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I Quaderni della Ricerca
«Unicuique suum». Radici, condizioni ed espressioni della giustizia Romanae Disputationes 2015-16 a cura di Gian Paolo Terravecchia e Marco Ferrari
Didattica per l’Eccellenza
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I Quaderni della Ricerca
«Unicuique suum». Radici, condizioni ed espressioni della giustizia Romanae Disputationes 2015-16 a cura di Gian Paolo Terravecchia e Marco Ferrari
© Loescher Editore - Torino 2016 http://www.loescher.it
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Indice Introduzione
di Gian Paolo Terravecchia, Marco Ferrari
7
Parte prima. Lezioni
Le radici e le espressioni della giustizia nelle corti costituzionali italiana e internazionali
di Marta Cartabia
1. Introduzione
13
2. Il costituzionalismo moderno
13
3. Il costituzionalismo contemporaneo
15
4. L’età dei diritti
20
5. Legge e giustizia: il terzo incomodo
22
Origine e natura della giustizia. Una riflessione d’insieme
29
di Francesco Botturi
Musica e giustizia
di Pietro Francesco Toffoletto
13
37
1. Il mondo, io: giustizia per chi?
37
2. Io, noi: ribellione, riscatti, abissi
45
3. «Rivoglio me stesso»: dono, impotenza, nuove catene
49
4. Tu e io: la sublime in-giustizia
59
Le radici della giustizia
65
di Giuseppe Barzaghi o.p. 1. Il punto di vista della considerazione
65
2. La visione filosofica
67
«Unicuique suum». Radici, condizioni ed espressioni della giustizia
3. Il fondamento
68
4. La visione teologica
70
5. La misericordia
71
6. Il rigido e il morbido
73
7. Il mistero insondabile
74
L’uomo che credeva di essere morto. Perché studiare/insegnare logica?
77
di Franca D’Agostini 1. Perché studiare logica?
78
2. La logica sbaglia
79
3. Il potere delle forme
80
4. Quale logica?
83
5. Un programma possibile
84
Parte seconda. Sul Concorso
Una genuina ricerca filosofica sulla giustizia
di Marco Ferrari
Vincitori dei Concorsi 2015-2016
Il pescatore. La ricerca della giustizia
di Matteo Bandera, Lara Colombo, Virginia Deidda, Alice Macchi, Maria Negri, Matteo Stevenazzi, Simone Vettori
La virtù della giustizia nella relazione al bene comune
di Agnese Battistoni, Omar Belà, Giorgio Giustozzi, Davide Guarcini, Luca Mozzoni, Matteo Mozzoni, Giulia Sermarini, Francesca Sermarini, Denis Tozzi
4
93
99 105
117
1. Introduzione
117
2. Relazione tra giustizia e bene comune nel pensiero di Platone e Aristotele
117
Indice
3. L’incontro tra ragione e fede cristiana: l’autentica giustizia esige l’attuazione del bene comune
121
4. Il distributismo come metodo di realizzazione del bene comune secondo giustizia
125
5. Conclusioni
127
Giustizia: dall’utile all’amore
129
di Filippo Caleca, Matteo Gradosi, Isak Jones, Laura Lanteri, Elena Patanè
1. Introduzione
129
2. Diverse idee di giustizia
129
3. Tra sentimento e ragione
132
4. Il tram fuori controllo
133
5. I beni di Glaucone
135
6. Sul consequenzialismo
136
7. La giustizia come forma di amore, l’amore come forma di giustizia
139
Giustizia: un irraggiungibile irrinunciabile
141
di Lorenzo Alvio De Luca, Anna Fagotto, Federica Namor
1. Sull’origine del concetto di giustizia
141
2. Unicuique suum come origine della giustizia
142
3. Giustizia, condizione per la sopravvivenza
145
4. Espressioni pratiche del concetto di suum
146
5. Giustizia come scommessa
149
6. Conclusioni
150
Cattivi maestri. Socrate e don Milani processati per giustizia
153
di Enrico Fedeli, Emilia Marini, Chiara Veracini 1. Introduzione
153
2. Socrate e il sentimento di giustizia
153
5
«Unicuique suum». Radici, condizioni ed espressioni della giustizia
3. Don Milani e la scuola della coscienza
158
4. Conclusioni
162
Espressioni, condizione e radici della giustizia
165
di Angela Brugnoli, Pasquale Fusco, Gloria Rettore, Giulia Sanguin, Luca Turato
6
1. Introduzione
165
2. Espressioni della giustizia
165
3. Condizione della giustizia
168
4. Le radici della giustizia: la giustizia come unicuique suum
170
5. Conclusioni
172
Ἡ Νόμου ὁδός. Il cammino del diritto alla ricerca
dell’Eticità Assoluta di Eleonora Arena, Elena De Luca, Arianna Ercoli, Francesco Monastra
175
1. Introduzione
175
2. Morale, società e costume
175
3. La Legge (consuetudine e norma giuridica)
176
4. Il Diritto e la filosofia della Giustizia
179
5. Eticità Assoluta ed Eticità pratica
180
6. I fondamenti dei diritti statali
182
7. Capacità evolutive e destino dei sistemi giuridici
184
Autori e curatori
187
Introduzione di Gian Paolo Terravecchia, Marco Ferrari
Con quella del 2016, siamo alla terza edizione del Concorso nazionale Romanae Disputationes (rd). Esso cerca di promuovere in Italia l’eccellenza nello studio della filosofia a livello di scuola secondaria superiore. Le rd, organizzate da ToKalOn - didattica per l’eccellenza1 – in questi tre anni hanno offerto a migliaia di studenti del triennio superiore di tutta Italia un percorso di ricerca e di confronto, aperto a tutti gli orientamenti culturali, realizzato in collaborazione con il mondo universitario, ponendo a tema le grandi domande della filosofia. Il Concorso si radica nel lavoro quotidiano di numerosi docenti di filosofia della scuola secondaria superiore che condividono la propria esperienza di insegnamento per riscoprire, in quella comunità di lavoro che è la Bottega di Filosofia di Diesse, i contenuti e i testi della filosofia al di là del già saputo e sedimentato2. Nelle rd gli studenti, raccolti in team, vengono sfidati a lavorare sui più affascinanti temi di cui si occupa la filosofia, come la ragione umana, la libertà, la giustizia. Tali questioni costituiscono la trama quotidiana delle lezioni di filosofia a scuola e sono proposte nel Concorso proprio perché possano rioccupare con maggiore centralità e ampiezza il ruolo che spetta loro nella formazione delle giovani generazioni e nella riflessione matura degli adulti. Il presente testo nasce dal Concorso 2016 dal titolo Unicuique suum. Radici, condizioni ed espressioni della giustizia. Il volume non vuole limitarsi a riproporre il già visto, così da documentarlo, ma cerca soprattutto di offrire del materiale che consenta, a diversi livelli di approfondimento e da molteplici angolature, di rimeditare il tema della giustizia.
1.
ToKalOn è un’associazione di studiosi, docenti della secondaria superiore e ricercatori universitari (http://tokalonformazione.it/). 2. Cfr. Prefazione, in M. Ferrari e G.P. Terravecchia (a cura di), Soggetto e realtà nella filosofia contemporanea. Cinque lezioni, Itaca, Castel Bolognese (ra) 2014, p. 3. Cfr. http://www.diesse.org/diesse-forma-einnova/filosofia. Le lezioni della Bottega sono pubblicate anche sul portale http://webtv.loescher.it. La Bottega di Filosofia è coordinata da Marco Ferrari e fa parte del progetto «Le Botteghe dell’insegnare» a cura dell’associazione Diesse.
7
«Unicuique suum». Radici, condizioni ed espressioni della giustizia
Anche quest’anno, il Concorso ha ricevuto l’attenzione del ministro dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, senatrice Stefania Giannini, che ha inviato ai partecipanti un saluto di cui, grati, riportiamo di seguito alcuni passaggi salienti: Sulle “radici” della giustizia credo che oggi vediamo tutti che sta cambiando per ragioni generazionali e storiche un paradigma su cui avevamo costruito il secondo Novecento. Lo potete verificare leggendo il dibattito sulla nascita dell’ONU: la generazione che usciva dalla guerra era convinta e sperimentava la possibilità di prendere un impegno collettivo in ordine alla giustizia, partendo da concezioni diverse del mondo. Letture marxiane e liberali, empiriche o personaliste della realtà non sembravano un ostacolo a condividere la convinzione che vi fosse una radice comune fatta di aspirazioni e non di prìncipi, di libertà finalizzate: la radice universalista in cui l’unità del genere umano, la fiducia nei diritti dell’uomo, l’internazionalismo proletario o perfino la mera speranza del progresso saldavano visioni opposte e creavano una base comune di azione e di dialogo (in quest’ordine). […] Queste “radici” oggi non sono più riconosciute: nel mondo globale crescono le distanze che assolutizzano per ciascuno la propria appartenenza. […] In queste “condizioni”, per venire al secondo punto, la ricerca della giustizia suppone una nuova tessitura universalista e personalista. […] L’espressione di questo senso profondo della giustizia viene dunque davanti a noi, decisori politici chi nell’urna, chi nel voto parlamentare, chi nella funzione di governo, con tutto il suo carico di speranza e di minaccia. Una responsabilità che incombe in modo speciale a noi europei, posti davanti al bivio della terza globalizzazione. […] Nell’augurarvi dunque buon lavoro vi consegno questi pochi pensieri solo per dire a tutte e a tutti il mio rammarico di non poter assistere ai lavori e la mia sintonia con le aspirazioni e i pensieri che in essi troveranno corpo.
8
Il messaggio è stato letto ai 900 partecipanti alla due giorni finale, in cui si sono tenuti alcuni interventi di grande spessore e gli Age contra, oltre naturalmente alle premiazioni finali. La prima parte del presente volume raccoglie gli interventi dei relatori della due giorni e, in particolare, di Marta Cartabia, Pietro Francesco Toffoletto e Francesco Botturi. Disponiamo qui i loro testi mettendo i contributi storico-teoretici per primi e quello laboratoriale-applicativo poi. A essi si aggiungono altri due contributi. Il primo è di Giuseppe Barzaghi. Esso è stato un momento rilevante del percorso che ToKalOn ha offerto come corso di formazione per docenti della secondaria superiore nel presente anno scolastico, 2015-2016. Abbiamo deciso, d’accordo con l’autore, di conservare la freschezza della comunicazione orale della sua relazione. Infine, ma non meno importante, riportiamo il testo di Franca D’Agostini, il quale sintetizza un altro momento di formazione proposta da ToKalOn. Esso spiega l’importanza della logica per una piena formazione intellettuale, sociale e umana. Si tratta di un tema che ci sta a cuore: le Romanae
Introduzione
Disputationes costituiscono un’opportunità per imparare ad argomentare, a dire le ragioni, a chiarire il perché. La logica è, in questo percorso, un elemento irrinunciabile. La seconda parte del testo raccoglie i materiali vincitori del Concorso, oltre a offrire le informazioni sui vincitori delle varie categorie. Quanto alla scelta sulle modalità di pubblicazione delle tesine, è opportuno chiarire le ragioni che, anche quest’anno, ci hanno guidato. Quello che in un autore esperto, magari affermato, è motivo di pudore, in un giovane alle prime armi è traccia di un percorso di crescita e perciò può essere a pieno titolo motivo di orgoglio e vanto. La logica di questa parte è di presentare i testi giudicati come migliori, secondo la valutazione delle giurie didattica e scientifica. Ci siamo limitati a correggere i refusi e le mancanze formali a livello tipografico, emendando in qualche raro caso il testo per riportarlo alle intenzioni espressive originarie, con l’autorizzazione di chi lo firma. Abbiamo inoltre sollecitato gli studenti a inserire i riferimenti bibliografici che non di rado mancavano in qualche misura nel testo consegnato al Concorso. Abbiamo però conservato tutto il resto, comprese le carenze a livello espressivo, concettuale e culturale. Gli studenti che li hanno scritti vi troveranno il loro lavoro proprio così come lo hanno presentato (e non una sua versione finta e abbellita per l’occasione). Gli insegnanti potranno constatare tra le righe il molto lavoro che è stato svolto dai colleghi e il tantissimo che si sarebbe potuto fare, traendo spunto dall’uno e dall’altro. Gli studenti delle prossime edizioni del Concorso si faranno un’idea di quello che in passato è stato uno standard vincente e potranno cercare di alzare l’asticella. Ci piace pensare che, un giorno, qualcuno prenderà in mano anche questo terzo testo delle rd e, leggendo le tesine degli studenti, sorriderà di quanto è stato scritto dai team in questa terza edizione. Ebbene, anche in questo caso, tutti gli autori, con noi, potranno essere orgogliosi di avere compiuto un passo verso quel miglioramento. In un percorso di ricerca è normale che alcune cose non riescano al meglio, soprattutto all’inizio: se si vuole imparare a camminare, non si deve temere di cadere, e anzi bisogna essere orgogliosi di quanto intrapreso, pur di non restare fermi. Il lettore dovrà comunque riconoscere che, con tutti i loro limiti, le tesine che raccogliamo presentano, ciascuna, degli elementi di merito e di interesse che noi curatori siamo lieti di pubblicare, anche a motivo della capacità che hanno avuto gli studenti di entrare con tutto se stessi dentro alle questioni, mostrandone molteplici sfaccettature e, soprattutto, il riverbero sincero che la domanda sulla natura e sull’esperienza della giustizia ha suscitato in loro. Desideriamo infine ringraziare alcune persone il cui contributo per la realizzazione del volume è stato prezioso: Paolo Del Pozzo, Alessandro Falconieri ed Emma Lavinia Bon hanno contribuito al lavoro di editing, e Ales-
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«Unicuique suum». Radici, condizioni ed espressioni della giustizia
sandro Baro ha curato la trascrizione del testo di Marta Cartabia. Infine, ci pare opportuno ringraziare la casa editrice Loescher che continua in molti modi e con generosità a sostenere il Concorso e la pubblicazione dei testi che esso produce.
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Parte prima Lezioni
Le radici e le espressioni della giustizia nelle corti costituzionali italiana e internazionali di Marta Cartabia*
1. Introduzione Il problema della giustizia ha attraversato gli studi filosofici e giuridici coprendo l’intero arco del pensiero umano. La mia condizione attuale di servizio alla vita pubblica come giudice della Corte costituzionale mi fa affrontare questi temi dal punto di vista eminentemente pratico del giudizio. Per quanto attratta dalla speculazione filosofica, il lavoro alla corte riduce inesorabilmente il tempo a disposizione per soddisfare il gusto entusiasmante di letture di approfondimento. Non potendo corrispondere a un’aspettativa di tipo speculativo, voglio però raccontare come la giustizia venga percepita nello scorcio di mondo che posso osservare nella mia attività professionale di costituzionalista e di giudice costituzionale.
2. Il costituzionalismo moderno Il costituzionalismo moderno1 nasce convenzionalmente con le rivoluzioni liberali di fine Settecento: la Rivoluzione americana del 1776 e, pochi anni dopo, la Rivoluzione francese del 1789. Sono due date a cui sono legati due documenti tuttora considerati fondativi del costituzionalismo: la Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti e la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino della Francia diventano un punto di riferimento per tutti gli sviluppi successivi nel corso dell’Ottocento, del secolo scorso e di quello attuale. Il costituzionalismo italiano è nato in ambito continentale ed è partecipe della tradizione che ci unisce in modo molto significativo all’esperienza fran-
* 1.
Ringrazio sentitamente il dott. Alessandro Baro, per il prezioso aiuto nella redazione del testo e, soprattutto, per le attente osservazioni di contenuto che mi hanno permesso di approfondire e chiarire molti passaggi di questa conversazione. Il costituzionalismo ha una storia antica e, per una sua trattazione estesa, rimando a una bella lettura di C.H. McIlwain, Costituzionalismo antico e moderno, il Mulino, Bologna 1990.
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«Unicuique suum». Radici, condizioni ed espressioni della giustizia
cese. È naturale quindi che, almeno in una prima fase, esso abbia risentito molto di più dell’impostazione illuministica della rivoluzione del 1789 che di quella americana. Soltanto con la globalizzazione e le trasformazioni che si sono verificate a partire dalla fine del secolo scorso fino a oggi, i percorsi si sono intrecciati e riunificati, ma la tradizione giuridica italiana è fondamentalmente debitrice dell’impostazione francese. Un esempio tipico di questa dipendenza è riscontrabile nel processo di prima formazione dei codici che hanno utilizzato il Code Napoléon come punto di riferimento in tutto il continente europeo. Per rimanere sul terreno delle costituzioni che più ci interessa, possiamo porci questa domanda: che cosa ci consegna il costituzionalismo moderno in termini di concezioni della giustizia e del diritto? Ci consegna una tradizione che ha segnato profondamente la struttura pratica e l’impostazione di pensiero della filosofia del diritto per molto più di un secolo. È l’idea del positivismo giuridico che tende a fare coincidere la giustizia – e, quindi, l’aspirazione a essa – con la legge posta. Non ci interessa in questo momento verificare da chi la legge possa essere posta, se da un re, da un principe, da un parlamento o da un referendum. Nella concezione del positivismo giuridico, la legge scritta esaurisce il tema della giustizia; a questa nozione si accompagna l’idea che la scienza giuridica debba essere una scienza pura. Il principale esponente di questa concezione è Hans Kelsen, che scrive all’inizio del xx secolo ed esprime in modo cristallino l’idea positivistica che il diritto come scienza pura implica che esso si debba occupare di ciò che entra nell’ordine giuridico, cioè dell’insieme delle leggi, e che non debba contaminarsi né con riflessioni di tipo economico, sociologico e politico, né tantomeno con riflessioni di ordine filosofico. Il diritto si esaurisce in se stesso, è chiuso in se stesso, tanto che, nella concezione kelseniana2, il fondamento di tutte le leggi è la Grundnorm, la “norma fondamentale”. Se ci domandiamo che cosa rappresenta questa idea nel suo sistema filosofico, scopriamo che essa è inafferrabile, perché nella sua concezione la Grundnorm è una norma ipotetica, cioè, non è un dato di realtà, ma è una mera condizione di pensabilità dell’ordine giuridico. Dobbiamo immaginare che esista un fondamento del diritto, ma, nell’ottica kelseniana, non spetta a esso definire che cosa sia, se un dato sociale, un principio filosofico oppure, ancora, una rivelazione divina. Sappiamo solo che per pensare il diritto – che egli ordina secondo una gerarchia, la Stufenbau der Rechtsordnung – occorre un fondamento che egli
14
2.
H. Kelsen, La dottrina pura del diritto, a cura di R.Treves, Einaudi,Torino 1952 (ripubblicato a partire dal 1967 con il titolo Lineamenti di dottrina pura del diritto); Id., Problemi fondamentali della dottrina del diritto pubblico, esi, Napoli 1997.
Le radici e le espressioni della giustizia nelle corti costituzionali italiana e internazionali
identifica con la Grundnorm, che non è mai definita esattamente nemmeno dal suo autore, perché esula dall’indagine giuridica così impostata. Il costituzionalismo moderno ci consegna, dunque, un’idea di giustizia che si esaurisce nel diritto posto, tanto è vero che la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino dà una grande enfasi alla centralità della legge scritta dall’autorità costituita. Ne troviamo un’espressione chiara all’art. 6: La legge è l’espressione della volontà generale, avendo tutti i cittadini diritto di concorrere alla sua formazione personalmente o per tramite dei rappresentanti e deve essere per tutti la stessa, o protegga o punisca.
Intorno alla legge, si costruiscono tutte le garanzie e l’ordine costituzionale: la centralità della legge riflette quella del parlamento, organo rappresentativo della volontà dei cittadini; essa è inoltre strumento di uguaglianza nella regolazione dei diritti di libertà e nella loro garanzia, poiché «La legge è uguale per tutti» ovvero, come continua l’art. 6 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino: Tutti i cittadini [sono] uguali ai suoi occhi.
Intorno a questa idea della legge, nasce una mitologia che ne fa il contenuto unico della giustizia: ciò che è giusto e ciò che è ingiusto coincide con ciò che è legale o illegale. Tutto l’Ottocento, che si basa su queste idee illuministiche positivistiche, fa coincidere il diritto con ciò che è scritto nella legge. Tuttavia, prima ancora che il pensiero, la storia metterà in discussione questa costruzione del costituzionalismo moderno e ci porterà sulla soglia del costituzionalismo contemporaneo che storicamente si sviluppa a partire dal secondo dopoguerra.
3. Il costituzionalismo contemporaneo Parliamo di storia perché la riconfigurazione del nostro ordine sociale, giuridico e politico e una grande parte della riconsiderazione del rapporto tra legge e giustizia, che tornano a dialogare come due poli in rapporto, pur essendo fra loro separati, dipendono dai tragici eventi che avvengono in Europa tra le due guerre mondiali. Nonostante la società si fosse finalmente liberata delle leggi imposte dal re e i cittadini potessero esprimere con le leggi, tramite i parlamenti, ciò che sentivano come giusto, i totalitarismi e, in particolare, il fascismo in Italia e il nazismo in Germania misero drammaticamente in evidenza che la legge mitizzata nell’Illuminismo in quanto espressione della volontà generale era diventata non baluardo contro gli abusi e le deviazioni
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«Unicuique suum». Radici, condizioni ed espressioni della giustizia
del potere, ma essa stessa strumento di tirannia. Anziché svolgere la funzione di freno all’arbitrio, all’assolutismo e all’eteronomia dell’epoca dell’Ancien régime, la legge divenne uno strumento attraverso il quale si perpetrarono le più grandi ed efferate ingiustizie. I grandi orrori dei totalitarismi non avvennero contra legem, ma ebbero nella legge e nella legalità lo strumento della loro realizzazione. Un esempio per tutti è costituito dalle leggi razziali: erano leggi, eppure furono strumenti di discriminazione e di persecuzione di una parte della popolazione. Un grande filosofo tedesco, fino a una certa epoca strenuo difensore del positivismo, cioè Gustav Radbruch, alla luce dei fatti storici accaduti nel suo Paese, parlerà nel 1946 di «ingiustizia legale»3, ovvero di leggi ingiuste. Si tratta di un ossimoro per un sostenitore del positivismo, dottrina che non concede spazio a una dicotomia tra legge e giustizia. Chi è stato testimone di ciò che è potuto accadere in quell’epoca nel rispetto delle leggi rimette in discussione la coincidenza tra legge e giustizia, l’idea, cioè, che le due espressioni possano essere trattate come sinonimi. È sulla base di queste considerazioni che, a partire dal secondo dopoguerra, nasce il costituzionalismo contemporaneo, che intende correggere alcuni assunti su cui erano basate le costituzioni illuministiche: esso non pone in discussione tutto l’impianto precedente, ma ne completa il disegno; non contesta la centralità del parlamento e il ruolo della legge, ma introduce dei correttivi proprio per evitare il riprodursi di ciò che era storicamente accaduto. Come affermano gli studi più lucidi in questo ambito, tra i quali quelli di Maurizio Fioravanti4, che ne tratteggiano bene le caratteristiche fondamentali, a partire dal secondo dopoguerra il costituzionalismo si dota, in primo luogo, di costituzioni rigide e, in secondo luogo, di corti costituzionali. Questi due elementi, che non erano conosciuti al costituzionalismo continentale moderno, ma erano già noti sull’altra sponda dell’Atlantico, vengono introdotti nelle costituzioni che sono scritte o modificate ed emendate a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale. Che cosa significano le espressioni “costituzione rigida” e “corte costituzionale”? Innanzitutto, sono due istituti che si tengono l’un l’altro e sono inconcepibili uno senza l’altro. La rigidità della costituzione è una caratteristica che sottolinea sul piano formale il suo essere la legge fondamentale
16
3. Cfr. G. Radbruch, Ingiustizia legale e diritto sovralegale, in A.G. Conte et al. (a cura di), Filosofia del diritto, Raffaello Cortina, Milano 2002, pp. 152-163 (ed. or. 1946); sul tema, si veda anche G. Zagrebelsky, La legge e la sua giustizia, il Mulino, Bologna 2008, pp. 15-20. 4. M. Fioravanti, Costituzione e popolo sovrano. La Costituzione Italiana nella storia del costituzionalismo moderno, il Mulino, Bologna 2004; Id., Costituzionalismo. Percorsi della storia e tendenze attuali, Laterza, Roma-Bari 2009; Id., Appunti di storia delle costituzioni moderne. Le libertà fondamentali, Giappichelli, Torino 2014.
Le radici e le espressioni della giustizia nelle corti costituzionali italiana e internazionali
dell’ordinamento. Da un lato, la costituzione non è una legge come le altre per i suoi contenuti e perché è il patto fondativo a cui si ispira tutta la convivenza sociale, ma, dall’altro, possiede una sua diversità anche dal punto di vista formale e procedurale. È rigida perché la sua approvazione e la sua modifica richiedono dei procedimenti che, con termine tecnico, si dicono particolarmente “aggravati”: sono, cioè, più lunghi, complessi e meditati. Ad esempio, le riforme costituzionali attualmente in parlamento sono soggette non a due, ma a quattro letture parlamentari; richiedono delle maggioranze qualificate: non si possono approvare con la sola maggioranza assoluta e, se lo sono, possono essere soggette a referendum, come probabilmente avverrà nel prossimo autunno. I tempi sono più lunghi e le letture raddoppiate, perché modificare la costituzione significa toccare gli elementi su cui si costruisce e si tiene tutto l’edificio giuridico. Qual è il contenuto di un testo così importante e solenne da essere circondato da tali garanzie? I costituenti hanno voluto mettere al sicuro innanzitutto alcuni valori e principi che si desiderava non venissero mai più messi in discussione: libertà, eguaglianza, democrazia e altri diritti che chiamiamo “fondamentali”. La Costituzione tedesca, ad esempio, all’art. 1, primo comma, pone in capo a tutto l’edificio la dignità umana. Si può così osservare come la storia abbia portato all’evidenza determinati principi e valori che, a quel punto, i costituenti abbiano voluto affidare a uno scrigno ben protetto, a un testo circondato da una serie di garanzie: la rigidità della costituzione viene concepita come strumento per proteggere e mai più mettere in discussione determinati valori. Addirittura, nella Costituzione tedesca – ma anche in quella italiana – alcuni valori vengono definiti “clausole eterne”, cioè principi che nemmeno con la procedura aggravata della revisione costituzionale potranno mai essere messi in discussione. Gli artt. da 1 a 20 del Grundgesetz sono esclusi dalla revisione costituzionale; in Italia, solo l’art. 139, la forma repubblicana, gode di questa prerogativa, ma a partire da questa affermazione esplicita, la corte costituzionale, per via interpretativa, ha ritenuto che altri principi fossero da sottrarre alla disponibilità del parlamento e del revisore costituzionale5. Il costituzionalismo contemporaneo si caratterizza non solo per la rigidità delle costituzioni, ma anche per il ruolo che viene garantito a una nuova istituzione a cui viene affidata una funzione che prima non esisteva: la giustizia costituzionale. Che cosa fa una corte costituzionale? Che cosa ha di speciale rispetto agli altri giudici? I giudici esistono da molto tempo: anzi, gli archeologi – un
5.
Si veda, ad esempio, la sentenza n. 1146 del 1988.
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«Unicuique suum». Radici, condizioni ed espressioni della giustizia
grande esempio sono gli studi di Giorgio Buccellati sul “codice” di Hammurapi – dicono che la funzione del giudicare viene prima di quella del legiferare: prima vengono i giudici e poi vengono le leggi. Sembra una contraddizione in termini, ma solo in apparenza: il “codice” di Hammurapi non è una lista di precetti, ma un elenco di giudizi, ed è interessante notare che, in quella situazione storica, si è avvertita l’esigenza di mettere per iscritto l’esperienza del giudizio per guidare i casi futuri6. Se i giudici esistono prima delle leggi, in che senso possiamo dire che la corte costituzionale è una nuova istituzione ed esercita una funzione giurisdizionale che non era mai stata esercitata prima? Nel sistema filosofico e giuridico positivistico – che dava tanto ruolo, spazio e fiducia alla legge – era inconcepibile immaginare una funzione come quella attribuita alle corti costituzionali e, cioè, la funzione del giudicare le leggi. Le corti costituzionali non giudicano le persone, non giudicano i casi della vita, le controversie o le liti come fanno altri organi giurisdizionali: compito delle corti costituzionali è giudicare le leggi. Se tutto l’edificio del costituzionalismo moderno era basato sull’idea che la legge fosse la più grande garanzia, in quanto espressione della volontà dei cittadini che si danno le regole per la vita comune, come è stato possibile sottometterla a giudizio, affidando a un piccolo gruppo di uomini – e a qualche donna – il compito di giudicare ciò che essi hanno deciso a maggioranza, direttamente o tramite i loro rappresentanti? Questo compito è spiegabile solo ed esclusivamente a fronte della rigidità della costituzione di cui si è detto. Le corti costituzionali non a caso sono definite “giudici delle leggi” e “custodi della costituzione”, perché custodiscono quei valori e quei principi a cui è attribuito tanto valore da essere riposti in uno scrigno circondato da particolari garanzie procedurali. Le corti verificano che tutte le leggi del parlamento rispondano e corrispondano a quei principi che si considerano intangibili. Rigidità e corti costituzionali sono legati l’uno all’altro: si può avere un giudice delle leggi in tanto e in quanto ci sia una costituzione al di sopra delle leggi. Se la costituzione è una legge come le altre, non serve giudicare le leggi perché il legislatore potrà modificarla come fa normalmente nella prassi quotidiana; ma se la costituzione è qualcosa di diverso, allora ci vuole un custode. Ciò è talmente vero che, negli Stati Uniti – l’altro côté del costituzionalismo contemporaneo –, la funzione del giudicare le leggi nasce senza che qualcuno si periti di doverlo inventare, come conseguenza logica della rigidità della costituzione. Gli Stati Uniti nascono come federazione a seguito
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G. Buccellati, Alle origini della politica. La formazione e la crescita dello Stato in Siro-Mesopotamia, Jaca Book, Milano 2013, pp. 60 e 201-204.
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della ribellione delle colonie inglesi, che si uniscono ma non intendono dare vita a uno Stato unitario e, per questo, inventano una nuova forma di Stato di tipo federale, in cui alcune competenze vengono svolte in comune, altre separatamente da ciascuno Stato. La Costituzione americana, proprio perché è un patto federativo, nasce sin dall’origine come una costituzione rigida. Infatti, mentre in uno Stato unitario il soggetto che approva le leggi e quello che modifica la costituzione può essere sempre lo stesso, il parlamento, in uno Stato di tipo federale la modifica della costituzione richiede l’intervento di una pluralità di soggetti. Questo necessariamente aggrava la procedura: non è infatti concepibile che la costituzione federale sia emendata senza il coinvolgimento tanto del parlamento federale quanto di quello di un certo numero di Stati. Per questo la rigidità della Costituzione americana è collegata alla natura federale dello Stato. Siamo alla fine del Settecento e nessuno, all’epoca, aveva mai neppure ipotizzato di istituire una corte costituzionale. Tuttavia, la Corte suprema americana – che è un giudice come gli altri, è il vertice del potere giudiziario, come potrebbe essere la Corte di cassazione in Italia – molto prima dell’esperienza continentale europea dà vita al giudizio di costituzionalità delle leggi con un famoso caso del 1803, Marbury v. Madison7. La Corte americana si basa sul seguente ragionamento: se la Costituzione è la legge superiore, anzi è la legge più alta di tutto l’ordinamento, e se le altre leggi devono tutte rispettare la Costituzione, allora una legge contraria alla Costituzione è nulla e invalida. Anche se nessuna previsione ha esplicitamente attribuito ai giudici americani il potere di giudicare le leggi e di annullarle nel caso in cui siano in contrasto con la Costituzione, tale potere è da ritenersi implicito nella sua rigidità. In questo caso, la Corte suprema afferma che una legge del parlamento che sia contraria a un principio costituzionale è null and void, “nulla e inesistente”: non è una vera legge perché non rispetta il patto federale. Anche in assenza di un’istituzione apposita e di un procedimento specifico, l’esistenza di una costituzione rigida postula la necessità di un giudizio sulle leggi. In Europa, la situazione si è sviluppata in modo diverso per una molteplicità di ragioni legate alla tradizione di civil law che attribuisce al potere giudiziario una funzione meno creativa di quanto accada negli Stati Uniti e negli altri ambienti di common law. Per tutto l’Ottocento, mentre in America si era già consolidato il judicial review of legislation, nell’Europa continentale non vi è traccia di attività paragonabile al giudizio sulle leggi, fatta salva qualche incursione episodica. È solo a partire dalla Seconda guerra mondiale, dopo la fine dei totalitarismi, quando vengono create le costituzioni rigide, che si
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apre il dibattito sulla giustizia costituzionale. È allora che si avverte la necessità di un giudice garante della costituzione, di un giudice speciale che garantisca a tutti che i valori costituzionali e, in particolare, i diritti di libertà siano rispettati da tutti, anche dai legislatori.
4. L’età dei diritti I diritti di libertà sono al centro delle preoccupazioni del costituzionalismo contemporaneo del secondo dopoguerra e, quindi, sono al centro delle costituzioni rigide e dell’attività delle corti costituzionali. Non a caso le corti costituzionali sono state definite «giurisdizioni costituzionali delle libertà»8 da uno dei più grandi studiosi di giustizia costituzionale, Mauro Cappelletti, uno studioso italiano che ha però avuto i suoi più grandi riconoscimenti all’estero. Esse offrono un presidio a tutela della libertà e della dignità della persona. Tutta l’epoca del secondo dopoguerra è dominata dal tema della tutela della persona contro gli abusi del diritto, tanto che, nello stesso momento in cui venivano scritte le prime costituzioni rigide, a livello internazionale in Europa si approvava la Convenzione di Roma, più nota come Convenzione europea dei diritti dell’uomo (1950). Essa è oggi garantita dalla Corte di Strasburgo nei confronti di 47 Stati membri – stiamo parlando dell’Europa allargata, non dell’Unione europea dei 28 Stati membri, ma dell’Europa che abbraccia anche Paesi come la Russia e la Turchia, che non fanno parte della tradizione dell’Europa occidentale. Contemporaneamente a Parigi, sempre a livello internazionale, era stata approvata la Dichiarazione universale dei diritti umani (1948), grazie allo straordinario lavoro di una grande donna, Eleanor Roosevelt9. Mentre si allestiva il teatro della Guerra fredda, che avrebbe condizionato pesantemente i rapporti geopolitici mondiali fino al 1989, cioè in un momento di grande tensione internazionale, la moglie del più noto presidente, Franklin D. Roosevelt, con un’arte personale oltre che politica di grandissimo livello, riusciva a fare convergere su un testo che conteneva 30 affermazioni essenziali di tutela universale dei diritti umani l’assenso dei rappresentanti di tradizioni lontanissime tra loro e, in alcuni casi, politicamente nemiche. Usciti vittoriosi o perdenti dalla guerra, ancora in una fase di assestamento delle relazioni internazionali, i 18 membri della Commissione per i diritti umani presieduta da Eleanor Roosevelt approvavano con un’aspirazione uni-
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M. Cappelletti, La giurisdizione costituzionale delle libertà. Primo studio sul ricorso costituzionale, Giuffrè, Milano 1955. M.A. Glendon, Verso un mondo nuovo. Eleanor Roosevelt e la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, Liberilibri, Macerata 2009.
Le radici e le espressioni della giustizia nelle corti costituzionali italiana e internazionali
versalistica quel catalogo essenzialissimo ma fondamentale di diritti che è la Dichiarazione universale dei diritti umani. Tutto avviene nella medesima stagione storica: costituzioni rigide, che contengono affermazioni forti dei diritti di libertà, nascita delle corti costituzionali come presidi di questi diritti di libertà, Convenzione europea dei diritti dell’uomo a livello di macroregione europea, Dichiarazione universale dei diritti umani a livello mondiale. La diffidenza verso i legislatori statali è tale che si crea una stratificazione di presidi: se il legislatore devia dalla costituzione, può intervenire una corte costituzionale, ma, se ciò non bastasse, può attivarsi il sistema europeo e, in ogni caso, la comunità internazionale potrà reagire, con varie misure, nei confronti di quei componenti che non rispettano le grandi affermazioni contenute nella Dichiarazione dei diritti umani e nei numerosi patti e convenzioni che da essa sono derivati. Norberto Bobbio chiamerà questa fase del costituzionalismo contemporaneo «l’età dei diritti» in un agile volume10, facile da leggere e che riassume bene lo spirito di quel momento storico. Sembrerebbe che in questo modo tutto sia al posto giusto e che tutti i possibili casi di violazione dei diritti umani siano stati sistemati attraverso plurime reti di protezione alle quali non dovrebbe sfuggire nulla. Tante garanzie, tanti giudici dei diritti sono espressione della tendenza che si è radicata nella cultura giuridica e che sinteticamente afferma che la legge non è sufficiente e non coincide con la giustizia. La risposta a questa tensione problematica fra legge e giustizia avviene tramite la collocazione dei principi e dei valori fondamentali in testi normativi dotati di valenza superiore alle leggi, in una stratificazione che ha indotto molti a parlare anche di ordinamenti multilivello, proprio per comunicare questa idea che, per circondare il nucleo forte della persona umana di adeguate garanzie, si aggiungono degli strati giuridici correlati e interdipendenti tra loro. In realtà, l’immagine dell’ordinamento multilivello descrive solo in modo approssimativo la realtà dei rapporti che intercorrono tra le istituzioni che garantiscono i diritti e le libertà e innesca una ricerca dell’autorità ultima in un processo di regressum ad infinitum: molto spesso la nostra forma mentale nel trattare il rapporto tra legge e giustizia è di tipo piramidale o verticale. Siamo naturalmente inclini a reperire garanzie a un livello superiore che, more geometrico, possa rispondere alle imperfezioni di ciò che vi è al livello inferiore. Questo è stato uno dei grandi danni provocati dal positivismo giuridico: la costruzione a gradi dell’ordinamento al cui vertice porre chi detiene l’ultima parola su ciò che è giusto o ingiusto. Grazie a una feconda con-
10. N. Bobbio, L’età dei diritti, Einaudi, Torino 1989.
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taminazione con il diritto americano e tutta la tradizione anglosassone, si è recentemente introdotta nella nostra cultura giuridica un’impostazione che trovo molto più realistica e feconda contro le possibili deviazioni di coloro che detengono il potere. Si tratta di uno schema a rete anziché piramidale. In altre parole, se è vero che i parlamenti approvano le leggi, è anche vero che le leggi non sono eterne e immutabili: non solo si possono modificare, ma si possono anche giudicare e, in alcuni casi, disapplicare. Similmente è vero che sopra i parlamenti ci sono le corti costituzionali che possono annullare in parte o in toto le leggi, ma neanche le corti costituzionali hanno l’ultima parola. Innanzitutto, perché se la corte costituzionale assume una decisione reputata gravemente sbagliata, il parlamento può modificare la costituzione, benché ciò avvenga solo in casi estremi. Nella normalità delle situazioni, c’è sempre una rete di rapporti che contiene l’enorme potere dei parlamenti, dei capi di Stato, delle corti costituzionali e persino delle corti sovranazionali: nessuna di queste istituzioni detiene un potere ultimo. Non c’è una piramide, ma una rete di rapporti in cui, attraverso un procedimento, che definirei di trial and error, nessuno ha la capacità di realizzare il giusto nella “città degli uomini”, ma tutti hanno il compito di eliminare, questo sì, tutto l’ingiusto che emerge. In questa rete di rapporti, vi sono cooperazione e dissenso, sinergie e divergenze di vedute, in una dinamica che, per via di progressive approssimazioni, porta ad allontanarsi da ciò che pare più ingiusto, con tutti i possibili errori che sono tipici di ogni vicenda umana.
5. Legge e giustizia: il terzo incomodo
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L’evoluzione storica del costituzionalismo ha indubbiamente arricchito l’insieme degli strumenti a disposizione degli ordinamenti giuridici per rimediare alle possibili ingiustizie che sempre si determinano nell’esercizio del potere. Tuttavia, anche nell’epoca gloriosa del secondo dopoguerra – certamente un momento di grande lucidità in cui, dall’ingiustizia più macroscopica, si è potuta esprimere la maggiore creatività giuridica che mai si sia vista nella storia dell’umanità – i protagonisti erano consapevoli dei limiti del lavoro che stavano compiendo e comprendevano che tutta la loro opera, da sola, non avrebbe potuto preservare l’umanità da altri pericoli. Sapevano che non sarebbe bastato mettere su carta quei valori che essi intendevano preservare: non sarebbe neanche stato sufficiente scolpirli nella roccia, perché il diritto scritto è strutturalmente incapace di realizzare la giustizia a cui, peraltro, ambisce. A testimonianza di ciò, uno degli attori che insieme a Eleanor Roosevelt ebbe un ruolo fondamentale nella scrittura della Dichiarazione uni-
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versale dei diritti umani, Jacques Maritain, un filosofo cattolico francese, a conclusione di quell’opera, a commento di un momento di straordinario successo, affermò: Se la musica che si potrà suonare sulle trenta corde della Dichiarazione sarà in armonia o sarà dannosa per la dignità umana, dipenderà fondamentalmente dalla misura in cui la cultura della dignità umana si svilupperà11.
Si tratta di un’affermazione gravida di realismo: Maritain sapeva bene che era stato scritto un testo meraviglioso, ispirato alla tutela della dignità umana e che rifletteva la pluralità di tradizioni culturali di tutto il mondo; eppure, sottolineava che l’applicazione concreta di questo documento sarebbe stata in armonia o dannosa per la dignità umana a seconda della cultura che si sarebbe sviluppata nelle diverse società. La realizzazione del valore della dignità è qualcosa che, ora come allora, il diritto non può da sé assicurare, pur con tutte le sue straordinarie garanzie e gli imponenti apparati giurisdizionali e istituzionali che può mettere in campo. Questo apparente limite dell’ordine giuridico viene colto efficacemente da Ernst-Wolfgang Böckenförde nel suo paradosso sullo Stato liberale: lo Stato liberale, secolarizzato, vive di presupposti che esso di per sé non può garantire. Questo è il grande rischio che per amore della libertà lo Stato deve affrontare. Come Stato liberale, esso può sussistere soltanto se la libertà che concede ai suoi cittadini si regola a partire dall’interno, dalla sostanza morale del singolo […]. D’altra parte, esso non può cercare di garantire queste forze regolatrici interne da solo, ossia con i mezzi della costrizione giuridica e del comando autoritario, senza perciò rinunciare alla sua natura liberale e […] ricadere in quella pretesa di totalità dalla quale è uscito nelle guerre di religione 12 .
C’è qualcosa che sfugge al diritto. Prendiamo l’esempio della dignità umana, valore universalmente riconosciuto e che nessuno oserebbe mettere in discussione, soprattutto dopo il nazismo e gli eventi della Seconda guerra mondiale. Anzi, la dignità umana gode di uno status peculiare, perché è considerata un “metavalore” essendo generalmente riconosciuta come il valore fondativo da cui derivano tutti i diritti della persona. Ebbene, anche la dignità umana non ha più un contenuto di per sé evidente.
11. Il brano riportato è tratto da M.A. Glendon, Tradizioni in subbuglio, Rubbettino, Soveria Mannelli (cz) 2007, p. 73. 12. E.-W. Böckenförde, La nascita dello Stato come processo di secolarizzazione (ed. or. 1967), trad. it. a cura di G. Preterossi, Diritto e secolarizzazione. Dallo Stato moderno all’Europa unita, Laterza, Roma-Bari 20102, p. 53.
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A parte alcuni contenuti minimali che tutti includono nel nucleo essenziale e inderogabile del rispetto della dignità umana – ad esempio il divieto di tortura, di schiavitù e di lavoro forzato – quando è applicata a problematiche più sofisticate, più complesse, o semplicemente inedite, anche la “dignità umana” si colora di contenuti diversi a seconda del contesto sociale e culturale in cui deve essere applicata. Ad esempio, assecondando un’interpretazione assai diffusa nel mondo anglosassone, il tema della dignità è stato riproposto nel tempo in cui viviamo come sinonimo di quella capacità di autodeterminazione che domina la cultura dei diritti, lasciando in ombra ogni connotato ontologico, che tende(va) invece a ravvisare nella dignità un’essenza indisponibile, derivante dalla natura stessa della persona. L’opinione oggi maggiormente condivisa ritiene che «nell’antropologia moderna della persona, la dignità conduce all’autodeterminazione»13, cioè alla capacità di determinare liberamente il proprio progetto di vita, svincolato da costrizioni, divieti, limiti e regole eteronome. In particolare, in riferimento alle scelte che riguardano la salute e la vita, il rispetto della dignità umana tende oggi a coincidere con il rispetto della libera determinazione individuale: la dignità è riconosciuta ogni qualvolta si è liberi di compiere le proprie scelte esistenziali, senza pressioni e condizionamenti da parte di qualunque tipo di autorità o di detentore del potere. Il cuore della dignità della persona è, in questa narrativa assai diffusa, la libertà di scelta. Non così in altre tradizioni, diffuse fino ad anni recenti nel continente europeo e, in particolare, nel mondo francese e tedesco. Esemplificativa di questa lettura alternativa della dignità umana è una decisione francese, pronunciata dal Consiglio di Stato di qualche anno fa14, dove la dignità esprime un dato indisponibile della persona umana e quindi viene invocata come limite alla – e non già come fondamento della – sua libera autodeterminazione. Il caso riguardava un uomo affetto da nanismo che, per guadagnarsi da vivere, aveva deciso di prestarsi a essere usato per il gioco del “lancio del nano”. Il caso approdò nelle aule giudiziarie perché il sindaco di un paese giudicava che questo divertimento non fosse lecito, a motivo del fatto che, sebbene il protagonista si prestasse liberamente, questa attività strumenta-
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13. S. Rodotà, Il diritto di avere diritti, Laterza, Roma-Bari 2012, p. 194. 14. Conseil d’état, Assemblée du 27 octobre 1995, 136727 (http://www.legifrance.gouv.fr/affichJuriAdmin.do?oldAction=rechJuriAdmin&idTexte=CETATEXT000007877723&fastReqId=1318497351&fast Pos=1). Una posizione analoga è stata espressa dalla Corte di giustizia dell’Unione europea nella decisione (Prima Sezione) 14 ottobre 2004, C-36/02. Omega, relativa al divieto posto nell’ordinamento tedesco dei giochi che usano armi giocattolo laser che simulano omicidi (http://curia.europa.eu/ juris/showPdf.jsf?text=&docid=49221&pageIndex=0&doclang=IT&mode=lst&dir=&occ=first&part =1&cid=427877).
Le radici e le espressioni della giustizia nelle corti costituzionali italiana e internazionali
lizzava la persona. Si trattava di un atto libero, che però è tale che tutti gli uomini si sentono offesi da questa modalità di utilizzare il fisico di una persona affetta da un handicap. L’altra parte sosteneva di non subire nessuna costrizione nel compiere un gesto che rappresentava un divertimento e, soprattutto, una fonte di guadagno e chiedeva di essere lasciato libero di decidere del proprio destino. Il caso, di nuovo, era incardinato sul tema dell’interpretazione e del significato della dignità. Questa, dunque, si esprime come libera scelta o come rispetto di un dato che sfugge all’autodeterminazione dell’individuo? C’è qualcosa nell’essere umano che fa da argine alle libere scelte e non consente di ritenere che qualunque opzione sia rispettosa della dignità? Ovvero, invece, ogni scelta è degna e rispettosa della dignità fintanto che resta libera (perché certamente nessun ordinamento sarebbe disposto a tollerare che una persona possa essere utilizzata per una simile ludica attività contro la sua volontà)? Non vogliamo dare una risposta ora su quale sia l’interpretazione più corretta del valore della dignità umana; piuttosto, questo piccolo approfondimento è interessante allo scopo di esemplificare come tutta l’articolazione del significato dei diritti umani abbia molto a che vedere con la cultura, con il contesto e con l’interpretazione. Il loro contenuto, facendo proprio lo “spirito del tempo”, cambia, si colora di nuovi significati, si riempie, a seconda del contesto culturale, di nuove implicazioni e di una nuova portata normativa, subendo l’influsso di qualcosa che viene prima del mondo giuridico, di qualcosa che accade nell’ordine sociale e che il diritto, in qualche modo, tende ad assorbire. Il caso del lancio del nano fu deciso a metà degli anni Novanta del secolo scorso dal Consiglio di Stato francese vietando quel gioco. Non è detto che il medesimo caso avrebbe lo stesso esito se riportato oggi davanti alla stessa autorità giudiziaria, per la diversità del contesto culturale. C’è un nesso tra il diritto e la cultura data, nella cui interazione emerge la possibilità di riconoscere dei principi di giustizia: senza il rapporto tra il dato sociale e culturale e la formulazione di un principio pur giusto in sé, non si può riconoscere se la legge, il testo, la norma, la regola siano giusti o ingiusti. Abbiamo iniziato dicendo che il costituzionalismo moderno ci ha dato una visione riduttiva della giustizia perché la faceva coincidere solo con le leggi scritte. Abbiamo visto i correttivi del costituzionalismo contemporaneo che hanno aggiunto degli strati di valore nelle costituzioni e nelle carte internazionali proprio per poter giudicare le leggi. Anche questo, però, non basta: la dinamica e il dialogo tra legge e giustizia, due poli che rimangono elementi irriducibili l’uno all’altro, non possono rimanere nell’orizzonte del diritto, anche se inteso in senso complesso – leggi, costituzioni, diritto internazionale. Per consentire il loro dialogo, occorre che entri in campo un terzo ele-
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mento: la cultura vissuta in una determinata società. È all’interno del vivere sociale che emerge qual è il sentimento, l’interpretazione di quei principi che pure sono stati messi al sicuro, come dignità, libertà, eguaglianza e tutte le loro declinazioni. Nell’epoca contemporanea, un’importante risposta al positivismo giuridico, di cui abbiamo visto i limiti, è stata data, non a caso, dalla scuola storica che vede il diritto come espressione ordinamentale della società. In particolare, in Italia, il capofila di questi studi storici è il presidente attuale della Corte costituzionale, il professore Paolo Grossi, che ha scritto libri importanti contro le mitologie dell’Illuminismo e della modernità15, e ha riportato il diritto al suo essere espressione della vita sociale, sempre in divenire, sempre imperfetto, ma innanzitutto innestato in un vissuto sociale, prima ancora che ordinato in un insieme di regole: L’ordine giuridico autentico attinge allo strato dei valori di una comunità per trarne quella forza vitale che nasce unicamente da una convinzione sentita, per trarne quella solidità che non ha bisogno della coazione poliziesca per mantenersi stabile16 .
Coloro che detengono il potere di creare il diritto debbono inventarlo17, in senso etimologico, cioè trovarlo e reperirlo nell’esperienza giuridica vissuta. È per tale via che la legge ritrova il suo dialogo con la giustizia: non in un raffronto speculativo diretto fra la legge positiva e principi immutabili di giustizia, ma attraverso l’ascolto dei valori vissuti nella cultura e nella società18. Si potrebbe forse dire che la struttura del diritto implica non due, ma tre poli in continuo reciproco rapporto: legge, giustizia e società sono fattori imprescindibili di un processo di continuo aggiustamento in cui la legge non si limita ad adeguarsi alla società, nel senso di una passiva acquisizione dei suoi contenuti, ma grazie all’attenta osservazione delle domande che essa esprime, si protende in un’inesauribile ricerca del giusto. Evidenziare la socialità e la storicità del diritto non significa, dunque, ridurlo a una funzione meramente descrittiva o ripetitiva dell’esistente. Certamente anche la legge contribuisce alla formazione della cultura che permea il sostrato sociale, che poi essa stessa esprime; tuttavia, non può imporre con la sua forza coercitiva valori estranei al vissuto della comunità.
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15. P. Grossi, Mitologie giuridiche della modernità, Giuffrè, Milano 2007. 16. Id., Prima lezione di diritto, Laterza, Roma-Bari 2003, p. 20. 17. Id., Ritorno al diritto, Laterza, Roma-Bari 2015, p. 84. 18. Sulla cultura come insieme di categorie di senso e di valore vigenti in una determinata società, che costituiscono fattori decisivi nell’interpretazione giuridica, si veda G. Zagrebelsky, La legge e la sua giustizia. Tre capitoli di giustizia costituzionale, il Mulino, Bologna 2008, pp. 31 e 199 s.
Le radici e le espressioni della giustizia nelle corti costituzionali italiana e internazionali
Queste considerazioni finali suggeriscono che, nel percorso verso la giustizia, il diritto è importante, ma non autosufficiente. Gli strumenti giuridici sono decisivi, ma limitati nella loro capacità di incidere sulla vita sociale. Per questo, la tensione alla giustizia non è solo un compito dei legislatori, dei giudici, di coloro che svolgono una funzione specifica nell’ambito dell’ordinamento giuridico. Poiché il diritto si forma anzitutto nel tessuto della vita sociale e nella realtà quotidiana delle nostre comunità nazionali e sovranazionali, ciascuno di noi, con le sue scelte e i suoi atti, le sue decisioni e il suo pensiero, è anche un po’ legislatore.
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QUESTO VOLUME, SPROVVISTO DI TALLONCINO A FRONTE (O OPPORTUNAMENTE PUNZONATO O ALTRIMENTI CONTRASSEGNATO), È DA CONSIDERARSI COPIA DI SAGGIO - CAMPIONE GRATUITO, FUORI COMMERCIO (VENDITA E ALTRI ATTI DI DISPOSIZIONE VIETATI: ART. 21, L.D.A.). ESCLUSO DA I.V.A. (DPR 26-10-1972, N.633, ART. 2, 3° COMMA, LETT. D.). ESENTE DA DOCUMENTO DI TRASPORTO.
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«Unicuique suum». Radici, condizioni ed espressioni della giustizia Romanae Disputationes 2015-16
Il presente testo nasce dal Concorso “Romanae Disputationes 2016” sul tema: “Unicuique suum. Radici, condizioni ed espressioni della giustizia”. Il volume non intende riproporre e documentare già note posizioni teoriche ma cerca di offrire del materiale che consenta, a diversi livelli di approfondimento e da molteplici angolature, di rimeditare il tema della giustizia. Per quanto riguarda i contenuti, il libro si compone di due parti. La prima raccoglie gli interventi di importanti docenti universitari: Marta Cartabia, Francesco Botturi, Giuseppe Barzaghi e Franca D’Agostini. La seconda parte raccoglie i materiali vincitori del Concorso premiati alla due giorni romana, svoltasi il 18-19 marzo 2016 presso la Pontificia Università San Tommaso. I numeri confermano il notevole successo di questa terza edizione del Concorso: 815 studenti iscritti, accompagnati da 90 docenti referenti di 80 scuole di tutta Italia, per un totale – nelle categorie Junior (III e IV anno della secondaria superiore) e Senior (V anno) – di 110 elaborati scritti e 38 multimediali presentati. Gian Paolo Terravecchia, PhD in Filosofia presso l’Internationale Akademie für Philosophie (1998). Dottore di ricerca in Filosofia teoretica e pratica presso l’Università di Padova (2011), si occupa di Filosofia sociale (Il legame sociale. Una teoria realista, Ortothes, Napoli 2012) ed è cultore della materia in Filosofia morale all’Università di Padova. È coautore di manuali di filosofia e di Tesine e percorsi. Metodi e scorciatoie per la scrittura saggistica. Marco Ferrari è direttore del Concorso nazionale di filosofia Romanae Disputationes e vice presidente dell’associazione ToKalOn-Didattica per l’eccellenza. È coordinatore della Bottega di filosofia di Diesse e co-curatore di TEDxYouth@Bologna. Ha curato il volume Soggetto e realtà nella filosofia contemporanea. Cinque lezioni (Itaca, Castel Bolognese [RA] 2014). Insegna nella scuola secondaria superiore.
€ 10,00
ISBN 978-88-201-3776-2
3776 TERRAVECCHIA UNICUIQUE SUUM RADICI, CONDIZIONI ED ESPRESSIONI DELLA GIUSTIZIA
9 788820 1 37762
1 1 600