Tribuna Tevere #0 (2011)

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TEVERE ( T R I B U N A)

EORUM CLARITATEM VESTIG ATIONES !

JULY 23, 2005

R AC CON T I D I V I TA , D I C A LCIO E DI L AZIO DA E PE R IL S ODAL IZI O BI AN COCEL ES TE

92’34”

!

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OTTOBRE 2011 AN N O 1 - N UM E RO 0


il mensile del SODALIZIO - editoriale

ottobre 2011: il n° “0”. nasce (Tribuna) TEVERE. come è scritto in copertina raccoglierà “racconti di vita, di calcio e di Lazio da e per il SODALIZIO BIANCOCELESTE”: scritti, pensieri, parole dei nostri associati e di amici tifosi di Calcio, non necessariamente Laziali, non necessariamente “professionisti” di penna. nasce in ottobre. l’ottobre del 2011 che noi Laziali ricorderemo a lungo. lo ricorderemo per un derby perfetto. vinto come nei sogni. in rimonta, e ad un sospiro dalla fine. ma ottobre, e non solo a noi Laziali, riporta alla mente un altro derby. il derby di di quel maledetto 28, nel 1979. derby in cui Vincenzo Paparelli perse la vita.

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dedichiamo a lui questo numero “0”. la nostra storia è fatta di grandi gioie alternate a grandi travagli, se non addirittura tragedie. e così nel ricordo di Vincenzo, e ci piace pensare che a lui non dispiacerà, riserviamo la copertina a quell’ultimo sospiro di questo ultimo derby. un derby perfetto che fa da contraltare a quello, maledetto, di 32 anni fa. ciao Vincenzo.

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28 ottobre 2011: ricordando Vincenzo

Ciao Vincenzo 28.10.1979 – 28.10.2011 difficile commentare questo giorno, la cosa più strana è che più passa il tempo e più i ricordi diventano più nitidi. strano dovrebbe essere il contrario. tutti quei ragazzini in quel parterre della curva nord, oggi chi affermato professionista chi con figli maggiorenni o quasi, chi con lavoro precario o altro, tutti ricordano perfettamente cosa hanno fatto quella maledetta domenica. sono cose che ti colpiscono in età giovanile e ti possono cambiare, a qualcuno per sempre, ad altri per un periodo della propria vita. “prendiamo il 90 a Caracalla e andiamo tutti insieme all’appuntamento. ma no prendiamo il 67 alla stazione. no, no, alla lampada osram ci stanno “gli al-

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tri”. raggruppiamoci. piove come piove nella nostra urbe. cielo coperto, ma tu fin da ragazzo conosci la tua città e sai che prima o poi esce il sole. arriva l’autobus, è presto sono le nove del mattino di domenica. c’è chi ritorna da un lavoro notturno o chi va al centro in qualche stupenda chiesa... e tu sei lì con sciarpa biancoceleste al collo e ti guardano. anche un po’ “stranamente” perché le persone pensano: “ma la partita c’è alle 14.30 ma dove vanno questi?”. dopo aver fatto il giro dell’urbe arriviamo all’appuntamento con gli altri ragazzi. giovani conosciuti allo stadio, di altri quartieri, lontani, durante la settimana, ma la domenica li ritrovi tutti. siamo pochi. non è una novità, solo i più giovani non mancano mai. con qualche amico più grande che forse già potrebbe essere tuo padre. è la solita storia per chi ha vissuto il mondo degli ultras laziali in quell’epoca: uno grande davanti e tanti ragazzini dietro. si aprono i cancelli. si entra. i soliti ragazzini che mettono gli striscioni...

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28 ottobre 2011: ricordando Vincenzo il vecchio marmo bianco sporcato da scritte fatte nella notte. l’ordine è di ripulire la nostra curva e c’è la caccia alla vernice. cancellare quelle scritte. gli amici più alti ti prendono a “cavacecio” e tu incurante del tuo vestito e del danno che può fare la vernice cancelli e correggi. c’è un gruppo di ragazzini come te, dietro di te che ti danno consigli: “ scrivigli questo ...leva quella”. sono gli amici di sempre. ti conoscono e tu conosci loro, alla fine sembra ti vogliano bene come fratelli. hai espresso con vernice il pensiero di tanti ragazzini. il tempo non migliora ...strano per la nostra città. è una partita di calcio. un derby. gli “altri” di fronte già riempiono il loro posto. noi siamo di meno ma ci conosciamo tutti, dal quattordicenne a quello che ha già la patente. il tempo passa ...aspettiamo un pò di sole ...prima o poi arriverà. è quasi impossibile nella città eterna non vederlo almeno un’ora al giorno nonostante un cielo copertissimo. si sta nel parterre della curva. il

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vecchio marmo. più sù panchine di legno verdi dove si vanno a sedere i tifosi più grandi. il tempo non passa. quando c’è questa partita sembra che sei a scuola. lì non vedi l’ora di uscire, qui non vedi l’ora che inizi la partita. di fronte, davanti a te partono dei razzi. e tu inconsciamente guardi, ed insieme ai tuoi amici dici: “ ma che sono?” i secondi di quella domenica li ricordi come minuti. sono razzi nautici dice qualche amico appassionato di pirotecnica. ne arriva un altro. non scavalca il vecchio marmo e le vecchie panchine verdi. si ferma, ...si ferma una vita! Ciao Vincenzo 28.10.1979 – 28.10.2011 ! !

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Antonio Grinta

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28 ottobre 2011: ricordando Vincenzo

Vincenzo uno di noi. il 28 di ottobre arriva prima di arrivare. nei giorni, nelle settimane precedenti, vuoi per un appuntamento da fissare, vuoi per un occhiata al calendario. vedi quel numero ed il 28 di ottobre arriva prima di arrivare. quando poi “è” il 28 di ottobre impossibile quindi che la mente non vada, una e più volte, a Vincenzo. da bambino lo percepivi come un “signore” che con la moglie era andato allo stadio, al derby. col passare dei tuoi anni la cosa assume una proporzione diversa e se possibile ancor più tragica. Vincenzo era un ragazzo di 33 anni. un ragazzo o poco più. questo e la rabbia del suo nome vilipeso sono stati un peso costante credo per tutti noi. nulla a che vedere con quello della Famiglia, ovvio. TRIBUNA

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forse però noi Laziali e tifosi di quella generazione, lo valuto a posteriori, abbiamo fatto un errore: far diventare uno sfortunatissimo ragazzo di 33 anni “uno slogan” e forse in fondo anche noi, in questo, solo in questo, abbiamo non onorato sino in fondo Vincenzo. sarebbe bello, sarebbe bello avere un coro per Vincenzo che non sia di “vendetta”. per ricordarlo diversamente, più serenamente. ottobre, e prima che arrivi il 28 già pensi a Vincenzo. pensi a Vincenzo ed automaticamente ti viene da pensare a Gabriele. anni diversi. vite diverse. morti diverse. ragazzi Laziali, come unico comune denominatore. e che sia solo questo ad accomunarli: speravo e spero che Gabriele non diventi anche lui “uno slogan”. fortunatamente lui, Gabriele, c’è l’ha il suo coro di ricordo e non di vendetta, ...ed allora: “uno di noi, Vincenzo, uno di noi”.

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Fabrizio “Laurentino”

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28 ottobre 2011: ricordando Vincenzo

tristi ricordi. il 28 ottobre del 1979 avevo quindici anni. quella stagione andavo ancora allo stadio con mio padre nella vecchia tribuna Tevere non numerata. in occasione però delle partite più importanti, me ne andavo in curva, insieme ad un mio compagno di scuola, dove si posizionavano gli Eagles’ Supporters. all’ingresso mostravo il mio abbonamento per la tribuna e mi lasciavano entrare, senza capire perché andassi in un posto dove la partita si vedeva decisamente peggio. in occasione del derby Roma-Lazio dell’ottobre del 1979, mio padre decise di non venire allo stadio, così, come mi era capitato pochissime altre volte prima, sarei andato alla partita da solo,

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insieme a due miei amici di scuola. tanta era l’attesa per questa partita che decidemmo di mettere un po’ di soldi per uno, comprare un po’ di stoffa bianca e celeste e farci cucire dalla mamma di un nostro amico, che era una sarta, una bandiera a quattro scacchi, come se ne vedevano tante all’epoca. l’asta era la classica cerbottana gialla, solo un po’ più grande. la mattina della partita ci vedemmo presto e con la nostra nuova bandiera prendemmo i due autobus che ci portarono allo stadio. la giornata era piovosa ed uggiosa. arrivammo al capolinea dell’autobus vicino il ponte Duca D’Aosta e iniziammo a dirigersi verso lo stadio. c’era già un’aria cupa, forse triste presagio di quello che sarebbe successo. intorno allo stadio c’era poca gente, poche macchine posteggiate, nessuna bandiera e tante persone che camminavano frettolosamente a testa bassa. che differenza con le altre partite di campionato, pensai, quando già fuori incontravi tanti tifosi con sciarpe e bandiere al vento. passammo per Ponte Mil-

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28 ottobre 2011: ricordando Vincenzo vio, come ci consigliò il nostro amico più “esperto” di stadio, ed arrivammo fuori la Curva Nord. i cancelli erano già aperti e decidemmo di entrare. Mauro, uno dei miei amici, andò subito tra gli Eagles’ Supporters a lanciare i primi cori, io con l’altro mio amico ce ne andammo nel parterre in basso, perché io avevo la macchinetta fotografica e volevo scattare qualche foto. stavamo lì sotto ad immortalare qualche immagine di quella giornata, una foto ai Viking, una agli Eagles, quando li vedemmo arrivare quei razzi maledetti. non capimmo bene cosa fossero e dove fossero finiti, io ne ricordo più di uno, uno altissimo finire al centro del campo, e ricordo anche gli olè provenire dalla curva di fronte a noi. vedemmo qualcosa bruciare il alto, ma non capimmo cosa fosse accaduto. come si poteva solo immaginare una assurdità del genere? poi si sparse la voce: “hanno colpito un tifoso della Lazio in viso“, ma ancora non ci rendemmo conto della gravità della cosa. la gente esterrefatta chiedeva, cercava notizie, non voleva TRIBUNA

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arrendersi alla cruda realtà delle cose. poi ci seppe la dura verità, molti tifosi della Lazio arrivarono nel parterre lanciando cori, protestando, poco prima del fischio d’inizio, cercando di parlare con i giocatori della Lazio, di dirgli di non giocare questa partita. ma niente, come se nulla fosse accaduto la gara iniziò. io ed il mio amico che era con me a scattare le foto, decidemmo di tornarcene a casa, proprio non ci andava di vedere questa partita, se poi così si può definire. uscendo dallo stadio passammo vicino alla curva Sud. ricordo i loro cori, come se niente fosse accaduto. quello fu senza dubbio uno dei giorni più brutti della mia vita. Giorgio Acerbis

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28 ottobre 2011: ricordando Vincenzo

ricordi dei vecchi amici di Bari. 28 ottobre 1979. quel giorno, come al solito, ero andato al Della Vittoria con mio padre e mio fratello, nelle gradinate fronte tribuna (quelle che chiameranno poi distinti centrali), avevo solo 14 anni e la speranza di vedere la mia Bari fare un grande campionato in B, per vedere “live” la serie A, ma, come altre volte, non ci riuscimmo. non ero ancora entrato di fatto con gli UCN Bari nella Nord, ma da lì a breve: ci sarei arrivato l’anno successivo. allora si usava sempre andare in gradinata con la radiolina, e, dalle prime notizie, capii subito che qualcosa di brutto e incredibile era successo a Roma. tornai a casa felicissimo della nostra vittoria (2-0 sul Monza), ma non vedevo l’ora di guardare 90° minuto, era imperdibile. ma la curiosità di capire cosa fosse successo a Roma, mi rendeva alquanto nervoso.

benissimo il fastidio e l’amarezza nel sapere che era stata giocata questa partita, questo derby. pensavo soprattutto allo strazio della Sig.ra Wanda, una donna, una moglie, nello stare accanto al proprio marito agonizzante a terra. non capivo, non capivo il perchè di tutto questo astio, di un atto così vile e infame. dopo circa un anno, ho cominciato a capire. sono entrato anche io nella curva, da solo, con gli Ultras Bari, ho cominciato a capire molte cose, ma anche ad avere un codice di comportamento, niente atti da vigliacchi, niente azioni da infami, rispetto anche per in “nemici” storici della nostra curva. e poi, le nostre strade si sono già incrociate, amici laziali, agli albori di uno storico gemellaggio con gli ES, che molti di noi non hanno mai perso nel tempo. oggi, a 46 anni, con il lavoro che da tempo mi ha portato via dalla mia Bari, ma che mai mi allontanerà da quei colori e da quella nostra grande curva, da questa isola meravigliosa che si chiama Sardegna, con la certezza di non stare in questo calcio di oggi, fatto di tv, repressione e ipocrisia. lasciatemi solo portare un saluto affettuoso alla famiglia Paparelli, e soprattutto, un ricordo speciale alla Sig. Wanda (anche Lei ci ha lasciato). ringrazio davvero il Sodalizio della Lazio per avermi dato la possibilità di scrivere queste cose e saluto tutti i veri Ultras, quelli con mentalità, oltre tutte le rivalità.

Ma il sedersi davanti la tv, sarebbe stato amaro. mi restano impresse nella mia mente le immagini dei ragazzi laziali nel parterre che imploravano i propri giocatori a non andare avanti con la partita.ricordo

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Marcello Lissona Del Bari Malato

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ciao Vincenzo. il 28 ottobre 1979, muore sugli spalti della curva nord laziale Vincenzo Paparelli. venne colpito in pieno volto da un razzo, sparato dalla curva sud giallorossa. difficile per me avere un ricordo di quella giornata, perchè ero molto piccolo e di quella “giornata storta”, come recitava un coro infamante, me ne sono fatto comunque un’idea visto che negli anni successivi, proprio il tifo calcistico diviene una delle mie passioni. oggi 28 ottobre 2011 ho la possibilità di ricordarlo su queste pagine, e ne approfitto subito anche per ricordare anche Wanda Pinto, moglie di Vincenzo, scomparsa pochi mesi fa e che ha potuto raggiungere e ricongiungersi con suo marito dopo che gli fu strappato alla giovane età di 33 anni. Wanda era accanto a lui quel giorno fatto di tanta passione, colore e violenza. infatti la cronaca dell’epoca narra: di un derby particolarmente caldo, con le opposte fazioni che si scontrarono già nel pre-partita

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fuori lo stadio. molto prima dell’inizio della partita, dalla curva sud iniziò un lancio di razzi di cui uno colpì in un occhio proprio Vincenzo. la signora Wanda, si accorse solo in un secondo momento che uno dei razzi colpì suo marito, infatti dopo aver udito uno scoppio si voltò verso suo marito e lo vide per terra in una pozza di sangue. cercò subito di tirar via dall’occhio del marito il razzo e sconvolta urlava: ”non morire, non morire, non puoi morire, abbiamo due figli.” una violenza senza senso che rovinò in pochi attimi la vita di una famiglia, e portò via per sempre Vincenzo. come se non bastasse, il dolore della famiglia Paparelli, negli anni successivi sarà calpestato ogni volta che su un muro di Roma, si scriveranno scritte come” 10 100 1000 Paparelli”. aldilà dell’idiozia umana, non credo ci siano parole per descrivere morti così assurde, infatti lascia senza parole, l’intervista che la signora Wanda rilasciò a “Sfide” con gli occhi lucidi, e il suo non riuscire a capire il perchè si può arrivare a tanto per una partita di calcio. soprattutto, è un qualcosa che con il passare degli anni non è riuscita mai ad accettare e dimenticare.

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Gianluca Dileo

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sono passati 32 anni. “Domenica 28 ottobre 1979”, sono passati 32 anni da quel pomeriggio che in qualche modo ha segnato un’epoca, una generazione (e non solo). io, all’epoca quindicenne, mi apprestavo, abitando lontano da Milano, a seguire per radio il derby di San Siro tra il mio Milan, campione d’Italia in carica, e l’Inter, fremendo per l’attesa. contemporaneamente, a Roma, si sarebbe giocato Roma-Lazio, il derby Capitolino. quello era un periodo in cui le rivalità calcistiche e campanilistiche si fondevano, o si confondevano, con le rivalità di piazza, molte situazioni risultavano essere esacerbate da un clima particolare che si

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respirava in quegli anni, e lo stadio non faceva certo eccezione, anzi... d’altronde noi italiani siamo sempre stati un popolo diviso a metà, guelfi e ghibellini, rossi o neri, Coppi o Bartali, Mazzola o Rivera, Milan o Inter, fa parte della nostra storia, del nostro modo di essere... spesso allo stadio si andava armati (non solo di un’ incrollabile fede calcistica, ma anche di qualcosa di più pesante...). ed i 2 derby in questione erano appunto stati, prima dell’inizio delle partite, teatro di scontri tra le opposte tifoserie, a Milano vennero sequestrati anche bastoni, molotov, estintori ed una pistola lanciarazzi, con un arresto e qualche fermo. era, quella, una giornata cupa, nuvolosa, un po’ su tutta l’Italia, quasi come fosse un presagio... sintonizzatomi su “Tutto il calcio minuto per minuto”, ricordo che il primo collegamento, prima dell’inizio delle partite, fu appunto dallo Stadio Olimpico di Roma, e Claudio Ferretti, con voce sommessa, raccontava l’accaduto: poco prima, un tifoso biancazzurro di 33 anni, Vincenzo Paparelli, sistemato in Curva Nord assieme alla moglie Wanda, in attesa di assistere all’incontro, venne centrato in pieno volto da un razzo lanciato dalla curva opposta, la Curva Sud romanista, per mano di Giovanni Fiorillo,

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28 ottobre 2011: ricordando Vincenzo detto “Zigano”, un ultrà giallorosso di 18 anni. ricordo le notizie susseguirsi in modo frammentario, quasi confuso, finchè non arrivò, purtroppo, la conferma del decesso del povero Vincenzo. da qui in poi, l’aspetto sportivo di quel giorno fu, per me come per moltissimi altri, credo, letteralmente cancellato, e quasi non riuscii a seguire l’evolversi degli incontri, talmente rimasi colpito. il derby romano si giocò comunque (nonostante dalla Curva laziale arrivassero a più riprese segnali contrari), ma non fu partita vera, e anche a San Siro, giunto l’eco di quanto accaduto, si viveva un clima particolare. a tutto questo ne conseguì la quasi disperata latitanza di Fiorillo (il quale tentò poi in tutti i modi di chiedere scusa alla famiglia Paparelli), diventato, a distanza di qualche anno, lui stesso, in qualche modo, vittima del suo stesso gesto, finendo i suoi giorni consumato forse da un’overdose, o forse da una brutta malattia, come disse qualcuno; ci fu il divieto di esporre striscioni considerati “violenti” (ricordo, ad esempio, che “Potere Nerazzurro” diventò ben presto “Milano Nerazzurra”, mentre le Brigate Rossonere, nonostante il veto, continuarono coerentemente a conservare il nome, arrivando però a

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“coprire” il teschio, simbolo del Gruppo, con una bandiera, segnatamente quella inglese, che, il più delle volte, si alzava a causa del vento...). venne bandito l’ingresso allo stadio dei tamburi, per qualche tempo i controlli furono abbastanza rigorosi, ma poi, pian piano, si tornò alla “normalità”, in tutti i sensi. la storia del tifo calcistico nazionale è lì a dimostrarlo, in più modi ed a più riprese, non è il caso qui di ricordare come, chi vuole ne tragga le sue conclusioni. di certo, da quella domenica, il nostro gioco più amato cominciò a subire nel tempo innumerevoli scempi, di ogni tipo, anche da parte di chi con questo sport ha poco o nulla in comune, ma che vede nel lucro indiscriminato la propria fonte primaria. il conseguente risultato è sotto gli occhi di tutti, e questo, per chi è cresciuto, come la mia generazione, a pane e pallone, fa male, veramente, ma questa è un’altra storia. Colombo Labate Maglia Rossonera Old Style Ultras Casciavìt!

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una nuova consapevolezza. 1979. l’anno che iniziai ad andare in Curva da solo. fino al 28 ottobre. non me lo scorderò mai. mi pare che noi giocavamo in casa col Catanzaro e vincemmo anche bene. sinceramente dalle radioline giungevano notizie drammatiche da Roma ma da adolescente invasato com’ero all’epoca, che andavo allo stadio bardato come un albero di Natale (sciarpe e sciarpette, fascette, coccarde, spillone, ecc. ecc.), non facevo troppo caso ai “vecchini” con le radioline. a noi bastava cantare e ricantare, preparare i fogliettini di carta (tra l’altro mi esaltavo rubando metri e metri di carta argentata da conservazione alimentare a mia madre per poi fare i fogliettini da mescolare con quelli ricavati dalle schedine del Totocalcio che non erano state giocate per avere un effetto cromatico divertente) e partecipare, da ragazzini, alla vita e grandezza della nostra Curva assieme ai miti di allora che per me sono e restano anche quelli di adesso. finita la partita rientro a casa in autobus. messo piede in casa inneggiando e cantando come un ossesso per la vittoria ecco che mio padre mi gela con: “tu da oggi allo stadio da solo NON ci vai più. hai visto che macello è successo a Roma?”. “macello?” rispondo: ”ch’è successo?”. ed ecco la spiegazione... dei criminali hanno lanciato un razzo e hanno ucciso un padre di

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famiglia. un tifoso come mio padre che era allo stadio. ma che avrei potuto essere io. un tifoso della Lazio. squadra che, tra le altre cose, aveva segnato il mio esordio casalingo allo stadio anni prima. io ero affranto per il divieto (che poi durò solo per una partita…) ma non dissi niente perchè nel volto di mo padre lessi la disperazione e il dramma. la solidarietà per la vittima e la rabbia per i colpevoli. restammo così, ad aspettare 90° minuto. le prime immagini, in bianco e nero, agghiaccianti. la gente che scappa, i tifosi della Lazio che cercano vendetta. mio padre che scuote la testa e non smette di ripetere “poer’omo ...chissà i su figlioli e la su moglie ...che strazio ...che infamia…”. il giorno dopo, nitida nella mia memoria la foto del razzo assassino, scagliato da mani sciagurate. so che il responsabile non ha vissuto una bella esistenza. magra consolazione per i cari di Vincenzo ai quali la vita miserabile e rovinata del carnefice non renderà la vita perduta. rievocare dall’esterno la tragedia arrivata alla famiglia Paparelli e, per esteso, a tutto il popolo laziale è difficile. c’è sempre il rischio di essere banali e dire cose scontate e anche inesatte. diciamo che quanto avvenne all’Olimpico di Roma il 28 ottobre 1979, fu uno schiaffo poderoso al mondo del tifo. il primo segnale di come una passione sportiva portata all’eccesso patologico potesse portare anche i germi di atti vili e ignobili. ero un adolescente ma, da quel giorno diventai maggiorenne. e allo stadio iniziai ad andarci con la consapevolezza che non sempre avrebbe potuto essere una festa...

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Alessandro Rabbiosi

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il senso del 10. viviamo in una sorta di porno evo, che sa di vecchio, una sorta di onda lunga dei peggiori anni Ottanta che fa acqua da tutte le parti. vi hanno abituati alle novità e adesso le novità sono un abitudine. a furia di mettere il calcio in vetrina, non lo guardiamo più. lunedì sera la tribuna sotto cui D’Ambrosio andava in sovrapposizione era piena di spettatori finti. adesso avremmo voglia di essere lasciati in pace ed emozionarci quando è il caso. Una delle cose che meglio racconta il tramonto di un’epoca ( almeno, lo spero ) è la numerazione delle maglie dei giocatori. una trovata da mille lire che andava incontro al bisogno di personalizzazione di tutto. tifare prima il centravanti e poi la squadra, prima il cognome e poi la maglia. ci avete provato, non vi è riuscito ora basta così. oggi che dapTRIBUNA

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pertutto ci sono segni di una rinnovata sensibilità ( ho deciso da tempo di essere ottimista ) i giocatori sembrano dei pullman di linea. il giochino non ha più ragione di esistere, è privato anche di quel piccolo senso di novità che portava con sé. arriva un 99 sulla fascia. entra un numero 29 ed entra un 77: perché continuare così? soldi in giro non ce ne sono più, tanto vale guardare in faccia le cose per quelle che sono, ci piaceranno lo stesso, e anzi di più. compreso il terzino sinistro che gioca con il 3, il mediano con l’8 e l’ala destra che gioca col 7. ritornare pian piano ad una vita normale. il tramonto di uno stile di vita si manifesta in tutta la sua evidenza in serie B, dove giovanotti sconosciuti segnano il loro secondo gol in carriera, poi corrono verso spalti semi vuoti, si voltano ed indicano il loro nome scritto sulla casacca. da morire dal ridere se non fosse così interessante da un punto di vista sociologico. la casacca, il territorio, la comunità, le sane proporzioni dovranno tornare protagoniste a danno degli sponsor, dei cognomi e dei tatuaggi. più protagonisti, meno protagonismi ovunque. non bastava vedersi le partite alla tv, bi-

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storie di calcio sognava sostituire la numerazione delle magliette del calcio con quella del football. bisognava che le partite finissero sei pari, e qualcuno molto in alto propose addirittura di allargare le porte. oggi che la giostra economica si è semplicemente fermata o quasi e non correrà più come prima ( magari altrettanto, ma non come ), tutte queste abitudini luccicanti si mostreranno finalmente per quello che sono. Roba vecchia ed ingombrante. ridateci il 10, ridateci il senso del 10. e dell’8 e del 9. e dell’1. quei numeri sono gli unici che hanno ancora un senso, si portano dietro un secolo di letteratura sportiva e di fantasie popolari. oggi capita che qualcuno arrivi nel Toro e si sogni di scegliere il numero 77 perché è l’anno di nascita della sua fidanzata. ma tutto questo, prima ancora che di idiota, sa improvvisamente di vecchio. di fine novecento, di un’epoca al tramonto. in attesa dell’alba. mi permetto di segnalarvi un libro che ho trovato buono. si intitola “10! e l‘ha scritto con mano sicura di artigiano il torinese Dario Voltolini. sono tanti piccoli racconti, tutti riusciti, uno dei quali ricostruisce la fine del Grande

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Torino, con una delicatezza che lascia il segno. se il 10 torna a valere 10, allora a questo libro darei un pesante e meritato 8. un abbraccio a tutti. !

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Marco Peroni

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Toro News

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storie di calcio

questo piace.

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non

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chi ha avuto la fortuna di seguire il calcio negli anni settanta e nei primi anni ottanta, si ricorderà certamente di giocatori come Petrelli, Nanni, Castoldi, Mozzini, Giubertoni, Scanziani, Boccolini, Lombardi e Piga, tanto per citarne qualcuno. vere icone di quegli anni, in cui gli stadi erano pieni, non solo di spettatori ma anche di passione ed andare allo stadio la domenica (perché si giocava solo in questo giorno) era davvero una festa. erano uguali al tuo vicino di casa, al postino che ti consegnava la posta, o all’autista del autobus che ti portava a scuola la mattina presto. se non fossi stato un tifoso di calcio e li avessi incontrati in una via del centro, in un sabato pomeriggio, di certo non li avresti riconosciuti tra la folla dei passanti. erano come noi, niente fronzoli e niente orpelli da ostentare. oggi invece buona parte dei calciatori che giocano nei nostri

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campionati, sembrano appena essere usciti da un reality show, da “uomini e donne”, con le loro pettinature alla moda, i loro orecchini più o meno vistosi, i loro tatuaggi, le loro lussuose fuoriserie e i loro vestiti alla moda. sembrano essere sempre più interessati ai loro contratti, a guadagnare sempre di più, a cambiare squadra come si cambia un paio di vecchie scarpe e sempre meno interessati ai propri tifosi ed alle vicende del club per cui hanno la fortuna di giocare. in questo contesto arriva dalla vicina Spagna invece una notizia che ha davvero dell’incredibile. Javi Poves, difensore della formazione della Liga, Sporting Gijon, a soli ventiquattro anni decide di lasciare il calcio, nonostante gli si prospettasse una carriera da professionista lautamente retribuita. ma andiamo con ordine. Javi Poves nasce nella cantera dell’Atletico de Madrid, una delle formazioni più famose di tutta la Spagna, per poi passare all’altra formazione della capitale madrilena, il Rayo Vallecano. dopo il passaggio in due formazioni delle serie minori, il Las Rozas e il Navalcarnero, il 21 maggio del 2011 esordisce nella Liga Spagnola con la maglia biancorossa dello Sporting Gijon, impegnato tra le mura amiche contro l’Hercules, la formazione di una vecchia conoscenza del calcio italiano: David Treze-

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storie di calcio guet. La gara termina a reti inviolate ed il giovane Javi, disputa una buona gara. arriviamo al campionato appena iniziato ed il giovane difensore spagnolo decide di abbandonare il mondo del calcio e non perché non avesse il ruolo da titolare garantito, neppure perché aveva litigato con il suo allenatore o con qualche compagno di squadra “ importante “ ma semplicemente perché disgustato da quello che il mondo del calcio è diventato in questi ultimi anni. già nella stagione del suo esordio aveva dato i primi segni di insofferenza verso questo mondo patinato, chiese infatti al dirigenti dello Sporting di sospendere il pagamento del suo stipendio tramite transazioni bancarie, perché non voleva che si speculasse sul suo denaro, poi pregò i dirigenti di poter restituire l’automobile che il club gli aveva regalato, in quanto lui ne possedeva già una. “non posso accettare l’idea di avere due auto quando ci sono amici miei che non possono permettersene una” aveva dichiarato ad un giornalista spagnolo che gli chiedeva le motivazioni del suo gesto. interessanti e degne di nota sono le sue dichiarazioni che ci fanno comprendere come il suo gesto sia stato ponderato e motivato e non un semplice colpo di testa di un giovane calciatore. “da quando iniziamo a dare i primi calci veniamo trattati come bestie: ci TRIBUNA

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istigano alla competizione e quando si raggiunge una certa età è difficile tornare indietro. finché la gente continua ad accettare il sistema così com’è, non sarà facile cambiare le cose.” aveva dichiarato riguardo al mondo del calcio giovanile. “io dico che Pelé, Ronaldinho e Messi sono ambasciatori dell’Unicef e questo per l’immagine può andare. Ma per incidere sulla vita reale di quelle persone che dicono di voler aiutare, devono fare altro. devono muoversi in altro modo, essere coinvolti più profondamente. ma quelli che mi sorprendono di più sono i giocatori che provengono dai paesi del terzo mondo. è incredibile: la maggior parte arrivano da paesi che soffrono, poi vengono qui, guadagnano quattro dollari e si credono re”. qui, credo, non ci sia davvero niente da aggiungere, se non essere pienamente d’accordo con lui. in Italia c’è stato chi, per amore della propria squadra e dei proprio tifosi è arrivato a ridursi notevolmente il proprio ingaggio pur di tornare a vestire la casacca che aveva sempre amato, rinunciando alle sterline britanniche e chi pur avendo scritto un libro in cui diceva di rinunciare “al miliardo“ ...è corso in tutta fretta alla corte di De Laurentiis. differenti esempi di coerenza!

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Giorgio Acerbis

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il vecchio muretto

la trasferta con il pigiama di flanella celeste. la piccola storia che racconterò ai più potrà sembrare inverosimile, fantasiosa e paradossale, ma vi posso assicurare che è un fatto accaduto realmente e che, forse,addirittura ,nonostante ce la metterò tutta, non riuscirò a far capire il divertimento e l’atmosfera di quel giorno. era una domenica di primavera del campionato 71/72. la nostra Lazio navigava in serie “B” dopo la retrocessione dell’anno precedente. noi nonostante tutto eravamo lì per sostenerla con sempre più ardore e amore, sperando in un rapido ritorno in serie ”A”. il cie-

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lo era grigio ma alle ore 8.30, a Piazza San Giovanni di Dio, eravamo tutti puntuali per la partenza dell’ennesima trasferta. tutti meno uno ...Fabrizio. l’attesa ormai si prolungava già da quasi un’ora. che fare? lasciare a casa uno di noi? dopo un breve conciliabolo decidemmo di andare a cercare il ritardatario a casa. “hey sveglia …sei ancora a letto? guarda che te lasciamo”. giungemmo in massa a casa sua, con somma gioia dei suoi genitori(!)lo trovammo avvolto tra le coperte con un elegantissimo (!) pigiamino di flanella celeste a righe bianche. lo scuotevamo, gli facevamo il solletico ma lui niente. lo svegliammo a forza, cioè riuscimmo a metterlo in piedi. due di noi ,i più refrattari alle varie puzze, riuscirono ad infilargli i calzini del giorno precedente e le scarpe, mentre io ero pronto ad infilargli un’impermeabile lungo fino alle caviglie, era la moda dell’epoca, sul suo caldo pigiamino. finalmente, dopo esserci ripetutamente scu-

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il vecchio muretto sati dell’irruzione con i suoi genitori ed aver garantito loro la nostra massima attenzione e saggezza nell’affrontare il viaggio e la partita, all’epoca un genitore non ti faceva uscire di casa senza il fatidico “...mi raccomando...”,riuscimmo a partire. la tabella di marcia prevedeva una velocità costante di 80Km orari, se si fossero superati la mia Fiat 850, detta bruschetta, mi avrebbe abbandonato in una nuvola di fumo, ed anche una sosta ogni ora. la nostra marcia di avvicinamento fu di un divertimento clamoroso, nonostante i limiti che ci eravamo imposti. tra lazzi e prese in giro nei confronti del ritardatario, che sosteneva di aver fatto tardi a causa di una clamorosa avventura galante, avuta la notte precedente, con una matura signora benestante, racconto al quale nessuno credeva neanche un po’, arrivammo nei pressi della città che ospitava la partita. ci mettemmo subito alla ricerca di un posto dove mettere qualcosa sotto i denti e ci

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imbattemmo in una specie di trattoria/pensione a conduzione famigliare antesignano degli odierni agriturismo. qui successe di tutto. i proprietari, oggi dico poveretti, erano tre persone anzianotte che quel giorno, del tutto impreparate, videro invadere il loro locale da una masnada di ragazzotti, non c’eravamo solo noi, estremamente vivaci. c’era chi, davanti al caminetto, si cucinava da solo salsicce e bistecche, c’era chi dietro al bancone del bar, tranquillamente preparava il caffé per tutti e c’era chi, come il nostro amico Fabrizio, che sentitosi privato delle sue consuete abluzioni mattutine, si era impossessato di una delle stanze a disposizione degli ospiti. che fece nella stanza non è dato a sapere ma noi lo rivedemmo scendere dalle scale sbarbato e tirato a lucido con una elegantissima giacca da camera, rimediata chi sa dove, di un blu profondo con la classica cintura munita di pendagli che gli copriva il suo pigiamino celeste. sembrava

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il vecchio muretto un nobile pensionato che scendeva per il pranzo. e li il divertimento raggiunse il suo apice. sembrava davvero Wanda Osiris. finito il pranzo (!?), prima che la cosa degenerasse e creasse seri problemi, dopo aver parlato con tutti gli altri, all’epoca avevamo un certo ascendente con i ragazzi di curva, cercammo di riparare, almeno parzialmente, a tutto il caos che avevamo creato, facendo pagare tutti, o quasi, almeno parzialmente quello che avevamo consumato. Io pagai 4 caffé. ed eccoci allo stadio. il vecchio, fatiscente e decrepito S.Giuliana, con bagni ecologici all’aperto vista prato e servizi di ogni tipo sfruttabili appieno dagli spettatori. e qui entra in scena lui: l’unico,imprescindibile Goffredo detto il tassinaro che sbagliando curva insieme ad un manipolo di fedelissimi già aveva avuto il tempo di scambiare vivacemente idee con i tifosi avversari.lo sapete cosa fece per riunirsi al grosso dei tifosi? semplice, scavalcò dal suo settore insieme ad alTRIBUNA

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tri e via campo di gioco venne nel nostro settore inseguito invano dai pochi celerini e carabinieri presenti. uno spettacolo di ilarità. una improponibile gara tra panciuti. la Lazio quella partita la perse ma tornò ugualmente in serie A ciò nonostante una trasferta così non si può dimenticare. e Fabrizio... così come la mattina fu prelevato nel suo letto, così all’arrivo a Roma fu di nuovo depositato davanti alla porta della sua casa e chissà, forse,andò direttamente a dormire.

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Gino Ceccarelli

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calcio d’angolo

happy days, happy hammer. Cass Pennant ha scritto queste note per il nostro sito. abbiamo deciso di lasciarle in inglese, per coinvolgervi ancora di più nel suo recarsi nello stadio.

bing a program and fanzine on my way to the M&M or Central or slipping up the back to the working men’s, nod here and a nod there, people you knew were West Ham on the aways that said the club was about it’s football people not running tracks, a stadia underfull and lacking atmosphere. happy days, happy hammer.

Cass Pennant

the longest walk was and still is Green Street (ask Millwall). the new stadium is about being an 02, about concents and rent from Pizza Express etc than the home of football, its more Hackney than Stratford, rather my trainers walk down past the market, past the roar of the Queens, to the gates of that impressive looking main stadium, left into castle street for the supporters club or walk on to t…he noisey Boleyn, walking on past the queues of the pie and mash, grab-

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moviola

aspettando Fiorentina-Lazio. era il 2 maggio 1976. il mattino mio padre mi dice, dai che oggi ti riporto allo stadio. c’era la Lazio, uno squadrone anche se quell’anno arrancava, come noi del resto. ma era sempre la grande Lazio di Maestrelli, quella concentrazione di follia e talento che ha lasciato una traccia indelebile nella storia del calcio, non solo italiano. non lo dico per far piacere agli amici/rivali del Sodalizio. anzi,ricordo bene le parole di mio padre: “oggi vedrai dei campioni affermati e altri che lo diventeranno”. per me vedere live Martini, Wilson, Garlaschelli e soprattutto il povero e incredibile Re Cecconi era un’occasione imperdibile. noi avevamo l’eterno Antognoni e poi gente come Merlo e Caso (poi biancoceleste). un calcio magari sporco come quello di adesso (non mi faccio illusioni sull’età aurea del calcio) ma senz’altro più appassionante e partecipato di questa brutta copia di oggi. mi ricordo che non andammo in Curva ma in Maratona, proprio per vedere meglio. la cosa che ancora oggi non dimentico è il mare viola ribollente che era la Fiesole alla mia sinistra e il cielo biancoceleste che stava in Ferrovia alla mia destra. tanti erano i Laziali che avevano accompagnato i loro beniamini in difficoltà a Firen-

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ze. tifo alle stelle, vecchia maniera, ma trascinante e spettacolare,da entrambe le parti. fu una girandola di emozioni. ci bucò quasi subito Giordano per la gioia delle migliaia di laziali assiepati in Ferrovia (e qualcuno stava pure in Maratona), poi pareggio di Caso e verso la fine del primo tempo una sfortunata autorete di Martini. A riposo 2 a 1 per noi. inizia il secondo tempo e quella spina nel fianco di Garlaschelli ristabilisce la parità. ecco che la Fiesole, dopo il pareggio biancoceleste, sciorinò una prestazione indimenticabile,una bolgia assoluta alla quale rispondevano i laziali.i decibel si sprecavano da una parte e dall’altra. un rigore (sacrosanto) di Desolati ci portò in vantaggio. poi Mimmo Caso siglò la sua doppietta personale,sembrava il trionfo ormai in discesa.ma era gioia effimera. a una decina di minuti dalla fine D’Amico, giovanissimo e speranza del calcio italiano oltre che di quello capitolino, accorciò su rigore (generoso ...eh eh). fu un patema fino alla fine.il boato di liberazione del nostro pubblico alla fine della partita coprì la delusione laziale.io, che non avevo manco 9 anni, rimasi estasiato dal pubblico di entrambe le parti.il risultato era importante, ma mai come la passione genuina della gente. di quell’epoca mi ricordo bene l’entusiasmo trascinante dei vicentini e degli avellinesi e la presenza piccola (rispetto ai futuri anni ’80 dove venivano a milioni) ma rumorosissima dei romanisti. ricordi.naturalmente mi auguro che il prossimo confronto tra noi e la Lazio termini con lo stesso fausto epilogo di allora!

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Alessandro Rabbiosi

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moviola

quell’ultimo goal Calloni è rimasto famoso per i gol sbagliati (alcuni dei quali francamente incredibili), eppure nei primi due anni in rossonero non era andato affatto male, mettendo a segno rispettivamente 11 e 13 gol in campionato, questo giovanotto che arrivò al Milan come risarcimento del presidente interista Ivanoe Fraizzoli che soffiò (meno male) Giacomo Libera al Milan. poi, con l’arrivo di Pippo Marchioro, il centravanti varesino, tutto grinta e cuore, cominciò progressivamente a perdere la fiducia nei propri mezzi e neanche il Barone Nils Liedholm riuscì a risollevarlo, cosicché venne dirottaTRIBUNA

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to a Verona. qui, nella stagione 1978-79, quella della “Stella”, alla quartultima giornata di campionato, segnò un gol contro i suoi ex compagni, mettendosi subito le mani nei capelli e chiedendo poi scusa alla fine; per fortuna che prima Rivera e poi Novellino riuscirono a ribaltare il risultato. nel luglio 1999, in occasione della celebrazione del “CentoMilan” ha partecipato (un po’ appesantito, in verità) ad un incontro tra Vecchie Glorie Rossonere (a cui, naturalmente, ero presente), segnando un gol a Giovanni Galli, andando a raccogliere come ai vecchi tempi, con l’indice alzato, l’ovazione di San Siro che, in fondo, lo ha sempre amato.

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Colombo Labate Maglia Rossonera

Old Style Ultras Casciavìt!

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a fil di palo

quel filo d’oro. questa foto potrebbe essere il fotogramma iniziale, o forse quello finale. di una storia (apparentemente) delimitata da due anni: il 1971 ed il 1976; solo apparentemente ma non nei fatti, avendo strascichi, spesso anche tragici, che invece arrivano fino ad oggi. di una storia meravigliosamente bella e spaventosamente maledetta, di una storia che tutti noi vorremmo fosse un film. da vedere e rivedere, da mostrare ai propri figli, col quale proporsi agli appassionati di calcio e dire: “questi erano, ed anche per questo siamo Laziali”. chi di noi, da tifoso del calcio, non si è esaltato nel vedere films come “Fever Pitch”, “The Damned United”, o, per i più grandicelli, “Il profeta del

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goal”. e chi noi Laziali non vede come dannatamente cinematografica la nostra storia, dalla nascita dell’”Idea Lazio” nel 1900, passando per periodi più o meno grigi o luminosi, fino ai picchi dello scudetto strappato al potere nel 2000 ed ovviamente, dell’epopea della “Lazio Maestrelli”. chi di noi non ha pensato almeno una volta che sarebbe bellissimo avere un film su quella Lazio povera ma bellissima di papà Lenzini. questa foto potrebbe rappresentare l’inizio o la fine di questo ipotetico film, la signora Gina Ciaschini (la “sora Gina”) con in mano quella maglia dove lei stessa ha cucito lo scudetto, con il filo color oro. (nota: nella foto anche Ivana Manieri e Domizio Caravita) quello scudetto che è, se non la fine, l’apice della “Lazio Maestrelli”, al pari dell’altro scudetto vinto dal Maestro: la salvezza del ’76, col suo meraviglioso, purtroppo effimero, ritorno alla vita. questa foto, statica, sarebbe di contrasto con lo svilupparsi fre-

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a fil di palo netico delle immagini di quella storia, fatte si di partite, ma anche di discoteche, di risse, del fango del Tor di Quinto, dei gemelli che scorazzano, dei lampioni dell’Americana, di Jaguar e whisky, di complicità e rivalità, del tabellone del vecchio Olimpico, degli abbracci, quasi subìti, dal Maestro, in quel Lazio-Foggia. tutto a mille. A mille come il gioco di quella meravigliosa Lazio. anche modesti sceneggiatori e registi avrebbero gioco facile con questa storia per le mani. ed allora ci penso. Ci sarebbero eccessi, stravolgimenti. correremmo il rischio di incappare in una qualche pseudo-fiction, con autori che magari leggendo qualche libro e con qualche consulenza quà e là infarcirebbero il film di spezzoni di partite, alternandoli ai “fascisti”, alle “pistole”, al “Jackie’O” ed anche un tema sacro e da rispettare come la malattia di Tommaso. qualche attore emergente (magari pure “degli altri”) e qualche comparsata di vecchie glorie che si potrebbero prestare alTRIBUNA

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l’operazione, la fin troppo inflazionata musica anni ’70 di sottofondo... et volià: una rivisitazione pallonara di “Romanzo Criminale”, che tanto piace ai pischelli quindicenni e quarantenni. ed allora ci penso, perché è così che andrebbe, a meno che non si credi una sorta di “Garante Biancoceleste” che vigili su tutto ciò che è divulgazione, è racconto, di “Lazio” (...pura utopia). allora ci penso bene ed invece che uno, forse è meglio averne ognuno il proprio, di film, su quei leggendari uomini in biancoceleste guidati da quel Signore con la giacca a quadri. per non spezzare quel filo d’oro che ha cucito quello scudetto sulla pelle di tutti noi. un titolo per questo modesto pezzo: “quel filo d’oro”.

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Fabrizio “Laurentino”

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la palla

il colosseo. quante volte passiamo sotto la grandiosa mole del Colosseo, indaffarati, di corsa, senza degnarlo mai di uno sguardo: ormai si confonde tra le auto, i bus, il traffico. è diventato invisibile ai nostri occhi. eppure è una delle sette meraviglie del mondo antico ed una leggenda dice che “quando cadrà il Colosseo cadrà Roma ma quando cadrà Roma finirà il mondo”. il Colosseo, o per essere esatti “Anfiteatro Flavio” fu iniziato da Vespasiano nel 72 d.c. ed inaugurato dal figlio Tito nell’80 d.c., quindi in soli otto anni, con feste che, si dice, durarono 100 giorni, combattimenti di gladiatori e l’uccisione di 5000 animali. è chiamato

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Colosseo dalla statua bronzea colossale di Nerone eretta nelle vicinanze: infatti a pochi passi c’è la Domus Aurea; le sue misure sono 527 m. di circonferenza, 57 m.di altezza, il grande asse 188 m. ed il piccolo 156 m. fu utilizzato per i giochi gladiatori fino al 405 d.c. ma, nonostante le leggende non fu mai luogo di martirio per i cristiani, venne distrutto da vari terremoti e usato come cava di travertino per costruire palazzo Venezia, il palazzo della Cancelleria, il porto di Ripetta ed anche S. Pietro. Era rivestito con lastre di travertino unite da ganci di ferro che vennero strappati per poter utilizzare il marmo: infatti sono ancora visibili i fori. si dice che quando gli americani entrarono in Roma, alcuni (sicuramente non molto ferrati in storia antica) pensassero che fossero buchi causati dai proiettili! sembra che potesse contenere 50.000 spettatore e, come ancora si vede, è formato da tre anelli sovrapposti ad arcate con colonne

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la palla in stile dorico, ionico e corinzio mentre il quarto anello superiore è senza arcate ed a muro pieno. Sotto le arcate del secondo e terzo anello c’erano delle statue mentre sul quarto esistevano delle travi che reggevano il “Velarium” cioè la copertura dello stadio per riparare gli spettatori dal sole. Per questa manovra veniva impiegato un distaccamento di marinai di stanza a Miseno che avevano le caserme poco distanti. l’entrata era gratuita ma agli spettatori veniva data una tessera con cui si entrava negli 80 ingressi ed ognuna delle entrate era numerata (due sono ancora visibili) tranne quelle che erano adibite ad ingresso principale. i posti erano divisi in settori: l’ultimo in legno per il popolo, gli altri con sedili in marmo per le altre classi cioè i magistrati (consoli, pretori, censori...), i cavalieri, le vestali, i collegi sacerdotali, i senatori ed il più lussuoso, naturalmente, per l’imperatore, familiari ed amici: la destinazione

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dei posti era incisa sui gradini, infatti ancora è conservato qualche blocco con inciso per esteso i nomi dei senatori . la suddivisione era talmente ben studiata che, si dice, l’anfiteatro potesse essere evacuato in 5 minuti: credo che oggi fra tornelli e cancelli siamo ben lontani da questi tempi. adesso dovremmo occuparci dei giochi che si tenevano all’interno dell’arena ma, come dice Lucarelli, “questa è un’altra storia” e, se non vi siete annoiati, ne parleremo nel prossimo articolo.

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Paola Bracci

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ASSOCIAZIONE CULTURALE SPORTIVA SODALIZIO BIANCOCELESTE

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VECCHI SPALTI VIA ROMA DI POGGIO MIRTETO, 21

...e... STADIO “OLIMPICO” di ROMA - TRIBUNA TEVERE


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