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La ricerca Ottobre 2012 Anno 1 - n. 1 Nuova Serie

SCUOLA

• Benessere • Valutazione • Disturbi

SAPERI

Le nuove tecnologie didattiche

DOSSIER

Il cinema a scuola

© Shutterstock.

dell’apprendimento Competenze

6 euro

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Il tutor online per l’analisi e la traduzione del testo latino La versione 2.0 è un’esclusiva Loescher

CICERO per l’insegnante L ’insegnante sceglie la versione e la assegna agli studenti attraverso la classe virtuale CICERO riporta per ogni studente gli ambiti di competenza rilevati CICERO impara dal docente e riduce il suo lavoro

CICERO per lo studente C ICERO segue passo passo nella traduzione e adatta il livello delle domande alla competenza rilevata del discente www.cicerolatintutor.it

il “metodo”

Il tutor online di italiano per l’analisi e la comprensione del testo

EUGENIO per l’insegnante L ’insegnante sceglie il testo e lo assegna attraverso la classe virtuale EUGENIO, dopo che lo studente ha lavorato, riporta al docente gli ambiti di competenza rilevati

EUGENIO per lo studente E UGENIO chiede allo studente di confrontarsi direttamente con il testo e lo segue in un’analisi attiva, portandolo a cercare e riconoscere di volta in volta nel testo gli elementi segnalati www.eugeniotutoritaliano.it

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EDITORIALE

Caffè, zucchero e professionalità La prima riforma di cui la scuola italiana ha bisogno è il superamento del senso di frustrazione degli insegnanti. Non ce lo possiamo più permettere.

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12) educare alla convivenza civile., socialità e salute. In definitiva, gli si chiede una competenza professionale elevatissima a prezzo di saldo, invitandolo, per di più, all’autoformazione volontaria e ripagandolo moralmente con una generale perdita di status e di credibilità. I motivi di questo stato di cose – che negli ultimi anni sembra addirittura esasperato – affondano le radici in una storia e in una dialettica ormai antiche. In questa dialettica, la tesi è rappresentata da una classe tecnico-politica carica di buone intenzioni, ma spesso velleitaria; l’antitesi da una categoria docente a volte refrattaria a ogni idea di controllo, valutazione e promozione (intesi sempre, a torto o a ragione, come una interessata forma di attacco alla libertà di insegnamento). La sintesi è sotto gli occhi di tutti. Se al quadro ora tratteggiato si aggiungono l’atavica carenza di strutture, l’imbarazzante teoria di sprechi e le necessità recenti della spending review, si chiariscono meglio le ragioni di un contesto professionale in cui sembra prevalere il senso di frustrazione, lo scollamento tra le ragioni di chi è in cattedra e le attese di chi siede tra i banchi, la generale voglia di fuga. Il fatto è che noi (noi italiani, intendo) questo senso di scollamento e frustrazione non ce lo possiamo proprio permettere: ne va della sopravvivenza di un sistema scolastico che, nel bene e nel male, ha consentito a generazioni di cittadini di godere di pari opportunità, come prescritto dalla Costituzione; ne va della possibilità di vita e di lavoro dei nostri figli e nipoti, destinati a competere sul mercato globale con coetanei agguerriti e attrezzatissimi; ne va della conservazione e valorizzazione dell’enorme patrimonio di competenza e creatività che è la vera ricchezza del nostro Paese. Insomma, ne va della nostra indipendenza economica e culturale. Ma non solo: se pari opportunità, possibilità di lavoro e senso di appartenenza ne costituiscono l’essenza, a me sembra che siano a rischio le radici stesse della nostra democrazia. E questa mi sembra la più ingenerosa delle eredità che potremmo lasciare a quelli che verranno domani. K

n tizio entra in un bar e chiede: «Quanto costa il caffè?» «Un euro», risponde il barista. «E con lo zucchero?», chiede l’avventore. «Lo zucchero è gratis». «Allora un caffè e due chili di zucchero!». A raccontarmi questa barzelletta fu, qualche anno fa, un caro amico (insegnante di lettere) reduce da un collegio docenti in cui si era approvato l’ennesimo progetto-“qualcosa” (salute? help? recupero? nuove tecnologie? qualità?...). La barzelletta, nelle sue intenzioni, diventava parabola e i due protagonisti assurgevano a figurazioni simboliche: il barista/ docente alle prese con l’avventore/preside/ispettore/ sottosegretario/ministro che, con la scusa di aver già pagato il “caffè” del lavoro didattico, si faceva regalare, di volta in volta, chili e chili di nuove declinazioni della cosiddetta “professionalità docente”. Oggi al docente, oltre alla preparazione disciplinare specifica, si chiede, nell’ordine, di: 1) personalizzare la didattica sui singoli allievi; 2) attivare strategie di recupero e di potenziamento; 3) farsi carico dei bisogni educativi speciali dei soggetti che, temporaneamente, non appaiono in grado di adeguarsi al passo dei compagni; 4) predisporre gli interventi idonei per i disturbi specifici di apprendimento; 5) rispettare le diverse forme di intelligenza presenti in classe; 6) includere gli alunni non italofoni: 7) orientare la didattica al saper fare e alle competenze disciplinari e trasversali; 8) preparare gli alunni a prove di valutazione oggettive nazionali; 9) arricchire le lezioni di connessioni web e materiali multimediali; 10) insegnare agli studenti metodi efficaci e sicuri di reperimento di informazioni in rete; 11) insegnare parte della propria disciplina in una lingua straniera;  Sandro Invidia direttore editoriale di Loescher editore. 3


La ricerca Nel prossimo numero Periodico quadrimestrale

Si legge a scuola? E come si legge? Meglio leggere Kafka o la Rowling? Meglio leggere su carta o a video? Meglio leggere in silenzio o ad alta voce? Narrativa o saggistica? Per sé o per gli altri? Per il puro piacere o per imparare qualcosa di nuovo? Domande legittime, ma forse un po’ oziose: serve davvero dare regole e scopi a un’attività come la lettura, libera per definizione? Scuola a parte, a nessuno – in un Paese democratico – viene in mente di imporre la lettura di un testo. Scuola a parte! In aula, infatti, il “consiglio” di lettura sembra avere ancora un senso: punto di partenza di ogni ponderata educazione linguistica e narrativa; palestra per l’acquisizione di competenze specifiche; pratica costante in vista del traguardo più ambizioso: la formazione di cittadini colti e consapevoli. Nel prossimo numero proveremo a interrogarci e, soprattutto, a interrogare autori, scrittori, attori, educatori, insegnanti e studenti su questo tema fortemente attuale: si legge a scuola? E come si legge? Cosa? Per chi? Con che esiti?

Anno 1, Numero 1 Nuova Serie, Ottobre 2012 autorizzazione n. 23 del Tribunale di Torino, 05/04/2012

Editore Loescher Editore

Direttore responsabile Martina Pasotti

Direttore editoriale Ubaldo Nicola

Redazione Sandro Invidia, Elena de Leo Francesca Nicola, Martina Pasotti

Grafica e impaginazione Michele Magnani

Pubblicità interna e di copertina Visual Grafika - Torino

Stampa Rotolito Lombarda Via Sondrio, 3 - 20096 Seggiano di Pioltello (MI)

Prezzi per l’Italia

La scuola come agente di socializzazione politica Gli studi sulla socializzazione politica, ossia su quell’insieme di esperienze che lungo il corso della vita concorrono a plasmare il rapporto con le istituzioni vigenti e l’immagine della propria identità sociale, hanno segnalato l‘importanza dell’adolescenza. Se, infatti, durante l’infanzia (dai sei ai dodici anni) si forma l’orientamento verso la comunità, è nella fase dell’adolescenza che si decidono gli attributi fondamentali della futura personalità politica del cittadino, si decide se la politica avrà uno spazio importante nella sua esistenza, si delineano i tipi del cinico, dello sfiduciato, del conformista, del militante, del contestatore, del sovversivo e così via. Nel prossimo numero esamineremo come, assieme alla famiglia e al “gruppo dei pari”, la scuola occupa un ruolo (sempre più) centrale in questo processo formativo.

Un fascicolo € 6,00 Abbonamento annuo Italia, 3 numeri, € 15,00

Servizio abbonamenti I 3 fascicoli dell’anno 2012 sono gratuiti, pertanto distribuiti esclusivamente in forma di omaggio. Le modalità di acquisto e abbonamento relative alle annate prossime saranno rese note nel primo fascicolo pubblicato a partire dall’anno 2013. Per informazioni e contatti: laricerca@loescher.it.

Autori di questo numero Marco Aime, Fulvio Allegramente, Ilaria Ambrosino, Massimiliano Andreoletti, Ugo Avalle, Riccardo Bruscagli, Valter Careglio, Umberto Curi, Deborah Ellis, Marco Guastavigna, Marco Mezzadri, Francesca Nicola, Ubaldo Nicola, Barbara Papazzoni, Gaia Pieraccioni, Francesco Sabatini, Andrea Sani, Leonardo Tosi, Giancarlo Tucci, Valeria Zagami.

La redazione è lieta di ricevere le vostre proposte e suggerimenti. Scrivete a: laricerca@loescher.it

© Loescher Editore via Vittorio Amedeo II, 18 – 10121 Torino www.loescher.it

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Sommario SAPERI: Le nuove tecnologie didattiche

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Quando le TIC vanno a scuola Valeria Zagami L’insegnante del terzo millennio Marco Guastavigna Web 2.0: promesse e “disconnessione digitale” Massimiliano Andreoletti Progetto Cl@ssi 2.0: una sfida vincente Barbara Papazzoni Tecnologie e disabilità Ugo Avalle Prove di futuro in Danimarca Leonardo Tosi

DOSSIER: Il cinema a scuola

37 44 49 54 58

Quando il cinema è filosofia Umberto Curi Il cinema storico Andrea Sani Le guerre civili al cinema Valter Careglio Il nutrimento dell’intertestualità Deborah Ellis Guerra fredda al cinema: cowboys e comunisti Ubaldo Nicola

SCUOLA: Rubriche

61 65 69 75 79 81 86 91 94 95

Benessere, storie ed emozioni, a scuola Ilaria Ambrosino Dare senso al silenzio Giancarlo Tucci La valutazione a scuola Fulvio Allegramente Meritocrazia: l’esperienza americana Francesca Nicola Le competenze: tra sapere e saper fare Umberto Curi Saper mettere un punto e virgola Francesco Sabatini Verso la scuola delle competenze (?) Marco Mezzadri e Gaia Pieraccioni Competenze e valutazione Ugo Avalle Il rischio della conoscenza formalizzata Marco Aime Scrivere un sonetto del Cinquecento Riccardo Bruscagli 5


SAPERI

Quando le TIC vanno a scuola Occorre adeguare l’istruzione all’era digitale, inserendo le tecnologie dell’informazione e della comunicazione nell’attività scolastica quotidiana. Un excursus storico permette di ripercorrere le origini del cambiamento.

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l Consiglio Europeo di Lisbona ha lanciato nel 2000 l’iniziativa e-Europe, una società dell’informazione per tutti, destinata a diffondere nel modo più ampio possibile le tecnologie dell’informazione e della comunicazione nelle scuole europee, tramite l’inserimento di Internet e delle risorse multimediali. L’Unione Europea ha avviato una politica sulla società dell’informazione dalla metà degli anni Ottanta, attraverso l’impulso ad attività di ricerca e sviluppo nel settore della tecnologia dell’informazione e della comunicazione e alla liberalizzazione delle telecomunicazioni. Una tappa importante del percorso è stata la pubblicazione nel 1993 del Libro Bianco di Crescita, Competitività e Occupazione, il cosiddetto Rapporto Delors, in cui si enfatizza la necessità e l’urgenza di porre lo sviluppo della società dell’informazione come base per rivitalizzare l’economia europea, per creare nuovi mercati e nuovi posti di lavoro, e accrescere il benessere dei cittadini. Dopo la pubblicazione del libro bianco, nel giugno 1994 è stata presentata al Consiglio Europeo di Corfù una relazione dal titolo L’Europa e la società dell’informazione globa-

Un maestro greco con stilo e tavoletta, coppa ateniese a figure rosse, 450 a.C., Museo del Louvre, Parigi.

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 Valeria Zagami 6


SAPERI le, il cosiddetto Rapporto Bangemann, che contiene raccomandazioni sul possibile contributo dell’Unione Europea alla definizione di un quadro normativo per la società dell’informazione con risvolti sul piano sociale e tecnologico. Ciò che noi chiamiamo società dell’informazione ha la sua massima manifestazione pubblica in Internet. Ma Internet in realtà non è altro che l’ultimo stadio dell’evoluzione di un modello socio-organizzativo caratterizzato dal massimo livello di interconnessione e interdisponibilità delle risorse informative, liberamente accessibili.

no trasformarsi in strumenti di riscatto e di contatto per il ripristino della mediazione. L’interpretazione moderna dell’educazione si avvale certamente delle definizioni dell’UNESCO e dei suoi postulati per arrivare ad abbracciare nuovi significati e ruoli sociali nella società della conoscenza; essa inoltre riconosce negli strumenti e nei linguaggi della comunicazione indicatori concreti ed efficaci del sapere, saper fare e saper essere. La scuola, di fronte a una condizione di delegittimazione del proprio statuto e dei suoi attori, può riscattare la propria missione attraverso la sua ricontestualizzazione e apertura verso tre strategie di intervento: la ricerca, la relazione e la riforma».

Gli obiettivi della Commissione Europea Per creare questa “società dell’informazione per tutti” nel 1999 la Commissione Europea ha avviato appunto l’iniziativa e-Europe, un programma ambizioso destinato a diffondere le tecnologie dell’informazione nel modo più ampio possibile. I principali obiettivi dell’iniziativa sono stati e sono: 1) fare in modo che ciascun cittadino, ciascuna abitazione, scuola, impresa e amministrazione entri nell’era digitale e disponga di un collegamento on-line; 2) creare in Europa la padronanza degli strumenti dell’era digitale, con il sostegno di una cultura imprenditoriale pronta a finanziare e a sviluppare nuove idee; 3) garantire che l’intero processo non crei emarginazione, ma rafforzi la fiducia dei consumatori e potenzi la coesione sociale. Per conseguire tali obiettivi la Commissione propone delle azioni prioritarie, da attuare grazie all’impegno congiunto della Commissione, degli Stati membri, dell’industria e dei cittadini europei. Per far entrare i giovani europei nell’era digitale è necessario che la cultura digitale diventi una delle conoscenze di base di tutti i giovani europei. È anche necessario far entrare Internet e le risorse multimediali nelle scuole, e adeguare l’istruzione all’era digitale. Lo scenario descritto apre una nuova prospettiva ben augurante per la scuola in quanto istituzione. La scuola, che è una delle maggiori agenzie di socializzazione, deve aprire le porte alle tecnologie perché ci possa essere una società dell’informazione e della comunicazione. Come sostiene Morcellini, la comunicazione riveste un ruolo di fondamentale importanza per aiutare le istituzioni educative a recuperare la propria mission socio-educativa: «L’attenzione progressivamente si sposta dalla prospettiva giovanile al senso dell’educazione moderna, cercando di analizzare come gli strumenti e linguaggi della comunicazione, spesso causa di gap socioculturali fra giovani e adulti, posso-

Gli obiettivi del progetto e-Europe La scuola, luogo di formazione e di apprendimento vuole dismettere i panni edulcorati dei contenuti analogici e sequenziali, per accogliere, con più entusiasmo rispetto al passato, i germi copiosi del digitale. Ci poniamo delle domande problematiche e allo stesso tempo interessanti perché mettono in risalto dei veri e propri nodi critici delle questioni che stiamo affrontando. La scuola italiana è pronta per fare tutto questo? E gli insegnanti, sono pronti? Ma soprattutto cosa ne pensano? In un passato non troppo lontano la scuola aveva riservato gli spazi degli insegnamenti tecnologici in un’area circoscritta: depositando in stanze/aule isolate dalle classi, in cui avvenivano le lezioni frontali di tutti i giorni, i 20 (nei casi più fortunati) computer ospitati nei laboratori d’informatica. Certo in questo modo, oserei dire rigoroso e di contenimento delle risorse elettroniche, è complicato tramutare la società contemporanea in una «società dell’informazione per tutti, destinata a diffondere nel modo più ampio possibile le tecnologie dell’informazione e della comunicazione». Ecco che si è sentita l’urgenza di fare qualcosa di reale, e tramite l’iniziativa e-Europe si è cercato, se non di rendere concreto materialmente, almeno di avviare formalmente un cambiamento, una “nuova ondata” che investirà la scuola, e quindi principalmente la didattica e la sua naturale riprogettazione. Didattica e riprogettazione, ecco i due termini chiave dello scenario descritto. Potrà sembrare un assurdo concettuale posizionare la dimensione tecnologica sullo sfondo di una riflessione teorica, almeno per il momento; ma è soltanto una scelta funzionale, una dichiarazione di intenti, volta a stabilire non l’importanza della presenza di una qual si voglia tecnologia, ma l’assoluta necessità di cambiamento per quanto riguarda la natura epistemologica della didattica e della sua progettazione. Le nuove tecnologie devono 7


SAPERI|Quando le TIC vanno a scuola essere interpretate come occasione propizia per applicare concretamente l’impostazione costruttivista, in cui il docente orienta il processo di apprendimento del discente: in un sistema di apprendimento costruito insieme. Come sostiene Eletti, l’apprendimento è un processo dinamico nel quale il soggetto ha un ruolo fondamentale: «Il costruttivismo esaspera le posizioni cognitiviste considerando la nozione di realtà come costruzione mentale non solo intrasoggettiva ma anche intersoggettiva. Le percezioni di un individuo della realtà che lo circonda sono, cioè, il risultato non solo dell’attività cognitiva personale ma anche della relazione e interazione con gli altri individui. Per il costruttivismo l’apprendimento è un processo dinamico e attivo messo in atto dal soggetto per l’acquisizione del sapere. Il soggetto che apprende riveste, al contrario di quanto è interpretato nel comportamentismo, un ruolo attivo, che lo rende protagonista delle scelte e dei percorsi attuati per imparare». K Tatto dal saggio Modelli didattici e strategie organizzative per l’inserimento delle tecnologie in classe a confronto: dalla LIM al netbook, di prossima pubblicazione come “Quaderno del La ricerca”.  Valeria Zagami è laureata in Teoria della Comunicazione e Ricerca applicata ai media presso l’Università La Sapienza. È esperta di tecnologie e didattica, collaboratrice ANSAS ex INDIRE. APPROFONDIRE

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M. Banzato, Apprendere in rete, Utet, Torino, 2002. Z. Bauman, Modernità liquida, Laterza, Roma-Bari, 2002. J. D. Bolter, R. Grusin, Remediation, Guerini, 2003 V. Eletti, Che cos’è l’e-learning, Carrocci, Roma 2009. R. Guolo, La società mondiale, Guerini e Associati, Milano, 2003. M. Morcellini, Passaggio al futuro, Franco Angeli, Milano, 1997. M. Morcellini, L. Cortoni, Provaci ancora, scuola, Erickson, Trento, 2007. S. Papert, The Children’s Machine. Rethinking School in the Age of the Computer (1993); traduzione italiana: I bambini e il Computer, Rizzoli, Roma 1994.

La macchina per studiare presentata da Agostino Ramelli nel 1588 in Le diverse et artificiose machine permetteva di consultare contemporaneamente una decina di testi.

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S. Penge, M. Terraschi, Ambienti digitali per l’apprendimento, Anicia, Roma, 2004.

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SAPERI

L’insegnante del terzo millennio: il profilo professionale È importante educare gli studenti a usare Internet come strumento culturale, ad esempio verificando l’attendibilità delle fonti e citandole correttamente. Bisogna però evitare i pericoli della dissipazione e del sovraccarico cognitivo. Sia gli insegnanti sia gli allievi si devono quindi abituare a lavorare usando testi digitali, immagini, video, file sonori e tutte le risorse della rete.

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l decreto sulla spending review (varato mentre scriviamo) ha importanti riflessi sul profilo professionale degli insegnanti, perché introduce l’obbligo di pagella on-line e registro elettronico dal prossimo anno scolastico. Tutti i docenti dovranno comprendere la differenza concettuale e giuridica tra due nozioni. La prima è la digitalizzazione, ossia la sostituzione totale dei documenti cartacei con gli equivalenti su supporto elettronico, che assumono il medesimo valore legale, si qualificano come prodotti originali ed ammettono il rilascio di copie analogiche, su supporto tradizionale, come nel caso della pagella. La seconda è l’informatizzazione, ossia impiego di dispositivi e programmi di tipo appunto informatico per produrre documenti cartacei che conservano la caratteristica di prodotto originale e pieno valore legale. La distinzione rivela come l’introduzione delle tecnologie digitali dell’informazione e della comunicazione nella scuola abbia impatti operativi importanti e rilevanza culturale ben più estesa degli aspetti tecnici a cui ancora molti riducono il problema. Va detto, anzi, che ora come ora, non sono le prospettive didattiche delle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione (TIC) a condizionare il profilo professionale degli insegnanti, ma gli aspetti meramente amministrativi. Importanti operazioni che in precedenza si effettuavano presso uffici tradizionali, come le domande di mobilità (trasferimento) o di partecipazione agli esami di Stato, sono state infat-

ti trasferite sul portale ministeriale Istanze On-line, per accedere al quale ogni dipendente deve utilizzare le credenziali (nome utente e password) ottenute iscrivendosi ai servizi del dominio istruzione.it, in particolare alla casella di posta istituzionale. Anche Commissione Web (applicazione ministeriale per la gestione delle operazioni relative agli esami di Stato del 2012 e con ogni probabilità del futuro) vincolava l’accesso di presidente e commissari alla loro esistenza e identificazione nei luoghi virtuali appena descritti. Altri esempi riguardano retribuzioni e dichiarazione dei redditi, che richiedono un’interazione con il portale Stipendi PA (Pubblica Amministrazione). Da tempo, per altro, la destinazione dei commissari, la composizione delle commissioni d’esame e gli esiti delle richieste di trasferimento sono pubblicati in rete per poi essere notificati agli interessati. Infine, cambiando parzialmente prospettiva, sul sito dell’ANSAS-INDIRE sono contenute indicazioni e possibilità di formazione, ma anche bandi di concorso per chi possieda particolari requisiti scientifici e specifiche abilità culturali. Insomma, è molto evidente che per gli insegnanti l’utilizzo consapevole della rete Internet e l’assunzione su di essa di un’identità riconosciuta dall’istituzione scolastica nel suo complesso sono condizioni necessarie per esercitare in modo completo il proprio ruolo, dal punto di vista di doveri, diritti e opportunità. I nuovi dispositivi informatici Più in generale, avere familiarità con le tecnologie digitali per un docente, significa conoscere: 1) gli elementi tecnici di base;

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SAPERI|L’insegnante del terzo millennio

Dai portatili veri e propri derivano i netbook (detti anche netpc), computer ridotti ai minimi termini, con costi, prezzi e dimensioni inferiori, finalizzati soprattutto alla navigazione in rete, facilitata dal fatto che alle linee telefoniche tradizionali si sono affiancate (a volte anche sul versante delle offerte commerciali) le connessioni UMTS, realizzate con particolari chiavette USB, che funzionano come modem collegato alle reti cellulari veloci. Garantire velocità e di conseguenza potenza (capacità di ricevere e inviare ampie quantità di dati in tempi rapidi) alle connessioni Internet mediante le tecnologie ADSL, le fibre ottiche e così via, è stato ciò che ha consentito un vero e proprio salto di qualità all’inizio del millennio. Tanto è vero che per le zone e le persone non raggiunte dalle linee veloci fisse o cellulari si parla di digital Un divide, considerato elemento ma estro g r ec di arretratezza e potenziale disao co n un a gio socio-culturale. llievo, c oppa ateniese a figure Ai netbook si sono poi affiancati gli ultrabook, portatili di dimensioni e peso ridotti, realizzati però con componenti che non sacrificano a questo velocità e potenza di esecuzione e perciò più costosi. A fianco degli ultrabook si collocano sul mercato i tablet, con capostipite l’iPad. Le “tavolette” digitali propongono all’utente uno schermo a tecnologia multitouch, che permette di interagire con il computer contenuto all’interno mediante le dita o uno stilo, con combinazioni anche complesse di pressioni e strofinamenti, che realizzano azioni diverse. Windows 8, nuovo sistema operativo annunciato dalla più importante azienda del settore, Microsoft, fa di queste funzioni tattili, considerare spontanee e intuitive, il proprio punto di forza cognitivo e di marketing.

2) le più promettenti caratteristiche culturali e intellettuali; 3) le più interessanti azioni di mediazione didattica; 4) alcuni aspetti giuridici. Tutti sanno che per l’accesso alla rete serve un computer collegato a Internet attraverso linea telefonica dedicata e modem. Senza entrare in dettagli, occorrono alcune precisazioni. Innanzitutto, il concetto di personal computer: il primo pc è il 5150 dell’IBM, del 1981. Questo dispositivo (la cui caratteristica di base è l’autosufficienza operativa) implementa un modello logico-funzionale destinato a replicarsi fino ai giorni nostri, evolvendosi in diversi strumenti con lo stesso schema di fondo basato su tre elementi: 1) l’hardware, ovvero l’insieme dei componenti fisici e materiali del computer; 2) il software, l’insieme dei componenti immateriali di un sistema informatico, ovvero l’intelligenza operativa che lo trasforma in un oggetto utilizzabile con diversi scopi; 3) il riferimento a un utente generico, interessato ad attività variabili e diversamente combinabili, in funzione del software effettivamente installato, come calcolo, elaborazione culturale, giochi, intrattenimento e così via, fino alla navigazione su Internet. I primi dispositivi con questo schema logico-operativo trionfavano su tavoli e scrivanie, tanto che presero il nome di computer desktop, che conservano anche attualmente, quando il loro spazio di mercato si è molto ridotto, a favore dei cosiddetti portatili, che il possessore può recare con sé dovunque, anche perché dotati di batterie e quindi di una certa indipendenza temporale da una fonte di energia elettrica. UNESCO: le competenze tecnologiche

ICT Competency Standards for Teacher: il documento dell’UNESCO sul quadro di riferimento per le competenze tecnologiche degli insegnanti. La versione italiana è visibile sul sito: http:// elkmserver.dist.unige.it.

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Il mercato attuale propone infine un altro dispositivo, con caratteristiche particolari e in rapida evoluzione: l’ebook reader. Si tratta di uno strumento destinato a immagazzinare materiali elettronici pensati per la lettura e spesso anche all’annotazione. Molti ebook reader consentono il collegamento a Internet per acquistare libri e riviste; la loro peculiarità è però la tecnologia detta inchiostro elettronico: lo schermo non è retroilluminato e rende quindi la lettura più agevole per gli occhi. Siamo in un momento di transizione: in p a r t i c o l a r e, sono attesi dispositivi che associno alle funzioni touch (che rendono il girare le pagine un’operazione quasi identica alle abitudini consolidate sulla carta) la gestione del colore. Anche per questa ragione, al momento è difficile ipotizzare un modello preciso di libro di igi. Par , e r v u testo (ebook a vocazione didato el L eo d s u M tica) autosufficiente. Vanno ancora .C., ateniese a figure rosse, 480 a segnalati alcuni dispositivi ibridi, primi tra tutti gli smartphone (telefonini intelligenti), che arricchiscono le funzioni comunicative con la navigazione in rete, la posta elettronica e con una gamma di applicazioni sempre più vasta e variegata. Tra i dispositivi cataloghiamo infine le cosiddette periferiche (stampanti, fotocamere, chiavette USB e così via) collegabili a un computer per accrescerne le potenzialità operative.

Apple, quelli di Steve Jobs). Un ruolo particolare è esercitato da Linux, le cui caratteristiche sono tre: 1) scrittura mediante “codice sorgente aperto” (opensource), in modo che chiunque possa vedere e modificare il codice in cui è scritto; 2) fornitura in distribuzioni, la più famosa delle quali è al momento Ubuntu, che comprendono non solo il sistema operativo, ma anche un ampio corredo di programmi, per una vasta gamma di attività; 3) licenza d’uso senza richiesta di royalties, come invece avviene negli altri due casi. In tutti i casi, l’utente dovrà e potrà aggiungere altri programmi applicativi a seconda delle proprie esigenze o preferenze. Nel mondo Linux funzioneranno sempre i principi-cardine di tipo opensource, mentre negli altri due casi i software potranno avere queste caratteristiche commerciali: 1) licenza d’uso free (senza pagamento di royalties); 2) licenza d’uso shareware (pagamento di royalties dopo un certo tempo o per avere la totalità delle funzioni); 3) licenza d’uso vera e propria (pagamento di royalties per l’uso del software, magari dopo un breve periodo dimostrativo). Poiché alcuni programmi sono abbastanza costosi, è bene sapere che nella gran parte dei casi ai software commerciali più noti e diffusi corrispondono prodotti free e opensource equivalenti non solo sul piano operativo, ma anche su quello del formato dei file prodotti. Questa caratteristica, che è molto importante per consentire una facile circolazione dei dati, è detta interoperabilità ed è ormai garantita nella gran GOOGLE LIBRI: la ricerca bibliografica

Il software e i suoi problemi Abbiamo già detto che il sistema operativo è la base per far funzionare i dispositivi, dando loro destinazione operativa specifica. Nel mondo dei pc il più noto e diffuso è Windows, ma una parte significativa del mercato è coperta da MacOSX (computer

La funzione Libri di Google permette di restringere la ricerca in rete ai soli prodotti editoriali, compresi quelli cartacei prodotti precedentemente all’introduzione di Internet.

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SAPERI I L’insegnante del terzo millennio parte dei casi e tra i diversi sistemi operativi. Sia nel mondo Windows sia in quello MacOSX è insomma possibile allestire un pc pienamente all’altezza dei tempi utilizzando software free e opensource, pagando soltanto la licenza del sistema operativo in uso. La comunicazione tra i vari pc è poi ulteriormente garantita perché: 1) la maggioranza dei programmi più diffusi ed efficaci, sia commerciali sia di altro tipo, è rilasciata in modalità multipiattaforma (ovvero per tutti i sistemi operativi); 2) i formati della rete sono di fatto universali; 3) la logica visivo-funzionale di tutti gli ambienti è ormai quella dell’interfaccia analogica, che propone icone (simboli di azioni e di caratteristiche), menu e finestre con cui impostare ciò che si intende fare.

può anche utilizzare i diversi media come costante risorsa strutturale per l’insegnamento e per l’apprendimento. Più in generale, essere connessi a Internet (singolarmente, ma soprattutto in aula) significa poter estendere in tempo reale il proprio panorama informativo a tutte le risorse che la rete mette a disposizione, fornendo risposte a interrogativi e attuando analisi critiche, confronti tra fonti diverse e così via. La priorità attuale è insomma educare gli studenti a usare Internet come strumento culturale, verificare l’attendibilità delle fonti e citare correttamente le pagine e i siti giudicati significativi. Il compito di questa generazione di insegnanti è far comprendere che le risorse delle rete vanno integrate con quelle tradizionali, dalle biblioteche cartacee ai libri di testo, anche sul piano metodologico. Per ottenere questo, se ne devono convincere in prima persona. È importante quindi sapere che non vi sono soltanto i motori di ricerca generalisti, ma anche strumenti dedicati a funzioni particolari, come Google Scholar, che fa ricerche solo sui siti di università, centri di ricerca e riviste accreditate. Oppure apprezzare il fatto che una delle conseguenze della digitalizzazione dei libri, è l’estensione dell’indagine per parole-chiave ai manufatti culturali antecedenti Internet: è il caso della ricerca di Google limitata all’insieme Libri. O verificare l’efficacia della funzione knowledge graph di Google, che restituisce una rappresentazione concettuale delle risposte alla chiave di ricerca utilizzata.

La cognizione e la cultura Le infrastrutture attuali permettono l’accesso (anche a scuola) a moltissimi prodotti culturali multimediali. Tutti conoscono YouTube ma ci sono vari altri esempi, come European Film Treasures, a cui si aggiungono i palinsesti televisivi e radiofonici di emittenti di tutto il mondo: abbiamo insomma a disposizione enormi depositi di materiali per documentare, integrare, chiarire, approfondire i contenuti di apprendimento. Anche le case editrici, del resto, forniscono materiali di questo tipo. La scuola, quindi, non solo ha la possibilità di variare gli approcci e di usare una pluralità di linguaggi, ma

GOOGLE: I grafici della conoscenza

Un sito dedicato alla formazione dei docenti

La funzione knowledge graph, introdotta recentemente da Google, apre la strada a un’evoluzione semantica della ricerca in Internet: le parole-chiave, infatti, non sono più considerate semplici link a siti specifici, ma vere e proprie nozioni complesse, connesse all’oggetto della ricerca e messe in relazione fra loro in modo organizzato.

Guide to Everything gestito da Kathy Schrock’s è visibile in http://www.schrockguide.net/techskills-for-teachers.html.

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Tra i primi strumenti tecnologici per facilitare l’apprendimento, diffusi in età moderna, a partire dal Rinascimento, vi furono gli hornbook, tavolette munite di un manico e spesso di una cordicella affinché l’alunno potesse portarle sempre con sé esercitandosi a ritrovare nel testo del Padre nostro (in basso) le lettere dell’alfabeto (in alto). Per evitare che le dita dei bambini, non sempre pulite, sporcassero la tavoletta, la superficie era ricoperta con uno strato di mica trasparente, tale da conferirle un colore perlaceo simile a quello di un corno (da cui il termine horn). Molto diffusi erano anche stampi per realizzare speciali hornbook in pastafrolla, così che i più piccoli, dopo aver studiato, potessero mangiarseli.

Un’altra caratteristica della rete è l’esaltazione dell’ipertestualità, rappresentata dal link, ossia dalla messa in evidenza di un collegamento a un altro nucleo informativo visivamente marcato (per lo più una parola-chiave sottolineata), attivabile con un click del mouse; dal punto di vista logico definiamo questa funzione come sintassi per rimando e richiamo, da quello culturale la interpretiamo come possibilità di fruire immediatamente di un contenuto citato. Siamo di fronte a modalità di lettura estesa, di grande potenza: i manufatti culturali sono stati dotati di un modo maturo per riprodurre complessità e dinamicità della conoscenza umana: ciascuna singola opera è aperta al confronto con altre; ciascun concetto può essere visto da più prospettive e così via. Va sottolineato che note, citazioni e bibliografie sono sempre state strumenti ipertestuali. Sul supporto tradizionale esse contengono dati inerti, il cui reperimento è a carico di chi legge. La presenza del link risolve l’inerzia e determina una potenziale acquisizione di conoscenza dinamica: tutto è potenzialmente collegabile con tutto. La seconda priorità della scuola è perciò evitare che questo processo produca dissipazione o sovraccarico cognitivo: gli studenti, guidati dagli insegnanti (che devono sperimentate a loro volta questa nuova modalità), devono imparare a leggere in modo ipertestuale, che significa saper formulare e verificare ipotesi sulle ragioni di presenza e attivazione di un link.

Gli aspetti giuridici Nel citare il software opensource (intorno al quale è nato un vero e proprio movimento culturale) e le licenze d’uso, abbiamo accennato in modo implicito al problema del diritto d’autore. Il trasferimento su supporto digitale di molti contenuti culturali fa sì che sia cresciuta in modo esponenziale la “pirateria”, copia e uso di contenuti e strumenti in violazione del copyright. Troppo spesso la scuola è indifferente a una questione che ha invece valenza d’educazione alla cittadinanza. Sono ignote non tanto la questione in sé, quanto l’esistenza di significativi modelli alternativi. Ci riferiamo in primo luogo ai contenuti aperti (open content), il cui modello di riferimento è Wikipedia: la conoscenza è un bene comune, e come tale va trattata e distribuita. Più in generale consideriamo però la prospettiva delle Creative Commons Licenses, movimento culturale che dà vita a numerose iniziative, tra cui un motore di ricerca dedicato (creativecommons.it): chi applica una licenza di questo tipo al proprio materiale culturale lo rende esplicitamente utilizzabile da altri, a volte consentendo anche modifica e uso commerciale, vincolando in linea generale solo alla citazione della fonte. È importante che insegnanti e allievi si abituino a utilizzare per le loro produzioni digitali testi, immagini, video e file sonori rilasciati con queste caratteristiche. Lo stesso Google, del resto, consente di fare ricerca sulle immagini individuando 13


SAPERI | L’insegnante del terzo millennio quelle che sono marcate con licenza CCL. Un’altra questione molto importante per gli insegnanti che intendano utilizzare in modo intensivo risorse digitali e rete nella didattica è l’obbligo di tutelare i minori durante la navigazione e in genere le attività su Internet. La soluzione più semplice è dotarsi di un filtro, costituito da dispositivi hardware e software forniti in vario modo, compresa la sostanziale gratuità, come nel caso di Asso Dschola.

funzionano sul pc, indipendentemente dal fatto che la LIM sia o meno connessa allo stesso; 3) con una LIM, pertanto, si possono utilizzare, con proiezione collettiva su uno schermo che permette anche l’interazione, tutte le applicazioni installate sul pc ad essa collegato; 4) la lavagna digitale, quindi, valorizza qualsiasi metodologia e ogni situazione didattica che possano impiegare in modo utile un ambiente digitale, fruito nelle condizioni appena descritte. Precedente alla lavagna è l’impiego del solo proiettore digitale, che consente di rendere visibile da un gruppo ampio quanto realizzato su un computer. È una possibilità da non sottovalutare: si pensi alla proiezione commentata di slide digitali o alla navigazione critica collettiva su Internet. La LIM è del resto integrata nell’arredo operativo e cognitivo delle cosiddette classi 2.0, fondate sull’idea di fornire un computer a ogni studente. Alla possibilità di sviluppare attività collettive si aggiunge quella del lavoro individuale o per piccoli gruppi, sfruttando tutte le risorse installate sui diversi computer (o, in qualche caso, tablet), che qualche volta bambini e ragazzi portano anche a casa, per fare i compiti e studiare. Poiché, soprattutto in quest’ultimo caso, è bene prestare la massima attenzione alla dotazione fornita agli studenti, diamo alcuni sintetici suggerimenti. Il progetto di valutazione del software didattico dell’INDIRE è cessato in sé da anni, ma è ancora raggiungibile via Internet: sono interessanti sia i programmi recensiti, sia le categorie tecniche, culturali ed ergonomiche utilizzate per l’analisi dei diversi prodotti. Importante la sezione di strumenti specifici per diversi tipi di disabilità. I bambini della scuola primaria, poi, hanno a disposizione vari tipi di ambienti a loro destinati: ci riferiamo ai giochi e a software di apprendimento con destinazione specifica, ma anche ai programmi con un’interfaccia semplificata, ludica, magari realizzata con colori particolarmente vivaci e icone ingrandite. È il caso di OpenOffice4Kids, insieme opensource di programmi per scrittura, calcolo e realizzazione di slide pensato per i più giovani, ma anche di Kit4Kids, strumento per l’adattamento di Microsoft Office alle esigenze dei più piccoli, scaricabile gratuitamente. Sempre in questo ambito, va infine segnalato anche FacilitOffice, che ottimizza l’interfaccia di Office e OpenOffice per soggetti dislessici. K

La mediazione didattica Ci occupiamo di ambienti e strumenti destinati a rendere le tecnologie protagoniste dell’innovazione didattica. Non è questo il caso dei cosiddetti laboratori di informatica, dove si svolgono per lo più attività a rotazione, che non riescono a essere significative per il rinnovamento degli insegnamenti nelle diverse discipline e nei vari campi di esperienza e di conoscenza. In questa prospettiva, il dispositivo più noto e atteso è la lavagna interattiva multimediale (LIM): sono in corso i piani ministeriali di diffusione e molte scuole hanno qualche aula dotata di questo arredo. È bene tuttavia che tutti conoscano alcuni aspetti non sempre del tutto chiari: 1) la LIM non è nulla di più e nulla di meno di una periferica del computer; la sua superficie è multitouch e quindi consente di interagire con i software installati sul pc mediante le dita e/o uno stilo. La superficie medesima visualizza quanto trasmesso dal computer a un proiettore, servendo anche da maxi-monitor; 2) i software (compreso il programma commerciale che i fornitori della lavagna abbinano al dispositivo)

EPICT: La patente del docente informatizzato

The European Pedagogical ICT Licence, contiene tutti i dettagli intorno al progetto di Patente pedagogica europea del computer. La versione italiana è in www.epict.it/.

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 Marco Guastavigna è insegnante nella scuola secondaria di secondo grado e formatore. Tiene traccia della sua attività intellettuale in www.noiosito.it. 14


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Web 2.0: tra buone intenzioni e “disconnessione digitale” Uno degli obiettivi principali del Web 2.0, ossia la possibilità d’una maggiore personalizzazione dell’apprendimento, è ancora lungi dall’essere raggiunto. Occorre agire sulla formazione degli insegnanti; non solo e non tanto sulla formazione tecnica e gestionale, ma in primo luogo metodologica.

U

n’istanza frequente che accompagna i discorsi sulle tecnologie nella scuola è volta a capire quanto queste siano capaci di favorire l’apprendimento di contenuti disciplinari. La domanda, ovviamente lecita in quanto risponde alle esigenze della scuola, insinua il dubbio che la presenza delle tecnologie si riduca a mero supporto per l’acquisizione di contenuti disciplinari legati al curriculum e che manchi una riflessione in prospettiva sul significato che tali strumenti hanno nella società contemporanea. Questo sospetto diventa tangibile soprattutto quando vengono trascurate, se non addirittura rifiutate, le competenze che l’introduzione del digitale nell’attività didattica comporta, poiché ritenute esterne a ciò che la scuola dovrebbe veicolare. Ad esempio, vi è scarso interesse da parte di docenti e studenti all’interno della scuola per le questioni inerenti le modalità di accesso all’informazione, la gestione dei propri dati personali, la manipolazione di contenuti audio/ video, la possibilità di accedere a servizi e strumenti propri del Web 2.0 ecc. Su questo ultimo argomento risulta significativa la ricerca Leadership for Web 2.0 in education. Promise and reality svolta dal Consortium for School Networking (CoSN) e finanziata dalla McArthur Foundation, che indaga gli atteggiamenti verso le tecnologie Web 2.0 da parte dei responsabili dei distretti scolastici nella realtà statunitense. Nonostante si riferisca alla realtà scolastica nordamericana, lo studio risulta utile per comprendere le questioni connesse all’accesso alle risorse del Web 2.0, sviluppando più a fondo di altri il ruolo delle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione (TIC) nella scuola. La ricerca rivela una “disconnessione digitale” che si evidenzia

tra pensiero e azione quando si tratta di utilizzare le tecnologie Web 2.0 nell’attività didattica quotidiana. Sebbene il 77% dei dirigenti concordi con l’affermazione «il Web 2.0 è significativo per l’insegnamento e l’apprendimento», la maggior parte di loro impedisce l’utilizzo di ambienti di social networking on-line (70%) e chat room (72%) nelle classi di competenza. È palese come questo atteggiamento acuisca sempre più il divario fra le modalità di apprendimento a scuola da parte degli studenti e le modalità di interazione che intercorrono tra di loro e con gli oggetti di conoscenza al di fuori di essa; a questo si aggiunga il fatto che la scuola non comprende quale ruolo debba avere nel fare da mediatrice fra tecnologie della comunicazione e le giovani generazioni, avide consumatrici proprio di tali risorse. Queste considerazioni portano alla luce il fatto che, negli ultimi anni, la scuola è stata coinvolta, volente o nolente, in un dibattito sul ruolo che le tecnologie, specialmente quelle digitali, possono e devono avere per agevolare il processo di insegnamento e apprendimento. Una nuova cassetta degli attrezzi Nonostante la presenza di perduranti sacche di resistenza all’introduzione delle tecnologie nella scuola, dovute spesso a ragioni di mera matrice ideologica a ogni livello della struttura scolastica, molte realtà sparse sul territorio hanno compreso che il “cedere” alle tecnologie risulta essere un’occasione per individuare risorse che arricchiscono “la cassetta degli attrezzi” del docente e, nel contempo, forniscono alle giovani generazioni gli strumenti interpretativi e le competenze necessarie per essere cittadini competitivi nella società d’oggi e in quella di domani. Un’opportunità, più che un tributo che si dovrebbe pagare all’incalzante processo innovativo che tenderebbe a eliminare il “vecchio”. Non essendo ancora

 Massimiliano Andreoletti 15


SAPERI | Web 2.0: tra buone intenzioni e “disconnessione digitale”

Weights and Measures, da The New Education, The Diamond Publishing, Minneapolis, 1896.

Development of Number, da The New Education, The Diamond Publishing, Minneapolis, 1896.

riusciti ad andare completamente oltre la contrapposizione tra apocalittici e integrati, abbagli e derive rimangono comunque forti, perché è sempre presente il rischio di cadere vittime di quelle ragioni che spingono sempre più per l’introduzione di tecnologie digitali all’interno della scuola. A certi livelli l’illusione che solo una forte immissione di tecnologia possa risolvere i problemi che affliggono la scuola ha generato negli anni discorsi entusiastici su strumenti quasi “miracolosi”. Non di meno, la convinzione che la scuola debba necessariamente tenere il passo con l’evoluzione tecnologica non tiene in considerazione che questa “rincorsa” vedrà la scuola sempre perdente, in quanto vittima del mercato (perché non avrà mai i fondi necessari per adeguare costantemente le sue dotazioni infrastrutturali) e carnefice dei suoi attori, che non avranno mai il tempo per poter sperimentare e far sedimentare metodologie e competenze adeguate a ogni “novità” introdotta. Di tutte le innovazioni avvenute nella storia, si può affermare con certezza che solo la lavagna in ardesia, il libro e la penna a sfera (evoluzione della pen-

na d’oca) sono effettivamente entrate in ogni classe. Dei media apparsi nel ventesimo secolo (quotidiani e periodici, fotografia, radio, film, televisione, videogiochi, computer, Internet ecc.) nessuno è riuscito finora a entrare nelle didattica quotidiana in modo diffuso, sistemico e perdurante. Chi sostiene l’urgenza di un adeguamento tecnologico dovrebbe rispondere ad alcune annose questioni. Cosa la scuola dovrebbe sacrificare sull’altare della necessaria innovazione? Quanto tempo trascorre prima che una tecnologia riesca a entrare in ogni classe in modo permanente (e non nella scuola a titolo di sperimentazione)? Quale formazione fornire ai professionisti della scuola, e con quali modalità, affinché essi sappiano gestirne i processi? Prima che tecnici, quali cambiamenti culturali sono necessari per poter dire che un nuovo medium è divenuto sistema? La scuola, tuttavia, non è immobile e negli ultimi anni molti istituti sono riusciti a rendere sistemica la presenza nell’attività didattica di risorse esistenti nel Web, che, con costi prossimi allo zero, agevolano un’interdipendenza positiva tra docenti e studenti nella gestione dei processi di apprendimento.

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SAPERI ricerca simile per intenti svolta nel 2009 all’interno delle istituzioni scolastiche americane dalla primaria alla secondaria di secondo grado, che si prefiggeva di verificare la situazione presente e i piani futuri delle scuole, le possibili sfide del Web 2.0 e delle tecnologie collaborative. Tuttavia, la sicurezza degli studenti e la scarsa conoscenza da parte degli insegnanti su come utilizzare efficacemente le tecnologie Web 2.0 restano ostacoli per molte istituzioni scolastiche. Jay Sivin-Kachala, vice presidente e capo ricercatore presso l’IESD afferma che: «Nonostante i risultati del sondaggio siano promettenti, esso indica anche le aree che necessitano di miglioramenti per garantire che i distretti scolastici possano soddisfare i bisogni di apprendimento individuali della Net Generation». La ricerca rivela che gli educatori fanno sempre più affidamento sulle tecnologie Web 2.0, producendo risultati positivi per insegnanti e studenti. «Per favorire un efficace utilizzo in tutte le classi e per garantire un’equa opportunità di apprendimento, i distretti scolastici devono fornire un accesso sicuro al Web 2.0, rafforzare lo sviluppo professionale degli insegnanti e robusti sistemi di supporto». La ricerca evidenzia alcuni elementi chiave che risultano molto interessanti sul ruolo che il Web 2.0 sta avendo all’interno delle scuole. Rispetto alla ricerca precedente i distretti scolastici hanno registrato un aumento del 25% o più da par-

La nuova realtà americana La ricerca Digital Districts: Web 2.0 and collaborative technologies in U.S. schools, pubblicata nel marzo 2011 e condotta dall’Interactive Educational Systems Design (IESD), presenta gli esiti di un’indagine svolta sul territorio statunitense, che ha coinvolto oltre 380 responsabili delle tecnologie all’interno dei rispettivi distretti scolastici. La ricerca suddivide le tecnologie Web 2.0 in sette categorie relative alla formazione degli studenti e agli ambienti di apprendimento: 1) contenuti on-line generati dallo studente; 2) contenuti on-line generati dall’insegnante; 3) social networking on-line utilizzato come parte del processo formativo; 4) giochi e simulazioni on-line per l’apprendimento; 5) utilizzo da parte degli studenti degli ambienti virtuali per l’apprendimento; 6) risorse multimediali digitali; 7) strumenti di comunicazione on-line per genitori e studenti (al di fuori dell’orario scolastico). A livello generale, i risultati della ricerca indicano una crescente accettazione del Web 2.0 e delle tecnologie collaborative tra dirigenti scolastici e docenti. Insegnanti e studenti stanno largamente spingendo per l’adozione di tecnologie Web 2.0 nelle scuole, ma fattori umani e tecnologici ne stanno ritardando l’uso in molte classi. I livelli di utilizzo delle diverse categorie di strumenti Web 2.0 sono migliorati rispetto a una

Come il Web 2.0 ha cambiato la vita scolastica americana. La tabella, elaborata sulla base delle risposte degli amministratori dei distretti scolastici americani, misura la negat i va / a l t a m e n t e negativa (in blu) o la positiva/altamente positiva (in giallo) influenza dell’uso di applicazioni Web 2.0 su diversi aspetti del rapporto educativo e della vita degli studenti. Il grafico fa parte della ricerca di C. Lemke, E. Coughlin, Leadership for Web 2.0 in education. Promise and reality, Metiri Group, 2009, consultabile nel sito: www.cosn.org..

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SAPERI | Web 2.0: tra buone intenzioni e “disconnessione digitale” te degli insegnanti nell’uso delle tecnologie Web 2.0 riguardo a diverse categorie: i contenuti on-line generati dall’insegnante sono aumentati del 12%, quelli generati dagli studenti sono cresciuti del 13% e l’utilizzo di risorse sociali/collaborative on-line è stato pari al 20%. È importante sottolineare, però, che la maggior parte dei responsabili intervistati (65%) ha riferito che nell’ultimo anno pochissimi insegnanti hanno utilizzato risorse sociali/collaborative di rete, nonostante queste tecnologie fossero state uno degli strumenti più utilizzati per due anni consecutivi. Nell’introduzione delle tecnologie Web 2.0 all’interno dell’attività didattica, la ricerca rileva che l’ostacolo più frequentemente citato relativamente alla loro adozione è stato la scarsa conoscenza da parte degli insegnanti di metodologie che consentano un loro utilizzo veramente efficace e che le problematiche più spesso citate in relazione alla tecnologia riguardano i problemi di sicurezza degli studenti e la limitata disponibilità di sistemi di supporto, ivi compresa la presenza di personale competente in ambito tecnologico. I livelli di utilizzo di risorse sociali/collaborative e di contenuti on-line generati dagli studenti sono in linea con le preoccupazioni dei responsabili

scolastici rispetto alla sicurezza degli alunni e alla necessità di monitorarne l’uso appropriato. Le dimensioni del distretto scolastico sono un fattore fondamentale per determinare gli atteggiamenti che i docenti hanno verso le nuove tecnologie e il loro uso all’interno dell’attività didattica. Rispetto a diverse categorie di strumenti Web 2.0, maggiori sono le dimensioni del distretto, maggiore è la probabilità che i partecipanti alla ricerca indichino un atteggiamento positivo al loro utilizzo nella propria realtà scolastica. Nei distretti scolastici di medie dimensioni c’è una maggiore probabilità di risultati positivi da parte di insegnanti e studenti, come risultato di un uso delle tecnologie connesse al Web 2.0. Molti distretti scolastici stanno usando o stanno pianificando l’uso di una varietà di applicazioni Web 2.0 per l’attività di insegnamento, compresa la pubblicazione di contenuti on-line da parte dei docenti (76%), l’uso di strumenti di comunicazione e collaborazione on-line (56%) e lo sviluppo/implementazione di attività formative mediate da tecnologie on-line (49%). Rispetto all’indagine del 2009, nel 2011 si registrano interessanti novità. Circa la metà degli intervistati ha riferito che l’uso di risorse sociali/collaborative

The Mechanics of Arithmetic, da The New Education, The Diamond Publishing, Minneapolis, 1896.

Reading, Writing Numbers, da The New Education, The Diamond Publishing, Minneapolis, 1896.

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SAPERI on-line da parte degli studenti del proprio distretto scolastico ha prodotto un aumento della familiarità degli studenti con la tecnologia (53%) e del numero degli studenti motivati a imparare (48%). Altri risultati indicati dal loro uso sono un aumento del livello di coinvolgimento nelle attività didattiche da parte degli studenti (39%) e un aumento delle competenze collaborative degli studenti (38%). Tuttavia, solo il 27% degli intervistati ha riferito che l’implementazione di strumenti del Web 2.0 in classe ha determinato l’utilizzo da parte degli studenti di risorse allineate alle esigenze individuali di apprendimento. La maggioranza ha riferito un aumento della familiarità con la tecnologia da parte degli insegnanti (71%) e il miglioramento delle risorse per l’insegnamento nelle aree di contenuto disciplinare (62%) dopo che gli insegnanti hanno utilizzato tecnologie Web 2.0, con il 44% che indica una migliore comunicazione degli insegnanti con gli studenti.

Practical Measurements, da The New Education, The Diamond Publishing, Minneapolis, 1896.

di metodologie che consentiranno loro di gestire i processi di costruzione della conoscenza in ambienti collaborativi e di valutare i processi e le competenze derivate da un utilizzo di tali risorse. Il management scolastico dovrebbe iniziare a predisporre piani strategici per l’acquisizione sistematica di tecnologie qualitativamente valide e organizzare internamente le risorse a disposizione al fine di strutturare un supporto metodologico e tecnologico agli insegnanti, per una vera integrazione tra “nuovo” e “vecchio”. Questi processi dovrebbero essere agevolati e incentivati da una struttura organizzativa a livello territoriale su base regionale o nazionale, che avrebbe il duplice compito di fornire soluzioni tecnologiche adeguate all’attività didattica (in tal modo si potrebbe evitare il rischio di seguire le mode o il gadget del momento) e di predisporre adeguati percorsi di formazione per insegnanti e dirigenti sul ruolo che le tecnologie hanno e potrebbero avere nella società, e per estensione, nella scuola di oggi. Ultimo, ma non meno necessario, è auspicabile che chi opera a fianco e a sostegno della scuola inizi a predisporre soluzioni che agevolino il docente nella propria attività professionale, ad esempio creando contenuti adeguati alle modalità con cui le tecnologie del Web e dei media digitali si rapportano con i processi individuali e collettivi di accesso alla conoscenza. È alto il rischio che la congiuntura attuale non favorisca la sperimentazione di prodotti con tali caratteristiche e che il mercato si limiti a offrire una mera trasposizione di contenuti da vecchi standard (carta) a nuovi supporti (digitale). K

Le questioni ancora irrisolte La ricerca Digital District fornisce raccomandazioni per aiutare i distretti scolastici a inserire in modo efficace e significativo in classe il Web 2.0 e le tecnologie collaborative. I risultati dell’indagine indicano che molti dirigenti dei distretti scolastici vedono un potenziale nell’uso degli strumenti Web 2.0 per aiutare a soddisfare le esigenze di apprendimento individuale degli studenti, tuttavia il Web 2.0 resterà una risorsa marginale per la formazione se non verrà collegato a obiettivi scolastici. Molti distretti devono ancora definire politiche e procedure per l’effettiva implementazione dei sistemi tecnologici Web 2.0 che allineino l’utilizzo di tali strumenti al curriculum, la valutazione delle competenze e abilità relative al Web 2.0, la sicurezza degli studenti e dei dati, la formazione iniziale e in itinere, un supporto costante dei docenti e l’uso appropriato delle tecnologie. I dati presentati dalla ricerca di fatto suggeriscono che uno degli obiettivi principali del Web 2.0, ossia la possibilità di una maggiore personalizzazione dell’apprendimento, non è stato soddisfatto. Partendo da questa prima riflessione si possono iniziare a definire alcune linee strategiche per l’implementazione di tecnologie che utilizzano ambienti collaborativi on-line orientati a una filosofia Web 2.0. Prima fra tutte è il ripensamento degli obiettivi futuri delle attività di formazione degli insegnanti, che dovranno concentrarsi non solo sull’acquisizione di competenze tecniche (come funziona una tecnologia), gestionali (come garantire la sicurezza degli studenti) e organizzative (come disporre di una maggiore dotazione tecnologica), ma soprattutto sull’acquisizione

 Massimiliano Andreoletti insegna Didattica del Gioco e dell’Animazione nella facoltà di Scienze della Formazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. 19


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Progetto Cl@ssi 2.0: una sfida vincente Il libro digitale si espande sul Web, è mobile, aperto, flessibile, trasformabile. Anche l’ambiente scolastico modifica la sua connotazione fisica e temporale. La classe ora risiede anche sul Web, si dilata nel tempo e nello spazio, perché il rapporto fra alunno e docente va oltre l’unità oraria della lezione.

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l lungo percorso che porta al rinnovamento del sistema scolastico italiano si manifesta, a partire dall’anno scolastico 2009-2010, con il bando ministeriale del progetto Cl@ssi 2.0. Il Ministero della Pubblica Istruzione stanziava un finanziamento di 30.000 euro destinati a ognuna delle 156 classi, della scuola secondaria di 1° grado, selezionate per partecipare alla sperimentazione didattica. La finalità del progetto era verificare come e quanto, attraverso l’utilizzo costante e diffuso delle tecnologie nella pratica didattica quotidiana, l’ambiente di apprendimento potesse essere trasformato. Il progetto si inserisce a pieno titolo nella cornice europea (Europa 2020) delineata a partire dal documento della Raccomandazione del Parlamento e del Consiglio del 18 dicembre 2006 relativo alle competenze chiave per l’apprendimento permanente. Tra le otto competenze chiave, che gli Stati membri dovrebbero sviluppare nell’ambito delle loro politiche educative, si trova la competenza digitale per l’esercizio dei diritti e dei doveri del futuro cittadino del nuovo millennio. All’Istituto Comprensivo San Giorgio di Mantova si trova una delle dodici classi lombarde individuate dal MIUR per la realizzazione del progetto dal titolo: Da nativi digitali a studenti digitali?

L’analisi del contesto socio-culturale, dei ventisei alunni destinatari della sperimentazione del progetto Cl@ssi 2.0, è stata finalizzata alla conoscenza delle dotazioni tecnologiche presenti nel contesto familiare, alle competenze e alle modalità d’uso delle tecnologie stesse. È opportuno notare che il computer, nel vissuto della quasi totalità degli alunni, rappresenta prevalentemente uno strumento di svago. Nei giovani manca la consapevolezza delle potenzialità del pc, e delle tecnologie in genere, come supporti per lo studio e per l’apprendimento. Infatti solo un terzo degli studenti utilizza il computer per scrivere testi, mentre solo cinque alunni della classe attribuiscono un ruolo significativo alla scuola, come luogo in cui poter acquisire competenze sull’utilizzo delle tecnologie. Tale dato è sintomatico del divario esistente tra i nativi digitali e la scuola come ambiente di apprendimento. I ragazzi hanno espresso, inoltre, una forte esigenza di presenza on-line, ed ecco che i social network e i blog risultano essere i primi alleati dei nostri studenti. Alla luce dei dati emersi il Consiglio di classe si è posto come finalità educativa naturalizzare le tecnologie e far acquisire agli alunni la consapevolezza delle potenzialità offerte dalle ICT (Information and Communication Technology) come strumenti di supporto all’apprendimento. Per il raggiungimento degli obiettivi previsti, il Consiglio di classe ha ipotizzato un setting d’aula specifico.

Analisi del contesto L’imponente presenza dei diversi media, in ogni ambito della nostra società, chiede con urgenza alla scuola una profonda riflessione al fine di rendere più attenta ed efficace l’attività formativa ed educativa della scuola stessa, non solo in ordine all’utilizzo, ma soprattutto al ruolo che tali dispositivi occupano nel percorso di crescita di ciascun alunno.

La dotazione d’aula La “classe 2.0” è stata attrezzata con dispositivi di ultimissima generazione, in particolare una lavagna interattiva multimediale multitouch, con l’obiettivo di migliorare l’attenzione, far acquisire uno stile comunicativo efficace, stimolare e migliorare la partecipazione attiva degli alunni, favorire l’inclusione.

 Barbara Papazzoni La ricerca | N. 1 Nuova Serie. Ottobre 2012 |

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Drill in Addition, da The New Education, The Diamond Publishing, Minneapolis, 1961.

Development of Number, da The New Education, The Diamond Publishing, Minneapolis, 1961.

Ogni studente è stato dotato di un notebook appositamente configurato con software didattici specifici selezionati dai docenti: ad esempio programmi per la costruzione di mappe concettuali o strumenti per la rappresentazione dei saperi, per favorire e stimolare un apprendimento autonomo e consapevole. La dotazione comprende anche dieci tablet iPad per facilitare la fruizione di testi in formato digitale. Numerosi sono stati i dispositivi che hanno contribuito ad arricchire l’ambiente di apprendimento, a renderlo accattivante e funzionale. Citiamo, a titolo di esempio, la document camera, i risponditori, le tavolette wireless, i mouse multifunzione con possibilità di scanner, oltre ovviamente alle stampanti. La scelta degli strumenti è stata subordinata alla realizzazione di un ambiente di apprendimento significativo, in cui lo studente potesse acquisire un metodo di studio autonomo, nell’ottica dell’apprendimento lungo tutto l’arco della vita. Inoltre è stata predisposta una piattaforma on-line (LMS) per consentire uno scambio di risorse tra docenti e studenti, tra docenti e docenti oltre che tra studenti e studenti.

Le fasi di sviluppo del progetto Il progetto è stato articolato nell’arco del triennio 2009-2012, seguendo un percorso graduato che ha portato al rinnovamento degli ambienti di apprendimento e dei metodi di insegnamento. Inizialmente gli alunni sono stati dotati di una memoria flash USB con lo scopo di gestire e organizzare in modo autonomo i materiali digitali creati in classe con l’ausilio della lavagna interattiva multimediale. La prima necessità emersa, sia da parte degli alunni sia da parte degli insegnanti, è stata proprio la possibilità di condividere e scambiare materiale. L’aspetto più innovativo della sperimentazione è rappresentato dal fatto che l’utilizzo di contenuti digitali fruiti, ma anche prodotti dagli studenti e dagli insegnanti, grazie ai dispositivi tecnologici, determina un rilevante cambiamento nel rapporto dialogico insegnamento/apprendimento. Nemmeno il libro di testo, in ogni sua forma, cartacea o digitale, sfugge all’evoluzione in atto nei luoghi per tradizione deputati alla crescita culturale delle future generazioni. Grazie ai nuovi strumenti i testi vengono sottoposti a processi di manipolazione e 21


SAPERI | Progetto Cl@ssi 2.0: una sfida vincente rimodulazione. Il libro nelle mani degli studenti digitali si trasforma, si modella, si dilata, si adatta per rispondere alle esigenze del singolo. Il libro digitale, a differenza del suo predecessore, si espande sul Web, è mobile, aperto, flessibile, trasformabile. Si instaura tra testo e lettore un rapporto dialettico, basato su una maggior interazione che sfocia in una personalizzazione nella fruizione dei contenuti, aspetto che più di ogni altro garantisce il successo formativo. In tale contesto di rinnovamento diventa prioritario poter espandere la classe in un ambiente di apprendimento virtuale per distribuire e condividere i materiali realizzati. Il nuovo compito del docente è proprio quello di guidare gli alunni nel percorso formativo, rintracciare le fonti, confrontarle, interrogarle per poi ricostruire il processo che ha come risultato la produzione di un oggetto culturale autorevole e attendibile. Nell’ambiente virtuale gli studenti ritrovano traccia di quanto realizzato a scuola in formato digitale con la lavagna interattiva multimediale o con i loro computer. Ciascuno assume parte attiva nella costruzione del proprio apprendimento e si riconosce in un sistema integrato e collaborativo. I docenti hanno la possibilità di instaurare un nuovo dialogo con i propri studenti, e con le rispettive famiglie, per mezzo degli strumenti di comunicazione offerti dalla piattaforma di e-learning. Tale strumento ha contribuito significativamente ad arricchire il contesto educativo. È stata una occasione preziosa per sfruttare i canali di comunicazione abitualmente utilizzati dagli studenti con l’opportunità di declinarli in funzione dell’apprendimento. Perfino la chat e il forum entrano a pieno titolo nella “cassetta degli attrezzi” del docente del nuovo millennio.

sono al servizio di un nuovo modo di fare didattica. L’interazione è una delle attitudini maggiormente sviluppate dal Web e tale consuetudine si riflette necessariamente anche in ambito scolastico. Spontaneamente gli studenti tendono a mettersi in gruppo, a instaurare rapporti di collaborazione anche e soprattutto nei processi di apprendimento. Questo approccio cooperativo si è rivelato una metodologia vincente che ha scardinato la fisionomia della classe stessa. Alla lezione frontale è stato riservato uno spazio marginale, il lavoro in gruppo si è dimostrato foriero di risorse e stimoli. L’accesso alla rete pone inesorabilmente questioni di carattere didattico la cui soluzione non può essere ulteriormente differita. Si parla, infatti, di sovraccarico informativo che può determinare anche un sovraccarico cognitivo. Diventa necessario, pertanto,

Il patriottico frontespizio di The New Education, The Diamond Publishing, Minneapolis, 1896.

Galileo Galilei affermava che il mondo è un libro che va letto in caratteri matematici, traendone la conclusione che l’insegnamento delle scienze aritmetiche e geometriche dovrebbe cominciare già ai primi stadi del processo educativo, abituando così la mente del giovane allievo a una visione del mondo matematicamente orientata. A riflessioni di questo tipo ci ha spinto la scoperta (in rete) delle belle immagini visibili da pagina 16 a pagina 22: tavole didattiche rivolte ai bambini più piccoli in cui le cose, le situazioni e persino gli ambienti tipici della vita quotidiana diventano occasione per fissare concetti elementari ma fondamentali: peso, numero, quantità, misura, addizione e così via. Altre tavole affrontano addirittura temi politici, visualizzando, con un ottimo uso della grafica, il concetto numerico di maggioranza, così come applicato nelle votazioni parlamentari.

Il nuovo ruolo del docente: tutor on-line L’aula, nel nuovo scenario educativo, si trasforma in un ambiente stimolante e creativo, la classe si dilata nel tempo e nello spazio, l’ambiente scolastico modifica la sua connotazione fisica e temporale in quanto il rapporto alunno/docente va oltre l’unità oraria della lezione tradizionale e oltrepassa lo spazio fisico, si trasferisce on-line, la classe risiede anche sul Web in cui interagisce e di cui sfrutta le risorse culturali. Esercizi interattivi predisposti dal docente, gruppi di lavoro, tracciabilità sia dei processi sia dei contenuti, possibilità continua di interazione: sono solo alcuni degli elementi messi in campo nell’ambiente on-line in cui il docente assume il ruolo di tutor, per creare e gestire contenuti digitali interattivi, per favorire la collaborazione e il tutoring tra pari, nell’ambito di un sistema complesso in cui i dispositivi tecnologici La ricerca | N. 1 Nuova Serie. Ottobre 2012 |

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SAPERI fornire agli studenti del nuovo millennio quegli strumenti indispensabili per governare la rete, per sviluppare quelle abilità di ricerca che approdino alla costruzione del sapere. Sono state sfruttate gran parte delle potenzialità offerte dalla rete: in particolare sono state messe in campo strategie educative per sviluppare un opportuno senso critico nella ricerca di fonti attendibili; il blog è stato inserito in un percorso di scrittura creativa grazie al quale sono stati forniti notevoli stimoli per la produzione di testi scritti. La scrittura assume quindi un importante ruolo sociale finalizzato anche alla comunicazione attiva tra pari. Spesso accade che i docenti che si avvicinano a tali metodologie all’interno di una classe sentano l’esigenza di esportarle anche in altri contesti. In questo modo, da sperimentale, la classe digitale diventa elemento connotativo e imprescindibile di un ambiente educativo in cui il successo formativo è l’obiettivo prioritario.

presso l’istituto comprensivo San Giorgio di Mantova con la nascita del Centro di sperimentazione delle tecnologie didattiche (CSTD) diretto dal dirigente scolastico Ugo Zavanella, grazie al quale le aziende produttrici di hardware e software incontrano la scuola e sono in grado di offrire risposte concrete alle specifiche esigenze della didattica. Inoltre, più ancora che in passato, editori e docenti si confrontano per cercare di delineare il profilo del libro di testo del futuro che sia funzionale e in grado di rispondere alle nuove esigenze. Risulta evidente che il ruolo del docente si è modificato: ora deve facilitare il processo di costruzione attiva del sapere tramite la mediazione delle nuove tecnologie. La scuola sta vivendo una rivoluzione euristica destinata ad aprire ben più ampi orizzonti dell’epistemologia. Compito prioritario diventa educare a vivere con responsabilità e consapevolezza nella società dell’informazione. Tra gli scopi della scuola ci deve essere quello di sviluppare la capacità di usare i nuovi mezzi, di interpretarne criticamente i contenuti veicolati che richiedono adeguamenti semiotici per analizzare e comprendere i nuovi messaggi con competenza e responsabilità. La condizione di transizione in cui ancora oggi si trova la scuola italiana, sia a causa di una diffusione a macchia di leopardo degli strumenti sia per l’atteggiamento a volte diffidente da parte dei docenti nei confronti di nuovi ambienti e di nuovi sistemi, rischia di avvalorare la visione che i giovani hanno di sé, ossia di essere gli unici in grado di gestire i nuovi strumenti. Ecco perché è necessario che il docente recuperi il suo ruolo anche di mediatore tra le tecnologie e i soggetti che ne fanno uso. L’introduzione, ma soprattutto l’utilizzo, negli ambienti di apprendimento, di dispositivi tecnologici deve essere affrontata in termini culturali e non strumentali, condizione che non può prescindere da una peculiare formazione professionale degli insegnanti. K

I risultati di un progetto triennale Al termine del triennio, da poco concluso, possiamo senz’altro stilare un bilancio consapevole e ragionato. Le tecnologie sono entrate a pieno titolo nella scuola e hanno apportato un significativo potenziale educativo e culturale. Il nuovo modo di fare didattica ha innescato la tanto auspicata contaminazione che ha visto il coinvolgimento diretto di tutte le classi dell’istituto e di numerosi docenti. Il ritratto della classe tratteggiato tre anni fa si è modificato, a conferma che gli obiettivi sono stati raggiunti su più fronti: ora, non solo i dispositivi tecnologici rappresentano dei supporti irrinunciabili per lo studio, ma soprattutto gli studenti ne hanno scoperto le potenzialità educative. Grazie all’utilizzo degli strumenti messi a loro disposizione dalla scuola, gli studenti hanno potuto spendere con successo competenze acquisite spontaneamente, hanno condiviso interessi e abilità. Il ruolo importante giocato dal docente è stato quello di costruire un percorso finalizzato alla formazione di cittadini attivi e responsabili, requisiti richiesti per entrare nel villaggio globale dell’informazione. Il monitoraggio conclusivo del progetto ha messo in evidenza che la sperimentazione ha avuto una ricaduta importante sul metodo di studio. Tale dato è decisamente confortante in quanto è un aspetto che esula da una situazione contingente dovuta alla dotazione tecnologica presente. Il processo d’innovazione ha coinvolto più attori, dentro e fuori la scuola. Ha consentito di instaurare interessanti sinergie che hanno permesso di raggiungere traguardi nemmeno ipotizzabili. Un importante risultato è stato ottenuto

 Barbara Papazzoni è docente di Lettere e referente del Progetto Cl@ssi 2.0 presso l’istituto comprensivo San Giorgio di Mantova.

APPROFONDIRE

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www.icsangiorgio.it/elearning www.icsangiorgio.it/blog www.icsangiorgio.it/CSTD.html

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SAPERI

Tecnologie e disabilità

La Teaching Machine proposta dallo psicologo Burrhus Frederic Skinner nel 1954 per realizzare un’istruzione programmata.

Dalla macchina di Skinner alle LIM, la tecnologia in aiuto delle disabilità.

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el 2001, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha elaborato uno strumento di classificazione della disabilità, l’ICF, che, a differenza del precedente ICDH, non consiste in una classificazione delle «conseguenze delle malattie» ma delle «componenti della salute». Nello studio della disabilità si passa, così, da un approccio individuale a uno socio-relazionale; ne deriva che ogni individuo, date le proprie condizioni di salute, può trovarsi in un ambiente con caratteristiche che possono «limitare o restringere le proprie capacità funzionali e di partecipazione sociale». Nel corso degli ultimi anni l’introduzione delle moderne tecnologie ha consentito agli studenti con disabilità di raggiungere un maggior grado di autonomia e ha favorito un mutamento nella didattica che è di-

ventata sempre più “inclusiva”. Già durante gli anni Venti, Pressey aveva introdotto l’uso delle “macchine per insegnare”, per mezzo delle quali veniva presentata all’allievo una batteria di test a scelta multipla, assegnando automaticamente un punteggio e consentendogli di procedere nel compito solo dopo aver fornito la risposta esatta. A partire dal 1954, lo psicologo statunitense Burrhus Frederic Skinner riprese e sviluppò tali tecniche, raffinandole. Sosteneva che per un buon insegnamento fossero importanti tre comportamenti: 1) iniziare dal punto al quale l’allievo è arrivato senza dare nulla per scontato; 2) rispettare il ritmo normale di apprendimento di ogni alunno; 3) correggere le risposte sbagliate e gratificare invece quelle esatte. Riteneva quindi che una “macchina per insegnare” potesse svolgere egregiamente questi compiti, forse

 Ugo Avalle La ricerca | N. 1 Nuova Serie. Ottobre 2012 |

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SAPERI meglio di quanto fosse in grado di fare un insegnante; essa non costituiva pertanto solo un’innovazione tecnica, ma rappresentava l’attuazione di nuovi princìpi nel campo dell’insegnamento. Permetteva di “accelerare l’apprendimento” attraverso l’applicazione delle tecniche dell’istruzione programmata, basate sul presupposto, sperimentalmente dimostrato, che l’apprendimento ha luogo quando il comportamento viene “rinforzato”. Skinner non si poneva, ancora, l’obiettivo di fornire allo studente con difficoltà uno strumento che gli consentisse di superarle oppure di affrontarle in modo adeguato; tuttavia si spinse a ipotizzare che, se gli elaboratori elettronici fossero stati meno complicati, meno costosi e meno ingombranti, sarebbero stati molto utili all’insegnamento.

favorire la loro autonomia. Nell’ambito degli ausili informatici è possibile distinguere tre categorie: 1) accessibilità al pc (dispositivi di input o output); 2) software didattici e riabilitativi; 3) sensori. Inoltre esistono la sintesi vocale (l’applicativo che trasforma il testo digitale in audio) con il relativo software che la gestisce; Carlo Mobile II legge PDF e ha una sintesi di qualità (Loquendo); Clip Claxon gratuito che legge qualsiasi documento; PDF Xchange Viewer. Con la promulgazione della Legge 170 del 2010 Norme in materia di DSA in ambito scolastico e il successivo decreto ministeriale del 12 luglio 2011, Linee guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con disturbi specifici di apprendimento, gli insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado hanno dimostrato un forte interesse anche nei riguardi degli strumenti dispensativi e compensativi che permettono loro (e agli studenti) di affrontare positivamente i disturbi dell’apprendimento.

Tecnologie per le difficoltà Con l’approvazione della legge quadro 104 del 1992 sull’handicap, il discorso sull’utilizzo degli ausili tecnologici come aiuto a tutti i soggetti diversamente abili si è fatto più stringente e, di pari passo, si è iniziato a costruire strumenti tecnologici ed elaborare programmi adatti alle varie tipologie di difficoltà. Questi strumenti e i relativi programmi possono favorire la comunicazione, l’autonomia e in genere l’integrazione sociale dei soggetti diversamente abili. La possibilità di compensare, con un ausilio tecnologico, le funzioni compromesse in questi soggetti, con l’intento di rinforzarne l’autostima attraverso la facilitazione dell’apprendimento, riveste una notevole importanza educativo-didattica, oltre che psicologica sotto il profilo sia individuale sia sociale. Parlare di scuola inclusiva significa, pertanto, considerare sia l’accessibilità dello spazio fisico sia il setting di apprendimento: questi due ambiti sono alla base della riflessione sui disturbi dell’apprendimento. Per i suddetti motivi, l’utilizzo in classe del computer portatile come mezzo per l’apprendimento di contenuti disciplinari specifici, grazie a software didattici predisposti e ambienti informatici ove simulare qualsiasi situazione (reale o ipotetica), permette a tutti gli studenti che presentano deficit e difficoltà di interagire costruttivamente con i compagni di classe e con i docenti. La possibilità di autocorrezione, la velocità di elaborazione, l’immediatezza del feedback e la correzione tecnicamente “pulita” sono fattori che facilitano e stimolano l’apprendimento. I software per l’apprendimento, le sintesi vocali, le lavagne interattive multimediali (LIM), i netbook e i tablet creano una “rete integrata” che permette, grazie a linguaggi diversi e multimodali, di potenziare l’autostima dei soggetti con disabilità/difficoltà e

La lavagna interattiva In questo ambito ha assunto un rilievo importante sotto il profilo metodologico-didattico un nuovo learning object noto con l’acronimo LIM, ossia Lavagna Interattiva Multimediale. La quale è, come noto, uno strumento composto da un sistema hardware supportato da adeguato software; essa si integra bene con il materiale tipico del docente: file in PDF, Power Point, Word e applicazioni in campo scientifico come matLab ed Excel: in questo modo la lavagna può essere utilizzata sia dal docente di materie letterarie o umanistiche, sia da quello di materie scientifiche. L’insegnante può usare le dita per compiere le solite azioni che si fanno sulle lavagne tradizionali: sottolineare, ingrandire e cancellare, grazie alla digitalizzazione di tutte le informazioni che vengono registrate e inserite in un apposito data base. La LIM, con i relativi software e devices collegati (iPad, iPhone, monitor e così via), costituisce uno strumento tecnologicamente più avanzato del proiettore per lucidi, del proiettore per diapositive e infine della videoproiezione di presentazioni in Power Point. L’utilizzo della LIM consente il perseguimento dei seguenti obiettivi. 1) Migliorare la didattica in termini di ricaduta sull’apprendimento degli studenti con disabilità e con DSA. 2) Integrare nella didattica le persone con bisogni educativi speciali (BES) che necessitino di un supporto informatizzato delle lezioni. 3) Realizzare più facilmente uno scambio di materia25


SAPERI | Tecnologie e disabilità

La "macchina per imparare" inventata nel 1926 da Sidney Pressey presentava all’utente, su un carrello non visibile in queste immagini, una domanda corredata da quattro risposte, di cui una sola era giusta. La scelta avveniva pigiando sui tasti che rendono l’apparecchio vagamente simile a una macchina da scrivere. Finita la prova l’utente poteva riesaminare il foglio del contatore per valutare il punteggio ottenuto e gli eventuali errori commessi.

li anche fra docenti diversi nel caso di corsi integrati. 4) Facilitare il processo di studio e di apprendimento, in cui l’interazione tra docente e “lavagna” diventa sicuramente l’elemento chiave per la buona comprensione dei concetti trattati. Con la circolare ministeriale 18 del 9 febbraio 2012 (in relazione alla disposizione contenuta nell’articolo 15 del decreto legge 112 del 2008, convertito con modificazioni dalla legge 133 del 2008) «a partire dall’anno scolastico 2011-2012, il collegio dei docenti adotta esclusivamente libri utilizzabili nelle versioni on-line scaricabili da Internet o miste». Il testo on-line deve rispondere ai requisiti della Legge Stanca in materia di accessibilità, a prescindere dal fatto che possa/debba o meno venire utilizzato da uno studente con disabilità, esattamente come il sito di qualsiasi scuola/amministrazione pubblica. La fornitura della copia del libro di testo alle biblioteche scolastiche «accessibili agli alunni disabili e agli insegnanti di sostegno, nell’ambito delle disponibilità di bilancio» (secondo comma dell’articolo 5 della legge 4 del 2004), dev’essere reinterpretata alla luce del dettato della legge 170 del 2010 (Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in amLa ricerca | N. 1 Nuova Serie. Ottobre 2012 |

bito scolastico), nonché delle Linee guida per il diritto allo studio degli alunni e studenti con disturbi specifici di apprendimento. Tutti gli studenti che hanno bisogno di fruire di libri di testo adeguati alle loro esigenze di apprendimento o di fruirne attraverso diversi canali sensoriali, hanno diritto ad avere a disposizione il libro di testo subito; i disturbi dell’apprendimento richiedono materiali che offrano la possibilità d’essere adeguatamente fruiti dalle tecnologie assistive e informatiche in genere, senza dover richiedere la versione digitale di un testo a stampa e senza dover faticare per poterlo ricopiare o per creare una mappa o uno schema. Una cultura accessibile non può fare a meno di materiali tecnicamente accessibili, i cui contenuti devono essere adeguati alle esigenze di chi studia. K  Ugo Avalle è pedagogista-formatore; docente a contratto presso l’Università degli studi di Torino. È esperto di problemi legati al disagio e alla devianza. È autore di testi di scienze umane e di testi specialistici per le case editrici Pearson, Zanichelli, Mondadori e Unicopli.

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SAPERI

Prove di futuro in Danimarca L’uso di Internet durante gli esami di fine ciclo e il ripensamento radicale degli ambienti scolastici: ecco due delle iniziative più interessanti in un Paese che ha puntato sulle nuove tecnologie per modernizzare il sistema scolastico.

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a crescente attenzione rivolta alle analisi comparative internazionali sui livelli di apprendimento e sulle caratteristiche dei sistemi di istruzione ha da tempo sollevato una serie di interrogativi riguardanti le modalità e gli strumenti di insegnamento ed apprendimento che caratterizzano le nostre scuole e le dimensioni temporali dell’apprendere. Comunque li vogliamo chiamare o caratterizzare, è un fatto che gli studenti che frequentano oggi le nostre scuole hanno un modo del tutto diverso di comunicare, percepire, rapportarsi al mondo e alla conoscenza. Per usare le parole di Michel Serres: «Senza che noi ce ne rendessimo conto, e in un breve intervallo di tempo, è nato un nuovo tipo di essere umano. Questo ragazzo o questa ragazza, non ha lo stesso corpo né la stessa aspettativa di vita di chi lo ha preceduto; non comunica secondo le stesse modalità, non percepisce lo stesso mondo, non vive nella stessa natura né abita il medesimo spazio. […] Queste trasformazioni, che chiamo ominescenti e che si verificano molto raramente nella storia, creano nel bel mezzo della nostra epoca e dei nostri gruppi una spaccatura talmente estesa ed evidente che solo in pochi sono riusciti a valutarne la portata. Una spaccatura paragonabile a quelle createsi nel neolitico, agli albori della scienza greca, all’inizio dell’era cristiana, alla fine del Medioevo e del Rinascimento. Sul margine inferiore di questa fenditura si trovano i giovani, ai quali pretendiamo di dispensare degli insegnamenti sulla base di schemi che risalgono a un’epoca in cui loro non si riconoscono più: edifici, cortili di ricreazione, aule, anfiteatri, campus, biblioteche, laboratori e le conoscenze stesse sottintendono contesti risalenti a un’epoca e poi adattati in un’altra, in cui uomini e mondo erano ciò che non sono più». Si pongono quesiti nuovi relativamente alle com-

petenze in uscita richieste ad alunni e studenti che completano i cicli dei sistemi nazionali di istruzione: per permettere a tutti un pieno godimento dei diritti di cittadinanza, ma anche per garantire livelli adeguati di flessibilità in un mercato del lavoro globalizzato che valorizza professionalità in continuo cambiamento. Sono competenze che delineano una sorta di curricolo nascosto e sotteso a quello esplicito formalizzato nei sistemi istituzionali, che seleziona i giovani pronti ad affrontare le sfide delle nuove professionalità e di una società partecipativa. Secondo Thomas Friedman (2005), autore di The world is flat, queste capacità, necessarie per ricoprire le professionalità richieste da un’economia globalizzata, possono essere così sintetizzate: collaborate, synthesize, explain, leverage, adapt, personalize, localize. Secondo Jenkins (2006) si tratta invece di: play, performance, simulation, appropriation, multitasking, distributed cognition, collective intelligence, judgment, transmedia navigation, networking, negotiation. Ripensare l’idea di tempo-scuola Su questa linea si stanno sviluppando, a livello internazionale, numerose direttrici d’analisi finalizzate a fornire ai ministeri dell’istruzione indicazioni utili per supportare l’innovazione e il cambiamento nel sistema scolastico (Brown e altri, 2009, Commissione Europea, 2010, CEDEFOP, 2010, Eurydice, 2010). In particolare è al centro dell’attenzione l’ambiente di apprendimento e nello specifico il concetto di aula e di tempo-scuola, due parametri spazio-temporali da ripensare alla luce di nuove esigenze e priorità. La società e il mondo del lavoro richiedono giovani in grado di accedere e attingere all’informazione disponibile e di collaborare efficacemente con gli altri, sintetizzare, presentare, spiegare, sfruttare al meglio le potenzialità delle risorse tecnologiche e umane a disposizione, adattare competenze avanzate a obiettivi specifici diversificati, personalizzare, localizzare

 Leonardo Tosi 27


SAPERI | Prove di futuro in Danimarca

Alla Hellerup Skole non esistono zone “di passaggio”: tutti gli ambienti sono progettati per essere abitati, perfino le scale dove i ragazzi si ritrovano per studiare o discutere. Fotografia di Giuseppe Moscato.

(Friedman, 2005) e di agire le competenze chiave (Unità Italiana di Eurydice, 2007) in un contesto pervaso da tecnologie digitali. Questo contesto ridimensiona l’importanza storicamente attribuita alla facoltà umana di immagazzinare un corpus vasto di nozioni e informazioni afferenti a diversi ambiti disciplinari (Burden, 2010). Assieme all’intelligenza connettiva (De Kerckhove, 1997) anche la memoria diviene connettiva: «Come nel passato i contenuti essenziali della cultura sono stati raccolti in libri, biblioteche, musei e monumenti di ogni tipo, così oggi essi stanno passando alle reti, prima di tutto con i media. […] Il Web offre l’accesso al contenuto di una specie di memoria comune, alla quale ogni internauta, a suo modo, partecipa. […] In questa memoria bisogna sapersi muovere. All’occorrenza, dovremo attenderci dal Web lo stesso grado di pertinenza, per non dire di istantaneità, che ci attendiamo dal nostro pensiero» (De Kerckhove, 2008). Una tale visione stride con le consuetudini e le regole in cui la scuola si è a lungo involontariamente arroccata e che considerano le fonti e gli archivi di informazioni (la rete, i libri) e gli strumenti in grado di accedervi (i dispositivi tecnologici) come un eleLa ricerca | N. 1 Nuova Serie. Ottobre 2012 |

mento marginale rispetto all’apprendere quotidiano e ai momenti delle prove di verifica di tali apprendimenti. I metodi e gli strumenti di verifica degli apprendimenti ricalcano in molti Paesi ancora forme e modalità del tutto obsolete rispetto a quanto richiesto e diffuso nelle comunità in cui viviamo (Anderson e altri, 2000). Spesso sono le stesse aziende che operano nel settore dell’Information Technology (IT) a promuovere iniziative volte a sollecitare interventi e riforme in grado di introdurre sistemi di valutazione in linea con le esigenze e le modalità di valutazione che si verificano nella vita quotidiana, sociale e professionale. In questo quadro la Danimarca rappresenta un interessante caso di sistema che ha sviluppato iniziative diversificate ma complementari a supporto dell’innovazione, in particolare rispetto agli ambienti e alle modalità di verifica degli apprendimenti. I piani nazionali per la modernizzazione delle scuole Dal 1985 Uni-C, l’agenzia nazionale che promuove servizi tecnologici per la ricerca e il settore educativo, ha supportato costantemente i processi d’innovazione e riforma del sistema scolastico, creando una 28


SAPERI Come vengono valutati gli studenti a scuola

Come le persone affrontano i problemi del mondo

La valutazione è pianificata per misurare la cono- La conoscenza viene applicata trasversalmente riscenza delle singole discipline. spetto ai singoli ambiti disciplinari, congiuntamente alla capacità di risolvere problemi concreti e generare nuova conoscenza. Gli studenti vengono valutati per l’abilità nel “resti- Nei contesti riferibili al mondo reale le persone rituire” fatti e nozioni e applicare procedure semplici spondono a problemi complessi e non strutturati. in risposta a problemi pre-strutturati e ben definiti. Gli studenti vengono valutati individualmente.

Le persone lavorano individualmente e in gruppo con altri che hanno competenze complementari assieme ai quali vengono perseguiti obiettivi condivisi.

Gli studenti devono superare esami “a libro chiuso”, senza poter accedere ai loro appunti o ad altre fonti informative, usando solo foglio e penna durante le prove d’esame.

Le persone usano un’ampia gamma di strumenti tecnologici, hanno accesso a molteplici risorse informative e scelgono e usano quelle rilevanti per analizzare problemi, trovare soluzioni, creare prodotti.

Gli studenti rispondono ai bisogni e alle richieste del Le persone rispondono a standard e requisiti ufficiali docente e del sistema scolastico. e a bisogni e richieste di uno specifico destinatario, un cliente o un gruppo di utenti o collaboratori. Nostro adattamento da Transforming education. Assessing and teaching 21° century skills, Cisco, Intel, Microsoft.

base solida per il fiorire di sperimentazioni, buone pratiche e iniziative pilota che sono guardate con grande interesse dal resto dell’Europa. Con i suoi oltre 300 ricercatori dislocati nelle tre sedi di Copenhagen, Lyngby e Aarhus, Uni-C ha guidato il processo di modernizzazione del sistema accompagnando le iniziative su larga scala che dal 1995 hanno interessato le scuole: • ICTs in the education system (1998), un piano quinquennale per diffondere la connettività, le risorse digitali per la didattica e il rinnovamento della pratica didattica; • Denmark’s strategy for education, learning and ICT (2001), un’iniziativa volta a promuovere il cambiamento attraverso il rinnovamento del curricolo, la formazione degli insegnanti e la creazione di un sistema di knowledge sharing tra le scuole del territorio; • ICTs in state education (2004-2008), per l’introduzione delle LIM, lo sviluppo di un portale nazionale di risorse per la didattica (EMU) e l’introduzione della certificazione delle competenze degli alunni; • Denmark in the global economy (2006), specificamente rivolto alla formazione degli insegnanti nell’ambito delle nuove tecnologie; • National Strategy for ICT-supported learning (2007), per introdurre nuove forme di flessibilità nell’organizzazione spazio-temporale della didattica.

Con queste e altre iniziative minori il governo ha voluto garantire le premesse necessarie per lasciare poi alle scuole la responsabilità di sviluppare autonomamente i propri servizi educativi per il territorio prendendosi cura dei propri ambienti di apprendimento nel quadro di una didattica moderna e al passo con una società in rapido cambiamento. Delle circa 2300 scuole danesi il 98% possiede una connessione a banda larga e il 67% ha dotato i propri studenti di computer in ogni classe. Solo il 15% dei computer in dotazione delle scuole è destinato a laboratori specifici, e la tecnologia è presente trasversalmente in tutte le discipline di insegnamento. Le scuole utilizzano un sistema di Virtual Learning Environment (VLE) messo a disposizione da Uni-C e composto dalla piattaforma Skolekom che registra 600 000 iscritti fornendo un sistema di comunicazione e messaggistica scuola-scuola e scuola-famiglia per il personale degli istituti di ogni ordine e grado, per gli alunni e le loro famiglie. Il portale nazionale EMU (Electronic Meeting Place for the Educational World) fornisce risorse formative ed informative per docenti e famiglie. Skoleintra è invece un sistema di Intranet ad accesso protetto che include una serie di sotto-ambienti dedicati riservati ad attività specifiche: la visualizzazione delle attività degli alunni da parte dei genitori, l’area di lavoro per docenti e 29


SAPERI | Prove di futuro in Danimarca biente e le modalità di verifica degli apprendimenti degli studenti. I due temi sono strettamente correlati: l’introduzione delle tecnologie e dei contenuti digitali nella didattica quotidiana è in grado di produrre degli effetti di innovazione stabili se integrati in un percorso organico e coerente e dunque se si è in grado di superare il carattere di episodicità della sperimentazione. È necessario che anche le prove di fine anno scolastico siano strutturate in modo organico e coerente al percorso sviluppato durante l’anno. Da questo punto di vista è interessante soffermarsi sull’iniziativa pilota promossa dal ministero dell’istruzione danese che si sta estendendo a un numero crescente di scuole. Quattordici scuole secondarie di secondo grado hanno svolto una sperimentazione nel 2010 in cui gli studenti potevano accedere liberamente a Internet durante lo svolgimento delle prove scritte degli esami di fine ciclo. Per il 2011 tutte le scuole danesi sono state invitate ad aderire al nuovo sistema Web-based promosso dal governo. L’allora ministro dell’istruzione danese Bertel Haarder dichiarava: «I nostri esami devono permettere alle classi scolastiche di rispecchiare la vita di tutti i giorni. Internet è indispensabile, anche nello svolgimento degli esami. Sono sicuro che in pochi anni anche gli altri Paesi europei dovranno allinearsi». Frequentare on-line, da casa Agli studenti non viene richiesto di memorizzare fatti e nozioni: l’enfasi è posta sulle capacità di comprendere, analizzare e rielaborare in un contesto di comunicazione multimodale. L’iniziativa non nasce come misura drasticamente rivoluzionaria ma come evoluzione di un percorso che dal 1997 ha introdotto gradualmente l’uso del computer nelle prove d’esame di tutte le discipline degli indirizzi secondari tecnici e commerciali. In discipline quali economia, matematica, fisica, inglese e danese, dal 2001 le prove sono assegnate tramite CD-ROM sebbene senza l’uso di Internet. L’utilizzo di filmati, risorse web e contenuti multimediali per lo svolgimento di test e prove di valutazione, cosi come l’integrazione delle TIC negli ambiti curricolari, sono realtà acquisite da tempo. È interessante notare, tra l’altro, come il sistema scolastico preveda che fino al 25% del monte ore annuale possa essere svolto in modalità on-line con gli studenti connessi dalla biblioteca, da casa o da qualunque altro luogo. In questa ottica l’apertura alla connessione Internet si configura come una naturale evoluzione verso un sistema che valorizza le nuove competenze di cui abbiamo parlato nella prima parte della nostra trattazione.

Gli alunni dell’Orestad Gymnasium vicino a Copenhagen usano il loro computer personale per svolgere le verifiche assegnate. Fotografie di Giuseppe Moscato.

studenti, l’area di condivisione per gli enti locali, l’area per l’organizzazione delle attività dei docenti. Le scuole sottoscrivono un abbonamento annuale di 1500 euro per usufruire di un sistema tecnologico in grado di soddisfare le diverse esigenze attraverso la completa digitalizzazione delle procedure. Tecnologie e modalità di verifica Tale quadro è la premessa per alcune iniziative particolarmente interessanti che vorremmo leggere alla luce delle considerazioni fatte a proposito dei due temi centrali individuati: le caratteristiche dell’amLa ricerca | N. 1 Nuova Serie. Ottobre 2012 |

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SAPERI Il coinvolgimento di tre ambiti disciplinari dei percorsi di scuola secondaria non a indirizzo tecnico o professionale è il segnale dell’estensione della sperimentazione ad ambiti tradizionalmente più resistenti al cambiamento: danese, matematica e scienze sociali sono le prime discipline ad affrontare la sfida dell’accesso alla rete durante le prove. Le misure per fronteggiare le problematiche più diffuse non differiscono dai sistemi tradizionali: l’esclusione dalla prova, il controllo rispetto a situazioni di plagio, la verifica dei logfiles del traffico Internet e così via. Lo scenario che la docente Sanne Yde Schmidt si trova di fronte la mattina dell’esame nella sua scuola Greve High School è esemplificativo: il pavimento dell’aula dell’esame è coperto di cavi e gli esperti informatici sono impegnati nel supportare gli studenti per verificare che i computer funzionino correttamente. I fogli delle prove e i CD-ROM sono distribuiti assieme, è l’esame di lingua danese. Un docente in piedi spiega ai ragazzi le regole: possono usare Internet per rispondere a tutte e quattro le domande poste; possono usare anche Facebook ma non possono usare servizi di instant messenging o e-mail con i compagni o persone esterne. La Danimarca offre interessanti spunti anche riguardo il tema della riorganizzazione degli spazi e dei tempi della didattica. Nel 2003 è nata una delle prime scuole senza classi, la Hellerup Skole, recentemente visitata da un gruppo di ricercatori ANSAS per documentarne i caratteri innovati e le fasi di sviluppo. Si tratta di una Folkeskole, un istituto comprensivo, che accompagna gli alunni dall’età di 6 a 16 anni e che ospita 750 alunni. La scuola nasce da un progetto promosso dal comune di Gentofte e rientra in un piano più ampio del comune, SKUB–The School of the Future, iniziato nel 1998 e volto a modernizzare le scuole del proprio territorio e le metodologie di insegnamento/apprendimento. La scuola di Hellerup è l’unica struttura completamente nuova: il modello è la risultante di un lavoro di cooperazione tra famiglie, studenti, dirigenti scolastici, docenti, pedagogisti, architetti ed esperti degli enti locali. Il concetto generale è basato su un uso multifunzionale degli spazi. Una grande scala unisce il piano terreno ai due superiori in cui gli spazi aperti ospitano arredi mobili e flessibili in grado d’essere configurati in base alle esigenze del team didattico-pegadogico formato da docenti disciplinaristi ed esperti pedagogisti. La scala non è solo una struttura di passaggio ma uno spazio abitabile che ospita, sui suoi gradini ampi e sicuri, gruppi di ragazzi intenti a studiare, discutere, confrontarsi o semplicemente chiacchierare.

Parti di scala possono fungere da piccolo anfiteatro scorrendo le tende laterali e creando una situazione di oscurità (per eventuali proiezioni) o un’area separata per la discussione di gruppo. Tante case (con cucina) nella scuola Il team didattico-pedagogico organizza gli spazi, pianifica e progetta le attività di gruppi di alunni di età diverse (ma in continuità, ad esempio dai 6 ai 9 anni). Ciascun alunno ha un proprio piano individualizzato, elaborato con funzione diagnostica e programmatica, discusso continuativamente con gli alunni e condiviso con i genitori. Obiettivi a breve, medio e lungo termine sono così discussi e condivisi guidando il percorso del ragazzo nei momenti di lavoro individuale e di gruppo. La scuola è un grande ambiente che ospita delle home areas, “piccole case”, al suo interno. Ciascuna delle nove home areas misura da circa 330 a 400 metri quadri ospitando dai 75 ai 100 alunni di età contigue. Ciascuna “casa” ha una piccola cucina, arredi mobili, divani, tavoli e postazioni per soddisfare le esigenze legate ai diversi tipi di attività progettate dai docenti. La home base è ciò che rimane del concetto di aula dedicata: i ragazzi di una classe di età si ritrovano in determinati momenti della giornata con il proprio docente di riferimento in uno spazio esagonale semichiuso per ricevere le indicazioni di lavoro, confrontarsi, condividere ed esporre il loro lavoro. Non si tratta però di uno spazio-classe stabile: nella home base non è possibile stare seduti con sedie e banchi per periodi prolungati ma solo per le fasi di lavoro che richiedono un confronto col gruppo-classe e il suo docente. Gli altri momenti si sviluppano in altre zone in base al tipo di attività: nei laboratori disciplinari, nelle aree plenarie, nelle zone di lavoro individuali o di gruppo. Prese le consegne e condivisi i percorsi di apprendimento i ragazzi si dispongono per le attività di studio o di lavoro: i docenti seguono il proprio gruppo, guidano e orientano ciascuno studente nell’attività collettiva o individuale cercando di valorizzare le diverse attitudini e stili di apprendimento con l’intento di permettere a tutti di sviluppare al meglio le competenze-obiettivo combinando la capacità di lavorare con gli altri con la responsabilizzazione rispetto ai risultati da perseguire. Considerata nel suo insieme, la scuola prevede delle macro-aree tematiche: • The Earth è La Terra, il centro di incontro e l’area-caffè. Da qui è possibile accedere ad altre zone pensate per il relax o per situazioni informali; • l’Opus è l’atelier musicale, il laboratorio con attrez31


SAPERI | Prove di futuro in Danimarca

Gli alunni della Hellerup Skole svolgono attività didattiche differenziate in un ambiente di apprendimento aperto e flessibile. Fotografie di Giuseppe Moscato.

zature e strumentazioni specialistiche; • il Kulinarium è il laboratorio di cucina, dove si svolgono lezioni specifiche tenute dal docente responsabile; • il Kulturium prevede spazi per le attività artistiche e creative; è una sorta di atelier scolastico a disposizione di alunni e docenti; • il Forum è l’area-palestra al piano terreno dove si svolgono le attività ginniche e sportive indoor; spazi più ampi e altre attrezzature sono disponibili all’esterno della scuola; • The Sun, al primo piano, è l’amministrazione che permette alla struttura di funzionare in base alle esigenze dei suoi diversi attori; • l’Universum è l’area che ospita le risorse informative di ogni genere: libri e postazioni con accesso a Internet sono a disposizione degli studenti che devono svolgere le attivtà assegnate; • il Naturium, l’assieme dei laboratori scientifici, si trova al secondo piano dove si svolgono le lezioni di fisica, chimica e biologia; • il Kuben è infine l’area riservata ai docenti e ai pedagogisti; essa è dotata degli strumenti di lavoro necessari agli insegnanti ed è adiacente alle aree in cui lavorano i ragazzi, nell’ottica della presenza e vicinanza continua tra professori e alunni. La prima impressione per un visitatore che entra nella Hellerup Skole è quella di un edificio in cui ognuno svolge la propria attività in una dimensione La ricerca | N. 1 Nuova Serie. Ottobre 2012 |

quasi solipsistica. In realtà trattenendosi a osservare e capire l’organizzazione dei tempi e degli spazi del fare scuola si comprende presto che le attività sono pianificate e organizzate, gli spazi progettati e i ragazzi lavorano seguendo le indicazioni dei docenti ma assecondando anche le proprie propensioni e attitudini individuali e di gruppo. Alcuni alunni sono distesi sul pavimento e scrivono sul proprio quaderno, gruppi di compagni ripetono tra di loro cosa hanno elaborato, un ragazzo parla con il suo docente per chiedere chiarimenti, una ragazza si sgranchisce le gambe dopo essere stata seduta troppo a lungo. Parlando con i ragazzi, intervistando il dirigente scolastico, i docenti e i pedagogisti è facile capire come tutto abbia un senso. È facile capire che per quei ragazzi individualizzazione, cooperazione, responsabilità e passione per la conoscenza non sono parole ma fanno parte di una realtà vissuta assieme quotidianamente. K  Leonardo Tosi è esperto di tecnologie per la didattica e instructional designer. Ha collaborato con DadaNet e Sony Europe IT. Attualmente è ricercatore presso l’ANSAS dove si occupa di ambienti di apprendimento e nuove tecnologie a servizio dell’innovazione didattica. Autore di saggi e articoli su didattica e ICT si occupa dal 2005 degli aspetti metodologici legati all’uso della Lavagna Interattiva Multimediale.

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SAPERI TESTI E SITI PER APPROFONDIRE

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L. Anderson, D. Krathwohl, P.W. Airasian, A taxonomy for learning, teaching and assessing: a revision of Bloom’s taxonomy of educational objectives, Allyn & Bacon, New York, 2000.

Eurydice, New skills for new jobs, Commissione Europea, Bruxelles, 2010. Eurydice, New Skills for New Jobs. Policy initiatives in the field of education. Short overview of the current situation in Europe, 2010, visibile sul sito dell’INDIRE: www.indire. it.

P. Black, D. William, Lessons from around the world: how policies, politics and cultures constrain and afford assessment, in “Curriculum Journal”, n. 2, vol.16, 2005.

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Eurydice, Key data on learning and innovation through ICT at school in Europe 2011, Bruxelles, Unità Europea di Eurydice, visibile nella sezione Education del sito della Commissione Europea: http://ec.europa.eu.

P. Brown, H. Lauder, D. Ashton, The global auction: The broken promises of opportunities, jobs and rewards, Oxford University Press, New York, 2009. K. Burden, Conceptualising teachers’ professional learning with Web 2.0, in “Campus-Wide Information System”, n.3, vol. 27, 2010.

T. Friedman, The world is flat, Farrar, Straus and Giroux, New York, 2005. H. Jenkins, Confronting the challenges of participatory culture. Media education for the 21° century, MacArthur Foundation, Chicago, Illinois, 2006.

M. Campbell e altri, New skills for new jobs: action now, Commissione Europea, Bruxelles, 2010, visibile nella sezione Education del sito della Commissione Europea: http://ec.europa.eu.

M. Serres, Dalla parte dei nuovi bambini. Inventiamo un’altra educazione per gli studenti ‘pollicino’, intervista a Michel Serres in “La Repubblica” del 20 aprile 2011, visibile nell’archivio http://ricerca.repubblica.it.

Cedefop, Skills supply and demand in Europe. Medium-term forecast up to 2020, Cedefop, Publications Office of the European Union, 2010, visibile sul sito dell’European Center for the Development of Vocational Training (Cedefop): www.cedefop.europa.eu.

Unità Italiana di Eurydice, Le competenze chiave europee per l’apprendimento permanente, in “IR-Innovazione e Ricerca”, 6 ottobre 2007, visibile sul sito dell’INDIRE: www.indire.it.

CERI-OCSE (Centro per la Ricerca e l’Innovazione Educativa), Trends shaping education, OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), Parigi, 2010. CERI-OCSE, Inspired by technology, driven by pedagogy, OCSE, Parigi, 2010. Cisco, Intel, Microsoft, Transforming education: assessing and teaching 21° century skills. Assessment call to action, 2011, visibile sul sito della ACTS (Assesment and Teaching of 21° Century Skills); http://atc21s.org. Commissione Europea, An agenda for new skills and jobs. A european contribution towards full employment, visibile sul sito della Commissione Europea http://eurlex.europa.eu. D. De Kerckhove, Connected intelligence, Somerville House Publishing, Toronto, 1997. D. De Kerckhove, Dall’alfabeto a Internet, Mimesis, Milano, 2008. Empirica, Benchmarking access and ase of ICT in european schools, 2006, visibile nella sezione Information Society del sito della Commissione Europea: http:// ec.europa.eu. European Schoolnet, Virtual learning platforms. What can we learn from experience in Denmark, the United Kingdom and Spain, Study Report, 2010, visibile sul sito dell’INSIGHT: http://insight.eun.org.

Due ambienti in cui si svolgono le attività didattiche alla Hellerup Skole. Fotografie di Giuseppe Moscato.

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Jerzy Flisak, Kiedy legendy umieraja, poster polacco del film western When the legend Die, litografia, 1972. La ricerca | N. 1 Nuova Serie. Ottobre 2012 |

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Quando il cinema è filosofia Lo sforzo per far emergere dalle opere cinematografiche il “pensiero” che esse custodiscono si è ormai affrancato da ogni necessità di giustificazione.

 Umberto Curi

Questo articolo è tratto dalla prefazione di Esercizi di filosofia al cinema, Edizioni Pensa Multimedia, Lecce, 2006. Le schede sono a cura di Andrea Sani.

I

cineasti, affermava Gilles Deleuze, «sono paragonabili a pensatori, più che ad artisti. Essi pensano, infatti, con immagini-movimento e con immagini-tempo, invece che con concetti». Deleuze, una delle figure più originali e importanti della filosofia francese del secondo dopoguerra, sottolineava così che il cinema non è soltanto una forma di arte (l’ottava Musa, come tante volte si è affermato), e meno ancora solamente una forma di intrattenimento. Esso è piuttosto un modo per esprimere un “pensiero”, anche se mediante una forma diversa da quella nella quale tradizionalmente si articola il discorso filosofico. Di conseguenza, cinema e filosofia non rappresentano attività distinte, né ancor meno opposte l’una all’altra, visto che entrambe sono manifestazioni dell’attività del pensare, l’una mediante le immagini, l’altra attraverso i concetti. In un’intervista pubblicata nella raccolta intitolata Pourparler 1972-1990, lo stesso Deleuze affermava che «il cinema è anzitutto immagine-movimento [... ] Poi, quando il cinema fa la sua rivoluzione kantiana, quando cioè cessa di subordinare il tempo al movimento..., allora l’immagine cinematografica diviene un’immagine-tempo, un’autotemporalizzazione dell’immagine». In questo modo, l’autore francese riprendeva quanto era già stato espresso in un importante 37

passaggio del “dittico” sul cinema, allorché egli aveva sostenuto che, in opere cinematografiche come quelle realizzate a partire dal secondo dopoguerra, «vediamo anzitutto il tempo, delle falde di tempo, un’immagine-tempo diretta. Il che non vuol dire che il movimento sia cessato, ma il rapporto tra il movimento e il tempo si è rovesciato. Il tempo non è più il risultato della composizione delle immagini-movimento (montaggio), è viceversa il movimento che consegue dal tempo». Due idee del tempo Dal punto di vista filosofico, l’idea che il tempo possa essere assunto non come un dato rigido e obbiettivo, ma come una variabile dipendente da operazioni che su di esso si possono compiere, non è certamente nuova. Già nel pensiero arcaico, ci troviamo in presenza di due distinte, e per certi aspetti contrapposte, concezioni della temporalità. Da un lato, chronos, la cui caratteristica fondamentale secondo Anassimandro sarebbe la taxis, la capacità ordinatrice, l’imposizione di un ordine, al quale nessuna cosa in divenire può sottrarsi. Un tempo lineare e irreversibile, scandito inesorabilmente dalla trasformazione del futuro in passato, attraverso un presente che costantemente transita dall’una all’altra dimensione, senza mai poter essere immobilizzato nella fissità dell’istante.


DOSSIER | Quando il cinema è filosofia Dall’altra parte, il “sempre-essente” (aei-on) aión, il «bambino che gioca disponendo le pedine sulla scacchiera», come afferma Eraclito, la durata indifferente al mutamento, l’eterna permanenza nel sempre uguale, la virtuale percorribilità in ogni direzione, senza alcun andamento prestabilito. Il tempo come incessante divenire versus il tempo come durata. La “freccia del tempo” (dal futuro al passato attraverso il presente) versus la mancanza di una direzionalità univoca, e dunque la possibilità di ripercorrere più volte a ritroso lo stesso percorso. Pur essendo indiscutibilmente l’autore che più e meglio di ogni altro ha analizzato la qualità filosofica dell’opera filmica, Deleuze non è stato né il solo né il primo filosofo a richiamare l’attenzione sull’importanza del cinema. Già nei primi anni del Novecento,

Henri Bergson individuava nel cinema una conferma della propria concezione del tempo come «durata reale», vale a dire come un continuum la cui realtà era irriducibile alla pura e semplice traduzione geometrica del tempo misurato dagli orologi. Il tempo qualitativo del cinema Come accade nella coscienza, anche in un’opera cinematografica il tempo è qualitativo, più che quantitativo, non obbedisce rigidamente alla irreversibilità, non è irrevocabilmente distinto in tre dimensioni fra loro nettamente distinte. Esso si contrae o si dilata, appare più “lungo” o più “breve”, a seconda delle circostanze e degli stati d’animo. Allo stesso modo, è possibile che passato e futuro si rovescino l’uno nell’altro, in una struttura circolare nella quale è impossibile distinguere netta-

mente l’inizio dalla fine, come avviene (solo per citare alcuni esempi molto noti) in film come Pulp Fiction di Quentin Tarantino o, fra i più recenti, Mulholland Drive di David Lynch o Femme fatale di Brian De Palma. D’altra parte, è opportuno riconoscere che l’interesse per la valenza in senso lato “filosofica” del cinema, a parte i casi citati di Bergson e Deleuze e pochissime altre eccezioni, raramente ha prodotto risultati convincenti. Troppo spesso si è creduto che il modo migliore per coniugare cinema e filosofia consistesse nel realizzare film nei quali comparivano come protagonisti alcuni filosofi del passato, con esiti caricaturali o noiosissimi (si pensi alle opere dedicate da Liliana Cavani a Galileo o a Nietzsche, ad esempio). Sull’altro fronte, troppo spesso ci si è convinti che fosse necessaria

Provvidenza o libero arbitrio? I guardiani del destino (2010) di George Nolfi Se interpretiamo la Provvidenza divina come un condizionamento delle nostre scelte, sia pure per orientarle verso un fine di bene, può sembrare che le nostre azioni siano predeterminate, e che dunque la libertà non esista. La soluzione del problema teologico è suggerita da san Tommaso, secondo il quale la Provvidenza non esclude, ma addirittura richiede la nostra libertà. Proprio perché la Provvidenza ha come obiettivo la realizzazione del bene, Dio non può negare all’uomo il bene inestimabile del libero arbitrio, senza il quale cadrebbe la responsabilità morale delle nostre azioni. Questa è anche la tesi del film di George Nolfi I guardiani del destino (2010). David Norris, candidato alla carica di senatore, si innamora di una ballerina. Ma secondo il Piano deciso in anticipo da un fantomatico Presidente, e cioè da Dio, le loro vite devono separasi, perché David possa aspirare alla Casa Bianca. Proprio per questo i Guardiani del destino (angeli al servizio del presidente) si sforzano con ogni mezzo di mettere i bastoni fra le ruote a David ed Elise. Alla fine, però, di fronte all’irriducibilità di David, il Presidente accetta di modificare il suo Piano, e consente così la libera scelta di David.

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DOSSIER e sufficiente una buona dose di dilettantismo, per consentire ad alcuni filosofi di improvvisarsi critici cinematografici. In entrambi i casi, si è completamente travisato il significato profondo del rapporto fecondo che può e deve essere riconosciuto fra cinema e filosofia, secondo quanto emerge dalle pagine di Deleuze, ma che già era stato anticipato quasi due millenni e mezzo or sono nella Poetica di Aristotele. Sostenendo che «la poesia è la cosa più seria e più filosofica», lo stagirita sottolineava infatti che la poesia (e il cinema è anch’esso indiscutibilmente una forma di póiesis, anzi ne rappresenta l’espressione più compiuta), a differenza della storia che si occupa solo del particolare, si rivolge invece all’universale, e quindi è quella che più e meglio di ogni altra cosa ci avvicina alle “conoscenze fondamentali”.

Il piacere delle immagini Di qui il fatto che, attraverso la póiesis, sia possibile raggiungere contemporaneamente due importanti obiettivi: da un lato assaporare quella intensa forma di piacere che è “il piacere delle immagini”, e dall’altro sylloghízesthai e manthánesthai, “ragionare” e “imparare” su tutte le cose. In altre parole, non si tratta di giustapporre o di correlare estrinsecamente due cose fra loro distinte, quali sarebbero cinema e filosofia, ma di ritrovare e far emergere nelle opere cinematografiche, che sono indubbiamente opere di póiesis, una trama concettuale, una filigrana di pensiero, che è sempre presente, anche se talora il linguaggio in cui è espresso questo pensiero, vale a dire le immagini, può risultare difficile da comprendere e da interpretare, perfino più di quanto lo sia

quello strettamente filosofico. Per quanto l’argomento appaia comunque delicato e difficile da liquidare in poche battute, si può affermare che accostarsi al cinema con l’atteggiamento appena descritto (vale a dire cercando di comprendere quale “pensiero” sia in esso racchiuso) non implica affatto privarsi del “divertimento” che da esso ci attendiamo, ma esattamente al contrario vuol dire mettersi nelle condizioni di “godere” in maniera più matura e compiuta ciò che un film (qualunque film, e non solo quelli “seri”, come pure si potrebbe credere) è in grado di offrire. Da questo punto di vista, è insensato (o puramente “difensivo”) continuare a correlare estrinsecamente i due termini, parlando dunque di “cinema e filosofia”. C’è da chiedersi, difatti, perché si ponga una con-giunzione, quasi

La mente si identifica con il cervello? Viaggio allucinante (1966) di Richard Fleischer Possediamo un’anima immateriale o il nostro pensiero è soltanto il prodotto del cervello? I materialisti identificano gli stati mentali con gli stati cerebrali, ma gli spiritualisti fanno notare che i due stati non sono identificabili perché non godono delle stesse proprietà. Infatti, mentre gli stati fisici si possono misurare e localizzare, le esperienze mentali non possiedono dimensioni e non sono collocabili nello spazio. Inoltre, gli stati cerebrali sono osservabili intersoggettivamente, mentre quelli mentali no. A tale riguardo, Leibniz suppone che il nostro cervello sia una macchina e immagina di ispezionarla come se fosse un mulino. Al suo interno, troveremmo ruote, leve, ingranaggi ecc., cioè aspetti quantitativi, ma non percezioni di qualità e tanto meno pensieri. L’esperimento mentale di Leibniz è visualizzato nel film di Richard Fleischer Viaggio allucinante (1966) dove si descrive il viaggio nel cervello di un sommergibile con alcuni scienziati a bordo, miniaturizzato e iniettato nel corpo di un uomo. Nel cervello, l’equipaggio vede cellule di ogni tipo, ma non osserva gli stati mentali, proprio come sostiene Leibniz.

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DOSSIER | Quando il cinema è filosofia si tratti di mettere insieme, più o meno arbitrariamente, universi fra loro del tutto differenti o addirittura eterogenei, ribadendone così indirettamente la diversità, nell’atto stesso in cui li si connette. Perché la medesima pruderie non è all’opera, perché non si adopera la stessa cautela, riflesso di una sorta di cattiva coscienza, quando ci si riferisce all’ambito delle arti figurative o anche della musica? E ancora: per quali ragioni il filosofo che si occupi di cinema è tuttora considerato, più o meno apertamente, poco “serio”, alla stregua del dilettante perditempo, o del chierico infedele? Perché ormai nessuno trova più nulla da eccepire se in una rivista di filosofia ci si imbatte in un saggio su Van Gogh o se in uno studio si citano Richard Wagner o Arnold Schöenberg, mentre è scandalo

se l’attenzione è rivolta ad Alfred Hitchcock o a Baz Luhrmann? E per quali ragioni, soprattutto, almeno in Italia, è ancora tenacemente presente la convinzione che, per quanto ci si possa sforzare di congiungerli, l’ambito del cinema e quello della filosofia restino irrimediabilmente distinti, al punto tale da imporre a chiunque a essi si accosti una opzione precisa e irrevocabile: o cinema o filosofia, o “critico” cinematografico, oppure filosofo? Le ragioni di un pregiudizio Come è intuitivo, le risposte a questi interrogativi potrebbero disporsi su molti piani, da quello storico a quello sociologico, giungendo a lambire la sfera della psicologia (o della patologia) sociale. Limitandosi a quelle più stringenti, e anche meno peregrine, si può osservare che le obiezioni più meritevoli di

considerazione (che non vuol dire tuttavia necessariamente più fondate) scaturiscono dal rilevamento della natura per così dire “doppia” dell’opera cinematografica: opera d’“arte”, da un lato, e insieme prodotto industriale, mirante al “diletto” che è proprio della creazione artistica, ma nel contempo orientata a finalità commerciali, «apparizione unica di una lontananza» (per dirla con Walter Benjamin), e prodotto di principio illimitatamente riproducibile. In una parola, se nello statuto dell’arte (qualunque cosa si voglia intendere con questo termine) sembra essere incluso quale requisito imprescindibile l’unicità e inimitabilità del “gesto” che la pone, nel caso del cinema ci si trova alle prese con qualcosa che sembra collocarsi esattamente all’estremo opposto, visto che ogni film è, per definizione, costantemen-

Esiste una vita dopo la morte? Hereafter (2010) di Clint Eastwood L’anima muore con il corpo o è destinata a una vita ultraterrena? Nella filosofia antica, i presocratici concepiscono l’anima come materiale, e a loro si associano i successivi filosofi materialisti e atei che negano la vita dopo la morte. Platone, invece, opta per la sopravvivenza dell’anima. Il cristianesimo, poi, integra la dottrina dell’immortalità con l’affermazione evangelica della resurrezione dei corpi. Il film Hereafter (2010) di Clint Eastwood si schiera dalla parte di chi crede nell’aldilà. Una giornalista francese affoga per qualche secondo ma sopravvive, sperimentando un fenomeno di pre-morte. Un ragazzino perde il suo gemello e non si rassegna al lutto. Entrambi entrano in relazione con un operaio americano che riesce a mettersi in comunicazione con i defunti legati a una persona della quale ha toccato le mani. L’esperienza della giornalista sembra ispirata ai casi descritti dal medico Raymond A. Moody jr. in La vita oltre la vita (Oscar Mondadori, Milano, 1997), dove sono raccolte le testimonianze di pazienti che, clinicamente morti, sono ritornati alla vita e hanno raccontato la loro impressione di entrare in contatto con l’aldilà.

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DOSSIER te “ripetibile” (nello spazio e nel tempo) ed è in tale misura il contrario dell’evento, di qualcosa che, in quanto è id quod cuique evenit, è confitto nell’hic et nunc. Ma nell’ostilità, o nella vera e propria indisponibilità, a riconoscere nel cinema qualcosa di cui possa valere la pena occuparsi dal “punto di vista filosofico” (altra espressione sostanzialmente priva di senso!), vi è qualcosa di molto più profondo, anche se perfino di ancor più fuorviante. Si tratta della constatazione per la quale 1’andare al cinema di-verte, suscita piacere, mentre è implicita la convinzione che, di principio, la filosofia, e con essa le arti “serie”, richiedano un movimento contrario, vale a dire che esse semmai con-vertono, esigono impegno, dedizione, e magari anche una quota di afflizione, se non di vero e proprio sacrificio.

Un approccio aristotelico Evidentemente non è possibile illudersi che un’avversione così radicata, e tanto variamente motivata, possa dissolversi più o meno magicamente, qualunque sia il rigore degli argomenti addotti, e quale che ne sia l’intima carica persuasiva. Pur con questa consapevolezza, un ribaltamento dell’atteggiamento intellettuale abitualmente assunto nei confronti del cinema, e più in particolare nei confronti della qualità specificamente filosofica delle opere cinematografiche, potrebbe essere se non altro resa più facile ove ci si riferisca a un testo in ogni senso “classicamente” filosofico, quale è la Poetica di Aristotele. Considerato a lungo, per quasi duemila anni, e soprattutto nei primi secoli dell’era moderna, alla stregua di un manuale contenente precetti inviolabili, ai quali

il poeta era tenuto comunque a sottomettersi, a partire dalla seconda metà del XVIII secolo il testo aristotelico è stato poi inghiottito dal sopravvento delle teorie romantiche della creatività. A un’egemonia indiscussa, acriticamente accolta e trasmessa con esponenziale capacità di diffusione, si è così sostituito un rifiuto altrettanto pregiudizialmente immotivato, col risultato che raramente il testo è stato letto e studiato juxta propria principia, come è invece accaduto per gli altri scritti del corpus aristotelico. Né si può dire che maggiore fortuna sia arrisa alla Poetica negli anni più recenti, visto che i peraltro sporadici e isolati tentativi di “rivalutazione”, hanno per lo più cercato di scagionare il testo da ogni sospetto di voler costituire un manuale di precettistica, con ciò contraddittoriamente condi-

Cosa sono i mondi possibili? La vita è meravigliosa (1946) di Frank Capra Il nostro mondo potrebbe essere diverso? A questa domanda, Baruch Spinoza risponderebbe di no, dato che per lui l’universo in cui viviamo è l’unico mondo possibile, che per questo esiste necessariamente. Gottfried Wilhelm Leibniz, invece, è di diverso parere. Secondo Leibniz, Dio, per creare il mondo, ha concepito nella sua mente un’infinità di mondi possibili, cioè di universi intrinsecamente non contraddittori ma in contraddizione fra loro, e poi ha scelto di crearne uno solo: il nostro. Poiché Dio è onnipotente e buono, il nostro universo, malgrado la presenza del male, è il migliore dei mondi possibili. Gli universi alternativi sono evocati anche nel film La vita è meravigliosa (1946) di Frank Capra. In questa pellicola, un angelo inviato da Dio salva dal suicidio George Bailey, un giovane altruista che si trova sull’orlo della bancarotta e che vuole ammazzarsi. L’angelo gli mostra come sarebbe stata la vita nella sua cittadina di Bedford Falls in un mondo possibile senza di lui, e cioè se egli non fosse mai nato. La comunità di Bedford senza il suo fondamentale contributo si sarebbe trasformata in un inferno, e questa consapevolezza fa tornare a George la voglia di vivere.

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DOSSIER | Quando il cinema è filosofia videndo l’impostazione, se non l’assunto, di coloro che ne hanno tenacemente respinto la validità. In altre parole, a quest’opera aristotelica è toccato in sorte di non essere pressoché mai considerata per quello che in realtà è, vale a dire un testo filosofico, denso di problemi e di temi di riflessione, e non un breviario contenente articoli di fede, o un trattato dal quale prelevare “regole per ben condurre il proprio ingegno”. Il mito e il racconto Viceversa, se si disimpegna il richiamo all’opera aristotelica da qualunque intento pregiudiziale, nel senso della condanna o dell’apologia, si avrà la possibilità di evidenziare le potenzialità ermeneutiche implicite in un testo che esige d’essere comunque affrancato dall’ingombrante tutela delle controversie accademiche.

L’elemento di gran lunga più importante della tragedia, secondo Aristotele, è il mýthos, vale a dire ciò che potremmo tradurre col termine “racconto”. È vero, infatti, che elementi della tragedia (e a maggior ragione di un film) sono anche lo “spettacolo” (ópsis) e la musica (e inoltre, il linguaggio, i caratteri e il pensiero), ma il mýthos è talmente preponderante rispetto agli altri, che si può giungere ad affermare che la “potenzialità” (dýnamis) della tragedia resta intatta, anche «in assenza di scena e di attori». Spinta all’estremo (ma è lo stesso Aristotele a raggiungere tale limite), questa affermazione implica che anche senza il “vedere”, senza 1’ópsis, pur in mancanza dello “spettacolo”, ma solo “leggendo” il mýthos, esso riesca a indurre il “piacere” che è specifico della tragedia, vale a dire il terrore e la pietà.

La forte valorizzazione del racconto, come elemento decisivo e caratterizzante di quella forma di póiesis che è la tragedia, consente di mettere a fuoco un aspetto essenziale del ragionamento aristotelico. È il mýthos, e più in particolare il modo con cui esso è costruito, ciò che conferisce a un’opera poetica (a una concretizzazione di quella forma del fare che è la póiesis) la capacità di suscitare il coinvolgimento emotivo liberatorio negli spettatori (o negli ascoltatori). A essere fonte di páthos non sono, dunque, elementi puramente sussidiari, e comunque estrinseci rispetto alla composizione del racconto, quali sono appunto quelli che colpiscono i sensi della vista e dell’udito, ma piuttosto un aspetto strutturale, pertinente alla razionalità dell’impianto narrativo, riguardante le modalità con le quali i

Esistono fatti o solo interpretazioni? Rashômon (1950) di Akira Kurosawa Secondo Friedrich Nietzsche, non esistono fatti oggettivi, ma ci sono solo interpretazioni. A suo giudizio, nessun fatto in sé è constatabile; sono constatabili solo fatti interpretati, diversi da uomo a uomo. Noi, infatti, interpretiamo il mondo alla luce dei nostri bisogni e della nostra volontà di potenza. L’intelletto non può fare a meno di vedere le cose sotto le sue forme prospettiche. Il “prospettivismo” di Nietzsche è espresso nel film Rashômon (1950) di Akira Kurosawa. A Kyôto, nel XV secolo, un bandito è accusato di aver ucciso un samurai nel bosco e di averne violentato la moglie. Dello stesso avvenimento vengono date versioni diverse fra loro da vari testimoni oculari. Qual è allora la verità? Il film avvalora la tesi secondo la quale ogni uomo crea la propria verità in funzione del suo interesse vitale. Alcuni filosofi di tendenza analitica hanno però attaccato il prospettivismo di Nietzsche, sostenendo che risulta autocontraddittorio. Infatti, se tutto è un’interpretazione, e non è possibile conoscere la verità, allora anche il prospettivismo è un’interpretazione e si può mettere in dubbio.

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DOSSIER fatti descritti sono connessi in una trama ben organizzata. D’altra parte, l’enfasi su criteri capaci di evidenziare l’intelligibilità intrinseca della struttura narrativa, a scapito di requisiti connessi con l’ambito della sensibilità, discende consequenzialmente, almeno in Aristotele, da ciò che egli sostiene in generale riguardo alla póiesis. Occorre ricordare, infatti, che la superiorità attribuita alla poesia, rispetto alla storia, è motivata col fatto che la prima «dice gli universali», mentre la storia si limita ai particolari. Philosophóteron, dunque, “la cosa più filosofica” è la poesia, in quanto essa si riferisce a ciò che è “verosimile” (éikos), e che perciò intrattiene una relazione con l’universale nella forma della probabilità, mentre la storia si occupa soltanto di cose effettivamente accadute, in quanto tali inevitabilmente particolari.

Tradotte sul piano delle opere cinematografiche, ossia in riferimento a opere nelle quali proprio alla vista e all’udito viene molto spesso affidato il compito di coinvolgere lo spettatore, queste osservazioni possono apparire, e in larga misura sono, perfino dirompenti. D’altra parte, almeno in quelle produzioni cinematografiche, per le quali si può ripetere quanto Aristotele affermava a proposito della tragedia, e cioè per quei film nei quali l’elemento di gran lunga più importante sia il racconto, le modalità di costituzione della trama (non quindi il suo contenuto, ma la sua forma) risultano essere davvero decisive. K  Umberto Curi è docente di Storia della Filosofia presso l’Università di Padova e presso l’Università San Raffaele di Milano.

APPROFONDIRE

U. Curi, Lo schermo del pensiero. Cinema e filosofia, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2000.

U. Curi, Ombre delle idee. Filosofia del cinema fra “American Beauty” e “Parla con lei”, Pendragon, Bologna, 2002.

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U. Curi, Un filosofo al cinema, Bompiani, Milano, 2006. U. Curi, L’immagine-pensiero. Tra Fellini, Wilder e Wenders: un viaggio filosofico, Mimesis, Milano, 2009.

U. Curi, Film in discussione, rubrica edita dal 1889 sulla rivista “il Mulino”, Bologna.

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G. Deleuze, Pourparler 19721990, Quodlibet, Macerata, 2000. G. Deleuze, L’immagine movimento, [1983], Ubulibri, Milano, 1994.

Il mondo sensibile è un’illusione? Matrix (1999) di Larry e Andy Wachowski Il filosofo Hilary Putnam immagina che uno scienziato pazzo estragga il cervello dal corpo di un uomo, lo mantenga in vita in una vasca piena di liquido nutriente e lo connetta a un computer programmato per simulare la vita corporea. Il cervello continua a credere di avere un corpo e di compiere esperienze, mentre tutto è un’illusione dettata dal computer. Putnam si chiede: chi ci assicura che non siamo cervelli in una vasca, condannati a illuderci sulla nostra reale situazione? L’ipotesi è ripresa in Matrix (1999) di Larry e Andy Wachowski, che descrive il destino di uomini ridotti a uno stato larvale, la cui mente è controllata dal programma di un gigantesco computer, la Matrice, che li fa vivere in una specie di sogno continuo. Il dubbio scettico di Putnam e di Matrix è comprensibile solo in un contesto filosofico, in cui si richiede certezza assoluta. In un contesto quotidiano, e in condizioni di buona salute mentale, noi non mettiamo assolutamente in dubbio la validità della nostra conoscenza sensibile. In ambito filosofico è però lecito chiedersi: quanto sono attendibili i nostri sensi?

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DOSSIER

Il cinema storico Un film può essere uno strumento utile per approfondire una vicenda storica. Ma spesso è esso stesso un documento, una fonte, un agente di storia.

 Andrea Sani

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a storia per mezzo del cinema? Il 29 novembre del 1945, durante una seduta del Processo di Norimberga che giudica i criminali nazisti dopo la fine della Seconda guerra mondiale, viene proiettato il film di un’ora intitolato Nazi Concentration Camp. Questo documentario statunitense, prodotto dall’accusa, mostra una serie di atrocità, sevizie e torture inflitte nei campi di concentramento. Il filmato offre a tutti i presenti una testimonianza decisiva della crudeltà del regime nazista. Così, per la prima volta, il cinema diventa una prova in un tribunale ed entra di diritto nella storia. È soprattutto la storiografia anglosassone a sottolineare l’importanza dei documentari come possibili fonti storiche, e a porre il problema della conservazione a fini storiografici dei materiali audiovisivi. Spetta però alla scuola francese delle “Annales” il merito di aver esteso il campo dei documenti ammissibili per la ricerca storica anche al cinema di finzione. Infatti, sin dagli anni Settanta del Novecento, gli storici Marc Ferro e Pierre Sorlin pongono al centro della loro attenzione l’intera produzione filmica, e in particolar modo la cosiddetta fiction. Va precisato che un film storico di finzione non è – né potrebbe esserlo – una fonte per ciò che fa vedere e per ciò che racconta. Anche quando la narrazione filmica 44

è fedele quanto più possibile ai documenti di un’epoca, non è certo una testimonianza oggettiva del passato, perché si tratta, comunque, di una ricostruzione. Una pellicola deve pur sempre ricostruire in modo puramente immaginario la maggior parte di quello che mostra con i suoi fotogrammi. Ciò non toglie che i film storici possono rappresentare uno strumento per conoscere gli eventi passati, al pari – e forse più – di un libro di storia; possono essere, cioè, una forma di scrittura del passato, attraverso il suono e le immagini. Ma l’importanza del cinema a sfondo storico a fini storiografici non si limita a questo. Infatti, oltre a essere utilizzabili per raccontare la storia dell’epoca che viene descritta dalle loro immagini, secondo Ferro e Sorlin le pellicole storiche sono in grado di svolgere anche altre due importanti funzioni. Infatti tali film possono essere considerati sia come una testimonianza per conoscere la storia del periodo in cui sono stati prodotti (quali documenti d’epoca), sia come “agenti di storia”, cioè come protagonisti essi stessi di eventi storici. Uno strumento per raccontare Riguardo alla prima funzione del cinema storico, inteso come mezzo per raccontare gli eventi del passato, bisogna distinguere due tipi fondamentali di opere.


DOSSIER Da una parte, ci sono i film nei quali la storia è semplicemente una cornice, come nei kolossal tipo Ben-Hur (id., 1959) di William Wyler, El Cid (id., 1961) di Anthony Mann, o il più recente Il gladiatore (Gladiator, 2000) di Ridley Scott, che, pur essendo delle notevoli opere di intrattenimento, sono scarsamente attendibili, poiché le vicende storiche risultano deformate a scopo narrativo, i costumi sono del tutto inventati o fuori tempo, ecc. Dall’altro lato, ci sono, invece, i film nei quali la storia è davvero l’oggetto principale della narrazione, come, per esempio, Barry Lyndon (1975) di Stanley Kubrick, capolavoro sul Settecento inglese, o Il mondo nuovo (1982) di Ettore Scola, dedicato alla fuga di Luigi XVI nel 1791. Tra i film di quest’ultimo tipo, ve ne sono alcuni che contribuiscono a illuminare certi fenomeni storici in modo particolarmente creativo. «Il regista italiano Luchino Visconti, per esempio», ha scritto Marc Ferro, «nel film La caduta degli dei (1969), offre una via règia a chi vuole comprendere la penetrazione del nazismo nell’alta borghesia tedesca» (M. Ferro, Cinéma et Histoire, Parigi, Gallimard, 1993, p. 221). Il film storico, se ben fatto, è in grado di svolgere un’importante funzione, perché è capace di trasferire gli spettatori in mondi ormai perduti attraverso i grandi mezzi di cui può disporre, quali la ricostruzione degli ambienti e delle scene di massa. Tanto più che oggi la sperimentazione digitale ha reso possibile la visualizzazione di immagini grandiose di assoluto realismo, come, per esempio, le sequenze delle battaglie che, grazie agli odierni effetti speciali, possono riprodurre il numero esatto dei combattenti dell’epoca. Le pellicole di questo

J. Mlodozeniec, Niebieski zolnierz, poster polacco del film western Soldier Blue, litografia,1972.

genere riescono a rendere visibile e concreto ciò che altrimenti sarebbe soltanto immaginabile; grazie a esse, il passato può sembrare meno estraneo, e si arricchisce di suggestioni che coinvolgono sia la sfera cognitiva, sia quella emotiva del pubblico. Per quanto riguarda il cinema e la storia, dunque, non si vede perché i film storici non possano essere utilizzati anche sul piano didattico, sfruttando il fatto che essi lan45

ciano agli spettatori dei messaggi molto coinvolgenti. La storia narrata in un film può rimanere più impressa agli studenti di quella raccontata attraverso altre forme di comunicazione, anche perché i giovani sono già predisposti verso le immagini, essendo cresciuti in un ambiente multimediale. Il fatto che in molti film in costume compaiano degli anacronismi, non è una ragione sufficiente per squalificare nel complesso questo


DOSSIER | Il cinema storico genere di spettacolo come mezzo per raccontare il passato. In realtà, anche gli errori commessi nelle pellicole a sfondo storico possono essere sfruttati a scopo didattico. Quando le castronerie non sono così macroscopiche come il legionario con l’orologio al polso di Scipione l’Africano (1937) di Carmine Gallone (1886-1973), la “caccia all’errore” è un esercizio stimolante che abitua alla “distanza” critica rispetto alle immagini di un film, e che suscita discussioni e ricerche storiche non banali per una corretta ricostruzione di ciò che lo schermo ha falsato. È ovvio che la visione di una pellicola non deve sostituire i manuali, l’analisi delle fonti, l’opera dell’insegnante e la fatica dell’apprendere. Però, è anche vero che, grazie al cinema, il passato può sembrare meno estraneo e arricchirsi di emozioni e di suggestioni, prati-

che educative assolutamente da non sottovalutare. Naturalmente, perché un film storico possa svolgere una funzione di stimolo e sia in grado di far nascere l’interesse per la conoscenza del passato non dev’essere noioso. Non tutte le pellicole in costume sono valide per l’insegnante, che dovrebbe proporre solo opere appassionanti e dotate di valore artistico. Un esempio di film perfetto da questo punto di vista è Il principe guerriero (The War Lord, 1965) di Franklin Schaffner, che narra un episodio della guerra mossa dai normanni contro i frisoni pagani. In questa pellicola, tratta dal lavoro teatrale The Lovers (1954) di Leslie Stevens, la lotta contro gli infedeli si trasforma nella difesa del confine tra la civiltà e la barbarie. Il film (distribuito in DVD da Koch Media), ottimamente interpretato da Charlton Heston

e splendidamente fotografato da Russell Metty, offre un’immagine corretta e non convenzionale del Medioevo, rappresentando le superstizioni e i pregiudizi popolari in una regione sul mare del Nord nell’XI secolo. l cinema come documento Se è vero – come si è detto – che i film storici non costituiscono una “fonte” per l’epoca che descrivono nelle loro immagini (rappresentando solo uno “strumento” per narrarla), essi, però, possono essere un documento prezioso per conoscere l’epoca in cui tali film sono stati girati. In realtà, tutta la produzione filmica, e non solo il cinema storico, costituisce una testimonianza significativa della società a essa contemporanea, storicamente individuata nei suoi caratteri materiali e spirituali. Il cinema è addi-

Le tre funzioni del cinema storico Orizzonti di gloria (1957) di Stanley Kubrick L’azione del film di Kubrick, ispirato al libro omonimo (1935) di Humphrey Cobb, si svolge nel 1916, sul fronte franco-tedesco. La pellicola (un capolavoro del cinema antimilitarista) è uno strumento utilissimo per conoscere alcuni episodi di fucilazione avvenuti realmente nell’esercito francese. È poi un’opera che può essere utilizzata come “fonte storica" per l’epoca in cui viene prodotta, perché il processo-farsa ai soldati francesi accusati di codardia allude indirettamente ai processi con i quali il senatore Joseph Raymond McCarthy (1908-1957) conduce negli Stati Uniti la sua campagna anti-comunista nel periodo culminante della cosiddetta “caccia alla streghe” (1950-53). Ma Orizzonti di gloria è anche un “agente di storia”. Infatti, diviene ben presto un caso nei Paesi francofoni, per il suo tono polemico nei confronti dei vertici dell’esercito francese. Dopo l’uscita, nel 1957 in un cinema di Bruxelles, il film suscita la protesta degli ex-combattenti e uno scontro con giovani pacifisti. Il capolavoro di Kubrick impiega quindici anni per essere diffuso in Francia.

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DOSSIER rittura il documento storico più tipico del Novecento, che, non a caso, è considerato il secolo delle immagini in movimento. Questo ruolo di testimonianza sociologica, comunque, se è proprio di tutti i film di finzione, è svolto in maniera più accentuata proprio dal cinema storico, perché le pellicole in costume hanno spesso esercitato una funzione di propaganda politica per il presente, non solo nei regimi totalitari, ma anche in quelli di democrazia liberale. I film di questo genere molte volte aspirano a trarre dal passato delle lezioni e dei paralleli validi per l’età contemporanea, sottolineando ciò che unisce le diverse epoche della storia, e svelano le intromissioni politico-pedagogiche del potere. Molte pellicole ambientate nel passato ci offrono un’informazione sociologica sul modo in cui l’opinione pubblica o il potere concepiscono la propria storia remota o recente. Basti pensare al già citato film Scipione l’Africano (1937) di Carmine Gallone, che evidenzia un nesso preciso fra la guerra d’Etiopia del 1935-1936 e la Seconda guerra punica (218201 a.C.). Il lavoro di Gallone è incentrato sul tema del riscatto patriottico: vendicare la sconfitta romana di Canne (216 a.C.) equivale a vendicare la sconfitta subita da Crispi ad Adua (1896). È infatti evidente che nel ventennio fascista i film storici prodotti in Italia sono uno strumento per propagandare la politica estera del regime e per la conquista del consenso. Lo stesso discorso vale per i film storici prodotti nella Germania nazista. Ma anche nell’attuale regime democratico degli Stati Uniti, un film patriottico come Salvate il soldato Ryan (Saving Private Ryan, 1998), che descrive lo sbarco in Normandia nel 1944, sembra una giustifica-

E. Lipinski, Znak Zorro, poster polacco del film western The Mark of Zorro, litografia, 1947.

zione della politica estera americana alla fine degli anni Novanta. Da un punto di vista didattico, insegnare agli studenti a “leggere” il cinema come un documento per la conoscenza storica significa invitarli a considerare il film storico come una testimonianza di un certo periodo della storia contemporanea, in grado di fornire delle informazioni significative sulla “mentalità” e sullo spirito del tempo. Occorrerà quindi interpretare il cinema come un prodotto complesso della società, in modo da individuare, al di là dei 47

valori artistici, i caratteri ideologici della produzione e anche le stesse esigenze di mercato alle quali sottostà l’industria cinematografica. Il cinema come “agente di storia” Oltre che “strumento” per raccontare la storia, e come “fonte” per conoscere l’epoca in cui sono stati girati, i film storici possono svolgere infine anche una terza funzione, proponendosi qualche volta come “agenti di storia”, cioè possono addirittura influire sull’evoluzione della società. Ciò acca-


DOSSIER | Il cinema storico glia culturale che suscitò oltralpe il dramma Ernani (Hernani) di Victor Hugo nel 1830. Oggi, invece, sono i film, gli spettacoli televisivi e soprattutto Internet gli strumenti di informazione privilegiati, in grado di esercitare, talvolta, un’azione sulle vicende storiche. Anche un film può lasciare delle tracce durature nella storia (nel bene come nel male), e diventare costruttore di eventi storici. Insomma, finzione cinematografica e storia agiscono costantemente l’una sull’altra: il cinema riflette la società e contribuisce in parte a modificarla. K  Andrea Sani è insegnante di Storia e Filosofia in un liceo fiorentino. Si occupa di logica, cinema e fumetti.

Khishchniki Floridy, poster russo di un film western americano di William S. Hart, 1927.

de quando una pellicola diviene essa stessa protagonista di avvenimenti significativi sul piano storico, per le polemiche che può suscitare, o per l’influenza che può avere sull’immaginario collettivo. Esempi significativi di film “agenti di storia”, al di fuori del cinema storico, sono i capolavori fantascientifici di Stanley Kubrick. Si consideri, al riguardo, la straordinaria incidenza esercitata da certe scene dell’avveniristico 2001: Odissea nello spazio (2001: A Space Odyssey, 1968) sui mezzi di comunicazione di massa (cinema, fumetti, pubblicità, ecc.). Alcuni pensano, inoltre, che Arancia meccanica (A Clockwork Orange, 1971), sempre di Kubrick, abbia addirittura ispirato numerosi atti di violenza teppistica attestati dalla cronaca nera, tant’è vero che il regista, nel 1974, per porre fine alle illazioni sulle presunte colpe del suo film, lo ritirò dalla distribuzione in Inghilterra. Tra i film storici che rappresentano un avvenimento significativo sul piano sociale, si può citare una La ricerca | N. 1 Nuova Serie. Ottobre 2012 |

pellicola come Katyn (id, 2007) di Andrzej Wajda, dedicata alla strage di 22 000 prigionieri polacchi, prevalentemente ufficiali e sottufficiali, uccisi dai comunisti sovietici nel 1940 a sangue freddo con un colpo alla nuca. In Polonia il film – anche se esteticamente non eccelso – diventa un “caso” nazionale e viene visto da circa tre milioni di spettatori. Katyn è basato su Post mortem, il libro di Andrzej Mularczyk, e sul diario del maggiore Adam Solski, trovato durante l’esumazione del cadavere nel 1943. Dalla finzione alla realtà Lo stesso regista è figlio di uno degli ufficiali polacchi uccisi a Katyn, Jakub Wajda. La pellicola evidenzia il tentativo di occultamento effettuato dai comunisti sovietici per nascondere la loro responsabilità dell’eccidio, e così riapre in Polonia delle vecchie ferite. Marc Ferro osserva che in passato erano le opere letterarie a incidere sull’opinione pubblica. Si pensi, per esempio, alla batta48

APPROFONDIRE

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S. Bertelli, I corsari del tempo, Ponte Alle Grazie, Firenze, 1994. G. M. Gori, Insegna col cinema. Guida al film storico, Edizioni Studium, Roma, 1996.

P. Ortoleva, Cinema e storia. Scene dal passato, Loescher, Torino, 1991.

M. Sanfilippo, Il Medioevo secondo Walt Disney. Come l’America ha reinventato l’Età di Mezzo, Castelvecchi, Roma, 1993.

M. Sanfilippo, Historic Park. La storia e il cinema, Elleu Multimedia, Roma, 2004.

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A. Sani, Il cinema tra storia e filosofia, Le Lettere, Firenze, 2002. A. Sani, Il cinema pensa? Cinema, filosofia e storia, Loescher, Torino, 2008.

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A. Sani, Il cinema della storia (libro + DVD), allegato al manuale di Z. Ciuffoletti, U. Baldocchi, S. Bucciarelli, S. Sodi, Dentro la storia, D’Anna, Firenze, 2012. A. Viganò, Cinema storico in cento film, Le Mani, Genova, 1997.


DOSSIER

Le guerre civili al cinema La guerra ai civili nel Novecento tra storiografia e immagine audiovisiva. Una proposta per un percorso didattico.

La copertina della rivista Polityka nel decennale della vittoria elettorale del1989.

 Valter Careglio

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o storico Giovanni De Luna scrive che: «Abituarsi a leggere criticamente la televisione o il cinema, storicizzandone il ruolo e la funzione, può indurre a una sana abitudine alla vigilanza squarciando quella cappa di inerte passività che oggi si addensa sul modo in cui il pubblico fruisce dei mezzi di comunicazione di massa». E in effetti l’uso del cinema per 49

lo studio della storia è ormai un dato di fatto nella scuola da almeno quarant’anni: da quando cioè, sull’onda della contestazione studentesca, fecero la loro comparsa le prime pellicole nella scuola, molto spesso nell’ambito di veri e propri cineforum, gestiti dagli stessi studenti. Poi, con la diffusione dei videoregistratori le scuole si dotarono di proprie videoteche. Ma è solo con l’arrivo dei supporti


DOSSIER | Le guerre civili al cinema gomento storico si deve tuttavia avere la consapevolezza che esso non ci illumina solo su un determinato argomento, ma anche su come gli uomini che hanno realizzato quel film hanno interpretato la storia in quel determinato momento storico.

G. Marszalek, W samo poludnie (A mezzogiorno), poster polacco del film western High Noon (Mezzogiorno di fuoco nell’edizione italiana), litografia, 1987.

digitali, con pc sempre più potenti, che si è reso possibile realizzare montaggi artigianali di sequenze di film o addirittura costruire veri e propri DVD-ROM o prodotti per le LIM in cui le immagini dei film siano accompagnate da un commento scritto: tutto ciò al fine di rendere la lezione sempre più interattiva e accattivante e non semplicemente una replica di quanto può avvenire a casa davanti alla televisione. Sappiamo La ricerca | N. 1 Nuova Serie. Ottobre 2012 |

che il rapporto tra cinema e storia è complesso e, pur senza volerlo affrontare in questa sede, è bene tener presente che molteplici possono essere gli utilizzi del cinema a scuola: può servire a provocare una reazione rispetto a un tema e innescare pertanto una riflessione in classe; può essere utilizzato come fonte di conoscenza storica, oppure come mezzo per raccontare la storia. Quando si utilizza un film di ar50

Come leggere un film In proposito De Luna puntualizza che: «Leggere un film per lo storico vuol dire rispondere ad alcuni interrogativi sostanziali: che livello di autonomia ha il film nei confronti della storiografia in senso proprio? Si limita a confermarne le tesi prevalenti nel presente in cui viene prodotto, o semplicemente si riferisce a quelle diffuse nel senso comune della gente, o, ancora, appare in grado di arricchire in modo specifico la prospettiva storiografica, anticipandone scoperte, additando nuove piste?». Circa tre anni fa, in occasione di un laboratorio di storia tenuto alla SSIS di Torino, ho provato a rispondere a queste domande scegliendo il tema della guerra ai civili. Si tratta di una categoria storiografica abbastanza recente che ha dimostrato come, nel corso del Novecento, e soprattutto a partire dalla seconda guerra mondiale, i civili siano progressivamente divenuti il bersaglio principale di tutti i conflitti bellici fino a raggiungere ormai l’80-90% delle vittime totali nelle ultime guerre. Utilizzando sequenze tratte dal cinema italiano dagli anni Quaranta agli anni Ottanta ho provato a condividere con i miei corsisti (e al tempo stesso con gli studenti della mia quinta professionale) l’idea che registi e sceneggiatori abbiano raccontato al grande pubblico questo tema e colto la sua importanza ben prima degli storici. L’attività perseguiva ovviamente un duplice


DOSSIER obiettivo: da una parte affrontare un tema storico che non fosse una mera replica del libro di testo ma offrisse una chiave di lettura complessiva di una parte consistente della storia del Novecento; dall’altra educare a un approccio critico nella lettura dei film storici. Un articolo non può ovviamente restituire l’impatto di un prodotto multimediale, ma in questi sede vorrei almeno segnalare titoli e sequenze, attraverso i quali ciascuno possa pervenire ad analoghi lavori. I bombardamenti Lo storico Paul Fussel scrive che la seconda guerra mondiale: «Era cominciata con la decisione di non bombardare i civili […] e si concluse non soltanto con Amburgo e Dresda, ma con Hiroshima e Nagasaki». In Italia le vittime complessive dei bombardamenti furono circa 70 000. Al termine della guerra furono stilate liste di danni inferti a beni e a servizi ma non è stata rinvenuta nessuna nota che calcolasse precisamente il numero delle vittime civili. Il cinema italiano fu invece assai sensibile a questo tema fin dall’immediato dopoguerra. Roberto Rossellini, in Roma città aperta (1945), sceneggiato da Sergio Amidei quando la città era ancora occupata dai tedeschi, non potendo puntare il dito sugli americani “liberatori”, con grande attenzione e classe, in una scena di dieci secondi, ci mostra la sora Pina che, alla domanda del portiere dello stabile dove vive «Ma esisteranno ‘sti americani?», che sembrerebbe auspicarne l’arrivo quanto prima, ne ridimensiona l’entusiasmo, mostrando un edificio bombardato e rispondendo «Esistono, esistono!». Ed è ancora Rossellini, nel 1946, quando gira il suo film-documentario sulla conquista dell’I-

M. Stachurski, W samo poludnie (A mezzogiorno), poster polacco del film western High Noon (Mezzogiorno di fuoco nell’edizione italiana), litografia, 1959.

talia da parte degli statunitensi, Paisà, a mostrarci una nazione ridotta a un cumulo di macerie. La storiografia più recente ci insegna che Napoli fu una delle città più bombardate d’Italia: un dato evidente a Rossellini che sceglie questa città come sfondo del secondo episodio nel quale un bambino, seduto in mezzo alle macerie, chiede dei soldi a un soldato americano e poi gli ruba le scarpe mentre questi è ubriaco. Qualche 51

giorno dopo il soldato ritrova il bambino e lo costringe ad accompagnarlo a casa sua per pretendere la restituzione delle scarpe. Quando però si trova di fronte alla sua abitazione, un’immensa caverna sotto le macerie, dove molte famiglie vivono accampate, domanda dove sono i genitori e il ragazzo risponde che sono morti: a quel punto l’americano desiste dalla sua richiesta e se ne va. Nell’anno successivo di Paisà


DOSSIER | Le guerre civili al cinema esce Un americano in vacanza di Luigi Zampa, ambientato questa volta a Roma: la sequenza dei due americani che cercano invano tra le macerie dei bombardamenti un bar e assistono invece alla celebrazione di una messa e a una lezione di scuola, sono l’ennesima conferma di quanto il cinema neorealista abbia saputo prestare attenzione al nostro tema e al vissuto quotidiano dei civili durante una guerra. Con gli americani “in casa” le critiche erano pur sempre ispirate a cautela e affidate alle immagini ma, quando Vittorio De Sica, nel 1960, ispirandosi al romanzo di Alberto Moravia, gira La ciociara, può permettersi ben altri toni. Intanto perché ci mostra non le macerie, ma la ricostruzione di un vero bombardamento su Napoli, aperto e chiuso dalla sirena, con tutti i risvolti psicologici che esso assume sui civili; ma soprattutto perché, in piena guerra fredda, mette in bocca a Sophia Loren, l’attrice italiana più famosa del momento, la parola «assassini», rivolta proprio agli americani. Nel decennio successivo, in Anno uno (1974), dedicato alla biografia dello statista democristiano Alcide De Gasperi, ancora Rossellini apre significativamente il film con la ricostruzione di un bombardamento su Roma ai tempi del massacro delle Fosse Ardeatine. La drammaticità dell’evento è accresciuta non solo dalla pellicola a colori, ma soprattutto dalla scelta di rappresentare la raccolta dei corpi dei civili morti durante il bombardamento.

Le rappresaglie nazifasciste Le vittime civili dell’occupazione tedesca in Italia furono 10 000 circa e tra esse gran parte erano donne, anziani e bambini. Oggi il cinema, alla luce di una copiosa storiografia, si è molto occupato di loro con film molto discussi come Miracolo a Sant’Anna di Spike Lee (2008) o il recente capolavoro di Giorgio Diritti L’uomo che verrà (2009). Ma in realtà lo fa in Italia da almeno cinquant’anni, anche se non sempre in modo esplicito: pur avendo in effetti diffusamente raccontato l’esperienza della lotta partigiana al nazifascismo, sembrerebbe di poter dire che prima abbia messo al centro la guerra di Liberazione poi, dagli anni Sessanta, la guerra civile e, solo in anni più recenti, la guerra ai civili. Il tema

Cinque minuti a mezzogiorno, poster elettorale, 1989.

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è molto spesso rappresentato dalla classica entrata in scena di un camion tedesco, che effettuando un rastrellamento preleva civili a caso, da una piazza in cui la popolazione è costretta ad assistere a una pubblica esecuzione o ai corpi degli impiccati lasciati esposti o dal racconto di banali violenze quotidiane, fino ad arrivare alla ricostruzione di veri e propri eccidi in film come Dieci italiani per un tedesco di Ratti del 1961. Tra i titoli imprescindibili ancora Roma città aperta, non a caso con una scena come quella della morte della sora Pina, così nota e famosa, da essere diventata anche l’icona del cinema neorealista italiano. Non dimentichiamo infatti che la protagonista del film, l’attrice Anna Magnani, è una popolana lontana da una sensibilità politica che, in una città in ginocchio per i bombardamenti e la miseria, si confronta tutti i giorni con problemi di sopravvivenza. La scena che abbiamo citato è preceduta ad arte da un breve dialogo della protagonista con il suo compagno mentre esprime le sue ansie («Quando finirà questa guerra?»), alla vigilia del loro matrimonio. La grande storia irrompe invece tragicamente nel loro destino: la sora Pina paga con la vita la sua ingenuità di rincorrere l’uomo che ama prelevato da un camion tedesco durante un rastrellamento proprio in quello che avrebbe dovuto essere il giorno più felice della sua vita. A differenza della sora Pina, nel suo carattere umile e dimesso la contadina Agnese (prota-


DOSSIER gonista del romanzo di Renata Viganò e dell’omonimo film di Giuliano Montaldo, L’Agnese va a morire), rimane invece sull’uscio di casa, come raggelata dall’arresto del marito. Ma poi prende progressivamente coscienza di quanto sta accadendo intorno a lei e diventa una staffetta partigiana. Anche questo film ci propone una pubblica impiccagione alla presenza della folla e dei tedeschi spesso sprezzanti nei riguardi anche di donne e anziani. Nel giro di due anni, tra il 1960 e il 1961, escono tre film che mettono per la prima volta in scena la guerra civile condotta dai fascisti, non solo attraverso rastrellamenti, soprusi e violenze quotidiane, ma anche attraverso Installazione commemorativa della vittoria elettorale del 1989, Varsavia, 2009. vere e proprie rappresaglie. renzo dei fratelli Taviani (1982) Nel primo, La lunga notte del ’43, che i civili vengono posti al cendi Florestano Vancini (1960), il tro del racconto: a San Miniato i regista ricostruisce un episodio di tedeschi oramai in fuga dichiararappresaglia operato dai fascisti no di aver minato tutto il paese a Ferrara per vendicare l’uccisioe annunciano che l’unica salvezza ne di un loro camerata: nel film è quella di rifugiarsi in chiesa. Il di Vancini ci imbattiamo per la paese è diviso in due: molti uoprima volta nella rappresentaziomini accettano la proposta dei ne di cadaveri di civili giustiziati tedeschi, gli altri invece decidono nel cuore della notte, ma lasciati di non fidarsi e di raggiungere le esposti come monito, senza neslinee americane. I paesani che si suna pietà, anche nel giorno sucsono rifugiati in chiesa muoiocessivo, impedendo ai congiunti no perché una bomba esplode al di avvicinarsi o rendere loro determine della liturgia. Quelli che gna sepoltura. Un macabro rituale hanno scelto di andare incontro sul quale solo oggi la storiografia ai soldati americani incappano si interroga. Analoghe scene si riinvece in uno scontro a fuoco tra petono in altri due film: Un giorno partigiani e fascisti. da leoni di Nanny Loy (1961) e Il film coglie lo spirito di un reale Tiro al piccione di Giuliano Mondisagio della popolazione civile taldo, dello stesso anno. vissuto in Toscana nei mesi della ritirata tedesca. Ma esso è anche Chi uccise a San Miniato? l’occasione per spiegare ai ragazMa è solo con La notte di San Lo53

zi come anche il migliore cinema d’autore, quando non sia suffragato da un’attenta ricerca storica, possa concorrere ad amplificare e trasmettere una falsa memoria storica. Nel caso dell’episodio in questione lo storico Lutz Klinkhammer ha recentemente dimostrato che la morte dei trentasei civili nel duomo di San Miniato avvenne a causa «di una granata, più probabilmente di provenienza americana che tedesca, entrata da una finestra nell’interno della chiesa: questa disgrazia è stata considerata per decenni come una carneficina pianificata dai tedeschi». K  Valter Careglio insegna Storia e Filosofia al liceo classico F. G. Porporato di Pinerolo. È stato docente presso la Scuola Interateneo di Specializzazione per la Formazione degli Insegnati della Scuola secondaria dell’Università di Torino.

APPROFONDIRE

G. De Luna, L’occhio e l’orecchio dello storico, La Nuova Italia, Firenze, 1993.

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G. De Luna, Il corpo del nemico ucciso, Einaudi, Torino, 2006. G. Gribaudi, Le guerre del Novecento, L’ancora del Mediterraneo, Napoli, 2007.

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P. Fussel, Tempo di guerra. Psicologia, emozioni e cultura nella seconda guerra mondiale, Arnoldo Mondadori, Milano, 1989. L. Klinkhammer, Stragi naziste in Italia. La guerra contro i civili, Donzelli, Roma, 1997.


DOSSIER

Il nutrimento dell’intertestualità Nell’aula di lingua straniera, l’uso di film, ma anche di telenovele, reality, documentari, quiz, reportage e notiziari, può diventare uno strumento utile per sviluppare l’abilità nel confrontare prodotti culturali diversificati.

 Deborah J. Ellis

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rof! Ci fai vedere un film?». La risposta era quasi sempre no. Problemi di tempo/programma e quindi una gerarchia di valore in cui l’uso di un filmato occupava uno degli ultimi posti. E poi il senso di colpa, la coscienza che usare la videocassetta di un film come babysitter, o premio divertimento prima delle vacanze, non era né etico né, forse, legale. La questione “cinema” nelle lezioni di lingua era scomoda, spesso vissuta con imbarazzo. Ma le cose stanno cambiando. Sono cambiati prima di tutto i nostri alunni. La cultura popolare odierna fa parte del loro vissuto e forma la loro esperienza. Quell’esperienza che il docente deve saper sfruttare per agganciare nuovi saperi. I nostri discenti sono multiliterate, cioè sanno navigare attraverso i segni e simboli della cultura mediatica, possiedono computer literacy, visual literacy, tele-literacy, moving-image literacy e così via, competenze che loro sviluppano anche al di fuori dell’aula, in modo volontario e autonomo, nelle quali sono spesso più esperti dei loro docenti. Vivono in una società satura di media nella quale il curricolo scolastico può sembrare mancare di pertinenza. Le statistiche indicano che i nostri alunni dedicano molto più tempo a video e TV che alla lettura, e che il periodo in cui l’in54

teresse per i libri è al livello più basso è la tarda adolescenza. La letteratura classica li intimidisce. Immaginiamoci la letteratura in lingua straniera. Il cartaceo non li attira; sono persone che rispondono meglio a rappresentazioni dinamico-visive. Testi e linguaggi Sono cambiate anche le indicazioni ministeriali. Per i docenti di lingua e cultura straniera, le parole “testo” e “linguaggio” sono diventante contenitori nuovi. Si propone l’uso di testi orali, scritti e iconico-grafici (documenti d’attualità, testi letterari, opere d’arte, film, video e così via), per arrivare attraverso l’analisi di questi “prodotti” a una comprensione della cultura dei Paesi in cui si parla la lingua, e al saper riconoscere similarità e diversità tra culture. Non per caso la lingua straniera si trova, tra i nuovi “assi culturali”, nell’asse dei linguaggi, insieme alla lingua italiana e ai linguaggi multimediali (le molteplici forme espressive non verbali e l’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione). Stanno cambiando le attrezzature, i supporti e gli apparati didattici. Si cominciano a intravedere le LIM. I libri di lingua e di letteratura hanno i loro supporti multimediali e le risorse on-line. Ci sono aule multimediali attrezzate, il collegamento a Internet, la


DOSSIER possibilità di fare video-conferencing. Cambia quindi l’aula dove si impara la lingua e la cultura straniera. Il film ne fa parte fondamentale, e il favorire l’abilità di rispondere a una larga gamma di testi in una grande varietà di modi diventa parte integrale dell’operato del docente. Un filmato è quindi esempio di “testo”. Nelle lezioni di lingua straniera può essere usato per attività di comprensione della lingua parlata, come stimolo o input iniziale in vista di altre attività, per esempio di scrittura o di conversazione.

ambito che diventa affascinante l’intertestualità e l’interdipendenza tra literacies. Se ci focalizziamo sull’idea di literacy come abilità di interpretare e produrre segni, e poi di gestire uno specifico sistema di segni (che sia matematico, scientifico, musicale, artistico...), guardare un film e parlarne vuol dire saper leggere, essere “alfabetizzati” nel sistema “cinema”. È chiaro che esistono livelli diversi di competenza di lettura, da quelli basilari (basic) agli ordini più alti (higher range). Il do-

Copertina di Western Amerykanski. Polish poster art and the western, (a cura di K. Mulroy, )University of Washington Press, Washington, 1999.

Dalle telenovele ai notiziari Nel saggio Film Langauge Christian Metz esprime il paradosso che un film è difficile da spiegare perché è facile da capire; uno strumento perfetto, quindi, per un docente di lingua straniera che vuole coinvolgere gli studenti e stimolare le loro risposte. Può essere usato come sequenza di immagini, per lo sviluppo e l’arricchimento del lessico, oppure come modello di lingua per questioni di pronuncia, registro, sintassi. Può aiutare gli studenti a contestualizzare parole e significati, andando oltre all’icono-testo statico e fisso per sfruttare al massimo il matrimonio tra parola e immagine. E nell’insegnamento della lingua, la varietà di tipologie di filmati sfruttabili è vasta: telenovele, film, reality, documentari, quiz, reportage, notiziari e così via Quello che è interessante è il valore aggiunto di tutte queste tipologie: non si tratta soltanto di esempi di lingua autentica, ma anche di utilizzo di linguaggi non verbali e di approfondimento di aspetti culturali. Un filmato è anche un esempio di testo nell’insegnamento della letteratura. Ed è proprio in questo

cente di lingua straniera lavora sull’acquisizione di competenze progressivamente sempre più complesse in modo da dare allo studente l’accesso (parziale o completo) a queste produzioni artistiche. Questo implica una fase propedeutica nella quale vengono rivelate le tecniche dell’artista cinematografico e il linguaggio specifico in L2 per parlarne in modo informato. In questo modo lo studente passa gradualmente da un linguaggio generico, ad esem-

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DOSSIER | Il nutrimento dell’intertestualità pio: «I really liked the bit when he came in through the door looking really angry», a un linguaggio specifico e appropriato, ad esempio: «The overall effect of the montage is to create tension. A long shot is followed by a high-angle close-up which reveals the angry expression». L’interdipendenza di linguaggio e pensiero sottolinea come lo studente, attraverso l’acquisizione del linguaggio, raggiunge una nuova sensibilità e comprensione della specifica forma d’arte che è il cinema. Cinema e letteratura L’interdipendenza delle literacies, invece, implica che una literacy nutre l’altra, una aiuta a far crescere l’altra, l’una ha bisogno dell’altra, è contenuta nell’altra. Lo sviluppo di abilità ricettive e produttive quindi non riguarderà soltanto l’ambito cinematografico. Investirà necessariamente altri ambiti, ed è più probabile che lo sviluppo diventi lifelong. In Using Film to Increase Literacy Skills, la docente di scuola superiore Michael Vetrie ha notato che studenti “a rischio” hanno migliorato le abilità di lettura attraverso un uso mirato di film scelti per come riescono a coinvolgere gli studenti e a creare in loro il bisogno o il desiderio di comunicare. Vengono proposte attività di ascolto, di discussione e poi di scrittura, che, a loro volta, influenzano in modo positivo l’abilità di lettura. Sarà, quindi, per il docente di lingua straniera, lo strumento in grado di offrire motivazioni e stimoli anche agli alunni in difficoltà. Se ora affianchiamo al testo visivo “film” il testo verbale “letteratura”, si apre una nuova gamma di possibilità. Nel suo articolo Teaching By Film From Literature, Aimee Stanfield Arreygue sottolinea come il film non debba La ricerca | N. 1 Nuova Serie. Ottobre 2012 |

prendere il posto del testo scritto, ma possa aiutare lo studente ad avvicinarsi ad esso. Il film, infatti, mostra all’alunno il rapporto tra letteratura classica e cultura popolare, la pertinenza attuale di un contenuto storicamente e culturalmente lontano dal suo vissuto. Mette in evidenza l’universalità e la modernità dei temi trattati. Permette l’insegnamento di critical thinking, il pensiero critico. Arreygue è cosciente del suo pubblico: l’alunno del XXI secolo che vive in un mondo in cui “avere le cose velocemente” è la regola. Un film fa da supplemento veloce e digeribile al testo cartaceo. Vetrie invece afferma che i film devono essere insegnati proprio come si insegna la letteratura, cioè come una continuazione della pratica narrativa, che parte dalla tradizione orale, diventa poi produzione scritta ed è ora anche di “schermo”. Quando un film o spezzoni di film in lingua originale vengono affiancati a un testo letterario, l’accesso all’originale è sicuramente facilitato. Nel loro articolo It came alive outside my head (2004) Bousted e Ozturk vedono gli studenti come «expert readers of moving image» ma «novice readers of classic fiction», ovvero esperti in film ma novizi in narrativa classica. Anche se questa affermazione sembra negare la complessità dell’opera artistica che è il film, è comunque importante la loro enfasi sull’esperienza, sullo “schema” dello studente al quale il docente può connettersi. Sicuramente il film dà una rappresentazione visiva e immediata del contesto storico-sociale, dà una comprensione più veloce di avvenimenti e personaggi, aiuta la comprensione dei rapporti tra personaggi attraverso il dialogo e l’espressività dei visi e dei gesti. Come anche il 56

T. Sarnecki, W samo poludnie (A mezzogiorno), poster elettorale basato sul film western High Noon (Mezzogiorno di fuoco nell’edizione italiana),

libro, un film suscita una risposta emotiva che risulta motivante per lo studente. Paradossalmente, un testo verbale letterario in lingua straniera può rimanere silenzioso per l’alunno che, intimidito dallo sforzo di interpretazione, vede


DOSSIER

litografia, 1989, da K. Mulroy, Western Amerykanski. Polish poster art and the western, University of Washington Press, Washington, 1999.

solo parole ma non sente quello che dicono. Invece, proprio come l’ekfrasi dà voce a un’opera d’arte, un film può dare voce a un testo che non parlava e può servire da chiave che apre al dialogo. Inoltre, se l’affiancamento libro-film

non serve solo da supporto alla comprensione del primo, tra i due prodotti artistici si avvia un interessante lavoro di intertestualità. Il docente può soffermarsi sul confronto, su come i due testi si differenziano in termini di storia, dialogo, personaggi, tematiche principali e secondarie; come le tecniche di narrativa si traducono in tecniche cinematografiche; come gli episodi vengono interpolati e/o elisi; quale valore artistico esprimono i due prodotti.

nostre anime e fanno parte rilevante della cultura popolare che è il vissuto giornaliero dei nostri alunni. Nell’aula di lingua straniera sono anche esempi di lingua viva e sono prodotti legati alle culture contemporanee che circondano la lingua. Sono finestre su un mondo passato. Strumenti utili, motivanti, che stimolano pensiero e comunicazione, che nutrono. Quindi benvenuti i cambiamenti e... «Certo che vi faccio vedere un film!». K

Il libro-film Bousted e Ozturk, parlando di motivazione alla lettura, affermano l’importanza dei film come stimolo al ritorno alla lettura di opere letterarie intere, e non soltanto di estratti brevi. Un percorso interessante per la lingua straniera, svolto in parte a casa e in parte in aula, potrebbe essere la lettura del romanzo intero in traduzione, la visione del film in lingua originale, seguito dalla lettura dettagliata e dall’analisi di brani e di spezzoni di film, entrambi in lingua originale. In questo modo i confronti intertestuali saranno tra testo letterario e testo cinematografico, ma anche tra testo in italiano e testo in lingua straniera, con conseguente riflessione sulla mediazione linguistica. Sia Edward Rocklin sia Arreygue suggeriscono che l’uso di più film della stessa opera, e quindi di più interpretazioni di un unico mondo, aggiunge profondità e completezza al confronto e, di conseguenza, dà più sostanza al lavoro di critica che gli studenti possono svolgere. Rivisitando una citazione del rinomato Edward Sapir, Vetrie ci dice che dobbiamo «insegnare i film come indumenti significativi del nostro spirito». I film sono senza dubbio prodotti artistici espressione dei nostri tempi, delle

 Deborah J. Ellis è docente presso il liceo D. G. Fogazzaro di Vicenza e ha una vasta esperienza come insegnante ELS ed EFL nel sistema sistema scolastico italiano e inglese.

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APPROFONDIRE

M. Bousted, A. Ozturk, “It came alive outside my head”. Developing literacies through comparison: the reading of classic text and moving image, in “Literacy”, vol. 38, n. 1, aprile 2004.

C. Metz, Film Langauge. A Semiotics of the Cinema, University of Chicago Press, Chicago,1974.

E. Rocklin, Framing Macbeth. How Three Films Create the Play’s World, in “California English Journal”, 2000, visibile in rete sul sito della CATE, California Association of Teachers of English, www.cateweb.org.

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A. S. Arreygue, Teaching By Film From Literature. A Gen X Perspective, in “California English Journal”, 2000, visibile in rete sul sito della CATE, California Association of Teachers of English, www.cateweb.org. M. Vetrie, Using Film to Increase Literacy Skills, 2004, visibile in rete sul sito della Horizon High School Theatre Department, www.hhsdrama.com.


DOSSIER | Immagini

Guerra fredda al cinema: cowboys contro comunisti Come in Polonia, durante gli anni del regime comunista le locandine dei film western americani divennero oggetto di un sottile scontro ideologico.

Banchetto informativo durante le elezioni del 1989 da K. Mulroy, Western Amerykanski. Polish poster art and the western, University of Washington Press, Washington, 1999.

 Ubaldo Nicola

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el marzo de 1999, a Indipendence, nel Missouri, Bronislaw Gemerek, il ministro polacco degli Affari Esteri, concluse il discorso celebrativo dell’ingresso della Polonia nella NATO con l’esibizione di uno strano oggetto: «Abbiamo voluto portare dalla Polonia», egli disse, «alcuni ricordi del cammino che ci ha portato alla libertà, in particolare il poster con Gary Cooper in High Noon [Mezzogiorno di fuoco nell’edizione italiana]. Ci ha aiutato a vincere le decisive elezioni del 1989, quelle che portarono al potere Solidarność e il suo leader Lech Walesa». La locandina che il ministro volle 58

esibire in un’occasione tanto solenne è visibile alle pagine 56-57; Gary Cooper si avvia con passo sicuro alla sfida decisiva, armato solo di un giornale. allusivo alla libertà di stampa, e il distintivo di di Solidarność ben in vista sopra quello di sceriffo. La scritta sottostante, W samo południe, riporta il titolo dell’edizione polacca del film, in italiano Cinque minuti a mezzanotte, destinato a diventare esso stesso uno slogan e un manifesto elettorale di grande successo (vedi pagina 52), come dimostra l’immagine in questa pagina. Vi sono sempre ragioni profonde che determinano la nascita di un simbolo, soprattutto quando esso si dimostra potente, efficace


DOSSIER e comunicativo: nel nostro caso potremmo riflettere sul legame profondo che connette le idee di democrazia e scontro decisivo, una volta che questo non avvenga con l’uso dei revolver ma con votazioni parlamentari, pacifiche certo, ma non per questo meno dirompenti. In fondo non è per caso che dobbiamo entrambe le nozioni ai greci antichi, grandi amanti del duello rapido e senza appello, sia nel prendere le decisioni pubbliche, in assemlea, sia nel fare la guerra, perché le battaglie delle loro falangi altro non erano che una specie di duello di massa. Ronald Reagan e John Wayne La geniale intuizione di Tomasz Sarnecki è diventata in breve la principale icona visiva della rivoluzione anticomunista, come dimostrano la propaganda e le installazioni per il ventennale della vittoria, rispettivamente a pagina 49 e 53. Conta, in questo successo, anche una tradizione storica, perché per tutto il lungo periodo della guerra fredda la pubblicità dei film americani, quelli western in particolare, era stata occasione di uno scontro ideologico, a volte molto sottile, fra la propaganda e la censura ufficiali, da una parte, e la creatività degli illustratori dall’altra. Visti con sospetto dai funzionari di regime, in quanto ottimi veicoli dei detestati valori etici e politici americani, i film western, riprodotti con l’uso dei sottotitoli, erano proiettati nelle sale ma soggetti a una particolare attenzione nella propaganda. Privilegiati erano quelli che meglio denunciavano le sofferenze degli indiani prestandosi alla denuncia degli americani come sterminatori dei pacifici nativi americani, come ad esempio Soldato blu, prodotto nel 1972. La propaganda di regime

Swiat po amerykansku (Il mondo dopo il sogno americano), poster di propaganda antiamericana, 1982, da K. Mulroy, Western Amerykanski. Polish poster art and the western, University of Washington Press, Washington, 1999.

cercava in ogni modo di connotare negativamente la figura del cowboy, ad esempio producendo manifesti politici come quello in questa pagina, in cui il "nemico di classe" è individuato in un Ronald Reagan travestito da John Wayne. Va quindi apprezzato come, pur lavorando in queste condizioni, gli illustratori polacchi cercassero spesso soluzioni grafiche capaci di veicolare significati in qualche modo contestatari. Si prenda per esempio la locandina di Soldato blu a pagina 45. Del 59

soldato in questione compaiono solo gli stivali, decorati da due emblemi che ricordano la svastica: la denuncia, se vi è, non è contro le guerre degli amerikanski, ma semmai contro tutte le guerre. Alla querelle litografica non si sotrasse neppure Zorro, messicano (quindi terzomondista) e fautore della giustizia sociale. Un eroe positivo, insomma, che non a caso compare nella locandina a pagina 47 come se volasse via con il suo cavallo da un tetro castello, una specie di cortina di ferro. K


SCUOLA

Il premio e i vincitori Primo premio Filosofia come conoscenza di sé Beatrice Boselli, Gabriella D’Ascoli, Eika Vignali, Lo studio del comportamento umano: determinismo o libero arbitrio? Filosofia e altri linguaggi Elisa Scotti, Walter Piccolo, Lorenzo Moretto, Francesca Olivieri, La strana lotta delle metà. Filosofia e cittadinanza Francesca Favuzzi, Dalila Palumbo, Alessandro Lamanuzzi, Giuseppe Rossi, Democrazia, comunicazione, internet.

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Secondo premio Agnetti Benedetta, Bertolini Nicolò, Facchinelli Davide, Le illusioni dell’amore. Marta Bencivenga, Gli eccessi della ragione. Giulia Laboranti, Dio è innocente? Alberto Massari, Cecilia Montani, Emanuele Locatelli, Martina Corbetta, Pietro Oldani, C’è musica e musica. Pasquale Merolla, L’anima indaga su di sé. Silvia Carusi, Filosofie terapeutiche. MariaVolpi, Conoscere se stessi. Angela Attolini, Greta Manfredi, Nina Bianchini, Sofia Delprato, Libera Chiesa-libero Stato. Aquila Floriana, Donatella Simone, Maria Teresa Caporaso, Mariarosaria Picciallo, L’inafferrabile giustizia. Chiara Ceriotti, Stefano Lovati, Olga Maerna, Giulia Radice, Chiara Terraneo, Un po’ di Platone in questa Istruzione! Benedetta Agnetti, Laura Baraldi, Nicolò Bertolini, Davide Facchinelli, L’illusione dell’amore nel tempo e nella storia. Arianna Valentini, Empedocle: filosofia e linguaggio. Paolo Vella, L’uomo è morto.

• Un ottimo risultato In risposta al premio “Le questioni che contano” organizzato dalla casa editrice Loescher congiuntamente all’associazione Diogene sono arrivati sessantasette elaborati, la maggior parte dei quali inviati da gruppi di quattro o cinque alunni, da cinquantacinque istituti superiori diffusi su tutto il territorio nazionale. Possiamo considerarlo un buon risultato. I vincitori sono stati selezionati da una giuria formata dai seguenti docenti: Piero Carelli, Ubaldo Nicola, Elisa Rubino, Enzo Ruffaldi, Ezio Susella, Gian Paolo Terravecchia. Fra i tre modelli proposti, la preferenza è andata verso la “Filosofia come conoscenza di sé”, mentre meno numerosi sono stati i contributi focalizzati sulla “Filosofia e altri linguaggi” e “Filosofia e cittadinanza”.

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Federica Garghetti, Filosofia. • Linda La filosofia è tra noi! •(ma noi nonLatini, lo sappiamo). Francesco Divincenzo, Urgesi •Marivita, Daniele Buonamassa, Connubio tra diritto e pensiero. Viola Caffaroni, Il poligono della conoscenza. Francesco Chiappini, Mattia Galluccio, L’anima: pura immaginazione o parte più importante di un uomo? Francesco Divincenzo, Dialogo e cittadinanza. Joshua Babic, Che cos’è la filosofia? Gabriella Scaltrito, Maria Grazia Tota, L’antidoto ai mali della società? La conoscenza di sé. Francesca Chiappini, Roberta Fascetti, Giada Renna, Annalisa Tozzi, Amore: sospiro dell’anima o tormento narcisistico? Chiara Castelli, Marta Franciosi, Marco Schiavo, Utopia imperfetta o perfetta illusione? Antonia Nompleggio, Idola(tria)? Solo i sonnambuli ci credono. Daniela Lanzolla, Filosofia e conoscenza di sé. Lydia-Alexia Ferraris, L’uomo è un essere buono? Maurizio Maria Malimpensa, Sulla Libertà ed Essenza dell’Uomo ed il suo oblio di essa. Marivita Murgese, Daniele Buonamassa, Francesco Di Vincenzo, Ivana Angelastro, Critica e analisi del cittadino dal cosmopolitismo kantiano al fondamentalismo democratico. Irene Abbati, Giulia Zanga, La filosofia dell’amore. Lorusso Francesca, Filosofia: migliorare o giustificare la realtà? Marialessandra Capuzzolo, Antonio Di Bari, Di Renzo Alessandra, Damiano Cosimo Farina, Barardo Leonetti, Il miracolo tra ragione e fede. Marta Ranesi, La scelta.

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BENESSERE

Benessere, storie ed emozioni, a scuola

Fotogramma dal film Harry Potter e la pietra filosofale, 2001, prodotto dalla Warner Bros, regia di Chris Columbus.

La narrativa psicologicamente orientata può essere uno strumento utile per l’educazione all’affettività, un fattore essenziale nel promuovere il benessere degli scolari. Ma si deve riconoscere che ci sono tante forme di intelligenza.  Ilaria Ambrosino

F

avorire il benessere dei ragazzi a scuola vuol dire per gli insegnanti impegnarsi nella comunicazione, costante e a trecentosessanta gradi; vuol dire preparare il terreno con tanta cura in modo che essi possano mettere le radici di una pianta forte. Il benessere legato allo stato emotivo non è semplice da definire o misurare. Possiamo cominciare dicendo che, per andare in questa direzione, è fondamentale osservare con abilità e discrezione ciò che capita quotidianamente, leggere tra le righe, dare valore alle emozioni, condividerle e confrontarsi con le figure di riferimento dei ragazzi. Tutto questo 61

fino a pochi anni fa era dettato dal buon senso, dalla buona volontà, dalla sensibilità individuale; evidentemente è stato qualcosa che ha portato buoni frutti, dal momento che numerose ricerche hanno confermato e sistematizzato queste ipotesi (Gardner, 1994; Goleman, 1996). Nove volte intelligenti Nell’opera omonima, Gardner parla di intelligenze multiple (Gardner, 1994), ovvero di una mente costruita su più dimensioni tra loro collegate, di cui vediamo il dettaglio di seguito. 1) Intelligenza linguistica: utilizzata per leggere e scrivere parole e frasi in modo chiaro ed efficace,


SCUOLA

Queste simpatiche espressioni di bambini sono tratte da uno dei numerosi video scaricabili su YouTube dedicati al Marshmallow Test, un esperimento messo a punto nel 1972 alla Standford University per misurare la capacità di “gratificazione differita”, un indice importante nello sviluppo della personalità infantile. Un’operatrice offre al bambino un marshmallow, ossia un cubetto di zucchero “cotonato”, spiegandogli che ne riceverà due se riuscirà a non mangiare il primo, per un quarto d’ora e pur rimanendo solo nella stanza. Alcuni lo divorano, altri soffrono ma resistono. E le ulteriori ricerche della Standford University sul seguente esito scolastico dei bambini sottoposti al test nel 1972 dimostrano l’importanza di questo indice.

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adoperando un registro coerente con il contesto di riferimento. 2) Intelligenza logico matematica: strumento indispensabile nell’individuazione della soluzione in problemi matematici ma anche nel ragionamento logico in generale, nella progettazione e produzione di schemi. 3) Intelligenza spaziale: capacità di orientarsi e spostarsi nello spazio, di organizzare oggetti in modo funzionale, riconoscere luoghi e utilizzare strumenti come cartine o planimetrie. 4) Intelligenza cinestesica: abilità che permette di muovere, coordinare e padroneggiare i movimenti del proprio corpo. 5) Intelligenza musicale: espressa nel canto, nel suonare uno strumento ma anche nell’ascolto più o meno tecnico di un pezzo di qualsiasi genere musicale. 6) Intelligenza interpersonale: comprensione degli stati emotivi degli altri e conseguente comportamento. 7) Intelligenza intrapersonale: riconoscimento dei propri stati emotivi con conseguente attribuzione di significato e riconoscimento dei cambiamenti. 8) Intelligenza naturalistica: riconoscimento e adeguamento alle leggi della natura, individuazione di cambiamenti peculiari di un territorio e orientamento nello spazio. 9) Intelligenza esistenziale o teoretica: riflessione e confronto su temi astratti di stampo per lo più filosofico. Ogni ragazzo esprime le sue intelligenze in modo differente, alcune sono facilitate dalla passione, altre raggiunte con fatica, altre ancora quasi sconosciute. La storia di Giulio Giulio ha 11 anni, si è trasferito a inizio anno nel piccolo paese dove frequenta la quinta classe


BENESSERE della scuola primaria. Presenta grandi lacune nella produzione di testi scritti, ha effettuato una valutazione psicodiagnostica che ha escluso la presenza di un Disturbo Specifico dell’Apprendimento. Aurora, l’insegnante, dopo un lavoro basato sull’integrazione di Giulio all’interno della nuova classe, gli propone esercizi mirati, che lui accetta seppur non provi alcun trasporto per la materia. Trascorse poche settimane, le competenze linguistiche migliorano, l’attenzione e la concentrazione si fanno più costanti e gli errori diminuiscono. Giulio potrà arrivare a scrivere un testo senza errori ortografici e i miglioramenti saranno oggettivi. Non si tratta di un caso eclatante, apparentemente non c’è stato nulla di straordinario. Ma alla base di tutto questo cosa c’è? Se facciamo una lettura secondo l’elaborazione di Gardner, possiamo rispondere che alla base abbiamo un uso funzionale e corretto dell’intelligenza intrapersonale e interpersonale. Abbiamo una buona comunicazione tra due menti, quella di Aurora e quella di Giulio, che riconoscono le proprie emozioni, o che si aiutano reciprocamente per farlo, anche se si tratta di emozioni difficili, legate alla frustrazione per il mancato raggiungimento di un obiettivo, alla rabbia e alla tristezza. In sintesi Giulio ha trovato un’insegnante che ha riconosciuto le sue difficoltà, le ha accolte e ha trovato una soluzione condivisa che rispettasse i suoi tempi e i suoi spazi all’interno degli spazi e dei tempi della classe. La straordinarietà sta proprio nel rendere quotidiana l’attenzione nei confronti delle emozioni dell’altro, così come ha fatto Aurora. Il decreto legge 24 del 2004, che riforma l’ambito scolastico, lascia ampio spazio a nuove modalità

educative interdisciplinari utili alla crescita degli allievi. Tra queste troviamo l’educazione all’affettività, che diventa un presupposto necessario per un’adeguata crescita cognitiva dei bambini (Attili, 2001). Educare anche le emozioni? L’Organizzazione Mondiale della Sanità formalizza un nuovo modo di fare prevenzione basato sulle life skills, utile a partire dalla prima infanzia. Le life skills finora individuate sono dieci: autocoscienza, gestione delle emozioni, gestione dello stress, senso critico, decision making, problem solving, creatività, comunicazione efficace, empatia, skills per relazioni interpersonali. L’educazione emotiva si pone trasversalmente a questi riferimenti normativi e si può sviluppare con due modalità principali (Pellai, 2011). La prima è informale, legata alla vita di tutti i giorni e può essere portata avanti sia dagli adulti di riferimento del bambino in tutti i contesti in cui è inserito, sia dal gruppo dei pari. Si tratta di un’attenzione legata al vissuto emotivo che utilizza le situazioni quotidiane come spunto per riflettere insieme, confrontare o condividere un punto di vista, un po’ come è capitato a Giulio. Si esplorano e si condividono le emozioni legate alla propria storia o a quella degli amici, dei familiari, di un animale domestico o di un personaggio famoso. Tutte le narrazioni possono comprendere una lettura in chiave relazionale delle emozioni dell’altro («Secondo me la mamma si è molto arrabbiata quando la nonna le ha detto quella cosa»); un’ipotesi in merito al proprio comportamento («Io al posto di Paolo avrei fatto diversamente»); l’espressione della propria empatia («Mi dispiace così tanto per quello che è successo a Marina 63

che stanotte ho dormito proprio male”). Si esercitano così tutte le competenze relazionali, a patto che ci sia una buona relazione. L’educazione emotiva formale, invece, viene praticata in momenti strutturati da un insegnante o da un esperto, che, attraverso l’uso di strumenti quali schede, racconti e confronto orale con il gruppo, individua e cerca di raggiungere obiettivi specifici. Il laboratorio di Bistagno Vengo contattata dalla dirigente scolastica dell’Istituto Comprensivo di Spigno per realizzare un laboratorio di educazione emotiva nel plesso di Bistagno, in provincia di Alessandria. I destinatari sono i ragazzi del quinto anno della scuola primaria che si vuole accompagnare nel passaggio alla secondaria, dal momento che alcuni esprimono un malessere al riguardo. La classe è composta da 17 bambini, di cui 5 maschi e 12 femmine. Vengono soprannominati dall’insegnante La banda in gamba, prendendo spunto dal titolo di un loro libro di testo, per sottolineare il loro saper fare gruppo, essere positivi e propositivi rispetto a ogni tipo di attività. Mi si presenta un gruppo che globalmente non ha difficoltà legate all’apprendimento e possiede una buona capacità di attenzione e concentrazione, ma che, probabilmente, ha la necessità di condividere un momento critico. Crescere vuol dire cambiare, affrontare situazioni e contesti nuovi, lasciare il calore della relazione con le insegnanti che, con positiva autorevolezza, hanno saputo essere base sicura (Bowlby, 1969) per andare verso qualcosa di sconosciuto. Pensiamo a un laboratorio di educazione emotiva (Pellai, 2011) di quattro incontri da un’ora e


SCUOLA mezza ciascuno; un incontro di restituzione globale con il gruppo dei genitori e la possibilità di richiedere un colloquio individuale quando ce ne fosse l’esigenza. Gli obiettivi principali sono: 1) riconoscere le proprie emozioni e quelle degli altri; 2) dare un nome alle emozioni; 3) condividere le emozioni positive e negative. L’operatore si pone come un facilitatore rispetto alla condivisione emotiva con i pari e con le figure adulte di riferimento, con particolare attenzione alla sofferenza in senso generale. Curarsi con le storie Come ogni lavoro che si rispetti è necessario individuare gli strumenti giusti e i nostri sono fatti di schede cartacee, favole e disposizione all’ascolto. Dopo una prima fase di “riscaldamento”, i bambini si susseguono in una miriade di domande e di interventi. Sono abituati a chiedere e a parlare di tutto. Decidiamo insieme che ognuno ha la possibilità di condividere oralmente il proprio punto di vista con la classe oppure di scriverlo e farlo leggere a me e, in seconda battuta, ad altre persone. Quali sono le emozioni? Che colore hanno? Dove si sentono nel corpo? Sono uguali per tutti? Questi e altri quesiti guidano il nostro percorso, tra momenti di rispettoso silenzio e fragorose risate. L’utilizzo della narrazione per parlare di emozioni risulta ben accolto dalla classe, possiamo parlare dei personaggi, ipotizzare stati d’animo e intenzioni, che magari abbiamo provato prima ma non abbiamo poi saputo nominare adeguatamente. La narrativa psicologicamente orientata (Pellai, 2012) individua storie che raccontano situazioni quotidiane, che la maggior parte dei bambini ha potuto sperimentare. All’interno di ogni stoLa ricerca | N. 1 Nuova Serie. Ottobre 2012 |

ria troviamo un momento critico vissuto dal protagonista, l’accudimento da parte di un adulto, il quale riconosce il problema e offre un sostegno emotivo che aiuta il bambino a elaborare quello che gli è capitato, e una conclusione, che ci fa respirare la serenità dei personaggi. È proprio questo il punto: trasmettere ai bambini l’idea che non esiste nulla che non si possa condividere con le persone adulte di cui ci si fida. Le favole lette insieme sono uno spunto importante per disegnare e connotare gli stati emotivi. Gioia, tristezza, rabbia, paura e vergogna sono le emozioni semplici di cui parliamo, che vengono disegnate e che sembrano meno “strane” quando ci si accorge di non essere gli unici ad averle provate. La gelosia, con particolare riferimento a quella tra fratelli, è l’emozione complessa più diffusa e più facilmente condivisa nel gruppo. I problemi suscitati dalla presenza di fratelli grandi o piccoli che, apparentemente, portano via le attenzioni dei genitori nelle maniere più disparate vengono sdrammatizzate con aneddoti e riferimenti ai personaggi delle nostre storie. Alla fine del percorso viene consegnato a ogni bambino il materiale prodotto durante lo svolgimento del laboratorio, con l’indicazione di condividerlo con coetanei e adulti secondo i propri personalissimi criteri. La restituzione alle insegnanti e ai genitori, in gruppo e a livello individuale, mi fa respirare l’atmosfera familiare del piccolo centro, dove ci si conosce e ci si chiama per nome, e tutti gli adulti stanno attenti a tutti i bambini. La cosa che mi colpisce è sapere da loro che i bambini non si siano soffermati tanto sui contenuti del percorso ma abbiano ripreso qualche racconto lasciato in sospeso, legato a piccole o grandi sofferenze, 64

che aveva bisogno di ulteriore di condivisione. Questa esperienza mi ha permesso di sperimentare la concretezza dell’antico detto indiano che diceva «Per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio» e di pensare di poter trovare quel villaggio nella quotidianità del mio lavoro. K  Ilaria Ambrosino è laureata in Psicologia presso l’Università di Torino. È specializzata in Psicoterapia cognitiva. APPROFONDIRE

G. Attili, Le emozioni e lo sviluppo affettivo, in A. Fonzi (a cura di), Manuale di psicologia dello sviluppo, Giunti, Firenze, 2001.

J. Bowlby, Una base sicura: applicazioni cliniche della teoria dell’attaccamento, Raffaello Cortina, Milano, 1988.

J. Bowlby, Costruzione e rottura dei legami affettivi, Raffaello Cortina, Milano, 1982.

• • •

H. Gardner, Intelligenze multiple, Anabasi, Milano, 1994. D. Goleman, Intelligenza emotiva, Rizzoli, Milano, 1996. F. Lambruschi (a cura di), Manuale di psicoterapia cognitiva dell’età evolutiva, Bollati Boringhieri, Torino, 2004.

A. Pellai, D. Ianes (a cura di), Le emozioni. Proposte di educazione affettivo-emotiva a scuola e in famiglia, Erickson, Trento, 2011.

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A. Pellai, Il mio cuore è un purè di fragole, Erickson, Trento, 2006. A. Pellai, Scarpe verdi di invidia, Erickson, Trento, 2007.

M. Sunderland, Raccontare storie aiuta i bambini, Erickson, Trento, 2004. M. Sunderland, Aiutare i bambini… ad esprimere le emozioni, attività psicoeducative con il supporto di una favola, Erickson, Trento, 2005.


DISTURBI DELL’APPRENDIMENTO

Antonio Basoli, Lettere figurate dall’Alfabeto pittorico, incisioni, 1838.

Dare senso al silenzio Non esiste una “ricetta” per lavorare con gli alunni dislessici. Non bastano competenza e impegno: prima ancora viene la disponibilità a mettere in discussione tutto ciò che si sa (o si crede di sapere) sull’argomento.  Giancarlo Tucci

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iciamocelo: attraversare più o meno indenni il (continuo e necessario) flusso di circolari, regolamenti e regolazioni che accompagnano la ormai solidamente impiantata legge 170 del 2010, cercando di vivere al tempo stesso una volta per tutte dall’interno di se stessi l’ispirazione al cambiamento che la stessa comporta non è cosa tra le più agevoli e veloci. Sì, va bene: i ragazzi sono sempre gli stessi, o quasi, i problemi più o meno pure, e questo rischia sempre di appiattirti un po’ (tieni conto comunque di questo, di quello…), ma il cambiamento proposto è notevole, forse persino più profondo e radicale di quello che poteva apparire in un primo tempo, all’interno di quella che era apparsa come una sorta di legge su disabilità “minori”. A rileggerla bene, la legge appare in effetti come una di quelle “toste”, forse un po’ ultra-rigorosa rispetto alla grande variabilità dei fenomeni non sempre ben definiti di cui si occupa; comunque piut65

tosto esigente per il docente al quale si richiedono, in modo più o meno implicito, alcuni importanti cambiamenti di prospettive. Il fatto è che le nuove norme per le DSA sembrano configurare mutamenti probabilmente epocali nel fare scuola in Italia. Guardiamo ad esempio all’attenzione crescente che le nuove regole suggeriscono, anzi in pratica esigono, tra l’altro, per l’aspetto cognitivo individuale dell’apprendimento. Prendiamo, tra le molte altre, la questione dell’accuratezza nell’ambito della percezione (ascoltare, vedere) come premessa indispensabile per un apprendimento valido e completo, e vediamo che cosa può fare, come può muoversi concretamente l’allievo che per qualche ragione percepisce/elabora malamente e di conseguenza male apprende. Frustrazione e fuga Consideriamo inoltre il suo possibile silenzio: si tratta solo di un problema dell’allievo che non sa, non riesce a comunicare? Solo


SCUOLA di un problema di famiglie o di caduta della propria immagine da sanitari che non si informano e discente a non-discente anche la non informano, non si attivano e quotidiana presenza a scuola dinon attivano correttamente e per viene rapidamente obbligo e cotempo? strizione. E per molti la salvezza Un sospetto: non sarà per caso significa fuga, eventualmente che al docente venga richiesto, a fuga nella figura negativa del “briquesto punto, di trasformarsi segantaccio” della classe. duta stante in medico, psicologo, iper-pedagogista o quant’altro? Qui si impone evidentemente, o si ripropone con forza, una riflessione fortemente centrata sull’allievo, il quale potrebbe essere, guarda caso, dislessico: nella maggioranza dei casi è proprio lui/lei chiaramente il meno informato/a, anche se il disagio peggiore è certo il suo. E allora: non è meglio piuttosto, a questo punto, considerare più da vicino la sua condizione, ascoltarlo con più attenzione, ma soprattutto in modo un po’ diverso, cercare di capirne di più, interpretandone con attenzione l’eventuale protesta (in varie forme…)? E cercando tra l’altro di sventare nel contempo, insieme al muro di determinate “automatiche” certezze del Leopold Müller, Lettera figurata, stampa, 1870. docente, il possibile, triste attentato del solito indefinibile compagno di classe pronto a Lavorare con i dislessici girare in ridicolo una seria richieUna gentile e molto impegnata sta di aiuto (altro buon tema di collega straniera così mi elencaeducazione civile)? va qualche tempo fa alcuni tratti Rammentiamolo spesso: il bamdel suo lavoro con allievi dislessici bino che va a scuola vive una simedio-gravi e gravi: tuazione di discente in età scolare, 1) programmare il lavoro non ossia di giovane che apprende, e dal punto di vista del docente che di conseguenza costruisce su programmatore, ma da quello di questa base la propria immagine quell’attonito “principiante” che sociale e personale. Chiediamoci sarà l’allievo con DSA; allora che cosa succede in lui/lei 2) accantonare al momento molse lui/lei non apprende, se non te ben confermate e solidificate ha la sensazione di apprendere in certezze, o scordarsele; modo accettabile senza evidente 3) osservare a fondo lavoro e demerito, senza diretta o indiretcomportamenti degli allievi, speta responsabilità. Alla progressiva cie di quelli più in difficoltà; La ricerca | N. 1 Nuova Serie. Ottobre 2012 |

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4) prendere sempre sul serio le domande e le richieste degli allievi. Mi permetterei di aggiungere un punto: 5) farsi impressionare il meno possibile da comportamenti di protesta come tali: si può trattare di grida, o forse di semplici vagiti di aiuto. In effetti, vivere per ore al giorno in situazioni dominate dalla sensazione di essere sempre un po’ “fuori”, con soddisfazione tendente a zero può essere veramente difficile e penoso, specialmente per giovani alla soglia della pubertà, e quindi ormai alla ricerca di una propria definizione personale, fuori da quella degli adulti. La dislessia è certamente la più diffusa, o comunque la più conosciuta delle DSA (nel mondo circa l’80% dei disturbi specifici di apprendimento riguardano da lontano o da vicino la dislessia). Quello che di questa sindrome possiamo osservare sono in pratica alcuni pochi sintomi principali, “duri” che ne caratterizzano le definizione stessa: lettura anche molto lenta e con molte incertezze (poca fluidità), errori numerosi, più o meno caratterizzati; in più, è stato fatto notare ancora recentemente da noi, in Italia, il disturbo tende a ridursi o a cessare in alcuni casi con l’età, in altri casi molto poco o per nulla. E tuttavia, formulata la diagnosi-base di dislessia, la strada da fare è ancora lunga: il fatto è che quei pochi validissimi sintomi non hanno tutti e sempre le stesse cause e con-cause. Da anni si allunga costantemente l’elenco delle difficoltà osservate che colpiscono il bambino dislessico


DISTURBI DELL’APPRENDIMENTO all’interno di una sorta di mix individuale: tra queste l’esperienza e la ricerca hanno individuato, ad esempio, difficoltà di ordine fonologico nel riconoscere le lettere e nel segmentare (e specialmente nel ricomporre poi) le parole, difficoltà nella scansione visiva delle singole lettere all’interno della sequenza (stringa)-parola, oppure ancora imprecisione della percezione e ricodifica di suoni o di segni verbali o del “trasferimento” corretto degli stessi dalla sfera passivo-percettiva, di ascolto e lettura, a quella attivo-prassico-produttiva di espressione orale e scritta e molti altri.

paterno. Un elenco esauriente dei possibili deficit “minori” e particolarmente delle possibili co-morbidità (tra cui tendenzialmente “fatale” la disattenzione grave, con o senza iperattività) potrebbe occupare più pagine: la pubblicistica mondiale in materia è una

Tanti tipi di dislessia Ci sono dislessici non disortografici, che scrivono in modo del tutto corretto, ma leggono con grande difficoltà, e viceversa bambini che leggono correttamente, ma che esibiscono notevoli difficoltà nella scrittura. Tra i sintomi più evidenti di dislessia nel lavoro scolastico sono stati rilevati, oltre a quelli strettamente connessi Leopold Müller, Lettera figurata, stampa, 1870. alla lettura, difficoltà di memorizzazione delle rappresentazioni sia orali che scritte di delle più ampie di sempre, con la parole nuove, particolarmente in presenza in Internet di ben oltre lingua straniera; sovente tendenun milione di articoli in materia za a confondere tra parole simili, negli ultimi dieci anni. ancorché di significato diverso; Ci si chiederà: tutto questo rurigidità nel rapporto tra oggetto more per una lettura lenta e fisico e nome dello stesso, con impacciata, anche se essa è eviscarsa propensione all’impiego di dentemente “sospetta” in un sinonimi e così via. bambino “normalmente” alfabeSul piano delle determinanti sotizzato? E poi: questa sintomaciali è riconosciuta l’importanza tologia di “mala lettura” non è un della verbalità in famiglia, ossia po’ troppo ridotta o, alla fine, non della qualità particolare e del è obiettivamente marginale per ruolo della verbalità quotidiana, fare della dislessia il disturbo imcon speciale riguardo al contriportante che ci viene raffigurato? buto materno in fase di verbalizQualche decennio fa, nel 1968, zazione precoce rispetto a quello qualcuno ha persino ipotizzato 67

che la dislessia non esistesse affatto. Il fatto è che proprio una lettura assai lenta e impacciata in un bambino in possesso di una verbalità già incerta rischia continuamente di mettere “fuori uso”, con effetto immediato, tutta una serie di indispensabili meccanismi di memorizzazione rapida di suoni e segni verbali. Parliamo di vari tipi di MBT, ossia di memoria a breve termine, uditiva o visiva, o in entrambe le modalità. Si tratta di meccanismi che consentono normalmente, ad esempio a chi ascolta una parola nel linguaggio parlato, di ricordarne la sequenza dall’inizio alla fine senza scordarne i suoni o le sillabe pronunciate in precedenza al momento conclusivo, ovvero in sede di pronuncia dei fonemi finali della stessa. Un eccessivo, laborioso rallentamento del lavoro fonologico nella lettura costringe il lettore a mettere in funzione meccanismi di memorizzazione volontaria supplementare che, se non debitamente automatizzati, vanno a indebolire o ritardare fatalmente tutto il processo di interpretazione della frase e, alla fine, rendere ardua anche la comprensione finale di quanto letto. Una prova contenuta in un noto test americano di una quarantina di anni fa chiede di riconoscere parole i cui fonemi vengono pronunciati a uno a uno in “staccato” con pausa di un secondo tra uno e l’altro… una prova facile? Per alcuni sì, ma… provate a rispondere rapidamente a una domanda solo un poco complessa, formulata fonema per fonema in questo modo. In sostanza, molte delle difficoltà del bambino dislessico nascono da lentezza per mancata automa-


SCUOLA tizzazione (e dunque, in termine tecnico, in procedura “manuale”, anziché automatica) dei processi più elementari, o più “bassi”, della lettura, quelli legati al riconoscimento delle lettere scritte (grafemi), alla trasduzione corretta delle stesse in fonemi, alla ricomposizione o ricodifica della parola e alla identificazione di quest’ultima; con la conseguente, dannosa occupazione di energie cerebrali, mentre il normale “buon lettore” può profittare invece ogni volta di tali energie per dedicarle “in parallelo” al processo veloce di analisi sintattica e grammaticale e più in là, sempre in parallelo, ai meccanismi decisivi legati alla comprensione precisa e rapida del testo.

certamente uno sforzo che non trascuri le componenti più “meccaniche” dell’apprendimento verbale, ad esempio con adeguati esercizi di pronuncia e memorizzazione ripetute, con il prevalere dell’esercitazione diretta rispetto alla formulazione di norme e re-

La dislessia a scuola Forse conviene anzitutto ascoltare meglio: il bambino dislessico ci chiede in vari modi di aiutarlo a leggere e scrivere meglio, e più in là a operare meglio lungo quello che definiamo “registro sensoriale verbale-uditivo”. Il docente informato ascolta Leopold Müller, Lettera figurata, stampa, 1870. e opera, ma è cosciente, anche per esperienza, del fatto che gole astratte, e operando secondo le difficoltà maggiori sono legate più modalità sensoriali (presennella dislessia più a fattori cotazione di immagini visive o gegnitivi “pesanti”, certamente non stuali… anche i movimenti della senza correlati sul piano cerebrale bocca e della lingua durante la (e come tali di evidente rigidità), fonazione vengono memorizzati). che non alla semplice mancanza Importanza notevole dovrebbe di motivazione ed esercizio, e che essere attribuita all’osservazione, quindi, tra l’altro, l’invito a increcon grande attenzione nell’indimentare più o meno all’infinito viduare i punti critici della preletture anche semplificate può stazione scolastica verbale, così essere benefico solo entro livelli come i limiti individualissimi di accettabili di sforzo e d’umana frustrazione in fase operativa. In sopportazione (alcuni genitori ogni caso, una volta scelto di conandrebbero anch’essi meglio incentrarsi maggiormente su questi formati e orientati in questo senaspetti, il cammino può essere anso). Più adeguato al tipo speciale che molto diverso da quello del di difficoltà del bambino appare passato. La ricerca | N. 1 Nuova Serie. Ottobre 2012 |

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Per concludere, un episodio. Una ventina d’anni fa un docente universitario europeo, germanofono, noto esperto nel campo della dislessia, ottenne dal proprio ministero di poter finanziare l’istituzione sperimentale di un gran numero di corsi scolastici extra-curricolari per dislessici in piccolo gruppo, un corso per scuola, provvedendo anche alla formazione onerosa dei docenti. Ebbene, neppure due anni dopo, e a valle di rigorose verifiche metodiche pre-programmate in corso d’opera (così opera anche l’accademia, quando è seria) si dovette constatare che i risultati stessi erano ben poco soddisfacenti, praticamente irrilevanti rispetto agli sforzi. Il noto professore decise allora di reagire: sospese e modificò il progetto e alla fine segnalò molto coraggiosamente in pubblico la non riuscita del progetto originario. Una sconfitta per il brillante accademico! Il fatto è che la momentanea sconfitta era tale solo in parte, poiché si era dimostrato in maniera definitiva, seppure a caro prezzo, un principio oggi da tutti accettato, ossia che un trattamento anche minimamente efficace della dislessia è realizzabile solo sul piano dell’intervento strettamente individuale. Ossia: le cause della dislessia sono molteplici, e ogni bambino con dislessia è quindi un caso unico, un’unica combinazione di fattori, da affrontarsi anzitutto sulla base di una attenta e paziente osservazione. K  Giancarlo Tucci, psicologo.


VALUTAZIONE

La valutazione a scuola: necessità e problemi Nonostante la confusione normativa, l’irrisolta complessità legislativa e le resistenze di alcuni esperti, la costruzione di efficienti strumenti valutativi rimane un’esigenza fondamentale per migliorare il servizio scolastico.

 Fulvio Allegramente

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uante volte da studenti, da genitori o come amici di altri genitori alle prese con la vita scolastica dei loro figli abbiamo pronunciato o sentito frasi di questo tipo: «Senti, come ti sembra quella scuola? È vero che nella sezione C sono più severi che nella A? Per l’università preparano meglio al classico o allo scientifico? Pensa un po’, quasi tutti quelli usciti quest’anno da quell’istituto tecnico han trovato lavoro. State attenti, se vostro figlio si becca quella professoressa di latino passa due anni da incubo. Siamo delusi: tante belle parole alla presentazione, poi in un anno mia figlia è andata in laboratorio due o tre volte in tutto… Basta, io cambio scuola!». Chiamatela, se volete, primitiva, informale, di pancia, emozionale; eppure di valutazione si tratta, da cui derivano giudizi più o meno fondati e scelte conseguenti. Chi può negare, però, che gran parte della storia scolastica individuale e collettiva sia ruotata intorno a domande e osservazioni di questo tipo? Chi può negare che la valutazione faccia parte da sempre del nostro orizzonte di scelte e di aspettative? Spesso nel dibattito degli ultimi decenni, in particolare da alcuni addetti ai lavori contrari a modalità valutative elaborate e formali, si è detto e scritto che la valutazione è una lesione alla 69

dignità professionale e alla libertà didattica. Chi ha sostenuto questa tesi non ha prestato ascolto all’ambiente che lo circondava e che diffusamente e magari acriticamente giudicava l’operato delle scuole e dei docenti. Opinioni contro la valutazione La difficoltà di accettare forme di valutazione (ma non c’è solo l’istruzione; ci sono anche la sanità, la giustizia, le forze armate, i lavori pubblici e così via) si colloca storicamente nell’identificazione, percepita come voluta dal potere, fra valutazione e controllo/ sanzione. Il vero scopo della valutazione sarebbe dunque quello di poter controllare in modo imperativo e quindi sanzionare coloro che risultano segnalati come divergenti rispetto al modello dominante. Il rischio è possibile, la storia non manca certo di esempi negativi in tal senso. Da un punto di vista generale, inoltre, gli individui e i gruppi organizzati tendono, a livello psicologico, ad autogiustificarsi non accettando volentieri critiche, per quanto costruttive, al proprio pensiero e operato. Tale atteggiamento di difesa preventiva costituisce un impedimento all’apporto di cambiamenti potenzialmente benefici per il clima complessivo dell’ambiente in cui si vive e si lavora. Tuttavia la scommessa civile e culturale sta proprio nel creare buone pratiche


SCUOLA democratiche: si valuta per capire lo stato dell’arte e per migliorare il servizio offerto. Si valuta senza favoritismi e silenzi complici, si valuta tutti e in forme trasparenti. Poi si ragiona, si dibatte sui dati raccolti e sui passi utili a migliorare il lavoro e i suoi effetti. Controlli ed eventuali sanzioni spettano sì alla istituzione, ma debbono essere esercitati e applicati rispetto a comportamenti individuati di singoli e di gruppi e sulla base delle norme che regolano il lavoro, non per coartare autonomie e libertà garantite dalle leggi che regolano il sistema. Le ragioni della valutazione La moderna organizzazione del servizio pubblico, nelle sue differenti articolazioni, necessita perciò di un sistema di valutazione, impostato su serie basi scientifiche, per alcune buone ragioni. La prima, che magari appare ovvia ma non è avvertita come tale da tutti, è che lo Stato (sia detto senza retorica, il popolo sovrano) investe soldi in un servizio e quindi ha il diritto di sapere quale ren-

dimento esso offra. Specialmente e necessariamente quando chi organizza ed eroga il servizio gode di margini d’autonomia operativa per qualificare meglio il proprio lavoro. È il grande tema della rendicontazione (per i nostalgici del tramontato impero del latino il tema del redde rationem; per gli entusiasti del nuovo impero linguistico della accountability). La seconda è che qualsiasi organizzazione dopo un dato cammino e un determinato lavoro deve fare il punto della situazione: come ci stiamo comportando verso i clienti/utenti/cives/stakeholders? Come utilizziamo le risorse di cui disponiamo? Dove e come possiamo migliorare il servizio sia per chi lo eroga lavorando sia per chi ne fruisce? La scuola è stata definita da alcuni acuti osservatori un’istituzione senza memoria. Travolti dal ritmo incessante e strettamente cadenzato degli eventi che si ripetono (inizio nuovo anno e programmazione, lezioni, valutazioni dei periodi intermedi, valutazioni finali, esami di Stato, iscrizioni per l’an-

Una pagina del quotidiano “la Repubblica” che documenta le polemiche suscitate dall’introduzione dei test di valutazione scolastica. La ricerca | N. 1 Nuova Serie. Ottobre 2012 |

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no successivo, organici del personale, e così via), gli operatori della scuola tendono a non soffermarsi e riflettere in modo critico su ciò che si è fatto e sulle conseguenze di quell’agire. La terza ragione è di tipo più generale, d’ordine etico-politico. I moderni Stati democratici devono rendere trasparenti tutte le loro articolazioni: non solo i bilanci, che si auspicano veridici come la legge impone, anche le procedure, la descrizione delle risorse disponibili, la rappresentazione delle problematiche da risolvere, le prospettive del lavoro che si è svolto e che si vuole svolgere nel medio periodo. Il secondo comma dell’articolo 2 del decreto interministeriale 44 del 2001, ossia il regolamento concernente le Istruzioni generali sulla gestione amministrativo-contabile delle istituzioni scolastiche, recita: «La gestione finanziaria delle istituzioni scolastiche si esprime in termini di competenza, è improntata a criteri di efficacia, efficienza ed economicità e si conforma ai principi della


VALUTAZIONE trasparenza, annualità, universalità, integrità, unità e veridicità». Ora: trasparenza e veridicità sono di certo caratteristiche tecniche di un bilancio (nella scuola programma annuale) ma sono a maggior ragione caratteristiche di qualsiasi istituzione che appartenga a uno Stato democratico. La valutazione e la pubblicazione nelle forme dovute dei suoi esiti sono momenti qualificanti del dovere d’essere trasparenti e veridici da parte di chi gestisce qualsiasi settore della res publica. Che cosa significa valutare? Nel corso del secolo scorso, le scienze umane, specialmente in ambito sociologico e psicologico, hanno approfondito il tema della valutazione sulla spinta sia di enti privati (per esempio le industrie, interessate a migliorare l’organizzazione del lavoro e la predisposizione dei bilanci) sia di istituzioni pubbliche (i vertici degli Stati o singoli settori); per esempio negli Stati Uniti d’America il presidente Lindon Johnson per sostenere nel 1960 la sua “guerra alla povertà” e giustificarla rispetto agli elettori fece ricorso a forme di valutazione del servizio pubblico. Del resto già nel 1948 uno studioso della teoria del curricolo, Ralf Tyler, sosteneva in Educational evaluation che «è necessaria una valutazione scientifica finalizzata al miglioramento della qualità dell’istruzione». A grandi linee si può dire che la valutazione è un’azione consistente nel fornire la conoscenza d’una determinata attività svolta e dei risultati da essa prodotti. Il suo scopo è fornire elementi utili a migliorare la programmazione e lo svolgimento dell’attività monitorata. Una definizione siffatta tiene conto di diversi aspetti del tema. Ma i numerosi approcci finora elaborati forniscono punti

d’osservazione differenti e quindi risultati anch’essi differenti. L’approccio positivista controlla il rapporto fra obiettivi programmati e risultati raggiunti tenendo conto dei mezzi utilizzati. È utile a chi deve assumere decisioni. L’approccio prospettivista sottolinea maggiormente gli aspetti qualitativi del lavoro svolto, la cui valutazione dipende dal punto di vista dell’osservatore: qualsiasi attività ha un proprio valore intrinseco legato al suo svolgersi e uno estrinseco connesso alla percezione di soddisfacimento dei bisogni da parte dei destinatari dell’attività stessa. Termini come empowerment (arricchimento delle capacità di analisi e miglioramento delle prestazioni) e costumer satisfaction (soddisfazione del fruitore) appartengono a questa prospettiva. Aiuta coloro che sono preposti direttamente a migliorare l’attività (organizzatori, management). L’approccio costruttivista, in fine, è centrato sulla figura dei portatori di interesse in un determinato processo (stakeholders). Quindi l’accento è posto soprattutto sul contesto, sui suoi molteplici aspetti. È vantaggioso per chi opera sul terreno e consente di fornire una maggiore consapevolezza a tutti coloro che sono coinvolti a vario titolo in una attività. La valutazione nella scuola Mario Castoldi, nel suo saggio sulla Autonalisi di istituto (in Voci della scuola, a cura di G. Cerini, M. Spinosi, Tecnodid, Napoli, 2003), fornisce una sintesi in cinque punti dei possibili sviluppi di un’attività di valutazione in riferimento alla scuola. 1) La soddisfazione del cliente, ossia l’analisi dei bisogni formativi e del gradimento di chi fruisce del servizio di istruzione. 2) La diagnosi organizzativa. 71

Non si deve tener conto solo delle attese del fruitore ma anche dell’organizzazione scolastica (il contesto in cui opera, le risorse disponibili, cosa si fa e cosa si consegue). 3) L’autoanalisi di istituto. Gli operatori si interrogano sul loro operare generando forme di auto-apprendimento e di auto-revisione del loro agire. 4) Gli indicatori educativi. Si definiscono alcuni indicatori/descrittori (elementi ritenuti significativi del sistema educativo) e si analizza la situazione data alla luce di questi per valutare le condizioni del sistema. 5) Il controllo degli esiti formativi. L’attenzione è posta sui risultati ottenuti; il sistema educativo risulta efficace se consegue gli obiettivi formativi predefiniti. Questi differenti approcci illustrano efficacemente la complessità che si cela dietro la parola “valutazione” e spesso dietro alla sintesi approssimativa di titoli giornalistici del tipo Diamo i voti alla scuola. È giusto “dare i voti alla scuola”, ma non si deve cadere nell’errore di certi operatori scolastici che prescindevano largamente dall’esplicitare i criteri di giudizio e l’oggetto del giudizio (l’uso dell’imperfetto è giustificato dal fatto che certe pratiche di spericolata discrezionalità sono più legate al passato che alla vita scolastica attuale, certo più attenta alla definizione di criteri di valutazione anche collegiali in sede di programmazione del lavoro didattico). Quindi occorre sapere cosa, come e perché si valuta, quando ci si interessa di valutazione a e della scuola. In sintesi, la valutazione della scuola è riconducibile a tre grandi aree: la valutazione di sistema; la valutazione di istituto; la valutazione del processo di insegnamento/apprendimento.


SCUOLA Il complicato quadro normativo Questa tripartizione non è solo teorica, anzi è ricavabile dal complesso (coacervo?) di norme che regolano la vita scolastica italiana. Fondamentali al riguardo sono, in ordine cronologico, tre importanti provvedimenti: 1) Il decreto 275 del Presidente della Repubblica dell’8 marzo 1999 (in SO 152/L della GU 10 agosto 1999, n. 186), ovvero il Regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche, ai sensi dell’articolo 21 della legge 59 del 15 marzo 1997. Negli articoli 4-8-9-10 esso definisce l’obbligo della valutazione periodica degli allievi, della certificazione delle competenze, del riconoscimento dei crediti formativi, delle verifiche periodiche di conoscenze e abilità, degli esami conclusivi dei vari cicli di istruzione. Sancisce inoltre l’autonomia funzionale degli istituti scolastici. 2) L’articolo 117 della Costituzione, introdotto nel 2001, che nel secondo comma (lettera m) prevede la legislazione esclusiva dello Stato nella «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» (tra i quali sono inclusi quelli all’istruzione e alla formazione), mentre nel terzo comma pone fra le materie di legislazione concorrente «l’istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale», concludendo, nel quarto comma, che «spetta alle regioni la potestà legislativa in riferimento a ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato». 3) La legge 53 del 28 marzo 2003 (in GU 2 aprile 2003, n. 77), ovvero la Delega al governo per la definizione delle norme generali sull’iLa ricerca | N. 1 Nuova Serie. Ottobre 2012 |

struzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e di formazione professionale. Questa legge, specialmente agli articoli 1-2-3, ribadisce i suddetti obblighi e indica a chi compete osservarli, affidando all’Istituto Nazionale di Valutazione (INVALSI) la funzione di migliorare e armonizzare la qualità del sistema di istruzione. Più in particolare, il terzo comma dell’articolo 2 introduce il concetto che il diritto all’istruzione e alla formazione si realizzano secondo livelli essenziali di prestazione «definiti su base nazionale a norma dell’articolo 117 (secondo comma, lettera m) della Costituzione e mediante regolamenti emanati ai sensi del secondo comma dell’articolo 17 della legge 400 del 23 agosto 1988». Altri quattro provvedimenti hanno poi completato (per ora) il quadro. 1) Il prolungamento dell’obbligo scolastico a 10 anni promosso dal governo Prodi, e in particolare dal ministro Fioroni, con articolo 1, 624° comma, della legge 296 del 2006. 2) Il decreto 122 del Presidente della Repubblica, nel 2009, che ricapitola e aggiorna le norme sulla valutazione del rendimento e del comportamento. 3) Il riordino dell’istruzione secondaria superiore operato nel 2010 dal governo Berlusconi e dal ministro Gelmini attraverso i decreti 87, 88 e 89 del Presidente della Repubblica. 4) Il decreto ministeriale 9 del 2010, che introduce il modello di certificazione delle competenze, in risposta alle sollecitazioni europee già prese in considerazione nel decreto ministeriale 139 del 2007, in cui si parla di assi culturali, nel numero di quattro, e di competenze chiave di cittadinanza, nel numero di otto. 72

Manifesto polemico contro i test di valutazione scolastica dal sito www.senzatregua.org

La valutazione di sistema Riguarda il sistema educativo di istruzione e di formazione, così come è stato definito negli anni Novanta nelle norme del governo Prodi prima e Berlusconi poi, con i ministri Berlinguer e Moratti. Questo sistema svolge funzioni differenziate, ha al suo interno scuole pubbliche (cioè aperte al pubblico e che forniscono un pubblico servizio) statali e non statali ed è articolato in più livelli sia centrali (ministeriali) sia periferici (uffici regionali, provinciali e scuole autonome). È stato così definito dalla legge 62 dell’anno 2000 che nel primo comma dell’articolo 1 recita: «Il sistema nazionale di istruzione, fermo restando quanto previsto dall’articolo 33, secondo comma, della Costituzione, è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali. La Repubblica individua come obiettivo prioritario l’espansione dell’offerta formativa e la conseguente generalizzazione della domanda d’istruzione dall’infanzia lungo tutto l’arco della vita».


VALUTAZIONE tribuzione delle risorse finalizzate alla realizzazione del POF.

senzatregua.org.

La valutazione di istituto Riguarda l’insieme delle attività che si svolgono nei singoli istituti e che sono riepilogate nel Piano dell’Offerta Formativa (POF) il quale viene modificato ogni anno dagli organi collegiali della scuola cui partecipano a diverso titolo sia gli operatori sia i fruitori della scuola. Riguarda quindi l’efficacia del servizio, la sua efficienza, l’utilizzo delle risorse, il clima scolastico e le relazioni fra il personale dell’istituto stesso, anche se, per questi aspetti, oltre agli organi collegiali sono rilevanti altre figure: quella monocratica del dirigente scolastico, quella altrettanto monocratica del direttore dei servizi generali e amministrativi, quella elettiva della Rappresentanza Sindacale Unitaria (RSU). Attualmente ogni singola scuola autonoma è una entità quadricefala: il dirigente, il direttore, gli organi collegiali e infine la RSU, che assieme ai sindacati firmatari del contratto nazionale di lavoro del comparto scuola firma il contratto integrativo di istituto, elemento fondamentale per l’at-

L’insegnamento/apprendimento In questo caso la valutazione riguarda la relazione didattica fra il docente e i discenti. Chi scrive preferisce il sintagma “insegnamento/apprendimento” poiché considera i due aspetti come le due facce della stessa medaglia. Più alta è l’interazione fra docente e discenti, più elevata è l’efficacia del processo, e viceversa. È evidente però che questa interazione non si sviluppa nel vuoto sociale e istituzionale: è definita da norme, è in qualche misura predeterminata dal contesto sociale in cui viene a trovarsi, sia quello interno al gruppo classe sia quello esterno ad esso, ed è determinata dal lavoro collegiale del consiglio di classe. Quindi una valutazione attenta di questo processo deve tener conto di una pluralità di dati, non solo degli esiti finali espressi in quell’assoluto-relativo che sono i voti da 1 a 10. Semplificando: valutiamo più efficace l’azione del docente che partendo da un livello complessivo basso porta l’insieme della classe a un buon grado di conoscenze e abilità oppure valutiamo più efficace l’azione del docente che porta alcuni allievi all’eccellenza partendo però da condizioni iniziali già positive? Alcune criticità Pesano sulla valutazione, a qualunque tipo di essa ci si riferisca, gli ormai endemici ritardi del legislatore e i conseguenti problemi aperti circa la configurazione del sistema scolastico nei suoi vari aspetti. È utile riflettere, almeno per sommi capi, su alcuni esempi per cogliere l’interrelazione fra, da una parte, le richieste e le pretese di una valutazione del lavoro scolastico, dall’altra l’irrisol73

ta complessità e la stratificazione delle norme che lo regolano. Il primo esempio riguarda gli organi collegiali della scuola. La loro nascita risale al 1974; nel 1996 sono nate le Consulte Provinciali degli Studenti; con l’avvento dell’autonomia e la ridefinizione del rapporto di pubblico impiego (ad esempio, si pensi all’articolo 25 del decreto legislativo 165 del 2001, che definisce la figura del dirigente) se ne è prefigurato il superamento e la riorganizzazione (decreto legislativo 233 del 1999). Ad oggi, gli organi collegiali a livello di singolo istituto non sono stati riformati adeguandoli per numero, compiti e composizione alle esigenze d’una scuola dotata d’autonomia, mentre quelli a livello regionale e centrale non hanno mai visto la luce (esiste ancora un Consiglio nazionale della Pubblica Istruzione, i cui membri furono eletti per l’ultima volta nel lontano 1995). Il secondo esempio riguarda i Livelli Essenziali di Prestazione (LEP). Come abbiamo visto, ne parlano la Costituzione e la legge 53 del 2003, tuttavia dal susseguirsi delle norme successive, talora in antitesi fra loro e comunque mai riorganizzate in un nuovo testo unico (resta in vigore qua e là modificato il decreto legislativo 297 del 1994), non emerge una definizione compiuta e chiara dei LEP, solo spunti per una loro definizione, senza però un quadro certo di riferimento, con evidenti ricadute negative sul servizio, in termini d’incertezza sia degli operatori sia dei valutatori. Il terzo esempio è quello delle competenze e della loro certificazione, termini entrati nel lessico della scuola italiana a partire dal 1999, dal decreto 275 sull’autonomia. Eppure anche verso questi parametri manca nella scuola, in genere, un’autentica attenzione,


SCUOLA comprendere o applicare le procedure necessarie all’espletamento del lavoro quotidiano quanto nel cogliere il senso di marcia, i nodi centrali del processo sistemico in generale e di quello di insegnamento/apprendimento in particolare. Con tale bagaglio d’incertezza è difficile operare con efficacia sul lato della valutazione ai tre i livelli sopra descritti.

Manifesto polemico contro i test di valutazione scolastica diffuso dai COBAS (Comitati di base della Scuola).

tale per cui la programmazione didattica, prevalentemente disciplinare, se ne faccia carico e le ponga al centro del processo di insegnamento/apprendimento. Ovviamente sempre che tutti, dal legislatore di turno al singolo docente, siano convinti dell’importanza d’una didattica centrata sulle competenze e non si tratti di un omaggio obbligato alla superiore norma europea. L’ultimo esempio riguarda l’INVALSI. Le prove nazionali da qualche anno sono ormai diffuse nei vari gradi scolastici eppure hanno scatenato più polemiche La ricerca | N. 1 Nuova Serie. Ottobre 2012 |

che consensi: perché è prevalsa la paura del controllo rispetto alla fiducia in una valutazione migliorativa del lavoro svolto, perché le innovazioni didattiche spesso non sono state pienamente integrate nella pratica didattica quotidiana, perché in molte scuole viene a mancare una riflessione sugli esiti delle prove stesse, perché anche la loro tipologia è stata giudicata in diversi casi errata o non adeguata. Dalla breve presentazione di questi casi si evince con chiarezza come sia chi osserva il sistema sia chi vi lavora si trovi in una situazione di incertezza non tanto nel 74

Conclusioni, certo provvisorie Non pare esistano dubbi sulla necessità e sull’utilità di un’attività di valutazione. Occorre però che questa divenga un’esigenza avvertita come utile dagli operatori e credibile dai fruitori del servizio. Utilità e credibilità sono complementari: la valutazione è utile se serve a migliorare il servizio, è credibile se si avvertono segni di miglioramento nel servizio. Perché questo accada occorrono un coinvolgimento culturale da parte di tutti e una condivisione professionale degli operatori. Questo è un obiettivo raggiungibile attraverso un’opera di sensibilizzazione determinata e continua, che eviti polemiche protagonismi e sensazionalismi, utili per l’apparire mediatico ma non per creare un clima di fiducia, disponibilità e ascolto fra tutti quelli che lavorano nella scuola e quelli che la frequentano per divenire cittadini consapevoli del proprio stato e del proprio ruolo nella società. K Questo articolo è stato scritto prima dell’annuncio da parte del MIUR di un nuovo regolamento per la valutazione, varato dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 24 agosto 2012.  Fulvio Allegramente è dirigente scolastico dell’istituto di istruzione superiore Ettore Majorana di Torino.


VALUTAZIONE

Meritocrazia e responsabilità docente: l’esperienza americana Gli esiti di No Child Left Behind, l’ultima riforma della scuola americana che ha introdotto i test di valutazione per gli alunni, i docenti e gli istituti. Gli obiettivi sono trasparenza e meritocrazia, ma i risultati sembrano scoraggiare lo spirito critico, costruire intelligenze contabili e persino spingere gli insegnanti a scorrettezze pur di salvare il posto di lavoro.

 Francesca Nicola

M

entre vari Paesi europei discutono sulla possibilità di fornire una maggiore autonomia scolastica alle Regioni, l’amministrazione degli Stati Uniti da tempo si muove in direzione opposta, introducendo vincoli all’elargizione di fondi federali. Ne è un esempio No Child Left Behind (NCLB), la riforma del sistema scolastico americano approvata pressoché all’unanimità dal Congresso e ratificata dal presidente Bush nel 2002. Obiettivo dichiarato della legge, il miglioramento della qualità dell’istruzione pubblica, in particolare per gli alunni svantaggiati e le minoranze etniche (donde il titolo del provvedimento, “nessun bambino lasciato indietro”). In sintesi, essa impone a tutti gli Stati dell’Unione, cui spetta la competenza diretta in materia educativa, di adottare in ogni scuola pubblica sottomessa alla loro giurisdizione un programma di accountability (termine inglese senza esatto equivalente in italiano, ma traducibile con “rendicontazione” o “responsabilità rispetto agli esiti”). A questo scopo, i livelli di apprendimento in matematica e in 75

inglese devono essere verificati sistematicamente attraverso prove standard per tutti gli alunni di ogni Stato, al termine di ciascun anno scolastico dalla III all’VIII classe, e almeno un’altra volta negli anni successivi. Dalla fine del 2008, inoltre, anche le competenze scientifiche devono essere oggetto di valutazione per almeno tre volte, in una delle classi dalla III alla V, dalla VI alla IX e dalla X all’XI. I distretti scolastici e le singole scuole sono tenute a comunicare i risultati delle valutazioni ai genitori e alla comunità locale, dimostrando così pubblicamente che i loro alunni, considerati sia globalmente sia secondo i maggiori gruppi etnici, stanno compiendo «un adeguato progresso annuale». Le scuole che per almeno due anni consecutivi falliscono tale obiettivo sono identificate come “bisognose di migliorare” e devono esser messe nelle condizioni di farlo attraverso aiuti e servizi addizionali, quali finanziamenti per la formazione degli insegnanti o tutoring supplementari per gli studenti. Fin da subito, tuttavia, i genitori degli alunni nelle scuole in difficoltà acquisiscono il diritto di


SCUOLA trasferirli presso altri istituti pubblici dello stesso distretto. Se nel giro di altri tre anni non registrano alcun miglioramento, le scuole deficitarie devono essere completamente riorganizzate dall’autorità scolastica distrettuale e il personale interamente rinnovato. Una nazione a rischio Nonostante sia oggetto di un aspro dibattito politico, e vista con favore soprattutto negli ambienti repubblicani, NCLB è stata approvata a larghissima maggioranza da tutti i parlamentari, compresi i democratici. In Politics, Ideology and Education (2006), la studiosa di politiche sociali Elizabeth DeBray, ha inoltre messo in luce come sia stata preparata dai democratici (dall’amministrazione Clinton in particolare) anche prima dell’arrivo di Bush. Come spiegare tale largo supporto? Qualcuno vede nel carattere bipartisan della riforma la tendenza in atto negli ultimi decenni a smantellare le politiche socialdemocratiche in favore di quelle neoliberiste. In questo slittamento ideologico, le istituzioni della società sono riformulate come mercati piuttosto che come sistemi democratici. E non fanno eccezione le scuole, considerate più efficienti se sottoposte alle leggi capitalistiche e poste, come tutte le aziende, in concorrenza le une con le altre per attirare i clienti: gli studenti. A questo scopo i fautori di un approccio "aziendalistico" all’istruzione propongono due ricette fra loro coordinate. La prima è l’istituzione di Charter Schools, scuole private riconosciute e sovvenzionate dallo Stato, che dovrebbero creare un vero mercato attirando imprenditori in educazione e instaurando un circolo virtuoso di sana competizione. La seconda riguarda un sistema statale di buoni-scuoLa ricerca | N. 1 Nuova Serie. Ottobre 2012 |

Manifesto di propaganda della riforma No Child Left Behind.

la concessi ai genitori di ragazzi in età scolare, spendibili in una scuola privata a loro scelta, comprese quelle confessionali. È certo che No Child Left Behind costituisce l’aspetto più recente di un fenomeno di ondate riformatrici iniziate al principio degli anni Ottanta e continuate poi nei Novanta. Si colloca infatti all’interno di un’ossessione di lunga durata della società americana riguardo alla qualità del suo sistema scolastico, la cui mancanza di competitività con altri Paesi economicamente emergenti è spesso enfatizzata dalla retorica politica e dall’opinione pubblica. Una paura rafforzata dai risultati di numerosi studi che, a partire dagli anni Ottanta, hanno riscontrato un calo generale della resa accademica degli studenti americani. Il 26 aprile 1983 l’amministrazione federale, sotto la guida del presidente Ronald Reagan, pubblicava un’analisi sullo stato della scuola negli Stati Uniti, il cui titolo è diventato famoso: A Nation at Risk, “una nazione a rischio”. Vi si affermava che il sistema educativo statunitense era 76

“mediocre” e che la performance degli studenti era inaccettabilmente bassa, un vero e proprio choc per tutto il Paese. Negli anni Novanta partì quindi un progetto volto a stabilire gli obiettivi generali del sistema educativo e a sensibilizzare la società sui cambiamenti da operare. L’amministrazione Clinton, ad esempio, ha sempre posto al centro dei propri programmi elettorali la necessità di sviluppare il capitale umano americano attraverso la valorizzazione e il miglioramento della scuola. La logica test-centrica Molte sono le critiche che NCLB si è guadagnata. Da un punto di vista pratico va detto che non esiste a tutt’oggi negli USA, a livello nazionale, un organo che si occupi di definire standard e contenuti dei programmi scolastici. La loro compilazione è infatti affidata ai singoli Stati, e gli obiettivi d’insegnamento variano dunque dall’uno all’altro. Secondariamente, sebbene si richieda alle scuole di dimostrare che i loro alunni stanno avanzan-


VALUTAZIONE do verso il conseguimento di un I sostenitori di NCLB ricordano mento di buoni o cattivi risultati sufficiente livello di padronanza che il numero degli scolari che sono connessi premi e sanzioni, nelle materie oggetto di valutasupera i test è in aumento. I suoi in forma diretta o indiretta, esiste zione, l’entità dei progressi non è detrattori, in risposta, controbatuna forte pressione sulle scuole, definita, così come non lo sono i tono che questo accade perché le spesso quindi tentate di barare al traguardi finali: la legge usa a quescuole, pur di sopravvivere, hanno gioco o comunque di mettere in sto proposito un’espressione lasemplificato i test, dato che quelscacco il sistema di valutazione sciata di fatto alla libera interprele insufficienti rischiano il taglio con espedienti di varia natura. tazione, parlando soltanto La riforma pone infatti di “miglioramenti annuali ogni scuola di fronte a una adeguati” (adequate yearly scelta di fondo: o impeprogress). gnarsi correttamente per Il libro di Thomas Toch, migliorare l’efficacia del direttore di un centro di proprio insegnamento; opricerca di Washington sulle pure cercare di attrarre gli politiche educative, Maralunni migliori sia seleziogins of Error. The Education nandoli all’ingresso sia acTesting Industry in the No cettandoli in corso d’anno Child Left Behind Era, ana(cream-skimming). Un’allizza proprio questi aspetti. tra possibile scorrettezza La tesi avanzata è che uno sta nel diminuire l’incidegli effetti più visibili della denza degli alunni deboli logica test-centrica della risui risultati complessivi, forma sia lo sviluppo di un per esempio assegnandoli vero e proprio mercato dei a programmi di educaziotest scolastici. A seguito dei ne speciale, il che li esonecambiamenti imposti dalla ra dalla partecipazione alle Il logo di No Child Left Behind a cura del Dipartimento dell’Educazione degli Stati Uniti. legge, gli Stati e le scuole valutazioni. Si arriva perperdono il margine di libertà di dei fondi e quindi la chiusura. Il sino a consigliare loro di rimanere cui hanno sempre fruito e divenrisultato finale è tragico: gli stuassenti il giorno delle prove. tano responsabili delle eventuali denti più poveri, soprattutto latiQuando l’accountability adotta un insufficienze del loro studenti. nos e afroamericani, sono i meno modello che tiene conto non tanto alfabetizzati del Paese. E le poche dei livelli assoluti ma dei progresI fabbricanti di test scuole che garantiscono buone si realizzati tra una rilevazione e I test diventano così la chiave di performances sono intasate dalle l’altra, le scuole possono inoltre volta di una strategia di riforma richieste. Lo racconta bene Waireagire assegnando gli insegnanti della scuola, anch’essa impostata ting for Superman, un documentamigliori alle classi che saranno ogin funzione di questi standard. La rio, mai uscito in Italia, nominato getto di valutazione. Lo sostiene preparazione dei test e il trattaagli Oscar e premiato al Sundanpersino Diane Ravitch, la storimento dei dati sono in gran parte ce Festival: i ragazzi valutati attraca della scuola già consigliera di appaltati a ditte private o a enti verso i test finiscono in canali preBush, in The Death and Life of the specializzati no profit, che in enstabiliti. Se gli standard personali, Great American School System: «Il trambi i casi non appartengono o quelli della scuola di proveniensistema dei test ha fallito, provocomunque all’amministrazione za, non sono sufficientemente cando disparità di preparazione. statale. La pressione della comalti, è loro precluso l’ingresso a Ineguaglianze sociali ed econopetizione tra le ditte che fabbriuna buona scuola superiore e di miche fanno il resto. Il risultato è cano e vendono test, le scadenze conseguenza a una buona univerun paradosso: l’aumento parallelo ravvicinate imposte dai regolasità. del numero di laureati e degli abmenti, la penuria di esperti nella bandoni scolastici». costruzione dei quesiti e la scarsa Barare per salvarsi il posto Un’altra potenziale reazione agli sorveglianza da parte degli Stati, Ma sono emersi anche altri aspetincentivi creati dai sistemi di acsostiene Toch, hanno indebolito ti critici della riforma. Poiché, countabilty riguarda poi la tendengli obiettivi della riforma. come abbiamo visto, al conseguiza a inserire gli studenti normo77


SCUOLA dotati ma con basso rendimento in classi di sostegno (special education), in teoria riservate ai disabili e agli studenti con bisogni speciali (special needs), entram-

bi esonerati dal dover superare i test di rendimento. Oltre ai costi altissimi di queste classi alternative, è utile ricordare che molti Stati hanno leggi che regolano il

rapporto numerico fra insegnati e alunni, con la conseguenza quindi che non sempre il reale bisogno degli alunni risulta decisivo. Vi è infine una considerazione d’ordine generale legata all’idea stessa d’insegnamento proposta dalla riforma. I sistemi di accountability concentrano l’attenzione degli insegnanti sulle aree curricolari oggetto di rilevazione e, all’interno di queste, su determinati contenuti, inducendoli così a ridurre lo spazio dedicato ad altre materie, con una conseguente restrizione del curriculum effettivamente insegnato. Si arriva addirittura a usare i test come unico strumento didattico (teaching to the test). Il superamento di quesiti a scelta multipla (bubble test) tende così a scoraggiare l’esercizio del pensiero critico, premiando invece una forma peculiare di intelligenza di tipo contabile, basata cioè esclusivamente sul rispetto delle regole procedurali e la memorizzazione di formule. K  Francesca Nicola è dottoranda in Antropologia all’Università Bicocca di Milano.

APPROFONDIRE

Un manifesto di propaganda di No Child Left Behind a cura del Dipartimento dell’Educazione degli Stati Uniti. La ricerca | N. 1 Nuova Serie. Ottobre 2012 |

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E.H. DeBray, Politics, Ideology and Education. Federal Policy During the Clinton and Bush Administrations, Teachers College Press, New York, 2006. D. Ravitch, The Death and Life of the Great American School System: How Testing and Choice Are Undermining Education, Basic Books, New York, 2010. T. Toch, Margins of Error: The Education Testing Industry in the No Child Left Behind Era, Education Sector, Washington, 2006.


COMPETENZE

Le competenze: tra sapere e saper fare La didattica delle competenze è spesso descritta come una moda importata dal mondo anglosassone. In realtà, il nesso fra il conoscere e l’agire è un tratto importante della tradizione del pensiero occidentale.

 Umberto Curi

È

difficile negare che la forte enfasi posta sulle competenze, quale vero e proprio principio di individuazione della nuova scuola, soprattutto a livello di insegnamento secondario, può suscitare inizialmente una accentuata diffidenza. Non si tratta soltanto del riflesso condizionato, indotto dall’introduzione di una novità, anche se non sempre si riflette sulla larga diffusione di un atteggiamento fondamentalmente conservatore nel mondo della scuola. Indipendentemente dalle diverse “sensibilità” politico-culturali, e spesso anche in contrasto con un approccio generale di ispirazione progressista, accade infatti molto spesso che l’operatore scolastico non sia disposto in maniera pregiudizialmente favorevole nei confronti delle novità. Tanto più se, come in questo caso, il “nuovo” può sembrare limitato al piano meramente linguistico, senza che nella sostanza si possa avvertire un cambiamento effettivo. D’altra parte (come già è accaduto per altre questioni non meno importanti) l’esigenza di un allineamento con le direttive europee in tema di formazione impone di superare ogni incertezza, disponendosi ad accogliere e a praticare quella che, in ogni caso, potrebbe essere una positiva riformulazione delle modalità dell’insegnamento. 79

L’orientamento all’azione Un primo passo concreto nella direzione ora indicata può essere compiuto sciogliendo l’opacità del termine impiegato. Come si legge nella ormai copiosa documentazione disponibile, risultato di appuntamenti di studio e di ricerche spesso di notevole accuratezza, col termine “competenza” si intende indicare una sintesi fra le conoscenze in senso stretto e le abilità. Per dirla in altri termini, fra il “sapere” e il “saper fare”. A questo primo e fondamentale connotato, volto principalmente a ridimensionare, se non proprio a cancellare totalmente, la dimensione meramente “contemplativa” delle conoscenze, attraverso il nesso imprescindibile fra il conoscere e l’agire, si aggiunge una seconda e non meno rilevante caratteristica. Poiché, come già si è accennato, le competenze devono essere tali da consentire di agire, e poiché l’azione non si sviluppa concretamente mai, se non in rapporto a un contesto sociale determinato, ciò che si tratta di introdurre mediante la didattica delle competenze è una più specifica attenzione alle relazioni interpersonali e sociali nelle quali si inserisce l’azione. Connettendo insieme i tre elementi finora emersi, vale a dire le conoscenze, le abilità e il contesto sociale, e valorizzando soprattutto il rapporto organico fra essi intercorrente, risulta allora


SCUOLA più chiaro quale sia l’orizzonte di senso generale, nel quale si inscrive questa nuova frontiera della didattica. Non si tratterà, dunque, né di prescindere dalla coltivazione del sapere, né di concepirlo come qualcosa che vada sempre e comunque immediatamente finalizzato all’azione, ma piuttosto di valorizzare aspetti e dimensioni del sapere che , a ben vedere, sono in realtà indissolubili dal “sapere” nella sua accezione più appropriata. Difatti, se si eccettua quel filone della storia del pensiero che si sviluppa a partire da Aristotele, ma che giunge poi molto lontano dalla stesse premesse aristoteliche, fin dalle origini la cultura occidentale ha sempre valorizzato il nesso organico che stringe il

sapere al fare. Già le figure tradizionali dei “sapienti” antichi non avevano nulla a che vedere con lo stereotipo deformante del filosofo isolato nel “pensatoio”, secondo la caustica parodia proposta da Aristofane. La filosofia, e più in generale la cultura occidentale, nascono come tensione ad un conoscere che non è mai fine a se stesso, ma è sempre finalizzato ad agire come cittadino di una polis, e dunque come soggetto consapevole e responsabile. In questa prospettiva, la didattica delle competenze, più che configurarsi come irruzione di una novità, debitrice di una mentalità “prassistica” di matrice anglosassone, potrebbe essere considerata come un recupero dei fondamenti culturali della grande tradizio-

ne greco-latina. Un modo, debitamente “aggiornato”, per diventare cittadini della polis, proprio nella fase in cui i confini della polis si sono dilatati, fino a comprendere il mondo intero. Intesa in questo modo (ma gli insegnanti della scuola italiana sono certamente i più vocazionalmente portati, oltre che i più attrezzati culturalmente, a questo fine) la didattica delle competenze può diventare un’opportunità importante per il rilancio della qualità dell’insegnamento a livello di scuole medie inferiori e superiori. K  Umberto Curi è docente di Storia della Filosofia presso l’Università di Padova e presso l’Università San Raffaele di Milano.

Le otto competenze chiave Le schede seguenti (sino a pagina 93) sono tratte dalla Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’Unione Europea del 18 dicembre 2006 relativa alle competenze chiave per l’apprendimento permanente. Le competenze sono definite in questa sede alla stregua di una combinazione di conoscenze, abilità e attitudini appropriate al contesto. Le competenze chiave sono quelle di cui tutti hanno bisogno per la realizzazione e lo sviluppo personali, la cittadinanza attiva, l’inclusione sociale e l’occupazione. Il quadro di riferimento delinea otto competenze chiave: 1) comunicazione nella madrelingua; 2) comunicazione nelle lingue straniere; 3) competenza matematica, scientifica e tecnologia; 4) competenza digitale; 5) imparare a imparare; 6) competenze sociali e civiche; 7) spirito di iniziativa e imprenditorialità; 8) consapevolezza ed espressione culturale. Le competenze chiave sono considerate ugualmente importanti, poiché ciascuna di esse può contribuire a una vita positiva nella società della conoscenza. Molte delle competenze si sovrappongono e sono correlate tra loro: aspetti essenziali a un ambito favoriscono la competenza in un altro. [...]

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COMPETENZE

Saper mettere un punto e virgola Nell’istruzione scolastica la competenza richiede parimenti pratica delle abilità e conoscenza riflessa.

La celebre scena della scrittura della lettera nel film Totò, Peppino e... la malafemmina, 1956.

 Francesco Sabatini

I

l concetto di “competenza” riferito ai processi evolutivi ed educativi dell’individuo è da tempo al centro di un ampio dibattito ed è soggetto a definizioni di varia dimensione e angolazione. Indica, in estrema sintesi, una padronanza pronta e risolutiva di abilità cognitivo-operative utilizzabili per raggiungere determinati scopi. Limitandoci subito al campo del linguaggio verbale, possiamo intendere per “competenza linguistica” la capacità di far ricorso con destrezza alle proprie risorse di linguaggio per attuare un efficace scambio comunicativo in una determinata situazione. È una definizione di prima approssimazione, che richiederebbe molti ampliamenti. Anziché cercare di aggiungerli per via di ragionamenti generali, può risultare utile domandarsi come si raggiunge questa capacità, quali stimoli e quali azioni dall’esterno la promuovono e la fanno crescere, quali “istruzioni” la guidano e 81

la arricchiscono, in vista delle prestazioni sempre più alte richieste dai rapporti comunicativi propri della nostra società. Per abbozzare una risposta a questa domanda scelgo un esempio tratto dall’ambito della fonologia, lo strato più profondo dell’apparato linguistico esistente nell’essere umano. Un individuo normalmente dotato dell’udito (e degli altri sensi) apprende, a partire dalla nascita, dai parlanti che lo circondano quell’insieme di simboli fonici ai quali essi attribuiscono un significato (questo il vero fattore magico su cui lavora la mente), ossia le parole della loro lingua; gratificato dal loro effetto comunicativo, ne ricava progressivamente la struttura fonologica interna, ne isola, cioè, quella quarantina di elementi fonici ben distinti (una trentina di suoni articolati, più le varianti di durata e il grado di intensità) che ricorrono nell’intera massa di parole di quella lingua e


SCUOLA hanno potere distintivo di almeno due parole di significato diverso (ad esempio: m / f in mare / fare; l / ll in vale / valle; a / à in meta / metà ). Sono questi i fonemi, che con le loro diverse disposizioni, combinazioni e ripetizioni danno la possibilità di creare unità lessicali diverse praticamente in numero infinito (una lingua molto sviluppata ne utilizza al massimo 500 000). Ogni individuo di una comunità di parlanti acquisisce così, per imitazione, il sistema fonologico di quella lingua: inizialmente lo costruisce elemento per elemento con difficoltà, poi lo esplora, lo verifica, lo perfeziona continuamente, attraverso il confronto con l’uso che ne fanno i suoi parlanti modello e con il risultato che ottengono i suoi enunciati nella comunicazione. Poiché il numero dei fonemi utilizzati in una lingua è bassissimo (una qua-

rantina, come si è detto), la frequenza di uso di ognuno di essi, nelle pur diverse combinazioni, è altissima: in 8 ore di parlato ognuno di noi pronuncerà la a almeno 10 000 volte; e così via per gli altri fonemi. In questo modo la capacità di articolare i fonemi (nella forma più o meno standard per quella data lingua) diventa in noi veramente “automatica”: diventiamo cioè capaci di produrli anche senza consapevolezza. Una riprova di questo automatismo è questa: chi apprende la lingua dall’ambiente senza alcuna spiegazione metalinguistica (che ha inizio con la conoscenza della scrittura alfabetica) non è in grado nemmeno di “nominare” un fonema; lo usa, ma non lo individua e ne ignora il nome. Ebbene, l’individuo di cui ho sommariamente descritto l’iter di apprendimento naturale della lingua

(per un apprendimento siffatto, che prescinde dall’insegnamento tipicamente scolastico, si usa convenzionalmente il termine acquisizione) ha certamente raggiunto la competenza fonologica di quella lingua: è, cioè, pienamente capace di articolare e utilizzare senza programmazione studiata i suoni per formare le singole parole che conosce e anche altre nuove di cui impari bene il significato (e che non abbiano una struttura combinatoria particolarmente complessa). La competenza fonologica, vero basamento di tutto l’edificio linguistico, permette infatti all’individuo di costruirsi almeno un repertorio lessicale pienamente funzionante (sempre che a questo si accompagni l’acquisizione dei significati), mentre la competenza morfologica e quella sintattica richiedono altro e più complesso lavoro.

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Comunicazione nella madrelingua

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La comunicazione nella madrelingua è la capacità di esprimere e interpretare concetti, pensieri, sentimenti, fatti e opinioni in forma sia orale sia scritta (comprensione orale, espressione orale, comprensione scritta ed espressione scritta) e di interagire adeguatamente e in modo creativo sul piano linguistico in un’intera gamma di contesti culturali e sociali, quali istruzione e formazione, lavoro, vita domestica e tempo libero. [...] Ciò comporta una conoscenza dei principali tipi di interazione verbale, di una serie di testi letterari e non letterari, delle principali caratteristiche dei diversi stili e registri del linguaggio nonché della variabilità del linguaggio e della comunicazione in contesti diversi. [...] Un atteggiamento positivo nei confronti della comunicazione nella madrelingua comporta la disponibilità a un dialogo critico e costruttivo, la consapevolezza delle qualità estetiche e la volontà di perseguirle nonché un interesse a interagire con gli altri. [...]

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COMPETENZE L’arrivo di parole nuove Par di concludere, a questo punto, che la competenza linguistica è, sostanzialmente, un possesso inconsapevole del meccanismo della lingua: possesso forse tanto più sicuro e pronto, quanto meno dipendente da spiegazioni ricevute esplicitamente sul funzionamento del meccanismo stesso. Ma questa è la condizione “perfetta” che può raggiungere solo l’analfabeta, che abbia acquisito la lingua solo dall’uso realmente comunicativo dei parlanti a lui vicini e a diretto contatto con le cose e le situazioni attingibili nel suo ambiente. Non è certo questo il quadro in cui si svolge il progetto educativo che prevede tipicamente l’esistenza della “scuola” e la trasmissione di un sapere ben oltre l’hic et nunc. L’educazione, non solo linguistica, dell’individuo per una così diver-

sa condizione di vita intellettiva richiede, ovviamente, anche l’erogazione di cognizioni consegnate con procedimenti diversi, molto spesso in assenza delle “cose”, per via di analogia, di ipotesi, di applicazioni volontarie, di ragionamento sulle spiegazioni ricevute, di deduzioni, di inferenze complesse. Nell’ambiente scolarizzato tutto il precedente sapere sul mondo va ristrutturato sulla base delle cognizioni che derivano da esperienze di un gran numero di persone lontane nello spazio e nel tempo; il sapere sul proprio presente va ampliato con informazioni che indichino gli antefatti che sono dietro alle apparenze attuali; e così via. Si noti che proprio questo programma di ampliamento delle conoscenze-esperienze porta con sé automaticamente ed esige programmaticamente anzitut-

to un ampliamento della dotazione linguistica dell’individuo, della quale voglio appunto qui occuparmi. Con l’arrivo di parole nuove già si pone spesso un ampliamento della combinatoria dei fonemi della stessa lingua precedentemente posseduta: nel repertorio delle parole usuali (di “trasmissione orale” dalla base di origine) della lingua italiana non ricorrono, ad esempio, le combinazioni ps e cn, sicché il parlante puro le evita, ripiegando, secondo le tendenze locali, su p(i)s e nn (vedi le pronunce pissicologia in ambiente meridionale e tennica in ambiente toscano). Finché le segnalazioni specifiche dell’insegnante, l’osservazione della grafia corretta e ripetuti sforzi dell’individuo non producono in lui un’attenuazione, almeno, della variazione rispetto allo standard. Figuriamoci quel che accade, in

Comunicazione in lingue straniere

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La comunicazione nelle lingue straniere condivide essenzialmente le principali abilità richieste per la comunicazione nella madrelingua: essa si basa sulla capacità di comprendere, esprimere e interpretare concetti, pensieri, sentimenti, fatti e opinioni in forma sia orale sia scritta (comprensione orale, espressione orale, comprensione scritta ed espressione scritta) in una gamma appropriata di contesti sociali e culturali (istruzione e formazione, lavoro, casa, tempo libero) a seconda dei desideri o delle esigenze individuali. La comunicazione nelle lingue straniere richiede anche abilità quali la mediazione e la comprensione interculturale. Il livello di padronanza di un individuo varia inevitabilmente tra le quattro dimensioni (comprensione orale, espressione orale, comprensione scritta ed espressione scritta) e tra le diverse lingue e a seconda del suo background sociale e culturale, del suo ambiente e delle sue esigenze e/o dei suoi interessi.

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SCUOLA fatto di ampliamento, nella morfologia, nella sintassi, e nella costruzione di discorsi (“testi”) più ampi e complessi, specialmente scritti (nei quali entra in gioco il rapporto occhio-mente). Ora, la meta dell’istruzione scolastica riguardo alla dotazione linguistica dell’individuo è certamente quella di portare quanto più possibile a livello di “competenza” (vedi sopra) anche i suoi nuovi acquisti di risorse linguistiche. Questo processo si fonda inesorabilmente su due operazioni: 1) la fornitura di nozioni esplicite; 2) l’applicazione di tali nozioni ad atti comunicativi simulati. Siamo al punto critico di tutto il processo. Perché tali operazioni diano il risultato di un forte radicamento, nell’individuo, degli apprendimenti forniti esplicitamente si pongono due condizioni: 1) che le nozioni erogate abbiano

il miglior fondamento scientifico; 2) che il percorso di apprendimento/acquisizione si svolga con ponderata gradualità. Le nozioni erogate devono avere fondamento nelle acquisizioni più accreditate della scienza contemporanea, perché possano fornire il maggior numero di risposte convincenti ai fenomeni che si osservano. Il problema si pone tipicamente per certi usi della lingua: solo la nozione di “medio” ci aiuta a orientarci nello scegliere tra andare e andarsene, godere e godersi, bere e bersi (da non considerare puro errore); e così la nozione di “tema dislocato” allontana l’idea del banale pleonasmo davanti a enunciati come Sandro, lo chiamerò domani o Lo chiamerò domani, Sandro. Gli esempi sono numerosissimi, e vedi anche l’ultimo richiamo a conclusione di queste riflessioni.

La gradualità di tutte le azioni educative s’impone fortemente, in rapporto alla crescita complessiva del soggetto, delle sue conoscenze del mondo e delle specifiche capacità cognitive (soprattutto delle capacità di generalizzazione, astrazione, trasferimento) e al necessario dosaggio tra sperimentazione operativa e chiara cognizione di un fenomeno. Le proporzioni del dosaggio cambiano solo, a vantaggio della pratica, per l’apprendimento delle lingue straniere. (Sulla gradualità, per quanto riguarda l’educazione linguistica e lo studio letterario, non si insisterà mai abbastanza nel nostro ambiente scolastico, dove negli ultimi decenni si è instaurata un’assurda corsa degli insegnanti del livello primario e di quelli della secondaria di primo grado a bruciare, illusoriamente, i rispettivi traguardi, per

Competenza matematica e scientifica

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La competenza matematica è l’abilità di sviluppare e applicare il pensiero matematico per risolvere una serie di problemi in situazioni quotidiane. [...] Una persona dovrebbe essere in grado di svolgere un ragionamento matematico, cogliere le prove matematiche e comunicare in linguaggio matematico oltre a saper usare i sussidi appropriati. Un’attitudine positiva in relazione alla matematica si basa sul rispetto della verità, sulla disponibilità a cercare motivazioni e a determinarne la validità. La competenza in campo scientifico si riferisce alla capacità e alla disponibilità a usare l’insieme delle conoscenze e delle metodologie possedute per spiegare il mondo che ci circonda sapendo identificare le problematiche e traendo le conclusioni che siano basate su fatti comprovati. [...] Questa competenza comprende un’attitudine di valutazione critica e curiosità, un interesse per questioni etiche e il rispetto sia per la sicurezza sia per la sostenibilità. [...]

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COMPETENZE avere la sensazione/soddisfazione di aver fatto maturare in fretta i propri allievi). L’esempio della punteggiatura Il mancato rispetto delle due condizioni ora indicate è, a mio giudizio, la causa principale dell’inefficacia dell’insegnamento linguistico dell’intero primo ciclo dell’istruzione: della sempre più conclamata “impreparazione” degli alunni in arrivo al secondo ciclo, dove l’insegnante d’italiano si trova tipicamente davanti al dilemma se “ricominciare tutto daccapo” o “stabilire che quel ch’è fatto è fatto”, per andare avanti (sempre con scarso risultato) verso altri compiti (lo studio della storia della letteratura). In altri termini, l’aver mirato a far conseguire “competenze” linguistiche senza il dosaggio tra pratica e riflessione cognitiva non ha por-

tato a raggiungere lo scopo desiderato. Un esempio ancora può illustrare tutto questo discorso. Si crede generalmente che gli usi della punteggiatura siano materia di precoce e risolutivo apprendimento, sulla base di presunte poche regole astratte o fumose (il criterio della “pausa”) o limitate a casi marginali (gli elenchi, gli asindeti), lasciando poi al caso qualche osservazione sui testi. Sappiamo che il risultato, in proposito, è tra i più deludenti. L’apprendimento degli usi, variabilissimi, della punteggiatura richiede invece forti nozioni basilari sulla struttura della frase (in sede grammaticale) e altre sul piano della testualità. Come comprendere, e saper usare in proprio, il tratto del punto fermo che spezza l’unità sintattica della frase (caso tipico, ma non l’unico, quello del-

la coniunctio relativa) senza una cognizione della varietà dei tipi di testo, basata sul criterio della rigidità o elasticità interpretativa del testo (sia che narri, sia che descriva, sia che argomenti, ecc.) da parte del ricevente, l’una ottenuta con la compattezza delle sequenze informative, l’altra con la distribuzione di esse con intervalli della ricezione? Siamo nel pieno campo della pratica testuale, ma senza ravvisare esplicitamente un principio generale sui rapporti comunicativi tra emittente e ricevente del testo quell’uso non si chiarisce e non si padroneggia. Non diventa “competenza”. K  Francesco Sabatini è stato professore ordinario di Storia della Lingua italiana in diversi atenei e, in ultimo, presso l’Università Roma Tre. È presidente onorario dell’Accademia della Crusca.

La competenza digitale consiste nel saper utilizzare con dimestichezza e spirito critico le tecnologie della società dell’informazione (TSI) per il lavoro, il tempo libero e la comunicazione. [...] La competenza digitale presuppone una solida consapevolezza e conoscenza della natura, del ruolo e delle opportunità delle TSI nel quotidiano [...]. Le persone dovrebbero anche essere capaci di usare strumenti per produrre, presentare e comprendere informazioni complesse ed essere in grado di accedere ai servizi basati su Internet, farvi ricerche e usarli. Le persone dovrebbero anche essere capaci di usare le TSI a sostegno del pensiero critico, della creatività e dell’innovazione. L’uso delle TSI comporta un’attitudine critica e riflessiva nei confronti delle informazioni disponibili e un uso responsabile dei mezzi di comunicazione interattivi. Anche un interesse a impegnarsi in comunità e reti a fini culturali, sociali e/o professionali serve a rafforzare tale competenza.

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Competenza digitale


SCUOLA

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Verso la scuola delle competenze (?) Imparare a imparare, il saper apprendere, è la competenza che potremmo definire madre di tutte le altre, in quanto di esse generatrice e ad esse sottesa. Possederla vuol dire acquisire autonomia d’azione e autonomia di pensiero.  Marco Mezzadri Gaia Pieraccioni

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l punto interrogativo posto a “commento” del titolo serve esclusivamente a segnalare la nostra cautela nei confronti di un processo, in atto dagli anni Novanta a livello di riflessione tra esperti e responsabili delle scelte educative su scala internazionale, che nella scuola italiana pare essere ora entrato in una nuova fase attuativa. L’introduzione di strumenti di valutazione comparativa dei sistemi scolastici a livello mondiale (OCSE Pisa) o nazionale (prove INVALSI) hanno contribuito a far entrare nelle pratiche scolastiche una sensibilità nuova, seppur passibile di 86

indispensabili aggiustamenti, che va nella direzione della didattica per competenze. Crediamo che risulti ancor più chiaro l’esempio delle certificazioni linguistiche internazionali, le quali riprendono i livelli del Quadro comune europeo di riferimento per le lingue e cercano di tradurre nella pratica le indicazioni fornite da quel documento-guida. La glottodidattica Uno sguardo all’ambito della glottodidattica ci consente di tentare di dare consistenza alla nostra riflessione. Il Quadro propone una visione olistica delle competenze


COMPETENZE fornendo una cornice di riferimento di tipo trasversale in cui le competenze linguistico-comunicative si uniscono a competenze generali. Gli individui nel Quadro sono «membri di una società che hanno dei compiti (di tipo non solo linguistico)» (p. 11) e ciò determina l’adozione di un approccio «orientato all’azione», al saper fare, all’esercizio di competenze. Usare la lingua non comporta, allora, solamente la conoscenza dello strumento linguistico, ma anche la capacità di impiegare a fini comunicativi le risorse cognitive e affettive di cui l’individuo dispone e che sono anch’esse parte fondamentale del processo di apprendimento-insegnamento. Il Quadro aggiunge (p. 8) che «lo sviluppo della competenza comunicativa coinvolge altre dimensioni oltre a quelle strettamente linguistiche (ad esempio, consapevolezza socioculturale, sviluppo dell’immaginario, relazioni affettive, imparare ad imparare, e così via)». Il modello di competenza comunicativa proposto dal Quadro si fonda su una suddivisione in tre parti delle competenze linguistico-comunicative, ossia: competenze linguistiche, competenze sociolinguistiche, competenze pragmatiche. L’opzione adottata dal Quadro porta gli autori a definire la competenza linguistica come «conoscenza e capacità d’uso di strumenti formali con cui si possono comporre e formulare messaggi ben strutturati e dotati di significato» (p. 134). Si tratta di quegli strumenti cui da anni gli operatori del settore sono abituati e che ne scandiscono l’agire. Esso è spesso caratterizzato da riferimenti continui e sistematici ai livelli comuni di riferimento (A1, A2, B1, e così via).

La pluralità dei saperi Come accennato, il modello di competenza comunicativa proposto dal Quadro prevede l’adozione di una prospettiva in cui l’essere umano è visto nella sua interezza. Gli autori prendono in considerazione tutte le competenze dell’individuo che contribuiscono a rendere l’essere umano capace di comunicare. Tutti i saperi e le competenze entrano così a far parte del modello di competenza comunicativa. Il Quadro individua quattro competenze generali che non sono di tipo linguistico. Il primo di questi quattro saperi è costituito dalle conoscenze dichiarative, il sapere, che si basa in modo preponderante sulla conoscenza del mondo acquisita dall’individuo attraverso la propria lingua materna. Una riflessione a parte è riservata nel Quadro alla consapevolezza interculturale (p. 128), intesa come capacità di comprendere consapevolmente le somiglianze e le differenze che caratterizzano il mondo della L1 [la lingua madre] e della L2/LS [la lingua straniera. Vedi le precisazioni nella nota 1] dell’apprendente e il loro rapporto con eventuali altri mondi e dimensioni linguistiche e culturali, sia a livello locale che in relazione ad altri paesi e ad altre L2. Il secondo sapere generale è il saper fare, cioè le abilità pratiche che permettono di svolgere il ruolo di attore sociale a cui l’apprendente è chiamato in funzione di una comunicazione efficace. Il saper essere, cioè la competenza “esistenziale”, è la terza area presa in considerazione dal Quadro. Gli aspetti legati alla personalità, agli stili cognitivi e al mondo interiore dell’individuo, alle sue convinzioni e ai suoi valori morali concorrono a comporre questo sapere. Fondamentali sono anche, nella prospettiva comu87

nicativa proposta dal Quadro, le motivazioni che spingono all’apprendimento della L2, nonché gli atteggiamenti verso l’altro da sé. È un ulteriore passo verso la determinazione di un sistema educativo, non solo limitato alle lingue straniere, che deve prendere in considerazione l’individuo con le sue specificità, i suoi ritmi e stili di apprendimento, i suoi valori. Si tratta di un sistema educativo reso profondamente umanistico, cioè a misura d’uomo, dalla dimensione individuale, che a essa associa elementi sociali “forti”, basati sullo sviluppo di una personalità interculturale visto come uno degli obiettivi prioritari del percorso didattico. Il quarto e ultimo sapere generale è il saper apprendere, ossia imparare a imparare. Un’analisi di questo elemento permette di comprendere meglio come la didattica per competenze possa trovare un’applicazione concreta nelle pratiche quotidiane d’insegnamento, pur mantenendo gli inevitabili e salutari legami con ambiti teorici e conservando la capacità di una visione d’insieme sul sistema educativo anch’essa imprescindibile. Il caso dello studente/pescatore «Dai un pesce a un uomo e lo nutrirai per un giorno. Insegnagli a pescare e lo nutrirai per tutta la vita.» Questo detto cinese riassume con grande efficacia il modello operativo e l’obiettivo di una didattica che renda possibile insegnare a imparare, il saper apprendere appunto, la competenza che potremmo definire la madre di tutte le altre, in quanto di esse generatrice e ad esse sottesa. Possederla vuol dire infatti acquisire autonomia di azione, applicando nei diversi ambiti del sapere le strategie adeguate a svolgere compiti e a risolvere problemi, e


SCUOLA soprattutto autonomia di pensiero, poiché si è in grado di riflettere sul come abbiamo risolto un problema e perché lo abbiamo fatto in un certo modo piuttosto che in un altro. Ciò significa, tornando alla pesca, che se lo studente-pescatore avrà acquisito le abilità necessarie a pescare con successo, e soprattutto sarà divenuto consapevole del percorso compiuto, scegliendo di volta in volta le conoscenze a sua disposizione e le strategie più adeguate a risolvere i suoi problemi da pescatore, sarà in grado, in autonomia di pensiero e di azione, di diventare un bravo cacciatore, un bravo insegnante, un bravo manager, un bravo parrucchiere, ma anche un bravo cittadino e un bravo genitore e, forse, un bravo coniuge. Le strategie di apprendimento, che informano il saper apprendere sono infatti

caratterizzate da un alto livello di trasferibilità, in quanto sono operazioni mentali con differente grado di complessità che ricorrono trasversalmente in compiti e contesti diversi (ad esempio identificare, classificare, analizzare, ipotizzare, inferire, collegare sono strategie necessarie in ogni ambito del sapere). Per questo lo sviluppo della competenza metacognitiva degli studenti, cioè la capacità di riflettere sul come si è riusciti a pescare, è strategica per il loro reimpiego ed assume una forte valenza educativa, poiché «diventare consapevoli di una strategia significa non soltanto saper usare una tecnica, ma sapere perché quella tecnica è efficace, quando è opportuno o inopportuno usarla e, non da ultimo, saper valutare se quella tecnica è produttiva per se stessi, nella propria situazione, per il compi-

to che si deve svolgere» (Mariani 2005, p. 15). Pertanto, insegnare a imparare è a nostro parere un irrinunciabile obiettivo nel percorso formativo di ogni studente-cittadino a cui si voglia garantire, oltre al successo scolastico, autonomia di pensiero e di azione per la propria autorealizzazione (saper fare per saper essere e viceversa). Apprendere le lingue Nell’ambito dell’educazione linguistica (a cui si riferiscono altre due competenze-chiave, comunicazione in madrelingua e comunicazione nelle lingue straniere) la didattica del saper apprendere si sviluppa principalmente su due piani. 1) Da un lato nel rafforzare e automatizzare nello studente le strategie che attivano i processi cognitivi coinvolti nella ricezione di ogni tipo di testo, scritto e

Imparare a imparare è l’abilità di perseverare nell’apprendimento, di organizzare il proprio apprendimento anche mediante una gestione efficace del tempo e delle informazioni, sia a livello individuale che in gruppo. [...]. Una persona dovrebbe essere in grado di consacrare del tempo per apprendere autonomamente e con autodisciplina, ma anche per lavorare in modo collaborativo quale parte del processo di apprendimento, di cogliere i vantaggi che possono derivare da un gruppo eterogeneo e di condividere ciò che ha appreso. Le persone dovrebbero inoltre essere in grado di organizzare il proprio apprendimento, di valutare il proprio lavoro e di cercare consigli, informazioni e sostegno, ove necessario. Un’attitudine positiva comprende la motivazione e la fiducia per perseverare e riuscire nell’apprendimento lungo tutto l’arco della vita. Un’attitudine ad affrontare i problemi per risolverli serve sia per il processo di apprendimento stesso sia per poter gestire gli ostacoli e il cambiamento. [...]

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Imparare a imparare


COMPETENZE orale, in qualsiasi lingua: la comprensione è infatti l’abilità che è alla base del processo stesso di apprendimento linguistico, del saper fare lingua, poiché in sua assenza non si ottiene né produzione né acquisizione stabile. 2) Dall’altro, nel potenziare la capacità di riflessione sulle strutture linguistiche (le grammatiche) per individuarne il meccanismo di funzionamento, attraverso un percorso di ricerca-scoperta di tipo induttivo che prevede l’osservazione, la formulazione di ipotesi, la loro verifica e riformulazione attraverso la manipolazione del testo e il reimpiego della struttura, per arrivare infine all’esplicitazione e alla sistematizzazione della regola. La competenza metalinguistica, il saper riflettere sui meccanismi linguistici, è dunque centrale nell’acquisizione delle lingue, in quanto è il nucleo stesso della capacità di imparare a imparare in modo autonomo non una, ma tutte le lingue (competenza glottomatetica). In particolare, in ambito scolastico, dove la lingua madre (o seconda) è lingua dello studio in quanto veicola i contenuti disciplinari, riteniamo fondamentale l’insegnamento integrato delle strategie di comprensione dei contenuti e dei meccanismi di funzionamento delle microlingue che li veicolano, in quanto la loro acquisizione è necessaria a garantire il successo scolastico ad alunni italiani e stranieri. Ci limitiamo qui a dare un esempio, fra i tanti possibili, di un compito volto a sviluppare un’abilità cognitiva centrale nel processo di comprensione, nota come expectancy grammar, o grammatica dell’anticipazione. Si tratta della capacità d’inferire informazioni e anticipare i contenuti del testo, formulando ipotesi sulla base degli indizi che si ricevono

Compito di pre-lettura Osserva le immagini, leggi il titolo e le prime due righe del testo. Secondo te: Che genere di testo è? Come lo sai? Chi è il protagonista della storia? Chi si è fermato “laggiù”? E dov’è “laggiù”? Il capo è sposato? Da dove ricavi quest’informazione? Cosa sta per succedere? Ti sei mai ritrovato in una situazione simile? Come hai reagito? Oppure, cosa avresti fatto? Lavora con la fantasia, fa’ delle ipotesi e poi confrontale con un compagno. Ora leggi il testo velocemente una prima volta per verificare le tue ipotesi. Com’è andata? Hai indovinato?

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dal contesto, della conoscenza del mondo, dell’esperienza personale. Ciò permette al lettore di prepararsi a cogliere la globalità del testo grazie alle ipotesi formulate, seguendo un processo a spirale che precede e accompagna l’esposizione al testo e che attiva meccanismi cognitivi quali appunto la previsione, l’inferenza, la selezione e il collegamento di informazioni (Mezzadri 2007). A scuola, l’attivazione della expectancy grammar è strategica per l’imparare a imparare, poiché è la base di qualsiasi attività ricettiva, sia nella madrelingua che nell’acquisizione di altre lingue, trasversale a tutti i contesti comunicativi, a tutti i contenuti e a tutte le tipologie testuali con cui lo studente è chiamato a confrontarsi in ambito quotidiano e scolastico. Un compito di pre-lettura Esaminiamo un esempio (nel box in questa pagina), fra i tanti possibili, di compito task-based che si colloca nella fase di pre-lettura e che, con le opportune modifiche, è applicabile a qualsiasi ambito disciplinare. In questo 89

caso il compito precede un testo narrativo di cui si danno alcune immagini, relative al protagonista della storia e a un paio di situazioni narrate, il titolo e le prime due righe del testo (che per motivi di spazio omettiamo). Pertanto, tutte le risposte che sono richieste dal compito possono trovare un ancoraggio negli elementi sopraccitati. L’espressione secondo te implica che le domande che seguono non prevedano una risposta certa, basata su conoscenze dichiarative che lo studente ha o non ha, come si è soliti proporre. Al contrario, chiede allo studente di attivarsi per avviare un percorso di ricerca-scoperta, analizzando le informazioni a disposizione e applicando la sua capacità di problem solving, ovvero una parte della sua competenza imprenditoriale, in quanto deve sviluppare un piano di azione, accettando “il rischio di impresa”, in questo caso, quello di fallire, sbagliando a formulare le ipotesi. E ancora, lo si sollecita a ricavare informazioni applicando strategie di tipo inferenziale, chiedendo però di giustificare le sue risposte


SCUOLA (come lo sai?), di attivare la capacità immaginativa (usa la tua fantasia) ed anche di fare collegamenti con la propria esperienza personale (ti è mai successa una situazione simile?). Infine, si invita a confrontarsi con un compagno per migliorare le proprie ipotesi, sviluppando così la competenza interpersonale, interculturale e le abilità sociali, e gli si propone di autovalutarsi (come è andata?), attivando uno dei presupposti fondamentali della competenza metacognitiva: rifletto sul mio percorso e cerco di capire dove sono riuscito e se e perché ho sbagliato. La reiterazione di questo e di altri processi di comprensione all’interno dei diversi ambiti disciplinari e, una tantum, la riflessione esplicita sul percorso svolto, che può essere guidata in appositi momenti dai docenti, permette allo studente di essere consapevole di ciò che ha fatto e come,

rendendosi conto, così, di aver imparato a pescare. O almeno è quello che gli auguriamo e che noi ci aspettiamo dalla didattica per competenze. K  Marco Mezzadri e Gaia Pieraccioni del Laboratorio di Glottodidattica dell’Università di Parma. Note 1) «Con seconda lingua (L2) ci … si riferisce a una lingua appresa (oltre la lingua materna) in un Paese o contesto dove essa è parlata abitualmente dalla maggior parte degli abitanti. … Con lingua straniera (LS) si intende la lingua che si impara in un contesto dove abitualmente non viene usata dalle persone che ci abitano». Tratto da: Relazioni internazionali e lingue straniere. Curricolo verticale di lingua straniera, 2010, a cura del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – USR per la Lombardia Area Multilinguismo e Internazionalizzazione.

APPROFONDIRE

Council of Europe, Quadro comune europeo di riferimento per le lingue: apprendimento, insegnamento, valutazione, La Nuova Italia Oxford, Firenze, 2002.

G. Langè, Curricolo verticale di lingua straniera, (di prossima pubblicazione come "Quaderno del La ricerca").

L. Mariani, Saper apprendere attraverso i curricoli: dalle abilità di studio alle strategie di apprendimento, in A. Valentini, R. Bozzone Costa, M. Piantoni (a cura di), Insegnare ad imparare in Italiano L2: le abilità di studio per la scuola e per l’università, Guerra, Perugia, 2005, pp. 11-28.

M. Mezzadri, Il Quadro comune europeo a disposizione della classe. Un percorso verso l’eccellenza, Guerra, Perugia, 2004.

M. Mezzadri, Insegnare a comprendere, Guerra, Perugia, 2007.

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Competenze sociali e civiche

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Queste includono competenze personali, interpersonali e interculturali e riguardano tutte le forme di comportamento che consentono alle persone di partecipare in modo efficace e costruttivo alla vita sociale e lavorativa [...]. La competenza sociale [...] si basa sull’attitudine alla collaborazione, l’assertività e l’integrità. Le persone dovrebbero provare interesse per lo sviluppo socioeconomico e la comunicazione interculturale, e dovrebbero apprezzare la diversità e rispettare gli altri ed essere pronte a superare i pregiudizi e a cercare compromessi. La competenza civica si basa sulla conoscenza dei concetti di democrazia, giustizia, uguaglianza, cittadinanza e diritti civili, anche nella forma in cui essi sono formulati nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e nelle dichiarazioni internazionali e nella forma in cui sono applicati da diverse istituzioni a livello locale, regionale, nazionale, europeo e internazionale. [...]

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COMPETENZE

Competenze e valutazione Le competenze vanno valutate, certo. Ma ci sono due modi per farlo: quello matematico dei test INVALSI, che si limita a misurare il presente, e quello qualitativo, attento ai tempi lunghi di ogni processo di maturazione.  Ugo Avalle

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el corso di questi ultimi anni i docenti delle scuole di ogni ordine e grado sono stati posti di fronte a termini non ben definiti, non chiari. È il caso delle seguenti espressioni: abilità, competenze, conoscenze. Sulle definizioni di queste parole vi è una convergenza di idee; così, le abilità indicano le capacità di applicare conoscenze e di usare know-how per portare a termine compiti e risolvere problemi; le conoscenze indicano il risultato dell’assimilazione di informazioni attraverso l’apprendimento; le competenze indicano la comprovata capacità di usare conoscenze, abilità, capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro, di studio e nello sviluppo professionale e/o personale. Con il decreto ministeriale 9 del 2010 viene stabilito l’obbligo della certificazione delle competenze acquisite dagli studenti che completano il proprio ciclo decennale di studi. Questa richiesta ha rappresentato una novità per la scuola italiana, che è stata chiamata a valutare non solo le conoscenze e le abilità degli studenti, ma anche le loro competenze in contesti reali o verosimili. Il nuovo bambino? Competente! Come superamento della concezione del bambino “tutto intuizione, fantasia e sentimento” si è proposto quella del “bambino competente”. Secondo tale prospettiva, il mondo della scuola si 91

attendeva chiari e precisi orientamenti sin dal momento in cui si è avviato il discorso sui contenuti essenziali della scuola dell’autonomia. Si aspettava che anziché il sapere e le conoscenze essenziali, venissero privilegiate le capacità, le competenze essenziali. In effetti sul sito dell’INDIRE vi sono indicazioni specifiche al riguardo, utili soprattutto per dettagliare che cosa si intenda per competenza e come essa debba essere valutata e certificata, ma come scrive Goleman: «La nuova misura di eccellenza dà per scontato il possesso di capacità intellettuali e di conoscenze tecniche sufficienti a svolgere il nostro lavoro. Invece, punta principalmente su qualità personali come l’iniziativa e l’empatia, la capacità di adattarsi e d’essere persuasivi». Per perseguire questo importante e fondamentale obiettivo, occorre che l’insegnante sia competente in campo pedagogico e metodologico-didattico. Anche per lui occorre prevedere parametri in base ai quali misurare, valutare queste competenze (un annoso problema che, nonostante le iniziative di alcuni ministri della pubblica istruzione, non sarà mai risolto). Oltre alle indicazioni, l’INDIRE ha fornito un modello in base al quale certificare le competenze. Occorre, però, superare questa fase, questa proposta ragionieristico-burocratica e avere l’ardire di volare alto, d’impostare un insegnamento di alto profilo se si


SCUOLA vuole che la scuola italiana (tutta) competa alla pari con quella delle altre nazioni. Valutare è ben più che misurare Quindi, sì alle competenze, no a un computo matematico per valutarle; si è assistito, infatti, a una levata di scudi contro le prove INVALSI che, per molti docenti, non rendono giustizia al loro impegno nel far acquisire agli alunni le famigerate competenze, né al loro sforzo per conseguirle. Occorre perciò ribadire che la scuola dell’autonomia ha un preminente carattere formativo; che essa mira non tanto all’acquisizione delle conoscenze, quanto a promuovere la capacità di utilizzarle. Occorre mettere al primo posto le motivazioni, gli interessi, gli atteggiamenti. Come recitano i programmi didattici del 1955: «Scopo essenziale della scuola non è tanto quello

di impartire un complesso determinato di nozioni, quanto di comunicare al fanciullo la gioia e il gusto di imparare e di fare da sé, perché ne conservi l’abito oltre i confini della scuola, per tutta la vita». Anche nel cosiddetto “documento dei saggi” sui saperi essenziali si ritrovano alcune affermazioni orientate in tal senso, ad esempio che: «La lettura va intesa e sollecitata anche come emozione immediata e bisogno-piacere inesauribile». Per compiere il tanto sospirato salto di qualità occorrerebbe che la scuola abbandonasse la prospettiva nozionistica che ancora la pervade e concedesse spazio agli atteggiamenti, alla motivazione. Ogni docente, entrando in aula, dovrebbe domandarsi non solo che cosa deve insegnare, ma quali sono le capacità che gli alunni debbono apprendere e soprattutto quali sono gli atteggia-

menti che egli deve suscitare nei singoli alunni. Maragliano, in Sintesi dei lavori della commissione dei quarantaquattro saggi sui saperi essenziali, 1997, scrive: «Compito prioritario della nuova scuola è la creazione di ambienti idonei all’apprendimento che abbandonino la sequenza tradizionale fra lezione, studio individuale e interrogazione, per dar vita a comunità di discenti e docenti impegnati collettivamente nell’analisi e nell’approfondimento degli oggetti di studio e nella costruzione di saperi condivisi». Si tratta, quindi, di un’impostazione seminariale e laboratoriale; non dice, infatti, che «integrino», ma che «abbandonino» la sequenza tradizionale. A questa proposta si aggiungono le dichiarazioni della commissione ristretta sui saperi essenziali, che afferma la «pari dignità» della parola scritta, dell’immagine, del

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Senso di iniziativa e imprenditorialità Il senso di iniziativa e l’imprenditorialità concernono la capacità di una persona di tradurre le idee in azione. In ciò rientrano la creatività, l’innovazione e l’assunzione di rischi, come anche la capacità di pianificare e di gestire progetti per raggiungere obiettivi. [...] La conoscenza necessaria a tal fine comprende l’abilità di identificare le opportunità disponibili per attività personali, professionali e/o economiche, comprese questioni più ampie che fanno da contesto al modo in cui le persone vivono e lavorano, come ad esempio una conoscenza generale del funzionamento dell’economia, delle opportunità e sfide che si trovano ad affrontare i datori di lavoro o un’organizzazione. [...] Un’attitudine imprenditoriale è caratterizzata da spirito di iniziativa, capacità di anticipare gli eventi, indipendenza e innovazione nella vita privata e sociale come anche sul lavoro. In ciò rientrano la motivazione e la determinazione a raggiungere obiettivi, siano essi personali, o comuni con altri, anche sul lavoro.

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COMPETENZE suono e di tutti i saperi disciplinari, in quanto «tutti prodotti dalla mente umana». Il percorso che conduce al possesso della competenza è quindi lungo, e le indicazioni fornite dall’INDIRE per il riconoscimento d’una competenza sono sì corrette ma non complete, in quanto occorre vedere l’alunno in modo “olistico” e tali indicazioni non lo consentono. Sono finalizzate al qui e all’ora, mentre se si vuole che l’alunno mantenga e coltivi l’interesse per il sapere, per la sua crescita umana, non ci si deve fermare a un arido elenco di punti sulla cui base certificarlo come soggetto competente. Infatti, dall’attenzione ai processi di apprendimento dei singoli allievi si è passati a una maggiore considerazione dei risultati di tali processi (certificazione delle competenze, in termini di risultati, al termine della scuola primaria e

secondaria). Una valutazione che, invece, non tenga conto di tutto il processo e si fermi a celebrare solo l’atto finale non ha senso, in quanto la valutazione è un’azione di processo che ha bisogno di costruirsi con una forte attenzione ai livelli di partenza degli apprendimenti e delle abilità sociali. In sintonia con tali considerazioni è il contenuto della circolare 84 del 2005, in cui si sottolinea la necessità di «disporre di tempi lunghi per poter procedere a una affidabile certificazione» e di conseguenza rende obbligatoria la compilazione del documento alla fine della scuola primaria e di quella secondaria di primo grado. La circolare aggiunge poi che: «A tal fine è opportuno che i docenti rilevino e registrino in itinere, e in forma documentale, la maturazione delle competenze personali degli alunni». Da questi due diversi approcci

alla competenza, derivano modi diversi di progettare lo studio e l’impegno. Un cambiamento relativo e di facciata, se si ritiene competente l’alunno che è in grado di rispondere positivamente alle domande, ai quesiti dell’INVALSI. Un cambiamento profondo, se l’alunno trasforma conoscenze e abilità in un habitus che rimarrà per tutta la vita, arricchendosi con il trascorrere del tempo. Il problema della valutazione non è tanto assegnare un voto, quanto analizzare tale votazione, capire cosa contiene o sottende, come l’alunno vi sia arrivato, che cosa ha fatto la scuola per condurvelo, quali possibilità egli ha di progredire e quali pericoli esistano che torni indietro. K  Ugo Avalle è pedagogista-formatore e docente a contratto presso l’Università degli studi di Torino.

Consapevolezza dell’importanza dell’espressione creativa di idee, esperienze ed emozioni in un’ampia varietà di mezzi di comunicazione, compresi la musica, le arti dello spettacolo, la letteratura e le arti visive. La conoscenza culturale presuppone una consapevolezza del retaggio culturale locale, nazionale ed europeo e della sua collocazione nel mondo. Essa riguarda una conoscenza di base delle principali opere culturali, comprese quelle della cultura popolare contemporanea. È essenziale cogliere la diversità culturale e linguistica in Europa e in altre parti del mondo, la necessità di preservarla e l’importanza dei fattori estetici nella vita quotidiana. [...] Una solida comprensione della propria cultura e un senso di identità possono costituire la base di un atteggiamento aperto verso la diversità dell’espressione culturale e del rispetto della stessa. Un atteggiamento positivo è legato anche alla creatività e alla disponibilità a coltivare la capacità estetica tramite l’autoespressione artistica e la partecipazione alla vita culturale.

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Consapevolezza ed espressione culturale


SCUOLA

Il rischio della conoscenza formalizzata In certe situazioni l’insistenza sulla consapevolezza metodologica complica inutilmente processi conoscitivi fondati sull’esperienza e sull’intuizione.  Marco Aime

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n uno dei miei viaggi in Benin ho visitato un centro di formazione agricola per i giovani delle campagne locali. Fui colpito dall’estrema formalità e dalla pesante burocrazia, assolutamente estranea al contesto. Poi mi dissero che lì si insegnava alle donne a fare il sapone. C’erano delle ragazze selezionate e in tre mesi apprendevano a confezionare le saponette a base di burro di karité. Tre mesi. La prima cosa che pensai fu che il tarlo occidentale dell’apprendimento istituzionalizzato si era insinuato nelle menti delle classi dirigenti africane, erodendo il buon senso tradizionale. In ogni villaggio africano qualunque ragazza impara a fare il sapone dalla madre, dalla zia, dalla sorella maggiore. Si impara da piccole a farlo, in molto meno di tre mesi e senza pagare per accedere al corso di formazione. Poco più avanti, sull’altro lato della strada, c’era uno spazio vuoto, seminascosto dall’erba alta. Era il centro di formazione per l’allevamento. Qui, disse il responsabile, si insegnava a condurre i buoi e a utilizzare l’aratro. Diciotto mesi durava l’apprendistato. Uscendo dal centro e percorrendo la strada di ritorno si vedevano decine di ragazzetti peul di dodici-quattordici anni che conducevano verso le pozze d’acqua le loro mandrie di vacche e salutavano con la mano le auto che passano. Qualunque figlio di allevatori impara a conoscere e a condurre gli animali fin da piccolo. Lo fa come si fa nell’Africa rurale, per imita94

zione, per trasmissione orale dei saperi. Le velleità di occidentalizzare e modernizzare il cosiddetto Sud del mondo hanno suggerito di istituzionalizzare saperi condivisi da tutti. Ciò che prima (e ancora oggi, per fortuna) avveniva all’interno di un naturale ciclo di apprendimento, oggi sembra dimenticato o peggio, sminuito. La comparsa di un centro di formazione rende obsolete le vecchie pratiche, tribale il sistema di trasmissione. Come a dire: non c’è nulla di professionale nell’apprendere dalla propria madre o dal proprio padre. Non è una cosa adatta a uno Stato moderno. In questo modo si finisce per innestare un processo di formazione e di apprendimento con forme slegate dalla cultura locale, che finiscono non solo per apparire estranee ai locali, ma risultano anche assurde ai nostri occhi. Si sovrappongono un sapere funzionale e una conoscenza di carattere teorico e, partendo dal presupposto etnocentrico che il secondo sia superiore, se ne adottano i presupposti metodologici. Viene in mente l’affollamento di riviste che ricopre le nostre edicole. Ci sono periodici per tutto, ti insegnano a cucinare, partorire, crescere i figli. Tante che viene da chiedersi come abbia fatto l’umanità a sopravvivere prima delle riviste. Servono a creare bisogni, a generare insicurezze e a far credere di riuscire a eliminarle. K  Marco Aime è docente di Antropologia culturale all’Università di Genova.


COMPETENZE

Scrivere un sonetto del Cinquecento Mondo accademico e scuola si confrontano al telefono: saper scrivere un sonetto è competenza? E c’è differenza tra abilità e competenze?  Riccardo Bruscagli

Q

uando ho dei dubbi sulla didattica, io telefono alla Gloria. La Gloria è Gloria Giudizi, già colonna della SSIS Toscana: uno di quei supervisori di tirocinio (e docenti di laboratorio) che all’inizio noi accademici guardavamo con sospetto, quando arrivavano muniti delle loro tabelle, delle loro oscure terminologie (oh, i curriculi verticali), delle loro irremovibili certezze («I modi dell’apprendere sono sei…»). Poi ci siamo rilassati. Che la SSIS sia stata chiusa è stato un peccato proprio perché ha interrotto il circuito che si era riaperto tra la ricerca accademica, da una parte, e quella che io chiamerei "la cultura materiale" della scuola, dall’altra: che comprende non solo le competenze nella didattica, ma tutto ciò che la scuola, lasciata per decenni in caduta libera da una università ormai lontana e indifferente, ha elaborato per conto suo anche in termini di interpretazione dei testi, di canone, di riscrittura concreta della nostra storia letteraria. Dunque, la Gloria. Che ha tentato non so più quante volte di spiegarmi la differenza tra conoscenze, competenze e abilità. Che io non riesco mai a mettere a fuoco per bene. E dunque, ritelefoniamo alla Gloria. R: «Gloria non ti arrabbiare». G: «No, perché dovrei?». R: «Perché mi chiedono un intervento sulle competenze…». G: «e tu non ti ricordi più quello che ti ho detto centinaia di volte». 95

R: «Piano, gentile supervisora». G: «La prossima volta che mi richiami supervisora ti ammazzo. Anzi, butto giù il telefono e non ti spiego più nulla». R: «Ascolti, professoressa Giudizi (va bene?). Non creda che io non mi ricordi la differenza tra conoscenze e competenze. Quella me la ricordo benissimo». G: «Sentiamo». R: «Dicesi conoscenza quando uno sa una cosa; competenza quando uno la sa fare». G: «Mica chiaro, professor Bruscagli. Come sarebbe, la sa fare? Cosa vorresti dire: che se io conosco un sonetto petrarchista è conoscenza, e la competenza corrispondente sarebbe che io so scrivere un sonetto petrarchista?». R: « Più o meno». G: «Nessuno scrive più sonetti petrarchisti». R: «Ma si potrebbe. Una volta Luigi Baldacci mi ha detto che per studiare il petrarchismo del Cinquecento secondo lui era opportunissimo insegnare agli studenti a scrivere sonetti in stile petrarchista». G: «Scherzava». R: «Beh, può darsi. Però fino all’Ottocento la letteratura si insegnava così: non come una serie di autori e di testi da sapere, ma come esempi di stile da imitare. E ora che ci penso: imitare è una forma di competenza? O meglio, di passaggio dalla conoscenza alla competenza? Michelangelo va a studio da Bertoldo: apprende (conosce) come si lavora il marmo, e comincia a lavorarlo lui…». G: «Stiamo sul letterario, per pia-


SCUOLA cere, che mi ci sento meglio». R: «Sì però, ma pensaci: in fondo nelle classi di retorica e di eloquenza si insegnava a scrivere; ci si aspettava che uno non solo conoscesse i buoni autori, ma imparasse a scrivere come loro…». G: «Professore, la volta che sento il bisogno di una ripassatina di storia della letteratura e dell’insegnamento della letteratura la chiamo io». R: «Scusami. Dunque dicesi competenza…». G: «Dicesi competenza la capacità di fare delle cose, non solo di conoscerle in astratto». R: «Già, già. E io quando faccio un corso sull’Ariosto, secondo te, come li faccio passare, i miei fanciulli, da una conoscenza a una competenza? Loro sono lì perché io gli faccia delle belle lezioni sul Furioso, che non sanno manco cosa voglia dire il titolo di preciso». G: «Mio caro, ascoltami. Lo so che ti stanno a sentire rapiti. Lo so che escono da lezione conquistati, eccetera. Mi figuro che non manchino, in prima fila, i soliti fans adoranti». R: «Beh, in effetti. Però lo so quello che vuoi dire. Te l’ho detto io già una volta: l’ipnosi da frequenza». G: «Dica, Professore, dica – o ripeta». R: «Cioè, succede questo. Che più d’una volta lo studente/studentessa che ti ha seguito rapito/a e adorante, che prendeva furiosi appunti segnandosi anche quando ti soffiavi il naso, a cui avresti dato 30 e lode sulla fiducia, poi all’esame faceva una magra figura. Cioè, niente di tragico: 24, 25…». G: «E secondo te, perché ciò avviene?». R: «Per la suddetta ipnosi da frequenza: questi pendono dalle mie labbra, ma io non sono mica sicuro che capiscano davvero. Anzi, La ricerca | N. 1 Nuova Serie. Ottobre 2012 |

evidentemente no – non tutti». G: «Allora stammi a sentire. Tu fai parte di quella tipologia di professori universitari entusiasti, entusiasmanti, che mettono cuore e cervello in quello che fanno, e i ragazzi lo sentono e te ne sono grati». R: «Grazie». G: «Il fatto è che la vostra tipologia è la più nefasta – zitto un momento. Perché voi non entrate in vera relazione con chi vi sta davanti, ma con il riflesso del vostro superego. Scommetto che tu leggi stupendamente le ottave dell’Ariosto – zittino, per piacere. Ma se tu provassi a far leggere quelle ottave in classe ai tuoi allievi, con i loro accenti sbagliati, l’interpunzione trascurata, i segni interrogativi ignorati o non capiti, il ritmo sconnesso, di’ la verità, questo ti disturberebbe, perché sarebbe una ferita alla sublimità della tua recita». R: «Questa è una cattiveria. Però è vero, il momento della verifica è tutto all’esame, e lì casca l’asino». G: «Perché voi, professori-sciamani-incantatori, non vi preoccupate di controllare che la conoscenza che impartite si converta in competenza di chi vi ascolta. E lo studente che va bene ai vostri esami è quello che imita e sa ripetere la vostra recita, non quello che ha acquisito competenze in proprio». R: «La trovo piuttosto cattiva, signora professoressa supervisora». G: «Competenza, o Chiarissimo, sarebbe innanzi tutto far acquistare ai tuoi fanciulli una capacità indipendente di lettura…». R: «Per esempio?». G: «Per esempio, insegnargli a leggere l’endecasillabo e l’ottava. Metterli in grado di capire quando una parola antica non ha il significato che ha oggi. Fornire gli strumenti perché capiscano il gioco tra canto e sequenza…». 96

R: «Questo l’hai imparato da me». G: «Sissignore: dieci anni di SSIS insieme non saranno passati per nulla, signor mio». R: « Tutto ciò è più facile in classe, a scuola, che all’università». G: «È da vedersi. Dipende dall’università. In altri Paesi, Lei m’insegna, l’enfasi è sui tools, come li chiamerebbe Lei, Professore…». R: «Sulle abilità». G: «Alt. Ti ho detto miliardi di volte che c’è differenza tra competenze e abilità». R: «Sì, e io non l’ho capita mai. Cioè, la capisco per cinque minuti e poi me la dimentico. Le sottigliezze del vostro didattichese talvolta sfuggono ai nostri umili cervelli accademici». G: «Ignoro e passo oltre. Abilità, mio caro, e un saper fare individuale, immediato, consumato nell’atto in cui una cosa si fa; competenza è una sorta di meta-abilità, che sa render conto di quello che si sa fare». R: «Esempi». G: «Io ti leggo un testo e ti chiedo di che tipologia di testo si tratta. Tu mi dici: argomentativo. E io: bravo. Questa è un’abilità. La competenza invece sarebbe che tu non ti limiti a saper riconoscere un testo argomentativo, ma lo sai anche definire, e quindi sai socializzare la tua abilità, e sei in grado di produrlo». R: «Te lo dicevo! I sonetti del Cinquecento! Abilità: ti so dire, sentito un testo, che è un sonetto del Cinquecento. Competenza: so scrivere un sonetto del Cinquecento. Eh?». [Pausa] G: «Sei un caso disperato».  Riccardo Bruscagli è preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Firenze.


secondaria I grado [inedito assoluto]

secondaria I grado

NARRATIVE

Louis Sachar

Loredana Frescura, Marco Tomatis

Ti volio tanto bene

Buchi nel deserto Stanley Yelnats, un ragazzo grassoccio e buono, finisce ingiustamente nel riformatorio di Campo Lago Verde per un caso curioso e sfortunato: dal cielo gli cadono addosso le scarpe di un famoso giocatore di baseball, ma viene accusato di averle rubate. La vita di Campo Lago Verde è durissima: ogni giorno, nel caldo insopportabile del deserto, tormentati dalla sete, i ragazzi sono costretti a scavare un buco di grandi dimensioni. Ma il deserto nasconde segreti, che via via si svelano, tra colpi di scena, scoperte sorprendenti e momenti di gioiosa solidarietà fra i ragazzi.

Maria Vittoria, detta Marvi, è una ragazzina come tante. È speciale, forse, perché dislessica, ma forse, di più, perché guarda e vive la vita di ogni giorno cercando di diventare consapevole di ciò che fa, di ciò che vorrebbe fare e di ciò che è. E si innamora. Michele è il principe “quasi” azzurro, perché per diventare di un azzurro lucente, deve guadagnare molti punti. Marvi detesta i cellulari e anche un po’ i computer, perché prevedono la scrittura veloce e lei non è così brava. Per molto tempo si è sentita confusa e impaurita, soprattutto dalla lettura, fino a quando, con l’aiuto di Gustavo, è riuscita a dare un nome al suo disagio: dislessia. Michele gioca a calcio e nei sogni più arditi sogna di far innamorare Clotilde. Magari di segnare un goal per lei; finché si accorge di Maria Vittoria e del suo mondo e decide di volerlo conoscere. Sarà Michele il principe azzurro di Marvi? Riuscirà a guadagnare 900 punti?

 Louis Sachar è uno scrittore statunitense, autore di libri per ragazzi. Con il suo Buchi nel deserto, dove si affrontano i grandi temi del desiderio di crescere, dei rapporti fra bambini e fra bambini e adulti, dell’indifferenza e della solidarietà, ha vinto diversi ed importanti premi.

 Loredana Frescura e Marco Tomatis hanno scritto numerosi libri a due e a quattro mani e nel 2006, con il romanzo Il mondo nei tuoi occhi. Due storie di un amore, hanno vinto il Premio Andersen, il principale riconoscimento italiano attribuito ai migliori libri per ragazzi. I loro romanzi sono stati tradotti in diverse lingue.

Novità della collana Macramè Risorse on-line e materiali integrativi legati ai titoli della collana sono disponibili sul sito: www.loescher.it/ilfilodelracconto 97


secondaria I grado

secondaria II grado

NARRATIVE

Luisa Mattia

Igiaba Scego

Ti chiami Lupo Gentile

La mia casa è dove sono

Fa da sfondo il litorale romano. Bande di ragazzi della piccola malavita urbana fanno scippi su ordinazione, danneggiano i piccoli commercianti. È in questo ambiente che è cresciuto Claudio, sedici anni, che ha una grande passione per il mare e sogna di viaggiare. Anche lui ruba, incendia e taglieggia istigato dal padre. La gerarchia e la logica del “branco”, la forza fisica come criterio selettivo per imporre la propria supremazia, la moralità messa alla prova dal contesto degradato della periferia e della famiglia sono una gabbia che sta diventando stretta. Ma l’amore per Simo, il valore dell’amicizia, un certo senso della giustizia saranno la molla per cercare un’occasione di riscatto e normalità.

Tre cugini sono riuniti attorno a un tavolo per cercare di ricordare la trama urbana della loro città, Mogadiscio. Dal tentativo di disegnare la topografia dei ricordi di famiglia prende avvio il romanzo. Ma i ricordi della protagonista, Igiaba Scego, sono italiani e legati a Roma, la città in cui è nata e cresciuta. La mappa della sua città di origine non può non includere anche la sua città di appartenenza. Nella sua famiglia la storia dell’Africa orientale si intreccia con quella dell’Italia. È una storia recente, raccontata in prima persona dall’autrice, che ricorda la sua vita da immigrata di seconda generazione; ma è anche una storia più lontana, che risale di due generazioni fino all’esperienza coloniale italiana durante il fascismo; ed è infine la storia del padre, diplomatico e uomo di città, e della madre di famiglia nomade, entrambi spettatori della dittatura e della guerra civile che hanno sconvolto la Somalia.

 Luisa Mattia, romana, è autrice di numerosi romanzi e coordina un progetto di scrittura per la scuola. Per i felici esiti del complesso della sua opera narrativa ha ricevuto vari riconoscimenti: il Premio Pippi 2006 vinto con il romanzo La Scelta (Sinnos Editrice) e il Premio Andersen 2008 come migliore scrittrice. Con altri cinque collaboratori è autrice dal 2004 di Melevisione, una trasmissione attualmente in onda sul canale tematico Rai Yoyo.

La ricerca | N. 1 Nuova Serie. Ottobre 2012 |

 Igiaba Scego è nata a Roma nel 1974 da genitori somali. Il padre, ministro degli Esteri, ha scelto l’esilio in Italia dopo il colpo di stato militare di Siad Barre del 1969. Vive e lavora a Roma; collabora con “la Repubblica”, “il manifesto”, “l’Unità” e scrive per numerose riviste che si occupano di culture e letterature africane. Le sue opere narrative si caratterizzano per il delicato equilibrio tre le sue due realtà culturali di appartenenza. 98


NARRATIVE

Khaled Hosseini Il cacciatore di aquiloni

Gherardo Colombo Sulle regole

Fred Uhlman L’amico ritrovato

Harper Lee Il buio oltre la siepe

È la storia di un’amicizia dolorosamente spezzata, di un ragazzino che per conquistare l’affetto del padre è disposto a commettere una colpa terribile e di un Paese, l’Afghanistan, che decenni di guerre hanno trasformato in una landa desolata. Struggente e bellissimo, il romanzo, nella sua edizione per la scuola, si presta a un lavoro interdisciplinare tra letteratura e storia contemporanea.

Quali sono le basi storiche del diritto nelle odierne democrazie? Perché il rapporto tra cittadini e legge è spesso molto contrastato? Quali ulteriori progressi si potrebbero compiere sulla strada di un’autentica uguaglianza e legalità nel nostro Paese? Sono questi gli interrogativi di fondo alla base del discorso di Gherardo Colombo sull’idea di cittadinanza.

Stoccarda, 1932: due ragazzi di sedici anni, il borghese ebreo Hans e l’aristocratico Konradin, compagni di liceo, diventano amici inseparabili. Sono felici, condividono sogni, progetti, entusiasmi. Ma nel giro di un anno tutto cambia. La storia di un’amicizia perduta e ritrovata, anche se tardivamente.

La vicenda è ambientata a Maycomb, una cittadina del Sud degli Stati Uniti, negli anni ‘30 del Novecento. La piccola Scout, una bambina di sette anni, racconta in prima persona alcuni momenti della sua infanzia, trascorsi con il fratello Jem e l’amico Dill nella spensieratezza dei giochi; il contatto con il mondo adulto, con il pregiudizio, la violenza e la menzogna che li caratterizza, segnerà la fine della loro infanzia.

Kurt Vonnegut Mattatoio n. 5

Romanzo a sfondo autobiografico, costruito su ricordi reali ma con sviluppi fantastici. L’autore si sdoppia in un personaggio immaginario, Billy Pilgrim, a cui assegna il ruolo di protagonista. A lui, attraverso una serie di viaggi nel tempo, fa vivere alcune sue esperienze reali fatte in tempo di guerra, culminate nella prigionia all’interno dell’edificio n. 5 del mattatoio di Dresda, ma anche alcune vicende irreali ambientate in un mondo fantastico chiamato Tralfamadore. Qui il personaggio discute con gli alieni su un insieme di questioni che riguardano l’uomo e il suo destino sul pianeta Terra, cercando, in particolare, una risposta alla domanda che l’autore ritiene più importante: “come può un pianeta vivere in pace?”. In questo intreccio di realtà e fantasia, Vonnegut sviluppa la sua riflessione antimilitarista.

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Luigi Castiglioni, Scevola Mariotti

Franco Montanari

VOCABOLARIO DELLA LINGUA LATINA

VOCABOLARIO DELLA LINGUA GRECA

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