chiari elementi adulatori, così come quella al medesimo degli Astronomica di Manilio. Allo stesso modo si può ravvisare in alcune delle Ecloghe di Calpurnio Siculo un intento laudativo nei confronti di Nerone, visto addirittura come colui che riporterà a Roma l’età dell’oro: toni, questi, che non mancano neppure nel De clementia di Seneca o nella prima parte del poema di Lucano.

L’opposizione senatoria

Invece episodi quali il processo allo storico Cremuzio Cordo, sotto Tiberio (25 d.C.), e le accuse a Seneca, Petronio e Lucano dopo la «congiura dei Pisoni» ai danni di Nerone (65 d.C.) sono, a tutti gli effetti, emblematiche testimonianze del clima illiberale dell’epoca, che fece le sue vittime soprattutto tra i membri dell’ordine senatorio, i cui sentimenti di nostalgia per la libertas perduta della res publica erano ancora vividi. Inoltre, tutti costoro reagirono alle persecuzioni imperiali suicidandosi, in accordo con i princìpi della filosofia stoica di cui erano seguaci. Si può dunque dire che il rimpianto per l’età repubblicana e una convinta adesione allo stoicismo furono i due forti nuclei ideologici dell’opposizione senatoria in età giulio-claudia.

Dall’oratoria politica a una retorica scolastica

Un altro aspetto che caratterizzò questa prima fase dell’età imperiale fu la decadenza dell’oratoria latina, ormai lontana dai vertici raggiunti in età repubblicana. Nel Dialogus de oratoribus, opera scritta forse da Tacito sul finire del i secolo d.C., si afferma che tale fenomeno fu la conseguenza della progressiva perdita della libertà politica. Pertanto l’arte del parlare – abbandonati il senato, i comizi e i tribunali – si rinchiuse all’interno delle scuole, dove i maestri obbligavano i loro allievi a esercizi sempre più virtuali, detti declamationes, documentati dall’attività letteraria di Seneca padre. Le declamationes, distinte in suasoriae, cioè discorsi atti a convincere qualcuno, e controversiae, vere e proprie simulazioni di controversie giuridiche, venivano conosciute solo attraverso la recitazione durante qualche pubblica lettura: l’oratoria finì così per privilegiare l’aspetto formale su quello contenutistico e, abbandonate le finalità politico-giudiziarie, divenne pertanto una manifestazione puramente artistico-letteraria.

Peculiarità dell’età di Nerone Velleità artistiche dell’imperatore

Nerone, ultimo esponente della dinastia giulio-claudia, manifestò spiccati interessi culturali e anche velleità artistiche. Svetonio ci tramanda che fu autore del poema epico Troica (i cui versi furono declamati durante l’incendio di Roma nel 64 d.C.), di tragedie, epigrammi e di un poemetto mitologico.

Anticlassicismo e gusto «barocco»

La produzione letteraria dell’età neroniana segna una profonda novità nella tradizione latina. La prosa nervosa e irregolare dei Dialogi di Seneca, l’epica di Lucano (così lontana dalla compostezza dell’Eneide virgiliana), il Satyricon di Petronio (che contamina al suo interno generi letterari diversi) rappresentano un distacco sensibile dall’equilibrato classicismo dell’arte di età augustea. Si è dunque parlato, per l’età di Nerone, di anti-classicismo, quando non di una vera e propria tendenza «barocca» che mira a meravigliare, confondere, talora turbare il pubblico.

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Particolare da un affresco pompeiano, i secolo d.C. (Napoli, Museo Archeologico Nazionale).


4.1 L’età giulio-claudia. Storia e cultura da Tiberio a Nerone

La storiografia dell’età giulio-claudia I rivolgimenti istituzionali che si verificarono dal 31 a.C. fino alla morte di Augusto (14 d.C.) furono oggetto di particolare interesse da parte di numerosi storici, che si orientarono in due diverse direzioni: alcuni, appartenenti all’aristocrazia senatoria, si opposero al principato in nome degli antichi valori repubblicani, altri invece espressero il loro consenso al nuovo regime.

Opere storiche: opposizione e consenso Storici di opposizione

Tra gli storici di opposizione ricordiamo Tito Labieno, Cremuzio Cordo, Aufidio Basso (autore delle Historiae) e Seneca padre (autore delle Historiae ab initio bellorum civilium, un’opera, pubblicata postuma dal figlio, che partiva dall’età dei Gracchi per giungere fino alla morte di Tiberio). I loro scritti, che conservavano la struttura annalistica, sono in gran parte perduti, ma erano permeati di una nostalgia per la libertas d’età repubblicana che li rendeva poco graditi al potere. L’opera di Cremuzio Cordo, gli Annales, in cui si trattava con toni anticesariani il periodo dalle guerre civili fino al principato augusteo, fu addirittura messa al rogo per ordine di Seiano; Cremuzio Cordo, senza aspettare l’esito del processo nei suoi confronti, si lasciò morire di fame nel 25 d.C., secondo il racconto di Tacito (Annales 6,34-35).

Consenso al regime imperiale

Accanto agli storici d’opposizione, abbiamo scrittori, come Velleio Patercolo, Valerio Massimo e Curzio Rufo, che espressero il loro consenso al nuovo regime, esaltando la figura dell’imperatore.

Velleio Patercolo La vita

Velleio Patercolo nacque da una famiglia di origine equestre; homo novus, fu ufficiale dell’esercito già al tempo di Augusto e partecipò sotto Tiberio a numerose campagne militari. Nominato pretore da Tiberio nel 14 d.C., morì dopo il 30 d.C.

L’opera storica

L’Historia Romana ad Marcum Vinicium, composta frettolosamente, come afferma il suo autore (1,16), per celebrare proprio il consolato dell’amico, è il primo compendio di storia universale in lingua latina che ci sia pervenuto. L’autore espone i principali eventi storici dal ritorno dei Greci dopo la caduta di Troia fino ai suoi tempi. II I libro si chiude con il racconto della distruzione di Cartagine e Corinto nel 146 a.C.; il II libro arriva fino all’età contemporanea con una trattazione degli eventi che si fa sempre più dettagliata.

La lode di Tiberio

Il II libro si conclude con un vero e proprio panegirico di Tiberio, esaltato come un principe generoso e dotato di grandi qualità militari, morali e umane. Al di là della smaccata adulazione,

Profilo della statua di Tiberio, i secolo d.C. (Città del Vaticano, Museo Gregoriano Profano).

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4. Dall’età giulio-claudia all’età flavia va considerata una componente di sincera ammirazione; Velleio, infatti, apparteneva a una classe sociale di militari e funzionari provenienti dalle province o dai municipi italici che, grazie al riordinamento amministrativo voluto da Augusto e proseguito da Tiberio, erano riusciti a rivestire ruoli importanti nella vita politica. Lo stile

Lo stile non è molto omogeneo: nell’opera si alternano parti caratterizzate da una esposizione asciutta e frettolosa e passi in cui è più evidente l’impegno retorico dell’autore al fine di conseguire un tono più drammatico e patetico.

Valerio Massimo La vita

Di Valerio Massimo abbiamo pochissime notizie, tutte desunte dalla sua opera: di famiglia modesta, si pose sotto la protezione di Sesto Pompeo; fu console nel 14 d.C. e proconsole d’Asia nel 27 d.C.

I Detti e fatti memorabili: la storia fatta dagli exempla

La sua opera, Factorum et dictorum memorabilium libri novem (pubblicata dopo il 31 d.C.), si apre con la dedica a Tiberio, adulato come «sicuro presidio della patria»; il testo denota inoltre un consenso all’ideologia dominante per i toni celebrativi di esaltazione del mos maiorum e legittimazione dell’imperialismo romano. In 9 libri, è una raccolta di «fatti e detti» di personaggi storici proposti come modelli di vizi e di virtù. Gli exempla sono raccolti in 94 rubriche a carattere tematico (mitezza, crudeltà, clemenza...) in cui vengono presentati prima esempi romani (la maggior parte), cui seguono quelli relativi ad altri popoli (soprattutto Greci). Ogni libro è dedicato a un tema (per esempio il primo alla religione, il secondo alle istituzioni di Roma...) e la narrazione del singolo episodio ha una struttura costante: dapprima v’è l’introduzione dell’argomento, poi l’esposizione del fatto e, infine, la riflessione morale che ha lo scopo di renderlo esemplare. L’intento dell’opera, dichiarato da Valerio Massimo nel proemio, è quello di raccogliere fatti e detti presenti negli scritti di altri autori «per evitare, a chi volesse compulsare tali fonti, la fatica di una lunga ricerca»; il testo era destinato soprattutto alle scuole di retorica, in quanto forniva agli studenti che dovevano esercitarsi a comporre controversiae e suasoriae un utile prontuario di esempi.

Lingua e stile

Lo stile è elaborato, caratterizzato da parallelismi e conclusioni a effetto. La lingua è ricca di poetismi e arcaismi, ma anche di termini che si trovano attestati per la prima volta proprio nella sua opera.

Curzio Rufo Le Historiae Alexandri Magni

Di Curzio Rufo nulla sappiamo se non che fu autore delle Historiae Alexandri Magni, opera in 10 libri, probabilmente pubblicata durante il principato di Claudio. Nelle Historiae, Curzio Rufo narra la vita e le imprese di Alessandro Magno fino alla sua morte, attingendo soprattutto allo storico greco Clitarco (iv sec. a.C.). L’opera testimonia il particolare interesse che la figura di Alessandro Magno suscitò in quegli anni, al punto che l’imperatore Caligola aveva proposto il sovrano macedone come modello da imitare, mentre, al contrario, l’oligarchia senatoria lo presentava come esempio di tiranno feroce e incline all’ira.

Una storia romanzesca

Lo storico si rifà alla storiografia ellenistica, fortemente encomiastica, in cui le vicende di Alessandro Magno venivano narrate con particolare insistenza sugli elementi meravigliosi e favolosi, fino a delineare un ritratto degno di emulazione (imitatio Alexandri). Pertanto Curzio Rufo, rinunciando al rigore storico, privilegia il racconto di aneddoti e di episodi particolarmente patetici o drammatici, per suscitare il coinvolgimento emotivo dei lettori. L’autore cerca di mettere in luce la personalità eccezionale del re macedone, fatta di virtù ma anche di vizi come la violenza, l’ambizione e l’ira irrefrenabile; con atteggiamento equilibrato ne esalta le grandi doti naturali e

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4.1 L’età giulio-claudia. Storia e cultura da Tiberio a Nerone militari, ma ne condanna l’eccessiva ambizione e la pretesa di ricevere onori divini. Notevoli le doti di narratore di Curzio Rufo nelle descrizioni di paesaggi esotici, che costituiscono lo scenario delle imprese di Alessandro, e nelle digressioni etnografiche. Lo stile

Lo stile dell’opera è piano e scorrevole, pur presentando talora frasi brevi con sentenze a effetto che conferiscono un tono drammatico alla narrazione.

L’erudizione in età giulio-claudia In età giulio-claudia si diffuse il gusto per le trattazioni tecniche e scientifiche dedicate agli argomenti più diversi. Questa produzione in prosa di manuali, trattati, enciclopedie nacque sia dalla volontà di dare sistematicità alle conoscenze fino a quel momento acquisite, sia dalla necessità di diffonderle anche presso le classi sociali emergenti, dotate di media cultura.

Pomponio Mela e la geografia La Chorographia

Pomponio Mela, originario della Spagna, vissuto all’epoca di Caligola e Claudio, scrisse la Chorographia («Descrizione di luoghi»), un’opera in 3 libri che è il più antico trattato di geografia in lingua latina pervenutoci. Egli descrive le varie regioni del mondo partendo dallo stretto di Gibilterra e seguendo il periplo del Mediterraneo da Occidente verso Oriente. La sua opera è spesso puramente compilatoria: pochi sono i dati veramente scientifici, mentre sono particolarmente vivi – specie negli excursus – il gusto per il fantastico e il meraviglioso e l’interesse etnografico. Lo stile è caratterizzato dalla brevità, soprattutto nelle parti più aridamente espositive; nelle digressioni di carattere meraviglioso, invece, è più retoricamente curato.

L’enciclopedia di Celso I libri di medicina

Aulo Cornelio Celso fu un erudito, vissuto nell’età di Tiberio, che compose un’opera enciclopedica, intitolata Artes, di cui ci sono giunti solo gli otto libri dedicati alla medicina; sono invece perdute le parti che trattavano di agricoltura, arte militare, retorica, filosofia e diritto. I temi della sezione conservata spaziano dalla storia della medicina, alla patologia, alla farmaceutica e alla chirurgia. Celso dimostra di avere buone conoscenze pratiche (qualcuno pensa che fosse medico di professione) e letterarie (soprattutto dei testi del medico greco Ippocrate). Lo stile è piano; la lingua, sobria ed efficace, presenta spesso una terminologia tecnica.

Columella e la trattatistica agricola Il De re rustica

Lucio Giunio Columella, originario della Spagna e vissuto in età neroniana, è l’autore del De re rustica, un trattato sull’agricoltura in 12 libri. L’opera, databile intorno al 60 d.C., tratta di coltivazione, arboricoltura, allevamento e apicoltura, dei doveri del fattore (vilicus) e della fattoressa (vilica). Per la stesura del trattato, Columella si servì sia dell’esperienza personale (sappiamo infatti che era un proprietario terriero), sia degli scritti di autori greci e latini. Le motivazioni che lo spinsero alla stesura del De re rustica vengono chiarite nella prefazione all’opera, dove egli si sofferma sulla crisi dell’agricoltura, che ha ripercussioni non solo sul piano economico ma anche su quello morale, in quanto determina la perdita dei valori tradizionali. Egli si propone dunque di scrivere un manuale per formare un perfetto agricoltore che sia dotato non solo di competenze tecniche ma anche di una vasta cultura. Lo stile del trattato è piano e chiaro, la lingua semplice.

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4. Dall’età giulio-claudia all’età flavia Apicio, il padre della gastronomia Il De re coquinaria

A Marco Gavio Apicio, contemporaneo di Tiberio, i manoscritti attribuiscono un corpus di ricette, il De re coquinaria, in 10 libri; in realtà quest’opera si è sviluppata intorno a due libri scritti da Apicio, cui si sommarono nel corso dei secoli ricette di diversa provenienza fino a raggiungere il numero di 468. La raccolta di ricette che ci è pervenuta, in base alla lingua impiegata, viene datata al v secolo d.C. Questo manuale ha un rilevante valore documentario, poiché ci fornisce un gran numero di informazioni sugli usi alimentari dei Romani; in esso troviamo, per esempio, la ricetta del celebre garum, una saporita salsa a base di pesce e spezie di cui i Romani andavano ghiotti. Il De re coquinaria è espressione dei gusti raffinati dei ricchi Romani, i quali facevano a gara nell’imbandire banchetti sontuosi, come attesta anche la Cena Trimalchionis del Satyricon di Petronio. L’opera ha finalità pratiche e non ha particolari pregi letterari. Il suo stile è semplice e il periodare è paratattico; il lessico è invece particolarmente ricco di termini tecnici e popolari che indicano gli utensili o gli alimenti.

Seneca padre e l’attività retorica La vita

Lucio Anneo Seneca viene solitamente chiamato Seneca padre o «il Vecchio» o «il Retore» per distinguerlo dal figlio, l’omonimo filosofo Seneca. Nato nell’odierna Cordova, in Spagna, intorno al 56 a.C. da una ricca famiglia di ceto equestre, si trasferì a Roma nel 42 a.C. e vi rimase fino al 17 a.C., dedicandosi alla letteratura, in particolare alla stesura di un’opera storica. Ritornato a Cordova sposò Elvia che gli diede tre figli, tra cui il filosofo Anneo Seneca; in seguito rientrò a Roma, dove visse fino al 40 d.C. circa.

L’opera: controversiae e suasoriae

In tarda età Seneca compose un’opera, nota con il titolo di Oratorum et rhetorum sententiae, divisiones, colores, che è per noi la fonte più ricca di informazioni sulla retorica della prima età imperiale poiché raccoglie i passi dei più importanti retori conosciuti a Roma. L’opera, che comprendeva 10 libri di controversiae e 2 di suasoriae, ci è giunta frammentaria (abbiamo, infatti, un solo libro di suasoriae e cinque di controversiae, mentre per gli altri libri perduti ci restano degli estratti di età tarda). Nelle controversiae l’autore introduce il tema dibattuto nella declamazione e riporta gli interventi dei vari declamatori divisi in tre sezioni: le sententiae, ovvero le frasi più efficaci e fulminanti che venivano pronunciate, le divisiones, cioè le diverse strutture argomentative, e infine i colores, cioè gli artifici retorici utilizzati.

La decadenza dell’oratoria

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Insieme ai vari temi di esercitazione, l’autore ci fornisce anche il suo punto di vista sull’oratoria, sostenendo che, dopo l’apice raggiunto con Cicerone, l’oratoria era ormai in decadenza, soprattutto a causa della corruzione morale della società del suo tempo.

Oratore, mosaico romano del ii-iii d.C. (Treviri, Rheinisches Landesmuseum).


4.1 L’età giulio-claudia. Storia e cultura da Tiberio a Nerone

I generi poetici Lo sperimentalismo

In età giulio-claudia si sviluppò una produzione poetica caratterizzata da un certo sperimentalismo che si tradusse nella predilezione per generi letterari cosiddetti minori (poesia didascalico-astronomica, bucolica, satirica...): si tratta, in generale, di testi in cui prevalgono interessi eruditi di gusto alessandrino e uno stile virtuosistico.

La poesia astronomica: Manilio e Germanico L’astronomia

La prima età imperiale vede – con Manilio e Germanico – un certo sviluppo della poesia didascalica di argomento astronomico, legata anche alla diffusione dell’astrologia. L’interesse per queste discipline, già diffuse a Roma nella tarda età repubblicana, diventa sempre più forte: sappiamo per esempio che Augusto attribuiva grande importanza al proprio oroscopo e che Tiberio aveva un astrologo di fiducia, Trasillo.

Manilio: gli Astronomica

Gli Astronomica sono un poema didascalico composto da 5 libri (un sesto è forse mancante) in esametri, scritto da Manilio, autore attivo a Roma agli inizi del i secolo d.C. Il I libro, di argomento astronomico, contiene teorie sull’origine dell’universo e descrizioni di pianeti e costellazioni, mentre il resto della trattazione è di carattere astrologico. Una delle fonti di Manilio fu senza dubbio il poeta greco Arato di Soli (iii sec. a.C.), autore dei Fenomeni, un poemetto astronomico sui corpi celesti e sui pronostici meteorologici, tradotto in età giovanile da Cicerone. È tuttavia importante anche l’influsso della tradizione latina dell’ultimo secolo e cioè del Somnium Scipionis di Cicerone, delle Georgiche di Virgilio e soprattutto del De rerum natura di Lucrezio, a cui gli Astronomica devono la struttura e la disposizione della materia, l’uso dei proemi e i frequenti appelli al lettore affinché si impegni a conoscere i segreti del cielo. Tuttavia, all’impostazione materialistico-atomistica del poema lucreziano Manilio contrappone un modello di universo di ascendenza stoica, secondo il quale il cosmo è pervaso e organizzato provvidenzialmente dal logos. Le digressioni di carattere mitologico risentono invece delle Metamorfosi di Ovidio. L’opera ha uno stile complesso, ricco di figure retoriche e una sintassi spesso contorta e involuta. Per quanto riguarda la lingua, anche Manilio, come Lucrezio, lamenta la povertà della lingua latina e ricorre pertanto spesso all’uso di grecismi, di neologismi o di arcaismi.

Germanico: gli Aratea

Germanico (15 a.C. – 19 d.C.), nipote di Tiberio e da lui adottato per volere di Augusto nel 4 d.C., intraprese una brillante carriera politica (fu due volte console) e si segnalò come valoroso generale combattendo contro i Germani (15-16 d.C.); la sua morte avvenne in circostanze misteriose nel 19 d.C. ad Antiochia. Germanico scrisse gli Aratea, un poemetto incompiuto di 725 esametri, traduzione abbastanza fedele della prima parte dei Fenomeni di Arato, e i Prognostica (del quale ci restano cinque frammenti per un totale di circa 200 versi), traduzione invece piuttosto libera dei Pronostici del medesimo autore.

Ritratto di Germanico, 4-14 d.C. (Parigi, Musée du Louvre).

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4. Dall’età giulio-claudia all’età flavia La presenza di una dedica a Tiberio – che sostituisce la preghiera a Zeus dell’originale greco – fa supporre che gli Aratea siano stati composti da Germanico dopo la morte di Augusto (14 d.C.). L’opera tratta dei principali temi astronomici e delle costellazioni, nella cui descrizione hanno largo spazio, secondo il gusto alessandrino, i miti rari e preziosi. Germanico aggiunge alcune nuove nozioni di astronomia, accennando ai catasterismi, cioè alla trasformazione in astri di personaggi umani (forte in questo caso l’influsso ovidiano). Lo stile dell’opera è sobrio e scorrevole; la lingua, aperta anche all’influsso greco, è distante dall’ampollosità retorica propria della prima età imperiale.

Calpurnio Siculo e le Bucoliche L’imitazione di Virgilio

Nei primi anni del principato di Nerone, Calpurnio Siculo, della cui vita nulla sappiamo, scrisse 7 ecloghe di imitazione virgiliana. Di esse alcune sono caratterizzate dall’esaltazione di Nerone e del suo principato visto come una nuova «età dell’oro»; le rimanenti ecloghe trattano temi più consueti della poesia bucolica, come l’amore e le gare di canto fra pastori. Calpurnio Siculo riprende da Virgilio molti aspetti contenutistici (i temi, i nomi dei pastori, l’ambientazione) e sviluppa la concezione allegorica della poesia pastorale già propria delle Bucoliche. Anche lo stile e il lessico sono di imitazione virgiliana.

Altre esperienze poetiche I Carmina Priapea

L’Ilias Latina

I Carmina Priapea sono costituiti da un’ottantina di componimenti anonimi, scritti in metri diversi (endecasillabi, distici elegiaci, coliambi) di argomento erotico. Si propende a datarli nell’età neroniana considerata la particolare diffusione che ebbe il culto del dio Priapo nella prima età imperiale.

Un fascio di spighe e l’iscrizione AESTAS (estate); particolare da un rilievo romano.

All’età neroniana risale anche l’Ilias Latina, una traduzione-riduzione dell’Iliade di Omero che ebbe il merito di divulgare nel Medioevo, quando la conoscenza del greco in Occidente era andata perduta, il contenuto del poema omerico.

La tradizione della favola e Fedro Nel i secolo d.C. si affaccia nella letteratura latina un genere minore e nuovo, quello della favola, che ha radici antichissime in ambito sia egiziano sia sumerico-babilonese. La favola nel mondo greco

Nel mondo greco, tanto Esiodo quanto il poeta lirico Archiloco inserirono nelle loro opere rielaborazioni letterarie di favole tramandate fino ad allora anonimamente. Ma è solo con Esopo, vissuto probabilmente nel vi secolo a.C. e autore di un corpus di circa 400 favole in prosa, che la favola assunse una propria autonomia letteraria.

I precedenti latini

Nella letteratura latina, abbiamo dei precedenti con alcuni spunti favolistici nelle Satire di Ennio, di Lucilio e di Orazio, ma si tratta di favole inserite all’interno di opere che appartengono a un genere letterario diverso. Fedro è invece il primo autore latino a scrivere un libro autonomo di favole.

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4.1 L’etàgiulio-claudia giulio-claudia. Storia e cultura 4. Dall’età all’età flaviada Tiberio a Nerone La vita di Fedro Fedro

Fedro nacque attorno al 15 a.C. in Tracia o in Macedonia e, giunto a Roma come schiavo in età giovanile, fece parte della familia di Augusto che lo liberò. Da liberto probabilmente visse svolgendo attività di insegnamento. Durante il regno di Tiberio, subì un processo da parte di Seiano, oggetto di allusioni poco gradite in alcune favole. Morì intorno al 50 d.C. senza aver ottenuto la notorietà.

L’opera favolistica Le Fabulae

Il corpus della sua opera, le Fabulae, è stato tramandato dai codici che raccolgono 94 favole in senari giambici, divise in 5 libri pubblicati separatamente tra il 20 e il 50 d.C.; a esse si aggiungono 31 favole raccolte dall’umanista Niccolò Perotti (1429-80), conosciute come Appendix Perottina.

Il rapporto con il modello esopico

Fedro tratta dunque un genere nuovo nella letteratura latina, prendendo a modello il celebre favolista greco Esopo (vi sec. a.C.) del quale però non ritiene di essere un imitatore pedissequo, ma un emulatore. A questo proposito, sono importanti i prologhi (D TESTO 1) e gli epiloghi dei vari libri, nei quali l’autore ci fornisce alcune importanti indicazioni di poetica, come per esempio la seguente:

TESTO 1

Esopo è l’autore. La materia da lui trovata io l’ho rimessa a nuovo in versi senari. Duplice il pregio del libretto: muove al riso e stimola la vita del saggio con una riflessione. Se poi qualcuno volesse cavillare perché gli alberi parlano e non solo gli animali, si ricordi che scherziamo con le favole, dove tutto è fantasia. (Fabulae 1, Prologus; trad. F. Solinas)

online

Implicazioni morali e sociali p@gine critiche

L. Rodler Da Esopo a Fedro, la favola diventa letteratura

Al rispetto per il modello a cui Fedro si ispira, corrisponde la consapevolezza dell’originalità letteraria e l’individuazione della finalità dell’opera: educare attraverso il riso. Dunque, secondo l’assunto oraziano miscere utile dulci («unire l’utile al dilette­vole»), la favola, attraverso la narrazione di una vicenda divertente, deve fornire un insegnamento morale ispirato spesso al buon senso comune, all’accettazione delle leggi di natura e dei rapporti sociali esistenti. Per esempio, nella celebre favola La volpe e l’uva (D TESTO 2), l’intento didascalico-morale è esplicitato nella conclusione, dove il poeta replica con efficace stringatezza alla furbesca falsità della volpe.

Particolare da un mosaico di età imperiale (Tunisi, Museo del Bardo).

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4. Dall’età giulio-claudia all’età flavia TESTO 2

Metro: senario giambico 5

Fame coacta vulpes alta in vinea uvam adpetebat summis saliens viribus Quam tangere ut non potuit, discedens ait: «Nondum matura est; nolo acerbam sumere». Qui facere quae non possunt verbis elevant, adscribere hoc debebunt exemplum sibi.

Spinta dalla fame una volpe, in una vigna dagli alti tralicci, tentava di raggiungere l’uva saltando con quante più forze aveva. Non potendo neppure toccarla, così disse mentre si allontanava: «Non è ancora matura, non voglio prenderla acerba». Chi a parole svilisce ciò che non sa fare, ritenga pure riferito a se stesso questo apologo. (Fabulae 4,3; trad. F. Solinas) La mentalità pessimistica

TESTO 3

La favola che apre la raccolta, Il lupo e l’agnello (D TESTO 3), fa trasparire una visione pessimistica della realtà, confermata dalla lettura complessiva dell’opera, nella quale il debole e l’onesto sono sempre vittime e non hanno alcuna possibilità di migliorare la propria condizione né di ribellarsi alle ingiustizie. L’apologo è anche un esempio di quei soprusi che in età tiberiana erano perpetrati anche attraverso la proliferazione dei processi politici. Allo stesso rivo il lupo e l’agnello erano venuti, spinti dalla sete; più in alto stava il lupo, molto più in basso l’agnello. D’un tratto, eccitato da voracità smodata, quel brigante accampò un pretesto di lite. «Perché – disse – mi hai intorbidato l’acqua proprio mentre bevevo?» E il lanuto tutto tremante: «Come posso, di grazia, fare ciò che tu lamenti, o lupo? Da te scende giù ai miei sorsi la corrente». Quello, rintuzzato dalla forza della verità: «Sei mesi fa – disse – parlasti male di me». Rispose l’agnello: «Ma se non ero ancora nato…». «Tuo padre, per Ercole, parlò male di me», e così lo ghermisce e lo dilania. Che morte ingiusta! Fu scritta per certi uomini questa favola, che con scarsi pretesti schiacciano gli innocenti. (Fabulae 1,1; trad. F. Solinas)

Il punto di vista dei ceti subalterni

Fedro è stato considerato, inoltre, il portavoce dei ceti sociali subalterni ai quali non si offre alcuna alternativa se non quella di accettare la realtà adattandosi a essa. Anzi Fedro non esita a sottolineare – anche con il celebre esempio del «re travicello» delle rane – come i cambiamenti siano spesso inutili o portino addirittura un peggioramento. Nella favola a cui si fa riferimento (Fabulae 1,2) le rane, scoperto di avere come re un pezzo di legno, chiedono a Giove un altro sovrano. L’iniziativa è legittima ma allo stesso tempo stolta: le rane ignorano, infatti, che l’alternativa a un potere fittizio è la tirannide e così si ritrovano a subire il regno di un crudele serpente nel quale vi è l’allusione al principato di Tiberio; da qui il monito dell’autore: «Anche voi, o cittadini [...] reggete il male presente, nel timore che ne capiti uno maggiore» (trad. F. Solinas).

Varietà di temi e modelli

La raccolta di favole, a detta dello stesso poeta, è caratterizzata da una certa varietas (Fabulae 2, Prologus, v. 10): si alternano apologhi di derivazione esopica, aneddoti a carattere storico e narrazioni desunte dalle fabulae Milesiae, tipo di racconto a sfondo prevalentemente erotico che deriva il suo nome dalla raccolta di Aristide di Mileto, uno scrittore di età ellenistica. Un’importante novità è anche l’uso del verso: egli infatti abbandona la prosa e usa il senario giambico, il verso in cui erano composte le parti dialogate della commedia latina. La progressiva distanza dal modello della favola esopica si manifesta anche nella scelta dei personaggi: nelle favole di Fedro, oltre agli animali nobilitati da un

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4.1 L’età giulio-claudia. Storia e cultura da Tiberio a Nerone processo di umanizzazione, compaiono infatti anche figure umane (come lo stesso Esopo), personaggi storici (come Demetrio Falereo, Menandro, Augusto, Tiberio) o mitologici (quali Giove e Prometeo). Elementi strutturali e formali

Le favole hanno una struttura semplice, contraddistinta da brevità, personaggi stilizzati, scenario generico e poco caratterizzato. Per lo più vi è un vivace dialogo fra due figure, solitamente in contrasto fra loro, che costituisce il nucleo narrativo del racconto. La breve massima, che, riassumendo il contenuto, offre la chiave di lettura morale, può trovarsi all’inizio o alla fine della favola. Lo stile è medio, la sintassi regolare e lineare; la lingua è soprattutto il sermo cotidianus in uso fra le persone colte, in cui non compaiono né volgarismi né arcaismi.

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• Dopo la morte di Augusto (14 d.C.) gli successero, a capo dell’impero romano, Tiberio (14-37 d.C.), Caligola (37-41 d.C.), Claudio (41-54 d.C.) e Nerone (54-68 d.C.). Furono tutti legati da rapporti di parentela o con il ramo della gens Iulia, cui, per l’adozione da parte di Giulio Cesare, era appartenuto Ottaviano Augusto, o con il ramo della gens Claudia, cui apparteneva Tiberio, figlio del primo matrimonio di Livia Augusta con Tiberio Claudio Nerone: si parla perciò di dinastia giulio-claudia. • Pure nella diversità di linea politica, in quanto le idee orientalizzanti di Caligola e Nerone si allontanarono molto dal tradizionalismo di Tiberio e Claudio, la tendenza comune di questi imperatori fu quella di attuare una progressiva limitazione delle libertà di espressione, in ambito sia politico (svalutazione del ruolo del senato) sia culturale (persecuzione di intellettuali d’opposizione). • La vita culturale della cosiddetta epoca giulio-claudia non si caratterizzò dunque per una grande vivacità, con l’eccezione dell’età neroniana. Il princeps era, infatti, appassionato di arte, spettacolo e letteratura, e sotto di lui vissero – pur con alterne fortune – grandi letterati come Seneca, Petronio, Lucano.

• La storiografia di questo periodo vide scrittori allineati al potere imperiale, verso il quale furono prodighi di adulazioni Velleio Patercolo e Valerio Massimo (vissuti sotto Tiberio); di contro, altri espressero il punto di vista dell’opposizione senatoria (tra di essi spicca Cremuzio Cordo); Curzio Rufo, poi, scrisse un’opera storica di taglio avventuroso sulle imprese di Alessandro Magno. • Sono attestate in quest’epoca varie forme di erudizione, con Pomponio Mela, Celso, Columella, Apicio. Per quanto concerne la retorica, Seneca padre (o «il Retore») ci ha lasciato importanti esercitazioni scolastiche (suasoriae e controversiae). • La poesia di quegli anni si caratterizzò per un certo conformismo. Importanti furono le esperienze didascaliche d’argomento astronomico di Germanico e Manilio, mentre Calpurnio Siculo riprese la tradizione bucolica virgiliana. • Il poeta più originale fu però Fedro, autore di favole in senari giambici modellate su quelle del greco Esopo. I suoi componimenti, che hanno spesso come protagonisti gli animali, esprimono una mentalità pessimistica e sembrano interpretare in certi frangenti il punto di vista dei ceti subalterni.

Verifica Trattazione sintetica di argomenti (max 15 righe) 1. Delinea il quadro storico-politico nel quale avvenne la successione di Augusto e iniziò la dinastia giulio-claudia. 2. Individua le principali manifestazioni culturali di consenso e di opposizione al principato in età giulio-claudia. 3. Definisci le caratteristiche strutturali e ideologiche delle favole di Fedro e chiarisci il loro rapporto con quelle del greco Esopo.

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4.2 Seneca

4.2

SENECA Le date nasce probabilmente nel 4 a.C.; muore il 19 aprile del 65 d.C. I generi prosa filosofica (dialoghi, trattati, epistole); satira menippea; tragedia Le opere alcuni trattati (ad. es. De clementia, De beneficiis) e dieci Dialogi filosofici (ad. es. De tranquillitate animi, De otio…); Epistulae morales ad Lucilium; Naturales quaestiones; Apokolokýntosis; nove cothurnatae Le idee il controverso legame con Nerone; la speculazione sul tempo e sulla morte; il rapporto tra otium e negotium; il primato dell’interiorità e della coscienza

La biblioteca dei classici p. 442

Lucio anneo seneca La vita Un ricco provinciale

Lucio Anneo Seneca nacque in Spagna a Cordova, forse nel 4 a.C. Egli fu un tipico esponente dei ceti provinciali eminenti, in quanto il padre, Lucio Anneo Seneca, detto anche «Seneca il Retore» (D p. 251), era un importante intellettuale, appartenente a una ricca famiglia equestre spagnola.

La prima educazione e il viaggio in Egitto Gli studi a Roma

Ancora molto giovane, Seneca ricevette a Roma una vasta educazione letteraria e storica, completata con studi di retorica e di filosofia, soprattutto presso lo stoico Attalo, cultore di scienze naturalistiche. Per curare alcuni problemi respiratori, si recò quindi in Egitto intorno al 26 d.C. al seguito del prefetto Gaio Valerio, suo zio.

Dal ritorno a Roma all’esilio

Ritratto di Seneca, particolare dalla doppia erma con i busti di Socrate e Seneca (Berlino, Antikensammlung).

Tornato a Roma, intorno al 33-34 d.C., ottenne la questura, primo grado del cursus honorum; nel contempo si dedicò, ottenendo fama e successo, all’attività oratoria. La condanna di Caligola

Tuttavia nel 39 d.C. Caligola (che disdegnava l’oratoria di Seneca definendola – secondo Svetonio – «arena senza calce») ne decretò la condanna a morte, forse perché lo sospettava coinvolto in intrighi politici; gli avrebbe però evitato l’esecuzione una donna, secondo alcuni la stessa sorella dell’imperatore, Agrippina. Di questi anni sono la Consolatio ad Marciam, il primo dei suoi scritti pervenutici, composto tra il 39 e il 40 d.C., e i primi 2 libri del De ira. Si tratta delle prime opere di argomento filosofico di Seneca, il cui complesso ci è stato trasmesso sotto il nome di Dialogi.

Claudio e l’esilio in Corsica

Nel 41 d.C. Caligola venne eliminato da una congiura; gli succedette Claudio, che condannò Seneca all’esilio in Corsica dal 41 al 49 d.C.: il pretesto era un’accusa di adulterio con Giulia Livilla, altra sorella di Caligola. Seneca fu costretto a rimanere

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4. Dall’età giulio-claudia all’età flavia sull’isola per otto duri anni, malgrado il tentativo di ingraziarsi Claudio con l’elogio contenuto nella Consolatio ad Polybium, dedicata a un potente liberto dell’imperatore addetto alle petizioni. Sempre dell’epoca dell’esilio è la Consolatio ad Helviam matrem.

Il quinquennium Neronis Nel 48 d.C. Agrippina diventò la nuova moglie di Claudio e ottenne il perdono per Seneca, destinato a diventare il precettore di Nerone, figlio che Agrippina aveva avuto in prime nozze. A questo periodo andrebbe ascritta la versione finale del De ira e la stesura del De brevitate vitae. Nel 54 d.C. Claudio morì e Seneca ebbe su di lui una vendetta postuma componendo una beffarda satira menippea, nota come Apokolokýntosis (cioè «Apoteosi della zucca»). Consigliere di Nerone

A soli sedici anni Nerone salì al trono e Seneca divenne, insieme al prefetto del pretorio Afranio Burro, consigliere politico e amicus del giovane imperatore; questa fase, nota come quinquennium Neronis, durò fino al 58-59 d.C. e venne considerata di «buon governo» (nonostante i diversi crimini compiuti da Nerone, come l’uccisione del fratellastro Britannico, che Seneca giustifica in nome della «ragion di Stato»). Proprio degli anni 55-56 d.C. è il trattato etico-politico De clementia, che si potrebbe considerare come il manifesto ideologico della monarchia illuminata, significativamente dedicato a Nerone. Altri dialoghi redatti in questi anni sono il De constantia sapientis e il De tranquillitate animi; probabilmente composte durante la permanenza a corte sono anche le tragedie di Seneca (D Opere).

Il ritiro a vita privata e la condanna a morte Gli anni dedicati agli studi

Nel marzo del 59 d.C., Nerone decise di eliminare la madre Agrippina: per Seneca fu la fine dell’illusione di un governo improntato a un’autocrazia illuminata. Tuttavia, egli rimase a fianco di Nerone fino al 62 d.C. quando, dopo la morte di Burro, venne designato prefetto del pretorio lo spregiudicato Tigellino: allora Seneca rinunciò a ogni incarico e si ritirò a vita privata per dedicarsi agli studi, componendo – oltre al De otio e al De providentia – le sue opere più vaste, cioè i trattati De beneficiis e Naturales quaestiones, e le Epistulae morales ad Lucilium.

La congiura e il suicidio

Nel 65 d.C. venne scoperta la congiura di Gaio Calpurnio Pisone. Nel corso della sua sanguinosa repressione (nella quale perì anche il poeta Lucano, nipote del filosofo), il 19 aprile, per ordine dell’imperatore, Seneca (non si sa se coinvolto o solo informato della congiura) venne costretto al suicidio, come raccontato da Tacito (Annales 15,62-64).

Le opere Nella sua attività intellettuale, Seneca ha coltivato i generi più disparati (D Opere): tra le opere che ci sono pervenute possono essere ascritti all’ambito filosofico-morale i Dialogi, i trattati De clementia e De beneficiis, le Naturales quaestiones, le Epistulae morales ad Lucilium; ci rimangono inoltre nove tragedie, la satira menippea Apokolokýntosis, e una raccolta di epigrammi in distici elegiaci (forse non tutti autentici).

I Dialogi La ricerca di una vita

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La composizione dei dieci Dialogi (D Opere) – tutti in un libro, tranne il De ira che ne comprende 3 – si estende per l’intera vita del filosofo: concepiti e pubblicati autonomamente dall’autore, sono stati raccolti dopo la sua morte. Il nome di Dialogi in realtà non corrisponde alla forma in cui sono stati redatti (tranne che per il De tranquillitate animi): l’autore, infatti, parla sempre in prima persona, rivolgendosi quasi esclusiva-


4.2 Seneca mente al dedicatario dell’opera. I dialoghi senecani possono quindi essere paragonati a una riflessione continua, dove il pensiero viene sviluppato in modo non sistematico; la vivacità espressiva, legata anche al frequente utilizzo di esempi tratti dalla vita vissuta, e lo stile informale rivelano l’influsso della tradizione della diatriba cinico-stoica. Le consolationes

Un insieme piuttosto omogeneo è rappresentato dai dialoghi di consolazione, rivolti a un destinatario per consolarlo dell’assenza, temporanea o definitiva, di una persona cara. Dal punto di vista dei contenuti, la consolatio attinge a un repertorio canonico di temi, quali la fugacità del tempo, la precarietà della vita e dei beni, l’imprevedibilità del futuro. Appartengono a questo gruppo le tre consolationes ad Marciam, ad Polybium e ad Helviam matrem. La prima, scritta forse tra il 37 e il 38 d.C., è dedicata a Marcia, la figlia dello storico Cremuzio Cordo (avversario di Seiano, il potente prefetto del pretorio di Tiberio), in occasione della morte del figlio. Le altre due consolationes appartengono all’epoca del confino in Corsica e sono dirette la prima a Polibio, il potente liberto di Claudio, con la speranza di ottenere il ritorno dall’esilio, e la seconda alla madre, per esortarla a sopportare la lontananza dal figlio.

Dialoghi di tipo speculativo

Ai dialoghi di tipo speculativo appartengono i 3 libri del De ira, dedicati al fratello Novato e pubblicati dopo la morte di Caligola (41 d.C.): l’opera è una trattazione, ricca di esempi storici, sulle caratteristiche e sulle funeste conseguenze dell’ira, passione che gli stoici consideravano distruttrice della ragione. Al periodo successivo all’esilio ascriviamo il De brevitate vitae, dedicato al suocero Paolino, incentrato sul tema della brevità del tempo concesso all’uomo, che impone la presa di coscienza della vanità di molte delle nostre occupazioni. Collocabile intorno al 58 d.C. e indirizzato sempre al fratello Novato è il dialogo De vita beata, dedicato alla discussione di problematiche dottrinarie dello stoicismo, principalmente in polemica con l’epicureismo: la parte più interessante dell’opera, per la conoscenza della personalità di Seneca, è quella che egli dedica alla difesa dalle accuse di aver accumulato un immenso patrimonio e di vivere nel lusso e tra i piaceri.

La trilogia dei dialoghi a Sereno

Vengono raggruppati in una trilogia dedicata all’amico Anneo Sereno (D Sereno e Lucilio, due destinatari di Seneca) i dialoghi De constantia sapientis, De tranquillitate animi e De otio, che sembrano delineare una sorta di percorso filosofico di perfezionamento verso la saggezza. Il De constantia sapientis mira a valorizzare la figura del saggio, la sua capacità di tollerare le offese grazie alla virtù che trova il suo modello nella divinità; la superiorità così acquisita si manifesta con una superiore magnanimità del sapiente. Il De tranquillitate animi è dedicato a Sereno in un momento particolare della sua vita, in cui quest’ultimo oscilla tra i modelli di comportamento propostigli da Seneca e i piaceri della vita mondana. È un momento di insicurezza anche per il filosofo: siamo probabilmente immediatamente dopo il quinquennium Neronis, quando la sua posizione di potere comincia a vacillare ed egli si pone il problema di pianificare il ritiro a vita privata, da attuare in modo prudente e graduale. La tematica filosofica dell’opera ruota intorno al concetto – tutto interiore – della serenità dell’animo, quella che i Greci chiamavano euthymía. Nel dialogo, il filosofo, ai fini di raggiungere la tranquillità dell’animo, tenta una composizione tra il dovere del saggio di giovare agli altri e i limiti derivanti dalla realtà politica dell’epoca. Nel De otio la questione del ritiro a vita privata appare risolta dalle circostanze: il dialogo, giunto incompleto, è infatti databile al momento del definitivo distacco di Seneca da Nerone (forse al 62 d.C.). In esso Seneca focalizza la sua attenzione sulla figura del saggio stoico e sulle sue molteplici possibilità di mettersi in ogni circostanza al servizio degli altri; anche nell’otium, e cioè nella «vita appartata» lontana dalla politica, potrà dunque acquisire nuove verità intellettuali e morali con cui giovare all’intera umanità (D TESTO 1).

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4. Dall’età giulio-claudia all’età flavia Il De providentia

Tra gli ultimi dialoghi a essere stati scritti troviamo il De providentia, indirizzato a Lucilio (cui saranno destinate anche le Epistulae morales D Sereno e Lucilio, due destinatari di Seneca), dedicato al tema, fondamentale nello stoicismo, della razionalità immanente al cosmo.

I trattati De clementia e De beneficiis Il De clementia

I 2 libri del De clementia (55-56 d.C.) delineano, sotto forma di trattato politico, il programma di governo del sovrano illuminato, qui identificato in Nerone, dedicatario dell’opera: così come l’universo è provvidenzialmente governato dal logos, anche lo Stato è retto da un principe che è la personificazione del saggio stoico, il quale pratica la virtù della clementia.

Il De beneficiis

Il De beneficiis è un trattato in 7 libri, dedicato all’amico Ebuzio Liberale e appartenente agli ultimi anni dell’attività di Seneca. Nel trattato si riconoscono due piani fondamentali fra loro intrecciati: da una parte, un discorso teorico che mira a delineare un modello del comportamento umano, studiando la fenomenologia degli atti del «dare» e del «ricevere»; dall’altra, la descrizione dei comportamenti reali che il filosofo ha potuto osservare con i suoi occhi o trarre dalla storiografia, rilevando una profonda contraddizione tra ideale e realtà.

Le Naturales quaestiones Una lettura stoica del mondo naturale

Dedicate a Lucilio – Seneca gli si rivolge direttamente nel corso della trattazione – e composte con probabilità tra il 62 e il 64 d.C., le Naturales quaestiones costituiscono un’opera dossografica (raccolta di argomenti eruditi) in 8 libri, sostanzialmente indipendenti tra loro, in quanto ciascuno è destinato alla descrizione di un fenomeno naturale, secondo uno schema costante (prefazione di carattere morale, sezione centrale con argomenti scientifici, conclusione ancora di natura etica). La discussione scientifica è sempre unita a un intento morale, quello etico-pedagogico di miglioramento dell’uomo, chiaramente riconducibile alla filosofia stoica. Infatti, se il carattere tecnico dell’opera è quello di un compendio che tratta di fenomeni che si manifestano sulla Terra, nell’atmosfera e in cielo, lo stoico Seneca – mostrando analogie di intenti con l’epicureo Lucrezio – sottolinea il carattere naturale di tali fenomeni, sottraendoli alla dimensione della superstizione e riconducendoli nell’ambito dell’ordine razionale del mondo: ne consegue la liberazione dell’uomo dalle sue paure irragionevoli (dovute all’ignoranza) e in particolare dal timore della morte.

Le Epistulae morales ad Lucilium Le Epistulae morales ad Lucilium – unanimemente riconosciute come il capolavoro di Seneca – sono una raccolta di lettere di argomento etico (124 lettere in 20 libri, ma almeno altri due sono andati perduti), indirizzate da Seneca all’amico Lucilio (un ricco e colto giovane di Pompei, di rango equestre, già dedicatario delle Naturales quaestiones e del De providentia) e composte tra il 62 e il 65 d.C. Tra teoria e pratica: Seneca «maestro del genere umano»

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L’epistolario è probabilmente costituito da lettere reali – di lunghezza diversa – poi rielaborate in chiave letteraria; il loro tono colloquiale, intimo, discorsivo è decisamente più immediato rispetto a quello delle epistole filosofiche della tradizione greca, come quelle di Platone o Epicuro. Esse, tuttavia, sono chiaramente scritte non solo per Lucilio, ma per il più vasto pubblico dei posteri, di cui Seneca si propone come maestro (si definisce, infatti, paedagogus humani generis, «maestro del genere umano»). Un maestro decisamente poco sistematico, che – da buon romano – si sforza di proporre la coesistenza della dimensione teoretica con quella pratica: la riflessione filosofica si accompagna all’esperienza concreta, anche quotidiana.


4.2 Seneca Il progresso morale come fine

L’obiettivo delle lettere è il progresso morale: in esse vengono più volte affrontate le maggiori tematiche etiche valorizzate dallo stoicismo (l’uomo e le passioni, il tempo, la morte, l’impegno sociale…), alcune delle quali oggetto di meditazione anche nei Dialogi, e delle quali si riparlerà più avanti.

I temi principali

Può considerarsi un tipico esempio di epistola senecana proprio la prima della raccolta (1,1 D TESTO 1), che si configura come un’introduzione all’intera opera; Seneca vi tratta infatti uno dei temi a lui più cari, già affrontato nel De brevitate vitae, quello del tempo – da usare con parsimonia e razionalità – e del rapporto dell’uomo con la morte, vista non come evento terrificante, ma come compagna costante dell’uomo, nella coscienza del cotidie mori, cioè del «morire ogni giorno» (trad. F. Solinas).

TESTO 1

Seneca Lucilio suo salutem 1. Ita fac, mi Lucili: vindica te tibi, et tempus quod adhuc aut auferebatur aut subripiebatur aut excidebat collige et serva. Persuade tibi hoc sic esse ut scribo: quaedam tempora eripiuntur nobis, quaedam subducuntur, quaedam effluunt. Turpissima tamen est iactura quae per neglegentiam fit. Et si volueris adtendere, magna pars vitae elabitur male agentibus, maxima nihil agentibus, tota vita aliud agentibus. 2. Quem mihi dabis qui aliquod pretium tempori ponat, qui diem aestimet, qui intellegat se cotidie mori? In hoc enim fallimur, quod mortem prospicimus: magna pars eius iam praeterît; quidquid aetatis retro est mors tenet. Fac ergo, mi Lucili, quod facere te scribis, omnes horas conplectere; sic fiet ut minus ex crastino pendeas, si hodierno manum inieceris. Dum differtur vita transcurrit. 3. Omnia, Lucili, aliena sunt, tempus tantum nostrum est; in huius rei unius fugacis ac lubricae possessionem natura nos misit, ex qua expellit quicumque vult. Et tanta stultitia mortalium est ut quae minima et vilissima sunt, certe reparabilia, inputari sibi cum inpetravere patiantur, nemo se iudicet quicquam debere qui tempus accepit, cum interim hoc unum est quod ne gratus quidem potest reddere. 4. Interrogabis fortasse quid ego faciam qui tibi ista

Seneca saluta il suo Lucilio 1. Fai così, o mio Lucilio: renditi padrone di te stesso e il tempo che finora ti era portato via con la forza o sottratto con la frode o che ti sfuggiva di mano raccoglilo e conservalo. Persuaditi, succede proprio come ti scrivo: certi momenti ci sono tolti con brutalità, altri presi subdolamente, altri ancora si disperdono. Però lo spreco più vergognoso è quello provocato dall’incuria. E se avrai la compiacenza di prestare attenzione, bada: la maggior parte della vita se ne va mentre operiamo malamente, una porzione notevole mentre non facciamo nulla, tutta quanta la vita mentre siamo occupati in cose che non ci riguardano. 2. Mi indicherai un uomo che attribuisca un valore effettivo al tempo, che sappia soppesare ogni giornata, che si renda conto di morire ogni giorno? Sbagliamo, infatti, in questo: che ravvisiamo la morte innanzi a noi; ebbene: una gran parte della morte appartiene già al passato. Tutto ciò che della nostra esistenza è dietro di noi, la morte lo tiene saldamente. Fai dunque, o mio Lucilio, quel che mi scrivi che fai: tienti strette tutte le tue ore, così avverrà che dipenderai meno dal domani. Mentre si differiscono gli impegni, la vita ci passa davanti. 3. Tutto, o Lucilio, è al di fuori dell’uomo: solo il tempo è nostro; di quest’unico bene lubrico e fugace la natura ci ha affidato il possesso e ne può escludere chi vuole. E poi, osserva come è grande la follia dei mortali: tollerano che siano loro rinfacciati come un debito, quando li abbiano ottenuti, i doni più insignificanti, di pochissimo valore e comunque rimpiazzabili; nessuno, invece, si considera debitore di qualcosa, se ha ricevuto un po’ di tempo; eppure questo è l’unico bene che nemmeno una persona riconoscente può restituire. 4. Forse chiederai che cosa faccio io che ti impartisco tali insegnamenti.

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4. Dall’età giulio-claudia all’età flavia praecipio. Fatebor ingenue: quod apud luxuriosum sed diligentem evenit, ratio mihi constat inpensae. Non possum dicere nihil perdere, sed quid perdam et quare et quemadmodum dicam; causas paupertatis meae reddam. Sed evenit mihi quod plerisque non suo vitio ad inopiam redactis: omnes ignoscunt, nemo succurrit. 5. Quid ergo est? Non puto pauperem cui quantulumcumque superest sat est; tu tamen malo serves tua, et bono tempore incipies. Nam, ut visum est maioribus nostris, «Sera parsimonia in fundo est»; non enim tantum minimum in imo sed pessimum remanet. Vale. Lo confesserò candidamente: proprio quello che succede a un uomo amante del lusso, ma scrupoloso: tengo alla perfezione il registro delle spese. Non ho il diritto di affermare che non sperpero nemmeno un poco di tempo, ma dirò quanto ne perdo e perché e in che modo; così renderò ragione della mia povertà. Del resto, mi capita ciò che succede alla maggior parte delle persone in miseria per colpa loro: tutti sono comprensivi, nessuno, però, viene ad aiutarle. 5. E allora? Non considero un poveraccio chi si accontenta di quel poco – non importa quanto – che gli è rimasto. Preferisco tuttavia che tu tenga in serbo le tue risorse e comincerai a farlo nel momento opportuno. Infatti, come giustamente vedevano i nostri vecchi, è troppo tardi risparmiare quando si è giunti in fondo al vaso, perché ciò che rimane è davvero poca cosa e, per giunta, la peggiore. Stammi bene. (Epistulae 1,1; trad. F. Solinas)

Altrettanto celebre è l’epistola 47, nella quale – da buono stoico – Seneca dà dignità umana anche agli schiavi, pur non mettendo in discussione l’istituto giuridico della schiavitù. Infatti, dopo l’affermazione «Servi sunt». Immo homines («“Sono schiavi”. Sì, ma sono esseri umani»), Seneca continua il lungo ragionamento affermando, rivolto a Lucilio: «Usami la cortesia di considerare che costui, che chiami tuo schiavo, è nato dalla stessa umana semenza, gode dello stesso cielo, respira esattamente come te, vive né più né meno come te, muore al tuo stesso modo!» (trad. F. Solinas).

Le tragedie Nove coturnate

Seneca scrisse nove coturnate (tragedie di argomento greco), delle quali non conosciamo la cronologia (D Opere); una decima tragedia attribuitagli, intitolata Octavia, è invece sicuramente di età posteriore. Oltre che dal teatro greco di Sofocle e di Euripide e dalla tragedia romana arcaica, Seneca riprende un’ampia serie di spunti tratti da altri generi letterari, in particolare dalla poesia di Virgilio e Ovidio.

Una testimonianza unica

La produzione tragica di Seneca è importante anche perché ci consegna le uniche opere drammatiche della letteratura latina pervenuteci nella loro interezza. Non si sa però quando siano state scritte e se fossero state concepite per la rappresentazione scenica, oppure, più probabilmente, solo per la declamazione (recitatio) e la lettura.

I caratteri del teatro di Seneca

Dal punto di vista letterario, caratteristiche delle tragedie senecane sono la rappresentazione di passioni sconvolgenti (in particolare il tema della lotta per il potere e lo scontro catastrofico tra il furor, l’«irrazionalità», e la mens bona, la «saggezza»), il gusto del macabro e il linguaggio espressionistico.

L’Apokolokýntosis Il titolo

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L’Apokolokýntosis (D Opere) è una sarcastica dissacrazione del defunto imperatore Claudio, redatta probabilmente entro la fine del 54 d.C., anno della sua morte. Il titolo indicato nei codici è Ludus de morte Claudii oppure Divi Claudii apotheosis Annaei Senecae per saturam; quello di Apokolokýntosis, divenuto di uso comune, si riallaccia al termine kolokýnte, in greco «zucca», forse nel senso di «apoteosi, deificazione della zucca»:


4.2 Seneca infatti lo «zuccone» Claudio, impacciato e balbuziente, non poteva certo aspettarsi post mortem quella divinizzazione toccata ai suoi predecessori Cesare e Augusto. Una satira menippea

L’Apokolokýntosis è l’unico esempio di satira menippea pervenutoci, genere caratterizzato dal prosimetro (alternanza di poesia e prosa), e dalla parodia letteraria, con la citazione di passi di poesia greca e latina in contesti incongrui. Seneca mette in scena le vicissitudini di Claudio dopo la morte, dall’ascesa al cielo, nel mal riuscito tentativo di ottenere la deificazione, alla catastrofica discesa agli Inferi: l’opera si conclude con la condanna dell’imperatore a giocare per sempre a dadi in compagnia di un liberto (chiara allusione allo spazio eccessivo che Claudio diede a questa categoria sociale).

I temi Tra stoicismo ed eclettismo: una «filosofia pratica»

Dal punto di vista dottrinario, Seneca si richiama dichiaratamente allo stoicismo ma accetta apporti da altre scuole, compresa quella epicurea, con la quale pure spesso polemizza. Il suo intento è sostanzialmente pedagogico ed esortativo, volto a fini pratici: la filosofia non è in verbis, ma in rebus, cioè non consiste nella teoria, ma nella prassi. Il sincretismo filosofico si riflette nelle tematiche dell’opera, che si configura come complessa e variegata; tuttavia, possono essere individuate alcune costanti.

Otium e negotium

Le vicende della carriera politica, dalla partecipazione attiva al distacco, stimolano in Seneca una costante riflessione sul problema dei rapporti tra filosofia e potere, cioè tra tempo dedicato all’otium o al negotium: se nel De tranquillitate animi si delinea per il saggio, quando la vita politica sia difficilmente praticabile, una scala di possibilità via via decrescenti rispetto al progressivo restringersi dello spazio pubblico d’azione, nel De otio il distacco dalla politica è definitivo e l’otium viene nobilitato come modo di giovare all’umanità intera: necessità o scelta, il principio epicureo del «vivi appartato» diventa di attualità estrema.

Verso la sapienza: discere e docere

Per Seneca scopo pratico della filosofia è l’ottenere la sapienza: è un percorso graduale verso la saggezza (proficere), attraverso un processo morale di correzione e miglioramento continuo, che coinvolge in primo luogo se stesso. Seneca si propone contemporaneamente nel ruolo di medico dei mali dell’anima e di paziente, di maestro e di discepolo di se stesso e di altri, come evidenziato dalla frequente compresenza, nelle Lettere, dei verbi discere e docere.

Il tempo e la morte

La meditazione sul tempo e sulla morte è centrale in Seneca (D TESTO 1). Sul tema della morte e sull’immortalità, la sua posizione non è definitiva: più che interessarsi alla speculazione teorica, il filosofo affronta la questione con un’attitudine pragmatica: bisogna ogni giorno esercitarsi a morire per essere capaci di non temere la morte. Essa è anche uno strumento di liberazione dal «carcere» della vita, un mezzo di fuga per affrancarsi da sofferenze intollerabili: in questo consiste il suicidio, visto nell’ottica stoica come atto supremo di rivendicazione della libertà (Seneca esalterà sempre l’esempio di Catone l’Uticense). Il tema del tempo, presente in tutte le opere filosofiche, è affrontato in particolare nella prima delle Epistulae e occupa l’intero De brevitate vitae. Unico bene realmente in nostro possesso, viene sottratto o sprecato; solo il presente ci appartiene, solo il presente esiste e conta, e deve essere valorizzato con l’impegno nella virtù, mentre il tempo passato già appartiene alla morte.

Le passioni come malattie dell’anima

Seneca deriva dall’etica stoica il suo interesse per l’analisi e la critica delle passioni, sviluppato nelle opere filosfiche (per esempio il De ira), nelle Epistulae, e nel corpus delle tragedie, dove sono rappresentate l’ira, l’avidità di potere e i furori dell’eros sotto forma di brama e di gelosia. Le passioni sono viste come vere e proprie malattie dell’anima, da guarire mediante la costante cura di se stessi nel progresso verso la virtù.

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4. Dall’età giulio-claudia all’età flavia

Seneca tra potere e filosofia Dopo avere trattato della vita e delle opere di Seneca, anche alla luce dell’ampia letteratura che lo riguarda (a cominciare dalle pagine di Tacito), è impossibile sottrarsi a una riflessione più ampia sul rapporto tra la sua personalità storica e la sua dimensione filosofica e intellettuale.

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Complice o vittima? p@gine critiche I. Lana Il filosofo e il princeps

Civiltà e CULTURA

La morte di Agrippina: un evento fondamentale

Seneca è stato il filosofo che ha provato a fare di Nerone un princeps saggio e clemente per poi diventare una vittima del regime, oppure è stato complice dei delitti dell’imperatore, caduto poi in disgrazia, come capita spesso nei regimi tirannici? Precettore del giovane princeps, egli, alla luce degli insegnamenti dello stoicismo, non solo si prodigò nella sua formazione ma lo affiancò anche concretamente nella gestione dello Stato. Se il suo influsso contribuì alla prosperità del quinquennium Neronis, è però vero che un testo come il De clementia avrebbe potuto giustificare il progetto di Nerone di trasformare l’impero in una monarchia orientalizzante, dove il rapporto tra sovrano e popolo dipendesse non dal diritto ma dalla magnanimità del regnante. Già si è detto come l’omicidio di Britannico (55 d.C.) e perfino di Agrippina (59 d.C.) siano stati tollerati da Seneca con un realismo politico assai lontano dall’etica stoica. Ma, forse, fu proprio il matricidio a cambiare irrimediabilmente le cose. Il filosofo, infatti, non solo perse una potente alleata – cioè la donna che l’aveva scelto e voluto a fianco del figlio –, ma si rese conto che l’involuzione autocratica di Nerone era ormai inarrestabile: il precario equilibrio tra il ruolo di saggio consigliere e quello di ricco, potente e rispettato amicus principis si era rotto per sempre.

Sereno e Lucilio, due destinatari di Seneca Anneo Sereno Seneca dedicò il De tranquillitate animi, il De constantia sapientis e probabilmente il De otio ad Anneo Sereno. Di lui ci parlano anche Plinio il Vecchio, Marziale e Tacito. Più giovane di Seneca, Sereno fu legato al filosofo in quanto appartenente alla gens degli Annaei: discendeva forse da un liberto della famiglia di Seneca. Perciò dobbiamo pensare che Seneca esercitasse nei confronti di Sereno, oltre a una funzione di guida spirituale conseguente al proprio ruolo di maestro filosofico, anche l’attività di patrono: si può ipotizzare che la carriera politica di Sereno fosse facilitata proprio dall’appoggio di Seneca. Infatti ricoprì la praefectura vigilum, un’importante carica a capo del corpo che aveva funzioni di polizia urbana a Roma. Ebbe anche un ruolo alla corte di Nerone, per il quale nel 55 d.C. si impegnò a nascondere la relazione intrattenuta dal principe con la liberta Atte di fronte allo sdegno e alla gelosia di Agrippina, fingendosi innamorato della donna, come racconta Tacito negli Annales: Ex cuius (scil. Senecae) familiaribus Annaeus Serenus simulatione amoris adversus eandem libertam

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primas adulescentis cupidines velaverat prebueratque nomen, ut, quae princeps furtim mulierculae tribuerat, ille palam largiretur. Uno degli intimi del filosofo, Anneo Sereno, fingendosi preso d’amore per la stessa Atte, aveva mascherato i primi moti di passione del giovane, e aveva fatto in modo che sembrassero apertamente largiti da lui quei doni, che il principe di nascosto inviava alla liberta. (Annales 13,13; trad. B. Ceva)

Morì per avvelenamento da funghi intorno al 62 d.C. Le scarne notizie a nostra disposizione delineano quindi la figura di un uomo oscillante tra un atteggiamento opportunista e cinico, requisito necessario per coloro che intendevano farsi spazio alla corte del principe, e un sincero interesse per la filosofia, derivante da un’inquietudine che è la vera caratteristica del tempo di Nerone e la motivazione primaria del rapporto educativo che il maestro Seneca intrattenne con Sereno.

Gaio Lucilio Iuniore Lucilio fu il destinatario, oltre che delle Epistulae morales, anche del De providentia e delle Naturales quaestiones senecani: proprio da quest’ultima opera e dalle


4.2 Seneca Lontano dal potere, vicino alla filosofia

TESTO 2

Il conseguente allontanamento volontario dalla vita pubblica (62 d.C.) derivò dunque da ragioni di opportunità, ma anche da quell’approfondimento filosofico sul ruolo del sapiens che era evidente già nel De tranquillitate animi, scritto – con tutta probabilità – quando ancora i rapporti con il princeps non erano del tutto guasti. È infatti qui presente l’idea che qualcuno – che pure ha provato in ogni modo a mettersi al servizio degli altri – possa «perdere gli incarichi di cittadino» ma svolgere i non meno importanti incarichi «di uomo» (D TESTO 2); e se davvero costui sentirà «il mondo come patria», ciò gli consentirà di lasciare la vita politica senza sentirsi troppo diminuito. Afferma infatti Seneca: 2. Questo è ciò che penso sia il compito della virtù e di uno che ama la virtù: se la sorte avrà il sopravvento e reciderà la possibilità di agire, non si dia subito alla fuga volgendo le spalle e gettando le armi, cercando rifugio, quasi che esista davvero un luogo nel quale la sorte non possa raggiungerlo, ma si dedichi agli impegni pubblici con maggiore misura e scelga qualche occupazione in cui possa rendersi utile alla cittadinanza. 3. Non gli è permesso prestare servizio militare: si candidi a cariche pubbliche. Deve vivere da privato cittadino: faccia l’oratore. È costretto al silenzio: aiuti i cittadini con una assistenza legale tacita. Gli è pericoloso anche l’ingresso nel Foro: nelle case, agli spettacoli, durante i banchetti faccia il buon compagno, l’amico fidato, il convitato sobrio. Ha perduto gli incarichi del cittadino: svolga quelli dell’uomo. 4. Per questo noi con animo grande non ci siamo voluti chiudere nelle mura di una sola città, ma ci siamo aperti alla relazione con tutto il mondo e abbiamo affermato di avere il mondo come patria, perché fosse possibile offrire alla virtù un campo più vasto. (De tranquillitate animi 4,2-4; trad. G. Lotito)

epistole ricaviamo le notizie a nostra disposizione su di lui. Lucilio era di origine campana, forse proveniente da Pompei, come è stato ipotizzato in base ad alcuni passi delle epistole, qui proposti con la traduzione di F. Solinas (ecce Campania et maxime Neapolis ac Pompeiorum tuorum conspectus incredibile est quam recens desiderium tui fecerint, «ecco è incredibile quanto la Campania e soprattutto Napoli e la vista della tua cara Pompei abbiano rinnovato in me il bisogno di rivederti», 49,1; post longum intervallum Pompeios tuos vidi, «dopo molto tempo ho rivisto la tua cara Pompei», 70,1; cfr. anche 53,1). Era più giovane di Seneca, come dimostra l’epistola 26 (haec mecum loquor, sed tecum quoque me locutum puta. Iuvenior es: quid refert?, «queste cose che dico a me stesso fa’ conto che le dica anche a te. Sei più giovane, che importa?», 26,7) e intraprese la carriera politica con un certo successo: infatti assunse la carica di procuratore in Sicilia, come ricorda Seneca stesso, quando nelle Naturales quaestiones osserva come l’impegno amministrativo sia vissuto da Lucilio non come mero esercizio di potere, ma come servizio in stretta coerenza con la sensibilità e la cultura di Lucilio stesso: Delectat te, quemadmodum scribis, Lucili virorum optime, Sicilia et officium procurationis otiosae, delectabitque si continere id intra fines suos volueris,

nec efficere imperium quod est procuratio. Facturum hoc te non dubito; scio quam sis ambitioni alienus, quam familiaris otio et litteris. Turbam rerum hominumque desiderent qui se pati nesciunt; tibi tecum optime convenit. A giudicare da quel che scrivi, ottimo Lucilio, la Sicilia ti piace e così pure la riposante carica di amministratore, e continuerà a piacerti se saprai contenerla entro i suoi limiti senza trasformare in strumento di potere quello che è un semplice ufficio. Non ho dubbi che la cosa ti riuscirà; so quanto sei alieno dall’ambizione e quanto amico degli ozi letterari. Ambisca a una miriade di affari e di relazioni chi ha in uggia se stesso; tu stai bene in tua compagnia. (Naturales quaestiones 4,1; trad. P. Parroni)

Sappiamo inoltre che tra gli interessi di Lucilio, oltre a quello filosofico, c’era anche quello letterario, tanto che a Lucilio è attribuita un’originale produzione poetica, come dimostra lo stesso Seneca, che cita un esametro di Lucilio nell’epistola 24 (mors non una venit, sed quae rapit ultima mors est, «non sopraggiunge un’unica morte, però quella che ci porta via è l’ultima morte», 24,19).

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4. Dall’età giulio-claudia all’età flavia

Gli scritti filosofico-morali opere

I Dialogi Tramandati dal Codex Ambrosianus, risalente al x o all’xi secolo, secondo il seguente ordine, non corrispondente a quello cronologico. De providentia  Dedicato al discepolo Lucilio, affronta il tema della contraddizione fra provvidenzialismo stoico e il fatto che la sorte sembra premiare i malvagi e punire i buoni. Dolore e sventura sono considerati dal saggio mezzo e prova per il rafforzamento dell’animo e l’esercizio della virtù. De constantia sapientis  Dedicato ad Anneo Sereno, di datazione incerta, tratta del paradosso stoico secondo cui «il saggio non riceve né ingiuria né contumelia», perché la virtù, rendendolo superiore agli eventi esterni, non consente che egli sia danneggiato. De ira  Dedicato al fratello Marco Anneo Novato, si divide in 3 libri. Il I è un’analisi fisiologica dell’ira, passione deplorevole perché ottenebra la ratio ed è quindi incompatibile con il raggiungimento della saggezza. Nel II e nel III vengono fornite indicazioni terapeutiche e una serie di esempi positivi e negativi di personaggi storici. Consolatio ad Marciam  È indirizzata alla figlia dello storico Cremuzio Cordo per consolarla della perdita del figlio. L’argomentazione addotta è quella tipicamente stoica della morte considerata non un male ma una liberazione dai legami del corpo e della vita terrena; solo la morte rende infatti l’uomo libero e padrone di sé. De vita beata  Dedicato al fratello Novato (chiamato ora Gallione dopo l’adozione da parte del senatore Giunio Gallione), affronta il tema della felicità e in particolare della via per raggiungerla. La felicità non consiste nel possedere beni materiali, ma nel vivere secondo natura e nell’esercizio della virtù che basta da sola a se stessa. Seneca risponde anche a quanti gli rimproverano la contraddizione fra il rigore etico professato e le ricchezze accumulate: egli afferma di non essere un saggio, ma soltanto un uomo che si sforza di esserlo. De otio  Dedicato ad Anneo Sereno, è mutilo della parte iniziale e finale. Affronta il tema del rapporto fra vita attiva (negotium) e vita contemplativa (otium): vi sono circostanze in cui è necessario che il filosofo partecipi alla vita della città e altre invece in cui è opportuno che egli si ritiri. De tranquillitate animi  Il primo capitolo è costituito da una lunga richiesta di aiuto da parte di Anneo Sereno, l’amico cui è dedicata l’opera, mentre la risposta di Seneca occupa il resto dell’opera. Sereno presenta a Seneca, come a un medico dell’anima, il malessere di cui soffre: è vittima del taedium vitae, «la noia di vivere», in costante oscillazione fra il male e quel bene che non si risolve a intraprendere. Seneca gli fornisce una serie di precetti per «guarire», che si concretizzano in indicazioni pratiche su come comportarsi nella varie circostanze della vita. La via d’uscita è la ricerca di un ideale equilibrio fra otium e impegno nella vita pubblica. De brevitate vitae  Dedicato a Pompeo Paolino, il prefetto dell’annona, parte dall’affermazione paradossale che non è

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la natura ad aver reso breve la vita, ma siamo noi a renderla tale. Il tempo non deve essere sprecato in futili occupazioni, ma, come se ogni istante di vita fosse l’ultimo, impiegato nello studio e nell’esercizio per il conseguimento della virtù e quindi della saggezza. Consolatio ad Polybium  Si indirizza a Polibio, il potente liberto di Claudio, per consolarlo della recente perdita del fratello. Il vero scopo dell’opera, tuttavia, è quello di ottenere dall’imperatore, grazie a Polibio, la revoca dell’esilio. Consolatio ad Helviam matrem  Ha come intento quello di consolare la madre della separazione dal figlio. Seneca si mostra convinto che per il saggio non esiste l’esilio, che ogni condizione umana è sopportabile se l’uomo non viene meno alla sua dignità: l’esilio è un semplice mutamento di luogo, un’occasione di otium e quindi di pratica della virtù.

Altre opere filosofico-morali De clementia  Il trattato – dei 3 libri di cui era composto ne sono rimasti 2 – si rivolge a Nerone, da poco imperatore, elogiandolo per aver saputo fino a quel momento esercitare con umanità e mitezza d’animo il suo potere illimitato. La virtù più grande di cui il principe dà prova è la clemenza con la quale egli si distingue dal tiranno, si procura la fedeltà dei cittadini e garantisce la stabilità dell’impero. De beneficiis  Dedicato all’amico Ebuzio Liberale, in 7 libri, tratta di uno dei fondamenti del vivere civile, il beneficio, di come concederlo e riceverlo, e della conseguente riconoscenza o ingratitudine. Il valore del beneficio consiste nel fatto stesso di donare, nella disposizione d’animo del donatore indipendentemente dal valore della cosa donata o dalle possibili conseguenze dell’atto. Ogni essere umano, anche lo schiavo, è in grado di fare del bene al suo prossimo. Naturales quaestiones  Anche quest’opera è dedicata a Lucilio e si presenta come un compendio di scienze naturali in 7 libri, ciascuno dedicato all’analisi di un fenomeno: il I si occupa dei fuochi celesti, il II dei tuoni e dei fulmini, il III delle acque terrestri, il IV delle piene del Nilo e delle nubi, il V dei venti, il VI dei terremoti e il VII delle comete. Tuttavia, al pari degli altri scritti senecani, anche questa è un’opera filosofica, perché Seneca mira, attraverso le spiegazioni razionali dei fenomeni naturali, a liberare l’uomo sia dalla superstizione che deriva dall’ignoranza sia dalla paura della morte. Epistulae morales ad Lucilium  L’opera consta di 124 lettere divise in 20 libri. Gli argomenti, quasi mai trattati in forma sistematica, sono i più vari; fra gli altri ricordiamo: l’amicizia (lettere 3, 6, 9, 19, 35, 62), l’autosufficienza del saggio (9, 20), il bene (71, 87), i benefici (81), i beni materiali (21, 77, 87, 91), il dolore (24, 63, 67), la felicità (16, 23, 85, 92, 120), la libertà (44), la malattia (50, 78, 104), la morale (49, 58, 89, 94, 95, 111, 113, 117), la morte (4, 30, 36, 54, 61, 82, 117), la natura (5, 51, 55, 56, 60, 106), la povertà (17, 85), la ragione (41, 92), il saggio (74, 76, 98, 109, 118), la schiavitù (47), lo stoicismo (45, 57, 59, 66, 90, 102), il suicidio (70, 75), il tempo (1, 49, 93, 101), la virtù (27, 85, 97), la vita (4, 93, 101), il vizio (1, 97, 104, 122).


4.2 Seneca

Le tragedie Hercules furens  («La pazzia di Ercole») Durante l’assenza di Ercole, Lico ha usurpato il trono di Tebe, cercando di convincere Megara, moglie dell’eroe, a sposarlo. Ercole, una volta ritornato, per volontà di Giunone, in un attacco di follia massacra la moglie e i figli. Rinsavito, medita il suicidio, ma, vinto dalle preghiere del padre Anfitrione, desiste. Troades («Le Troiane»)  La tragedia si apre con i lamenti delle prigioniere troiane sulla loro condizione di schiave: particolarmente dolorosa la sorte di Ecuba. Il dramma si chiude con il racconto del messaggero che narra l’uccisione di Polissena sulla tomba di Achille e la morte di Astianatte gettato dalle mura. Phoenissae («Le Fenicie»)  Il titolo si riferisce alle prigioniere fenicie che costituiscono il coro, ma la tragedia, incompleta, è composta di due tronconi: nel primo Antigone dissuade il padre Edipo dal suicidio; nel secondo Giocasta cerca senza successo di impedire la lotta fratricida tra Eteocle e Polinice. Medea («Medea»)  Medea è decisa a vendicarsi di Giasone che l’ha ripudiata per sposare Creusa, figlia di Creonte, re di Corinto: dapprima ne provoca la morte con vesti avvelenate, poi uccide i due figli avuti da Giasone, fuggendo su un carro trainato da draghi alati. Phaedra («Fedra»)  Fedra, moglie di Teseo, viene respinta dal figliastro Ippolito. Offesa, lo accusa dinanzi al padre di aver tentato di usarle violenza; Teseo le crede e invoca la vendetta di Poseidone: il figlio muore per opera di un mostro marino inviato dal dio. Fedra, disperata, confessa la sua colpa e si uccide. Oedipus («Edipo»)  Una terribile pestilenza ha colpito la città di Tebe. Il re Edipo apprende dall’oracolo di Apollo che il responsabile è uno straniero colpevole dell’assassinio del re Laio, la cui anima, evocata in seguito dall’indovino Tiresia, rivela che Edipo è suo figlio: Edipo è dunque l’assassino del padre e lo sposo della madre Giocasta. Disperato si acceca, mentre Giocasta si toglie la vita con la spada.

sa del sangue del centauro Nesso, pensando che fosse un filtro amoroso. In realtà si tratta di un veleno che divora le carni dell’eroe. Dopo aver saputo che Deianira si è uccisa, Ercole ordina di innalzare un rogo sul monte Eta e vi si immola, rivelando poi dall’Olimpo la sua apoteosi alla madre Alcmena.

L’Apokolokýntosis L’imperatore Claudio, dopo la morte, arriva in cielo: nessuno, neanche Giove, comprende chi sia quell’essere zoppicante che parla in modo incomprensibile. In seguito, con l’aiuto della dea Febbre, Ercole lo riconosce e sottopone all’assemblea dei celesti la sua divinizzazione. La discussione degli dèi si svolge secondo la procedura del senato romano, dove ogni partecipante esprime il proprio parere: in particolare il divo Augusto chiede una severa punizione del nipote, dal momento che ha ucciso numerosi membri della sua famiglia. Alla votazione, tutti si esprimono contro l’apoteosi di Claudio e quindi Mercurio lo trascina rapidamente verso gli Inferi. Viene allora condotto al cospetto del giudice infernale Eaco e sottoposto a un sommario processo, simile a quelli che si svolgevano sotto il suo governo: il princeps è pertanto condannato a giocare per l’eternità ai dadi con un bussolotto forato. Per intervento di Caligola, tuttavia, viene consegnato al liberto Menandro perché lo aiuti nelle inchieste giudiziarie.

Particolare da un affresco pompeiano, i secolo d.C. (Napoli, Museo Archeologico Nazionale).

Agamemnon («Agamennone»)  Egisto e Clitennestra hanno architettato di uccidere Agamennone di ritorno da Troia con Cassandra, figlia di Priamo e sua concubina. Dopo la morte del padre, Elettra mette in salvo il fratello Oreste, ma non riesce a sfuggire alle ire della madre e dell’amante che la relegano in una grotta. Cassandra annuncia la vendetta di Oreste. Thyestes («Tieste»)  L’ombra di Tantalo viene sulla Terra per istigare il nipote Atreo alla vendetta contro il fratello Tieste, che gli aveva sedotto la moglie e insidiato il regno. Atreo finge una riconciliazione, ma gli imbandisce una mensa con le carni dei figli. Quando Tieste chiede di vedere i suoi figli, Atreo gli mostra le loro teste mozzate. Hercules Oetaeus («Ercole sull’Eta»)  Deianira, moglie di Ercole, folle di gelosia per la giovane Iole, invia al marito una tunica intri-

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4. Dall’età giulio-claudia all’età flavia Dalla res publica all’umanità

Tale speculazione viene portata a compimento nel De otio, specialmente laddove emerge l’idea che il saggio debba giovare alla res publica vere publica, cioè all’umanità, e non a una precisa realtà politica (De Otio 4 D La biblioteca dei classici, p. 431), il che riprende e amplia proprio il concetto del «mondo come patria»: si tratta – senza alcun dubbio – della sanzione del fatto che il civis non possa più praticare la libertas politica (come prescritto dal mos maiorum), ma solo quella interiore. La consapevolezza filosofico-politica che emerge da queste riflessioni contribuì dunque ad affrancare definitivamente Seneca dal ruolo di complice del potere, a originare i suoi ultimi capolavori letterari e a portarlo a quella morte esemplare – modellata sul suicidio di Socrate e Catone Uticense – che Tacito ci ha descritto. Si era così moralmente riscattato; d’altronde per un intellettuale romano, soprattutto se aristocratico, rapportarsi o compromettersi con il potere era pressoché necessario e, purtroppo per Seneca, al tempo in cui visse, il potere era rappresentato da Nerone.

Lingua e stile Tra filosofia e retorica

Lo stile della prosa di Seneca è il risultato della rielaborazione, molto personale e originale, di due componenti fondamentali della sua formazione culturale: quella retorica, influenzata dallo stile asiano, ricco ed elaborato, e quella filosofica, che segue l’impostazione didascalica propria della diatriba cinico-stoica.

Ricchezza e finalità dello stile Inconcinnitas, brevitas, drammaticità

La struttura sintattica della prosa senecana è basata sulla paratassi ed è caratterizzata da un andamento irregolare e asimmetrico (inconcinnitas). In tal modo viene dissolta la disposizione gerarchica delle proposizioni propria della tradizione ciceroniana; la coerenza logica e dottrinaria del discorso è quindi affidata, più che a nessi grammaticali, alla contrapposizione o all’accostamento di concetti e di immagini. Notevole è inoltre l’impiego dell’ellissi, specialmente del verbo, come pure l’accostamento di modi e tempi verbali continuamente diversi, o i rapidi mutamenti dall’attivo al passivo e dal discorso diretto al discorso indiretto. Lo stile di Seneca mira inoltre alla ricerca della brevitas, cioè dell’espressione sintetica del concetto che viene espresso con efficacia da frasi a effetto, le sententiae. Alcuni esempi: «Servi sunt». Immo homines («“Sono schiavi.” Sì, ma sono esseri umani», Epistulae 47); oppure la celebre espressione cotidie mori («morire ogni giorno», Epistulae 1,1 D TESTO 1) o l’ancor più famosa vita, si uti scias, longa est («la vita è lunga, se la sai utilizzare»; De brevitate vitae 2). Queste ben si adattano a veicolare al lettore consigli e norme con cui delineare un’arte del ben vivere, con un costante richiamo alla vita concreta, all’esperienza quotidiana. Seneca, inoltre, utilizza lo stile per scandagliare la vita interiore dell’uomo, a partire dalla sua dimensione privata, facendone emergere le pulsioni e i drammi interiori che danno alimento alle passioni: assai felicemente il critico Alfonso Traina ha parlato per Seneca di stile drammatico.

Artifici retorici e lessico Le figure retoriche

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Seneca fa ampio uso di figure retoriche di suono quali l’allitterazione, il poliptoto e l’assonanza. L’artificio retorico da lui prediletto è però la metafora, che allude a immagini della vita quotidiana, dell’esperienza militare, dell’ambito giuridico. Il riferimento all’esperienza militare, in particolare, si riconnette al topos stoico dell’impegno che il saggio deve porre nel perseguire la virtù, come un soldato che si impegna al massimo delle sue forze (vivere militare est, «La vita è una milizia», Epistulae 96,5). Al fine di meglio esplicare un concetto filosofico astratto, Seneca tende a correlarlo


4.2 Seneca con immediatezza a una vicenda concreta, attraverso frequenti richiami per analogia a esempi ed episodi di vita vissuta; la trattazione, pertanto, non si sofferma mai all’ambito teorico, ma mantiene un tono colloquiale, ancor più evidente per la presenza di citazioni, proverbi, e l’inserimento di versi (soprattutto di Virgilio e Ovidio). Un lessico ricco e vario

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Il lessico è particolarmente ricco, e attinge ai campi semantici più svariati, da quello della medicina a quello della lingua parlata, con la presenza di diminutivi e volgarismi. Relativamente al lessico tecnico-filosofico, l’innovazione apportata da Seneca è molto circoscritta, in quanto egli preferisce utilizzare gran parte della terminologia coniata da Cicerone: non mancano, tuttavia, aperture al lessico dell’interiorità (per esempio il termine conscientia, che sarà ampiamente ripreso dai prosatori cristiani).

in breve

ON LINE

• Lucio Anneo Seneca nacque a Cordova, forse nel 4 a.C.; il padre fu Lucio Anneo Seneca «il Retore». Ricevette a Roma una vasta educazione letteraria, storica retorica e filosofica; a partire dal 33-34 d.C. si dedicò, con successo, all’attività oratoria. Dal 41 al 49 d.C. fu in esilio in Corsica. Negli anni 55-59, il cosiddetto quinquennium Neronis, Seneca fu, con Burro, consigliere politico del giovane imperatore. Nel marzo del 59 d.C., in seguito all’uccisione di Agrippina da parte di Nerone, iniziò a distaccarsi gradualmente dall’imperatore, fino al 62 d.C. con il definitivo ritiro a vita privata. In seguito alla scoperta della «congiura dei Pisoni», il 19 aprile del 65 d.C. Seneca viene costretto al suicidio da Nerone. • Seneca ha coltivato i generi letterari più disparati: quello filosofico-morale (che comprende i Dialogi, i trattati De clementia e De beneficiis, e le Naturales quaestiones), l’epistolografia (Epistulae morales ad Lucilium), la tragedia, la satira menippea (Apokolokýntosis) e l’epigramma. • Nei dieci Dialogi il pensiero è sviluppato in modo non sistematico. De clementia e De beneficiis si occupano rispettivamente del governo da parte di un sovrano illuminato e di un modello del comportamento umano basato sul corretto «dare» e «ricevere». Le Naturales quaestiones sono un’opera dossografica di argomento scientifico, ma con l’intento eticopedagogico di liberare l’uomo dalle sue paure irragionevoli. • Le Epistulae morales ad Lucilium, raccolta di lettere di argo-

mento etico ed esortativo, contengono nella forma più ampia e compiuta l’espressione del pensiero filosofico di Seneca. • Le nove coturnate si riallacciano al teatro tragico latino precedente, riprendono spunti dalla poesia di Virgilio e Ovidio e si rifanno, tra i modelli greci, a Euripide e in minor misura a Sofocle. Si tratta delle uniche tragedie della letteratura latina pervenuteci integralmente. • L’Apokolokýntosis, unica satira menippea pervenutaci, è una sarcastica dissacrazione del defunto imperatore Claudio. • Dal punto di vista filosofico, Seneca si richiama fondamentalmente allo stoicismo, ma accetta apporti da altre scuole (cinica, epicurea). Non persegue mai una sistematizzazione del pensiero stoico: il suo intento è sostanzialmente pedagogico ed esortativo, volto a fini pratici. I temi principali sono: la contrapposizione tra otium e negotium; la riflessione sul problema dei rapporti tra filosofia e potere; la ricerca della saggezza attraverso un processo morale di correzione e miglioramento continuo; la meditazione sul tempo e sulla morte; l’analisi e la critica delle passioni. • Lo stile della prosa risulta dall’originale rielaborazione delle componenti retorica e filosofica della sua formazione culturale: il discorso, paratattico, ha andamento irregolare (inconcinnitas). Lo stile mira alla ricerca della brevitas attraverso efficaci sententiae. Tra le figure retoriche è privilegiata la metafora. Il lessico è ricco di termini medici, diminutivi, volgarismi, neologismi.

Verifica Trattazione sintetica di argomenti (max 15 righe) 1. Delinea il complesso rapporto tra Seneca e Nerone. 2. Le Epistulae morales ad Lucilium: definisci la natura dell’opera e delinea le sue tematiche più rilevanti. 3. Spiega perché per Seneca si può parlare di una «filosofia pratica». Quesiti a risposta singola (max 5 righe) 4. Che cosa si intende per Dialogi di Seneca? 5. Qual è il genere letterario dell’Apokolokýntosis? 6. Quali sono le caratteristiche delle tragedie di Seneca? 7. Quali sono gli aspetti più significativi dello stile di Seneca?

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