La ricerca 7 - Dove sono le emozioni?

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La ricerca

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RI08 - © SuperStock/Corbis - Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale-D.L. 353/2003 (conv. In L 27/20/2004 n. 46) art. 1, comma 1, NO/Torino – n. 7 anno 2014

Novembre 2014 Anno 2 Nuova Serie – 6 Euro  www.laricerca.loescher.it

N°7

Dove sono le emozioni? SAPERI

Partecipazione dei genitori e corresponsabilità educativa

SCUOLA

L’apprendimento emotivo sociale

DOSSIER

25 anni dopo la caduta del muro di Berlino


I Quaderni

I Quaderni della Ricerca sono agili monografie pensate come contributo autorevole al dibattito culturale e pedagogico italiano. I Quaderni della Ricerca / 05

I Quaderni della Ricerca / 01

I Quaderni della Ricerca

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Il curricolo verticale di lingua straniera a cura di Gisella Langé

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I Quaderni della Ricerca

Imparare dalla lettura a cura di Simone Giusti e Federico Batini

GIUSTI, BATINI / Imparare dalla lettura

Langé / Il curricolo verticale di lingua straniera Ministero dell'Istruzione, dell'Università e delle Ricerca

Ufficio Scolastico per la Lombardia

3323_Langhé.indd 3

I Quaderni della Ricerca

Fare scuola nella classe digitale

Per una letteratura delle competenze

Tecnologie e didattica attiva fra teoria e pratiche d’uso innovative

A cura di Natascia Tonelli

Valeria Zagami

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I Quaderni della Ricerca

Identità sessuale: un’assenza ingiustificata Ricerca, strumenti e informazioni per la prevenzione del bullismo omofobico a scuola

I Quaderni della Ricerca / 09

07

I Quaderni della Ricerca

I Quaderni della Ricerca / 08

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31/01/13 12:07

Federico Batini

Imparare per competenze Principi, strategie, esperienze Giovanna Benetti, Mariarita Casellato

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DONFRANCESCO / L’italiano tra scuola e televisione

BATINI / Identità sessuale: un’assenza ingiustificata

I Quaderni della Ricerca

I Quaderni della Ricerca / 12 Natura e possibilità della ragione umana Romanae Disputationes 2013-14

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I Quaderni della Ricerca

Natura e possibilità della ragione umana

Un quadro di riferimento per la progettazione di materiali glottodidattici accessibili

a cura di Gian Paolo Terravecchia e Marco Ferrari

Michele Daloiso Gruppo di ricerca DEAL, Università Ca’ Foscari Venezia

Didattica per l’Eccellenza

Fare CLIL Strumenti per l’insegnamento integrato di lingua e disciplina nella scuola secondaria

I Quaderni della Ricerca

L’italiano L1 come lingua dello studio a cura di Paolo E. Balboni e Marco Mezzadri

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I Quaderni della Ricerca

Prospettive per l’insegnamento del latino La didattica della lingua latina fra teoria e buone pratiche a cura di Andrea Balbo e Marco Ricucci

BaLBo, Ricucci / Prospettive per l’insegnamento del latino

BalBoni, Coonan / Fare Clil

BalBoni, Mezzadri / l’italiano l1 come lingua dello studio

a cura di Paolo E. Balboni e Carmel M. Coonan Università Ca’ Foscari Venezia

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I Quaderni della Ricerca / 16

I Quaderni della Ricerca

I Quaderni della Ricerca / 15

I Quaderni della Ricerca / 14

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I Quaderni della Ricerca

1954-2014 L’italiano tra scuola e televisione Isabella Donfrancesco e Giuseppe Patota

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I Quaderni della ricerca

La valutazione esterna a scuola: da “vincolo” a risorsa didattica Un guida per attività di laboratorio in Italiano e Matematica e sulle competenze trasversali a partire dai test INVALSI Amelia Stancanelli, Antonella Fatai, Maria Urzì

I Quaderni della Ricerca

Lingue straniere e disturbi specifici dell’apprendimento

Romanae Disputationes 2013-14

09

I Quaderni della Ricerca sono online

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NOVITÀ


editoriale

Tu chiamale emozioni

I

spirato dall’iscrizione del tempio di Apollo a Delfi, Socrate sintetizzò la sua filosofia nella frase “conosci te stesso”, una massima su pochi obbietterebbero. Le difficoltà nascono però quando si cerca d’applicarla: la conoscenza di sé si può insegnare? A partire da quale età? Soprattutto, possiamo considerare la scuola un luogo adatto per imparare a conoscersi? A queste domande da alcuni anni cercano di rispondere le ricerche su SEL, un acronimo per Social Emotional Learning (apprendimento socio-emozionale). È una proposta ancora poco diffusa in Europa ma molto in voga oltreoceano, come ben spiega l’articolo di Diane Hoffman. Pur critica verso il fenomeno, l’antropologa spiega come negli Stati Uniti già a partire dal primo anno di studi una parte del curriculum sia riservata all’acquisizione di competenze emotive: con l’uso di strumenti didattici finalizzati alla riflessione sulla propria esperienza, i bambini imparano a identificare, esprimere e riconoscere negli altri i fondamentali sentimenti: gioia, rabbia e dolore. In Italia l’educazione socio-emotiva non è ancora integrata nei curricula, ma ciò non impedisce che la nostra realtà scolastica sia attraversata da una pluralità di iniziative ad essa finalizzate. Ne diamo testimonianza con l’intervista a uno psicologo che affianca il lavoro degli insegnanti gestendo un proprio “sportello d’ascolto” in due licei di Pavia e un’operatrice dello Spazio Giovani dell’Azienda Sanitaria di Bologna, Paola Marmocchi, promotrice di interventi nelle scuole per la promozione alla salute, all’affettività e alla sessualità consapevole. Per quanto riguarda SEL, il primo esperimento italiano ha come capofila Perugia. Lo documenta l’articolo di Annalisa Morganti,che descrive il progetto European Assessment Protocol for Children’s SEL Skills (EAP_SEL), attualmente in corso in cinque Paesi europei, finalizzato alla creazione di un modello comune di educazione socio-emotiva e alla costituzione di un Comitato Europeo che periodicamente monitorizzi lo stato dell’arte di SEL nelle scuole di tutto il continente, alimentandone così la diffusione e gli scambi. L’articolo di un gruppo di antropologhe della Bicocca deLa conoscenza di sé si può scrive poi i risultati di una ricerca-intervento in una scuola primaria insegnare? A partire da quale età? del novarese, documentando come creare in classe spazi di riflessione Soprattutto, possiamo considerare la sulle emozioni abbia migliorato le prestazioni nelle prove di comprenscuola un luogo adatto per imparare sione della regolazione emotiva, e soprattutto abbia positivamente influenzato il clima emotivo dell’intera classe. Vi sono però aspetti a conoscersi? critici che meritano attenzione, come mostra l’articolo di Hoffman. Se la formazione dei docenti di SEL fosse affidata agli psicologi,come avviene nei Paesi anglosassoni e come si propone in Italia, non correremmo il rischio di promuovere una visione strumentale delle emozioni, con conseguenze negative sulla spontaneità delle relazioni? Il tema delle emozioni torna nella sezione Scuola. Inizia con una riflessione sui “recuperi” scolastici e sul concetto di valutazione. Segue un commento sul ritiro degli opuscoli dell’UNAR Educare alla diversità, a dimostrazione di quanto resti da fare nel campo dell’inclusione. Si continua con la proposta di un metodo di rilevazione precoce e non invasivo dei DSA e con un riepilogo delle attività di formazione e orientamento, tra cui resiste la pratica anacronistica del consiglio orientativo. Chiude il numero un racconto di scuola: come togliere le spine dai libri? Il dossier è dedicato all’anniversario della caduta del muro di Berlino, un evento cruciale che il professor Giorgio Motta ricostruisce storicamente narrandoci la vita nella città divisa, tra spie, checkpoint e fughe, sino alla notte di Wahnsinn (follia) che cambiò il mondo. Tiziana Galimberti, infine, descrive la non facile integrazione tra berlinesi dell’Est e dell’Ovest, raccontandoci quanto oggi sia diffusa la Ostalgie, la nostalgia, più sentimentale che politica, di un passato che pure si è fermamente combattuto.

Francesca Nicola, redazione La ricerca


La ricerca Periodico quadrimestrale Anno 2, Numero 7 Nuova Serie, Novembre 2014 autorizzazione n. 23 del Tribunale di Torino, 05/04/2012 iscrizione al ROC n. 1480 Editore Loescher Editore Direttore responsabile Martina Pasotti Direttore editoriale Ubaldo Nicola Redazione di questo numero Manuela Iannotta, Sandro Invidia, Emanuela Mazzucchetti, Alessandra Nesti, Francesca Nicola, Elena Rivetti, Chiara Romerio Grafica e impaginazione Leftloft - Milano/New York Pubblicità interna e di copertina Visual Grafika - Torino Stampa Rotolito Lombarda Via Sondrio, 3 - 20096 Seggiano di Pioltello (MI)

La ricerca / N. 7 Nuova Serie. Novembre 2014

Distribuzione Per informazioni scrivere a: laricerca@loescher.it Autori di questo numero Marco Bartolucci, Federico Batini, Elisa Cherubin, Alessio Damora, Tiziana Gislimberti, Simone Giusti, Ilaria Grazzani, Diane M. Hoffman, Antonella Kubler, Giusi Marchetta, Paola Marmocchi, Annalisa Morganti, Giorgio Motta, Francesca Nicola, Veronica Ornaghi, Francesca Piralli, Sfefano Rossi, Alessandra Stocchi © Loescher Editore via Vittorio Amedeo II, 18 – 10121 Torino www.laricerca.loescher.it ISSN: 2282-2836 (cartaceo) ISSN: 2282-2852 (on-line)


Sommario La scuola e le emozioni

saperi 6 14

20 22

Dove sono le emozioni? Annalisa Morganti

Elisa Cherubin, Ilaria Grazzani, Veronica Ornaghi, Francesca Piralli Stefano Rossi

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Il posto giusto per chi?

Spazio Giovani: salute, sessualità e prevenzione

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Ho perso una lezione di ballo

72

Gli eredi di Androclo

Il lavoro dello psicologo scolastico

Apprendimento socio-emotivo negli USA Le politiche di partenariato fra scuola e famiglia

Berlino prima e dopo

dossier Il muro e il suo ricordo: Berlino prima e dopo Giorgio Motta

49 50 51 52

Quale futuro per la Germania sconfitta? La nascita di due Stati tedeschi Un’economia pianificata o…improvvisata? La rivolta del 17 giugno 1953 La divisione della città Le fughe continuano La normalizzazione tra Repubblica Federale e DDR Kohl e Honecker a Bonn Varchi nella cortina di ferro Wir sind das Volk! La notte che cambiò il mondo

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Non cancellatemi il passato

42 43 44 45 46 47 48

Marco Bartolucci, Alessio Damora e Alessandra Stocchi

I libretti UNAR e la #buonascuola

Francesca Nicola

38

L’emotività in gioco nella rilevazione dei DSA

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Diane M. Hoffman

33

58

Sviluppare le abilità socio-emotive

Paola Marmocchi

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scuola

Giorgio Motta

Tiziana Gislimberti

Federico Batini Simone Giusti

Antonella Kubler Giusi Marchetta


saperi

Dove sono le emozioni?

La ricerca / N. 7 Nuova Serie. Novembre 2014

Saperi / Dove sono le emozioni?

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I programmi educativi finalizzati al riconoscimento e al controllo delle emozioni stanno diventando sempre più importanti. Coinvolgono studenti, docenti e genitori. di Annalisa Morganti

L

e emozioni e la socialità rappresentano per ogni essere umano, bambino, adulto o anziano che sia, due aspetti indispensabili e funzionali al proprio benessere sia personale sia sociale. In altre parole,sono pilastri decisivi che influiscono profondamente sullo sviluppo evolutivo,determinandone,a volte anche in modo decisivo, il suo percorso. Parlare di emozioni nella scuola non significa trattare il tema dei “buoni sentimenti”, ma studiare la loro funzione nella vita scolastica quotidiana, i cui protagonisti sono gli insegnanti, gli allievi, i genitori e il loro reciproco scambio quotidiano. L’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel celebre documento Life skills education for children and adolescence in school (1993), inserisce la capacità di riconoscere le proprie emozioni e quelle degli altri tra le life skills indispensabili a bambini e ragazzi per affrontare positivamente la vita quotidiana. Tale consapevolezza è riferita sia al riconoscimento delle emozioni, sia alla loro influenza sul comportamento in modo da “riuscire a gestirle in modo appropriato”. Tutte le emozioni che appartengono all’uomo, nelle loro connotazioni positive o negative, hanno legittimità di esistere ed essere espresse (siamo capaci di non sentirci arrabbiati di fronte a un’ingiustizia che ci è stata fatta?); molto spesso, invece, illegittimi sono i comportamenti che a queste emozioni si accompagnano (è giusto picchiare un compagno,anche se questo ci ha fatto arrabbiare?).


Ragazzo che studia, fotografia di Lewis Hine, 1924 (Libreria del Congresso, Washington).

7 Saperi / Dove sono le emozioni?


La ricerca / N. 7 Nuova Serie. Novembre 2014

Saperi / Dove sono le emozioni?

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Figura 1. Le cinque competenze-chiave SEL (da CASEL, 2012).

Cos’è l’educazione socio-emotiva? —

L’educazione socio-emotiva,meglio conosciuta nel contesto internazionale come Social and Emotional Learning (SEL), è quel processo attraverso il quale bambini, ma anche adulti, acquisiscono conoscenze, attitudini e comportamenti necessari a mettersi in relazione con gli altri e a affrontare i problemi, le pressioni e gli stress ai quali quotidianamente la vita ci sottopone. La mancanza di tali skills può causare, in particolare durante alcuni periodi dello sviluppo, l’instaurarsi di comportamenti problematici, nonché forme di stress e disagio sociale. Il Collaborative for Academic, Social, and Emotional Learning (CASEL), appartenente allo Yale University Child Study Center, è un’organizzazione non profit fondata nel 1994 da Daniel Goleman (autore del celebre best seller Intelligenza emotiva) e dall’educatrice/ L’educazione sociofilantropa Eileen Rockefelemotiva deve diventare ler Growald, con lo scopo di una parte essenziale e non diffondere e promuovere la ricerca nel campo dell’eduaccessoria del curriculum cazione socio-emotiva, ritescolastico già a partire nendo che essa debba divendalla scuola d’infanzia. tare parte essenziale e non accessoria del curriculum scolastico, già a partire dalla scuola dell’infanzia, lavorando sull’acquisizione precoce di alcune competenze chiave. Il CASEL a seguito di suoi numerosi studi (2003; 2012; 2013) ha identificato cinque competenze chiave che rappresentano il “cuore” dell’educazione socio-emotiva e sono: autoconsapevolezza,

autogestione, consapevolezza sociale, capacità relazionali e capacità di prendere decisioni responsabili (figura 1). Si tratta di competenze intimamente collegate alla sfera cognitiva, emotiva e dei comportamenti e tutte riferibili a dimensioni sia intrapersonali, sia interpersonali. Vediamo in dettaglio ciascuna di esse: • Autoconsapevolezza (self-awareness) è la capacità di identificare e riconoscere le proprie e altrui emozioni, di avere un positivo senso di autoefficacia, avere fiducia di sé, saper riconoscere i punti di forza e di debolezza in se stessi e negli altri; • Autogestione (self-management) investe la capacità di regolare le proprie emozioni, i pensieri e comportamenti in modo efficace in diverse situazioni, ciò significa controllare gli impulsi, gestire lo stress, sapersi automotivare e saper persistere nel raggiungimento di obiettivi personali e scolastici; • Consapevolezza sociale (social-awareness) consiste nel riconoscimento e il rispetto per gli altri. È considerata come capacità di assumere la prospettiva degli altri (empatia), anche se di diversa estrazione sociale e culturale, comprendere le norme sociali ed etiche di comportamento,e riconoscere la famiglia, la scuola, e la comunità come risorse; • Capacità relazionali (relationship skills) concernono la capacità di cooperazione, di chiedere e ricevere aiuto e la capacità di comunicare, di stabilire e mantenere


La più recente meta-analisi condotta nell’ambito delle competenze socio-emotive di bambini e ragazzi tra i 5 e i 18 anni (Durlak et al., 2011), intesa come studio di sintesi con lo scopo trovare una risposta alla domanda: «Quali conclusioni possiamo trarI risultati ottenuti dal re dai risultati della ricerca gruppo sperimentale in questo campo?» dimostra sono stati confrontati che in contesti che promuocon quelli del gruppo di vono l’educazione socio-emotiva in modo mirato e controllo, nel quale non con attenzione, si sono riera stato effettuato alcun scontrati miglioramenti intervento educativo. misurabili nelle cinque aree di competenza ad essa legate; gli allievi che hanno seguito questi programmi hanno mostrato di avere un’attitudine più positiva nei confronti della scuola, riportano un benessere maggiore e si sentono meglio con i loro compagni e i loro docenti rispetto ai gruppi di allievi che non hanno partecipato a simili programmi. La meta-analisi ha anche evidenziato che questi allievi mostrano più comportamenti prosociali, cioè

← Lezione di geografia, fotografia di Francis Stewart, 1943, National Archives, College Park, Maryland.

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relazioni sane e gratificanti con diversi individui e gruppi. Ciò comporta la capacità di comunicare con chiarezza, di ascoltare attivamente, di collaborazione, di negoziazione costruttiva e di offerta e ricerca di aiuto quando necessario; Capacità decisionali (responsible decision making) interessano la capacità di riflettere e valutare le responsabilità personali e i risvolti etico-morali delle situazioni, di fare scelte costruttive e rispettose degli altri, valutando realisticamente le conseguenze delle varie azioni sul benessere personale e interpersonale. Quest’ultima rappresenta sicuramente una competenza molto complessa che ingloba sia dimensioni intrapersonali (come autoconsapevolezza e autogestione), sia interpersonali (come la consapevolezza sociale e la capacità di instaurare relazioni interpersonali). Per prendere decisioni responsabili, difatti, entrambe le dimensioni, nella loro sinergia, risultano essenziali.


comportamenti diretti e orientati verso gli altri, sono meno inclini a sentirsi ansiosi o depressi e hanno meno difficoltà comportamentali in classe. Un dato sicuramente da non sottovalutare è che allievi che seguono programmi di educazione socio-emotiva hanno risultati migliori a livello scolastico dell’11% rispetto ai loro compagni che non seguono questo tipo di interventi. Ritengo che ciascuno di questi elementi non possa essere sottovalutato dalla scuola, se questa intende realmente promuovere il benessere personale e sociale dei suoi studenti, in qualsiasi fascia d’età.

Saperi / Dove sono le emozioni?

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Il progetto European Assessment Protocol for Children’s SEL Skills —

Nella realtà scolastica italiana molto spesso rientrano tra le attività curricolari anche quelle legate alla sfera della socio-affettività, ma nel caso dell’educazione socio-emotiva (SEL), così come l’abbiamo illustrata in precedenza (in riferimento alle sue cinque competenze chiave), l’Italia vede la sua applicazione concreta nel contesto scolastico grazie al progetto europeo European Assessment Protocol for Children’s SEL Skills (EAP_SEL),attualmente in corso. Il progetto rientra all’interno del programma europeo di finanziamento nel campo dell’istruzione e della formazione, chiamato Lifelong Learning Programme (LLP), un programma di apprendimento permanente che consente alle persone, in tutte le fasi della loro vita, di perseguire opportunità di apprendimento in dimensione europea. Il perno centrale del progetto è costituito dall’introduzione nei programmi curricolari nazionali dei cinque differenti Paesi che compongono il partenariato dell’educazione socio-emotiva (SEL) e dalla creazione di un protocollo in grado di valutare la maturità emotiva e sociale dei bambini nel ciclo primario dell’istruzione.

La ricerca / N. 7 Nuova Serie. Novembre 2014

Per un Comitato Europeo che monitorizzi l’educazione SEL —

Numerose ricerche (Greenberg et al., 2003; Durlak et al.,2011; CASEL,2012; Humphrey,2013) mostrano che le competenze socio-emotive possono essere insegnate e che la loro acquisizione negli allievi fornisce una solida base per una migliore regolazione di sé e del proprio rendimento scolastico. La finalità principale del progetto EAP_SEL è non solo quella di diffondere l’educazione socioemotiva nella scuola, ma di creare e validare un protocollo di valutazione europeo, capace di offrire precise linee guida per la valutazione delle competenze socio-emotive nei bambini della scuola primaria. La valutazione di tali competenze e la presenza di specifici strumenti sono ad oggi l’anello debole nella ricerca internazionale riferita a questo campo d’indagine. Tra gli obiettivi del

Approfondire —

J • T. Booth, M. Ainscow, L’index per l’inclusione, Erickson, Trento, 2008. • Collaborative for Academic, Social, and Emotional Learning, Safe and sound: An educational leader’s guide to evidence-based social and emotional learning programs, Chicago, 2003. • Collaborative for Academic, Social, and Emotional Learning, Implementing systemic district and school social and emotional learning, Chicago, 2013. • L. Cottini, A. Morganti, Evidence based education and special education: a possible dialogue, in «Italian Journal of Special Education for Inclusion», 2013, 1,1, pp. 65-82. • J. A. Durlak, R. P. Weissberg, A. B. Dymnicki, R. D. Taylor, K. B. Schellinger, The impact of enhancing students’ social and emotional learning: A meta-analysis of school-based universal interventions, in «Child Development», 2011, 82, pp. 405-432. • D. Goleman, Intelligenza emotiva. Cos’è, perché può renderci felici, Rizzoli, Milano, 1996. • M. T. Greenberg, R. P. Weissberg, M. U. O’Brien, J. E. Zins, L. Fredericks, H. Resnik, M. J. Elias, Enhancing school-based prevention and youth development through coordinated social, emotional, and academic learning, in «American Psychologist», 2003, 58(6&7), pp. 466-474. • N. Humphrey, Social and Emotional Learning. A Critical Appraisal, SAGE Publications Ltd, Londra, 2013. • A. Morganti, Intelligenza Emotiva e integrazione scolastica, Carocci, Roma, 2012.

• Collaborative for Academic, Social, and Emotional Learning, Effective Social and Emotional Learning Programs, CASEL, 2012: http://static.squarespace.com. • World Healt Organization, Life skills education for children and adolescence in school, 1993: http://whqlibdoc.who.int/ hq/1993/MNH_PSF_93.7A.pdf.


progetto vi sono quelli di migliorare, promuovere, valorizzare e diffondere una dimensione europea innovativa nella formazione degli insegnanti nel campo dell’educazione socio-emotiva, e di creare un approccio integrato alle pratiche d’insegnamento-apprendimento che sostenga le competenze chiave “trasversali”, al fine di rinforzare la coesione sociale, la cittadinanza attiva, il dialogo interculturale, l’uguaglianza di genere e la realizzazione personale. Gli elementi più innovativi del progetto EAP_SEL si configurano nella creazione di un modello europeo di educazione socio-emotiva e nella costituzione di un Comitato Europeo che periodicamente monitorizzi lo stato dell’arte SEL in Europa alimentandone la diffusione e gli scambi.

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— Il progetto EAP_SEL coinvolge studenti, docenti e genitori della scuola primaria di cinque differenti Paesi e ha preso avvio nell’anno scolastico 20132014. Il disegno sperimentale che sta alla base della ricerca è chiamato Randomized Controlled Trials (RCT), ovvero studio randomizzato. Questo tipo di metodologia di ricerca evidence-based utilizza due gruppi che svolgono ruoli diversi ma entrambi funzionali alla verifica dell’efficacia degli interventi educativi proposti. Tali studi impiegano un gruppo sperimentale (che effettua l’intervento educativo), un gruppo di controllo (che non effettua alcun intervento

Il progetto European Assessment Protocol for Children’s SEL Skills • Università degli Studi di Perugia, Dipartimento di Filosofia, Scienze Sociali, Umane e della Formazione (Prof. Annalisa Morganti). • Università di Udine, Dipartimento di Scienze Umane - Italia (Prof. Lucio Cottini). • University of Applied Sciences and Arts of Southern Switzerland, Department of Education and Learning - Svizzera (prof. Davide Antognazza). • Örebro University, Department of Health Sciences and Medicine –Svezia (Prof. Birgitta Kimber). • University of Zagreb, Faculty of Education and Rehabilitation Sciences, Department of Behavioural Disorders – Croazia (Prof. Josipa Basic). • University of Ljubljana, Faculty of Education – Slovenia (Prof. Darja Zorc-Maver).

↑ educativo) e risultati equivalenti prima dell’iniUn fotogramma zio dell’intervento, in cui si valuta l’entità degli dal film I 400 effetti prodotti dall’intervento proposto (Cottini, colpi di François Morganti, 2013). Truffaut, 1959. In ciascun Paese partecipante al progetto EAP_ SEL sono state selezionate 10 prime classi di scuola primaria per avviare l’intervento di educazione socio-emotiva (classi sperimentali) e 10 prime classi nelle quali nessun intervento è stato introdotto (classi controllo). Le classi sono state selezionate sulla base di specifici criteri, con il coinvolgimento di un totale di circa 1000 studenti di scuola primaria su tutto il territorio europeo. Prima di realizzare questi interventi educativi, tutti gli insegnanti delle classi coinvolte (appartenenti al gruppo sperimentale) sono stati adeguatamente formati, non solo per implementare nel miglior modo possibile le attività in classe con i loro allievi, ma anche per diventare essi stessi insegnanti più autoconsapevoli ed “emotivamente intelligenti” (Morganti, 2012). Valutazioni degli insegnanti e valutazioni dirette sui bambini sono state raccolte relativamente alle competenze socio-emozionali e ai risulOrmai da trent’anni tati comportamentali; tali l’Italia è un modello valutazioni, avvenute all’idi eccellenza per nizio (valutazione pre) e alla l’inserimento in ogni fine del primo anno di sperimentazione (valutazione grado scolastico di post), serviranno a misurapersone disabili. re l’efficacia dell’intervento sperimentale svolto in classe. Al momento abbiamo soltanto dati grezzi derivanti dalle varie prove di valutazione (pre-post), in quanto le attività di sperimentazione dureranno 24 mesi e accompagneranno bambini e insegnanti nel passaggio dalla prima alla seconda classe della scuola primaria, con soluzioni di continuità. La scelta della durata dell’intervento è legata ai risultati che tali

Saperi / Dove sono le emozioni?

Una metodologia di ricerca randomizzata e evidence-based


Autovalutazione della qualità dei processi inclusivi promossi dalla mia scuola... Domande

Indicatori di risposta

Punteggio

Dimensione A: Creare culture inclusive Dimensione B: Produrre politiche inclusive Dimensione C: Sviluppare pratiche inclusive Figura 2. Tabella riassuntiva dell’organizzazione della scala di valutazione.

La ricerca / N. 7 Nuova Serie. Novembre 2014

Saperi / Dove sono le emozioni?

12 attività hanno sui bambini, visibili, non a breve termine, ma soltanto dopo almeno due anni di lavoro intensivo sulle competenze SEL.

Educazione socio-emotiva e contesti inclusivi: la ricerca italiana

— All’interno del progetto EAP_SEL, due sono le Università italiane coinvolte,quelle di Perugia e Udine, ed è proprio dalla loro collaborazione che nasce l’intento di indagare un aspetto essenziale e peculiare dei nostri contesti scolastici: quello dell’inclusione degli allievi con disabilità,o,nella odierna accezione più ampia, con bisogni educativi speciali.C’è da precisare che in questo caso nella scelta del campione italiano si è deciso di aggiungere, come criterio di selezione e randomizzazione, la presenza di allievi con disabilità nelle classi coinvolte. L’Italia vanta ormai da oltre trent’anni una lunga tradizione legislativa nel campo dell’integrazione scolastica, che ha permesso agli allievi con disabilità (di qualsiasi tipologia e gravità), di frequentare scuole di ogni ordine e grado scolastico (dal nido all’Università), tradizione che la pone come un “modello di eccellenza” per molti Paesi della stessa Unione Europea, dove ancora l’esistenza di scuole e classi speciali è una realtà molto radicata. Il gruppo di ricerca che afferisce alle due università italiane ha un focus molto specifico di studio, che è quello di individuare il rapporto tra l’educazione socio-emotiva e le dinamiche inclusive che si realizzano a scuola. In altre parole, ci siamo chiesti se l’acquisizione di competenze sociali ed emozionali da parte di tutti gli allievi, unitamente a un’adeguata formazione degli insegnanti, siano delle variabili che possono incidere sulle dinamiche inclusive di una scuola e quanto. Per rispondere a questo interrogativo di ricerca, abbiamo costruito una scala di valutazione (rating scale) che ci consente di valutare i cambiamenti di alcuni indicatori fondamentali del fenomeno inclusivo, a seguito dell’introduzione di programmi d’intervento socio-emozionali.

La struttura della scala è stata tracciata prendendo spunto dall’individuazione del costrutto d’inclusione, riferito al documento internazionale Index for Inclusion (Booth e Ainscow, 2008), che ha portato a definire un modello centrato su tre dimensioni: culture, politiche e pratiche inclusive, alleggerendone poi la struttura per renderla più funzionale all’analisi dell’inclusione in un modello organizzativo di scuola come quello italiano (figura 2). A ciascuna delle tre dimensioni corrispondono delle specifiche domande e degli indicatori di risposta con punteggi organizzati su una scala a tre livelli (0-1-2), ma i risultati dell’analisi preliminare (studio pilota) serviranno a confermare quest’organizzazione o a proporne una diversa articolazione. In questa prima fase dello studio, la scala è stata proposta a un campione di insegnanti curricolari e di sostegno operanti in scuole dell’infanzia, primaria, secondaria di primo e secondo grado dell’Umbria, del Friuli Venezia Giulia e della Calabria. Le procedure per il controllo della validità e l’affidabilità dello strumento non sono ancora completate, al termine di queste, esso diventerà parte integrante del protocollo valutativo europeo che fa capo al progetto EAP_SEL e sarà disponibile in lingua italiana per essere utilizzato come strumento, non solo di valutazione, ma anche di monitoraggio delle politiche, delle culture e delle pratiche a favore dell’inclusione degli allievi con bisogni educativi speciali nelle nostre scuole.

Annalisa Morganti insegna Pedagogia della Diversità e delle Differenze, Pedagogia e Didattica Speciale della Disabilità intellettiva e dei Disturbi Generalizzati dello Sviluppo presso l’Università di Perugia. È coordinatore europeo del progetto Comenius European Assessment Protocol for Children’s SEL Skills, EAP_SEL (2012-2015), e fa parte del consiglio direttivo della Società Italiana di Pedagogia Speciale (SIPeS).


saperi Life skills: competenze per la vita L’importante documento elaborato nel 1993 dalla Organizzazione Mondiale della Sanità, Life skills education for children and adolescence in school, propone alle scuole di favorire queste dieci competenze per la vita.

Autocoscienza Conoscere se stessi, il proprio carattere, i bisogni e i desideri, i punti deboli e quelli forti. È la condizione indispensabile per la gestione dello stress, la comunicazione efficace, le relazioni interpersonali positive e l’empatia.

Decision making —

↓ La fotografia che in Wikipedia illustra la voce Imbarazzo.

Saper decidere in modo del tutto consapevole e costruttivo nelle diverse situazioni e contesti di vita. Elaborare in modo attivo il processo decisionale può avere implicazioni positive sulla salute attraverso una valutazione delle opzioni e delle conseguenze che esse implicano.

Senso critico

La capacità di riconoscere le proprie emozioni e quelle degli altri. Essere consapevoli di come le emozioni influenzano il comportamento in modo da riuscire a gestirle in modo appropriato e a regolarle opportunamente.

La capacità di valutare le situazioni. Saper analizzare informazioni ed esperienze in modo oggettivo, congliendone vantaggi e svantaggi, al fine di arrivare a una decisione più consapevole, valutando i diversi fattori che influenzano gli atteggiamenti e il comportamento, quali le pressioni dei coetanei e l’influenza dei mass media.

Gestione dello stress —

La capacità di governare le tensioni. Saper conoscere e controllare le fonti di ansia sia tramite cambiamenti nell’ambiente o nello stile di vita, sia tramite la capacità di rilassarsi.

Creatività —

La capacità di affontare in modo flessibile ogni genere di situazione. Saper trovare soluzioni originali. È la competenza che contribuisce sia al decision making che al problem solving, permettendo di esplorare le alternative possibili e le conseguenze delle diverse opzioni.

Problem solving —

La capacità di risolvere i problemi. Saper analizzare, affrontare e risolvere in modo costruttivo i diversi problemi che, se lasciati irrisolti, possono causare stress mentale e tensioni fisiche.

Comunicazione efficace —

La capacità di esprimersi in ogni situazione particolare sia a livello verbale che non verbale in modo efficace e congruo alla propria cultura, dichiarando opinioni e desideri, ma anche bisogni e sentimenti, ascoltando gli altri, chiedendo, se necessario, aiuto.

Empatia —

La capacità di comprendere gli altri. Saper comprendere e ascoltare gli altri, immedesimandosi in loro anche in situazioni non familiari, accettandoli e migliorando le relazioni sociali nei confronti di diversità etniche e culturali.

Relazioni interpersonali —

La capacità di interagire con gli altri in modo positivo. Porsi in una relazione costruttiva con gli altri. Creare relazioni significative ma anche essere in grado di interromperle in modo costruttivo.

13 Saperi / Quando il CLIL diventa una corsa a ostacoli

Gestione delle emozioni


Sviluppare le abilità socio-emotive

La ricerca / N. 7 Nuova Serie. Novembre 2014

Saperi / Sviluppare le abilità socio-emotive

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I bambini che iniziano a frequentare la scuola dell’obbligo, oltre a impegnarsi nell’acquisizione di abilità di base della lettura e scrittura, devono affinare le loro competenze socio-emotive, per riuscire a creare efficaci relazioni con i pari e le figure adulte di riferimento. di Elisa Cherubin, Ilaria Grazzani, Veronica Ornaghi, Francesca Piralli

C

on il presente contributo, vorremmo documentare l’esperienza che, su queste tematiche, il nostro gruppo di ricerca ha svolto in una scuola primaria del novarese. La ricerca-intervento si è svolta avendo come sfondo teorico di riferimento il costrutto di competenza emotiva (Denham, 1998; Saarni, 1999), che si riferisce all’insieme di abilità relative all’espressione e comprensione delle proprie e altrui emozioni, e alla loro regolazione. Diventare emotivamente competenti significa, ad esempio, essere in grado di esprimere le proprie esperienze emotive attraverso i canali comunicativi verbali e non verbali, riuscire a decodificare le espressioni degli altri, comprendere le cause che producono particolari vissuti emozionali, utilizzare adeguate strategie per modulare l’esperienza emotiva in corso. Pertanto si riferisce a quelle capacità che consentono di sentirsi efficaci negli scambi e nelle interazioni sociali della vita quotidiana.

La ricerca —

La ricerca-intervento, che ha coinvolto 50 bambini di 7-8 anni frequentanti due classi seconde di scuola primaria, si è articolata in tre fasi. Nella prima fase, a tutti i partecipanti sono state presentate prove sulla comprensione delle emozioni (Test of Emotion Comprehension – TEC; Pons e Harris, 2000) e del lessico emotivo (Test di Lessico Emotivo – TLE; Grazzani, Ornaghi e Piralli, 2009). Inoltre, è stato loro chiesto di compilare, in modo guidato, un breve questionario autovalutativo sull’empatia (How I feel in different situations – HIF-ds; Feshbach et al., 1991). Nella seconda fase, le due classi coinvolte sono

risultate omogenee per livello di partenza rispetto ai risultati delle prove somministrate. Una classe, come gruppo sperimentale, ha preso parte ad attività laboratoriali, prevalentemente di tipo conversazionale; l’altra classe, come gruppo di controllo, non ne ha invece usufruito. Le attività si sono articolate prendendo spunto da quanto documentato nel volume di Grazzani, Ornaghi e Antoniotti (2011). I bambini del gruppo sperimentale sono stati suddivisi in due sottogruppi che hanno lavorato parallelamente, con adulti adeguatamente formati, per quindici incontri della durata di circa 40 minuti, con frequenza bisettimanale. Nella terza fase, a tutti i partecipanti (gruppi sperimentale e controllo) sono state nuovamente proposte le prove utilizzate nella prima fase per rilevare l’effetto dell’intervento proposto.

I laboratori sull’incremento della competenza emotiva —

I ricercatori hanno selezionato alcune emozioni frequentemente provate nella vita quotidiana dei bambini (felicità, rabbia, paura, tristezza e colpa) intorno alle quali hanno sviluppato l’intervento. Per ciascuna emozione sono stati condotti tre incontri che si sono svolti con il supporto degli insegnanti, coinvolti nella preparazione degli stimoli e dei materiali da presentare ai bambini. Gli incontri si sono focalizzati sui seguenti aspetti: la comprensione dell’espressione emozionale, la comprensione delle cause emotive e la comprensione della regolazione delle emozioni. La metodologia proposta, come anticipato, è stata di tipo conversazionale, basata su una concezione socio-costruzionista dello sviluppo psicologico


15 Saperi / Sviluppare le abilità socio-emotive

secondo la quale il processo conoscitivo e di costruzione di conoscenze non può prescindere dalla sua mediazione linguistica e conversazionale, di cui il lavoro in piccolo gruppo diviene strumento cardine (Pontecorvo, 1993; Nelson, 2007; Brockmeier, 2012). Nella prospettiva di fornire utili spunti per riproporre in diversi contesti educativi il percorso realizzato, descriveremo brevemente alcune attività svolte e inseriremo stralci di conversazione, prendendo come riferimento quelli riguardanti l’emozione della tristezza.

Primo incontro: la comprensione dell’espressione delle emozioni —

Rispetto alla comprensione dell’espressione delle emozioni, le attività proposte sono state la rappresentazione del volto, l’individuazione e rappresentazione dei correlati fisiologici, la scelta di un colore legato al vissuto emotivo, la lettura di una frase neutra utilizzando il ritmo e il tono vocale appropriato all’emozione target, e l’individuazione di altri vocaboli con cui esprimere la stessa emozione, seppur di intensità diversa.La finalità è stata quella di far riflettere e discutere fra loro i bambini sui vari canali (visivo, uditivo, comportamentale) che

si possono utilizzare per esprimere un’emozione e sulle caratteristiche che ci permettono di riconoscerla, nonché sui diversi modi di denominarla.

La rappresentazione del volto e la scelta di un colore —

A ogni bambino è stato consegnato un foglio su cui vi era disegnata la sagoma di un volto ed è stato chiesto loro di aggiungere tutti quegli elementi, quali occhi, naso, bocca e sopracciglia, che secondo loro rappresentavano, nell’insieme, l’espressione di una persona che provava lo stato emotivo considerato.Accanto al disegno, ciascuno doveva colorare un quadratino scegliendo il colore che meglio rappresentava per loro tale emozione. Poi iniziava lo scambio conversazionale. Ricercatore: Da che cosa si capisce che una persona è triste? Che cosa mostrate quando provate tristezza? P: Ci vengono le rughe sulla fronte. A: Ma no, vengono solo a chi è vecchio. M: Beh, quando sei triste ti si arriccia un po’ la fronte, così… P: Sì, ok… ma ad alcuni, non a tutti. M: La bocca è piegata all’ingiù.

↑ Fantasticheria in classe, fotografia di Stanley Kubrick, Chicago, 1949 (Libreria del Congresso).


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↑ Una scolara, fotografia di Stanley Kubrick, Chicago, 1949 (Libreria del Congresso).

V: Le sopracciglia sono più vicine agli occhi. Ricercatore: Possiamo dunque vedere che è l’opposto di come abbiamo disegnato la felicità… A: Escono le lacrime e la candela dal naso. V: Ma io avevo fatto le lacrime anche per la felicità! Ricercatore: Eh sì, si può piangere non solamente quando si è tristi, ma anche per la felicità. Hai fatto un’osservazione davvero utile che ci permette di vedere proprio come emozioni diverse, come la tristezza e la felicità, possono essere espresse attraverso uno stesso modo: le lacrime. V: Sì, per esempio quando vinci una gara un po’ di volte, piangi dalla felicità.

La rappresentazione dei correlati fisiologici —

Partendo dalla considerazione che non si capisce lo stato emotivo di una persona solo osservando il suo viso, ma anche prestando attenzione al corpo, la consegna è stata quella di riportare su una sagoma di figura umana, disegnata su un cartellone, tutti quei cambiamenti corporei che avvengono quando si prova una particolare emozione. Ricercatore: Quando siete tristi, che cosa succede al vostro corpo? Cosa sentite quando provate tristezza?

A: Ti chiudi a riccio. V: Stiamo fermi. A: … ma anche agitati. P: Incrociamo le braccia come quando a volte si è arrabbiati. Ricercatore: A volte la rabbia e la tristezza possono essere provate in modo confuso oppure presentarsi in modo «misto», cioè provando sia rabbia che tristezza contemporaneamente. Inoltre può capitare che la tristezza profonda venga celata, nascosta dalla rabbia. A: Il cuore batte forte. E il vostro cuore come sembra battere? A: Batte piano, quasi sembra fermarsi. Ricercatore: Che cosa accade dentro il nostro corpo? Ad esempio, che cosa succede al nostro stomaco? P: Si restringe. V: Non viene voglia di mangiare niente, nemmeno la merenda! Ricercatore: E alle nostre gambe succede qualcosa? M: Tremano! L: Ma no, tremano è da paura!!! Ricercatore: Bravi! Anche in questo caso vediamo come una stessa sensazione corporea, cioè le nostre gambe che tremano, può essere indicativa di due emozioni diverse: la tristezza e la paura.


Secondo incontro: la comprensione delle cause delle emozioni —

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↓ Uno scolaro, fotografia di Stanley Kubrick, Chicago, 1949 (Libreria del Congresso, Washington).

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Per quanto riguarda gli incontri sulla comprensione delle cause delle emozioni, lo stimolo proposto consisteva in una breve storia illustrata in cui veniva messa in evidenza la causa dell’emozione target nel protagonista. Nello specifico, sono state considerate separatamente le cause esterne e quelle interne. La finalità delle attività proposte è stata quella di sollecitare i bambini nella comprensione del fatto che le emozioni possono essere causate sia da eventi che accadono nella realtà che ci circonda sia da stati mentali, quali pensieri, ricordi, credenze e aspettative. Per la comprensione delle cause esterne è stato presentato ai bambini un cartellone su cui erano riportate alcune situazioni familiari (elicitanti l’emozione considerata) che venivano loro nascoste, coprendole con un cartellino, al fine di stimolare la partecipazione e una successiva riflessione su esperienze personali. I cartellini venivano via via tolti, con l’attivarsi dello scambio conversazionale. Ricercatore: Vi ricordate l’emozione di cui avevamo parlato la volta scorsa? P: Sìììì. La tristezza. Ricercatore: Che attività avevamo fatto? A: Il ritratto… Ricercatore: E poi? L: Abbiamo disegnato la faccia e poi le cose che succedono nel nostro corpo. Ricercatore: Che cosa vi aspettare di fare oggi?

P: Le cause. Ricercatore: Bravi! Oggi parleremo insieme di quali sono le cose che ci rendono tristi… provate a pensarci. V: Io in queste vacanze sono stato triste perché io e l’Andrea abbiamo litigato. A: Mia mamma non mi fa giocare alla Wii. L: Mi obbligano a fare qualcosa che non mi va di fare. P: Non mi portano al campetto. M: Quando dei miei amici non mi fanno giocare con loro. P: È vero. Io divento triste quando mi impediscono di fare qualcosa che a me piace fare. Ricercatore: Esatto. Siete proprio bravi. In effetti si può essere tristi sia quando ci obbligano a fare qualche cosa che non ci va di fare sia quando non ci fanno fare qualche cosa che desideriamo tanto fare…C’è anche sul nostro cartellone,vedete? Quando fate qualcosa che non dovete fare qui a scuola cosa fanno le maestre? P: Eh… ci sgridano! Ricercatore: E che cosa provate voi? V: Tristezza! Ricercatore: E se fate una gara? L: Ah, io sono triste quando perdo. P: Anch’io! Ricercatore: Le volte precedenti, abbiamo parlato di due tipi di cause. Quali sono? P: Le cause esterne e quelle interne. Ricercatore: Bravi! Che differenza c’è tra la cause esterne e quelle interne?


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↓ Lezione di calligrafia in una scuola indiana, 1940, National Archives and Records Administration, Washington.

M: Le cause esterne sono quando tu piangi. A: No, secondo me le cause esterne sono quando uno, cioè da fuori, altre persone ti fanno qualcosa… Ricercatore: Siete tutti d’accordo? A: No… le cause esterne sono quelle cose che ci succedono da fuori e che ci fanno essere tristi. L: C’è qualcosa fuori che mi fa sentire dentro triste. Ricercatore: E quelle interne? […] Vi aiuto raccontandovi una storiella. Per la comprensione delle cause interne sono state presentate ai bambini brevi storielle incentrate su tre parole chiave (pensiero, ricordo, credenza) riferite al mondo interiore.La lettura veniva supportata da immagini poste su di un cartellone, utile anche per riportare tutto ciò che emergeva dalla discussione in gruppo. Ricercatore: Sono triste quando ricordo… P: Che mio fratello mi ha rotto un gioco. V: … no, che mio fratello mi incolpa per tutte le cose che faccio. A: Quella volta che la mia mamma si è rotta il piede. L: Che il mio cane mi aveva rotto la palla più bella che avevo. Ricercatore: Sono triste quando penso… V: Che la mia mamma mi cucinerà la minestra per pranzo. A: Penso che non posso più vedere i miei amici della scuola perché è finita. M: Che un mio amico è andato a sciare e io non ci posso andare.

A: Di perdere una partita. L: Che il D. mi abbia fregato la ragazza. Ricercatore: Sono triste quando credo… L: Che mio fratello mi ha rubato il gioco. P: Che non posso più giocare alla Wii. M: Che mio fratello dovrà stare vicino a me tutto il giorno e mi picchierà. A: Che la mamma abbia un fratellino nella pancia e voglia più bene a lui che a me. Ricercatore: Bambini avete visto quante cause diverse? P: È vero, ma anche un po’ uguali…

Terzo incontro: la regolazione delle emozioni —

Nell’incontro sulla regolazione delle emozioni l’intento è stato far riflettere i bambini sulle diverse strategie che si possono utilizzare per far fronte a una particolare emozione. Inoltre, poiché i bambini solitamente descrivono strategie di regolazione di tipo esterno, cioè legate a comportamenti, si è cercato di rendere consapevoli i bambini del fatto che la regolazione può avvenire anche internamente. Ai bambini è stato chiesto di pensare a quali strategie utilizzassero per fronteggiare la tristezza, per poi condividerle all’interno del gruppo. La finalità è stata duplice: mostrare loro che a fronte di uno stesso stimolo emotivo vi sono diversi modi di regolazione e riflettere sulla varietà di strategie. Ricercatore: Che cosa fate di solito quando siete molto tristi per farvi passare un po’ la tristezza?


Approfondire —

J • J. Brockmeier, Narrative scenarios: Toward a culturally thick notion of narrative, in P. E. Nathan (a cura di), The Oxford handbook of culture and psychology, OUP, Oxford, 2012, pp. 439-467. • A. D’Amico, T. De Caro, Sviluppare l’intelligenza emotiva: Test e training per percepire, usare, comprendere e gestire le emozioni, Erickson, Trento, 2008. • S. Denham, Lo sviluppo emotivo nei bambini, Astrolabio, Roma, 1998. • N. Feschbach, G. V. Caprara, A. Lo Coco, C. Pastorelli, G. Manna, Empathy and its correlates: Cross cultural data from Italy, relazione presentata al 11th Biennial Meeting of the International Society for the Study of Behavioural Development, Minneapolis, 1991. • I. Grazzani Gavazzi, V. Ornaghi, Emotional state talk and emotion understanding: A training study with preschool children, in «Journal of Child Language», 2011, vol. 38, pp. 1124-1139. • I. Grazzani, V. Ornaghi, F. Piralli, Test di Lessico Emotivo (TLE), Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione R. Massa, Università degli Studi di Milano Bicocca, Milano, 2009. • I. Grazzani, V. Ornaghi, C. Antoniotti, La competenza emotiva dei bambini: Proposte psicoeducative per le scuole dell’infanzia e primaria, Erickson, Trento, 2011. • K. Nelson, Young minds in social worlds: Experience, meaning, and memory, Harvard University Press, Cambridge, 2007. • F. Pons, P. L. Harris, TEC: Test of Emotion Comprehension, OUP, Oxford, 2000. • C. Pontecorvo, La condivisione della conoscenza, La Nuova Italia, Firenze, 1993. • R. Renati, V. Cavioni, M. A. Zanetti, Maestra, oggi mi sono arrabbiato! L’aRRabbiadiario, uno strumento per promuovere le strategie di regolazione emotiva, in I. Grazzani, C. Riva Crugnola, Lo sviluppo della competenza emotiva dall’infanzia all’adolescenza: Percorsi tipici e atipici e strumenti di valutazione, Milano, Unicopli, 2011, pp. 231-252. • C. Saarni, The development of emotional competence, Guilford Press, New York, 1999.

19 Saperi / Sviluppare le abilità socio-emotive

B: Io quando sono triste vado da mia mamma o sto da sola o vado a giocare con mia sorella e lascio perdere alcune volte e mi siedo da qualche parte. Ricercatore: Qualcun altro fa come B? P: No… Ricercatore: Quindi fate altre cose? Bene, poi le ascoltiamo tutte… A me ricordano un po’ le cose che lei fa quando è arrabbiata per farsi passare un po’ la rabbia. A volte… A: La rabbia e la tristezza a volte sono insieme! M: Eh già! P: A volte quando sono arrabbiata con la mamma sono anche triste perché abbiamo litigato. Ricercatore: Bravissimi! A volte le emozioni stanno proprio “insieme”, le proviamo contemporaneamente. L: Io quando sono triste gioco con la Wii o guardo la TV. P: Esco fuori in giardino. A: Per farmi passare la tristezza mangio. V: Vado a giocare in camera mia. Ricercatore: In modo diverso l’uno dall’altro riuscite a regolare un po’ la vostra tristezza cercando di non… P: Pensarci! Così lo dimentichiamo! V: Ma io non riesco a dimenticarmelo… A: Io la dimentico però quando mi succedono altre cose mi viene in mente e mi ritorna un po’. Per far riflettere i bambini sulla regolazione interna, intesa come contenimento, amplificazione o riduzione dell’emozione, è stato proposto un cartellone illustrato abbinato alla lettura di semplici storie che presentavano episodi di vita quotidiana. Ricercatore: A volte scegliamo di non mostrare che siamo tristi o comunque di mostrare meno tristezza di quella che in realtà proviamo. Provate a pensare se anche a voi è capitato e quando. P: Quando mi hanno tirato il pallone in faccia durante la partita…io ero triste e mi veniva da piangere, ma non l’ho fatto vedere ai miei compagni. Ricercatore: Perché? A: Perché se no mi prendevano in giro. B: Anche io! Quando mi prendono in giro io non mostro di essere triste se no loro mi prendono ancora più in giro. V: Io quando perdo una partita sono triste, ma non lo mostro. P: A me è capitato poche volte di non mostrare che sono triste, però quando la mamma e il papà mi sgridano per qualcosa che ho fatto io divento triste ma non lo faccio vedere. M: Quando la mamma mi fa la minestra, io sono triste ma non lo dimostro… per non farla rimanere male. Ricercatore: Brava. Quindi a volte regoliamo le nostre emozioni e il modo di comunicarle tenendo conto anche di come si sentono o si potrebbero sentire gli altri. B: Quando non potevo andare su in montagna,


Prima dell’intervento

Test

Sperimentale

Dopo l’intervento

Controllo

Sperimentale

Controllo

M

DS

M

DS

M

DS

M

DS

Comprensione delle emozioni (TEC)

4,02

1,22

4,03

1,24

5,37

0,81

4,52

1,22

Comprensione del lessico emotivo (TLE)

5,82

1,08

5,79

1,17

6,67

0,54

6,25

0,68

Empatia (HIF-ds)

31,21

6,20

31,51

4,87

32,25

5,96

31,46

4,87

Tabella 1. Punteggi medi e deviazioni standard dei due gruppi prima e dopo l’intervento.

Saperi / Sviluppare le abilità socio-emotive

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io ero triste ma non l’ho fatto vedere. L: Io amo una bambina che però ama un altro… io sono triste ma non lo faccio tanto vedere agli altri. Mi vergogno. Ricercatore: Altre volte, invece, mostriamo di essere più tristi di quanto non lo siamo veramente. Quando e perché? P: Se mostro a mia mamma tanta tristezza lei mi prepara la merenda così io sono felice… Ricercatore: Ah, ecco. V: Quando mio papà non mi compra le figurine, io sono triste ma così triste che poi alla fine mio papà me le compra. B: Io quando sono arrivata in prima, tutti mi prendevano in giro perché avevo gli occhiali… così quando tornavo a casa dicevo alla mamma che ero tanto tanto triste così lei per coccolarmi mi faceva sempre il mio piatto preferito… le patatine fritte! M: È vero, anch’io a volte faccio così con la mamma, così mi cucina quello che voglio. Ieri ho perso con dei bambini più grandi di me e sono arrivato sempre ultimo… e ho mostrato di essere ancora più triste di quello che ero veramente. L: Quando la mamma per castigo mi porta via la Wii io in realtà non sono così tanto triste, però l’altro giorno ho fatto vedere di essere tristissimissimo perché se la mamma scopre che non sono poi così dispiaciuto cerca un altro castigo. E magari è peggio…

La ricerca / N. 7 Nuova Serie. Novembre 2014

I risultati della ricerca —

L’analisi dei dati, condotta confrontando quanto emerso dalla prima e dalla seconda somministrazione di prove, sia nel gruppo sperimentale sia nel gruppo di controllo, ha evidenziato anche a livello quantitativo l’efficacia dell’intervento proposto. In particolare, i bambini che hanno svolto le attività laboratoriali hanno mostrato migliori prestazioni nelle prove di comprensione della regolazione delle emozioni e nella prova di empatia. La significatività dell’intervento, anche dal punto di vista statistico,è globalmente presentata nella tabella 1, che nella colonna di sinistra elenca le prove somministrate e nelle altre colonne i valori medi e le deviazioni standard per il gruppo sperimentale e controllo nelle fasi precedente e succes-

siva all’intervento. Come si può notare, ad esempio, per quanto riguarda la prova di comprensione delle emozioni (TEC),i bambini del gruppo sperimentale incrementano il valore medio della loro prestazione di 1,35 (da 4,02 prima dell’intervento a 5,37 dopo). Invece, i bambini del gruppo di controllo, rispetto alla stessa prova,aumentano il valore medio di solo 0,49 (passando da 4,03 a 4,52). Tuttavia,l’efficacia del lavoro svolto con i bambini non va ridotta al solo valore numerico fornito dagli indicatori statistici. Come infatti hanno testimoniato gli insegnanti, la possibilità di creare all’interno della classe spazi di riflessione e confronto sulle emozioni quotidianamente provate ha migliorato il clima emotivo complessivo del gruppo. Promuovendo una modalità che sottolinei l’importanza del rispetto del proprio turno conversazionale e dell’ascolto reciproco, i bambini hanno imparato a mettere in discussione il proprio punto di vista e a prendere in esame quello dell’altro; ciò ha consentito loro di acquisire nuove competenze spendibili sia a livello personale che nella relazione con l’altro. L’accresciuta e consolidata modalità operativa proposta al gruppo classe ha inoltre favorito la possibilità di esprimersi e mettersi in gioco anche da parte di quei bambini che, nelle consuete attività scolastiche,risultavano meno partecipi o più riservati e inibiti. La scuola, dunque, insieme agli altri contesti educativi, può contribuire con attività come quelle qui descritte allo sviluppo delle competenze socio-emotive dei bambini, importanti sia per la riuscita scolastica sia per promuovere relazioni sociali positive. Questo articolo è già comparso sulla rivista «Difficoltà di apprendimento», Edizioni Erickson, Trento, vol. 18, n. 3, febbraio 2013. Ringraziamo la casa editrice per la gentile autorizzazione alla pubblicazione.

Elisa Cherubin, Ilaria Grazzani, Veronica Ornaghi, Francesca Piralli Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione R. Massa, Università degli Studi di Milano Bicocca.


saperi I pensieri e la tristezza

21 Saperi / Quando Metalingua, il CLIL microlingua, diventa una lingua corsadello a ostacoli studio

Tratto da La competenza emotiva dei bambini, pp. 144-145. Una scheda di attività sulla comprensione delle cause interne dell’emozione di tristezza

Età target —

Questa attività è stata ideata per bambini dai 4 ai 7 anni.

Obiettivo —

L’attività proposta è finalizzata a favorire la comprensione delle cause interne dell’emozione di tristezza, come desideri, ricordi o credenze.

Materiali —

Due brevi scenari accompagnati da vignette. 1. Antonella è in vacanza al mare. Pensa alla sua amica del cuore, che le manca tanto. Ha voglia di rivederla e giocare con lei, ma

deve aspettare ancora molti giorni. (Tavola 25) 2. Mauro sta sfogliando l’album di fotografie delle vacanze. A un certo punto, vede una foto molto bella in cui ci sono lui e il suo amichetto Andrea che non ha più rivisto perché abita molto lontano. Il pensiero che non può giocare con il suo amichetto tutte le volte che vuole rende Mauro molto triste. (Tavola 26)

Attività —

L’adulto legge ai bambini le brevi storielle — una per volta — mostrando loro le vignette che le accompagnano. Al termine, egli attiva la conversazione focalizzando l’attenzione su come si sente il protagonista e sulla causa che ha in lui/lei prodotto tristezza. In particolare, i bambini vengono chiamati a riflettere sul

fatto che la tristezza può essere causata non solo da eventi esterni, ma anche da stati interni quali ricordi, pensieri e credenze.

Domande stimolo —

Come si sente il protagonista? Che cosa lo rende tanto triste? A voi è capitato di sentirvi tristi per un ricordo? Quando? Quale era il ricordo? E avete mai provato tristezza pensando a qualcosa?

Come chiudere l’attività —

L’adulto conclude l’attività riassumendo quanto emerso durante la conversazione tra i bambini e sottolineando come l’emozione di tristezza possa essere prodotta da diversi tipi di cause interne.


Il lavoro dello psicologo scolastico

La ricerca / N. 7 Nuova Serie. Novembre 2014

Saperi / Il lavoro dello psicologo scolastico

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In molte scuole italiane l’educazione socio-affettiva è demandata alla figura dello psicologo scolastico. Per scoprire come si svolge tale attività abbiamo intervistato uno di questi operatori. di Stefano Rossi intervista a cura della redazione

D: In cosa consiste il lavoro di uno psicologo nelle scuole? R: Ormai da una decina d’anni tengo uno “sportello di ascolto” nei due licei scientifici di Pavia: ho cioè a disposizione un locale specifico in cui ricevo chi desidera parlarmi. Prima lavoravo in altri istituti della provincia, quindi si può dire che io abbia un’esperienza ventennale. Sono un libero professionista e mi occupo di problemi dell’adolescenza anche al di fuori dell’ambito scolastico. Le ore di sportello in ognuna delle scuole sono circa sei alla settimana, ma sono aumentate negli ultimi anni perché vi è stata una crescita delle richieste. Al Liceo Copernico, ad esempio, lo scorso anno si sono rivolti a me circa ottanta studenti (su circa 1200) e con molti di loro lo sviluppo del rapporto ha richiesto numerosi colloqui. Poi ci sono anche i genitori, e non va dimenticato che sono proprio le loro associazioni a permettere questo servizio assicurando una parte notevole del mio stipendio. D: Parliamo di loro, quindi. La sua esperienza conferma l’opinione comune che il loro rapporto con la scuola sia molto cambiato negli ultimi anni? R: Confermo. Oggi si va diffondendo la figura del genitore sindacalista che non accetta la debolezza scolastica dei figli, a volte persino se di scarsa entità, e riversa su una presunta mancanza di professionalità dei docenti la ragione dei loro insuccessi. Ne nascono conflitti distruttivi, dei quali soffrono soprattutto i ragazzi perché finiscono con il formarsi un’idea negativa di tutti gli adulti. Se a diciotto anni non ha mai incontrato nessuna persona autorevole, è l’idea stessa di autorità a entrare in crisi.

D: Immagino non sia questo tipo di genitori a ricorrere al suo aiuto. Quali sono i problemi più frequenti che vengono presentati allo sportello? R: Lo sportello è un luogo “a bassa soglia”, cioè pronto a considerare i più diversi motivi di disagio. Alcuni di questi sono quelli classici dell’adolescenza: c’è chi ha forti contrasti con i genitori, chi si sente isolato nella classe, chi ha difficoltà nell’elaborare un lutto familiare, chi è alle prese con le prime vicende amorose e chi già pratica qualche livello di sessualità. Stanno aumentando i casi di un cyber bullismo che rimane spesso occulto, e se anche non precipita in fatti eclatanti avvelena i rapporti fra i ragazzi e produce sofferenze vere, anche se solitarie e silenziose. A Pavia, poi, abbiamo il triste primato mondiale della ludopatia, che colpisce molti giovani. I genitori sono preoccupati quando scoprono l’uso di sostanze tossiche - intendo non sole droghe leggere e pesanti ma anche e soprattutto gli alcolici, il cui abuso fra gli adolescenti sta diventando a mio avviso un problema importante. D: Approfondiamo questo tema, quindi. R: Prima vorrei farti un esempio. La scorsa settimana, una ragazza di sedici anni che ho in cura mi raccontava,molto scandalizzata,di aver rinunciato al suo lavoro di PR, che pure, dice, le rende venti euro alla settimana. Si tratta di vendere ai propri coetanei i biglietti di ingresso in una nota discoteca: ce ne è una in ogni classe, quasi sempre una femmina, e scelgono sempre quelle più gamba, più carine e più spigliate. Se vendono dieci biglietti hanno un ingresso gratis, se vanno oltre guadagnano qualche euro; c’è nelle scuole


D: L’immagine che questa generazione offre di sé sembra improntata alla fragilità e alla vulnerabilità. Conferma questa analisi dal suo punto di vista? R: Sempre di più lo stress dei ragazzi diventa pesante non tanto per l’entità oggettiva dei loro

problemi quanto per l’atteggiamento di sfiducia con cui li affrontano. Gli aggettivi che oggi connotano il futuro, nel loro immaginario, sono tutti negativi, e questa propensione pessimistica è particolarmente dannosa nell’adolescenza. Aggiunge incertezza a incertezza, creando un circolo vizioso. E questa è la conseguenza di una diseducazione che chiama in causa tutti gli adulti, genitori e insegnanti. Su questi temi,raramente i ragazzi propongono considerazioni ponderate. Come gli adolescenti di sempre, anche quelli di oggi sono fondamentalmente impegnati nella costruzione di se stessi e solo piano piano, raggiungendo la maturità, cominciano a interessarsi della vita sociale e politica. Di fatto, hanno ben poche informazioni sui problemi specifici e reali del Paese, non leggono quotidiani, ma esibiscono certezze granitiche e tutte negative, convinzioni del tipo “si va di male in peggio”, “difficilmente troverò un lavoro”, “non avrò mai le stesse opportunità che hanno avuto i miei genitori”. Certamente ci sono molti motivi per cui la nostra società attuale è attraversata da una ventata di pessimismo, ma bisogna rendersi conto degli effetti distruttivi che tale sfiducia generalizzata provoca quando diventa il principale lascito che una generazione trasmette all’altra, ribaltando in questo modo il tradizionale ruolo rassicurante e socializzante da sempre assolto dagli anziani e dai genitori in particolare.

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↓ Bambine che studiano un libro, fotografia di Nicki Dugan, San Francisco, 2009 (Wikimedia Commons).

Saperi / l lavoro dello psicologo scolastico

un marketing del divertimento ben ramificato. Stavolta però la mia giovane studentessa s’è rifiutata e ne sono orgoglioso: doveva vendere biglietti per il Lemon party, dove il lemon sta per limonare. Funziona così: ogni ragazzo, ogni maschio intendo, riceve assieme al biglietto di ingresso un piccolo adesivo a forma di limone da applicare sulla camicia. Le ragazze non lo ricevono, benché paghino anche loro, ma quando riescono a farsene dare tre dai loro coetanei hanno diritto a una bevanda alcolica gratuita. E possono farseli dare solo “limonando” con loro. Ora, io non riesco a trovare un messaggio meno negativo di questo, capace di finalizzare al marketing, con diabolica intelligenza, le tendenze autodistruttive e autolesionistiche ben presenti in ogni generazione di adolescenti e particolarmente, mi sembra, nelle ultime. E tu capisci che a scuola si possono anche fare corsi di educazione alla salute e alla sessualità consapevole, contro l’alcolismo e gli stereotipi di genere, ma se poi la festa del sabato sera consiste nel buttarsi via per ubriacarsi gratis, allora qualcosa non quadra.


D: Parla di anziani nel loro complesso. Non dovremmo però distinguere fra responsabilità della famiglia e della scuola?

Saperi / l lavoro dello psicologo scolastico

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D: Parlo volutamente di anziani in modo generico, nel senso che oggi questa immagine negativa del futuro è veicolata da una molteplicità di agenzie educative e mediatiche. Prendi i talk show televisivi, ad esempio. Si ripete spesso che i genitori dovrebbero aiutare i figli a interpretare correttamente la TV per quanto riguarda la rappresentazione della violenza, ma dovrebbero farlo anche per l’esposizione al dibattito politico, almeno nelle sue forme mediatiche, le uniche a essere seguite dagli adolescenti. Là dove un adulto ha la capacità di riconoscere un’accentuazione polemica o una semplificazione eccessiva, facendo la tara a ciò che sente anche in base a chi la dice, un adolescente trova verità confezionate che, se digerite senza alcun supporto critico, diventano un catastrofismo apocalittico. Prendi ad esempio il mito che metà dei giovani italiani siano disoccupati. Ho trovato qualche ragazzo veramente convinto di ciò: dicevano di averlo sentito alla TV ed effettivamente è vero che la disoccupazione giovanile viaggia attorno al 42%, ma Il distacco fra la scuola qualcuno deve spiegare loro che, in omaggio alla sintesi e il mondo reale tende a comunicativa, spesso in TV farsi sempre più profondo si omette di aggiungere che mano a mano che il la spaventosa percentuale rifuturo diventa sempre guarda solo i ragazzi che dai più incerto. 16 ai 23 anni cercano lavoro, non quindi la grande massa che a quell’età frequenta una scuola o l’Università. Quando l’informazione si riduce solo a slogan, gli effetti sono dirompenti. Oppure prendi la satira politica.Che,per carità,è legittima e spesso divertente, ma deleteria se rimane l’unica fonte informativa.

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D: In questa prospettiva un po’ sociologica quali responsabilità dobbiamo attribuire alla scuola? R: A costo di ripetermi, continuerei a parlare di rapporto fra adulti e giovani anche in ambito scolastico. Anche qui, infatti, viaggiano messaggi negativi sul futuro, ma non sono certo le materie di studio a veicolarle. Del futuro, queste, non parlano affatto e anzi si limitano rigorosamente al passato, in ogni campo. È la comunicazione intergenerazionale che si svolge nelle aule a trasmettere la sfiducia nel futuro. Da questo punto di vista la miscela è veramente esplosiva, perché i professori liceali sono già di per sé ulteriormente depressi per il loro ruolo sociale, oggi molto poco riconosciuto. Si sentono umiliati e offesi, improponibili come modelli di autorevolezza e successo professionale.

Del resto, non pochi di loro ricorrono al mio sportello d’ascolto quando in classi difficili sorgono problemi specifici. Da una parte è un bene che si avvalgono della mia professionalità, dall’altra la crescente frequenza di questi casi segnala forse un’incapacità di gestire situazioni problematiche con le tradizionali risorse della didattica. D: Il nostro fallimento generazionale starebbe quindi nell’incapacità di offrire ai giovani motivazioni valide per affrontare con serenità il futuro? R: Sì, e la prova del nove si ha considerando il diverso atteggiamento, molto più ottimista e propositivo, che hanno gli studenti figli di immigrati. La narrazione familiare a cui sono esposti, in pratica i discorsi che sentono fare dal papà a tavola, sono ben diversi e meno intrisi di disillusione. È una cosa che i miei colleghi hanno riscontrato soprattutto negli istituti tecnici, sia perché gli immigrati sono più numerosi sia perché in queste scuole l’immaginario disfattista di cui parlavo è meno profondo. D: Non pensa di presentare un quadro troppo cupo della situazione? R: Certamente il discorso è molto più sfumato. Ma mi sembra che anche le eccezioni, come si dice, confermino la regola. È vero che ci sono ancora molti docenti capaci non solo di insegnare materie specifiche ma anche trasmettere ai giovani un senso di solidità spirituale, una sostanziale fiducia nelle proprie possibilità che va oltre ogni crisi contingente.Ma è significativo che quando ciò succede i ragazzi si attacchino a questi professori in un modo veramente straordinario, quasi fossero ancore cui aggrapparsi. D: Quali sono le responsabilità della scuola come istituzione? R: Bada che queste riflessioni pessimistiche non nascono in una zona degradata. I licei in cui lavoro sono ottimi istituti in cui tutto funziona adeguatamente, dagli edifici al corpo insegnante. Ma è il distacco fra la scuola e il mondo reale a farsi sempre più profondo mano a mano che il futuro diventa sempre più incerto. Lo vedi nel vero tracollo delle iscrizioni agli istituti classici, ancora più degli altri percepiti come focalizzati sul passato. Stefano Rossi psicologo e psicoterapeuta, svolge il lavoro di consulenza nelle scuole come libero professionista. È socio di AreaG, un’associazione di psicoterapeuti specializzata nei problemi dell’adolescenza.


Spazio Giovani: salute, sessualità e prevenzione Come operano nelle scuole i servizi per gli adolescenti delle aziende sanitarie locali? Come affrontano il tema dell’educazione alla sessualità? Abbiamo intervistato un’operatrice della USL Città di Bologna.

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D: Assieme ad altre due psicoterapeute, Claudia dall’Aglio e Michela Zannini, lei è autrice di un ponderoso manuale, Educare le life skills, edito da Erickson, giunto in breve tempo alla sesta ristampa. Ci vuole raccontare come è nato? R: Questo testo condensa le esperienze di un lavoro ventennale svolto all’interno dello Spazio Giovani dell’Azienda USL Città di Bologna. È un servizio, presente non solo a Bologna ma in numerose altre

Saperi / Spazio Giovani: salute, sessualità e prevenzione

di Paola Marmocchi intervista a cura della redazione

aziende sanitarie locali, rivolto ai giovani dai 14 ai 20 anni per rispondere a problematiche tipiche dell’adolescenza: crescita, sviluppo fisico e sessuale, prevenzione delle gravidanze indesiderate e delle malattie a trasmissione sessuale, disagio psicologico e relazionale. Accanto all’attività di tipo ambulatoriale, lo Spazio Giovani bolognese realizza progetti di promozione alla salute nelle scuole, sia nelle classi di scuola media inferiore e superiore sia all’interno di gruppi spontanei o organizzati. Oltre ai temi

← Scuola domenicale in una chiesa battista, 1946, National Archives, College Park, Maryland.


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Saperi / Spazio Giovani: salute, sessualità e prevenzione

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↑ Lezione di scienze, 1954, fotografia che illustra la voce Educazione tradizionale in Wikipedia.

che già citavo, in questi interventi curiamo in particolare gli aspetti della educazione socio-affettiva e delle abitudini alimentari, sia fornendo informazioni sia promuovendo una riflessione e un confronto sui valori, gli atteggiamenti e le opinioni che sottendono le scelte individuali nel campo della salute. D: Quindi, pur non facendo parte dell’istituzione scolastica, voi operate nelle scuole con un intento eminentemente educativo, non solo informativo, documentario o sussidario alle materie curricolari. È un’apertura importante da parte della scuola, spesso descritta come un mondo chiuso e incapace di dialogare con il resto della società. Come nasce questa collaborazione? R: Il fondamento teorico sta in una definizione della salute come pieno sviluppo delle potenzialità umane. In altre parole: si è capito che nel campo della salute per ottenere buoni risultati in termini sia di benessere individuale sia di costi/benefici a livello sociale è necessario andare oltre l’ottica tradizionale focalizzata sulla cura delle malattie e sulla risoluzione dei problemi, per proporre invece

un’educazione bio-psico-sociale che considera la salute come una promozione globale delle potenzialità individuali. È questa l’intuizione che sta alla base della tematica delle life skills inaugurata agli inizi degli anni Novanta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. In questo quadro, il nostro intervento è rivolto non solo agli studenti ma anche a tutti gli adulti che svolgono un ruolo educativo: genitori, insegnanti e allenatori sportivi. D: Con quali metodologie didattiche si può sviluppare un’educazione alla salute, alla affettività e alle relazioni sociali? R: Per quanto riguarda le modalità operative dei nostri interventi nelle classi utilizziamo una metodologia attiva, un coinvolgimento diretto facilitato dalla proposta di schede, brevi racconti, immagini, situazioni, domande e una svariata gamma di altre attività. Negli ultimi anni, però, si stanno sperimentando altre modalità di intervento, come l’educazione fra pari, che promuove la partecipazione e la responsabilizzazione dei giovani nei confronti dei coetanei.


D: Ci illustri ora che tipo di interventi realizzate per gli studenti delle superiori, in particolare per quanto riguarda l’educazione all’affettività e alla sessualità.

Approfondire —

J • P. Marmocchi, L. Razzuffi, Le parole giuste, Carocci, Roma, 1993. • P. Marmocchi, L. Razzuffi, Educazione alla sessualità: un progetto formativo rivolto agli insegnanti, in «Educazione sanitaria e promozione della salute», vol 17, n. 1, edizioni CSES, Centro Sperimentale per la Promozione della Salute e l’Educazione Sanitaria, Dipartimento di Medicina Sperimentale, Università degli studi di Perugia, pp. 38-45. • P. Marmocchi, L. Razzuffi, La formazione nel campo della educazione alla sessualità, in «Rivista di scienze sessuologiche», vol. 8, n. 1, Firenze, Pontecorboli, 1995, pp- 51-56. • P. Marmocchi, C. Dall’Aglio, M. Zannini, Educare le life skills. Come promuovere le abilità psico-sociali e affettive secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, Erickson, Trento, 2004.

R: Il percorso formativo del progetto W L’AMORE si compone di cinque lezioni. Le prime quattro vengono svolte in classe dagli insegnanti, la quinta è realizzata da operatori socio-sanitari degli Spazi Giovani. Ogni lezione è pensata per una durata di 2-4 ore, ma può essere ampliata e integrata con altre attività. Nella prima lezione affrontiamo la domanda “Cosa mi succede?” trattando della pubertà, della masturbazione e dei cambiamenti nella mente, nelle relazioni e nel corpo durante l’adolescenza. Nella seconda chiediamo invece “Che uomo, che donna stai diventando?” analizzando modelli, stereotipi e pregiudizi relativi all’essere uomo e all’essere donna presenti nel nostro contesto familiare, sociale e mediatico. Passiamo poi alla domanda “È amore?”, trattando dell’innamoramento, delle diverse modalità di vivere le esperienze affettive in adolescenza,dell’orientamento sessuale, del cosa significa avere una buona relazione e di come si debbano concludere le relazioni, compreso il tema della violenza. La quarta lezione gravita attorno alla domanda “Decidi tu?”: i temi sono l’assertività nelle relazioni, l’autoconsapevolezza, la comprensione dei sentimenti dell’altro, la capacità di comunicare, l’uso sicuro di internet e la pornografia. L’ultima lezione riguarda i comportamenti sessuali sicuri, la prevenzione di gravidanze indesiderate, le infezioni sessualmente trasmissibili, l’uso dei contraccettivi e infine un po’ di informazioni sui servizi per i giovani offerti dalle aziende sanitarie. D: Sono temi di forte valenza etica. Come vi comportate a questo riguardo? R: Tutto il nostro lavoro, e quindi anche il progetto W L’AMORE, si attiene sempre e rigidamente a quattro principi cardinali: • il rispetto dei diversi background culturali, sociali e religiosi; • il riconoscimento delle differenze valoriali in materia di sessualità; • la considerazione delle diverse modalità con cui i giovani iniziano le relazioni; • il rispetto delle differenze esistenti tra i ragazzi e le ragazze. Chi volesse maggiori informazioni sul nostro operato può trovarle sul sito del progetto: www.wlamore.it. Paola Marmocchi è psicologa e psicoterapeutica. Lavora allo Spazio Giovani dell’Azienda Sanitaria di Bologna.

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R: Posso illustrare l’iniziativa che stiamo propagandando in questo periodo. Il titolo è W L’AMORE. È un percorso formativo su relazioni e sessualità ripreso e adattato dal progetto Long live love, a cura di Soa Aids Nederland e Rutgers WPF, attivo da vent’anni nei Paesi Bassi.Finanziato dalla Regione Emilia Romagna, è stato sviluppato in collaborazione con il dipartimento di psicologia dell’Università di Bologna e quindi implementato dalle aziende sanitarie locali di Bologna, Forlì e Reggio Emilia. Il progetto si rivolge agli studenti e alle studentesse tra i 13 e i 14 anni delle scuole secondarie di primo grado, ai preadolescenti, quindi, una fascia d’età importante nello sviluppo di relazioni, affettività e sessualità. Lavoriamo in stretta collaborazione con gli insegnanti, che vengono a loro volta formati e affiancati nell’affrontare questi temi con gli studenti. È previsto anche un momento informativo iniziale e uno finale per i genitori e la possibilità di effettuare alcuni incontri sulla relazione genitori-figli adolescenti.

D: Quali sono, più specificatamente, i problemi da voi affrontati nelle classi?


Apprendimento socio-emotivo negli USA

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Saperi / Apprendimento socio-emotivo negli USA

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Già da molti anni i programmi SEL sono sperimentati negli Stati Uniti. Un tempo sufficiente per sviluppare un bilancio e metterne in luce alcuni aspetti critici. di Diane M. Hoffman

A

partire dagli anni Novanta SEL (Social and Emotional Learning, ossia l'apprendimento sociale emotivo) è emerso come tema importante e programmatico nelle politiche educative americane, anche sulla scia della crescente preoccupazione per la vulnerabilità sociale e psicologica dei giovani e in considerazione del potenziale ruolo delle scuole nell’aiutarli ad affrontare tali rischi. Secondo alcune stime, nelle scuole nordamericane vengono utilizzati più di duecento programmi SEL. Nel 2001 la National Conference of State Legislators ha approvato una risoluzione che sostiene l’insegnamento delle competenze emotive e sociali nelle scuole, e nel 2004 l’Illinois è diventato il primo Stato a sviluppare standard SEL specifici per studenti delle scuola primaria e secondaria. Centinaia di organizzazioni e siti web sono dedicati al tema, molti dei quali vendono programmi SEL, workshop e materiali curriculari a individui, aziende e scuole. Inoltre, anche se SEL deve ancora diventare un focus significativo dei programmi educativi negli Stati Uniti, vi è una crescente pressione perché sia incorporato nella formazione degli insegnanti. L'American Association of Colleges of Teacher Education ha sviluppato un programma sulle dimensioni morali ed etiche della formazione degli insegnanti che include temi correlati a SEL. Il National Institute of Child Health e lo Human Development and National Association for the Accreditation of Teacher Education raccomandano una particolare attenzione per le competenze sociali ed emotive nella preparazione professionale degli educatori.

Etichettare le emozioni —

Il termine SEL si riferisce a programmi che tentano di migliorare l’intelligenza e l’alfabetizzazione emotiva di abilità e competenze sociali fondamentali: in primo luogo la consapevolezza emotiva, ossia l’essere in grado di riconoscere ed etichettare le proprie emozioni e quelle altrui; ma anche la capacità di esprimere e gestire le emozioni in modo appropriato, prendere decisioni o scelte responsabili, stabilire rapporti sociali positivi e gestire efficacemente situazioni interpersonali difficili. Secondo i suoi sostenitori, uno dei vantaggi dei programmi SEL sta nell’incoraggiare competenze che migliorano l’intero clima emotivo e sociale di una scuola, con effetti benefici su tutti gli studenti, non solo quelli “a rischio”. Un dato che, in un cli-


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ma di crescente attenzione per gli standard e per l’accountability, esercita una grande influenza sulla politica educativa e sulla propensione a adottare i programmi SEL. D’altra parte, l’interesse degli educatori verso SEL è alimentato anche dalla accentuata percezione della crisi sociale in atto, che tende a considerare molti problemi giovanili (comportamenti a rischio, violenza e bullismo) come risultato di un’inadeguata socializzazione emotiva. Molti sostenitori di primo piano di SEL affermano che la prevalenza di comportamenti problematici nei ragazzi sia la ragione più convincente per intraprendere una sistematica educazione sociale ed emotiva nelle scuole. Nonostante l’onda crescente di interesse verso SEL, il fatto che questi programmi siano basati su

ricerche serie è oggetto di dibattito, e gli aspetti potenzialmente critici di una loro adozione aproblematica devono essere considerati. In primo luogo va sottolineato che negli argomenti dei difensori dei legami fra competenze emotive sociali e successo personale domina un’enfasi strumentale. Gli entusiasti di SEL sostengono che questo programma, oltre a portare gli studenti al successo personale e accademico, abbia anche benefici effetti sugli insegnanti, dando loro la sensazione di avere più controllo di quelle classi che trovano difficili da gestire. Ma quali sono le conseguenze sulle relazioni umane quando il focus è posto sulle competenze comportamentali e cognitive, e quando le emozioni sono valutate come strumenti per il successo personale piuttosto che un bene in sé?

↑ Caricatura della scuola americana pubblicata nel 1899 su «Puck Magazine» (Wikimedia Commons).


Il rischio è promuovere un approccio strumentale e decontestualizzato alle emozioni in classe,tale da favorire la misurabilità e l’efficienza ma incapace di valorizzare qualità non quantificabili.A dispetto delle retoriche centrate sul prendersi cura degli altri e su valori olistici come la comunità e la democrazia, quando il focus è sulle competenze, sulla misurazione e sui risultati, è forte la possibilità che siano dimenticati aspetti più genuini e forse meno quantificabili della vita emotiva, sia nella vita di classe sia in generale nelle relazioni umane. La seconda possibile critica ai programmi SEL è che, da un punto di vista culturale, i tipi di competenze che essi identificano attingono a un’idea molto specifica di emozione, da intendersi cioè come uno stato interno della coscienza individuale che richiede un controllo attivo per essere canalizzato in modi socialmente positivi e sani. L’ enfasi è posta sul “calmare”, sul “disinnescare” emozioni che potrebbero altrimenti “traboccare” portando gli individui ad agire in maniera impulsiva. La letteratura SEL raccomanda pratiche di individuazione delle emozioni che prevedono la loro verbalizzazione, tecniche di visualizzazione o esercizi di respirazione. Identificare, etichettare e parlare delle emozioni sono considerate vere e proprie competenze. Già nelle prime classi delle elementari, ad esempio, i bambini dovrebbero essere in grado di riconoscere e denominare con

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→ Insegnante e allievi, fotografia che illustra la voce Scuola elementare negli Stati Uniti in Wikipedia.

il loro nome specifico emozioni semplici come tristezza,rabbia e felicità.Non va dimenticato,però, che la lunga tradizione di studi delle emozioni in contesti culturali non occidentali, e le norme sull’espressione,sull’esperienza e sulla regolazione delle emozioni sono fortemente condizionate dalla cultura.Non tutte le culture,infatti,interpretano le emozioni allo stesso modo, né prevedono lo stesso tipo di risposte regolative o espressive della classe media bianca americana, come la verbalizzazione. La linguista polacca Anna Wierzbicka, sfidando le pretese universali della maggior parte della ricerca psicologica sulle emozioni, ha messo in luce come, a differenza delle forme di espressione delle emozioni di altri Paesi, quella anglo-americana ponga grande enfasi sul controllo del comportamento e sull’idea che esprimersi comporti necessariamente il parlare dei propri sentimenti. In molti modi, dunque, le abilità incoraggiate dai programmi SEL riflettono le nozioni angloamericane di come le emozioni funzionano, ossia di quelle che possiamo definire le “teorie popolari” dell’emozione. L’antropologo dell’educazione Joseph Tobin ha mostrato che il valore attribuito al “parlare delle proprie emozioni” riflette specifici valori culturali della classe media bianca nordamericana, e quindi della dottrine psicologiche egemoni che di quei valori sono permeate. Il potere di questa ideologia si


Il Giappone: un modello alternativo —

Questo punto appare più chiaro se si pongono a confronto l’approccio americano e giapponese al comportamento infantile problematico. In entrambi i contesti l’obiettivo è lo stesso: lo sviluppo dell’auto-controllo degli studenti. Ma l’approccio giapponese non si focalizza su regole, contratti o interventi fisici repressivi come il rimuovere i bambini dalla classe, ma sulla coltivazione di legami positivi d’attaccamento e d’appartenenza fra gli studenti e fra studenti e insegnanti. Definire i problemi dei bambini in termini di autocontrollo individuale, come nell’approccio americano, o in alternativa di insufficienza nella gestione dei rapporti sociali, come nel caso giapponese, cambia il tipo di risposta che si propone alla situazione problematica. Negli Stati Uniti un problema individuale richiede una soluzione individuale (time out, rimozione dalla classe), che rinforza ulteriormente la separazione dell’individuo dal gruppo. In Giappone il comportamento negativo non è mai un problema individuale: significa piuttosto che il bambino ha bisogno di una maggiore connessione

emotiva con la classe e con l’insegnante, cosa che rende i provvedimenti di segregazione molto rari. Piuttosto, gli insegnanti raddoppiano gli sforzi per connettere il bambino alla classe, magari prestandogli un’attenzione particolare e privilegi particolari, o usando altri tipi di incoraggiamento emotivo. Le maestre giapponesi mettono in atto discorsi sulle emozioni positive (unità, felicità, entusiasmo, gioia), non centrati sull’osservanza delle regole o su contratti di comportamento.

I giochi di ruolo emozionali —

Anche se molti programmi SEL sottolineano il ruolo chiave delle relazioni spirituali empatiche, del supporto e della cura fra studenti e fra studenti e insegnanti, la loro operatività pratica si avvale di attività strutturate come il role-play. È un particolaQuando si tratta di re tipo di esercitazione che pensare pratiche reali di richiede ai partecipanti di gestione della classe, il svolgere, per un tempo limitato, il ruolo di “attori”, discorso sulle competenze di rappresentare cioè alcuni emotive si trasforma in ruoli in interazione tra loro, pratiche di controllo. mentre altri partecipanti fungono da “osservatori” dei contenuti e dei processi che la rappresentazione manifesta. Si tratta in pratica di una rappresentazione improvvisata e quasi teatrale di situazioni problematiche che possono presentarsi nell’esistenza quotidiana. Viene messo in atto un “incidente” e si dà ai partecipanti l’opportunità di riesaminare il proprio atteggiamento, esercitarsi e sperimentare nuove forme di condotta, enfatizzare differenti punti di vista e ricevere un feedback sul proprio comportamento. Quello che accade in sostanza è che, quando si tratta di pensare pratiche reali di gestione della classe, il discorso sulle competenze emotive si trasforma in pratiche di controllo, fondate su regole e contratti. La sostanza è così sostituita dalla struttura; i sentimenti dai moduli. Di più: la cura reciproca e l’idea di comunità sono concepite come nozioni che gli insegnanti insegnano ai bambini inducendoli a comportarsi in modi appropriati.Diventano lezioni tenute dagli insegnanti ai bambini piuttosto che emozioni profondamente sentite e incorporate nei rapporti umani che attraversano la classe e quindi, forse, come emozioni che anche gli stessi insegnanti hanno bisogno di sviluppare.

Le conseguenze politiche —

Un ultimo aspetto critico di SEL riguarda il modo in cui l’enfasi sulle competenze individuali misurabili si collega alle opportunità civili ed educative della società statunitense. Derivano infatti importanti conseguenze politiche, sociali ed etiche dal fatto che SEL sia definita come una competenza

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palesa appieno nell’educazione infantile americana. La letteratura educativa incoraggia tecniche e strategie per insegnare ai bambini il controllo delle loro emozioni attraverso esercizi di respirazione, o addirittura con l’aiuto di sistemi tattili e visivi basati su una segnaletica luminosa simile a quella dei semafori, in cui il rosso sta per “stop, identifica il sentimento”; il giallo per “considera soluzioni alternative” e il verde per “scegli il miglior piano e portalo avanti”. Ma esistono anche giocattoli per calmarsi, come Impulsive Puppy, Slow-Down Snail Puppets, and Be-Calm Bunny Plush Toy. Un altro strumento molto usato è l’allarme “freeze”: una sveglia che, messa in azione dagli educatori, intima ai bambini di fermarsi immediatamente smettendo di fare ciò in cui erano impegnati finché un altro segnale sonoro li avvisa che possono tornare a muoversi. Alla base di questi programmi, così come ai time-out (ossia all’imposizione di una pausa forzata nell’attività del bambino) e alla espulsione dei bambini dalla classe, sta una visione dei problemi comportamentali come mancanza di controllo. Certamente queste tecniche possono facilmente essere usate dai genitori e dagli insegnanti per cancellare o per mitigare le emozioni dei ragazzi difficili da gestire. Ma come si relazionano all’ideale di una classe emotivamente reattiva? Anche se a breve termine questi approcci risolvono il problema dei comportamenti turbolenti in classe, a lungo termine non affrontano la questione più ampia e più profonda dell’integrazione dei singoli studenti nella comunità della classe e della scuola.


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↑ Un momento di un corso di creative facilitation in una scuola canadese (Wikimedia Commons).

individuale. Per i sostenitori di SEL, essere in grado di distinguere tra bambini più o meno emotivamente competenti fin dall’età di quattro anni permette interventi precoci. Ma come devono essere confrontati i deficit delle competenze emotive con altri tipi di difficoltà? Avere un deficit SEL influenza un bambino in modo diverso dall’avere problemi di altro tipo? Quali sono i costi relativi all’intervento rispetto al non intervento? La prospettiva adottata dai ricercatori statunitensi spesso lega il deficit al rischio,proclamando che i bambini che non hanno competenze minime nei loro primi rapporti sociali con i coetanei sono a rischio di una serie di altri fallimenti successivi, sia accademici sia sociali. Eppure, quando il focus è su ciò che è “sbagliato” nel singolo bambino e su cosa si può fare per cambiarlo, l’attenzione si allontana da aspetti altrettanto se non più importanti: ciò che si può fare per cambiare i contesti sociali e culturali in cui il bambino è immerso. Probabilmente, un’analisi più veritiera delle emozioni nelle esperienze scolastiche richiede meno attenzione verso ciò che un bambino sa o non sa fare e più su quello che noi come cultura e come società valorizziamo nel definire il ruolo delle emozioni nella scuola e nella vita. L’obiettivo di favorire il senso di appartenenza e di attaccamento degli studenti agli insegnanti e ai compagni di classe è altamente auspicabile, ma non ci sono

indicazioni chiare che i programmi SEL siano l’unico strumento o il migliore per sviluppare tali sentimenti. L’educazione affettiva è da anni sostenuta da un movimento internazionale; gli educatori statunitensi possono e devono studiare approcci tipici delle minoranze e delle comunità di immigrati negli Stati Uniti e programmi innovativi di altri Paesi. In Italia, e in molti altri luoghi del mondo in cui viene utilizzato, l’approccio alla formazione secondo il modello di Reggio Emilia fornisce, ad esempio, un modello di insegnamento del senso di comunità e di cura reciproca in grado di evitare gli eccessi dell’approccio individualista e comportamentista americano. Tratto da: D. M. Hoffman, Reflecting on Social Emotional Learning: A Critical Perspective on Trends in the United States, in «Review Of Educational Research», n. 79, 2009. Traduzione a cura di Francesca Nicola.

Diane M. Hoffman è docente di Antropologia dell’Educazione presso la University of Virginia.


Le politiche di partenariato fra scuola e famiglia Nonostante l’opinione positiva largamente diffusa fra gli educatori, le ricerche scientifiche considerano con molta prudenza gli effetti della collaborazione fra scuola e famiglia. Suggeriscono anche che un’eccessiva insistenza su questo tema produca conseguenze discriminanti sul piano sociale.

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L

’idea del coinvolgimento dei genitori nella vita scolastica dei figli è da molti anni al centro delle politiche educative statunitensi. Compariva già nel 1994 come ottavo punto di Goals 2000, il manifesto programmatico dell’allora Presidente Bill Clinton relativo alle direzioni da intraprendere per riformare l’educazione americana. Un documento, da molti considerato come il precursore della riforma della scuola americana No Child Left Behind del 2001, che stimolava con contributi economici gli Stati ad assicurarsi che entro il 2000 ogni scuola promuo-

vesse una collaborazione con i genitori. Anche in Italia sin dagli anni Settanta è andata emergendo con crescente convinzione l’idea che la cooperazione delle famiglie come partner della scuola costituisca un fattore determinante per il successo formativo degli alunni. Nel 1992 l’EPA (European Parenting Association), che riunisce le associazioni europee di genitori, ha elaborato una Carta dei diritti-doveri parentali basata su un binomio: a ogni diritto genitoriale si accompagna anche un reciproco dovere. La ricerca dell’OCSE del 1997, Les parents partenaires de l’école, ha analizzato a fondo il tema delle

↓ Un momento di partecipazione dei genitori alla vita scolastica (Wikimedia Commons).

Saperi / Le politiche di partenariato fra scuola e famiglia

di Francesca Nicola


competenze educative e indagato la diffidenza di molti insegnanti verso una cooperazione con le famiglie. Sancendo il principio della distribuzione paritaria della responsabilità educativa tra scuola e famiglia, la ricerca stabiliva che nessuna delle due istituzioni ha la possibilità di conseguire separatamente dall’altra risultati validi per quantità o qualità. Ne è scaturita una definizione della cooperazione fra genitori e scuola come “una relazione di lavoro caratterizzata da comuni obiettivi, rispetto reciproco e volontà di negoziare”. Sempre nel segno di incentivare la partecipazione genitoriale, un decreto ministeriale del 18 febbraio 2002 ha istituito il Forum Nazionale delle Associazioni dei Genitori della Scuola (FoNAGS) presso il MIUR. Si tratta di un tavolo permanente di consultazione sui problemi scolastici del Ministero con l’associazionismo familiare. Oltre alla produzione di alcuni documenti di indirizzo sulla riforma della scuola e degli organi collegiali, il FoNAGS fino ad oggi si è espresso principalmente attraverso il Progetto Genitori, promosso nel 2003 nel tentativo di mettere in rete le buone pratiche di cooperazione scuola-famiglia delle singole istituzioni scolastiche, successivamente pubblicizzate nella giornata europea dei genitori promossa ogni anno dalla Commissione Europea.

La ricerca / N. 7 Nuova Serie. Novembre 2014

Saperi / Le politiche di partenariato fra scuola e famiglia

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Il Forum dei genitori: un progetto con molte difficoltà —

Pur essendo apprezzabile l’entusiasmo e il diffuso sostegno ai programmi di partecipazione genitoriale,alcuni aspetti meritano un approfondimento critico. Va in primo luogo sottolineato che, al di là di alcune esperienze positive svolte in Toscana, a Bergamo e a Modena, l’ultima pubblicazione nella pagina del sito ministeriale dedicato al FoNAGS risale al marzo 2006. Al di là della mancata implementazione del progetto, è abbastanza chiaro che l’istituzione dei forum non può risolvere il problema del coinvolgimento delle famiglie in modo sistemico: esso infatti si Il genitore che approda rivolge ai genitori operanti all’associazionismo è nelle associazioni, che, pure se diffuse su tutto territorio consapevole di agire in nazionale, rappresentano uno spazio pubblico per un fenomeno limitato nella esigenze non individuali tradizione culturale del noma coerenti con l’interesse stro Paese. Il genitore che generale. approda all’associazionismo è già sensibilizzato e partecipe, consapevole di agire in uno spazio pubblico non per esigenze individuali o corporative, ma coerenti con l’interesse generale. Infine, c’è da chiedersi se la partecipazione dei genitori alla vita scolastica dei figli non sia stata

assunta a priori come un principio sempre intrinsecamente positivo, sottovalutandone i possibili rischi. Fino ad ora poche ricerche sono state dedicate a questa particolare area di studio; recentemente, però, ne è stata pubblicata una piuttosto interessante, specificamente finalizzata a comprendere se il coinvolgimento scolastico dei genitori sia sempre davvero utile. Keith Robinson, dell’Università del Texas ad Austin, e Angel L. Harris, della Duke University, entrambi docenti di sociologia, hanno scoperto che il coinvolgimento genitoriale in ambito scolastico non sempre è positivo. I due ricercatori hanno elaborato indagini longitudinali su genitori americani e sui loro rapporti con la scuola distinguendo fra 63 diversi tipi di partecipazione scolastica genitoriale, che hanno poi messo a confronto con il rendimento scolastico dei figli. In The Broken Compass: Parental Involvement With Children’s Education hanno dimostrano che il coinvolgimento di padri e madri nell’educazione dei figli non aiuta a migliorare il loro punteggio nei test di lettura e di matematica. Una volta che i ragazzi entrano nella scuola media, poi, l’aiuto dei genitori nei compiti potrebbe contribuire perfino ad abbassare i loro voti; un effetto causato probabilmente dal fatto che molti genitori possono aver dimenticato, o non aver mai realmente capito, ciò che i figli stanno imparando a scuola. Allo stesso modo, gli studenti i cui genitori incontrano con frequenza gli insegnanti e il preside hanno risultati del tutto comparabili con gli altri, i cui genitori si fanno vedere a scuola molto meno. In breve, essere molto attivi nella scuola dei figli non migliora il loro rendimento. È dunque possibile sostenere che la ricerca non abbia ancora fornito prove convincenti a supporto della positività delle politiche nazionali, statali e locali tendenti al coinvolgimento dei genitori. Scarse, inoltre, sono le analisi delle modalità con le quali i genitori affrontano il rapporto con i figli. Uno dei pochi studi dedicato a questo tema è della sociologa americana Annette Lareau, la quale, a partire dagli anni Novanta, ha sistematicamente messo in relazione la differente collaborazione scolastica di diversi gruppi di genitori con la quantità di risorse sociali e culturali a loro disposizione, con particolare riferimento alle competenze educative, alla flessibilità occupazionale, alla disponibilità economica e all’insrimento in reti sociali.

L’importanza delle risorse sociali —

Nel 1996, insieme a Wesley Shumar, Annette Lareau ha pubblicato uno studio fondato sui dati raccolti dall’antropologa Adrie Kusserow in una ricerca etnografica fra bambini bianchi delle classi media, lavoratrice e svantaggiata (ossia sotto assistenza pubblica) di una piccola città del Midwest e di una


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Figli di minatori di carbone in una scuola elementare del Kentucky, 1946, National Archives, College Park, Maryland.


metropoli del nord-est degli Stati Uniti. I genitori studiati da Kusserow, sottolinea Lareau, affrontano le interazioni famiglia-scuola con competenze differenti. Sia i genitori diplomati sia quelli che non avevano terminato la scuola superiore avevano difficoltà con le materie della scuola elementare e secondaria. Ad esempio, in una partita di baseball, Le informazioni Kusserow ha visto un padre sulla vita scolastica a della classe lavoratrice sotdisposizione dei genitori trarre 8 a 13 contando con le dita. Una donna afroamesono fortemente ricana con un diploma di dipendenti dal ceto scuola superiore non era in di appartenenza. grado di convertire l’altezza di suo figlio da 59 pollici a 4 piedi e 11 pollici. La stessa madre ha anche avuto difficoltà a capire una lettera del dipartimento del Welfare e ha vacillato sulla parola “eredità” nel leggere un biglietto di compleanno per la nipote di tre anni. Una donna bianca della classe lavoratrice, diplomata al liceo, ha impiegato circa quattro minuti per leggere una lettera di una pagina di un insegnante che chiedeva il permesso perché la figlia si unisse alla gita di un’altra classe. Una madre appartenente alla categoria degli svantaggiati ha detto al nipote che non poteva aiutarlo con le frazioni; questi avrebbe dovuto aspettare che il fratello grande tornasse a casa. Un’altra ha raccontato quanto fosse “imbarazzato” il padre di suo figlio, che aveva lasciato la scuola in prima superiore, per non poter aiutare il bambino con i compiti di terza media. Al contrario di questi genitori con un livello educativo tanto basso da rendere impossibile un supporto educativo ai figli, i genitori laureati osservati da Kusserow non hanno avuto difficoltà nell’aiutare i figli con i compiti o nel leggere le comunicazioni della scuola. Sulla base di questi dati Lareau ha sottolineato come, concentrandosi sull’importanza che i genitori aiutino i figli,le politiche sociali famiglia-scuola aggirino la questione del differenziale delle competenze educative fra i genitori, ignorando l’impatto negativo sulla dignità e sull’autorità dei genitori quando la limitatezza delle loro conoscenze è messa a nudo. In secondo luogo Annette Lareau ha evidenziato come i genitori osservati da Kusserow godessero anche di diversi livelli di flessibilità lavorativa per partecipare agli incontri famiglia-scuola. Pur avendo occupazioni impegnative, i genitori della classe media erano nel complesso in grado di cambiare l’orario per adeguarsi alle richieste della scuola molto più facilmente di quanto potessero fare i genitori delle classi inferiori. I genitori della classe operaia, pagati a ore, non possono programmare l’orario di lavoro per partecipare agli eventi scolastici. I genitori del ceto più basso, invece, pur non avendo vincoli di lavoro, avevano altri ostacoli,

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Saperi / Le politiche di partenariato fra scuola e famiglia

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quali la mancanza di un mezzo trasporto personale e il dover badare ad altri figli. Queste differenze nelle risorse sociali sono generalmente invisibili agli educatori, i quali, utilizzando un modello individualista, tendono spesso a interpretare gli sforzi dei genitori di partecipare alla vita della scuola come un indice specifico del loro livello di coinvolgimento.

La differenza fra reti deboli e dense

— Oltre alla flessibilità professionale, i gruppi di genitori studiati da Kusserow hanno anche mostrato un differente accesso alle reti sociali associate alla scuola. Le madri della classe media erano situate in un sistema strutturale di reti sociali dense, che le collegava ad altre mamme della comunità scolastica, mentre i genitori più svantaggiati avevano deboli reti sociali con altri genitori della scuola. Lareau argomenta che le reti sociali deboli hanno ripercussioni sulle relazioni famiglia-scuola. I genitori che non incontrano altri genitori della scuola non hanno accesso alla stessa gamma di informazioni sull’istruzione dei propri figli di quelli con reti sociali dense.La maggior parte dei genitori della classe operaia e di classe inferiore hanno riferito di non aver mai ricevuto informazioni sugli insegnanti da altri genitori. La loro conoscenza del personale della scuola era limitata a quello che i loro figli dicevano loro. Nei pochi casi in cui hanno riferito di aver sentito qualcosa sugli insegnanti da altri adulti, le informazioni erano molto vaghe, anche quando implicavano accuse gravi, come quella di un insegnante che aveva picchiato i bambini. Molti genitori non sapevano nemmeno i nomi degli insegnanti dei loro figli, e alcuni ricordavano solo i nomi di quelli degli anni precedenti. La maggior parte della letteratura a favore di una maggiore coinvolgimento delle famiglie nelle attività scolastiche sostiene che questa abbia conseguenze positive per i bambini. Non solo queste convinzioni sono contestabili, ma le possibili opzioni alternative sono trascurate. Dando per scontato che la partnership fra genitori e scuola produca consenso e armonia, le politiche educative che promuovono il coinvolgimento familiare possono aumentare il sentimento di paura e di vulnerabilità che molti genitori sentono verso la scuola. Spesso, inoltre, inviano messaggi confusi ai genitori: affermano di desiderare il loro coinvolgimento, quando in realtà chiedono un comportamento positivo e deferente.

Francesca Nicola è dottore in Antropologia alla Università Bicocca di Milano.



dossier

Il muro e il suo ricordo: Berlino prima e dopo

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Dossier / Il muro e il suo ricordo: Berlino prima e dopo

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Nella notte del 9 novembre 1989 il muro di Berlino era abbattuto da una folla entusiasta. Con l’aiuto delle immagini e della testimonanza del professor Giorgio Motta cerchiamo di capire come si viveva nella città divisa. E perché oggi molti dimostrino nostalgia per quel passato. di Giorgio Motta

K

laus Wowereit, il sindaco socialdemocratico, l’ha definita «povera ma sexy», alludendo da una parte all’indebitamento, dall’altra alla vitalità e alla forza d’attrazione che esercita soprattutto sui giovani. Una metropoli dinamica, in continua evoluzione, proiettata verso il futuro: è questo dunque il frutto della decisione (presa dal Bundestag all’indomani della ritrovata unità nazionale) di ridare a Berlino il suo ruolo di capitale. Il turista che arriva per la prima volta in questa città ed è già stato a Londra o Parigi, forse resta inizialmente un po’ deluso. Non ci si innamora di Berlino a prima vista; occorre conoscere il suo passato, la sua storia. Senza coordinate storiche, soprattutto relative al XX secolo, non si riesce a capire e amare la città. Il 9 novembre 1989 è la data spartiacque.La caduta del muro segna l’inizio di una nuova era, di cui la futuristica cancelleria è l’emblema. Prima era il muro, che per 28 anni ha diviso non solo la città, ma la Germania, l’Europa e il mondo intero. Da una parte, gli Stati Uniti e la NATO, dall’altra, l’Unione Sovietica e i Paesi del Patto di Varsavia. Berlino rispecchiava nel piccolo la divisione del mondo; era la città dove si avvertivano prima che altrove le tensioni internazionali.Un microcosmo politico affascinante e allo stesso tempo inquietante.

Sala dedicata al muro di Berlino al Newseum di Washington, D.C. (Wikimedia Commons).


39 Dossier / Il muro e il suo ricordo: Berlino prima e dopo


Il mio primo impatto con la Berlino divisa risale al 1981. Fresco di studi di germanistica, ero approdato presso una società che, pur avendo sede in Italia, aveva due uffici in “Germania”: uno a Berlino Ovest, all’inizio della Ku’damm, e l’altro a Berlino Est, al 14° piano dell’Internationales Handelszentrum, situato nella Friedrichstraße. All’inizio non mi era ben chiaro quale sarebbe stato il mio ruolo di pendolare tra le due parti della città: l’avrei capito solo con l’esperienza sul campo. La società per cui lavoravo svolgeva attività di intermediazione tra l’apparato ministeriale della DDR e aziende occidentali interessate a partecipare a gare di appalto per la costruzione di impianti ad alta tecnologia. Questo era un aspetto dell’attività. Ma ce n’era un altro, più oscuro, non ufficiale. Imparai subito il significato della parola Kompensationsgeschäfte. Ecco di cosa si trattava: ultimata la

Dossier / Il muro e il suo ricordo: Berlino prima e dopo

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La segretaria è una spia. Le pareti sono piene di cimici. Il mio capo mi ripeteva sempre queste frasi ogni volta che ci si recava all’ufficio di Berlino Est.

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costruzione dell’impianto, che la DDR pagava in valuta, il contratto prevedeva che almeno una parte dell’importo sborsato rientrasse nelle casse dello Stato tramite l’acquisto di prodotti made in East-Germany. Ecco quindi il mio compito: trovare acquirenti di merce DDR, dai succhi di frutta agli stivali di gomma. L’importante era che la DDR esportasse, incassando così valuta.

Due città in una sola —

È stato il pendolarismo tra Berlino Ovest e Berlino Est a farmi capire cosa significasse il “muro” nella vita di tutti i giorni. Pochi chilometri dividevano in linea d’aria i due uffici. Oggi, con

la S-Bahn, 15 minuti di comodo viaggio tra Zoologischer Garten e Friedrichstraße; allora, un viaggio la cui durata non era prevedibile: poteva durare mezz’ora o due ore. Tutto dipendeva dai tempi di attesa al checkpoint. Il viaggio in auto era senz’altro quello più…avventuroso.Sebbene avessi un Dauervisum (visto a lungo termine), il controllo era un rituale che si ripeteva sempre secondo uno schema fisso: ritiro del passaporto, dichiarazione che non si introduceva stampa occidentale,indicazione di quanta valuta si aveva nel portafogli… Nell’attesa, l’auto veniva ispezionata: bisognava scendere, aprire cofano e bagagliaio, ribaltare i sedili posteriori. Un poliziotto controllava con uno specchio il fondo dell’auto, un altro infilava un filo d’acciaio nel serbatoio per verificare che questo non fosse stato manomesso facendo così spazio per un eventuale nascondiglio. E una volta ripartito, il senso di ansia continuava ad accompagnarmi durante il breve tragitto dal checkpoint Charlie all’Internationales Handelszentrum. Non c’era un motivo particolare. Era semplicemente il trovarsi alla guida di una Mercedes targata Berlino Ovest tra le strade di Berlino Est, affiancato da Trabi scoppiettanti. «La segretaria è una spia. Le pareti sono piene di cimici». Erano frasi che il mio “capo” mi ripeteva ogni volta che ci si recava all’ufficio di Berlino Est. Nella mia ingenuità pensavo si trattasse di fisime. Si trattava invece di timori fondati e reali come ha poi anche documentato il film Le vite degli altri. E così, quando nel 1991, al termine di una visita guidata in quello che era stato il Ministerium für Staatssicherheit, vidi dei moduli per verificare se il proprio nome comparisse negli archivi della Stasi, ripensando al mio passato di pendolare tra Berlino Ovest e Berlino Est,lo compilai.E scoprii che c’era una cartella a mio no-

me, con una serie di informazioni su di me e sulla mia attività. Berlino Ovest era una vera e propria enclave occidentale, un avamposto capitalista all’interno della DDR. Godeva di uno stato giuridico particolare, frutto del Trattato del 1971, per il quale i tre settori occidentali della città non erano territorio della Repubblica Federale. Tuttavia, il governo di Bonn ha di fatto sempre considerato Berlino Ovest come un proprio Land. Allora, Berlino Ovest non era una città invitante e accogliente: il solo fatto che, per arrivarci, occorresse passare due volte la frontiera, rendeva la vita difficile. Gli anni della divisione hanno così visto una diminuzione demografica: nel 1961, nei tre settori occidentali della città vivevano 2,2 milioni di abitanti; nel 1985 solo 1,8 milioni. La Repubblica Federale ha abilmente fronteggiato questo fenomeno con misure economiche e facilitazioni atte a indurre la gente a restare o, ancora meglio, a trasferirvisi. Particolarmente allettante per i giovani in età di leva era l’idea che, abitando a Berlino Ovest, si fosse esentati dal servizio militare.

I quartieri di frontiera —

Dopo la costruzione del muro, si assistette allo spopolamento degli edifici che si trovavano nelle immediate vicinanze del nuovo confine: chi poteva, si spostava in quartieri più centrali per sottrarsi alla visione della disumana frontiera. Così, i prezzi crollarono e questi edifici vennero abitati da studenti o da coloro che, allora, venivano chiamati Gastarbeiter, lavoratori stranieri, in prevalenza turchi. Si spiega così perché un quartiere come Kreuzberg sia oggi una vera e propria città turca. Molti edifici rimasero vuoti, abbandonati per anni, finché vennero occupati da giovani alternativi alla ricerca di spazi per quelle che allora si chiamavano Kommunen, comu-


La nostalgia del passato e la nuova Nazionale —

“Rivoglio il mio muro!”. Frasi simili, anche se pronunciate magari sottovoce, cominciarono a circolare: erano sintomatiche di una divisione che si

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era creata nella testa dei berlinesi dell’Ovest e che non poteva sparire dall’oggi al domani. Da una parte i Wessis, dall’altra gli Ossis: negli anni Novanta Berlino rimaneva ancora una città divisa, anche se il muro non c’era più. I tedeschi dell’Est si resero conto ben presto che il sistema economico occidentale, quel capitalismo che visto da lontano prometteva un facile benessere, era tutt’altro che umano. Ora erano senza lavoro, in un appartamento non più di proprietà dello Stato,il cui affitto era passato da 50 Ost-Mark a 500 D-Mark,senza sentirsi parte della stessa città, dello stesso Paese. Fu così che all’Est si sviluppò la cosiddetta Ostalgie, una pericolosa nostalgia che riabilitava un passato fatto sì di libertà mancate e che era alimentata dalla sensazione di essere considerati cittadini di serie B. Una tendenza che si è assopita con il tempo e con l’avanzare di una nuova generazione che, di quel passato, aveva solo sentito parlare o, al massimo, aveva un vago ricordo. Per 28 anni la Porta di Brandeburgo è stato il simbolo della città divisa. Le immagini festose di tutti i berlinesi abbracciati sul muro la notte del 9 novembre 1989 ne hanno fatto il simbolo della Germania unita. Ora, 25

anni dopo quegli straordinari avvenimenti, un’altra immagine ha acquisito una nuova dimensione storica: quella delle decine di migliaia di berlinesi, senza più distinzione tra Est e Ovest, che affollano la cosiddetta Fanmeile per festeggiare, assieme alla Nazionale di calcio, il titolo mondiale vinto in Brasile. È l’immagine di un Paese cresciuto, divenuto maggiorenne, che ha finalmente trovato unità e coesione. In questo senso si può forse dire che il 2014 segna la fine del “dopo-muro”, proiettando la Germania verso un futuro che la vedrà sempre più spesso chiamata ad assumere decisioni da vera protagonista della scena politica europea e mondiale. Giorgio Motta già professore a contratto presso lo IULM di Milano nonché presso la SILSIS dell’Università di Bergamo, è attualmente docente di Lingua e Civiltà tedesca presso il Liceo Linguistico Statale A. Manzoni di Lecco. È autore di diversi manuali Loescher per la scuola secondaria di primo grado (Wir, Magnet, Wir Zwei, Magnet Neu), di secondo grado (Direkt, Exakt), di eserciziari (Wir Plus, Magnet plus, Übungsheft exakt, Wir im Sommer), di una grammatica (Grammatik direkt, Grammatik direkt Neu) nonché di materiali integrativi (Exaktplus, Erzählungen, Von der Teilung zur Vereinigung).

↑ Una Trabant, o Trabi, l’auto di massa della DDR. August Horch Museum, Zwickau, Germania.

Dossier / Il muro e il suo ricordo: Berlino prima e dopo

nità dove tutto veniva condiviso (sesso e hashish compresi). I contatti tra i cittadini delle “due città” si fecero col tempo sempre più rari. Le cose migliorarono con la Ost-Politik del cancelliere Willy Brandt: il Trattato Base tra Repubblica Federale e Repubblica Democratica Tedesca (1972), infatti, regolava anche i rapporti personali tra i cittadini dei due Stati. Teoricamente, quelli della Germania Est avrebbero potuto recarsi in visita all’Ovest. In realtà, la prassi per ottenere un permesso durava anni e sottoponeva i cittadini dell’Est a una vera e propria vessazione. Le cose erano più semplici per i cittadini della Repubblica Federale (e di Berlino Ovest). Finché, verso la metà degli anni Settanta, la DDR decise di introdurre un cambio obbligatorio D-Mark/Ost-Mark per tutti i visitatori: a metà degli anni Ottanta tale somma era di 25 D-Mark a testa e al giorno. Tale azione finì per scoraggiare presto le visite. I grandi spazi e il fatto che Berlino Ovest non fosse soggetta ad alcun pendolarismo ne avevano fatto una città senza congestionamenti, con un traffico scorrevole, dove la gente aveva l’impressione di vivere in un piccolo-grande villaggio. Tutto cambiò dopo il 9 novembre 1989. L’euforia e la gioia per l’inaspettata caduta del muro lasciarono presto il posto a un senso di straniamento. Improvvisamente Berlino Ovest si era riempita di gente, di berlinesi dell’Est, di cittadini della DDR, ma anche di innumerevoli visitatori, curiosi e giornalisti. La città si era come risvegliata da un sonno profondo…


Quale futuro per la Germania sconfitta? Dossier di Giorgio Motta ← Churchill, Truman e Stalin alla conferenza di Potsdam, una cittadina alle porte di Berlino, nel 1945.

Dossier / Quale futuro per la Germania sconfitta?

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→ (pagina a fianco) Manifesto commemorativo in occasione del primo decennale della Repubblica Democratica Tedesca.

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na settimana dopo il suicidio di Hitler nel bunker di Berlino, la Germania si arrese: il 7 maggio 1945 il generale Alfred Jodl firmò a Reims, nel quartier generale americano, la resa incondizionata. Il giorno dopo, il generale Wilhelm Keitel ripeté l’atto nel quartier generale sovietico a Berlino. Già nell’estate, i “tre Grandi”, ovvero il presidente americano

“Berlino Ovest, costituita dai

tre settori degli alleati, divenne un’enclave occidentale all’interno della zona sovietica.

Truman, il primo ministro inglese Churchill e il leader del partito comunista sovietico Stalin, si incontrarono a Potsdam

per discutere sul futuro della Germania. Sebbene non si trattasse di una conferenza di pace, le decisioni prese e il conseguente status quo finirono per assumere un carattere definitivo. Il primo punto all’ordine del giorno riguardava la questione dei confini: la Germania venne suddivisa in quattro zone di occupazione (una anche per la Francia), e i territori a Est della linea Oder-Neiße (Slesia, Pomerania e Prussia Orientale), non considerati zona di occupazione, vennero affidati provvisoriamente alla Polonia e all’Unione Sovietica. Anche Berlino fu divisa in quattro settori. Berlino Ovest, costituita dai tre settori degli alleati, si ritrovò così a essere un’enclave occidentale all’interno della zona di occupazione

sovietica. Una situazione che avrebbe causato tensioni tra gli alleati e l’Unione Sovietica. Venne inoltre stabilito un cosiddetto Programma delle 3 D: la Germania avrebbe dovuto essere democratizzata, demilitarizzata e denazificata. Un piano alquanto vago nella sua formulazione che trovava però tutti d’accordo. I problemi iniziarono quando si passò poi alla attuazione di questo programma. La crisi di Berlino del 1948 (cioè il tentativo di Stalin di inglobare i settori occidentali nella zona sovietica bloccando il rifornimenti e il successivo ponte aereo degli Stati Uniti) pose fine all’illusione che le quattro potenze vincitrici potessero realmente amministrare la Germania di comune accordo mantenendo così l’unità del Paese.


La nascita di due Stati tedeschi 43 Dossier / La nascita di due Stati tedeschi

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a crisi di Berlino aveva mostrato come il tentativo di gestire e risolvere di comune accordo il “problema” Germania fosse fallito. I contrasti tra gli ex-alleati erano ormai così evidenti che si iniziò a pensare concretamente a una possibile divisione del Paese. Il 1° settembre 1948 si riunì a Bonn un Consiglio parlamentare con il compito di elaborare non una Costituzione, bensì una Legge fondamentale. La scelta del termine voleva evidenziare il carattere provvisorio del futuro Stato tedesco occidentale. L’8 maggio 1949 il Consiglio parlamentare approvò la Legge fondamentale che entrò in vigore il 23 maggio 1949, data che segna la nascita della Repubblica Federale Tedesca con capitale Bonn. L’Unione Sovietica non stette a guardare passivamente ciò che accadeva a Ovest: Stalin fece pressione sulla SED, il partito socialista unificato nato del 1946 dalla fusione dei partiti comunista e socialdemocratico, affinché venisse avviato un procedimento simile a quello in atto nelle zone occidentali. Un Consiglio del popolo si mise al lavoro per elaborare una Costituzione per un futuro Stato tedesco orientale. Dopo circa un anno, la Costituzione della Repubblica Democratica Tedesca era pronta e la sua entrata in vigore il 7 ottobre 1949 sancì la nascita ufficiale della DDR. A quattro anni dalla fine della guerra veniva così suggellata la divisione della Germania. In entrambi gli Stati tedeschi vi era comunque la convinzione che la divisione del Paese fosse una soluzione provvisoria in quanto sia la Repubblica Federale che la DDR sottolineavano nelle rispettive Costituzioni la centralità dell’unità nazionale. Nel preambolo della Legge fondamentale della Repubblica Federale si leggeva infatti: «Tutto il popolo tedesco è chiamato a completare con libera autodeterminazione l’unità e la libertà della Germania». L’articolo 1 della costituzione della DDR iniziava con la frase: «La Germania è una repubblica democratica e indivisibile». Le opinioni su come tale unità avrebbe dovuto realizzarsi erano però totalmente incompatibili tra loro.


Una economia pianificata oppure… improvvisata?

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Dossier / Una economia pianificata oppure... improvvisata?

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a DDR copiò non solo il sistema politico dell’Unione Sovietica (con la nascita della SED nel 1946 si era affermata l’egemonia di un partito unico), ma anche quello economico, con l’introduzione dell’economia pianificata. Tale sistema prevedeva la pianificazione e la conduzione centralizzata della produzione. Tipici di una economia statalizzata come quella dell’Unione Sovietica e della DDR erano i cosiddetti piani quinquennali. Sulla base dei bisogni presunti della popolazione, una commissione stabiliva quello che si sarebbe dovuto produrre nei successivi cinque anni. Il difetto principale di questa strategia economica era che si pianificava senza tenere in debito conto i reali bisogni dei cittadini, e che gli stessi piani non erano sufficientemente flessibili per potersi adeguare alle nuove situazioni che venivano a crearsi sul mercato. Un altro elemento caratteristico del sistema economico della DDR era la proprietà socialista: nella DDR non esisteva la proprietà privata, tutte le aziende erano proprietà dello stato, anzi del popolo (la definizione ufficiale era Volkseigene Betriebe, aziende di proprietà del po-

→ Berlino 1953: dopo ore di attesa, i berlinesi corrono a ricevere la loro razione di cibo.

polo). Anche in agricoltura finì per affermarsi il modello della proprietà statale. I terreni coltivabili vennero collettivizzati dando il via alla costituzione di cosiddette cooperative di produzione agricole. Ma il sistema economico della DDR non riuscì mai a garantire ai propri cittadini uno standard di vita paragonabile a quello dei tedeschi dell’Ovest, che già all’inizio degli anni Cinquanta erano in grado di acquistare televisori, frigoriferi e automobili. Nella DDR circolavano invece ancora tessere per l’approvvigionamento alimentare.

Walter Ulbricht, leader della SED, annunciò nel 1958 che la DDR avrebbe raggiunto e superato nel giro di pochi anni il tenore di vita della Repubblica

“Nel 1958, Walter Ulbricht annunciò

che la DDR avrebbe superato in pochi anni la Repubblica Federale. Ma si sbagliava.

Federale.Si sbagliò.E di molto.Lo sviluppo economico della DDR dagli anni Sessanta alla sua fine fu infatti caratterizzato da un continuo aumento dell’indebitamento.


La rivolta del 17 giugno 1953

45 Dossier / La rivolta del 17 giugno 1953

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unto centrale del primo piano quinquennale era l’aumento della produzione, in particolare dell’industria pesante. La maggior parte degli investimenti economici confluì infatti in questo settore. Di conseguenza, altri ambiti, come ad esempio quello dei beni di consumo, vennero trascurati: l’offerta era limitata,molti generi alimentari venivano ancora razionati, i prezzi erano alti e la qualità dei prodotti scadente. Se si considera che la Repubblica Federale era nel pieno del miracolo economico, si comprende la delusione e la frustrazione dei cittadini della DDR, portati a paragonare la loro situazione con quella dei tedeschi

dell’Ovest. Iniziò così a farsi largo un diffuso malcontento, soprattutto dopo che la SED aveva deciso di aumentare le norme lavorative, il che significava più lavoro, più produttività ma stesso salario. Il 17 giugno 1953 i cittadini scesero in piazza a Berlino Est.La protesta prese presto le dimensioni di una rivolta che coinvolse tutto il Paese. Ci furono scontri violenti tra dimostranti e polizia. Quando la situazione sembrò sfuggire di mano, l’Unione Sovietica intervenne e riuscì, con l’impiego di carri armati, a reprimere la sommossa. Secondo fonti ufficiali della DDR ci furono 21 morti, 187 feriti e centinaia di arresti. Walter Ulbricht, leader della SED, contro

cui era essenzialmente diretta la rabbia dei cittadini, rimase al suo posto: una sua destituzione sarebbe stata infatti interpretata come atto di debolezza e avrebbe incoraggiato ulteriori richieste. Mentre la propaganda della DDR definì la rivolta un tentativo di colpo di Stato fascista, al fine di destabilizzare la situazione, per la Repubblica Federale essa fu la chiara dimostrazione di come i cittadini della DDR volessero la riunificazione. In questo modo si spiega come mai il governo di Bonn decise di trasformare questa tragica giornata in una ricorrenza nazionale, dichiarando il 17 giugno Giornata dell’unità tedesca.

↑ L’ingresso dei carri armati sovietici a Berlino, il 19 giugno 1953.


La divisione della città

Dossier / La divisione della città

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La ricerca / N. 7 Nuova Serie. Novembre 2014

↑ Nel 1961, prima della costruzione del muro la città era divisa da una semplice linea che gli abitanti di Berlino Est non potevano oltrepassare.

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a violenta repressione della rivolta del 17 giugno 1953 rafforzò nei cittadini della DDR la convinzione che ogni tentativo di modificare il sistema non avrebbe mai potuto avere successo. Il Partito (SED) non avrebbe tollerato ulteriori proteste e le avrebbe represse anche in futuro con l’aiuto dell’Unione Sovietica. Ciò indusse molti cittadini della DDR a lasciare quanto

“Le guardie di frontiera della DDR avevano l’ordine di sparare a vista sui fuggitivi. „ prima il Paese. I vari sistemi di controllo, ma soprattutto l’ordine di sparare a vista (i soldati della DDR potevano e dovevano sparare a chiunque cercasse di

valicare il confine) rendevano di fatto impossibile passare dalla DDR alla Repubblica Federale. Il sistema aveva però una falla: Berlino.Poiché i confini tra i vari settori della città erano aperti, si poteva passare da Berlino Est a Berlino Ovest. In questo modo, fino al 1961, quasi tre milioni di cittadini della DDR se ne andarono. Una vera e propria fuga di massa con ripercussioni devastanti sull’economia e la struttura sociale del Paese. L’unica possibilità che la SED vide per impedire il tracollo fu la costruzione di un muro. Nonostante le rassicurazioni di Walter Ulbricht («Nessuno ha intenzione di costruire un muro»), nella notte tra il 12 e 13 agosto 1961 la DDR chiuse i confini del settore sovietico con filo spinato e blocchi di cemento armato.

Nel giorni seguenti si iniziò a costruire un muro che avrebbe impedito ai cittadini della DDR di recarsi a Berlino Ovest. I vertici del partito motivarono un provvedimento così drastico con la necessità di erigere un «argine di protezione antifascista» per difendere il socialismo dai piani di un’imminente aggressione delle forze imperialiste della Repubblica Federale. La costruzione del muro fu uno shock per tutti i tedeschi, sia della Repubblica Federale che della DDR. Il muro “cementò” per così dire la divisione della Germania e mostrò chiaramente che l’esistenza di due Stati tedeschi non era affatto una soluzione provvisoria, come forse si era pensato nel 1949, quanto piuttosto un assetto definitivo.


Le fughe continuano

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→ Il soldato di frontiera Hans Conrad Schumann salta il filo spinato e fugge a Berlino Ovest il 15 agosto 1961 (foto di Peter Leibnig).

Altri tentativi riuscirono, come quello di Hans Conrad Schumann, guardia incaricata di sorvegliare la costruzione del muro: il 15 agosto 1961 colse l’attimo propizio e scavalcò il filo spinato. Altri si ingegnarono nella costruzione di tunnel. Quello più lungo misurava 145 metri e si trovava a una profondità di 12 metri. Una trentina di studenti, tra cui un italiano, lavorarono per mesi alla sua realizzazione. Infine, il 3 e 4 ottobre 1964, 57 persone riuscirono a fuggire. Altri ancora si nascosero in automobili,sperando di non essere poi scoperti ai posti di blocco. Decine di migliaia di persone furono condannate per “tentata fuga” o anche solo per essere stati coinvolti nei preparativi e per aver aiutato altre perso-

ne. L’ultima vittima del muro fu Winfried Freudenberg, un ingegnere che riuscì,l’8 marzo 1989,a superare il muro con un pallone aerostatico.Ma l’ironia del destino volle che la Winfried Freudenberg mongolfiera precipitasriuscì a superare il se, finendo muro con un pallone nel giardino aerostatico, ma di una villa precipitò. nel settore occidentale. Poche settimane prima le guardie di confine avevano colpito a morte il giovane Chris Gueffroy mentre tentava di attraversare il muro. Oggi 15 croci bianche poste lungo al Sprea, nelle immediate vicinanze del Reichstag, ricordano alcune delle vittime.

47 Dossier / Le fughe continuano

ei mesi e negli anni successivi il muro crebbe e venne sempre più perfezionato: una barriera alta 4,20 metri, lunga 155 km, affiancata da una striscia minata e sorvegliata da 302 torri di guardia. Ciò non bastò a scoraggiare i cittadini della DDR. Non si sa quante persone riuscirono a fuggire e quante fallirono nel loro tentativo. Le statistiche riportano però il numero di cittadini morti nel tentativo di scavalcare il muro: 125! Una delle prime vittime fu Peter Fechter, un giovane muratore impiegato nella costruzione del muro. Il 17 agosto 1962 cercò di fuggire, venne raggiunto dai proiettili sparati da una guardia, rimase per quasi un’ora a terra sanguinante finché morì.


La normalizzazione tra Repubblica Federale e DDR ← L’incontro a Erfurt fra Willy Brandt e Willi Stoph, marzo 1970.

Dossier / La normalizzazione fra Repubblica Federale e DDR

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La ricerca / N. 7 Nuova Serie. Novembre 2014

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a elezione di Willy Brandt a cancelliere della Repubblica Federale nel 1969 segnò una svolta nei rapporti tra i due Stati tedeschi. Egli pose fine alla politica fino ad allora perseguita, che mirava all’isolamento della DDR, per intraprendere un corso che avvicinasse i due Stati. Il primo risultato fu il suo viaggio nella DDR nel marzo 1970 in occasione del quale si incontrò a Erfurt con il capo del governo Willi Stoph. Due mesi più tardi la visita venne restituita: Willi Stoph si recò nella Repubblica Federale. Ci furono in seguito altre trattative che portarono nel dicembre 1972 alla firma di un trattato tra i due Stati tedeschi: il Trattato base, secondo il quale entrambi gli Stati si impegnavano

a sviluppare rapporti di buon vicinato e a rispettare la reciproca sovranità e autonomia. I vertici della SED temevano però che l’apertura nei confronti della Repubblica Federale avrebbe potuto alimentare tra i propri cittadini la speranza in un possibile avvicinamento tra i due Stati. Per questo motivo la DDR si vide costretta a riaffermare con sempre maggiore vigore la propria autonomia rispetto alla Repubblica Federale. Venne così elaborata la tesi di due nazioni diverse: nella DDR esisteva una «nazione socialista», nella Repubblica federale una «nazione borghese, capitalista». Nel 1975 la DDR firmò l’atto finale della Conferenza di Helsinki sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa (CSCE), il

cui punto centrale era il riconoscimento dei diritti fondamentali dell’uomo. Ne conseguì che molti cittadini della DDR potevano ora fare domanda per lasciare il Paese. L’anno seguente si registrarono più di 100 000 domande: ciò irritò non poco i vertici della DDR che reagirono prontamente. Si iniziò a perseguitare intellettuali e artisti critici verso il regime emettendo nei loro confronti divieti di pubblicazione e di esibizione in pubblico. Fece scalpore il caso del cantautore Wolf Biermann: dopo un concerto a Colonia nel novembre 1976, i vertici della DDR gli comunicarono che «in seguito a gravi violazioni dei suoi doveri di cittadino» gli veniva tolta la cittadinanza.


Kohl e Honecker a Bonn

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49 Dossier / Kohl e Honecker a Bonn

a distensione internazionale conseguente all’entrata in carica di Gorbaciov e alla sua perestroika ebbe ripercussioni anche sui rapporti tra i due Stati tedeschi. Nel settembre 1987 Erich Honecker, capo di stato della DDR e segretario generale della SED, si recò in visita ufficiale a Bonn dove venne ricevuto dall’allora cancelliere Helmut Kohl. Sebbene in programma da tempo (l’invito era stato fatto nel 1981), la visita era più volte stata rimandata, sia perché l’Unione Sovietica non la riteneva opportuna e cercava di impedire qualsiasi avvicinamento dei due Stati tedeschi, sia perché tale visita non era gradita alla Repubblica Federale che avrebbe dovuto riconoscere la DDR come uno Stato di pari dignità. La mutata situazione internazionale rendeva ora possibile il viaggio di Honecker. Al fianco di Kohl,ricevuto con tutti gli onori protocollari, Honecker pensava di avere finalmente raggiunto il suo obiettivo: il pieno riconoscimento della indipendenza e sovranità della DDR da parte del governo di Bonn. Il cancelliere Kohl cercò di ridimensionare tale impressione facendo nel suo discorso un chiaro riferimento all’indivisibilità della nazione tedesca («La consapevolezza dell’unità della nazione è più che mai viva e intatta e la volontà a preservarla… Le persone soffrono per la separazione…vogliono ritrovarsi, perché il loro

destino è di stare assieme»). Ciononostante, questa visita sembrò suggellare la divisione definitiva della Germania, anche se Honecker si lasciò sfuggire una frase di ambigua interpretazione in merito alla unità tedesca: «Verrà forse il giorno in

cui i confini non ci separeranno, bensì uniranno». La storia gli diede, inaspettatamente, ragione anche se non proprio come se lo era immaginato: nel 1989 il sistema crollò, la DDR sparì e la Germania ritornò unita.

↑ Il cancelliere Helmut Kohl riceve Erich Honecker, settembre 1987.


Varchi nella cortina di ferro

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l processo che portò alla caduta del muro e alla riunificazione ebbe inizio in Ungheria: nel maggio 1989 il governo di Budapest decise infatti di smantellare i sistemi di sbarramento al confine con l’Austria. Già da tempo l’Ungheria aveva intrapreso una politica abbastanza liberale e guardava quindi con molta fiducia alla nuova politica della perestroika. La mutata situazione internazionale rendeva ora possibile l’apertura della cortina di ferro. In merito a un possibile smantellamento dei sistemi di sbarramento ai confini con l’Europa occidentale, Gorbaciov, nel marzo 1989, disse: «A dire il

vero, non mi sembra ci sia alcun problema al riguardo». Lo smantellamento dei sistemi di sbarramento al confine tra Ungheria e Austria creava però una falla nella cortina di ferro. I cittadini della DDR furono i primi a intuire quali sarebbero state le possibili conseguenze di tale decisione: per la prima volta dopo la costruzione del muro di Berlino era di nuovo possibile fuggire all’Ovest. Bisognava certo fare un giro un po’ più lungo, ma ne valeva la pena. Fu così che nell’estate 1989 molti cittadini della DDR si recarono in Ungheria con la scusa di voler trascorrere le vacanze sul lago Balaton: in realtà volevano tutti scappare nella Repubblica

Federale passando dall’Austria. Il fatto che l’Ungheria avesse aperto i confini con l’Austria non significava però che il cittadini della DDR potessero passare senza problemi il confine. Legalmente infatti non era possibile in quanto occorreva essere muniti di un visto. Ma l’11 settembre il governo ungherese decise di lasciare passare senza alcun controllo tutti i cittadini della DDR che da tempo bivaccavano al confine. Nei giorni successivi più di 10000 persone si riversarono dall’Ungheria verso l’Austria e da lì nella Repubblica Federale (alla fine del mese erano già 30000). Questa nuova fuga di massa fu l’inizio della fine della DDR.

↓ Soldati ungheresi smantellano il confine nel maggio del 1989.


Wir sind das Volk! ← Wir sind das Volk, ossia Noi siamo il popolo, quadro celebrativo delle manifestazioni di Lipsia dell’ottobre 1989 dipinto da Gerhard Schröter, 1991.

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olti cittadini della DDR colsero l’occasione, presentatasi con l’apertura dei confini tra Ungheria e Austria, per lasciare il Paese. Altri capirono invece che i tempi erano ormai maturi per dar vita a una opposizione. Il primo movimento di opposizione,Neues Forum,si formò nel settembre 1989,seguito poi dalla nascita di altri movimenti civici nelle settimane successive. Il fatto che Gorbaciov fosse al potere dava coraggio ai cittadini della DDR, che iniziarono così a organizzare dimostrazioni rivendicando democrazia e riforme. L’ultima volta che si era scatenata una protesta di massa era stato nel 1953: allora l’Unione Sovietica era interve-

nuta e aveva sedato la rivolta con i carri armati. Nell’autunno del 1989 i cittadini della DDR avevano la certezza che ciò non si sarebbe ripetuto e presero coraggio. Iniziarono quindi a darsi appuntamento ogni lunedì nelle chiese evangeliche delle varie città per scendere poi in piazza scandendo slogan quali: «Noi siamo il popolo!». Alla prima “manifestazione del lunedì”, svoltasi a Lipsia il 4 settembre, partecipò solo un migliaio di persone, ma già un mese più tardi i manifestanti erano oltre 150 000. Il 9 ottobre, a Lipsia, più di 70 000 persone sfilarono per la città. Di fronte a una tale folla, polizia e esercito si sentirono impotenti e di conseguenza non intervennero. Da questo momento il

movimento di protesta travolse tutto il Paese. L’apice fu la manifestazione del 4 novembre, quando ad Alexanderplatz, a Berlino Est, si ritrovarono più di mezzo milione di persone: dissidenti, intellettuali e rappresentanti della nuova opposizione chiedevano a gran voce riforme e un cambio di rotta nel governo. In occasione della sua visita a Berlino Est il 7 ottobre 1989, per i festeggiamenti del 40° anniversario della nascita della DDR,Gorbaciov aveva detto: «La storia punisce chi arriva tardi». I vertici della DDR capirono che era giunto il momento di dare un segnale chiaro facendo intendere che il messaggio del popolo era stato colto.


La notte che cambiò il mondo

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a sera del 9 novembre si svolse a Berlino Est una conferenza stampa in cui Günter Schabowski, un funzionario del Partito responsabile dei rapporti con i media, avrebbe dovuto comunicare un nuovo decreto in materia di viaggi. Tale decreto prevedeva la possibilità di poter fare «viaggi all’estero di natura privata». Occorreva sì richiedere un’autorizzazione, ma questa sarebbe stata concessa «rapidamente». Un giornalista chiese quando sarebbe entrata in vigore la nuova disposizione. Schabowski, non informato sui dettagli, dopo un attimo di esitazione, rispose: «Subito, immediatamente!». La situazione precipitò: a piedi o con le loro Trabi i cittadini di Berlino Est affluirono ai punti di valico.Ben presto la situazione si fece critica,in quanto le guardie di confine non avevano ricevuto alcuna comunicazione in merito. Tutto quello che sapevano, lo avevano appreso anche loro come tutti gli altri cittadini dai media. Al valico di Bornholmer Straße l’afflusso della gente era così massiccio che l’ufficiale responsabile decise, di sua iniziativa, di aprire il confine. Fu quindi un caso fortuito che portò all’inaspettata caduta del muro. La parola magica di quella notte fu Wahnsinn (pazzia, follia). L’incredibile era diventato realtà: il muro, che per 28 anni aveva diviso la città, era improvvisamente diventato permeabile perdendo così lo scopo per cui era stato costruito. Ovunque regnava un’atmosfera di festa. I cittadini di Berlino Est vennero accolti calorosamente con scroscianti applausi e spumante, ci si abbracciava senza conoscersi, si piangeva di gioia… Tutti i berlinesi, sia dell’Est che dell’Ovest, si diedero spontaneamente appuntamento alla Porta di Brandeburgo per poi salire sul muro e festeggiare per tutta la notte. La Porta di Brandeburgo, per anni simbolo della divisione,era improvvisamente diventata l’emblema di una nuova fase della storia tedesca: era iniziato un processo imprevedibile e non programmato che avrebbe portato in poco meno di dieci mesi alla riunificazione. Giorgio Motta


Festeggiamenti per la caduta del muro, Berlino, novembre 1989.

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Non cancellatemi il passato I cittadini di Berlino Est accolsero con vera euforia la caduta del muro e continuano anche oggi a considerare essenziale l’unità nazionale. Perché allora nella cultura tedesca è tanto diffuso il tema della Ostalgie, cioè della nostalgia per l’Est, un tipo di vita che si è contribuito ad abbattere? di Tiziana Gislimberti ← Venditore di souvenir della DDR nei pressi di un residuo del muro, Berlino, 1998 (Wikimedia Commons).

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Dossier / Non cancellatemi il passato

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l primo luglio 1990 segnò un punto di svolta molto importante per la Germania: nel territorio della DDR venne introdotta da un giorno all’altro l’unione monetaria, economica e sociale (Währungs-, Wirtschafts- und Sozialunion). Si assistette così all’ingresso del marco occidentale anche nel territorio tedesco orientale e al passaggio immediato da un’economia pianificata a una di mercato. Cosa significò concretamente questo passaggio? Il tanto propagandato cambio 1 a 1 tra mar-

co orientale e occidentale (per stipendi e pensioni e depositi fino a una somma di 4000 marchi pro capite) si rivelò a livello economico un boomerang per quel che rimaneva dell’economia pianificata. Se la capacità d’acquisto dei tedeschi orientali aumentava indubbiamente nell’immediato (comunque a sicuro vantaggio delle industrie occidentali), la capacità di esportazione dei prodotti DDR verso i paesi del COMECON (60% delle esportazioni) veniva praticamente azzerata dai costi troppo elevati per i Paesi del blocco

orientale, tutti tra l’altro in un momento di acuta crisi. Nel contempo, i prodotti DDR (date le condizioni industriali spesso obsolete e il difficile rapporto qualità-prezzo) non potevano nemmeno reggere la concorrenza con i quelli federali. Da un giorno all’altro le aziende occidentali riuscirono a imporre le loro merci sul mercato orientale, facendo sparire quasi del tutto quelle autoctone, per nulla concorrenziali. Vista la sopravvalutazione del marco orientale e la capacità di acquisto momentaneamente aumentata prese


presidente della Treuhand, successivamente ucciso dalla RAF, stimava inizialmente il lascito della sostanza DDR a 600 miliardi di marchi occidentali (DM). Successivamente la cifra venne ristretta a un ammontare tra i 180 e 250 miliardi di DM. Quando il primo gennaio del 2002 si chiusero i battenti, dopo diverse trasformazioni fu chiaro che il lavoro di privatizzazione dell’economia pianificata non solo non aveva reso nulla, ma aveva portato ad accumulare una perdita di 230 miliardi di marchi. In tutto questo processo, inoltre, i cittadini orientali non furono per nulla incentivati ad acquisire direttamente le aziende volkseigen (di proprietà del popolo) sul loro territorio e a tentare di trasformarle inserendole nell’economia di mercato. Secondo diversi autori furono anzi sistematicamente esclusi. Un esempio eloquente di questo andamento, coronato però infine dal successo, è quello della ditta di spumanti Rotkäppchen della Sassonia-Anhalt: inizialmente la Treuhand era contraria a che la ditta venisse acquisita da un gruppo orientale, al quale la vendette solo quando non si presentarono altri acquirenti. Il giornalista Jens Bisky, nonché figlio di Lothar Bisky, ex segretario del PDS e poi del partito Die Linke,così riassume (nel suo saggio del 2005 Die deutsche Frage) la situazione: «L’Est fu trattato come Ovest sottosviluppato, non come società qualitativamente diversa. In questo modo si sono aumentate o si sono rafforzate le sue debolezze. La politica di unificazione dei primi anni non si è opposta in nessun modo alla prevedibile disfatta delle aziende orientali sul mercato improvvisamente aperto».

Non è stato un incontro fra culture —

Data questa situazione non è difficile immaginare come i cittadini dell’Est si siano sentiti.

Nell’iniziale momento euforico si sperava che la rapida unificazione si traducesse in una veloce ripresa dell’economia, dando credito alle promesse elettorali di Helmut Kohl, secondo cui in breve tempo la Germania unificata avrebbe avuto solo «blühende Landschaften» (fiorenti paesaggi). Poi è subentrato un senso di disillusione. Si sono accorti, infatti, di essere in una situazione subalterna rispetto ai tedeschi occidentali, che avevano loro imposto istituzioni, economia e anche una lingua in parte diversa, per quanto sempre tedesca. Maggiori difficoltà hanno registrato le generazioni che avevano avuto una formazione e un’integrazione lavorativa nel sistema socialista e che mediamente sono rimaste nei nuovi Bundesländer. Le nuove generazioni emigrate a Ovest si sono invece integrate, vivendo spesso una sorta di iperidentificazione con la cultura occidentale. Chi è

Le nuove generazioni emigrate a Ovest si sono integrate, vivendo spesso una sorta di iperidentificazione con la cultura occidentale.

rimasto e si era formato nel sistema orientale si è spesso sentito svenduto alle ditte dell’Ovest, in balia di una classe dirigente e politica che veniva da Occidente, di fronte alla quale erano Bürger zweiter Klasse (cittadini di seconda categoria): sempre più dipendenti dalle sovvenzioni, da competenze e saperi diversi da quelli da loro acquisiti, sempre più insicuri e, di fatto, sempre meno liberi, nonostante le nuove libertà civili e politiche che si erano appena aperte dinanzi a loro. Parallelamente. il discorso mass-mediatico dominante, condotto sostanzialmente da Occidente, ha teso a presentare la DDR come uno Stato totalitario, causa di deficit nelle modalità di socializzazione, escludendo qualsiasi altra interpretazione.

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il via quella che fu una vera e propria ebbrezza consumistica (Konsumrausch), andata sostanzialmente a vantaggio delle ditte occidentali, che si trovavano finalmente nella condizione di soddisfare i desideri consumistici orientali a lungo frustrati. A unificazione avvenuta ci si accorse che i nuovi Bundesländer avevano bisogno di sostegno. Dopo la rinuncia, stabilita dal trattato di unificazione, di stanziare subito un fondo speciale per l’Est,si istituì nel 1990 il Fond deutscher Einheit che, finanziato da Bund, Länder e comuni, durò fino al 1994. Dal 1995 entrò in vigore il programma di stanziamenti speciali denominato Solidarpakt I e dal 2005 è partito il Solidarpakt II, che arriverà fino al 2019. Alcuni autori, come Jens Bisky,hanno messo in evidenza come i soldi statali effettivamente svincolati da progetti concreti o forme definite di investimenti, siano finiti nel “calderone delle sovvenzioni per l’Est” senza riuscire a cementare quello spirito di solidarietà a cui si fa continuamente appello. Contemporaneamente, a partire dal 17 giugno del 1990, la Treuhandanstalt (società fiduciaria) ebbe l’incarico dalla Volkskammer di privatizzare il più velocemente possibile le aziende DDR. L’attività centralizzata di questa grande holding (una struttura fortemente burocratica ed estremamente costosa) non tenne in grande conto le esigenze economiche dei Länder orientali: le imprese di notevole valore sul territorio, per la loro capacità di creare un indotto, almeno in prospettiva, vennero messe in vendita al miglior offerente, senza che venisse posto il problema del futuro delle imprese stesse. Si arrivò a casi estremi: gli acquirenti, dopo aver ricevuto sovvenzioni statali per acquisto e risanamento,decisero semplicemente di chiudere baracca. Detlev Karsten Rohwedder, il primo


Il rimpianto per le vecchie cose di ogni giorno —

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Tale situazione ha portato alla rinascita di vecchi stili di vita e a un rimpianto per quello che è stato. Il neologismo Ostalgie (da Ost e Nostalgie: nostalgia dell’Est quindi),registrato regolarmente presso l’ufficio brevetti nel 1992, entra nell’uso corrente nel 1993 e designa quella serie di comportamenti e vissuti, tra loro Ormai dal 1992 il anche molto neologismo Ostalgie è differenti,che rimandano a stato registrato presso un vago senso l’ufficio brevetti. di nostalgia per il passato scomparso e per lo stile di vita DDR. A distanza di pochissimo tempo dall’avvenuta unificazione, si assiste alla ricomparsa di tutti i vecchi prodotti dell’Est, un tempo ritenuti di pessima qualità e spariti immediatamente dagli scaffali dei supermercati dopo la riforma monetaria. Tornano in voga le sigarette Karo e Kabint, il caffè Rondo, la Vita Cola,solo per citarne alcuni. Un altro interessante fenomeno della metà degli anni novanta è quello dei DDR Party: feste organizzate in discoteche, dove, come nei tempi passati, si doveva fare la coda per entrare, si potevano consumare i vecchi prodotti, pagare con la vecchia moneta e catapultarsi per una sera nel passato. Infine nel 2003 il film Good Bye Lenin!,noto anche al pubblico italiano, del regista occidentale Wolfgang Becker, contribuì sicuramente allo scatenarsi di un’ondata “ostalgica”, ma inaugurò, secondo lo studioso orientale Thomas Ahbe, un nuovo modo di parlare della DDR. Al film seguirono diversi show televisivi, in cui, accanto ai conduttori, entravano in scena personaggi noti nella DDR, che ne avevano scandito la vita, senza che per questo gli show si caricassero di valenze politiche o di accuse legate al sistema: tra i personaggi più noti sono la

pattinatrice Kathrina Witt, o il pugile Henry Maske, insieme a complessi musicali come i Pudhys o i Karat. Si assiste quindi, per così dire, a una “correzione di tiro” anche del discorso ufficiale: si registra la tendenza “ostalgica”, probabilmente nata dalla rimozione, dalla svalutazione e dal vuoto che si era creato intorno all’esperienza vissuta all’interno dello Stato socialista e contemporaneamente dal tradimento, almeno parziale, delle speranze riposte nell’unificazione. Molti tedeschi dell’Est rispondono a questo vuoto con una ripresa e rivalutazione dei vecchi simboli e stili di vita, destrutturando e ricombinando il tutto in modo un po’ dadaista e rispondendo all’esigenza, non tanto di avere indietro realmente il vecchio Stato socialista, quanto piuttosto di trovare una modalità terapeutica, che permetta loro di non porre nel totale oblio quarant’anni di vita.

Vite iniziate in un mondo che non c’è più —

In questo fenomeno di Ostalgie rientra anche l’ondata di testi autobiografici, diaristici e memorialistici che ha invaso il mercato tedesco dopo l’unificazione. Sono testi che rivelano la necessità di fare i conti con quel passato scomparso da un giorno all’altro, e ormai quasi irreale. Testi con focalizzazioni diverse, molto eterogenei, sia per livello letterario sia per appartenenza generazionale, che recuperano comunque segmenti del passato aiutando a istituire una continuità col presente: tutti leggibili come una resistenza contro la cancellazione del passato e la rivendicazione di una specifica identità. La scomparsa degli antichi spazi e il loro modificarsi secondo le modalità dello slancio economico anni Novanta toglie profondità al passato, che non è più leggibile nella sua stratificazione spaziale. I luoghi

dell’infanzia sono scomparsi nel tempo e nello spazio, non sono più un luogo al quale si può ritornare e spesso vengono trasfigurati nel ricordo. Jana Hensel,autrice del molto discusso Zonenkinder, del 2002, col quale si proponeva di offrire una Identifikationsangebot ai suoi coetanei, sostiene nel suo successivo Achtung Zone. Warum wir Ostdeutsche anders bleiben wollen uscito nel 2009: «Vent’anni fa i tedeschi orientali sono nati a nuova vita, vivendo l’ultimo avvenimento che per loro avesse un senso. Poi non è successo più nulla che potesse entrare nella loro memoria collettiva come positivo. Facendo un bilancio si può sostenere che il tempo trascorso da allora sembra solo una lunga vana ricerca di senso». Stando a questa testimonianza, la domanda relativa al senso di appartenenza alla Germania unificata di una parte dei suoi cittadini sembra ancora aperta. Da una diversa angolazione prospettica,il fatto che la Germania orientale sia beigetreten, cioè si sia aggregata, in base all’articolo 24 del Grundgesetz, alla Repubblica Federale, entità statuale già esistente, con una sua storia,un’economia e istituzioni alquanto diverse, assumendone tutte le caratteristiche, ha significato necessariamente per la parte orientale una negazione e ha portato alla marginalizzazione e all’annientamento politico di quelle frange di dissidenza critiche nei confronti della SED, ma contemporaneamente anche nei confronti delle scelte politiche e dei valori proposti da una società capitalistica avanzata come quella della BRD.

Tiziana Gislimberti è docente di lingua tedesca. Ha pubblicato Il tedesco della ex-DDR e i problemi di traduzione di termini specifici (2008); Mappe della memoria. L’ultima generazione tedesco-orientale si racconta (Mimesis, 2009) e Lingua e politica (Carocci, 2013).



SCUOLA

L’emotività in gioco nella rilevazione dei DSA

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Scuola / L’emotività in gioco nella rilevazione dei DSA

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Un approccio non invasivo per lo studente, sul Modello RTI (Response to Intervention) statunitense, per l’identificazione e il trattamento dei segnali di rischio del disturbo di apprendimento. di Marco Bartolucci, Alessio Damora e Alessandra Stocchi

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llo stato attuale il sistema scolastico italiano presenta un’incidenza di diagnosi di disturbo dell’apprendimento intorno al 3-4% della popolazione, dato epidemiologico quest’ultimo, che indica una media per cui circa due studenti per classe presentano tale tipo di disturbo. La diagnosi tempestiva di DSA e quindi l’impostazione e lo sviluppo di adeguate linee di intervento educative e psicologiche si rivelano indispensabili, sia per prevenire e correggere le difficoltà scolastiche, sia per arginare e gestire l’impatto che queste possono avere nel livello di funzionamento del soggetto nella vita quotidiana. Sebbene nella Consensus Conference del 2007 le linee guida dettaglino un protocollo di intervento altamente funzionale per la diagnosi e il trattamento precoce, per cui si richiede pur nella specificità dei ruoli una stretta collaborazione tra famiglia, insegnanti e servizi sanitari, nel contempo le stesse indicazioni sembrano non analizzare o sottovalutare gli effetti, altrettanto apprezzabili, in termini psicologici, che il complesso iter diagnostico (neuropsichiatrico, neuropsicologico, logopedico), nonché la “segnalazione scolastica” una volta accertato il disturbo e l’eventuale certificazione, possono o potrebbero determinare in un soggetto in età evolutiva.


Una pagina del Codex Seraphinianus di Luigi Serafini (Rizzoli, 2006), l’unico testo al mondo che nessuno è mai riuscito a leggere.

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un ambiente che per il bambino risulta alieno e sicuramente distaccato dalla realtà scolastica, che invece percepisce come familiare. In secondo luogo,ma non meno importante, il livello di stress soggettivo esperito dal soggetto durante la prestazione, fattore che può produrre alterazioni della performance durante la somministrazione delle prove neuropsicologiche e durante le altre fasi dell’indagine. In ultimo, l’eventuale diagnosi positiva al disturbo porta necessariamente a una diversificazione ulteriore della vita del bambino dentro e fuori la propria classe di appartenenza: compiti a casa diversi, compiti in classe differenti (ausili dispensativi), un programma di riabilitazione personale, e nei casi gravi insegnanti dedicati personali. Riassumendo, un’identificazione precoce è essenziale al fine di limitare le conseguenze del disturbo neuropsicologico, ma allo stato attuale le linee di intervento e le conseguenti declinazioni produrranno comunque conseguenze più o meno gravi a livello psicologico e comportamentale nel bambino diagnosticato.

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Un metodo diagnostico rispettoso e non invasivo —

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↑ Franz Eybl, Ragazza che legge, 1850, Österreichische Galerie Belvedere.

Mentre il tempestivo riconoscimento di un DSA sicuramente agisce da fattore preventivo per eventuali problemi nella carriera scolastica del bambino, poiché riducendo gli insuccessi va a mitigare gli effetti che tali difficoltà determinano sul senso di efficacia personale (self-efficacy), è altrettanto vero che quello stesso bambino subirà delle modificazioni nella rappresentazione che ha di sé al momento della diagnosi, dovendo relazionarsi con un processo di indagine che può farlo sentire “diverso” rispetto a prima e rispetto agli altri: un dottore lo visiterà, gli farà delle domande strane, lo sottoporrà a test che gli altri bambini non hanno dovuto fare. Di solito la valutazione finalizzata a diagnosticare tali difficoltà viene svolta in un contesto valutativo ambulatoriale, caratterizzato da numerosi incontri in cui viene valutato il quoziente intellettivo, lo sviluppo dei vari apprendimenti e, quando necessario, dimensioni molto intime. come quelle della sfera emotiva e relazionale. Tutto ciò viene svolto in

Si apre dunque una riflessione: quanto è effettivamente necessario un modello diagnostico e di intervento che corre il rischio di rivelarsi così scarsamente protettivo da un punto di vista emotivo e dei significati soggettivi che questa esperienza determina? Studi neuroscientifici hanno dimostrato che le attivazioni cerebrali di un soggetto diagnosticato dislessico non differiscono da quelle di un soggetto non dislessico che non ha imparato a leggere bene, smentendo teorie secondo le quali la dislessia sia frutto di un problema strutturale o di un deficit nelle capacità mentali (Hoef et al 2006,Tanaka et al 2011), e inoltre vi sono evidenze che indicano che interventi fonologici mirati e rapidi possano impedire l’insorgere di specifiche dislessie in soggetti ad alto rischio. Una linea nuova di diagnosi e intervento precoce, in ambito neuropedagogico, che tiene conto della dimensione personale dei soggetti, del ruolo fondamentale degli insegnanti e delle nuove scoperte in ambito neuropsicologico dell’età evolutiva è quella proposta dal team di ricerca del


Tre livelli di intervento —

Il primo livello è orientato a garantire il curriculum di base, con istruzione e intervento rivolto a tutti gli studenti. Circa l’80-85% del totale degli studenti dovrebbe essere in grado di soddisfare le norme di livello elementare, senza ulteriore assistenza. Gli studenti che non hanno raggiunto gli standard richiesti passano al secondo livello dove vengono inserite linee di intervento specifiche. Gli studenti che continueranno ad avere problemi dopo il secondo livello di intervento passeranno al livello 3, che si costituisce come il più intensivo (spesso uno-a-uno), erogato anch’esso nell’ordinario ambiente didattico-educativo. Il fatto che il RTI venga strutturato e si esplichi come supplemento integrato nel contesto scolastico, e non come intervento esterno, permette (come sostengono i ricercatori del team) di percepire il disturbo di apprendimento come una dimensione di variazione del normale apprendimento scolastico del soggetto piuttosto che etichettare una disabilità. L’alunno svolge le varie attività richieste dentro un contesto educativo in cui l’impatto soggettivo, esito della diversificazione degli strumenti e dei metodi, è altamente ridimensionato dalla loro elevata integrazione nel contesto didattico, per cui la riduzione dell’intensità nella percezione del problema e la possibilità di circoscriverlo a una singola dimensione fungono da fattori

protettivi il senso di efficacia ed efficienza personale sperimentato, andando proporzionalmente ad accrescere la potenzialità e la funzionalità del recupero delle competenze del soggetto stesso. Una delle critiche più immediate a questo modello è l’inclusione all’interno dei tre livelli di intervento di falsi positivi, ovvero di soggetti in assenza di disturbi dell’apprendimento, che prendono parte comunque a un percorso di intervento. Questo significa che l’RTI potrebbe non essere uno strumento “Il fatto che il RTI accurato nell’idensi esplichi come tificazione specisupplemento integrato fica del disturbo di nel contesto scolastico apprendimento. permette di percepire Ciononostante, tale fattore può essere il disturbo come una visto come un pundimensione del normale to di forza: da una apprendimento. „ parte non limita la funzionalità dell’intervento che viene effettuato per il disturbo dell’apprendimento, dall’altro può potenziare le competenze dei soggetti “falsi positivi” e quindi andando a migliorare i profitti scolastici di questi e le strategie metacognitive degli stessi. Infine agisce proprio sulla distanza che si può venire a creare fra il bambino con il disturbo e i suoi colleghi, non andando a incidere sul senso di efficacia personale e di integrazione scolastica.

Il percorso americano —

Merita comunque fare una riflessione sulla diversa strutturazione del percorso scolastico americano, generalmente strutturato in 12 anni di istruzione, 6 di primary (struttura simile a quella italiana: i bambini restano per la maggior parte della giornata in una o due classi a eccezione delle ore di ginnastica, musica e arte; la giornata scolastica in genere va dalle 08.00 alle 15.00 o 15.30, con un’ora di pausa pranzo), 4 di middle (gli studenti hanno maggiore indipendenza, si spostano tra le classi in base alle materie e hanno la possibilità di scegliere alcune materie chiamate electives; inoltre gli studenti di scuola media possono iscriversi ad una Junior Boarding School, scuole private che danno anche vitto e alloggio agli studenti) e 2 di high school o di IB Diploma Programme. Normalmente le materie obbligatorie

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Texas Centre for Learning Disabilities, che prende il nome di “Response To Intervention”, o RTI: un quadro educativo generale che include istruzioni e interventi supportati e guidati da numerose ricerche scientifiche. L’approccio RTI nelle sue implicazioni attuative prevede un regolare monitoraggio dell’andamento dello studente, permettendo di raccogliere dati che orienteranno le decisioni educative over time,differendo inoltre dal processo diagnostico standard per il processo di identificazione dei disturbi di apprendimento: mentre quest’ultimo, infatti, prevede una discrepanza fra abilità intellettive e risultati a test specifici, il primo tiene conto dell’evoluzione del problema segnalato, secondo tre livelli di intervento a intensità crescente.


minime sono scienze, matematica, inglese, scienze sociali ed educazione fisica; le materie a scelta determinano il percorso di studi personale; alcune materie sono studiate a un livello alto, le altre a un livello più basso, il che significa circa i due terzi delle ore rispetto alle prime tre. L’orario va dalle 07.30 alle 14-14.30 e comprende sei lezioni da un’ora o quattro da 90 minuti, con 5 minuti di pausa tra le lezioni e una pausa pranzo di 30 minuti; mentre le attività extra curricolari e gli sport si svolgono nel pomeriggio.

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Il modello RTI in Italia —

Con un minore numero di ore impiegate per attività extra curriculari, e con un sistema meno individualistico come quello del nostro Paese, il modello RTI non avrebbe facile applica“In un sistema meno bilità, ciò nonostante individualistico, come forse è doveroso e utile immaginare di poter quello del nostro costruire un modello di Paese, il modello RTI diagnosi DSA e di relanon avrebbe facile tivo intervento ecologiapplicabilità. „ cally friendly, quindi più attento a considerare i significati e i coloriti emotivi soggettivi dei fruitori, quindi degli studenti. Infatti, se molti strumenti di screening per il disturbo di apprendimento pubblicati di recente consentono di seguire l’evoluzione longitudinale di varie aree di interesse per la diagnosi di DSA (ad esempio questionario RSR di Cappa e colleghi) utilizzando dati che provengono da insegnanti e genitori, appare ancora incerta l’esigenza di un maggior coinvolgimento diretto del bambino,perlomeno in una fase molto precoce come i primi anni di scuola elementare, dove si avrebbero anche le maggiori probabilità di intervenire positivamente di fronte a rischi di difficoltà in aree cognitivo-comportamentali specifiche. Una raccolta di dati oggettivi che non si basi solo sul profitto dello studente, potrebbe essere utilizzata (se utilizzata sistematicamente) non solo per invii più congrui agli specialisti, ma anche per perfezionare, in un contesto didattico research -based, linee di intervento precoci e preventive, riducendo la distanza che una tale diagnosi può creare fra il soggetto ed il resto della classe, e fornendo inoltre validi spunti per una ricerca generale interdisciplinare come quella neuropedagogica.

I dati, se raccolti longitudinalmente, permetteranno una rivalutazione costante delle metodiche implementate dagli insegnanti (in costante contatto con gli esperti di neuropedagogia), che potranno così perfezionare e creare eventuali modelli per gli interventi, gli strumenti utilizzati e le modalità relazionali. Inoltre, a prescindere dal contesto di disturbo di apprendimento, l’espansione sistematica dell’utilizzo di tali strumenti nel territorio e nelle diverse fasce di età (elementari, medie, superiori) consentirebbe di poter fruire di una mole di dati enormi, che potrebbero essere utilizzati per valutare l’andamento funzionale e l’impatto su gli studenti di diverse modalità educative, dell’introduzione di nuovi strumenti, delle differenze a livello territoriale. In conclusione, l’implementazione di nuovi percorsi di intervento-ricerca neuropedagogici potrebbe produrre potenzialità enormi non solo nell’affrontare problematiche relative a difficoltà dei singoli all’interno dei percorsi scolastici, ma anche un evoluzione più rapida e funzionale dei modelli educativi e degli strumenti nelle mani degli educatori e degli studenti.

Marco Bartolucci, Alessio Damora e Alessandra Stocchi sono ricercatori presso il Centro di Neuroscienze Applicate di Arezzo e il Centro di Psicologia e Neuropsicologia Clinica di Foiano della Chiana.

↑ Un ragazzo mentre legge fra le rovine di Londra (AP Photo).


I libretti UNAR e la #buonascuola Cosa c’è che non va negli opuscoli Educare alla diversità a scuola promossi dall’Ente Nazionale Antidiscriminazioni Razziali? Perché la loro diffusione è stata bloccata? 63

di Federico Batini Scuola / I libretti UNAR e la #buonascuola

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i mestiere faccio il ricercatore. In genere, sia per professione che per una spiccata tendenza alla curiosità, quando m’imbatto in una notizia che richiede approfondimento per essere compresa cerco di andare alla fonte. Nel caso in questione, ovvero il ritiro dei libretti UNAR, dopo aver letto molti articoli di commento, posizionati pro o contro l’azione di ritiro,e trovandovi a volte motivazioni davvero fantasiose (e un altrettanto creativo uso della terminologia), andare alla fonte ha significato dunque esaminare, con attenzione, i famigerati opuscoli. Ripercorriamo rapidamente la vicenda, accogliendo, almeno al momento, la ricostruzione dell’allora viceministro alle Pari Opportunità Cecilia Guerra in una nota diffusa nella serata di venerdì 14 febbraio: «L’Istituto Beck, sulla base di un contratto con l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (UNAR) che risale al dicembre 2012 (ben prima che io esercitassi la delega alle Pari opportunità, dal luglio 2013) ha prodotto un kit per insegnanti dal titolo Educare alla diversità a scuola. L’UNAR ha poi autorizzato la diffusione di questo materiale, con il logo della Presidenza del Consiglio - Dipartimento pari opportunità e dell’UNAR, sul sito dell’Istituto Beck il 13 giugno 2013. Una più ampia diffusione di questo materiale è stata poi ulteriormente autorizzata dall’UNAR il 4 febbraio 2014, senza che il direttore dell’ UNAR, Marco De Giorgi, me ne desse alcuna informazione, né che io fossi a conoscenza degli esiti della ricerca, di cui del resto ignoravo addirittura l’esistenza». Ha anche reso noto di avere inviato una «formale nota di demerito al direttore dell’UNAR Marco De Giorgi, sottolineando: “Non ho autorizzato io la diffusione del materiale didattico per l’educazione alle diversità nelle scuole, elaborato dall’Istituto Beck”». La questione è diventata di dominio pubblico quando l’NDC ha proposto sul tema un’interpellanza alla Presidenza del Consiglio: da qui si sono moltiplicate le prese di posizione a favore e contro. In poche parole la diffusione dei libretti,rivolti agli insegnanti e non agli studenti (come invece molta stampa, anche non di orientamento avverso al tema, ha scritto), è stata bloccata d’imperio. A quel punto il numero degli insegnanti che li avevano ricevuti era


comunque esiguo, e dunque la polemica, nel volgere di poco tempo, si è placata. Si potrebbe argomentare facilmente che il polverone mediatico sollevato ha fatto sì che su quei libretti si accendesse un interesse che, probabilmente, senza le sollevazioni delle associazioni cattoliche, non si sarebbe mai avuto. Ciò che interessa qui è andare a verificare che cosa si nascondesse in questi famosi libretti che tanto potesse nuocere alla salute (sic!) e all’equilibrio psichico dei bambini. Ho scelto perciò di esaminare con maggiore attenzione il fascicolo riguardante la fascia di età più delicata, ovvero quello rivolto agli insegnanti della primaria.

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Scuola / I libretti UNAR e la #buonascuola

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I nomignoli alle primarie —

↓ Dalla copertina di Educare alla diversità a scuola per la scuola secondaria di secondo grado.

Nella prima parte si ricorda agli insegnanti la possibilità che i primi scambi relazionali tra bambini siano turbati dall’uso di nomignoli, storpiature, offese, di cui possono poi trovare conferma nella società e nei media (qualsiasi insegnante sa bene che l’epiteto finocchio, usato con chiara intenzione offensiva, fa la sua comparsa già nelle prime classi della primaria, contribuendo poi a strutturare significati man mano che i bambini pren-

dono consapevolezza del perché quella parola viene utilizzata, nei confronti di un compagno o nei propri, come offesa); si prosegue poi rubricando alcuni atteggiamenti che l’insegnante che intenda promuovere una cultura di accoglienza e rispetto dovrebbe avere: si tratta in fondo di notazioni di buon senso, come l’invito a non favorire gli stereotipi legati al genere, aprendo anche a modelli alternativi “I temi affrontati sono alle solite attribuzioni l’identità biologica – cosa che si può fare (o sesso biologico), attingendo a piene mal’identità di genere, ni dalla letteratura, o l’orientamento anche invitando ospiti esterni a parlare (ad sessuale, il ruolo di esempio, proponendo genere. „ in classe l’incontro con un soldato donna), evitando affermazioni che inducano a pensare che l’unica vita possibile è quella eterosessuale (ad esempio, non dicendo a un bambino maschio e dando la cosa come scontata e naturale, come un destino, che quando sarà grande si innamorerà di una donna e la sposerà), non assegnando compiti diversi secondo il sesso biologico e non dividendo i gruppi di lavoro in maschi e femmine, quindi senza avere attese legate al genere (come aspettarsi che i maschi siano avventurosi


Approfondire —

J • F. Batini, Identità sessuale, un’assenza ingiustificata, «I Quaderni della Ricerca», n. 8. Il Quaderno è finalista all’edizione 2014 del Premio Nazionale di Divulgazione Scientifica.

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Una sola riflessione tra le tante possibili mi preme proporre in questa sede: il filtro dell’opportunità di cosa e come utilizzare, a seconda dei contesti, delle necessità, dei singoli interlocutori, degli episodi, non dovrebbe essere l’insegnante – come sempre e per mandato, peraltro? A quale deriva vogliamo arrivare: a quella in cui nei materiali per insegnanti ci sia scritto solo ed esclusivamente ciò che poi devono ripetere a scuola, acriticamente, meccanicamente, per poi altrettanto sterilmente farselo ripetere dagli alunni? È questa la buona scuola che vogliamo? Gli opuscoli sono consultabili sul sito dell’Espresso online.

Federico Batini insegna Metodologia della ricerca educativa, dell’osservazione e della valutazione, Pedagogia sperimentale e Consulenza pedagogica all’Università degli Studi di Perugia. Ha fondato le associazioni Pratika e Nausika, da cui è nata la LaAV. È autore Loescher. federicobatini.wordpress.com

Scuola / I libretti UNAR e la #buonascuola

all’aria aperta e le femmine timorose). Queste e altre accortezze simili hanno la sola funzione di far sentire accolti anche bambini con situazioni familiari o personali differenti da quelli della maggior parte degli alunni, e non vale solo per l’orientamento sessuale o il gender (fantomatica teoria assolutista che si invoca a ogni piè sospinto per demonizzare qualsiasi iniziativa educativa su questi temi). Fin qui, tutto tranquillo, anche troppo. Con le schede si inizia a proporre agli insegnanti, con approccio e documentazione scientifica, la definizione di identità sessuale e dei costituenti riconosciuti dalla maggior parte della letteratura mondiale sul tema: l’identità biologica (o sesso biologico), l’identità di genere, l’orientamento sessuale, il ruolo di genere. Le fonti citate sono fonti note,internazionali, accreditate in modo unanime dalla comunità scientifica. Stesso discorso si può fare per la scheda relativa al termine omofobia e ai suoi significati. Una terza scheda pone l’attenzione su un problema rilevante, l’omofobia interiorizzata, che conduce il bambino e poi adolescente omosessuale a fare propri, interiorizzare appunto, i pregiudizi negativi nei confronti degli omosessuali, per poi trovarsi in una situazione molto pesante di conflitto interno, e spesso manifestata con isolamento, depressione, senso di passività, ansia, abuso di alcool e droghe, tentativi di suicidio. Si prosegue mettendo in guardia contro ogni tipo di bullismo, fornendo alcune indicazioni per riconoscerlo in tutte le sue varianti, e per prevenirlo. La seconda parte del volume propone esercizi e attività (e in molti casi presi da testi e manuali già esistenti) che potrebbero essere usati per qualsiasi obiettivo di cittadinanza. Sono arrivato sino a spulciare la bibliografia, e davvero non riesco a trovare il motivo di tanto clamore.

↑ Un manifesto riportato in Educare alla diversità nella scuola.


Il posto giusto per chi? Anche quest’anno i docenti di scuola media dovranno stilare per ogni alunno un “consiglio orientativo” che aiuti lui e la famiglia nella scelta del suo futuro. Una pratica obsoleta, in contrasto con le Linee Guida ministeriali, che sarebbe ora di abbandonare.

Scuola / Il posto giusto per chi?

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di Simone Giusti

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l “consiglio di orientamento”, più comunemente denominato consiglio orientativo, esiste fin dagli anni Sessanta del secolo scorso. È stato introdotto nella scuola italiana dal D.P.R. 14 maggio 1966, n. 362, nel quale si legge: «Il consiglio di classe esprime, per gli ammessi all’esame, un consiglio di orientamento sulle scelte successive dei singoli candidati, motivandolo con un parere non vincolante.Tale consiglio dovrà essere verificato in sede di esame». Si tratta dunque di un atto dovuto da parte del consiglio di classe, chiamato a esprimere in forma scritta, per ciascun alunno, un’indicazione ragionata rispetto al percorso da intraprendere a conclusione del primo ciclo di istruzione. I destinatari della comunicazione sono il diretto interessato e la sua famiglia, la quale deve fare i conti con il messaggio ricevuto e prendere una decisione sul futuro del figlio o della figlia.

La storia della scuola media, in breve

— Il 1966 è stato un anno di svolta per la storia della scuola italiana. Nei primi cento anni dell’unità d’Italia, infatti, i bambini e le bambine erano impegnati prima nella scuola elementare (4 anni) e poi in due percorsi ben distinti,dai confini invalicabili: il ginnasio, quinquennale,che dava accesso al liceo triennale,e la scuola tecnica,triennale,che dava accesso all’istituto tecnico triennale. Questo, almeno, dal 1859 al 1923, come stabilito con la Legge Casati. Nel 1923 entra in vigore la Legge Gentile, che riforma il ciclo secondario inferiore lasciando inalterato il ginnasio e istituendo l’istituto tecnico inferiore quadriennale, l’istituto magistrale inferiore L’introduzione della scuola quadriennale e la scuola complementare, che dal 1928 assume media unificata negli anni il nome di scuola di avviamento professionale, triennale, con Sessanta ha ritardato di tre indirizzo industriale e commerciale, che non consentiva il proseguimento degli studi. Nel 1940 la Legge Bottai unifica i anni la scelta sul percorso primi tre anni di ginnasio, istituto tecnico inferiore e istituto di studi. magistrale inferiore, andando a creare il nucleo fondamentale – ancora oggi in vita – della scuola media italiana. L’avviamento professionale rimane inalterato fino al 1962, anno in cui viene istituita la scuola media unificata: un ciclo triennale obbligatorio e gratuito che dà accesso a tutti i tipi di scuola secondaria di secondo grado, ritardando dunque di tre anni la scelta del percorso di studi. I cambiamenti successivi riguardano soprattutto le materie e i programmi di studio (1979 e 2007), l’innalzamento dell’obbligo scolastico a 15 anni (1999), il diritto-dovere all’istruzione e alla formazione fino ai 18 anni di età (2003), la certificazione delle competenze di base del primo biennio di scuola secondaria di II grado, con avanzamento dell’obbligo a 16 anni (2007). È rimasto inalterato, invece, l’esame di Stato, fissato all’incirca a 14 anni di età, tappa obbligata prima di accedere, oggi, ad altri due anni di istruzione obbligatoria e, poi, a un percorso più o meno accidentato tra formazione professionale, istruzione professionale, istruzione tecnica e istruzione liceale. Ne è corollario il consiglio orientativo, divenuto in questi cinquant’anni un’abitudine talmente consolidata da apparire a un tempo invisibile e inevitabile.

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Come i binari, i percorsi scolastici prefiggono una meta

67 Scuola / Il posto giusto per chi?

— Al di là delle leggi e, spesso, in conseguenza di esse, si sono poi consolidate alcune usanze più o meno virtuose che accompagnano le procedure di preiscrizione e, quindi, di “orientamento” verso le scuole secondarie di secondo grado. La prima di esse consiste nell’attività di scouting o reclutamento nelle classi terze del I grado effettuate dalle scuole secondarie di II grado, nel tentativo di attrarre verso la propria scuola il numero più alto possibile di iscritti. Queste attività, che si concretizzano in fiere dell’orientamento, visite guidate, scuole aperte o veri e propri tour promozionali degli insegnanti e degli alunni, spesso sono catalogate tra le attività di orientamento, ma in realtà sono vere e proprie azioni promozionali o, nella migliore delle ipotesi, informative, volte a direzionare la scelta degli alunni e delle loro famiglie. In questo caso la parola “orientamento” è utilizzata secondo la sua accezione novecentesca, industriale, che vede nel momento della scelta una sorta di bivio, secondo la metafora delle strade che divergono e che, una volta imboccate, conducono a una diversa ma comunque definita destinazione. Scegliere il percorso significa, quindi, scegliere la meta. Imboccare la strada giusta e perseverare sul cammino porta, salvo incidenti di percorso, al meritato premio. Gli stessi percorsi scolastici sono concepiti in modo razionale come dei binari, che presentano degli scambi in alcuni punti definiti e che conducono sempre da un certo tipo di studio a un certo tipo di lavoro. Più lungo è il tragitto, più alta sarà la posizione ricoperta nella gerarchia sociale, più alta la retribuzione, maggiore la responsabilità. Si tratta di una visione del mondo tipicamente industriale o fordista, in cui esistono dei “posti” di lavoro che devono essere “occupati” da qualcuno. Esistono persone che desiderano ricoprire quei posti. Ed esistono persone che sono più o meno adatte a stare in quei posti, che, in ogni caso, devono essere occupati, in via ipotetica, per molti decenni. Fino alla fine dell’azienda o del lavoratore. Nato in questo contesto socio-economico e culturale, l’orientamento è stato un efficace mezzo per direzionare le persone verso l’uno o l’altro percorso pro-

fessionale. I test psicoattitudinali hanno rappresentato per decenni lo strumento più efficace al fine di scegliere le persone più adatte allo svolgimento di un determinato compito, o a indirizzarle verso un determinato percorso di studi o di lavoro considerato più adeguato alle attitudini o alle capacità della persona. In un mondo in cui i lavori hanno un profilo ben definito fin nelle mansioni più specifiche, individuare le persone giuste da mettere al posto giusto è considerato un risparmio di tempo e di denaro, per quanto – come ha raccontato in modo efficace Ottiero Ottieri nel romanzo Donnarumma all’assalto (Garzanti, Milano, 2004) – sia difficile individuare il confine tra desiderio e manipolazione, tra occasione e coercizione, tra sviluppo e imperialismo. Nel frattempo, tra gli anni Ottanta e i Novanta del Novecento, la situazione economica mondiale cambia radicalmente, si modifica l’organizzazione del lavoro, si moltiplicano, frammentandosi, le visioni del mondo e, quindi, del lavoro stesso. Gli stessi livelli di istruzione salgono e, con

↑ Un giovane apprendista nel 1910 (Wikimedia Commons).


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Scuola / IIl posto giusto per chi?

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essi, aumentano le aspettative dei futuri lavoratori, cresciuti in un mondo in cui chi studia migliora la propria condizione sociale. Senza avventurarsi in ragionamenti che possono contare su una vasta letteratura scientifica, è sufficiente dire che nel nuovo mondo del lavoro, in cui l’autoimprenditorialità ha assunto un ruolo determinante, in cui gli uffici di collocamento (ancora la metafora della persona giusta al posto giusto…) si trasformano in centri per l’impiego e il disoccupato in “cercatore attivo di lavoro”, anche il termine “orientamento”, pur conservando lo stesso suono e la stessa veste grafica, cambia completamente di significato.

Orientarsi in un mondo flessibile

— Ormai da tempo le istituzioni internazionali ripetono che la capacità di cambiamento del sistema produttivo rende impossibile ogni previsione sul futuro occupazionale dei giovani e, quindi, sulle conoscenze che essi devono avere per accedere al lavoro (Indagine Eurydice,2002). Inoltre, oggi i percorsi di carriera non sono più lineari come in passato, le persone cambiano lavoro più volte nel corso della vita, spesso con inversioni di rotta fino a pochi anni fa impensabili. La stessa carriera scolastica perde di linearità: gli studenti possono cambiare corso di studi più volte e, soprattutto, hanno bisogno di rientrare in formazione anche da adulti. Sono solo alcuni dei motivi per cui i sistemi dell’istruzione hanno abbandonato il loro impianto tradizionale, fondato sui “programmi” di studio intesi come elenchi di saperi da acquisire al fine di accedere a una determinata società. È stato abbandonato – almeno sulla carta, e non in tutti gli ordini di scuola – l’insegnamento fondato sulla trasmissione delle informazioni da una generazione a un’altra, e si è scelto di concentrarsi invece sull’allenamento di alcune competenze ritenute fondamentali affinché le persone possano esercitare in modo autonomo i propri diritti e doveri di cittadinanza. È in questo quadro che va collocata la costante attenzione prestata dall’UE all’orientamento inteso come attività formativa tesa a sviluppare l’autonomia delle persone, rendendole capaci di individuare i propri obiettivi e di reperire le risorse per raggiungerli. Anche il sistema dell’istruzione ita-

liano si è adeguato alle direttive europea e alla letteratura scientifica, emanando, con la circolare ministeriale n. 43/2009, le Linee guida in materia di orientamento lungo tutto il corso della vita, nelle quali si sottolinea il ruolo strategico attribuito all’orientamento nella lotta alla dispersione e all’insuccesso formativo. Si legge nella prima parte del documento: «L’evoluzione del contesto sociale ed economico all’interno del quale la persona costruisce il proprio auto-orientamento richiede oggi un potenziamento sempre maggiore delle competenze personali e una conoscenza attiva del contesto esperienziale che costituisce lo scenario di riferimento per la costruzione di una progettualità personalizzata». La prospettiva di una scelta scolastica e professionale in grado di delineare un percorso di sviluppo lineare per tutta la vita viene considerata ormai superata, mentre assume sempre più valore la capacità orientativa della persona di elaborare un progetto personale che si consolida progressivamente attraverso percorsi diversi, e che è in grado di ridefinirsi in maniera soddisfacente nel fronteggiamento di specifiche esperienze di transizione. L’orientamento viene inteso come bene individuale, in quanto principio organizzatore della progettualità di una persona capace di interagire attivamente con il proprio contesto sociale, e come bene collettivo, in quanto strumento di promozione del successo formativo e di sviluppo economico del Paese. Il testo continua affermando la necessità di superare le pratiche focalizzate sulla scelta scolastica per perseguire un’idea di orientamento formativo che deve dare alla persona, L’orientamento oggi durante il percorso viene inteso come bene formativo, l’opportuniindividuale, in quanto tà di «costruirsi delle principio organizzatore competenze orientatidella progettualità di ve adeguate ad accompagnare il proprio prouna persona. cesso di orientamento lungo tutto l’arco della vita e di sviluppare una progettualità personale sulla quale innescare scelte progressivamente sempre più specifiche». Non c’è nessun riferimento al consiglio orientativo che, alla luce del documento, sembra una pratica dimenticata da anni. Tuttavia, non solo il consiglio orientativo è ancora attivo, non solo le migliaia di


Roma, 3 luglio 2013 Ai Dirigenti/Coordinatori delle scuole secondarie di primo grado statali e paritarie Oggetto: Consiglio orientativo Anno Scolastico 2012/2013: precisazioni.

Direttore generale Maria Letizia Melina scuole secondarie di primo grado continuano a dispensarlo per rispondere ai dettami di una legge del 1966, ma, addirittura, con una nota del 3 luglio del 2013. il MIUR fornisce dei chiarimenti alle scuole affinché provvedano a trascrivere il consiglio nei database ministeriali. Nel box si riporta integralmente la nota del Dipartimento per la programmazione e la gestione delle risorse umane, finanziarie e strumentali, firmata dal direttore generale Maria Letizia Melina.

Recuperare un rapporto non prescrittivo

— E siamo a oggi.Anche alla fine di quest’anno scolastico 2014/2015, pare, gli insegnanti dovranno compilare una scheda e, poi, un format online, per dichiarare quale

L’articolo è stato scritto nell’ambito del progetto INTENDI, Inte(g)razione nelle Diversità: percorsi formativi e consulenziali per una scuola promotrice dei processi di inclusione (20122014), settore Istruzione e Educazione della Regione Toscana. Ringraziamo l’autore per la gentile autorizzazione alla pubblicazione.

Simone Giusti è docente e consulente di politiche dell’istruzione, della formazione e dell’orientamento. Cofondatore della rivista «Per leggere» e del convegno «Le storie siamo noi», dal 2010 è presidente dell’associazione L’Altra Città di Grosseto. Tra le sue pubblicazioni: Per una didattica della letteratura (Pensa, 2014), Vado a vivere in campagna (Effequ, 2013), Insegnare con la letteratura (Zanichelli, 2011).

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Essendo pervenute richieste di chiarimento in merito alla comunicazione del “Consiglio orientativo” presente nella rilevazione degli Esiti esami di Stato del primo ciclo, si rende necessario precisare quanto segue. Con nota prot. n. 1304 del 28 maggio 2013, le segreterie scolastiche sono state invitate, per la prima volta, ad inserire anche il “Consiglio orientativo”, relativo alla scelta del proseguimento degli studi espresso dal Consiglio di Classe per ogni singolo alunno che termina il primo ciclo di istruzione. Innanzitutto, si specifica che il “Consiglio orientativo” è quello espresso ai fini di orientare gli studenti al termine del primo ciclo di istruzione nelle scelte di prosecuzione dell’obbligo scolastico nel periodo delle iscrizioni (gennaio/febbraio). Il Consiglio orientativo, nel periodo indicato, è stato definito per ogni studente frequentante l’ultimo anno di corso e, pertanto, anche nel caso in cui lo studente non sia stato ammesso all’esame di Stato o non lo abbia superato, il Consiglio orientativo, va comunque inserito selezionando dal menu presente nell’area “Esami di Stato I ciclo” la voce corrispondente.

scuola sarà più indicata per il proseguimento degli studi – ancora obbligatori per due anni – di ciascuno studente.Come se ancora esistessero quei binari che durante il fordismo conducevano la persona giusta al posto giusto. Come se scegliere oggi significasse ancora selezionare tra una o più opzioni, e non, invece, indagare il presente, capire meglio il mondo e se stessi attraverso la serie delle scelte e, soprattutto, lo studio di sé, delle proprie reazioni, dei propri desideri. La sua abolizione, oltre che rappresentare un passo avanti nella costruzione di un sistema dell’istruzione democratico, in quest’epoca di riduzione degli investimenti e di costosa e inutile resistenza al cambiamento, sarebbe un gradito quanto inatteso segnale di rispetto per l’intelligenza umana. A quel punto, anche il rapporto tra docenti, genitori e studenti potrebbe riacquistare un carattere meno prescrittivo, e potrà essere gradualmente smaltito il peso di tradizioni inutili e dannose, nostalgiche e velleitarie, che altro non fanno che ricordare un mondo che non è più, solitamente rimpianto dai più anziani – per motivi meramente anagrafici – e, in generale, da coloro che vedono nella scuola, più o meno consciamente, uno strumento per mettere le persone al loro posto e non, piuttosto, una delle più importanti opportunità che il mondo adulto può offrire alle persone affinché divengano gradualmente autonome, capaci di pensare e di costruire strutture sociali rinnovate, adeguate alle loro esigenze.


Ho perso una lezione di ballo

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Scuola / Ho perso una lezione di ballo

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Perdere e recuperare, inciampare e aiutare a rialzarsi. Guidare, attivando il desiderio autonomo, e non la costrizione, come carburante del lavoro intellettuale. Una riflessione su valutazione e recupero a scuola (ma non solo). di Antonella Kubler

C

onsideriamo queste frasi: “Ho perso una lezione di ballo: frequenterò per una volta la lezione del corso parallelo, così mi metto in pari”; “Finché ho avuto i figli piccoli, non ho visitato luoghi lontani. È venuto il momento di recuperare: d’ora in poi farò un viaggio ogni anno”; «Nell’appartamento affittato per le vacanze mancano recipienti, ma io ne recupero qualcuno tagliando la base delle bottiglie di plastica vuote.” Vi sono diverse accezioni per il concetto di recupero nel linguaggio comune: possibilità di “mettersi in pari” rispetto ad un programma stabilito; possibilità di introdurre “pezzi” di esperienza che costituiscono lacune; possibilità di valorizzare risorse in modo alternativo a ciò che comunemente avviene. Dentro la scuola da tempo è stato imposto un lessico paralizzato sull’ambito dell’economico: “debiti”, “crediti”, “saldo dei debiti”. Anche il “recupero” ha acquistato l’inevitabile riferimento al bancario “recupero crediti”, con la sua pur inevitabile tetraggine: valore sconcertante attribuito a un’attività che, in mancanza di fondi sufficienti e di formazione adeguata, si finisce spesso per organizzare senza crederci fino in fondo. Il consenso implicito della scuola negli ultimi anni ha ceduto uno spazio decisamente

← Studenti in un corso di educazione intensiva, liceo di Kanagawa, Giappone, 1963 (Wikimedia Commons).


Si può misurare la formazione? —

Alla radice di tali contraddizioni non sfugge, comunque, una questione centrale,a mio parere non ancora adeguatamente esplicitata e trattata in un dibattito sereno, e cioè la possibilità di misurare gli apprendimenti. Può essere misurata, in definitiva, l’efficacia della nostra attività con gli studenti, arrivando all’individuazione di livelli e soglie convenuti, senza ridurre tali risultati a “oggetto”, senza cadere nella spersonalizzazione del rapporto e della verifica, senza perdere insomma quella qualità profondamente umana che fa della relazione sulla trasmissione delle conoscenze uno dei cardini della formazione della persona? La questione è aperta: rappresenta la sfida di una scuola che sappia difendere le proprie specificità e accogliere al contempo le esigenze di una società in trasformazione e in difficoltà, che le chiede di dialogare con il mondo del lavoro e della formazione specialistica, in un’ottica in cui le certificazioni di competenze sono già prassi consolidata in ambito informatico e linguistico in tutta l’Europa. Per certificare le competenze dell’apprendimento nella scuola superiore in modo utile al percorso professionale degli studenti, occorre riprendere in considerazione la pratica didattica alla luce degli obiettivi verificabili che si intendono raggiungere. Sappiamo bene che la relazione tra insegnante e studente va ben oltre l’acquisizione di competenze quali “saper scrivere un testo in lingua italiana gram-

maticalmente corretto” o “saper impostare una proporzione tra lunghezze date entro un sistema”: possiamo anche convenire, però, che porsi in modo condiviso il raggiungimento di obiettivi di tale chiarezza consente poi di verificarli in modo altrettanto condiviso e trasparente. E di intervenire in modo mirato nel momento del famoso “recupero”. Che, visto in questa ottica, riporta il problema alla lezione di ballo con cui abbiamo iniziato: come predisporre, dunque, un sistema per cui sia facile allo studente, come all’aspirante ballerino, decidere di impegnarsi in uno sforzo supplementare pur di “rimettersi in pari”? Come offrirgli l’opportunità di corrispondere al suggerimento dell’insegnante,lavorando proprio sulle carenze ravvisate? Una relazione di aiuto, in definitiva, per riprendere il percorso interrotto o deficitario. Un sistema che consideri questo intervento all’interno della normale prassi di insegnamento-apprendimento,senza tragedie né stress da entrambe le parti. Talvolta persino al liceo si dimentica che l’energia atta a rendere efficace il lavoro intellettuale, lungi dall’essere la costrizione, è il de“La scuola che sa suscitare siderio. Potremmo il desiderio dei passi parlare di desiderio dell’apprendeperduti nutre la re e di desiderio di promessa di riuscire. „ trasmettere conoscenze: parleremmo allora di quella facoltà, l’intelligenza, che qualifica il pensiero umano e gli permette di “andare oltre”. La scuola che sa suscitare il desiderio dei passi perduti nutre la promessa di riuscire. Sembra che oggi ancor più che in passato siamo chiamati a rispondere a una richiesta di accompagnamento nel percorso, di sostegno a bisogni individuali sempre più spesso segnalati. Quasi un corale appello a uno stile scolastico che, pur procedendo nella chiarezza degli obiettivi, conosca bene i modi per prendersi cura di quegli aspetti che vanno a consolidare la stima di sé e la motivazione ad apprendere: perché, come per chi impara a ballare, quando si capisce come ripartire col piede giusto il piacere della buona riuscita è assicurato. Antonella Kubler insegna italiano e latino al Liceo scientifico Wiligelmo di Modena.

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eccessivo e inopportuno a un ambito, quello tra il finanziario e il commerciale, in cui gli obiettivi del nostro lavoro hanno assunto via via la configurazione di prodotti oggettivabili: non solo sono diventate “debiti da saldare” le difficoltà nel processo di apprendimento; addirittura hanno guadagnato un posto nella categoria “crediti” le inclinazioni personali che gli studenti esprimono decidendo di svolgere attività extrascolastiche di volontariato, di espressività personale, di approfondimento allo studio pomeridiano: distinguendosi addirittura tra “crediti scolastici” e “crediti formativi”, come se si potesse davvero sostenere una tale distinzione all’interno della scuola, ente formativo per sua natura.


Gli eredi di Androclo C’è una poesia di Milo De Angelis che una volta letta non ho dimenticato più. Questa:

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Scuola / Gli eredi di Androclo

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Mi attendono nascosti. Talvolta li ho portati alla vita, al grande alfabeto del momento. Ma loro tornano lì, muti, si stringono a un palo, non ne vogliono sapere. E il mondo sembra un’eco della frase che non trovano più, caduti nel buio di un gesto qualunque, un sabato, in un centro commerciale. Parlo di eroi, naturalmente, corpi che sul quaderno avevano una spina. Di questi corpi adolescenti e di queste spine ho un’immagine ben precisa. E di questa maledetta frase che non si trova due volte su tre.

di Giusi Marchetta

E

ra quasi buio e l’autobus non arrivava. Per fortuna Lucia era di molte parole. Mi raccontava della sua scuola paritaria in provincia di Napoli con una foga che pareva rendere giustizia a ogni singolo nome contenuto nel suo registro. Eravamo sole alla fermata. I colleghi erano andati. Per i corsi della specializzazione ci avevano assegnato a una scuola di periferia: case su case, illuminazione scarsa, siringhe e preservativi qua e là sui marciapiedi. Tutti i giorni dalle due alle sette prendevamo appunti. I quaderni dei neodocenti si riempivano dalla prima all’ultima pagina. Chi già insegnava di solito ci guardava con aria di sufficienza. Qualcuno diceva che quello che conta è la pratica, che puntare sulla relazione con gli alunni ci avrebbe massacrato entro la prima settimana. Non sapevo se fosse vero: non ero mai entrata in classe da insegnante. Il tirocinio era stato poco più di una farsa, una valanga di ore passata a osservare il lavoro di colleghi stanchi, desiderosi di andare in pensione, colleghi per cui avevamo preparato qualche lezione, fatto fotocopie e che avevamo ascoltato lamentarsi e augurarci qualcosa di meglio di una cattedra a vita. Lucia mi parlava della scuola vera,delle lezioni di italiano a chi parla solo in dialetto,di sedicenni che passano la mattinata a piangere perché hanno paura di essere rimaste incinte, di un’ostilità al libro e allo studio che è più forte di qualunque istanza pedagogica. Parlavamo e non ci siamo accorte dei due ragazzini alle nostre spalle finché non li abbiamo sentiti sghignazzare. Quello più alto, tredici, quattordici anni, portava una maglietta del Napoli e un jeans strappato. L’altro, più piccolo, scurissimo di carnagione e capelli, palleggiava contro un muro come se l’obiettivo fosse sfondarlo. Con un cenno d’intesa si sono avvicinati, poi il primo ha chiesto all’altro in dialetto quanti soldi pensava che avessimo in due.

Pinocchio sull’autobus

— Ci hanno seguiti sull’autobus, molesti ma non aggressivi. Il piccolo si è stretto il pallone sul petto e ha cominciato a colpirlo. Quello più grande ha preso di mira Lucia. «Che pezzo di naso che tieni». È scoppiato a ridere. «È per sentirti meglio» ha fatto lei, e gli ha strappato la risata dalle labbra. «È come quello del lupo di Cappuccetto Rosso, anzi» ha sorriso «è come quello di Pinocchio. Più dico le bugie, più si allunga».


Le spine sui libri —

Certe volte, quando sono in classe, penso a quella sera di novembre e alla storia che devo raccontare. E penso a loro, ovviamente, i miei alunni. Apatici, svogliati, disattenti. Non è solo il quaderno a pungere: ci sono spine sui libri, sulle sedie, sul gesso. Mi dico che il mio compito è vederle e poi, se possibile, renderle innocue. Se quello che mi ritrovo davanti nella maggior parte dei casi è indifferenza, svogliatezza e apatia contro cui lottare lezione dopo lezione, Lucia mi ha insegnato che questa battaglia può somigliare a un gioco che vinciamo ogni volta che li convinciamo a giocare. La programmazione dice che dobbiamo leggere. Quando la compiliamo ogni settembre fingiamo di ignorare che leggere fa male e così ci andiamo giù pesante: lettura e comprensione, lettura e analisi, lettura e sintesi, e così via da incompetenza a competenza. Poi entriamo in classe e leggiamo, per ore. Che qualcuno ci ascolti o no. (Se le ricorda quelle ore di Dante, professoressa? Così lento, incomprensibile, distante. Come avrei potuto ascoltarla? E perché? Ho amato la Divina commedia dopo, all’università, ma devo confessarle che quelle ore di lezione al liceo si sono convertite in una quota dolorosa del mio

tempo perduto, nonostante la sua indiscutibile buona fede). Leggo, quindi, e faccio leggere. Poi un giorno affrontiamo l’ennesimo esercizio di grammatica: trova nel brano le parole che incarnano la regola x e sottolineale, cerchiale, colorale, sottraile in qualche modo al resto della pagina. Gabriele esegue. Legge, imbrocca le parole da cerchiare, arriva fino in fondo all’esercizio incolume e soddisfatto di sé. Si aspetta una lode che non arriva. Ridacchio invece, e loro mi guardano spiazzati. «È divertente, no?». Non sanno di cosa parlo. Prendo l’esercizio e rileggo il brano dall’inizio alla fine ad alta voce. Il fantasma di Canterville incrocia un altro fantasma nel corridoio del castello: urla dalla paura e fugge. Non è mai stato così spaventato. Adesso sorridono come se lo ascoltassero per la prima volta. Ed è normale: adesso l’abbiamo letto davvero. Ogni tanto chiedo a me stessa se sto facendo qualcosa per davvero. Se sto spiegando per essere capita e non per lasciarci alle spalle un argomento, se sto leggendo perché è l’ora di narrativa o perché leggere questa storia è bello e importante. Tre armi mi pare di avere a disposizione per riuscirci e devo sforzarmi per usarle bene. La prima sono i libri giusti, non tutti, quelli adatti agli alunni che ho davanti. Un libro intero, una pagina, un rigo, un verso, a seconda del momento. Letti, raccontati o citati. Libri belli, neanche a dirlo. Le altre due armi sono gli occhi e la voce: li guardo sempre,anche quando non se ne accorgono, e faccio in modo che mi guardino. Tutto quello che insegno passa per la mia voce. Ho un tono per rimproverare, uno per lodare e mille per leggere; solo così mi sembra di poterli agganciare, rendendo viva e attuale la pagina o la regola di grammatica, trasformandola in una cosa che ci riguarda e che si può toccare senza pungersi.

Ma la strega sono io —

Quest’anno ho una prima media che non conosce Dahl,così scelgo Le streghe perché è semplice, breve e perché ci divertiremo a leggerlo davvero. Comincio io con l’introduzione: la descrizione di una strega moderna, una donna esattamente uguale a tutte le altre donne. Mi lascio guidare dallo scrittore e

73 Scuola / Gli eredi di Androclo

Ha fatto un gesto con la mano, come di un ramo che le spuntasse dal viso. Lui ha sorriso. «Ma che dici? Che fantasia tieni? ». «Mica lo dico io. L’hanno scritto. È un libro. Non hai mai sentito parlare di Pinocchio?». È raro il silenzio sugli autobus del napoletano, ma quella sera, a parte il lamento del motore, si sentiva solo la voce di Lucia che raccontava la storia del burattino più famoso del mondo come se fosse nuova, usando il dialetto qua e là per trasferirla a Napoli, farla diventare un fatto che si confida nell’orecchio di qualcuno. E quello, il ragazzo, ascoltava. Un po’ ridendo, un po’ provocando, (solo il naso si allungava? Era sicura?), gli occhi accesi, le gambe traballanti a ogni curva. Alla fermata l’altro l’ha tirato per la maglietta. «Oh, scendiamo. Dài, scendiamo». Lui ha lasciato chiudere le porte. «Aspetta. Falla finire».


Una nave per leggere —

Giovani napoletani intenti alla lettura collettiva sulla nave asilo Caracciolo, che dal 1913 al 1923 ospitò nel porto di Napoli un coraggioso esperimento di recupero sociale ed educativo degli “scugnizzi” per iniziativa di Giulia Civita Franceschi (1870-1957), la educatrice napoletana soprannominata “Montessori del mare” per l’intuizione di utilizzare le navi in disuso come orfanotrofi e scuole per i bambini abbandonati (Wikimedia Commons).

La ricerca / N. 7 Nuova Serie. Novembre 2014

Scuola / Gli eredi di Androclo

74

gli faccio da spalla quando dichiara che in fondo potrebbe essere una strega anche la maestra che sta leggendo il libro; professoressa però dico, perché sentano che sto parlando di noi e di loro (Dahl lo sa e non se la prende) e infatti ridono quando nego la cosa scuotendo la testa con aria di sufficienza mentre leggo che negare e scuotere la testa è proprio quello che farebbe una strega. Leggo, giochiamo, la storia va avanti. Il piccolo protagonista è bloccato dietro un paravento in una sala congressi zeppa di streghe. Sul palco la Suprema arringa la sua orrenda platea. Lei sono io, è ovvio. E le mie streghe devono essere loro rispondendo a tono quando il dialogo lo prevede, in coro, o pescati singolarmente. È una drammatizzazione ma con la recitazione c’entra poco.C’entra piuttosto con me che mi fermo e chiedo: «Perché sta facendo questo?». «Cosa passa per la testa di questa strega?» e con loro che ci pensano, prendono il libro, lo sfogliano, si fanno un’opinione. C’entra col tagliare una descrizione troppo lunga quando sento che li sto perdendo o col cambiare una parola su cui inciamperebbero quelle dopo. O ancora col rallentare perché la battuta alla fine della pagina risulti più efficace.Così facendo mi sembra di togliere la spina dal libro. E adesso che la cosa è indolore, continuino pure da soli: hanno i mezzi e qualcuno anche un po’ di voglia.

Una strategia didattica: provarci —

La lezione di Lucia sull’autobus non è paragonabile a quelle che facciamo in classe ma ha qualcosa di potente che non riesco a togliermi dalla testa. È dimostrare la capacità di avvicinare il leone come Androclo nel Circo Massimo e di liberarlo dalla spina nella zampa senza essere sbranati. Questo è il mio modo di provarci: farlo davvero, tenendo in ogni momento ben presente il senso dell’argomento che sto insegnando e il motivo per cui ritengo importante infliggerlo a un gruppo di adolescenti.È una strategia didattica moderna e condivisa,un piccolo tentativo di sentirsi un po’ più efficaci nel proprio lavoro, ma è soprattutto una cosa che faccio per me. Chiedermi perché scelgo un libro o affronto un argomento mi costringerà sempre a lavorare sul come, mi metterà in discussione, mi indebolirà facendomi sentire incapace ma anche più stimolata. Mi impedirà di trasformarmi in una vestale della letteratura, prigioniera di un incubo in cui una classe piena di persone rimanda l’eco della mia voce che legge Dante a vuoto.

Giusi Marchetta è scrittrice e insegnante in un liceo di Torino. Ha pubblicato L’iguana non vuole (Rizzoli, 2011) e Dai un bacio a chi vuoi tu (Terre di mezzo), col quale nel 2007 ha vinto il Premio Calvino, e Napoli ore 11 (Terre di mezzo, 2009).


QdR

Didattica e letteratura Una nuova collana scientifica destinata a scuola e università, diretta da Natascia Tonelli e Simone Giusti. Per riflettere su metodi e strumenti idonei a valorizzare il ruolo degli studi letterari, della scrittura, della lettura e dell’interpretazione delle opere.

COMITATO SCIENTIFICO Remo Ceserani (Università di Bologna) Paolo Giovannetti (IULM) Pasquale Guaragnella (Università degli Studi di Bari) Marielle Macé (CRAL Parigi) Francisco Rico (Universitad Autònoma Barcelona) Francesco Stella (Università degli Studi di Siena)

PIANO EDITORIALE 2014-2015 J.M. Schaeffer, Piccola ecologia degli studi letterari. Come e perché studiare la letteratura? . Ruozzi, Raccontare la scuola. C Testi, autori e forme del secondo Novecento Le competenze dell’italiano. Strategie di insegnamento e di valutazione, a cura di N. Tonelli ISSN 2385-0914 I Quaderni della Ricerca sono online

Per la scuola e per l'università

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Per le copie cartacee rivolgersi in libreria o all’agente di zona www.loescher.it/agenzie


La ricerca online

Rivista e contenitore per dire, fare, condividere cultura

La ricerca si affaccia alla rete con una finestra online: il sito nasce per ampliare le prospettive, arricchire il dibattito, captare e rilanciare nuovi argomenti, nuovi discorsi. In contatto diretto e quotidiano scambio con i suoi lettori. Il sito contiene gli articoli scritti per La ricerca cartacea e il pdf scaricabile, un aggiornamento quotidiano di notizie su attualità, istruzione, cultura, la sezione Scritto da voi, un’area dedicata alle normative riguardanti l’istruzione, e tutti i Quaderni della Ricerca.

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La formazione Lœscher 2014 – 2015

Seminari di formazione per docenti BEnessere a scuola BES DSA Inclusione Disagio Bullismo Identità sessuale Omofobia

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PROFESSIONE DOCENTE Competenze Adulti Scuola-Lavoro Nuove tecnologie Internet Scuola 2.0 Invalsi

DIDATTICA E DISCIPLINE Linguistica Letteratura italiana Lingue straniere Scrittura

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La formazione Lœscher La Casa Editrice Lœscher è riconosciuta come Ente accreditato per l'aggiornamento e la formazione del personale della scuola, ai sensi del D.M. nr. 90/2003 del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca. Il seminario si configura come attività di formazione e aggiornamento. L'art. 64 comma 5 del CCNL prevede che "Gli insegnanti hanno diritto alla fruizione di cinque giorni nel corso dell'anno scolastico per la partecipazione a iniziative di formazione con l'esonero dal servizio e con sostituzione ai sensi della normativa sulle supplenze brevi vigente nei diversi gradi scolastici". Al completamento del seminario verrà rilasciato un attestato di frequenza.

sommario benessere a scuola p.

didattica e discipline p.

01. Identità sessuale a scuola

3

02. Individuare il problema

4

14. Nuovi modelli per lo studio grammaticale e l’analisi dei testi

16

03. Dal disagio all’agio

5

15. Per una letteratura delle competenze

17

04. Bullo o spaccone?

6

16. Insegnare con la letteratura e con le tecnologie

18

05. Strategie per una didattica inclusiva

7

17. Lingua straniera e didattica per competenze 19

06. Disagio socio-culturale e Bisogni educativi speciali

8

18. La scrittura chiara

20

19. Racconti di classe

21

professione docente 07. Insegnare per competenze

9

08. L’alternanza scuola-lavoro

10

L'offerta continua online

09. Istruzione degli adulti

11

10. Risorse Cloud e Web 2.0 per la scuola

12

Altri seminari di formazione sono a disposizione sul sito formazione.loescher.it

11. Il tablet in classe 1

13

12. Il tablet in classe 2

14

13. I test INVALSI: problema o risorsa didattica? 15

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Prenotazione dei seminari: online su formazione.loescher.it Rivolgiti al tuo agente di zona per eventuali informazioni.

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benessere a scuola

BES DSA Inclusione Disagio Bullismo Adulti Identità sessuale Omofobia

1. Identità sessuale a scuola Per favorire l'integrazione, riconoscere gli elementi discriminatori del curricolo, agevolare la riflessione critica degli allievi sul concetto di identità sessuale.

Formatore

Un incontro di 4 ore.

Descrizione del corso

• Identità sessuale: definizioni. • Lo stato della ricerca sul tema. • L’omofobia nella scuola italiana. • L’identità sessuale nel curricolo. • Verso una gestione delle differenze.

Destinatari

Insegnanti di ogni ordine e grado, dirigenti scolastici, formatori, educatori che operano a stretto contatto con la scuola.

Ambito territoriale

L’intero territorio nazionale.

Materiali didattici*

• F. Batini, Identità sessuale: un'assenza ingiustificata, “I Quaderni della Ricerca”, n. 8, Lœscher Editore, 2014. • Presentazioni e video disponibili nel sito de "La ricerca": www.laricerca.Lœscher.it • Materiale gratuito disponibile nel blog del prof. Batini.

Prezzo

3 benessere a scuola / Seminari di formazione per docenti

Durata

Federico Batini Insegna all’Università di Perugia. Già insegnante di ruolo in diversi ordini di scuola, per oltre 10 anni, si occupa di formazione degli insegnanti, di prevenzione e cura della dispersione, di processi di miglioramento della didattica e delle relazioni nei processi di istruzione da oltre 20 anni. Direttore della Rivista di Classe A Lifelong Lifewide Learning e di collane editoriali come AltrEducazione. Autore di oltre 220 pubblicazioni scientifiche il suo blog è federicobatini.wordpress.com. Autore Lœscher e principale ideatore dei contenuti presenti nel portale delle competenze: competenze.loscher.it

Consultare il sito formazione.loescher.it

Finalista all’edizione 2014 del Premio Nazionale di Divulgazione Scientifica *La fornitura dei materiali didattici sarà a carico della Casa editrice Lœscher solo se espressamente dichiarato su questo catalogo o sul sito dedicato.

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benessere a scuola

BES DSA Inclusione Disagio Bullismo Adulti Identità sessuale Omofobia

2. Individuare il problema Come riconoscere i disturbi specifici di apprendimento e come intervenire tempestivamente.

Formatore

benessere a scuola / Seminari di formazione per docenti

4

Durata

Ugo Avalle Pedagogista-fomatore, esperto sulle tematiche del disagio e dell’handicap. Docente a contratto presso l’Università di Savigliano. Incarico di formatore in numerosi corsi PON e in quelli di formazione organizzati da vari enti di formazione italiani. Dal 1984 cura la stesura di testi di pedagogia e di scienze dell’educazione per le case editrici Pearson e Zanichelli. • Per la casa editrice Unicopli ha pubblicato: L’educatore come ricercatore. • Per la casa editrice Mondadori-Campus ha pubblicato: Il ben essere a scuola. • Per l’ente di formazione Assodolab ha realizzato un corso online: Il disagio a scuola: BES-DSA. Un incontro di 4 ore.

Descrizione del corso

• Difficoltà e disturbo dell’apprendimento: cause e conseguenze. • Individuazione precoce della difficoltà e del disturbo: quando e come intervenire. • La “consensus conference” e i rapporti scuola-famiglia sugli intereventi da adottare. • Presentazione e analisi degli interventi metodologico-didattici da adottare.

Destinatari

• Insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado. • Educatori.

Ambito territoriale

L’intero territorio nazionale.

Materiali didattici*

• U. Avalle, Il ben essere a scuola, Bruno Mondadori, 2009. • Schede del Gruppo MT.

Prezzo

Consultare il sito formazione.loescher.it

*La fornitura dei materiali didattici sarà a carico della Casa editrice Lœscher solo se espressamente dichiarato su questo catalogo o sul sito dedicato.

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benessere a scuola

BES DSA Inclusione Disagio Bullismo Adulti Identità sessuale Omofobia

3. Dal disagio all’agio Come combattere il "mal-essere" a scuola e rendere l'ambiente di apprendimento ricco e stimolante per tutti gli studenti.

Formatore

Un incontro di 4 ore.

Descrizione del corso

• Gli alunni “BES”. • Il “mal-essere” a scuola: presentazione delle varie situazioni/ condizioni e loro analisi. • Dall’osservazione “naive” a quella “sistematica”: presentazione e analisi degli strumenti principali. • Come, quando, perchè intervenire. • Presentazione di alcuni casi e analisi delle strategie di intervento da adottare.

Destinatari

• Insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado. • Educatori.

Ambito territoriale

L’intero territorio nazionale.

Materiali didattici*

• U. Avalle, Il ben essere a scuola, Bruno Mondadori, 2009. • Schede del Gruppo MT. • Protocolli di osservazione.

Prezzo

5 benessere a scuola / Seminari di formazione per docenti

Durata

Ugo Avalle Pedagogista-fomatore, esperto sulle tematiche del disagio e dell’handicap. Docente a contratto presso l’Università di Savigliano. Incarico di formatore in numerosi corsi PON e in quelli di formazione organizzati da vari enti di formazione italiani. Dal 1984 cura la stesura di testi di pedagogia e di scienze dell’educazione per le case editrici Pearson e Zanichelli. • Per la casa editrice Unicopli ha pubblicato: L’educatore come ricercatore. • Per la casa editrice Mondadori-Campus ha pubblicato: Il ben-essere a scuola. • Per l’ente di formazione Assodolab ha realizzato un corso on-line: Il disagio a scuola: BES-DSA.

Consultare il sito formazione.loescher.it

*La fornitura dei materiali didattici sarà a carico della Casa editrice Lœscher solo se espressamente dichiarato su questo catalogo o sul sito dedicato.

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benessere a scuola

BES DSA Inclusione Disagio Bullismo Adulti Identità sessuale Omofobia

4. Bullo o spaccone? Il mito del “successo a tutti i costi” fa perdere di vista i valori autentici sui quali fondare la propria esistenza.

Formatore

benessere a scuola / Seminari di formazione per docenti

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Durata

Ugo Avalle Pedagogista-fomatore, esperto sulle tematiche del disagio e dell’handicap. Docente a contratto presso l’Università di Savigliano. Incarico di formatore in numerosi corsi PON e in quelli di formazione organizzati da vari enti di formazione italiani. Dal 1984 cura la stesura di testi di pedagogia e di scienze dell’educazione per le case editrici Pearson e Zanichelli. • Per la casa editrice Unicopli ha pubblicato: L’educatore come ricercatore. • Per la casa editrice Mondadori-Campus ha pubblicato: Il ben-essere a scuola. • Per l’ente di formazione Assodolab ha realizzato un corso on-line: Il disagio a scuola: BES-DSA. Un incontro di 4 ore.

Descrizione del corso

• Bullismo o “ragazzate”? • Bullismo e omofobia. • Bullo si nasce o si diventa? • Il bullismo nella scuola e nella società: analisi delle principali manifestazioni. • Il bullismo: analisi socio-psico-pedagogica. • Il contributo della scuola nell’individuazione del fenomeno e nella scelta degli interventi più appropriati per gestirlo. • Analisi di casi.

Destinatari

• Insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado. • Educatori.

Ambito territoriale

L’intero territorio nazionale.

Materiali didattici*

• Protocolli di osservazione • A. Battaglia, Io non ho paura, vol. 1: Storie di vittime e bulli, Franco Angeli, 2009.

Prezzo

Consultare il sito formazione.loescher.it

*La fornitura dei materiali didattici sarà a carico della Casa editrice Lœscher solo se espressamente dichiarato su questo catalogo o sul sito dedicato.

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benessere benesserea scuola a scuola

BES DSA Inclusione Disagio Bullismo Adulti Identità sessuale Omofobia

5. Strategie per una didattica inclusiva Strumenti compensativi, misure dispensative e buone pratiche per classi con studenti DSA e BES.

Formatori

Due incontri di 3 ore ciascuno (a seconda delle esigenze dei vari istituti).

Descrizione del corso

• DSA e BES: dalla filosofia dell’accoglienza alla didattica dell’inclusione. Dai riferimenti normativi al protocollo d’istituto. • Chiarimenti terminologici: le difficoltà dello studente con DSA. • Le prassi didattiche dedicate: il protocollo d’istituto, il vademecum delle buone pratiche; il Piano Didattico Personalizzato. • Le buone pratiche. Strumenti compensativi e misure dispensative per DSA. • Strumenti compensativi e misure dispensative: un obbligo di legge. • Condivisione di materiali didattici. • Una didattica inclusiva. L’approccio metodologico. • Gradualità degli apprendimenti. • Ricorsività degli insegnamenti. • Approccio trasversale alle conoscenze. • Apprendimento cooperativo. • Didattica laboratoriale. • Lo sviluppo di competenze: l’insegnante come mediatore. • Insegnare a imparare: strategie per apprendere. • Il “Saper fare con la lingua”, una competenza socio-pragmatica. • Dalla grammatica di riconoscimento alla grammatica d’uso. • Dall’anti-italiano al plain language: la democratizzazione della lingua.

Destinatari

Insegnanti in particolare di italiano della scuola primaria e secondaria.

Ambito territoriale

L’intero territorio nazionale.

Materiali didattici*

Materiali prodotti dal formatore (presentazione in Power Point).

Prezzo

7 benessere a scuola / Seminari di formazione per docenti

Durata

Monica Celi, Marco Giarratana Esperienza pluriennale come docenti, formatori, referenti, coordinatori di progetto nei seguenti ambiti: • Didattica dell’italiano L2. • Bisogni educativi speciali. • Disturbo specifico dell’attenzione. • Didattica inclusiva. Autori di testi per le case editrici Hoepli e Lœscher negli ambiti indicati.

Consultare il sito formazione.loescher.it

*La fornitura dei materiali didattici sarà a carico della Casa editrice Lœscher solo se espressamente dichiarato su questo catalogo o sul sito dedicato.

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benessere a scuola

BES DSA Inclusione Disagio Bullismo Adulti Identità sessuale Omofobia

6. Disagio socio-culturale e Bisogni educativi speciali Progettare percorsi personalizzati per alunni BES in situazione di disagio socio-culturale e con difficoltà linguistiche.

Formatore

benessere a scuola / Seminari di formazione per docenti

8

Durata

Emilio Porcaro Dirigente scolastico, formatore, esperto nel campo dell’istruzione degli adulti. Presidente della RIDAP (Rete Italiana Istruzione degli Adulti). Fondatore dell’APIDIS (Albo italiano dei docenti di italiano a stranieri). Autore di manuali scolastici per Lœscher. Un incontro di 4 ore.

Descrizione del corso

• Il contesto normativo. • Approcci e metodi per una didattica inclusiva. • Organizzazione del curricolo e valutazione. • Piani personalizzati e contratto formativo. • Lavorare con alunni stranieri non italofoni.

Destinatari

• Consigli di classe di scuola secondaria di primo grado. • Insegnanti di scuola primaria. • Insegnanti di sostegno.

Ambito territoriale

L’intero territorio nazionale.

Materiali didattici*

Materiali prodotti dal formatore.

Prezzo

Consultare il sito formazione.loescher.it

*La fornitura dei materiali didattici sarà a carico della Casa editrice Lœscher solo se espressamente dichiarato su questo catalogo o sul sito dedicato.

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PROFESSIONe DOCENTE

Competenze Adulti Scuola-lavoro Nuove tecnologie Internet Scuola 2.0 Invalsi

7. Insegnare per competenze Il seminario propone un cambiamento di paradigma nella scuola. La caratteristica di questo seminario è di mantenere un ritmo “alto”, con utilizzo di video, intermezzi ironici, letture, configurandosi dunque nell’ambito dell’edutainment.

Formatore

Durata

Incontro di 4 ore.

Descrizione del corso

• Dalla scuola del bagaglio culturale allo zaino delle skill. • Un lungo percorso normativo in sintesi. • Cosa sono esattamente le competenze? • Perché usare le competenze? • Cosa ci dice la ricerca sull’apprendimento? • Cenni su iniziare a lavorare per competenze.

Destinatari

Insegnanti di ogni ordine e grado, dirigenti scolastici, formatori, educatori che operano a stretto contatto con la scuola.

Ambito territoriale

L’intero territorio nazionale.

Materiali didattici*

• Presentazioni e video disponibili nel portale competenze Lœscher. • Materiale gratuito disponibile nel blog del prof. Batini. • F. Batini, Insegnare per competenze, “I Quaderni della Ricerca”, n. 2, Lœscher Editore, 2013. • F. Batini, Percorsi per competenze, 4 voll., Loescher Editore, 2014.

9 professione docente / Seminari di formazione per docenti

Federico Batini Insegna all’Università di Perugia. Già insegnante di ruolo in diversi ordini di scuola, si occupa di formazione degli insegnanti, di prevenzione e cura della dispersione, di processi di miglioramento della didattica e delle relazioni nei processi di istruzione da oltre 20 anni. Autore Lœscher e principale ideatore dei contenuti presenti nel portale delle competenze: competenze.loscher.it

Consultare il sito formazione.loescher.it

Prezzo

QUESTA PUBBLICAZIONE È DISTRIBUITA GRATUITAMENTE A CORREDO DELL'OPERA, PERTANTO È A TUTTI GLI EFFETTI FUORI COMMERCIO.

Federico Batini

OsservO, ipOtizzO, cOmprendO

“ In ogni azione competente

sono contenute delle conoscenze che permeano il soggetto in profondità, in modo tale, cioè, che gli sia consentito di mobilizzarle e utilizzarle per agire. „

QUESTA PUBBLICAZIONE È DISTRIBUITA GRATUITAMENTE A CORREDO DELL'OPERA, PERTANTO È A TUTTI GLI EFFETTI FUORI COMMERCIO.

Batini

— Federico Batini

“ In ogni azione competente

— Federico Batini

AnAlizzo, interpreto, risolvo

sono contenute delle conoscenze che permeano il soggetto in profondità, in modo tale, cioè, che gli sia consentito di mobilizzarle e utilizzarle per agire. „

Federico Batini

AnAlizzo, interpreto, risolvo Percorsi per competenze

Federico Batini insegna Metodologia della ricerca in Educazione, Pedagogia sperimentale e consulenza pedagogica all’Università di Perugia. Si occupa da quindici anni di formazione e ha insegnato per dieci anni nella scuola secondaria di primo e secondo grado. Ha lavorato come docente nelle SSIS e attualmente insegna nel TFA occupandosi, in particolare, del tema della didattica, della progettazione e valutazione per competenze. 31221_PH1

SUL WEB: www.loescher.it/competenze

NELL'ELENCO DEI LIBRI DI TESTO INDICARE L'INTERO CODICE ISBN

31221

GRATUITO

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SUL WEB: www.loescher.it/competenze

31049_PH1_Batini.indd Tutte le pagine

31049

NELL'ELENCO DEI LIBRI DI TESTO INDICARE L'INTERO CODICE ISBN

31049 BATINI ANALIZZO, INTERPRETO, RISOLVO

BATINI OSSERVO, IPOTIZZO, COMPRENDO

/ ASSE SCIENTIFICO-TECNOLOGICO

ASSE MATEMATICO

Federico Batini insegna Metodologia della ricerca in Educazione, Pedagogia sperimentale e consulenza pedagogica all’Università di Perugia. Si occupa da quindici anni di formazione e ha insegnato per dieci anni nella scuola secondaria di primo e secondo grado. Ha lavorato come docente nelle SSIS e attualmente 31221_PH1_Batini.indd Tutte le pagine insegna nel TFA occupandosi, in particolare, del tema della didattica, della progettazione e valutazione per competenze.

GRATUITO

Percorsi per competenze

29/01/14 14:09

/ ASSE MATEMATICO

29/01/14 14:08

*La fornitura dei materiali didattici sarà a carico della Casa editrice Lœscher solo se espressamente dichiarato su questo catalogo o sul sito dedicato.

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PROFESSIONe DOCENTE

Competenze Adulti Scuola-lavoro Nuove tecnologie Internet Scuola 2.0 Invalsi

8. L’alternanza scuola-lavoro Come integrare la progettazione dell'alternanza scuola-lavoro con la progettazione didattica generale: tra provvedimenti normativi e aspettative degli studenti.

Formatore

professione docente / Seminari di formazione per docenti

10

Durata

Federico Batini Insegna all’Università di Perugia. Già insegnante di ruolo in diversi ordini di scuola, per oltre 10 anni, si occupa di formazione degli insegnanti, di prevenzione e cura della dispersione, di processi di miglioramento della didattica e delle relazioni nei processi di istruzione da oltre 20 anni. Direttore della Rivista di Classe A Lifelong Lifewide Learning e di collane editoriali come AltrEducazione. Autore di oltre 220 pubblicazioni scientifiche il suo blog è federicobatini.wordpress.com. Autore Lœscher e principale ideatore dei contenuti presenti nel portale delle competenze: competenze.loescher.it Incontro di 4 ore.

Descrizione del corso

• Alternanza scuola lavoro: nascita, motivazioni. • Fondamenti normativi. • I numeri dell’alternanza. • I ruoli nell’alternanza. • La didattica dell’alternanza scuola lavoro. • Finanziamenti e opportunità.

Destinatari

Insegnanti di ogni ordine e grado, dirigenti scolastici, formatori, educatori che operano a stretto contatto con la scuola.

Ambito territoriale

L’intero territorio nazionale.

Materiali didattici*

• Presentazioni e video disponibili nel portale competenze di Lœscher dedicato alle competenze. • Materiale gratuito disponibile nel blog del prof. Batini. • F. Batini, L'alternanza scuola-lavoro, "I Quaderni della Ricerca", in corso di pubblicazione.

Prezzo

Consultare il sito formazione.loescher.it

*La fornitura dei materiali didattici sarà a carico della Casa editrice Lœscher solo se espressamente dichiarato su questo catalogo o sul sito dedicato.

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PROFESSIONe DOCENTE

Competenze Adulti Scuola-lavoro Nuove tecnologie Internet Scuola 2.0 Invalsi

9. Istruzione degli Adulti La Commissione per la definizione del Patto formativo individuale. Identificazione, valutazione e attestazione delle competenze.

Formatore

Un incontro di 4 ore.

Descrizione del corso

• ll riconoscimento dei crediti formali, informali e non formali nel sistema IDA è un processo articolato e complesso che si conclude con una certificazione nella quale vengono indicate le competenze riconosciute e che rappresenta il punto di partenza per la definizione del Patto formativo individuale. • Nel corso del seminario vengono proposte alcune riflessioni sulle modalità organizzative della Commissione per la definizione del patto formativo, sulle modalità di identificazione e valutazione delle competenze attraverso la presentazione di alcune modalità operative per l’attribuzione dei crediti. • Il sistema di Istruzione degli Adulti alla luce del nuovo quadro normativo (DPR 263/2012). • Il sistema dell’apprendimento Permanente (Legge 92/2012 e D. Lg. 13/2013. • La Commissione per la definizione del Patto formativo individuale. • Le tre fasi del processo di riconoscimento dei crediti: identificazione, valutazione, attestazione. • Il Patto formativo individuale. • Unità di Apprendimento.

Destinatari

Dirigenti scolastici e docenti dei CPIA/CTP e delle scuole secondarie con percorsi di istruzione per adulti.

Ambito territoriale

L’intero territorio nazionale.

Materiali didattici*

Materiali prodotti dal formatore.

Prezzo

11 professione docente / Seminari di formazione per docenti

Durata

Emilio Porcaro Dirigente scolastico, formatore, esperto nel campo dell’istruzione degli adulti. Presidente della RIDAP (Rete Italiana Istruzione degli Adulti). Fondatore dell’APIDIS (Albo italiano dei docenti di italiano a stranieri). Autore di manuali scolastici per Lœscher.

Consultare il sito formazione.loescher.it

*La fornitura dei materiali didattici sarà a carico della Casa editrice Lœscher solo se espressamente dichiarato su questo catalogo o sul sito dedicato.

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PROFESSIONe DOCENTE

Competenze Adulti Scuola-lavoro Nuove tecnologie Internet Scuola 2.0 Invalsi

10. Risorse cloud e web 2.0 per la scuola Le risorse Cloud per la didattica quotidiana: pratica e metodologia. Livello Base

Formatore

professione docente / Seminari di formazione per docenti

12

Durata

Massimiliano Andreoletti • Laurea in Pedagogia. • PhD in Comunicazione e Nuove Tecnologie. • Formatore e consulente esperto di didattica per competenze, tecnologie digitali e media. Un incontro di 4 ore.

Descrizione del corso

• Le abilità necessarie per gestire le funzioni principali degli strumenti Cloud più importanti all’interno della propria attività didattica. • Repository (archivi) e risorse Web per la formazione. • Strumenti cloud e Web 2.0 per la produzione, condivisione e archiviazione di materiali.

Destinatari

Insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado.

Ambito territoriale

L’intero territorio nazionale.

Materiali didattici*

Tablet/computer connesso a Internet per ogni partecipante (dotazione a cura degli iscritti o della scuola ospitante).

Prezzo

Consultare il sito formazione.loescher.it

*La fornitura dei materiali didattici sarà a carico della Casa editrice Lœscher solo se espressamente dichiarato su questo catalogo o sul sito dedicato.

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PROFESSIONe DOCENTE

Competenze Adulti Scuola-lavoro Nuove tecnologie Internet Scuola 2.0 Invalsi

11. Il tablet in classe 1 Questioni preliminari all’introduzione del tablet nell’attività didattica. Livello Base

Formatore

Un incontro di 4 ore.

Descrizione del corso

• Lo scenario delle nuove tecnologie digitali e le loro ricadute nella società. • L’organizzazione della scuola e della classe. • Le infrastrutture tecnologiche per una scuola con i tablet. • Il profilo professionale e il ruolo del docente. • Natura e caratteristiche del tablet. • Competenze tecniche di base per l’utilizzo in classe del tablet. • Risorse Cloud e web 2.0 per la produzione, condivisione e archiviazione di materiali.

Destinatari

Insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado.

Ambito territoriale

L’intero territorio nazionale.

Materiali didattici*

Tablet connesso a Internet per ogni partecipante (dotazione a cura degli iscritti o della scuola ospitante).

Prezzo

13 professione docente / Seminari di formazione per docenti

Durata

Massimiliano Andreoletti • Laurea in Pedagogia. • PhD in Comunicazione e Nuove Tecnologie. • Formatore e consulente esperto di didattica per competenze, tecnologie digitali e media.

Consultare il sito formazione.loescher.it

*La fornitura dei materiali didattici sarà a carico della Casa editrice Lœscher solo se espressamente dichiarato su questo catalogo o sul sito dedicato.

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PROFESSIONe DOCENTE

Competenze Adulti Scuola-lavoro Nuove tecnologie Internet Scuola 2.0 Invalsi

12. Il tablet in classe 2 Metodologie e risorse per un utilizzo efficace del tablet nell’attività didattica. Livello Avanzato

Formatore

14 professione docente / Seminari di formazione per docenti

Durata

Massimiliano Andreoletti • Laurea in Pedagogia. • PhD in Comunicazione e Nuove Tecnologie. • Formatore e consulente esperto di didattica per competenze, tecnologie digitali e media. 2 incontri di 4 ore ciascuno.

Descrizione del corso

• Lo scenario delle nuove tecnologie digitali e le loro ricadute nella società. • L’organizzazione della scuola e della classe. • Le infrastrutture tecnologiche per una scuola con i tablet. • Il profilo professionale ed il ruolo del docente. • Natura e caratteristiche del tablet. • Competenze tecniche per l’utilizzo in classe del tablet. • Risorse Cloud e Web 2.0 per la produzione, condivisione e archiviazione di materiali. • Progettazione di una UdA con l’ausilio del tablet e di risorse Web.

Destinatari

Insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado.

Ambito territoriale

L’intero territorio nazionale.

Materiali didattici*

Tablet connesso a Internet per ogni partecipante (dotazione a cura degli iscritti o della scuola ospitante).

Prezzo

Consultare il sito formazione.loescher.it

*La fornitura dei materiali didattici sarà a carico della Casa editrice Lœscher solo se espressamente dichiarato su questo catalogo o sul sito dedicato.

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PROFESSIONe DOCENTE

Competenze Adulti Scuola-lavoro Nuove tecnologie Internet Scuola 2.0 Invalsi

13. I test Invalsi: problema o risorsa didattica? Promuovere la formazione di insegnanti “competenti” nell’uso dei test, e cioè in grado di costruirli, maneggiarli e giudicarli in modo autonomo e consapevole.

Formatore

Incontro di 4 ore.

Descrizione del corso

• L’Italia nel contesto delle indagini internazionali per la verifica delle competenze degli studenti e l'accountability nelle scuole. • La logica del Quadro di riferimento dei test Invalsi e la programmazione dell’italiano. • Un laboratorio didattico per lo sviluppo delle competenze di lettura e scrittura. • Qualche regola per la costruzione dei test e la loro correzione. • Una bussola per la certificazione e la valutazione.

Destinatari

Insegnanti di italiano delle scuole secondarie di primo e secondo grado.

Ambito territoriale

L’intero territorio nazionale.

Materiali didattici*

La valutazione esterna a scuola: da “vincolo” a risorsa didattica, a cura di A. Stancanelli, A. Fatai, M. Urzì, “I Quaderni della Ricerca”, n. 10, Lœscher Editore, 2014.

Prezzo

15 professione docente / Seminari di formazione per docenti

Durata

Amelia Stancanelli Dirigente scolastica in pensione. Formatore delle seguenti Associazioni qualificate per la Formazione degli Insegnanti presso il MIUR: CIDI, SISUS e ITALIA NOSTRA. Autrice di Antologie e Grammatiche per i bienni delle Scuole Secondarie superiori. Componente dei team di Formatori INVALSI per la realizzazione di corsi di formazione nel 2011.

Consultare il sito formazione.loescher.it

*La fornitura dei materiali didattici sarà a carico della Casa editrice Lœscher solo se espressamente dichiarato su questo catalogo o sul sito dedicato.

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Linguistica Letteratura italiana Lingue straniere Scrittura

DIDATTICA E DISCIPLINE

14. Nuovi modelli per lo studio grammaticale e l’analisi dei testi Tradizionalmente, “grammatica” e “testi” sono separati. Si propongono invece modelli di descrizione del sistema della lingua che aprono la strada anche all’analisi dei caratteri dei testi. Formatore

Francesco Sabatini Professore ordinario di Linguistica italiana in varie Università italiane, ora emerito dell’Università Roma Tre. È stato Presidente dell’Accademia della Crusca. Autore di saggi e volumi di Storia della lingua italiana; con Vittorio Coletti, di un Dizionario della Lingua Italiana; singolarmente e con Carmela Camodeca e Cristiana De Santis, di manuali scolastici.

didattica e discipline / Seminari di formazione per docenti

16

Durata

Incontro di 4 ore.

Descrizione del corso

Il corso indirizza i docenti sulla seguente linea di principi. • Il modello della verbo-dipendenza, detto anche “valenziale” (adatto a tutte le lingue, moderne e classiche) rende più ragionata e semplice la spiegazione del sistema della lingua. • Tale modello apre la strada alla comprensione dei testi. Anche questi vanno classificati in base a un criterio unificante, che indica tre grandi categorie facilmente riconoscibili dalla forma linguistica: i testi “rigidi” (normativi, scientifici, tecnici), i testi intermedi (manualistici, saggistici, informativi comuni), i testi “elastici” (narrativi e poetici).

Destinatari

• Docenti di italiano di Scuola Superiore di I grado e di II grado. • Molto opportuna la partecipazione anche dei docenti di scienze e di matematica (nonché docenti di Scuola primaria).

Ambito territoriale

L’intero territorio nazionale.

Materiali didattici*

• Un fascicolo (a stampa e online) di sintesi del modello teorico e della descrizione del percorso didattico: - della grammatica valenziale (morfologia e sviluppo della sintassi) - del rapporto tra struttura della frase e forme testuali. • Esempi di rappresentazione grafica (su carta e con animazioni informatiche) della struttura della frase. • Collegamenti con piattaforme per letture di ampliamento. Consultare il sito formazione.loescher.it

SAB

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AT IN I SI STE M AG R AM + EL EM EN

TI + LIB RO LIM

SISTEMA E TESTO

Dalla grammatica valenziale all’esperienza dei testi Elementi caratterizzanti di questo corso Sistema e Testo realizza l’atteso progetto di un manuale per l’insegnamento dell’italiano su basi più scientifiche e con decisa attenzione alle crescenti relazioni interdisciplinari. Durante anni di sperimentazione in contesti didattici diversi, il modello della grammatica valenziale ha dimostrato la sua semplicità di acquisizione, anche visiva, e la sua potenza nell’esercizio della riflessione e della produzione linguistica. Il modello pragmatico di tipologia dei testi, che si sposa all’analisi della lingua, completa il progetto, offrendo al docente strumenti per un procedere ordinato e consapevole anche nelle attività sui testi, letterari e d’altro genere, attuali e del passato. Il volume è corredato da un’ampia varietà di esercizi stimolanti, che non si limitano al riconoscimento passivo delle strutture, ma abituano a scelte consapevoli tra diverse soluzioni espressive.

GLI ELEMENTI DEL SISTEMA

Il volumetto offre un repertorio completo di attività utili per il recupero e il consolidamento delle conoscenze grammaticali di base.

In copertina: Grammatica, Testo e Comunicazione. Illustrazione di Maurizio Dondi, 2011

SISTEMA E TESTO Dalla grammatica valenziale all’esperienza dei testi

3477 Sabatini, Camodeca, De Santis SISTEMA E TESTO

QUESTO VOLUME, SPROVVISTO DEL TALLONCINO A FRONTE (O OPPORTUNAMENTE PUNZONATO O ALTRIMENTI CONTRASSEGNATO), È DA CONSIDERARSI COPIA DI SAGGIO - CAMPIONE GRATUITO, FUORI COMMERCIO (VENDITA E ALTRI ATTI DI DISPOSIZIONE VIETATI: ART. 17, C. 2 L. 633/1941). ESENTE DA IVA (DPR 26.10.1972, N. 633, ART. 2, LETT. D). ESENTE DA DOCUMENTO DI TRASPORTO (DPR 26.10.1972, N. 633, ART. 74).

Francesco Sabatini, Carmela Camodeca, Cristiana De Santis

SISTEMA E TESTO Dalla grammatica valenziale all’esperienza dei testi

roLI Lib M

Prezzo

• Gli schemi radiali del volume, qui animati, illustrano la formazione e il progressivo ampliamento della struttura della frase intorno al verbo. • Esercizi e materiali aggiuntivi integrano il volume e sono utili per l’autoapprendimento o per svolgere esercitazioni in classe. • La versione del volume digitale, da utilizzare sulla LIM, facilita la comunicazione didattica e la partecipazione degli studenti.

CD-ROM

online in www.imparosulweb.eu QUESTO CORSO È COSTITUITO DA: ISBN 978-88-201-3477-8 GRAMMATICA + GLI ELEMENTI DEL SISTEMA + LIBROLIM ISBN 978-88-201-3483-9 GRAMMATICA + LIBROLIM ISBN 978-88-201-3494-5 GUIDA PER L’INSEGNANTE + CD-ROM

3477

€ 29,90

SABATINI, CAMODECA, DE SANTIS SISTEMA E TESTO. GRAMMATICA + GLI ELEMENTI DEL SISTEMA + LIBROLIM NELL’ELENCO DEI LIBRI DI TESTO INDICARE L’INTERO CODICE ISBN

LOESCHER 1861 - 2011 150 ANNI DI SCUOLA Per saperne di più vai al link Cercare, Sapere, Conoscere sul sito www.loescher.it

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PREZZO AL PUBBLICO

VALIDO PER IL 2011

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*La fornitura dei materiali didattici sarà a carico della Casa editrice Lœscher solo se espressamente dichiarato su questo catalogo o sul sito dedicato.

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DIDATTICA E DISCIPLINE

Linguistica Letteratura italiana Lingue straniere Scrittura

15. Per una letteratura delle competenze L’insegnamento di Italiano e lo studio del canone curvato a vantaggio di una didattica produttiva sul piano delle competenze comunicative, emotive e sociali. Formatore

Incontro di 4 ore.

Descrizione del corso

• L’apporto dell’Italiano nella formazione delle competenze chiave. • Come si forma e si definisce una competenza specificamente “letteraria”, raggiungibile e valutabile all’interno del curricolo scolastico.

Destinatari

• Insegnanti di italiano, scuole medie inferiori. • Insegnanti di italiano, triennio delle scuole superiori.

Ambito territoriale

L’intero territorio nazionale.

Materiali didattici*

Per una letteratura delle competenze, a cura di N. Tonelli, “I Quaderni della Ricerca”, n. 6, Lœscher Editore, 2014.

Prezzo

17 didattica e discipline / Seminari di formazione per docenti

Durata

Natascia Tonelli Natascia Tonelli è professore di letteratura italiana all’Università degli studi di Siena. È presidente della sezione didattica dell’Associazione degli italianisti (ADI-sd) ed è referente per il MIUR del progetto di sperimentazione didattica sulla letteratura a scuola COMPITA, le competenze dell’italiano. È esperto disciplinare ANSAS. Condirige la rivista di italianistica “Per leggere”, dedicata a commento e lettura di testi, all’editoria scolastica e al rapporto fra scuola e università; con Simone Giusti dirige per Lœscher la collana “Didattica e Letteratura”.

Consultare il sito formazione.loescher.it

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DIDATTICA E DISCIPLINE

Linguistica Letteratura italiana Lingue straniere Scrittura

16. Insegnare con la letteratura e con le tecnologie Metodi, tecniche e materiali didattici per insegnare italiano con le TIC nella scuola secondaria di primo e di secondo grado. Formatore

didattica e discipline / Seminari di formazione per docenti

18

Durata

Simone Giusti PhD in Italianistica, formatore e consulente esperto di didattica e comunicazione con approccio narrativo, condirige la collana “Quaderni della Ricerca – Didattica e letteratura” e la rivista “Per leggere. I generi della lettura” ed è autore di manuali scolastici per Zanichelli e Lœscher. Ha pubblicato i manuali di didattica: L’orientamento narrativo a scuola (Erickson), Insegnare con la letteratura (Zanichelli), Imparare dalla lettura (Lœscher). Coordina il portale dedicato all’Istruzione degli Adulti di Lœscher e scrive sulla Ricerca online. Incontro di 4 ore.

Descrizione del corso

• La letteratura nell’epoca dei nuovi media digitali: trasformazioni in corso e suggestioni per l’insegnamento. • Le risorse didattiche per insegnare con le tecnologie (applicazioni, siti, materiali didattici). • La ricerca e la produzione di materiali didattici. • La didattica della letteratura dopo le nuove tecnologie: l’insegnamento anche senza le TIC in classe.

Destinatari

• Insegnanti di italiano. • Insegnanti di lingua e letteratura italiana. • Insegnanti di sostegno.

Ambito territoriale

L’intero territorio nazionale.

Materiali didattici*

• Materiali prodotti dal formatore (dispensa e slide). • “I Quaderni della Ricerca”, 5, Imparare dalla lettura, a cura di S. Giusti e F. Batini, “I Quaderni della Ricerca”, n. 5, Lœscher Editore, 2013. • S. Giusti, Imparare dalla letteratura, Lœscher Editore, 2012. • F.Batini, S. Giusti, Non so che fare; Non mi importa di voi; Non mi vedo, Lœscher Editore, 2013.

Prezzo

Consultare il sito formazione.loescher.it 30 40 0 GI TI

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IM R AR E DA LL A LE TT ER AT UR A

IMPARARE DALLA

LETTERATURA

20 capitoli di letteratura + 50 schede di grammatica ELEMENTI CARATTERIZZANTI DI QUESTO VOLUME

La struttura

20 capitoli di italiano: vere e proprie unità didattiche complete e autonome, articolate in due parti, la prima di Studio e la seconda di Testi e esercizi. L’esposizione chiara e sintetica e i brani di letteratura (romanzi, racconti, poesie e testi teatrali), adeguati alle esigenze e ai gusti di un lettore adulto, consentono di acquisire competenze linguistiche, esercitare le proprie capacità e applicare le conoscenze. 50 schede grammaticali: forniscono indicazioni utili a riflettere sull’uso della lingua italiana e a chiarire eventuali dubbi. Glossario: spiegazione dei termini tecnici del linguaggio letterario.

SAPERI PER CONTARE

IMPARARE DALLA

LETTERATURA 20 capitoli di letteratura + 50 schede di grammatica

LETTERATURA

Gli studenti italiani e stranieri dell’Istruzione degli Adulti per il biennio della Scuola secondaria di secondo grado. Gli studenti dei percorsi tradizionali, come sussidio didattico agile e integrabile ai testi di adozione. I lettori adulti, come strumento sintetico per l’educazione linguistica e letteraria.

Simone Giusti

IMPARARE DALLA

I destinatari

30400 Giusti

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Espansioni online per docenti e studenti

In copertina: Lo studio del bibliofilo. © akif/Shutterstock.

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QUESTO VOLUME, SPROVVISTO DEL TALLONCINO A FRONTE (O OPPORTUNAMENTE PUNZONATO O ALTRIMENTI CONTRASSEGNATO), È DA CONSIDERARSI COPIA DI SAGGIO - CAMPIONE GRATUITO, FUORI COMMERCIO (VENDITA E ALTRI ATTI DI DISPOSIZIONE VIETATI: ART. 17, C. 2 L. 633/1941). ESENTE DA IVA (DPR 26.10.1972, N. 633, ART. 2, LETT. D). ESENTE DA DOCUMENTO DI TRASPORTO (DPR 26.10.1972, N. 633, ART. 74).

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RISORSE ONLINE

VALIDO PER IL 2012

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DIDATTICA E DISCIPLINE

Linguistica Letteratura italiana Lingue straniere Scrittura

17. Lingua straniera e didattica per competenze La didattica della lingua straniera in contesto: i principi della glottodidattica per l'acquisizione di solide competenze. Formatori

Incontro di 4 ore.

Descrizione del corso

La didattica per competenze: • La metodologia: i processi necessari per costruire competenze, affrontando la materia dall’ottica dell’applicazione concreta alla didattica (Giovanna Benetti e Mariarita Casellato; introduzione di Graziella Pozzo). • Le certificazioni: interventi sul nuovo DELE (Instituto Cervantes e Susana Benavente Ferrera). • Il ruolo del multimediale nell’insegnamento per competenze (Elena Pezzi).

Destinatari

• Insegnanti di lingua e letteratura spagnola. • Insegnanti di ogni disciplina.

Ambito territoriale

L’intero territorio nazionale.

Materiali didattici*

• Imparare per competenze, a cura di G. Benetti, M. Casellato, con Introduzione di G. Pozzo, “I Quaderni della Ricerca”, n. 11, Lœscher Editore, 2014.

Prezzo

19 didattica e discipline / Seminari di formazione per docenti

Durata

Giovanna Benetti È stata docente di lingua spagnola presso il Liceo Scientifico “F. Cecioni” di Livorno, indirizzo linguistico. È autrice Lœscher. Mariarita Casellato È docente di lingua spagnola al Liceo Scientifico Statale “N. Copernico” di Bologna. È autrice Lœscher. Elena Pezzi È docente al Liceo linguistico "Laura Bassi" di Bologna. È autrice Lœscher, esperta di didattica multimediale. Graziella Pozzo È stata formatrice per il MPI e comandata all’IRRSAE Piemonte per dieci anni. Attualmente collabora con l'USR Piemonte e svolge attività di docenza, formazione e ricerca azione con scuole in rete e gruppi professionali. Susana Benavente Ferrera È collaboratrice ed esperta linguistica presso il Centro Linguistico di Ateneo dell’Università degli Studi di Verona ed esaminatrice capo delle commissioni DELE in Italia. È autrice Lœscher.

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DIDATTICA E DISCIPLINE

Linguistica Letteratura italiana Lingue straniere Scrittura

18. La scrittura chiara È destinato agli insegnanti che intendono trasmettere agli studenti i principi di una scrittura chiara (specialmente in vista della stesura di relazioni e tesine), ma anche agli insegnanti che vogliono migliorare la qualità dei propri Materiali didattici* o in generale di tutti i documenti da preparare in ambito didattico.

Formatore

didattica e discipline / Seminari di formazione per docenti

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Durata

Marina Beltramo, Maria Teresa Nesci Esperienza pluriennale come docenti in: • corso di tecniche di comunicazione e di scrittura, Politecnico di Torino. • laboratori di scrittura presso Università degli Studi di Torino, e Università del Piemonte Orientale. • corsi di formazione per il personale amministrativo del Politecnico di Torino. • corsi di formazione per docenti delle scuole superiori (Saluzzo). • corsi di aggiornamento per docenti di italiano L2 (in Italia e all’estero). Autrici di pubblicazioni sulla scrittura. Incontro di 4 ore.

Descrizione del corso

Nel corso si affrontano tutte le fasi del processo di scrittura; si spiega come si controlla lo sviluppo del discorso; si analizzano gli aspetti linguistici che hanno effetto su comprensibilità e scorrevolezza. • Pianificazione del testo. • Ricerca delle idee. • Organizzazione delle idee e scaletta. • Unità testuali. • Tipi di sviluppo delle unità testuali. • Stesura. • Progressione tematica. • Comprensibilità. • Scorrevolezza. • Revisione del testo.

Destinatari

• Insegnanti di italiano della scuola secondaria superiore. • Più in generale, insegnanti che richiedono ai loro studenti stesura di documenti scritti (tesine, relazioni ecc). • Insegnanti che desiderano migliorare la comprensibilità dei propri materiali didattici e progettuali.

Ambito territoriale

L’intero territorio nazionale.

Materiali didattici*

• Dispensa a cura dei formatori. • M. Beltramo, M.T. Nesci, Dizionario di stile e scrittura, Zanichelli, 2011.

Prezzo

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DIDATTICA E DISCIPLINE

Linguistica Letteratura italiana Lingue straniere Scrittura

19. RACCONTI DI CLASSE Idee e metodi per avvicinare i ragazzi al mondo della scrittura creativa.

Formatore Durata

Docenti e autori della Scuola Holden 2 incontri di 4 ore ciascuno. • Trasmissioni di strumenti e spunti per guidare gli alunni in percorsi di scrittura, dal racconto a forme più estese di espressione narrativa. • Esercizi di lettura suggeriti dai grandi romanzi classici e contemporanei. • Tecniche di narrazione e storytelling applicate alle materie di insegnamento. • Laboratori di scrittura collettiva.

Destinatari

Insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado.

Ambito territoriale

L’intero territorio nazionale.

Materiali didattici*

• Testi selezionati fra romanzi italiani e stranieri. • La collana Backstage di Lœscher. • Dispense e materiali audiovisivi specifici e creati ad hoc per la tipologia di scuola che accoglie il corso.

Prezzo

Consultare il sito formazione.loescher.it

didattica e discipline / Seminari di formazione per docenti

Descrizione del corso

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Il corso presentato in questa pagina è da considerare “offerta base”. È possibile personalizzare la richiesta, proponendo soluzioni alternative direttamente alla Casa Editrice. Per informazioni scrivere a segreteria@loescher.it

www.scuolaholden.it *La fornitura dei materiali didattici sarà a carico della Casa editrice Lœscher solo se espressamente dichiarato su questo catalogo o sul sito dedicato.

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VICENZA Propaganda SIMONE e LINO VANZAN Referente Sig. ALBERTO GIANELLO Cell. 349/51.43.264 gianello.alberto@gmail.com Distribuzione D.E.P. - Diffusioni Editoriali s.r.l. - Padova Friuli Venezia Giulia TRIESTE – GORIZIA – PORDENONE UDINE Propaganda LUCA ZULIANI Via G. Marinelli, 1 - 33040 Pradamano (UD) Tel. e Fax 0432/67.10.61 Cell. 348/524.65.39 agenzia.zuliani@gmail.com Distribuzione D.E.P. - Diffusioni Editoriali s.r.l. - Padova

Veneto VENEZIA Propaganda FABIO PICCOLO Via Marsala, 1 - 30038 Spinea (VE) Tel. e Fax 041/54.12.133 piccolo.fabio@libero.it Distribuzione D.E.P. - Diffusioni Editoriali s.r.l. - Padova Dall’1/1/2015 PADOVA –ROVIGO - VICENZA Propaganda SIMONE e LINO VANZAN Via Paraiso, 21/A - 35020 Pozzonovo (PD) Tel. e Fax 0429/79.252 Cell. 328/45.06.810 - 328 /45.06.809 agenzia.simonevanzan@gmail.com Distribuzione D.E.P. - Diffusioni Editoriali s.r.l. Via P. Canal, 27/3 - 35137 Padova Tel. 049/872.19.55 Tel. e Fax 049/872.16.32 depscuola@dep.it TREVISO - BELLUNO Propaganda MARIO MATTIUZZO Via Nervesa della Battaglia, 7 - 31100 Treviso Tel. e Fax 0422/42.03.89 Cell. 349/176.86.35 matruo@alice.it Distribuzione D.E.P. - Diffusioni Editoriali s.r.l. - Padova VERONA Propaganda ERIK BERZACOLA Via Ponte, 67 - 37026 Pescantina (VR) Tel. e Fax 045/715.82.09 Cell. 347/486.45.21 eberzacola@libero.it Distribuzione D.E.P. - Diffusioni Editoriali s.r.l. - Padova

Emilia Romagna BOLOGNA - FERRARA - FORLì MODENA - PARMA RAVENNA - REGGIO EMILIA - RIMINI Propaganda e Distribuzione GA servizi editoriali s.n.c. Via del Lavoro, 31/A - 40127 Bologna Tel. 051/35.59.93 -051/35.58.12 info@gaservizi.it www.gaservizi.it PIACENZA Propaganda e Distribuzione PROALFA s.r.l. Via Milano, 15 - 20010 Cornaredo (MI) Tel. 02/93.56.22.71 - Fax 02/93.56.22.24 insegnanti@proalfa.it www.proalfa.it Repubblica di San Marino Propaganda e Distribuzione GA servizi editoriali s.n.c. Via del Lavoro, 31/A - 40127 Bologna Tel. 051/35.59.93 -051/35.58.12 info@gaservizi.it www.gaservizi.it Toscana FIRENZE - AREZZO - GROSSETO – LIVORNO – PISA (Scuola Secondaria I° grado) - PRATO - SIENA Propaganda e Distribuzione PROGETTO LIBRI S.n.c. Via Ponte di Mezzo, 54 - 50127 Firenze Tel. 055/324.52.71 Tel. e Fax 055/324.98.30 info@progettolibri.it www.progettolibri.it LUCCA - PISTOIA – PISA (Scuola Secondaria II° grado) Propaganda ALESSANDRO MONTUSCHI

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