REVERSE | Booklet

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re-verse

proposte per il consolidamento della frangia periurbana di Quito LAUREANDI Lorenzo Balugani Dario Caruso RELATRICE Etra Occhialini CORRELATORI Dora Arizaga Guzmán Romeo Farinella

Tesi di Laurea A.A 2016-2017 Università degli Studi di Ferrara. Laurea Magistrale in Architettura




I N D I C E 00. ABSTRACT

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01. PREMESSE 1.1 L’interfaccia periurbana 1.2 Quali soggetti per un nuovo welfare? 1.3 Tracciare il con ne 1.4 Perchè Quito? Premesse sulla parroquia rural de Calderón

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02. CONTESTO 2.1 A proposito dell’Ecuador - Il processo urbano in Ecuador - Le riforme agrarie del ‘64 e ‘73 - Politiche edilizie di interesse sociale e il en Vivir

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2.2 A proposito di Quito - San Francisco de Quito - Nord e Sud, due realtà a confronto - Quito negli anni

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2.3 I Piani - Il primo piano regolatore: Plan Jones Odriozola 1924 - 44 - Plan General Urbano de Quito 1967 - Piano dell’area metropolitana di Quito 1973 - Il piano micro-regionale del 1981, esquema director - Strutturazione del DMQ: 1993 - Plan General de Desarollo Territorial 2000 - 2020 2.4 Il Distretto Metropolitano di Quito - Divisione amministrativa e demogra a - Espansione urbana e disponibilità di suolo non costruito

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03. ... ENTRANDO A CALDERÓN 3.1 Introduzione a Calderón - Diario di bordo [parte 1]

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3.2 Alcuni cenni storici

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3.3 Calderón oggi - Il Governo Autonomo Decentralizzato (G.A.D) - Cenni generali sull’economia - Caratteri della crescita - Diario di bordo [parte 2]: Orientarsi a Calderón

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3.4 La casa come eterotopia negativa

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3.5 I Piani - Visione della parroquia - Analisi S.W.O.T - Diario di bordo [parte 3]

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04. MARIANA DE JESUS

4.1 Un quartiere tra i quartieri - Perchè Mariana? 4.2 Con ni, percorsi e spazio pubblico 4.3 Tipologie edilizie 4.4 Le barriere 4.5 Tessuti e lotti 4.6 Conversazioni - A pranzo con Julio - Il workshop - Il questionario

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170 174 176 188 196 200 210 216 225

05. LA STRATEGIA 5.1 Reconectar 5.2 Reinterpretar 5.3 Reverse

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06. RE-VERSE

6.1 Premesse al progetto 6.2 Reconectar Riconnessione dei tessuti Completamento dei percorsi Creazione di isolati Penetrazione del tessuto Riconnessione degli spazi pubblici Eterogeneità del percorso Incremento dello spazio di sosta

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6.3 Reinterpretar Il muro Il conjunto

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6.4 Reverse Inserire nuovi corpi urbani Potenziamento dei servizi carenti Partire dalle necessità

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6.5 Riferimenti progettuali

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07. CONCLUSIONI

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08. NOTE E BIBLIOGRAFIA

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09. ALLEGATI

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10. RINGRAZIAMENTI

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11. ELABORATI GRAFICI

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abstract



ABSTRACT La frangia periurbana delle città rappresenta oggi il conteso con ne lungo il quale si anima il rapido processo di urbanizzazione della metropoli contemporanea, specie nel Sud Globale. Si tratta, il più delle volte, di un con ne confuso e dinamico, di un inter-mondo a metà tra il territorio rurale e quello urbano, dove l’aspetto quantitativo della crescita pone importanti questioni che trascendono il problema sico ed infrastrutturale e vanno ad interessare quello qualitativo e sociale. Tra le più evidenti s de che questi nuovi territori pongono, oltre a quelli legati alla sostenibilità, all’occupazione del suolo e via dicendo, emerge infatti quella di un nuovo spazio sociale. Un aspetto questo della transizione assai più rapido e profondo di quello sicamente osservabile e conseguenza diretta della produzione di paesaggi e spazi privi di caratteri distintivi, d’identità, di un generale senso di radicamento e di appartenenza.

Il presente lavoro di ricerca si pone come obiettivo quello di analizzare e ripensare alcuni aspetti di questo fenomeno per la regione settentrionale della città di Quito e, più in particolare, per la parroquia rural de Calderón, una delle regioni a maggior tasso di crescita dell’Ecuador. Particolare intento di questa ricerca sarà quello di concentrarsi sull’aspetto sociale del problema peri-urbano e sui temi più tipologici ad esso direttamente associabili. La strategia proposta elabora soluzioni di piccola scala per l’ampiamento della super cie di spazio pubblico, la creazione di nuovi servizi di quartiere e la realizzazione di un percorso che, attraversando l’area, riordini la percezione dello spazio quotidiano, che ad oggi risulta fortemente compromessa dalla crescita dispersiva e dalla mancanza di elementi qualitativi di riferimento.

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premesse




1.1 L’interfaccia periurbana In generale con la parola “periurbanizzazione” si possono de nire quell’insieme di processi di crescita urbana dispersiva e scomposta tipici dei territori metropolitani con la tendenza a produrre “paesaggi” ibridi, talvolta ambigui, spesso frammentati o disorganizzati tra la città ed il territorio rurale in una creazione di contesti complessi dal punto di vista sociale e della sostenibilità. Questa breve de nizione tuttavia potrebbe indurre a sovrapporre il problema del peri-urbano a quello più noto dello “sprawl” o della periferia dispersa, con la quale effettivamente condivide alcuni tratti , ma che al contempo non sostituisce. Cosa li distingue, quindi? Innanzitutto con peri-urbano ci riferiamo ad ambienti di bordo di metropoli soggette ad alti tassi di crescita demogra ca estremamente dinamici, spesso carenti dell’infrastruttura di base (che sia essa sica o dei servizi) e di una 20


identità urbana matura. Un ambiente di transizione quindi tra mondo rurale e mondo urbano che Carter, nel 1981, de nisce così: [1] “[The peri-urban interface] is that space into which town extends as the process of dispersion operates… an area with distinctive characteristics which is only partly assimilated into the growing urban complex, which is still partly rural and where many of the residents live in the country but are not socially and economically part of it.”

Territori quindi il più delle volte non consolidati dal punto di vista storico e che ricostruiscono la propria identità in funzione di una vicina realtà economico- urbana di considerevoli dimensioni. Se da un lato con periferia ci riferiamo infatti ad un ambiente sì marginale, ma urbano; nel caso del peri-urbano bisognerebbe parlare piuttosto di un’area in cui la transizione tra ruralità e urbanità, per quanto rapida, non è stata immediata. Un’area, pertanto, soggetta ad un cambio della propria economia di base ed in cui un ruolo chiave viene ancora giocato dal processo di conversio-

ne dell’uso del suolo e dalle dinamiche speculative ad esso associate. Altro elemento caratteristico del peri-urbano è costituito dalla sua eterogenea modalità di crescita. In questo spazio di bordo va a concentrarsi infatti, oltre ad una parte di popolazione urbana in cerca di un mercato residenziale più accessibile, una gran parte di migranti rurali per via delle maggiori opportunità economiche che la vicinanza alla città offre. Processo questo che avviene, il più delle volte, in parallelo ad una progressiva “fagocitazione” di realtà limitrofe autonome da parte della città. In ne come ultimo elemento-chiave per una distinzione introduttiva potremmo considerare la sua intrinseca natura di membrana, di luogo strategico di interazione e di frontiera: una frontiera, spesso istituzionalmente vaga, oltre la quale inizia il cosiddetto “spazio aperto”.

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Seguendo quanto proposto dal centro di ricerca per lo Strategic Environmental Planning and Management for the Peri-urban Interface dell’University College of London, potremmo distinguere tre prospettive storiche differenti dalle quali partire per un’analisi del periurbano. Un primo approccio, privilegiato dalla scuola americana (Andrews, 1942; Thomas, 1974 ed altri) si è concentrato essenzialmente sull’analisi e la de nizione di queste aree di con ne da un punto di vista morfologico-funzionale, focalizzandosi sullo studio di indicatori come la densità o l’uso del suolo. Questo tipo di indagine ha portato chiaramente ad una distinzione estrema in tipologie ed alla coniazione di termini come satellites, pseudo satellites, inner and outer urban fringes, rural-urban areas o rural non farm areas, a seconda di ciò che gli usi predominanti del suolo sembravano suggerire.

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Pryor (1968), ad esempio, de nisce come rururban periphery quel territorio caratterizzato da una bassa densità di popolazione e un’alta percentuale di suolo inedi cato o agricolo con tendenze, lente ma presenti, alla conversione degli usi verso modelli urbani. D’altra parte, con approcci teorici differenti (Pahl, 1968), si è preferita una de nizione della frangia periurbana come il risultato di particolari processi sociali, connessi a fenomeni di migrazione delle famiglie appartenenti alla classe media-emergente, orientate dalla necessità o dal desiderio di vivere in città. [2] A new population is invading local communities, bringing in national values and class consciousness at the same time that a new type of community, associated with dispersed living is emerging (Pahl, 1965)

La terza prospettiva, già prima accennata, considera inne l’interfaccia peri-urbana come luogo d’intersezione di ussi tra il mondo rurale e 24

quello urbano. Flussi di beni, di materie prime, di manodopera. Esiste tuttavia una quarta prospettiva importante da considerare nella lettura di questo fenomeno, ossia una prospettiva spazio-temporale. Partendo dalla considerazione infatti che “as cities in developing countries continue to grow, the periurban area moves outward in waves” [3], si evidenzia la possibilità di una distinzione in stadi della peri-urbanizzazione, così denita come moto. Esistono infatti più gradi di questo fenomeno da considerare, diverse frequenze d’onda, frange più consolidate di altre e tuttavia ancora distinte dalle “periferie”, nonché differenti “emergenze” sociali. Saper esplicitare questa distinzione è fondamentale non solo perché permette di enfatizzare l’analisi del peri-urbano come processo da inserire in orizzonti politici gestibili, ma altrettanto perché ri uta la lettura della città come “indifferenziato spa-


ziale” , a cui rispondere con strategie di sviluppo e di welfare universali. Una rinuncia consapevole della necessità di “una città per tutti”, certo, ma al contempo cosciente di doverla perseguire in una sintesi del passato, ossia tra il razionalismo della società borghese ed il costruttivismo di quella comunista. Sapendo, quindi, di dover ricostruire una politica di welfare universale per un mondo in cui l’elemento costituente è diventato il policentrismo metropolitano.

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1.2 Quali soggetti per un nuovo welfare? Nel 1787 il losofo Jeremy Bentham teorizza il Panopticon, un dispositivo di controllo sociale il cui successo è testimoniato dalle centinaia di carceri, ospedali, collegi (e via dicendo) che, tra il XVIII ed il XXI secolo, ne adottarono e perfezionarono la struttura per aumentare la propria ef cienza.

un sistema chiuso e, no alla prima metà del secolo scorso, rappresentava alla perfezione anche l’idea di società e di città modello. Il principio su cui entrambe si fondano infatti è quello di un’esclusività del potere perché “riducendo il numero di quelli che lo esercitano, moltiplicano al contempo il numero di quelli sui quali lo si esercita”. [5]

[4] Alla periferia una costruzione ad anello; al centro una torre tagliata da larghe nestre che si aprono verso la faccia interna dell’anello; la costruzione periferica è divisa in celle, che occupano ciascuna tutto lo spessore della costruzione; esse hanno due nestre, una verso l’interno corrispondente alla nestra della torre; l’altra, verso l’esterno, permette alla luce di attraversare la cella da parte a parte. Ciascuno, al suo posto, rinchiuso in una cella, è visto in faccia dal sorvegliante; ma i muri laterali gli impediscono di entrare in contatto coi compagni.

La metropoli, sistema aperto per eccellenza, è tuttavia l’esempio più lampante di come la contemporaneità sia rapidamente sfuggita alle capacità dei sistemi panoptici di gestire e piani care la società. L’elemento di questa crisi è da ricercarsi in due momenti. In un fatto dimensionale in primo luogo, riguardante la portata della crescita della popolazione urbana negli ultimi cinquant’anni.

Metafora principe del razionalismo borghese, il Panopticon è una macchina quasi-perfetta che permette di ridurre al minimo le spese per la gestione ed il controllo di

L’ef cacia della macchina di Bentham infatti non è data unicamente in ragione della sua struttura o dal rapporto tra le sue parti, ma è altrettanto vincolata ad una

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natura rigida, scarsamente adattabile, la cui staticità è garantita solo entro certe dimensioni. Dimensioni che la società urbana contemporanea sta superando ogni giorno. Secondariamente, la crisi non può non considerarsi legata alla sempre più complessa attività di tracciare un conne, quella “linea arti ciale che fa di una moltitudine un popolo ordinato” [6] e che costituisce il principio stesso della società moderna. “Lo Stato è un recinto, un uomo che non è uomo, ma una silhouette, un perimetro, un con ne chiuso in forma di gura, la cui super cie interna è composta da tanti uomini che lo ssano in volto”. [7]

Ciò che da questa crisi emerge per l’urbanistica non è quindi semplicemenre solo un problema di strumenti. In un contesto in cui i governi metropolitani, per quanto decentrino, non riescono più a gestire la città, a prevedere le ricadute delle politiche urbane e a soddisfare le necessità di nuovi spazi sociali, 30

si pro la la necessità di un riposizionamento teorico della disciplina. Un cambiamento che nella piani cazione è già avvenuto formalmente da decenni, ma che spesso fatica ad approfondirsi e a produrre una percepibile inversione di rotta nel modo in cui governiamo le nostre città, specie nel Sud Globale. Parliamo quindi di agopuntura urbana, di piani cazione tattica e di piani strategici, ma ciò che davvero bisognerebbe chiedersi è quale sia il soggetto sociale emergente da questo nascente mondo metropolitano e come coinvolgerlo nella produzione di un nuovo welfare. Come, in sostanza, ricostruire una politica della piani cazione meno monarchica per il futuro della città. La scelta del periurbano come tema di ricerca, in questa direzione, non è casuale: alla base di questo tipo di fenomeno, come già accennato, emerge infatti un problema di gestione del margine delle grandi aree metropolitane.


Nel continuo inseguire questa crescita, una corsa senza tregua, il rischio è quello infatti di cedere qua e là a politiche pubbliche omologanti e sempli cate, di “messa in sicurezza”, dove la visione comune non diventa altro che il risultato del concatenamento di operazioni necessarie e non di decisioni speci che. Il prodotto di questo processo è però una città disordinata ed inconsapevole. La “soluzione” che spesso si prospetta, per tutte quelle zone d’ombra che il panoptismo non riesce più ad illuminare, potremmo collocarla a metà tra quelli che Lefebvre chiama “ordine prossimo” e “ordine remoto” , ossia tra gli individui ed i gruppi e lo Stato (in questo caso il governo metropolitano. Operativamente parliamo quindi di incentivare processi partecipativi dal basso, in grado di consolidare e costruire comunità creative come nuovo soggetto di potere. Parliamo quindi di tattiche per una maggiore, ma anche differente partecipazione della società civi-

le in comunità allo sviluppo urbano. Comunità, in questo caso, come strumento principe di ricostruzione identitaria e di controllo del territorio in un mondo urbano in crescita sempre più orientato dalla necessità di risolvere un problema piuttosto che dal desiderio di costruire una visione. Comunità, per Mourier, come persona di persone, non come somma di individui e che Emanuele Sgroi denisce “fratricentriche” : Il lavoro con le comunità non è solo (corsivo nostro) un modo per coprire o ridurre l’impossibilità da parte del sistema dei servizi di risolvere tutti i bisogni dei singoli e della collettività, bensì una nuova modalità, una nuova strategia per de nire e attivare una nuova politica sociale che crede in “comunità competenti”, ricche di risorse e luoghi ideali per l’esplicitarsi di forme differenziate di solidarietà. Questo tipo di lavoro, lontano quindi dall’essere puro decentramento o “appalto”, è anzitutto un’attività di ricamo sociale in un contesto in 31


cui la condivisione dell’urbano è sempre più debole ed incerta ed in cui il “problema dell’inclusione/esclusione taglia trasversalmente tutto il tessuto sociale”. [8] Presupposto fondamentale di questa ricerca sta pertanto nella consapevolezza che la dimensione spaziale della città, specie in contesti in cui ancora va formandosi, è socialmente prodotta no al punto che, come sottolinea Melvin Webber: “A urban realm is neither urban sttlement nor territory, but heterogeneous groups of people communicating with each other through space”

Esiste talvolta la possibilità, e questo è il caso di Calderón, in cui lo spazio urbano trasmette in modo chiaro la sensazione che questo dialogo sia interrotto, o che non abbia mai avuto inizio. Veniamo pertanto alle ultime considerazioni a premessa di questo lavoro, ossia sulla dimensione relazionale della città e sugli ostacoli che questa incontra in aree a forte espansione. 32


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1.3 Tracciare il con ne Le s de che il contesto periurbano oggi pone alla piani cazione sono molteplici e complesse. Generalizzando si presentano due grosse categorie di problemi: quelli strettamente legati al dato sico di questo fenomeno e quelli di matrice socio-culturale. Alla prima categoria appartengono tutte le questioni circa l’uso del suolo, la sostenibilità ambientale, la sicurezza idrogeologica, l’inquinamento, la distruzione o la trasformazione di ecosistemi e paesaggi, la conservazione del patrimonio, l’informalità urbana; mentre alla seconda possiamo ascrivere quanto riguarda la perdita d’ identità dei territori, l’abbandono di modelli e stili di vita tradizionali e, più in generale, l’assottigliarsi di una cultura alternativa a quella metropolitana e urbana postmoderna. Si tratta, com’è chiaro, di due facce della stessa medaglia che intrattengono tra loro rapporti di causa-effetto. 36


Uno degli esempi più noti ed evidenti è quello dell’abbandono dei villaggi e dei piccoli insediamenti rurali (discorso valido dai paesi dell’Appennino italiano ai pueblos andini) o della loro assimilazione in contesti urbani o economici più ampi (es. turisticizzazione). Il villaggio, tralasciando il sentimento pittoresco evocato dal termine, rappresenta uno strumento di controllo e di tutela del territorio, oltre che un’identità culturale. Lo spopolamento di queste aree o la loro assimilazione al mondo urbano, in questo senso, porta ad un problema pertanto che è sia culturale che territoriale e costituisce una grave minaccia per tutto ciò che chiamiamo patrimonio a vario titolo (ambientale come culturale, materiale come immateriale). Nel caso più assimilabile al nostro tema di ricerca, su territori quindi precedentemente rurali ed oggi inglobati in un sistema metropolitano, la questione assume un’aspetto lievemente differente nella forma ma simile nella

sostanza: perdita di identità. Come già detto perdita di identità, non signi ca solo e semplicemente la distruzione dell’aspetto formale o della dimensione materiale che una data cultura ha prodotto su un territorio (architettonico, paesaggistico, ambientale), ma altrettanto la graduale rinuncia a certi stili di vita e a modelli relazionali che, un tempo, strutturavano la quotidianità delle realtà rurali. In termini concreti questo si può tradurre nella trasformazione di paesi in tessuti urbani di connessione privi di identità, di servizi, di ricordi, di luoghi o circostanze che siano comuni a diverse generazioni. Luoghi dove, come già detto, è sempre più dif cile sperimentare una condivisione dell’urbano. Il nostro giudizio, ad ogni modo, non può e non vuole essere lapidario. Ci si deve rendere conto, senza disperarsi, che il modello di vita dominante per il futuro è un modello urbano prodotto da una società che, a tutti gli effetti, è già oggi urbana.

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Ciò che serve tuttavia è che questa società resti umana, che non “perda il senso dell’opera” e che comprenda che la maturazione di una coscienza adulta del vincolo comunitario è necessaria, strutturale, indelegabile e tuttavia un mezzo e mai solo un ne. Per creare dinamiche di questo tipo, tuttavia, è necessario saper tracciare con ni positivi. Con ni democratici, permeabili, includenti, ma non per questo incapaci di escludere e de nire. Con ni che ricostruiscano la percezione di necessità e desideri comuni, dai quali partire per la creazione di nuovi percorsi di condivisione localistici. Percorsi imprescindibili questi alla base di una nuova strategia urbana capace di fronteggiare gli aspetti negativi della natura disgregata della metropoli contemporanea. Compito di tracciare questo con ne, tuttavia, è della comunità stessa che solo in questo sforzo di autorappresentazione realmente può de nirsi.

In questo contesto l’urbanista ha quindi un compito di mediatore e mai demiurgico: non possiamo creare i rapporti umani progettandone la cornice e lo scenario.

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1.4 Perchè Quito? Quito come molte metropoli sudamericane è una città in forte crescita e che sempre più attira popolazioni dal territorio rurale in cerca di maggiori possibilità economiche o di impiego. A questo possiamo aggiungere che, da un punto di vista morfologico, rappresenta un caso particolare ed un problema non irrilevante per la gestione e la piani cazione del territorio. Se da un lato infatti aumentano come altrove i fenomeni di migrazione verso l’area metropolitana, la città tra le Ande, possiede dei forti ostacoli naturali alla sua espansione, eccezion fatta per l’asse Nord-Sud. Su questo asse, infatti, si concentra la maggior parte della crescita: una crescita che, di anno in anno, continua ad allungare una città di già quasi 60 km e che, a parte per alcune valli ad est (Tumbaco, Puembo, etc…), non presenta altre aree di sfogo per l’urbanizzazione. A questo fenomeno, sulla fascia periurbana, si aggiunge 42

poi quello cosidetto di back migration, ossia legato alla di quei segmenti di popolazione urbana che, per motivi essenzialmente economici, non può più permettersi di vivere in aree troppo centrali di Quito. Tra le aree a maggior crescita, e più interessanti sotto questo punto di vista, spicca la parroquia rural de Calderón.


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Premesse sulla parroquia rural de Calderón Considerando il periurbano come moto, potremmo de nire la parroquia rural de Calderon come un caso di frangia consolidata, o di regione pre-urbana. Si tratta di una regione che vive quindi uno stadio maturo della sua relazione con la città. Un territorio di snodo per le regioni limitrofe che ha superato la sua biunivocità con la metropoli e che tuttavia potremmo chiamare urbano solo “usando il parametro della dipendenza nei confronti del centro”, ma che considerato “attraverso un rapporto leggibile tra centro e periferia” de niremmo generalmente come disurbanizzato. Tutta la realtà urbana percepibile, leggibile è sparita: vie, piazze, monumenti, spazi d’incontro. Scegliere di lavorare su una frangia matura, rispetto ad aree più rurali e periferiche, dà a nostro modo di vedere la possibilità di intervenire infatti su un contesto più indipendente da macro-variabili, come le politiche nazionali per l’ambiente e la tutela del territorio rurale; ma anche di lavorare con una popolazione che già si sente urbana.

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02


il contesto








A proposito dell’Ecuador L’Ecuador è uno dei Paesi più piccoli del Sud America ed è localizzato lungo la fascia settentrionale della Cordigliera delle Ande, la catena montuosa più lunga al mondo. Dal punto di vista geogra co il Paese è suddiviso in tre aree principali, da occidente ad oriente: la Costa, la regione andina e la Amazonia. Dal punto di vista demograco conta poco meno di 16 milioni di abitanti, in gran parte suddivisi tra le due principali città: Guayaquil, sulla costa e Quito, la capitale, situata a 2763 metri sopra il livello del mare, ai piedi della catena montuosa vulcanica del Pichincha.

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Il processo urbano in Ecuador Le prime tracce di insediamenti umani in Ecuador, risalenti al 10.000 a.C, attestano la presenza di un’articolata civiltà pre-incaica, organizzata in comunità situate principalmente lungo l’area paci ca e la Sierra e di cui, tuttavia, restano poche tracce, eccezion fatta per la particolare differenziazione etnico-culturale della popolazione attuale. Dopo una breve parentesi infatti costituita dall’invasione degli Inca alla ne del XV secolo d.C, un momento chiave della storia del Paese è dato dall’arrivo dei coloni spagnoli che, a partire dal 1530, si sovrapposero su questo territorio con una società agraria latifondista fortemente organizzata attorno a nuove città di fondazione come centri di potere e di controllo. Durante il periodo coloniale, di cui alcuni centri storici sono ancora splendida testimonianza (Quito, Cuenca), gli spagnoli operarono quindi una completa riorganizzazione del territorio basata sull’accentramento 58

del potere e lo sfruttamento della popolazione nativa in attività economiche essenzialmente agricole. Settore in sviluppo questo che maturò, dopo l’Indipendenza del 1830 dalla Spagna e la liberalizzazione delle barriere commerciali, in un crescente bipolarismo tra la società borghese costiera e quella conservatrice-cattolica della Sierra. Verso la ne dello stesso secolo questo bipolarismo, vincolato alle necessità di una nascente concentrazione capitalistica e di un ef cientamento della produzione legato all’espansione di un’economia basata sull’esportazione, si tradusse nella prima importante fase di urbanizzazione del Paese, dovuta alla massiva migrazione del campesinado interno verso le orenti aree costiere. Siamo qui attorno al 1920 quando, con l’esportazione del cacao, l’Ecuador si affaccia per la prima volta al mercato internazionale e va formandosi lo strato popolare urbano.


La crescente organizzazione politica e sociale verso un modello economico liberale sulla costa in un primo momento, non incise tuttavia sul regime semi-feudale consolidatosi nelle aree più interne del Paese, né qui produsse signi cativi fenomeni di espansione urbana, almeno no agli anni ’50. Il momento di svolta, in questa direzione, arrivò solo nella seconda metà del secolo scorso, durante il decennio 1960-70, quando la con ittuale transizione verso un sistema liberale venne accompagnata da nuove riforme economico-industriali operate dalla dittatura di un governo militare. In questi anni nel Paese, le relazioni urbano – rurali si adeguarono quindi alle necessità dello sviluppo capitalista a livello nazionale, con signicative ripercussioni sull’economia agricola: [9] “la organización primario-exportadora que caracterizaba la estructuración espacial de la producción comienza a modi-carse e integrarse en estructuras espaciales con infuencia regional y nacional; las grandes ciudades se convierten en los centros arti-

culadores de las nuevas formas de acumulación”

Attorno al 1972 l’inizio dell’esportazione petrolifera in partico-lare, unitamente all’effetto delle riforme, si con gura come l’elemento scatenante di una nuova, importante fase di urbanizzazione del Paese che, stavolta, riguarderà direttamente anche le aree della Sierra. Un’urbanizzazione fortemente polarizzata che destrutturerà l’economia rurale. [10] “Este agudo proceso de urbanización, concentrador y ex-cluyente, tiende a desarticular la red urbana nacional con el ilimitado crecimiento de las ciudades primadas por sobre el resto de ciudades, pueblos, caseríos y el sector agrario; a in-crementar los desequilibrios y desigualdades a todo nivel”

Conseguenza diretta ed immediata di questo processo fu, chiaramente, la nascita di un nuovo mercato, fortemente speculativo, come quello della terra, la quale subì violente dinamiche di valorizzazione. La maggior parte della nuova popolazione urbana si 59



concentrò quindi nelle aree periferiche della città, sia per il basso costo della terra, sia per la prossimità alle aree industriali, marginali rispetto ai centri urbani. Per comprendere meglio come questa crescita abbia giocato un ruolo fondamentale per lo sviluppo del presente contesto peri-urbano, occorre pertanto approfondire brevemente il tema delle riforme agrarie che per prime introdussero un nuovo livello nella dialettica tra spazio rurale e spazio urbano in Ecuador e, soprat-tutto, nuove forme di insediamento rurale. Ulteriore elemento di analisi sarà dato, successivamente, da alcune considerazioni sulla storia della piani cazione della città di Quito e sulle politiche della casa.

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Le riforme agrarie del ‘64 e ‘73 In Ecuador, tra l’inizio degli anni ’60 e la ne degli anni ’70, acquistò crescente importanza il tema della questione agraria, maturanto nel varo di due importanti riforme con il dichiarato obiettivo di “integrare il campesinado ecuatoriano nel processo di sviluppo economico e sociale del Paese”. Come in altri Paesi latinoamericani, la società rurale in Ecuador si distingueva in quegli anni infatti per la compresenza sul territorio di uno strutturato sistema latifondista da un lato, e dalla piccola attività agricola di sussistenza dall’altro. In questo contesto tuttavia, l’economia legata al sistema dei latifondi – che nel 1954 pur rappresentando lo 0,5% delle proprietà occupavano il 45% del territorio coltivato – impediva un accesso libero alla terra e si basava su dinamiche di sfruttamento della manodopera. I problemi legati al sistema latifondista, tuttavia, non riguardavano solo la proiezione territoriale di un ingiusto 62

ne territoriale di un ingiusto sistema sociale, erede della cultura coloniale: ciò che emergeva, con crescente evidenza, era infatti la necessità di una razionalizzazione della produzione in vista di un crescente mercato d’esportazione nel Paese. Razionalizzazione questa che incontrava nel latifondo, e specie nella Sierra, l’ostilità di una classe proprietaria restia all’ef cientamento tecnologico e alla riorgazizzazione amministrativa della produzione perché timorosa che un tale processo avrebbe potuto “cambiare le regole del gioco”. Questo processo di riforma fu portato avanti pertanto dal Gobierno Nacionalista Revolucionario de las Fuerzas Armadas, in un costante conitto con la classe fondiaria dominante che durò diversi decenni. La prima riforma che venne promulgata, nel 1964, si pose come obiettivo principale quello di una concreta ridistribuzione della terra su base nazionale tra coloro che concretamente potevano dimostrare di lavorar-



la e con lo scopo, quindi, di debellare il precariato rurale con guratosi nella gura del huasipungo. Quello che venne fatto fu sostanzialmente quindi una grande opera di espropriazione e suddivisione delle grandi proprietà fondiarie in minifondi, che vennero poi consegnati nelle mani dei piccoli coltivatori o di coloro che lavoravano nelle haciendas come manodopera a basso costo. Operativamente questo processo si portò avanti attraverso una serie di ordinanze che, tra gli anni ’60 e ’70, regolarono la compravendita e la parcellizzazione del suolo al ne di favorire la piccola proprietà familiare. A questa famiglia di provvedimenti dunque appartengono tutte le ordinanze che, come la 1009 del 1963, la 1024 del 1964, la 1281 del 1970 e via dicendo regolavano la parcellizzazione dei fondi e la loro dimensione secondo regole ben precise. In prossimità delle aree urbane, tuttavia, la politica fu probabilmente meno ef cace. E’ da osservare infat64

ti come mentre nel 1964 si “proibiva la parcellizzazione con ni urbani in zone rurali” nel 1970, solo sei anni dopo, le ordinanze che regolavano la suddivisione dei lotti vennero aggiornate e divennero più permissive. Da un punto di vista storico tuttavia questa legge, evidentemente, attaccando il sistema della hacienda e del latifondo, non dotò concretamente i nuovi proprietari degli strumenti economici e tecnologici atti a conservare e lavorare la terra da poco guadagnata, cosa che portò negli anni del boom petrolifero ad un sostanziale e progressivo abbandono delle attività agricole in favore di quelle industriali legate al crescente mondo urbano. Come ben segnalato da Fernando Velasco quindi, quello che si pro lava nelle aree rurali a metà degli anni ’70 era ancora: [11] “un campesinado pobre, propietario libre de la tierra que trabaja conjuntamente con su familia, para obtener una exigua producción que en mayor o menor proporción es llevada al mercado.


Sin embargo, la cantidad y calidad de la tierra de que dispone es insu ciente para absorber la oferta de mano de obra familiar, como para alcanzar un ingreso mínimo que le asegure un precario nivel de subsistencia”

Una seconda legge fu emanata nel 1973, il cui obiettivo principale rimase essenzialmente il medesimo della prima, cosicchè potremmo considerarla come il proseguimento di un discorso. In un clima politico altrettanto aspro rispetto a quello del ’64, la nuova riforma dovette tuttavia farsi strada stavolta anche attraverso una critica di una parte della stessa sinistra, convinta che si trattasse di “una scesa a patti con l’oligarchia latifondista”. Il principio legale sul quale si fondò la politica degli espropri operati da queste riforme fu essenzialmente legato alla veri ca della “compiuta funzione sociale della terra”, tema che riprendeva i punti classici della fragilità latifondista, come lo sfruttamento della manodopera, lo scarso livello produttivo e l’assenteismo dei proprietari.

Nel caso venisse quindi veri cato il mancato compimento di questo requisito, lo Stato poteva procedere tramite espropriazione o con l’estinzione del dominio di proprietà il quale, invece, non prevedeva alcun indennizzo. Da questa parcellizzazione dei terreni e per l’effetto congiunturale di un crescente settore industriale di fronte alla fragile economia rurale, nacque così un violento fenomeno di cambio d’uso dei suoli che ridisegnò letteralmente la struttura, l’aspetto e la composizione sociale delle aree marginali, soprattutto nelle città di Quito e Guayaquil. Ulteriore elemento di analisi, per comprendere la natura della situazione periurbana attuale, è poi da ricercarsi nel come la città sia stata, specie negli anni ’60 ma ancora oggi, il “risultato della vivienda come esclusiva prospettiva interpretativa”. [12] Il panorama che si presenta oggi pertanto, soprattutto nelle aree periurbane, è quello di un territorio più atomizzato che in passato, caratterizzato da asentamien65


tos dormitorios, quasi tutto di proprietĂ privata e sul quale il mercado de tierra continua a produrre paesaggi urbani contraddittori e poco sostenibili.

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Politiche edilizie di interesse sociale e il Buen Vivir Le problematiche relative alle abitazioni in Ecuador si con gurano come un fenomeno di ordine strutturale che può essere diviso in 4 parti: 1. Un’ urbanizzazione accelerata, sperimentata a partire dalla seconda metà del XX secolo. 2. Una struttura sociale caratterizzata da una forte iniquità socio-economica. 3. Una scarsa assistenza sociale causata da un de cit di bilancio accumulato. 4. Una scarsità di suolo. Senza dubbio, sebbene i problemi strutturali abbiano in uito pesantemente, le politiche sulla casa sono state dissennate e focalizzate esclusivamente sul problema del de cit quantitativo abitativo. Nonostante alcuni programmi residenziali inizino già negli anni 20 del XX secolo, bisogna attendere gli anni 60 per vedere con gurata una politica residenziale nel senso stretto del termine. 68

In un contesto in cui lo Stato assunse tutte le funzioni per lo sviluppo delle politiche sociali, si sviluppò un sistema basato sul credito a lungo termine per la costruzione di progetti residenziali. Questo schema politico, chiamato “chiavi in mano” si rafforzò durante il governo della dittatura militare grazie anche alle rendite del settore petrolifero, nonostante questo vennero costruite circa 25 mila unità su una previsione stimata in 280 mila abitazioni. In generale questa prima politica residenziale ebbe una bassa copertura, focalizzandosi unicamente sulla classe media che aveva possibilità di accedere al credito ed il suo impatto a fronte della grande crescita di popolazione urbana fu minimo. In de nitiva questa prima tappa delle politiche residenziali Ecuatoriane è caratterizzata dalla accumulazione di risorse del settore pubblico attraverso la creazione del Banco Ecuatoriano de la Vivienda (BEV) e dell’’Instituto Ecuatoriano de Seguir-dad Social (IESS). Questo prima impulso favorì la creazione della Jun-


ta Nacional de la Vivienda (JNV), organismo creato nel 1973 con l’obiettivo di centralizzare la coordinazione del processo per le politiche residenziali. Durante la decade degli anni 80, applicando lo stesso schema di nanziamenti, piani -cazione e partecipazione diretta dello Stato, si costruirono, du-rante il Governo Hurtado, 35 mila abitazioni con il supporto dell IESS e 9.600 attraverso il mutuale appoggio del sistema privato. Il Bev e la JNV tra il 1980 e il 1984 edi carono altre 11 mila abitazioni mentre nel periodo della presidenza di Ro-drigo Borja, partirono importanti programmi residenziali desti-nati alla classe media e bassa che portarono a costruire altre 84 mila unità abitative. Negli anni 90 all’interno del contesto politico - economico di impianto neoliberale, le politiche residenziali sperimentarono importanti trasformazioni che si espressero in una deregolazione del settore ma che portarono anche all’inse-rimento di attori privati volti al nanziamento, alla promozione e alla costruzione dei

programmi abitativi di interesse sociale. Si cominciò a con gurare un cambio delle linee politiche-economiche legate alla residenza, basate non più sull’offerta bensì focalizzate sulla domanda. Nel caso dell’Ecuador questo cambio del paradigma politico sulla residenza cominciò ad esse-re operativo attraverso la creazione del Ministerio de Desarollo Urbano y Vivienda (MIDUVI), nel 1993, un esempio attorno al quale si riorganizzò l’organo istituzionale legato alle classi basse sulla base dei principi dell’ef cienza e della sussidiarietà pro-mosse da organizzazioni multilaterali nel contesto della nuova gestione pubblica. In questo contesto, con l’appoggio del banco Interamericano de Desarollo (BID), prese vita nel 1998 il Si-stema de Incentivos para la Vivienda (SIV), che si pre gura come il principale organo nelle politiche statali per la casa. Il nuovo modello di politica si inserisce nella transizione da un’economia diretta dallo Stato ad un ‘altra focalizzata sul mercato, nel cui contesto 69


si opera un cambio di ruoli, sia da parte dello Stato, che smette di essere un costruttore immobiliare e prestatore nale per diventare un regolatore, così come il setto-re privato, che crea istanze integrate nel mercato dei capitali per acquisire risparmi e ridistribuire reddito. Nel campo speci co delle politiche di edilizia di interesse socia-le, sono stati operati forti cambiamenti in termini di attuazione delle linee strategiche che combinano sussidi incentrati sulla domanda con l’aiuto di costruttori del settore privato. Logica che sta alla base non solo di una ride nizione del ruolo dello Stato come organo facilitatore e regolatore ma, che permettono l’emergere di nuove forme di azione pubblica congiunta alle dinamiche del mercato. In questo senso, si può sostenere che gli strumenti usati per po-litiche residenziali, in particolare l’Housing Incentive System (SIV), ha indotto la creazione di modelli di quasi-mercato nel settore che, nel frattempo, sebbene lo Stato abbia mantenuto il 70

controllo e il coordinamento del servizio, a creato logiche di concorrenza a livello della fornitura di unità abitative. A livello pratico il SIV prevede un sussidio non rim-borsabile, unico e diretto per l’acquisizione, la costruzione o il miglioramento delle abitazioni a livello urbano, sub-urbano e ru-rale. Il sussidio viene elargito a nuclei famigliari a medio-basso reddito un’unica volta e si articola assieme al sistema di credito e ai risparmi dei singoli per completare il nanziamento neces-sario alla costruzione o al miglioramento dell’abitazione. Nono-stante queste politiche economico-sociali abbiano avuto un im-patto positivo riducendo di fatto la quantità della domanda abi-tativa, risultano purtroppo carenti dal punto di vista qualitativo, strategico e programmatico non vincolando la costruzione delle abitazioni allo sviluppo urbano piani cato. Secondo il Piano nazionale del Buen Vivir. il de cit abitaziona-le è passato da una quantità di 742.289 unità abi-


tative, equiva-lenti al 21.2% delle abitazioni totali nel 2009, a 531.593 unità corrispondenti al 13,7% totale nel 2012. La Costituzione della Repubblica dell’Ecuador nel 2008 incorpora nel suo testo per la prima volta la nozione del Buen Vivir (Sumak Kawsay) che si ispira alla cosmovisione indigena dei popoli autoctoni delle Ande e dell’Amazzonia. Successivamente alla sua approvazione, durante il mandato del Presidente Rafael Corea (20072014), il piano è stato attuato attraverso i Planes Nacionales para el Buen Vivir (PNBV). La concettualizzazione del Buen Vivir si caratterizza per la sua critica alla crescita economica, all’opulenza, al consumismo e al produttivismo. Disapprova il principio di “mas es mejor” delle società capitalistiche che inducono ad accumulare ricchezza illimitatamente e propone un principio di suf cienza: si deve prendere dalla natura solamente il necessario alla propria sussistenza. Parallelamente alla nozione

del Buen Vivir è importante il principio di egualità e di redistribuzione della ricchezza eccedente, che considera l’arricchimento di certe famiglie dannoso per l’armonia sociale causata dalle differenze economiche. Si può quindi affermare che le nozioni del Buen Vivir nascono come un movimento di tutela a fronte dei danni sociali e ambientali causati dalle utopie neoliberali e dall’economia globale autoregolata.

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2.2 A proposito di Quito San Francisco de Quito Quito, capitale dell’Ecuador, è una metropoli che si sviluppa a circa 2850 metri s.l.m nella parte occidentale della Cordigliera delle Ande, proprio la sua altezza la pone al secondo posto dopo la sola La Paz (Bolivia) tra le capitali più alte del mondo. Con una popolazione, al 2011, di circa 2.250.000 abitanti è la seconda città del Paese dopo Guayaquil, situata invece nella parte sud-occidentale del paese, sulla Costa. La capitale Ecuatoriana si trova ad una ventina di chilometri a sud della linea dell’equatore ed è collocata all’interno di una valle irregolare compresa tra lo stratovulcano Pichincha ad ovest ed i rilievi di Puengasi, Guanguiltagua e Itchimbia ad est. La presenza della cordigliera andina ha in uenzato fortemente la sua crescita morfologica-spaziale, la città infatti negli ultimi decenni ha subito un’impressionante crescita lungo l’asse nord-sud andando a formare una realtà ur72

bana che oggi si estende per quasi 90 chilometri. L’asse di espansione urbana est-ovest come già in parte detto è ostacolato dalla presenza della catena montuosa delle Ande, per queste ragioni l’estensione della città lungo il suo asse trasversale varia tra i 3 e i 5 chilometri oltre ad avere ai suoi margini una pendenza media del terreno che s ora il 16%.



Nord e Sud, due realtà a confronto Anche a causa della sua espansione urbana sull’asse nord-sud, che ha fortemente ampliato le distanze tra i due margini della città, Quito oggi si trova divisa in due tronconi ben distinti non solo dal punto di vista geogra co ma anche da quello socio-culturale ed economico. Il Nord risulta ad oggi essere un polo di sviluppo e spazio per la piani cazione, organizzazione, igiene e luogo dove abita l’elitè economico-politica della città. In contrasto con questa area di Quito, di fatto de nita dalla presenza del promontorio del Panecillo che divide la città in due macro aree ben distinte, si sviluppa il settore meridionale che n dalla nascita della città è stata scelta come area dove localizzare la maggior parte dei settori popolari e dove da sempre l’espansione urbana ha subito un processo non piani cato. La situazione attuale della città è il risultato di quella che si può de nire una segregazione socio-economica e di una “razionalizzazione” 74

della spazio urbano in uenzato dagli interessi di classe. La divisione della città però si deve anche ad alcuni fatti storici; il primo è sicuramente riconducibile all’arrivo del colonello spagnolo Benalcazar che giunto in queste terre nel XVI secolo decise di identi care il nord come area di consumo ed il sud come area di produzione, questo perché la statua della Vergine eretta proprio sulla collina del Panecillo dava le spalle all’area urbana che si estendeva a Sud. Inoltre agli inizi del XX secolo la “segregazione” viene ulteriormente consolidata anche in forma legale grazie ad un piano regolatore che di fatto impediva alle famiglie meno abbienti del Sud di ottenere una residenza nella parte settentrionale della città. Tutt’ora le diversità di paesaggio urbano che si possono distinguere osservando la città dalla cima del Panecillo fanno notare le forti contraddizioni tra le politiche urbane adottate all’interno della città di Quito; da una parte i grattacieli dell’area nanziaria de niscono lo skyline dell’orizzonte


dall’altra la vista si perde per chilometri e chilometri in una miriade di quartieri popolari in cui l’altezza delle abitazioni non supera quasi mai i 2-3 piani di altezza. Le stesse modalità costruttive furono fortemente in uenzate da regolamentazioni e ordinamenti urbanistici, che imponevano in maniera del tutto antidemocratica, che le abitazioni nelle aree residenziali fossero distanziate tra i 3 e i 5 metri mentre nelle aree selezionate per l’edilizia popolare non era prescritta alcuna divisione minima tra gli edici. La segregazione inoltre prevedeva che la costruzione dei quartieri popolari si sviluppasse in aree ben distanti dai terreni destinati ad uso ricreativo o che sarebbero stata sede di servizi, in maniera tale da non intaccare la crescita speculativa sui prezzi dei suoli adiacenti. Solo con il piano del 1967 si cominciò a dotare i quartieri popolari dei servizi minimi necessari. Durante gli anni 90 la percezione di questa forte disuguaglianza tra nord e sud venne in parte mitigata dalla migrazione delle classi più abbienti

della città nelle aree suburbane sviluppatisi nelle vicine valli orientali. Oggi i quartieri più popolari seguono ad estendersi verso Sud ma allo stesso tempo anche nell’estremo Nord. Di fatto però la zona meridionale della città rimane riconosciuta dagli stessi abitanti di Quito come un’area insicura e con grande carenza di servizi.

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Quito negli anni Quito come la maggior parte delle città Sud Americane negli ultimi 50 anni ha subito un grande ed intenso sviluppo urbano e demogra co. Nel 1962 la capitale dell’Ecuador contava all’incirca 335.000 abitanti per un’estensione di 2.250 ettari, nel 1990 la popolazione era cresciuta a 1.410.000 unità per un totale di 19.000 ettari di terreno urbanizzato, no ad arrivare ad oggi dove si conta una popolazione di 2.239.191 abitanti ed in cui l’estensione urbana arriva 29.000 ettari. Queste cifre mostrano non solo una crescita in termini quantitativi ma preludono anche ad una forte distinzione qualitativa situata nel medesimo contesto urbano. Le autorità hanno cercato di far fronte a questi processi attraverso la formulazione di strumenti legali di controllo, tuttavia la velocità di espansione e di evoluzione della città hanno reso gli stessi strumenti una volta attuati ormai obsoleti. Costruita a partire dalla Ley de Indias e dalle ordinanze spagnole che regolavano le disposizioni per 78

larghezza, orientamento e ubicazioni dei lotti e degli edi ci, Quito si conforma sul modello comune della tipica città di fondazione dell’America latina e adotta come prima forma organizzativa quella quadrangolare a elementi uguali, dove gli spazi di risulta rimasti vuoti vanno a costituire le piazze principali. La strategia di espansione e della conformazione della struttura urbana non subisce sostanziali modi che no alla ne del XIX secolo, costituendo infatti l’area matrice di futuro sviluppo della città . A partire dagli anni 30 del XX secolo la sempre maggior crescente integrazione della città nel contesto regionale-nazionale dovuta in parte all’implementazione della linea ferroviaria Quito-Riobamba-Duràn e in parte alla crisi del modello agrario per l’esportazione, danno inizio ad importanti ussi migratori di popolazione agrario-campesina verso la capitale. Situazione , questa, che in uisce signi cativamente sulla struttura urbana della città, che risente in


maniera importante dell’improvviso affollamento e della sostanziale crescita di densità sia dal punto di vista della qualità delle condizioni vita che dal punto di vista morfologico, ride nendo di fatto gli spazi omogenei della matrice di base della città e dando vita al primo processo di rinnovamento urbano dell’attuale centro storico e delle future aree di espansione urbana. Le forti migrazioni generarono un ingente crisi urbana quanto ambientale portando a una forte crescita speculativa che sorpassò i limiti naturali della città; a sud

l’espansione urbana superò il promontorio del Panecillo mentre a Nord le abitazioni si svilupparono oltre l’Alameda. Come già in parte descritto in precedenza l’espansione lungo l’asse Nord-Sud caratterizza ancora oggi la crescita urbana della città. La crisi migratoria e le conseguenti dinamiche speculative portarono di fatto l’amministrazione Municipale, già negli anni 30, a ripensare l’organizzazione spaziale della città e presentare un primo Piano Regolatore di Quito che verrà redatto e approvato tra il 1942 e il 1945.

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2.3 I Piani Primo Piano Regolatore di Quito: Plan Jones Odriozola 1942-44 Il piano Jones Odriozola rappresenta il primo tentativo di riordinare e riorganizzare la città da un punto di vista urbanistico, cercando di far fronte all’incombere dei primi problemi dovuti ad una crescita urbana incontrollata e soprattutto improvvisata. Il punto più rilevante di tale piano è rappresentato dalla de nizione del futuro spazio urbano di espansione che avrebbe costituito l’area di supporto in funzione di una presunta crescita demograca della città che avrebbe portato da 200.000 abitanti a 700.000 abitanti in previsione. Viene quindi delineata la divisone della città in 4 zone: quella produttiva nel Sud, la zona mista nella città vecchia e nella zona centrale tra la Alameda e El Elejido, la zona residenziale nel Nord. In ne si propone la creazione di un nuovo centro amministrativo e di un sistema di poli funzionali religiosi, commerciali, amministrativi, univer-

sitari e sportivi che vengono messi in comunicazione gli uni con gli altri attraverso l’uso di grandi arterie viarie. La struttura della città viene suddivisa in aree funzionali ripartite nelle 3 attività fondamentali: abitazione, lavoro e svago che determinano però a loro volta una con gurazione sociale -spaziale segregazionista che prevede a sud la classe operaia, nella zona centrale la classe media e a nord la fetta più ricca della popolazione. Se da un lato questo piano introduce per la prima volta politiche e nozioni urbanistiche del tutto nuove per l’Ecuador quali la creazione di assi principali, la zonizzazione, la creazione di zone nodali, l’incorporazione delle aree verdi, le zone specializzate alla crescita e alla strutturazione della città, dall’altro non fa altro che portare avanti politiche di emarginazione e segregazione sociale che vanno ad inuire signi cativamente sulla struttura urbana della città. Il piano Jones Odriozola risulta quindi essere ancora troppo rigido e poco essibile nell’intuire il contesto delle dinami83


che sociali e le forze espansive della città. Plan General Urbano de Quito 1967 Negli anni 60 cominciano a prendere piede teorie riguardanti la redistribuzione dei beni primari e dei servizi, facendo registrare un’inversione rispetto alle politiche precedenti e ponendo quindi maggior attenzione sulle classi sociali meno abbienti. La mancanza di controllo e l’assenza di una legislazione adeguata ai problemi relativi la nascita di nuovi insediamenti spontanei, portano la Municipalità di Quito a istituire nuovi organi di piani cazione e di controllo dello sviluppo della città. La pianicazione urbanistica appare come l’unica soluzione ai problemi della città di Quito, per questo motivo nel 1967 viene approvato il Plan General Urbano de Quito. Tale piano basandosi su uno studio approfondito sull’occupazione del suolo va a de nire le linee guida per l’utilizzo del suolo e per l’incremento delle edi cazioni, in uenzando in maniera sostanziale la 84

distribuzione della popolazione le destinazioni d’uso prevalenti. Vengono de nite quindi una nuova localizzazione dei servizi principali promuovendo un idea di insediamento degli stessi policentrica e decentralizzata e proponendo tre tipologie: equipamiento urbano, de vecindad e de barrio (servizi cittadini macro, di vicinato e di quartiere) che si facessero carico di tre differenti scale di intervento. Vengono rinforzati gli assi principali di comunicazione, in particolare quelli principali colleganti il Nord ed il Sud della città a causa della sempre più marcata tendenza ad uno sviluppo urbano lungo l’asse longitudinale di Quito. I segmenti tangenziali e i tracciati lungo quest’asse vengono potenziati con tunnel che possano rendere lo sviluppo del percorso stradale il più possibile continuo e rapido. Nonostante i buoni propositi il piano però risulta carente di una strategia strutturata in ambito regionale e manca di un idea globale, anche se vengono introdotte importanti novità


in relazione ai concetti di integrazione della densità urbana come elemento di progettazione, la distribuzione di servizi in rapporto all’effettiva densità abitativa e la costruzione di centri specializzati, gerarchizzati e differenziati distribuiti nel territorio. Piano dell’area metropolitana di Quito del 1973 A fronte di un rapido processo di intensi cazione del usso migratorio che genera una vera e propria esplosione demogra ca e con i conseguenziali gravi problemi dovuti ad una nuova dimensione delle complesse funzioni di Quito in ambito burocratico, industriale, commerciale e di servizi, la città cerca di sviluppare un nuovo Piano che verrà attuato nel 1973. Hanno inizio intensi processi di urbanizzazione nelle valli di Los Chillos e del Ruminahui per fronteggiare le alte percentuali di precariato e disoccupazione che a loro volta causano un forte squilibrio economico-sociale a cui la municipalità e le sue amministrazioni non riescono a dare risposta.

Nonostante la diffusione sostanziale della crisi proprio in questo periodo lo stato Ecuatoriano comincia a sfruttare le ingenti riserve petrolifere presenti nell’area amazzonica del paese, iniziando ed estrarre quella che diventerà di li a pochi anni la prima fonte di guadagno del paese e che arricchirà non di poco le casse dello Stato. La questione urbana quindi diventa un importante problematica in ambito nazionale. By-passando gli aspetti di alta con ittualità in ambito locale tradizionale, l’ambiente sociale urbano passa in mano al controllo del potere centrale dello Stato tramite una forte presa di posizione. Lo studio “Quito y su Area Metropolitana, Plan Director 1973-1993” concluso nel 1973 va a de nire, partendo da uno studio comparativo dell’andamento demogra co, delle attività socio-economiche e della distribuzione dei servizi, una prima vera delimitazione dell’area metropolitana che impone a sua volta una prima concettualizzazione della regione della città stessa. 85


La formulazione di questo piano propone 4 vie differenti di sviluppo: speciale, istituzionale, sociale ed economico e si articola in ulteriori punti chiave che vanno dalla piani cazione del centro storico da intendersi come nuovo centro specializzato dal punto di vista amministrativo, politico e turistico, all’organizzazione della città in 5 distretti dotati di servizi gerarchizzati e collegati attraverso una struttura viaria che ride nisce un anello periferico attorno al nucleo centrale e in ne alla de nizione di limiti urbani controllati che permettano la conservazione dei terreni agricoli e la strutturazione al contempo di una cintura verde. Il piano microregionale del 1981 ESQUEMA DIRECTOR Negli anni 80 come già nei precedenti decenni la città si trova ad affrontare sempre più problemi legati all’elevata concentrazione di popolazione nell’area urbana, ai rapporti di dipendenza sempre più marcati tra periferia e centro, al deterioramento dell’intorno ambientale 86

e al de cit di attrezzature e di servizi. Il contesto di crisi economica diffuso in tutto il paese sviluppatisi sulle ali di una generale liberalizzazione dell’economia porta a strutturare il nuovo Piano di Quito come strumento di ordinamento urbanistico-giuridico volto a regolarizzare, normare e razionalizzare lo sviluppo spaziale della città di Quito e delle sue micro-regioni in forma unitaria. Partendo quindi dal piano del 1973 si de nisce una nuova struttura funzionale cittadina e vengono ride niti i limiti di intervento precedenti. Viene proposta una riorganizzazione e un’integrazione dei nuclei urbani e periferici attraverso una nuova suddivisione in 11 distretti per favorire così la decongestione amministrativa nelle pratiche di gestione del territorio. Il suolo viene gerarchizzato in maniera più speci ca, venendo suddiviso in: aree urbanizzate, aree di espansione, aree di protezione ecologica. Il piano prende spunto da una concezione di area urbana come un sistema articolato di diversi


si ambiti che comprende le valli circostanti e tenta di regolarne la futura espansione. Purtroppo a causa delle limitazioni proprie delle istituzioni municipali, orientate a pratiche clientelari non è permessa un attuazione ef cace delle proposte in essere al piano stesso, nonostante vengano formulati un Plan de Ocupacion del Suelo (POS) e un Codigo de Arquitectura y Urbanismo come strumenti per il controllo edilizio. Strutturazione del DMQ: 1993 Nei primi anni degli anni 90 il disordine diffuso dell’espansione urbana nelle valli adiacenti Quito caratterizza il nuovo contesto di crisi in cui si ritrova la città, dovuta anche in parte alle mancate attuazioni delle legislazioni in materia urbanistica, alla scarsa chiarezza della stessa e alle pratiche di clientelari sempre più frequenti. A fronte di un deciso tentativo di centralizzazione del Governo viene promosso in questi anni l’idea di un Distretto Metropolitano col ne di dare vita ad una nuova forma di controllo e organiz-

zazione territoriale in cui sia la municipalità a riprendere il controllo e la direzione della crescita urbana supportata dal coordinamento con altre Municipalità, con lo Stato, con le organizzazioni sociali ed il settore privato. Durante il congresso nazionale tenutosi nel 1990 viene presentata dalla Municipalità la proposta di legge per la costituzione del Distretto Metropolitano che si basa su 3 principi generali: democratizzazione, decentralizzazione e partecipazione. Il Plan de Estructura Espacial Metropolitano approvato nel 1993; delinea un nuovo assetto policentrico che favorisce la diffusione e la ridistribuzione delle funzioni dello spazio centrale nelle regioni, razionalizza la con gurazione del sistema viario urbano implementando la gerarchizzazione e la funzionalità delle vie di comunicazione, rafforzando allo stesso tempo il trasporto pubblico, potenzia e de nisce nello speci co le entità sociali urbane: barrio,comunas e parroquias che diventano le fondamenta della struttura amministra87


tiva della città. Plan General de Desarollo Territorial 2000-2020 Il nuovo millennio porta la Municipalità di Quito a reinterpretare il ruolo di gestione politico-sociale del territorio che aveva no a quel momento svolto, passando da un esperienza tradizionale quale amministratore dei servizi a promotore dello sviluppo locale. Tra le prospettive impostate dalla nuova gestione appare evidente un intento ad azioni di decentralizzazione, partecipazione cittadina, piani cazione strategica, cooperazione pubblico-privata che di fatto diventano le linee direttrici che sostengono l’adeguamento istituzionale. Il Plan General de Desarollo Territorial viene sviluppato sui binari metodologici della piani cazione strategica urbana che identi ca problemi e potezialità delle strutture territoriali metropolitane, e va a denire, attraverso uno sguardo tecnico con una visone di sviluppo in chiave strategica, le linee guida nella gestione del territorio nell’arco tem88

porale dei prossimi 20 anni. Il piano si presenta come uno strumento di piani cazione attraverso il quale si cerca di organizzare e regolare l’uso del suolo, proporre politiche di sviluppo e crescita urbana adeguando il territorio ad una produttività sempre più competitiva, uno sviluppo sostenibile e un sistema di controllo democratico. Lo scenario previsto dal piano si sviluppa sulla previsione di una crescita della popolazione urbana che potrebbe superare i 3.000.000 di abitanti nel 2020. Il piano quindi prevede la dotazione di nuovi servizi distribuiti su tutto il territorio, connessi in maniera adeguata al resto della città e accessibili, un moderno ed ef ciente sitema di mobilità che prevede un potenziamento della rete di servizio pubblico, una sempre maggiore attenzione alla qualità ambientale e alle risorse idriche, promuovendo l’utilizzo di fonti rinnovabili. Le linee di sviluppo pre gurate vengono tracciate con l’intento di ride nire il modello di crescita suburbana disperso per tornare ad una nuova concen-


trazione urbana e ricercare una razionalità economica, una sostenibilità ambientale, un recupero della vita urbana e una governabilità ef ciente. Gli interventi prioritari trovano quindi spazio in una nuova classi cazione del suolo edicabile e non, nella ristrutturazione dell’area centrale di Quito, nel potenziamento del centro storico e nella salvaguardia degli spazi verdi. Il sistema si struttura in una maglia di centralità collegate da una rete infrastrutturale il cui nucleo è rappresentato dalla città di Quito. La razionalizzazione dello sviluppo urbano viene perseguita attraverso sistemi di servizi e infrastrutture equilibrate nei vari centri e lo spazio pubblico viene inteso come un sotto-sistema strutturante che relazioni, integri ed articoli i differenti settori al ne di denire spazi gerarchizzati e di rendere vivibile lo spazio durante la quotidianità.

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2.4 Il Distretto Metropolitano di Quito Nell’area del DMQ si concentrano i maggiori organi governativi, non governativi, culturali, nanziari, amministrativi e commerciali del paese. Dal punto di vista amministrativo, la città è inserita all’interno di un distretto comprendente 8 Administraciones Zonales, o zone metropolitane, divise in 32 parroquias urbanas e 33 parroquias rurales suburbane. La struttura del Distretto Metropolitano, pertanto, è una struttura decentrata che si dirama in ulteriori rami di controllo governativo con aree di in uenza via via decrescenti. Partendo dalla macro-struttura base del DMQ, il governo del territorio si suddivide in: aree metropolitane (de nite per aree geogra che), amministrazioni zonali e Parroquias. Il Distretto Metropolitano di Quito (DMQ) si espande su un area di 4.235,2 Kmq e conta all’incirca 2.700.000 abitanti (15,5% della popolazione nazionale), dei quali il 72% costituisce la popolazione urbana 92

mentre il restante 28% (circa 620 000 abitanti) vive nelle aree così dette rurali. In termini generali la popolazione del DMQ è cresciuta di ben 7 volte negli ultimi 60 anni. In questo arco temporale si possono distinguere tre fasi di crescita demogra ca distinte: tra il 1950 e il 1982 predomina un tasso di crescita demogra co-migratorio superiore al 4% ,dal 1982 in poi il tasso subisce una lenta discesa no ad attestarsi al 2,2% del decennio 2001- 2010. In quest’ultimo decennio inoltre la percentuale di popolazione urbana decresce dal 76% no ad attestarsi all’attuale 72% favorendo difatti l’innalzamento del tasso di popolazione suburbana-rurale che che è aumentato di 4,3 punti percentuali. É interessante notare come il tasso di crescita della popolazione suburbana in questo periodo sia di quasi 4 volte superiore a quello avvenuto nell’area urbana (4% rispetto al 1,4%), avvalorando una tendenza alla periurbanizzazione già iniziata neglianni 90. Il processo di periurbanizzazione corrisponde a un modello di


urbanizzazione espansivo e toralmente disperso. Le proiezioni per i prossimi 5 anni confermano le tendenze delle dinamiche di crescita dell’ urbanizzazionedi queste aree, specialmente nelle parroquie di: Quitumbe, Solanda, Penguasì, La Argelia, Guamanì y Turubamba, Calderòn, Cochapamba, e San Isidro del Inca.

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Espansione urbana e disponibilità di suolo non costruito Analizzando i dati relativi all’occupazione dei lotti nell’area del DMQ si scopre che vi sono ben 86.448 lotti senza alcuna costruzione che risultano equivalere a ben 7 932 ettari di suolo non edi cato e di conseguenza al 21% dell’area urbana totale. Di questi il 48% dei lotti si trovano nell’area della città centrale mentre il restante 52% si collocano nelle aree urbane corrispondenti alle Parroquie Rurales. Queste aree inedi cate presentano le seguenti caratteristiche: - L’83% dei lotti è servito di acqua potabile e di energia elettrica, il 15% dispone di uno solo di questi due servizi,mentre solamente il 2% non dispone di alcun servizio. - Secondo le disposizioni del PUOS (Plan Uso e Ocupacion del Suelo) il 79% dei lotti sono destinati alla costruzione di abitazioni, il 6% per uso misto, il 3% ad aree industriali e l’11% ad aree agricole-residenziali - Predominano i lotti con di94

mensioni maggiori ai 5000 mq che costituiscono il 42% delle aree totali ancora disponibili. Il 26% hanno una dimensione tra 1501 mq e i 5000 mq mentre il restante 33% sono lotti con dimensioni minori ai 1500 mq. - Di questi 7932 ettari il 6% ovvero 402 ettari appartengono all’amministrazione pubblica. La localizzazione delle aree prive di costruzione seguono l’andamento storico-morfologico della città, appare quindi evidente come il livello di consolidamento, occupazione del suolo e densità, siano di fatto maggiori nell’area centrale di Quito, dove il tasso di lotti non costruiti non supera il 13%. Questo dato però dimostra anche come ci sia una sostanziale mancanza di piani cazione nelle aree interessate dalla maggior crescita urbana situate a Nord e a Sud della città dove meccanismi spesso restrittivi ostacolano un corretto e legale processo di urbanizzazione.


Ciò evidenzia ancor di più la scarsità o a volte la totale assenza di politiche e interventi che regolino la domanda di terreni e di abitazioni per i settori popolari, che spesso e volentieri risolvono i problemi autonomamente attraverso l’uso di pratiche edilizie informali. In questo contesto alcune Parroquie più di altre presentano una grande fetta di lotti non costruiti rispetto a quelli già urbanizzati come per esempio le Parroquie rurali di; Quitumbe dove il 35% dei terreni totali non sono costruiti o di Tumbaco che dove i lotti inedi cati si attestano al 30,8%. La stessa area di Calderon, da noi scelta come area progettuale, presenta uno dei maggiori tassi di lotti “vacanti” del DMQ che si attesta al 24,5%. Un ulteriore causa dello scarso consolidamento di queste aree è sicuramente lo spazio temporale relativamente ristretto in cui queste aree hanno subito un forte aumento demogra co. In generale quindi la distribuzione della popolazione così come il livello di consolidamento urbano e la densità, si

mostrano maggiori nell’area urbana dove si concentra il 72% della popolazione del DMQ a fronte però di un tasso decrescente di crescita demogra ca e di disponibilità di lotti liberi. A differenza dell’area centrale urbana, in conclusione, le aree urbane delle così dette Parroquie Rurales dispongono di una maggiore quantità di terreni inedi cati, di un elevato tasso di crescita demogra ca e di una bassa densità abitativa.

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... entrando a Calderรณn










3.1 Introduzione a Calderón dal diario di bordo In medias res: si parte. I due giorni di viaggio prevedono un primo sopralluogo di alcune aree periurbane a nord di Quito per valutare possibili ambiti di ricerca: Calderón, Otavalo, El Quinche, oltre ai pueblos lungo la Ruta Escondida come Puéllaro, Perucho, Chavezpamba, San José de Minas e Atahualpa (a cui non arriveremo mai). Prima tappa: Calderón. Arrivando da Quito, ed essendoci informati un po’ sulla recente storia dell’area, ci aspettavamo di non uscire mai realmente dalla città. Il passaggio tra questi due territori ci pare subito un po’ ambiguo: sebbene si avverta infatti di aver lasciato Quito alle spalle il paesaggio non sembra arrendersi del tutto all’idea. Le strade si allargano, sì, il paesaggio si dilata, il pro lo delle Ande non è più riconoscibile e tuttavia, qua e là, ci sono ancora edi ci, case in costruzione, attività, magaz108

zini, of cine. Scendiamo dal pullman in quella che ci pare essere una delle strade principali, ma dopo pochi passi ci rendiamo conto che non è così: ci siamo già persi in una sorta di periferia. Somos gringos, ma la sensazione è più di solitudine che di pericolo. Il lastricato in elementi preformati di cemento rimane una costante, ma alcune cose saltano subito all’occhio: siamo circondati da edi ci in costruzione senza i piani alti, perlopiù abitazioni, e strade laterali aperte su campi incolti o cantieri. L’atmosfera è un po’ metasica: la luce è abbagliante e non ci sono ombre escluse quelle dei pali; l’aria è secca e polverosa. Siamo soli. Lungo le strade, qui, si vedono solo tanti muri, qualche cantiere, molti cani randagi (come a Quito del resto). E’ tutto un po’ disperso, svuotato, privo di gerarchie, come caduto dall’alto, come tante piccole gocce di pioggia sparse: orientarsi non è facile e ci chiediamo come possano vivere qui quasi 160.000 persone.



Probabilmente questa atmosfera si estende per chilometri; così viene spontaneo pensare al progetto: da dove si comincia in questi casi? La prima impressione, forse è pregiudiziosa, è che l’uomo abbia preso tutto troppo in fretta, che il territorio non fosse pronto. Una sorta di città di fondazione, si, cellulare, senza identità e senza una direzione, senza nessun elemento che si stagli so-pra il mare di case e casette per indicare una meta, un centro o un’uscita. Abbiamo notato che, a parte le molte case isolate, ci sono pa-recchie enclosures residenziali di recente costruzione, piccoli isolati chiusi all’esterno. Sono riconoscibili: case tutte uguali, plurifamiliari, in niti muri lungo la strada, lo spinato o elettri- cato, un nome sul cancello d’ingresso. La qualità però non suggerisce uno status da proteggere, una ricchezza da recintare, quanto piuttosto lo spiacevole compromesso di chi abbia dovuto trasferirsi qui pur non volendo rinunciare a tutti i costi alla propria si110

re a tutti i costi alla propria sicurezza. Spontaneamente sorge la domanda: “Chissà quanto costano le case qui?”, un annuncio sulla vetrina di un negozio ci risponde: 35.000$, posto auto incluso. Là, in fondo, si scorge un incrocio traf cato, qualche albero, due corsie; così decidiamo di avvicinarci. Arrivati sulla strada cambia un po’ lo scenario. Certo rimane un’atmosfera desertica, ma compaiono le prime of cine mecca-niche, molte of cine. Ci domandiamo il perchè di questa loro presenza, quasi ritmica, ma l’unica risposta plausibile sembra es-sere l’esistenza di un vasto mercato di auto usate: più economi-che. Un’altra cosa che si incontra, ogni due o tre cuadras, sono ne-gozi di serramenti e ferramenta e ci pare il primo vero indizio a suggerire la diffusione di abusivismo edilizio. Continuiamo a camminare senza una direzione precisa, ma sembra ma sembra l’unica tattica possibile.


Torniamo sui nostri passi, la zona non ci pare più sicura e sopratutto ci stiamo allontanando da quel poco di vita che avevamo scorto dal nestrino del bus prima di scendere. Ripercorriamo a ritroso il nostro percorso, superando la fermata dove eravamo scesi, ed ecco che man mano gli edi ci cominciano ad avvicinarsi, a densi carsi, compare nalmente un po’ di folla. Stiamo andando verso il centro? Due vie parallele, molto commerciali, la prima è dedicata al giorno in cui Carapungo divenne una parroquia, il 9 di Agosto, a ricordo del luogo dove il condottiero Calderón pose il suo avamposto durante la guerra di indipendenza. E’ pieno di negozi di ogni tipo e tra questi spunta il mercato ortofrutticolo co-perto dove è possibile anche mangiare come da tradizone ecua-toriana. Ci guardiamo intorno in cerca di tiendas per la lavora-zione artigianale di marzapane, ossia il risultato più ricorrente per qualsiasi tipo di ricerca che abbia come oggetto “Calderón”: ne tro111



viamo una sola, invisibile tra la coltre di negozi e nascosta all’ interno di in una corte . Ci si aspettava qualcosa in più dal momento che “Calderón come centro di produzione di gure in marzapane” è la prima cosa che si legge nel Piano di Sviluppo 2012-25 alla voce “Visione Parrocchiale”, ma forse non abbiamo cercato abbastanza. Quando arriviamo alla piazza principale, quella della chiesa, ci sembra per un momento di essere tornati a casa, non tanto per le dimensioni dell’area che appaiono assai esigue in confronto alla grandezza della città, quanto per l’atmosfera. Chiesa bianca, pietra grigia, alberelli e helados: un modello già noto che sebbene diverso apprezziamo. Qui la gente è parecchia: si parla, si mangia qualcosa per strada, dei bambini vanno sullo scivolo gon abile (grande attrattiva anche a Otavalo e al Quinche). Se si guarda bene è evidente che questa parte di città sia precedente al boom degli anni ’90 e ci ricorda qualche 113


nostro paese sull’Appennino: un po’ vecchia e un po’ sostituita dal tempo. Tornando verso casa, e lasciandoci Calderón alle spalle, un ca-valcavia offre la preziosa occasione di vedere le cose dall’alto: Calderón è un territorio scon nato ormai, non un normalissimo pueblo. Sulle colline, lontano, vediamo i quartieri più inerpicati, d’un solo colore: forse ci si riferiva a quelli nel piano con “aree soggette a smottamenti”... non ne siamo sicuri, d’altronde è dif cile dare dei limiti a questo paesaggio. Poi la strada, oltre il con ne delle case, scende a valle tra le colline, verso Otavalo, la nostra prossima meta.

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3.2 Alcuni cenni storici Tralasciando, per evidenti motivi di sintesi, gli avvenimenti storici relativi al periodo pre-incaico ed incaico è invece opportuno focalizzare l’attenzione della nostra ricerca dall’avvento del dominio spagnolo no ai tempi moderni per poter così comprendere, in maniera più speci ca, lo sviluppo territoriale di Calderón. Essendo l’area che oggi corrisponde con la parroquia rural di grande estensione è possibile trovare nel corso del tempo numerosi riferimenti storici a tanti piccoli insediamenti abitati che si svilupparono nella suddetta area nel corso dei secoli. Tuttavia per una questione di utilità ai ni della nostra ricerca porremo la nostra attenzione principalmente su due insediamenti urbani: Santa Mariana de Jesus e Carapungo (quest’ultimo è identi cabile come il cuore amministrativo ed economico odierno di Calderón). Nonostante Carapungo, come appena detto, si possa identi care come il centro 116

d’origine di sviluppo dell’attuale Parroquia rural, prima della metà del XIX secolo non si hanno notizie certe che lo riguardano. Diversamente, per quanto concerne l’area più estesa, è possibile datare nella prima metà del XVII secolo una prima privatizzazione dei terreni messa in atto dai coloni spagnoli a scapito dei territori comuni ad uso della popolazione indigena di Zambiza. Questa prima lottizzazione forzata fece passare, in pochi anni, la proprietà terriera dalle mani indigene in quelle degli spagnoli o creoli dando il la alla formazione dei primi latifondi agricoli sul territorio di Calderon. È possibile supporre che i grandi latifondi, una volta stabilitisi nell’odierna area della Parroquia, attrassero una notevole quantità di mano d’opera indigena proveniente da altre zone limitrofe di Quito, consolidando così in maniera de nitiva la nuova politica di spartizione terriera e ponendo le prime basi per la fondazione di Carapungo. All’origine però della decisi-


va svolta abitativa che coinvolse l’area di Carapungo ci fu senza dubbio la guerra d’indipendenza che nella prima metà del XIX secolo attirò in queste zone moltissimi veterani di guerra. Ex-soldati di origine colombiana necessitanti di convalescenza, che allettati dal clima benevolo e dall’enorme quantità di terra oltre che di manodopera disponibile, decisero di trasferirsi qui de nitivamente. La crescita di popolazione pertanto fu dovuta all’intensi cazione dei ussi migratori causati dalla guerra d’indipendenza, anche se, per stessa ammissione degli storiogra del tempo, stiamo ancora parlando di una piccola conurbazione attorno a case rustiche. Solamente il 9 Agosto del 1897, secondo l’ordinanza municipale rmata dall’allora ministro dell’interno, si creò la parroquia di Calderòn, delimitando un area che al suo interno comprendeva numerosi insediamenti urbani tra i quali quello di Marianita de Jesus.

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Quest’atto formale pose di fatto ne alla disputa di riconoscimento politico-territoriale che contrapponeva Carapungo e Marianita de Jesus e che andava avanti ormai da 30 anni. Il nome Calderón fu in origine scelto dai veterani che avevano cominciato ad abitare nell’area di Carapungo, in ragione dell’omonimo eroe della guerra d’indipendenza. Allo stesso tempo, il cambio del nome da Carapungo a Calderon, esprimeva la necessità da parte dei mestizos (abitanti discendenti sia da popolazioni indigene che dalle popolazioni spagnole) di abbandonare un nome che implicitamente li vincolava alla popolazione indigena e al mondo non civilizzato che essa rappresentava. Anche per queste ragioni tra la ne del XIX secolo e l’inizio del XX molte località e paesi cambiarono i loro nomi originali (indigeni) a favore di quelli di origine spagnola. Secondo alcune testimonianze dell’epoca nel paese di Carapungo in quel periodo vivevano stabilmente all’incirca 200 persone, un 118

numero troppo piccolo per poter mantenere a lungo il titolo di Parroquia Rural che le era stato dato dallo stato centrale ecuatoriano e soprattutto per poter conservare un’egemonia politica-amministrativa nei confronti del paese rivale vicino; Marianita de Jesus. Per queste ragioni alcune tra le famiglie più agiate dell’epoca decisero di regalare molti terreni di proprietà a coloro che erano intenzionati ad andarsene da Carapungo. Parallelamente altri terreni furono donati alla comunità perché ci venissero costruiti sopra la piazza, il parco, il convento e il cimitero. Grazie a queste scelte lungimiranti in poco tempo cominciarono ad af uire a Carapungo numerose famiglie provenienti dai paesi vicini, salvando di fatto il destino della Parroquia stessa. Il de nitivo consolidamento demogra co della Parroquia però avvenne solamente nel 1930 quando; con l’inaugurazione dell’autostrada Panamericana Nord passante per Calderon, miglio-


rarono notevolmente le vie d’accesso al tessuto urbano consolidato oltre che, conseguentemente, aumentarono gli scambi commerciali con la città di Quito e le altre zone limitrofe. La costruzione del nuovo asse stradale che comunicava direttamente con tutto il nord del paese e giungeva sino in Colombia attrasse ulteriori ussi migratori che portarono la popolazione nel 1950, data del primo censimento nazionale, ad attestarsi a 6 930 abitanti. Secondo il censo del 1974 Calderon poteva contare su 13 358 abitanti, quasi il doppio della popolazione rispetto a 24 anni prima. L’aumento demogra co si protrasse anche nei successivi 16 anni portando la popolazione ad aumentare di ben 3 volte, e a giungere a 36 297 abitanti. Il tasso di crescita registratasi nell’arco di tempo tra il 1974 e 1990 è il più alto mai registratosi nella breve storia di Calderon, ciò nonostante la tendenza cominciò leggermente a diminuire negli anni successivi….(1990-210-2016)

Anche lo sviluppo spaziale dell’insediamento urbano fu fortemente in uenzato dalla costruzione della nuova arteria di comunicazione. A differenza della maggior parte dei paesi di origine coloniale presenti sul territorio amministrato da Quito che si ampliavano concentricamente attorno ad una piazza centrale, Calderon si espanse partendo dagli “argini” della Panamerica Nord e proseguendo lungo tutto la nuova spina dorsale che tagliava in due il territorio parrocchiale. Il grande processo di conurbazione che cominciò ad uni care parzialmente i tessuti urbani della città di Quito a quelli della Parroquia di Calderon durante tutti gli anni 70’ ebbe grosse ripercussioni sulla struttura territoriale di quest’ultima, alterandone de nitivamente la struttura agraria. Le riforme promosse in quegli anni, cui abbiamo già accennato precedentemente, causarono infatti una massiva parcellizzazione dei grandi latifondi agricoli, aumentando a dismisura la 119



quantità di piccoli terreni e lotti sui quali in un brevissimo futuro sarebbe stato possibile edi care. Senza dubbio queste politiche nella gestione e nel cambio d’uso del suolo consolidarono la crescita urbana di Calderon, ma crearono enormi conseguenze per la piani cazione per cui ancora oggi la Parroquia paga il prezzo. L’espansione di Calderon si consolidò ulteriormente negli anni ‘80, potendo ancora contare su prezzi bassi per l’acquisto dei terreni che continuarono a spingere sempre più persone da tutto il paese a migrare in quest’area per cercare fortuna o stabilirsi de nitivamente. A partire dagli anni 90’ lo sviluppo urbano sull’asse della Panamericana che tagliava in due il vecchio centro parrocchiale di Carapungo cessò privilegiando invece l’espansione lungo e parallelamente la nuova via d’accesso a Carapungo. Un nuovo e violento impulso espansivo toccò così le aree meno edi cate di San Josè de Moràn, Zabala, San-

Marianita e Llano Grande causando una crescita urbana disordinata e disorganizzata, fomentata anche dal traf co di terra illegale che spinse sempre più famiglie a trasferirsi da Quito in queste zone. Si deve a queste ragioni la nascita di quartieri illegali e semi-rurali che non dispongono dei servizi basici comuni. Parallelamente per gli stessi motivi si devono anche le costruzioni di numerosi conjuntos residenziali privati che hanno dato la possibilità di accedere a prezzi bassi ad una casa indipendente. Quest’ultimo processo di costruzione, libero da costrizioni legislative ed economicamente estremamente vantaggioso, ha riversato sull’area di Calderon un considerevole numero di investitori privati che sfruttando la bassa valutazione economica dei terreni ed una classe proprietaria disabituata a questo genere di trattative ha impiegato notevoli somme di denaro per la speculazione edilizia.

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In conclusione Calderon, come poche altre Parroquie nell’area orientale della città di Quito, ha sofferto il rapido processo di urbanizzazione degli ultimi 50 anni causato dall’esclusione de nitiva dell’attività agricola e dalla costruzione delle grandi vie di comunicazione.

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3.3 Calderón oggi Calderón è una delle 33 parroquias rurales del Distrito Metropolitano di Quito e, con una super cie di circa 80 km quadrati, è anche una delle più estese tra quelle immediatamente con nanti con la metropoli. Situata lungo la frangia urbana settentrionale della città, quasi sull’ Equatore, rispetto ad altre aree come Nanegal, Nanegalito, Napo o El Quinche si trova in una zona pianeggiante di vero e proprio con ne ed ha subito nei decenni passati un rapidissimo processo di urbanizzazione. Al contrario dei territori a nord ovest e di quelli a est della città, che mantengono (con le dovute differenze) un certo grado di ruralità, Calderón appartiene infatti a quel tipo di parroquias situate lungo l’asse di maggiore sviluppo di Quito, quello nord-sud, e caratterizzate quindi da con ni più sfocati, imprecisi e confusi con la metropoli. Per la sua ubicazione si tratta di un’area ad alta densità abitativa: nel 2001 viveva124



no qui infatti tra le 5.000 e le 15.000 persone per ettaro, con una crescita esponenziale nel ventennio 19902010, mentre le proiezioni per il 2020 prevedono una popolazione tra le 10.000 e le 30.000 persone per ettaro. Secondo l’ultimo censimento uf ciale, datato 2010, viene confermato che questa crescita non si è affatto interrotta: in dieci anni infatti la popolazione della parroquia di Calderón è quasi duplicata, passando dalle 84.000 persone nel 2001 alle quasi 153.000 del 2010 (quasi 1.500 persone in più ogni mese). Questi numeri rendono Calderón, con un aumento totale di 120.000 abitanti in 20 anni, la parroquia del DMQ dalla crescita più rapida tra tutte le aree periurbane di Quito. Uno dei motivi principali da considerarsi a causa di questo aumento di popolazione è legato ad un fenomeno di gentri cazione territoriale ed è deducibile da alcuni indicatori come, ad esempio, il costo del suolo. Negli anni ‘90, infatti, il prezzo commerciale del suolo in 126

in questa zona si aggirava tra i 9 ed i 24 dollari al mq, mentre nelle aree più centrali della città la forbice andava dai 51 ai 173 dollari/mq. Per questo motivo, e per il fatto che Calderón costituiva un’area ben collegata grazie alla Panamericana Norte, molte persone che prima risiedevano in aree più centrali della città hanno dovuto arrendersi a trasferire la propria attività o la propria famiglia, per continuare a lavorare a Quito. Da quanto emerso durante una breve chiaccherata sull’area con la professoressa Dora Arizaga Guzman, ex direttrice dell’Istituto Metropolitano del Patrimonio di Quito, questo rapido processo di urbanizzazione, specialmente al Nord, è tuttavia sfuggito di mano all’amministrazione e sebbene il Governo Autonomo Decentralizzato di Calderón come tutti gli altri GAD dell’Area Metropolitana sia tenuto a piani care lo sviluppo del suo territorio tramite gli opportuni strumenti di piano, persistono forti dubbi su quanto questo processo sia stato effettivamente control-


lato. L’area di Calderón, in particolare, ha sofferto di una forte perdita di centralità dal momento che, prima del suo assorbimento da parte di Quito, costituiva un pueblo autonomo e distinto dalla città.

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Il Governo Autonomo Decentralizzato (G.A.D) A partire dall’anno 2008, attraverso la promulgazione di apposite leggi, lo stato ecuatoriano ha riconosciuto alle parroquias rurales il titolo di Governi Autonomi Decentralizzati, assegnandovi speciche forme di autonomia e competenza, oltre a particolari forme di nanziamento. Parlando di numeri, la parroquia di Calderon ha visto, dal 2011 al 2015, un aumento del 2% degli investimenti da parte dello stato. Da questa somma, che il GAD riceve annualmente e che nel 2015 risulta essere di circa 4.000.000 di dollari, la parroquia è tenuta per legge a destinare un 70% ad investimenti per lo sviluppo, e solo il 30% restante per coprire i costi. Questo 70% viene quindi annualmente investito in progetto sociali ed infrastrutturali. Tra i progetti più interessanti del 2015 emerge a nostro avviso uno strutturato programma di prevenzione alla delinquenza, che ha visto il coinvolgimento di numerosi cittadini in corsi di formazio-

ne gratuiti tenuti in collaborazione con gli uf ci di polizia e che è culminata con la creazione di un Consiglio per la Sicurezza della Parroquia. Per quanto riguarda le opere pubbliche, principalmente legate all’adeguamento stradale, non si può certo dire che lo sforzo manchi. Tuttavia, se consideriamo la popolazione totale ed il tasso di crescita annuale, dobbiamo ammettere che 1.000.000 di dollari all’anno per un’area tanto vasta non sono un tipo di nanziamento nemmeno lontanamente suf ciente a risolvere i problemi con cui i quartieri si trovano a confronto. Nota positiva, ad ogni modo, è la modalità con cui questo tipo di lavoro viene svolto, dalle dinamiche fortemente partecipative e trasparenti. Esempio di questo possiamo trovarlo nei numerosi interventi infrastrutturali, dalla ristrutturazione delle case barriali alla stesura dell’asfalto, in cui è documentata la partecipazione attiva e concreta dei cittadini ai lavori.

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Cenni generali sull’economia La parrocchia, per il suo alto grado di urbanizzazione, presenta numerosissimi barrios divisi nei seguenti settori: Bellavista, San Juan, Centro Parroquial, San José de Moran, Marianas-Zabala, Carapungo, Llano Grande, Centro Administrativo, e altri co-muni. L’area si caratterizza per essere uno dei maggiori poli di sviluppo industriale del nord di Quito con grandi, medie e piccole attività industriali: per questo ricopre oggi un ruolo importante per la produzione e distribuzione di beni di ogni ge-nere verso la città. A questo settore si aggiunge quello della col-tivazione, anche per autosussitenza, di mais ed altri cereali. Con una popolazione giovane ed economicamente attiva di quasi 74.000 persone nel 2010, i settori che portano maggiore occupazione sono il commercio (formale ed informale) con il 20% e l’industria manifatturiera con il 17%: gli altri settori eco-nomici, seppur vari, sono molto 132

meno rilevanti. Le tipologie di impiego più diffuse sono pertanto: impiegati nei servizi e nel commercio (20%), operai ed artigiani (16%), meccanici ed ope-rai specializzati (11%). Le tipologie di attività industriali a Calderón sono piuttosto di-versi cate e vanno dal metalmeccanico all’industria della plastica, passando per stabilimenti chimici, per la lavorazione della carta, attività artigianali, tessili, fonderie, etc.. Un’attività, inve-ce, che rende piuttosto celebre e caratteristica questa zona ri-guarda l’artigianato di marzapane. Legato a questo, secondo alcune analisi di piano, anche il setto-re turistico, tanto nazionale quanto internazionale, è in crescita e rappresenta una possibilità importante per il territorio. Calderón possiede infatti diversi parchi, osservatori, centri artigianali, strutture ricettive e ristoranti di cucina tradizionale.




Ancora oggi Calderón, sebbene non come luoghi tipo Otavalo, mantiene una quota parte di popolazione indios, e questo tipo di origini rimangono ben visibili nella cultura e nelle tradizioni locali. Il 2 di novembre di ogni anno infatti a Calderón, in occasione della festività per i morti, molte persone si radunano insieme per andare al cimitero e onorare i defunti. Questo evento, si familiare, ha però anche qualcosa del folcloristico, del popolare e comincia a diventare un’attrazione turistica.

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Caratteri della crescita Come abbiamo già detto, oggi Calderón è un’area in cui vivono moltissime persone e la maggior parte di queste, vale la pena di sottolinearlo nuovamente, sono “nuovi arrivati”, la cui sistemazione avviene o all’interno dei conjuntos o in case illegali. I primi sono generalmente recintati, senza alcuna relazione con il contesto circostante: se ti ci trovi dentro non hai alcun modo di valutare in che parte della città ti trovi. Le seconde, generalmente, sono il risultato di un’occupazione informale o sono state edi cate in zone non urbanizzabili. Questa popolazione “nuova”, diversa spesso per origine, situazione sociale o etnica, convive oggi con quella di più vecchia data. Molti dei nuovi abitanti, lavorando a Quito, vivono poco lo spazio urbano, che risulta essere quasi un dormitorio. A Calderon si torna per dormire e riposarsi, e questo con il tempo ha sottratto allo spazio esterno il suo signi cato sociale. 136

D’altro canto nell’area vivono anche coloro che vi sono nati, che vivono la parroquia come luogo di lavoro e di socializzazione. Da questa situazione derivano una serie di problemi per la convivenza quotidiana. E’ diffuso, tra i vecchi occupanti, un certo risentimento nell’accettare ancora la presenza di estranei, soprattutto colombiani ed afroamericani. A queste problematiche di natura sociale, si vanno a sommare poi quelle infrastrutturali, riguardanti la copertura dei servizi di base. La violenta urbanizzazione degli ultimi decenni ha infatti de nitivamente superato il limite delle possibilità economiche del Municipio. Per questo motivo servizi come quello dell’acqua, della luce elettrica, dei servizi della salute, e via dicendo, possono considerarsi carenti. Ci sono barrio all’interno della parroquia che non hanno la rete di distribuzione dell’acqua, nè tantomento una infrastruttura stradale adeguata mentre altri rice-


vono l’acqua solo alcuni giorni a settimana, sebbene negli ultimi anni la situazione stia migliorando.

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dal diario di bordo Come è facile intuire da quanto scritto in precedenza uno dei più grandi problemi per coloro che arrivano la prima volta a Calderon è la sensazione di spaesamento totale ma ancor di più la mancanza di possibilità di orientamento. Ci troviamo infatti su un grande altopiano soleggiato, contornato da alte creste rocciose che si stagliano in lontananza, ben al di fuori dai con- ni parrocchiali. Ruotando la testa di 360 gradi ciò che appare agli occhi a distanza di qualche chilometro è sempre ed esclusi-vamente un paesaggio piano in nito. Questo in realtà è una ca-ratteristica comune a molte città mondiali ma tale ragione non è suf ciente a giusti care una simile sensazione di disorienta-mento e non fa altro che rafforzare la tesi che tra poco andremo a descrivere. La nostra argomentazione trova infatti sostegno nel fatto che Calderon oltre ad essere una pianura naturale, pre-senta uno sviluppo in altezza degli edi ci che non supera mai i 3/4 piani. I fabbricati sono ri140

ripetuti e spalmati in maniera omo-genea su tutta la supercie della parroquia, rendendo impossibi-le individuare picchi di natura biologica o arti ciale e di conse-guenza riconoscere elementi caratteristici, nello spazio di chilo-metri. L’unico edi cio che siamo certi superasse questa quota altimetrica è l’ospedale di Calderon, che a causa delle sue fun-zioni e del suo insediamento in un tessuto urbano più denso, si è sviluppato con un’altezza maggiore rispetto a tutti gli altri edi ci della Parroquia. Nonostante ciò, rimane un edi cio esi-guo se paragonato e comparato alla vastità del territorio sul qua-le è sorto. Altre ragioni che appoggiano la nostra tesi e che ci hanno portato a perderci più di una volta durante le nostre visi-te sono di sicuro la lunghezza delle strade ed il loro contorno. Il più delle volte, le vie stradali che tagliano il territorio perpendi-colarmente all’andamento della Panamericana e si spingono all’interno della meseta per chilometri e chilometri, appaiono come lunghi imbuti



ti circoscritti da alti muri che hanno la sola funzione di recintare case monofamiliari, conjuntos o lotti anco-ra vuoti. Lo scenario quindi che si presenta ai lati delle strade è pressoché il medesimo in quasi tutte le aree della Parroquia ma quello che più in uisce a scapito dell’orientamento è sicuramen-te la mancanza di gerarchia stradale. Ci troviamo infatti in un contesto dove perdura la mancanza di un sistema organizzativo graduato tra le vie di comunicazione, soprattutto per quel che riguarda le zone più distanti dai centri abitati a più alta densità. In queste aree, sebbene spesso la densità abitativa sia minima, sono state asfaltate lunghissime strisce di terreno, estendendo la carreggiata stradale ben aldilà delle reali necessità legate al traf- co automobilistico e riducendo al minimo lo spazio dedicato ai pedoni e al marciapiede. Di sicuro, tra le ragioni che hanno spinto le varie amministrazioni territoriali ad agire in questo modo, c’è stata la volontà di costruire anticipatamene infrastrutture impor142

tanti in grado di assorbire un usso di trasporti elevato, in previsione di un probabile aumento degli abitanti che potrebbero occupare un giorno queste aree. Tuttavia, come è stato più volte spiegato in precedenza, le politiche di divisione territoriale istituite in questi anni hanno favorito, per lo più, uno sviluppo edilizio a bassa densità abitativa rendendo al momento del tutto inutile una tale grandezza nelle infrastrutture di comu-nicazione stradale. Attualmente il rischio sensibile è quello di creare delle lunghe “autostrade” deserte, accanto alle quali si estendano tante piccole proprietà monofamiliari che avrebbero come unica e grave conseguenza quella di restituire alla città stessa una “vita di strada” ancor più desolante e aliena. Tornan-do a temi più strettamente legati all’orientamento e al ricono-scimento; queste numerose e lunghe “autostrade”, tutte simili tra loro, sono, loro malgrado, complici insieme alle politiche territoriali nell’aver creato un apparato scenico/ fondo urbano ripetitivo ed irri-


conoscibile. Il riconoscere, in maniera del tutto evi-dente, è uno degli elementi cardine af nché un luogo venga identi cato e ricordato, non solo, è provato come riconoscere uno spazio crei nel cittadino stesso un senso di appartenenza e soprattutto di sicurezza di gran lunga maggiore rispetto ad un’area in cui è dif cile identi carsi. Sarebbe un errore pensare che i cittadini di Calderon non abbiano dei luoghi urbani di ri-ferimento per orientarsi o nei quali si identi chino ma è senz’altro vero che questi appaiono ben pochi se confrontati alla grandezza del territorio e allo stesso numero di abitanti. Sareb-be utile quindi pensare a come poter in uenzare ed aiutare quel-le aree più distanti dai centri economici e amministrativi della Parroquia per renderle il più possibile distinguibili e identi ca-bili tra loro. In maniera da collaborare, in questo modo, suppor-tati anche da altre iniziative parallele, alla loro effettiva nascita come luoghi urbani provvisti di un’identità precisa e de nita. 143



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3.4 La casa come eterotopia negativa La casa, come luogo della famiglia, è sempre stata e sempre sarà un’ eterotopia, uno spazio altro rispetto a quello urbano e questo non dovrebbe considerarsi di per sè un fatto negativo, potremmo dire che sia nella sua natura. Questa relazione tra città e casa, tuttavia, non è mai interrotta ed il dialogo che ne nasce organizza sostanzialmente entrambe queste dimensioni: le eterotopie, e la casa con queste, “sviluppano infatti una funzione con lo spazio restante”. Essa quindi, non solo signi ca qualcosa e dice qualcosa della città, ma altrettanto ne struttura o destruttura continuamente lo spazio sociale. Lo stesso Loos sottolineava dopotutto, seppur in altri termini, la presenza di questa relazione: [13] “La casa deve piacere a tutti. A differenza dell’opera d’arte, che non ha bisogno di piacere a nessuno. L’opera d’arte viene messa al mondo senza che ve ne sia un bisogno. La casa invece soddisfa un 146

bisogno. L’opera d’arte non è responsabile verso nessuno, la casa verso tutti”

Uno degli aspetti evidenti e più immediatamente percepibili del territorio di Calderón è sicuramente quello legato allo spazio ed alla forma dell’abitare. “Spazio” da un lato per via delle enormi super ci destinate alla residenza; “Forma” dall’altro poichè questo predominio funzionale della vivienda tende a con gurarsi in uno spazio altro “negativo” composto da tipologie chiuse e sorvegliate, il cui valore si misura sulla loro capacità di isolarsi dallo spazio condiviso. Isolamento che esprime quindi una domanda di sicurezza e che si declina attraverso un lessico urbano fatto di mura, recinzioni, lo elettri cato e guardie: un lessico volto a disciplinare e discretizzare lo spazio, a ridurre per quanto possibile gli effetti imprevisti del suo contenuto sociale. Il conjunto residencial e la villa in questo quadro rappresentano però un ossimoro spaziale: il loro scopo è essenzialmente quello di ricostruire


una percezione di sicurezza che lo spazio esterno non garantisce, ma così facendo creano un’illusione. Illusione data dal fatto che la residenza serrata, per sua stessa struttura, aumenta ed esibisce una percezione di generale insicurezza dello spazio urbano ed ampli ca così in un eco paranoico le stesse dinamiche da cui tenta di sottrarsi. Come de niamo quindi questa architettura e soprattutto, come decidiamo di giudicarla? Se da un lato dobbiamo infatti considerare la paura come un elemento storicamente strutturale della città, dall’altro dobbiamo sforzarci a distinguerne le fonti dagli eco ed evitare che questi si trasformino non solo in elementi di intolleranza e disgregazione sociale, ma altrettanto in una sistematica conferma del pregiudizio. [14] “Ad una siccità epocale fanno presto seguito il diluvio, il terremoto, la guerra nucleare, la peste, un’invasione dei russi e la riemersione di Atlandide dalle acque. Poi, quando il peggio sembra passato,

[ci] si accorge di una macchia solare insolitamente ampia. Il sole ha cominciato a morire…”

Lo spazio condiviso è sempre potenzialmente “pericoloso” ed i dispositivi disciplinari che continuamente produce non risolvono di per sè il problema: non può esistere uno spazio “sicuro”. Al contrario: nello spazio certo, nominato, catalogato, ogni piccola incrinatura viene percepita ed assume l’aspetto di una voragine. Alla razionalità dello spazio scienti co dobbiamo quindi contrapporre spazi confermati e ri-confermati dalle relazioni sociali, proprio per evitare che le inevitabili delusioni che sempre riservano niscano per declinare il mito di una città insicura in un luogo di reale pericolo, in una dinamica psicologica ancora una volta studiata da Davis: [15] “Non c’è dubbio che siamo capitati in mezzo a qualcosa di strano. Forse, come vogliono i predicatori, Dio ce l’ha con noi per colpa di tutti quei lm pieni di porcherie”.

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Mentre nella Los Angeles di Davis tuttavia l’invenzione cinematogra ca del disastro mostra considerevoli e numerosi spunti storici, a Calderon, o almeno in molte sue aree, l’insicurezza fantasticata supera probabilmente il dato reale. Il termine che sarebbe più corretto usare d’ora in avanti è quindi quello di un’ “architettura della dif denza”, concetto che potremmo distinguere da quello di “architettura della paura”. Tratto caratteristico di questa “architettura della dif denza” è quello di tradursi in un atteggiamento di indifferenza nei confronti dello spazio urbano, dinamica che, nel secondo caso, più facilmente incontra invece la necessità di un’azione verso l’esterno, che sia più o meno collettiva. Si tratta quindi di un circolo vizioso dif cile da rompere: da un lato il dubbio produce indifferenza, dall’altro l’indifferenza produce inerzia. L’inerzia si traduce in una mancata appropriazione del proprio spazio urbano e così il dubbio si conferma, per poi 148

rientrare in circolo. Mancano i riferimenti, manca la memoria personale ed il legame affettivo con il “fuori”. Un “fuori” che, anche volendo, non possiede nessuna, o quasi nessuna, qualità estetica. La gated community, quando ancora potessimo parlare di community, così come i lotti murati e le ville isolate introducono in ne a loro volta un elemento di mistero nel percorso urbano, una macchia nera, un luogo inconoscibile a chi non ha diritto di accedervi. Conoscere la città diventa impossibile. Lo stato di fatto è quindi quello di uno spazio “di nessuno” forse sicuro, forse insicuro, dove raramente si riesce a trovare una piacevole scusa per restare e dove la mancanza di servizi pubblici come parchi e spazi comuni rappresenta quindi solo una piccola parte del problema.





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Da cosa dipendono queste manifestazioni? Da quali processi si originano e come si riconfermano? Lo spazio “aperto” di Calderón è, oltre che privo di gerarchie, popolato in buona parte da estranei, da persone che, molto semplicemente, non si conoscono. Questo dipende probabilmente dal rapido processo di urbanizzazione di cui quest’area si è fatta carico e la differenza sostanziale introdotta da questo contesto rispetto ad altri sta forse proprio in questo. Se da un lato infatti dobbiamo considerare l’esigenza di controllo una necessità comune, dall’altro le espressioni che questa trova sono decisamente più esplicite qui rispetto ad altri casi. Il giardino frontale del villino americano, perfetto dispositivo di mutuo controllo, viene sostituito infatti dalla barriera sica, e non si può non pensare che questo non dipenda, tra le altre cose, dall’assenza di strutturate relazioni di vicinato, aspetto da considerarsi forse normale per un territorio così “giovane”. 154

Calderón in parallelo, almeno nelle aree che abbiamo studiato, non presenta un esplicito carattere di pericolo. Di come questa percezione venga ampli cata dalla costante vista di un paesaggio militarizzato abbiamo già parlato, parliamo ora delle cause. Una delle possibili spiegazioni si potrebbe considerare legata al fatto che la maggior parte dei residenti nell’area vi sia arrivata da pochissimo tempo (dai nostri dati quasi il 64% vi risiede da meno di 10 anni). In questa situazione è facile che i nuovi arrivati portino sul territorio pregiudizi costruiti altrove o che, al contrario, costruiscano sulle differenze notate una rappresentazione negativa della realtà. Dovunque sia la risposta, le possibili soluzioni riguardano comunque la necessità di un’appropriazione dello spazio. Lo spazio di nessuno, come spazio sconosciuto, può facilmente diventare pericoloso quando diventa di “molti”, cosa che non possiamo


escludere dall’immediato futuro dell’area e che anzi risulta piuttosto evidente. A questo punto sorge un quesito fondamentale per poter analizzare meglio la questione: chi abita queste case? Cosa richiedono queste persone al mercato? Che uso fanno dello spazio esterno, cosa interpretano come carente e cosa invece come soddisfacente? A queste domande abbiamo cercato di rispondere organizzando un workshop con la popolazione locale, in collaborazione con l’uf cio per la partecipazione cittadina di Calderon, di cui parleremo più avanti.

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3.5 I Piani Ma cosa dice oggi la pianicazione sulla parroquia di Calderón? Elemento che emerge sempre, da tutte le analisi di piano consultate, è la consapevolezza da parte dell’amministrazione di quanto questa zona sia un punto strategico per la connessione tra Quito e le aree settentrionali. La parroquia rientra, specie per quanto riguarda infatti Carapungo, in un grande piano di investimento infrastrutturale circa la creazione di uno svincolo, in parte già realizzato, che dovrà alleggerire il carico del traf co in entrata ed uscita dalla parroquia (66.277 viaggi giornalieri). Per quanto riguarda l’uso del suolo, i piani attribuiscono all’area un uso principalmente residenziale che, ad alcune voci, viene riportato come “residenziale in consolidamento”, dal momento che tutt’oggi quasi il 25% del suolo risulta inedi cato.

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Circa l’uso del suolo, importante spazio viene poi dato alle considerazioni a proposito delle urbanizzazioni illegali ed informali favorite, citando testualmente, da “meccanismi eccessivamente restrittivi che limitano il processo legale di urbanizzazione”, con riferimento alle quote di parcellizzazione che non sempre consentono una divisione adeguata della proprietà.


Visione della parroquia All’interno del documenti speci co di piano speci cocirca la parroquia di Calderon, alla voce “visione” si legge:

consolidamento di questa vocazione con una nuova forma di spazio pubblico di qualità in un ambiente che in molti de niscono “tranquillo”.

Calderón come centro di produzione di gure in marzapane. Zona urbanistica ordinata, legale, con servizi di base di qualità ed ottime infrastrutture per la mobilità. Gente unita che conserva i propri costumi e le proprie tradizioni. Parrocchia indu-strialmente competitiva e generatrice di impiego, che possiede microimprese locali mantendendo la propria cultura, con un governo parrocchiale impegnato nella promozione di una demo-crazia partecipativa, inclusiva e trasparente.

In relazione alle analisi S.W.O.T emerge forse un’attenzione eccessiva verso alcune attività tradizionali, che vengono presentate si come elemento di una potenziale economia, ma che in alcun modo risultano a nostro avviso come forti basi per lo sviluppo dell’area. Basi che invece andrebbero ricercate nel potenziamento della vocazione residenziale della parroquia e nel 157


Analisi S.W.O.T Punti di forza, debolezza, opportunità e minaccia identicati all’interno del Plan de Desarollo Territorial 2012-25 PUNTI DI FORZA • Organizzazione in barrios • Autogestione nella realizzazione delle opere • Il clima permette un buon stile di vita • La parrocchia tiene spazio per nuovi insediamenti urbani • Gente onesta, solidale, tranquilla, rispettosa • Buone infrastrutture per la mobilità • Vicinanza a Quito • Mercato di distribuzione dei prodotti PUNTI DI DEBOLEZZA • Scarsa diffusione, pubblicità e promozione della parroc-chia, specialmente dal punto di vista turistico • Infrastrutture e servizi turistici insuf cienti • Scarsa partecipazione • De cit di servizi base • Scarsa presenza di personale di polizia • Inadeguate infrastrutture 158

di mobilità per l’entrata e l’uscita dalla parrocchia • Scarsità di mezzi economici • Stato di degrado delle infrastrutture viarie OPPORTUNITA’ • Promuovere ed incrementare la domanda turistica locale, nazionale ed internazionale • Promuovere l’imprenditorialità ed il know-how • Buona connessione con le parrocchie con nanti • Qualità dell’edi cato residenziale • Esistenza di progetti per opere viarie • Appoggio delle istituzioni dello Stato Centrale (Municipio, Consiglio Provinciale) RISCHI • Immigrazione, insicurezza e delinquenza • Instabilità economica, politica e sociale • Aumento di eventi criminali • Mancanza di controllo sul trattamento dell’acqua • Acqua contaminata • De cit nel trasporto pubblico • Monopolio nel settore dei trasporti


Come vediamo particolare attenzione viene riservata al turismo come azione strategica per lo sviluppo, in linea probabilmente con le recenti politiche nazionali. Purtroppo, sebbene il piano identi chi correttamente problematiche come la mancanza di gerarchia stradale, di indici di urbanizzazioni insuf cienti e di “crescita disordinata�, non identi ca nella soluzione a questi problemi una linea strategica fondamentale per lo sviluppo economico omogeneo dell’area.

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dal diario di bordo Carapungo ormai è alle spalle come anche il chiasso e la folla di gente, ci troviamo nuovamente su uno dei tanti rilievi della cit-tà, nella solita strada ritmata da elementi prefabbricati e circon-dati dalle solite case costruite in blocchi di cemento grigio; molte non sono terminate. Cominciamo a scendere per cercare un altro bus che ci porti alla nostra meta (anche quel viaggio non andrà a buon ne ma di questo ne parleremo tra poco) e ci imbattiamo in uno scenario inospitale: tutto è grigio e pare abbandonato, la vitalità che avevamo potuto constatare poco prima ormai è un lontano ri-cordo. Scorgiamo i primi lotti di terreno vuoti, la vegetazione è secca e brulla, molti dei recinti che li circondano hanno una car-tello af sso che recita la scritta viendo, la grande rincorsa a Calderon non pare essersi fermata, anzi sembra che la specula-zione fondiaria stia raggiungendo adesso i suoi picchi. Tutto è in costruzione: è un cantiere di chilometri. Arriviamo ad una piazzetta 162

nalmente; una piccola chie sa antica ed una fermata del bus. Prendiamo il bus in direzione San Juan con l’intenzione di scendere a Bellavista, barrio che riteniamo essere quello che ospita il GAD. Cominciamo a scendere dal promontorio che avevamo visitato poc’anzi ma il paesaggio edi cato non sembra cambiare di molto se non per la presenza più frequente di qualche grande campo incolto. Lunga parte del tragitto del bus si sviluppa in una Calle chiamata Pio XI, che tra tutti i papi ci sfugge . E’ giunto il momento di scendere: ci dicono che siamo arrivati a Bellavista. Scendiamo e come di regola ci siamo sbagliati: siamo in una zona a dir poco piatta di Calderon che tutto ricorda fuorchè una “bellavista” e sopratutto che non abbiamo mai percorso prima. Qui comincia la nostra lunga scarpinata, convinti ormai di non voler più prendere il bus vista la nostra incapacità nello scegliere le destinazioni giuste. Per descrivere meglio lo stato delle cose in questa zona della città un’analogia



con il Far West o, più specicamente, con la conquista del Far West. Sebbene Calderón sia una grande ed unica città niente sarebbe più sbagliato che de nirla tale da questa particolare prospettiva. Quello che stupisce infatti sono gli spazi ampi e deserti, soprattutto alle spalle delle case che si affacciano sulla strada, proprio come nella scenogra a di un lm western. In niti insediamenti abitati che si sviluppano lungo un’ unica strada principale e afanco ad essa il nulla, la verde prateria in nita (che qui non c’è come negli USA) o il secco e arido deserto. La città qui si sta ancora fondando, la costruzione dell’idea stessa di città sembra ancora in divenire o in continuo mutamento Siamo di nuovo catapultati in una realtà di paese, dove un tempo la dimensione agricola aveva una sua dignità ed un suo spazio, ma dove tutto ora sembra sostituito da lunghe strisce asfaltate e da alti muri che le delimi164

tano. Come in altri luoghi di Calderón anche qui le case sono tornate ad avere un altezza limitata , d’altronde qui una densi cazione sarebbe impensabile da parte degli abitanti: ognuno ha la sua piccola casa singola o al massimo vive in villette bifamiliari. Chi non lo vorrebbe? Negli USA forse non è stato lo stesso? E così camminiamo per questi vialoni scon nati dove tutto è sparso e tutto ampiamente isolato, sicamente e socialmente. I risopraggiunti muri volti a proteggere da non si sa quale criminalità di certo non aiutano la comunicazione. Un’ altra cosa pare strana e senza logica (ma si sa tutto ciò che risponde a motivazioni economiche non è mai senza una giusti cazione), le case appaiono con un solo lato della facciata intonacato (prospetto su strada), spesso anche dei colori più strani, mentre ai lati i nudi e crudi blocchi prefabbricati di cemento fanno ancora da padroni. Qui la grande dimostrazione di oculatezza economica dei costruttori


di case autonome: perchè spendere altro denaro nella tinteggiatura o nell’intonaco? “Prima o dopo qualcuno verrà ad abitare af anco a me e quei brutti blocchi di cemento mai si vedranno”. Come dar loro torto: il rischio della spesa non ne varrebbe la pena, la casa potrebbe anche non essere mai terminata ed ogni costo di costruzione va attentamente valutato.

settimana addietro e ci rimmergiamo in una realtà che ci pare già familiare, è incredibile come l’essere stato in un luogo solamente una volta possa farti sentire più sicuro, il GAD ormai non è molto lontano e le distanze tornano ad essere affrontabili, soprattutto psicologicamente. Oramai il Far West sembra lontano ma forse è soltanto un illusione o una delle tante contraddizioni di questo territorio.

Continuiamo a camminare e ci imbattiamo in quell’isola in mezzo al mare che mai ci saremmo aspettati di incontrare: un centro scolastico nuovo di zecca, bianco, quasi accecante in mezzo a tutta quella cupezza dove umi di ragazzini in divisa fanno la la per entrare. L’eccellenza scolastica di Calderon in mezzo al suo stesso deserto sico e sociale, forse questa non è poi una così brutta idea anche se la zona limitrofa, per usare un eufemismo, sembra ancora far fatica a sbocciare del tutto. Scorgiamo nalmente quello che sembra il boulevard che avevamo incontrato una 165


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Mariana de Jesus




4.1 Un quartiere tra i quartieri Il “barrio” di Mariana de Jesus è un settore urbano a bassa densità che si sviluppa nell’area centro orientale del tessuto urbano di Calderon tra i quartieri di Esperanza y Progreso, Zabala e Bellavista e si trova al termine di uno degli assi più importanti della Parroquia, Giovanni Calles, che di qui in poi infatti cambia nome. Come la maggior parte dei settori di Calderon anche quello di Mariana risente di un rapida espansione urbana che però negli anni ha portato il quartiere a crescere in maniera disordinata, perdendo parte dell’identità storica che possedeva. L’entrata nell’area di studio è segnalata dalla presenza di un piccolo distretto di polizia oltre che dalla casa comunale, edi cio predisposto per le riunioni di quartiere ed eventi di carattere istituzionali, entrambi si trovano a ridosso di un bivio le cui due biforcazioni portano appunto una a Mariana de Jesus e l’altra a Zabala. Percorrendo il percorso alla sinistra del 170

suddetto incrocio si giunge in ne ad una chicane, primo e visibile elemento di interruzione del viale Giovani Calles, ed è proprio in corrispondenza di questa doppia curva che si apre una piccola piazzetta antistante la chiesa di Nuestra Senora de Montserrat. La piazza della chiesa, di cui parleremo anche più avanti in riferimento all’analisi sugli spazi pubblici, appare, come per tutte queste aree de late dal cuore economico-sociale della Parroquia, lo spazio principale della vita sociale attorno al quale si sviluppa il principale tessuto urbano dell’area. Come tanti settori di Calderon, anche quello di Mariana de Jesus nasceva come una cellula indipendente rispetto ai nuclei urbani già organizzati in tessuti più complessi delle aree di Carapungo e del barrio Central. Nella sua forma più antica Mariana infatti nasceva come un vero e proprio piccolo paese indipendente che poi con i rapidi processi di urbanizzazione è stato assorbito nella trama urbana più serrata di un’unica Parroquia, quella di Cal-



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deron, per l’appunto. Mariana quindi oggi si con gura come il risultato della somma si alcuni barrio più piccoli, dai con ni incerti che via via con gli anni sono fusi nella creazione di questo settore. Perchè Mariana? Mariana per tanti motivi è stato frutto di una scoperta inaspettata, come spesso è accaduto a tanti avventurieri (come lo siamo stati noi) ci siamo accorti solo dopo un po’ di tempo di aver trovato l’area che faceva al caso nostro e che cercavamo per sviluppare le nostre tesi e proposte progettuali. Questo perché Mariana a differenza di altri settori di questa enorme area periurbana di Quito, si pre gura come un tessuto urbano ibrido; se da un lato infatti abbiamo aree che si sviluppano con un andamento più ordinato e che in un primo momento appare seguire delle regole, altre aree, in tutt’altra maniera sembrano non seguire alcuna forma di piani cazione e si estendono come micro settori indipendenti e non comunicanti tra loro. 174

Oltre all’aspetto della non comunicazione legato in maniera più generale alla crescita sregolata di questi tessuti è possibile individuarne uno ben più speci co relazionato ai micro ostacoli/ barriere che rafforzano queste non relazioni a scala più bassa. Queste due tendenze, tra cui la seconda, che avevamo già individuato in maniera più che diffusa su tutto il territorio di Calderon, sono stati gli aspetti più rilevanti che ci hanno spinto a scegliere quest’ area.



Con ni, percorsi e spazio pubblico Come in parte già detto, i con ni di quest’area sono dif cilmente individuabili anche a causa della sua conformazione come settore somma di differenti barrios. Sebbene i limiti non siano facilmente identi cabili attraverso un’esplorazione a piedi, da un’attenta indagine dei tessuti che circondano l’area di analisi è osservabile come proprio in questa zona ci sia un cambiamento dell’orditura dei lotti che non segue più un andamento ortogonale alla via principale Giovanni Calles ma si dirama in due differenti orientamenti. Anche per questo motivo nella suddetta area si va a creare un evidente vuoto rispetto alla più tta maglia, formata anche da lotti ben più piccoli, che si riscontra nelle aree limitrofe di Zabala e Bellavista. L’individuazione dei limiti di Mariana si può notare in maniera semplice esclusivamente tramite l’uso di immagini satellitari nelle quali si osserva come in questa area si sia formato grazie ai percorsi che cingono il set176

tore un vero e proprio macro isolato dalla densità abitativa estremamente bassa. L’area di studio si innesta quindi sulle diramazioni trasversali di due assi principali Giovanni Calles che superata l’area della chiesa si trasforma in calle Amalia Uriguen e Francisco de Albornoz. Proprio quest’ultima, recentemente asfaltata, è il percorso ormai non più parallelo, che biforcandosi dall’asse che taglia in due parti il barrio (Uriguen-Calles) diventa generatore del nuovo orientamento dell’orditura dei lotti. I rari percorsi per lo più ancora sterrati che tagliano trasversalmente questo tracciato che si innesta diagonalmente nel disegno urbano vanno quindi a ricongiungersi con Amalia Uriguen. Un capitolo a parte lo meritano sicuramente i così detti percorsi informali, che mostrano come spesso gli abitanti di questa zona, a fronte di una carenza di comunicazione tra aree differenti di Mariana si siano adattati allo stato di fatto della zona, andando a tracciare veri e propri percorsi campestri attraverso il


ripetuto passaggio sui terreni di alcuni lotti inutilizzati o abbandonati. Questi percorsi frutto di una necessità di abbreviare i tempi di spostamento all’interno del barrio stesso, dimostrano ancora una volta come si sia sviluppato un bisogno fondamentale di connettere ed a volte riconnettere zone no a questo momento isolate o poco rifornite di percorsi. Caso lampante è sicuramente l’enorme lotto che si estende trasversalmente a calle Calvache, che essendo dotato di un muretto relativamente basso e costruito in maniera discontinua lungo il con ne del terreno, è cominciato ad essere usufruito come spazio di comunicazione nonostante l’assenza di percorsi strutturati. Lungo Amalia Uriguen si sono insediate tutte le principali attività economiche di Mariana oltre che il Colegio del Millenio, uno dei tanti licei pubblici di recente costruzione e fortemente voluti durante il governo Correa. Proprio il Colegio del Millenio rappresenta uno dei 4 principali spazi pubblici dell’area

di Mariana de Jesus insieme alla chiesa de Nuestra Senora de Montserrat e a due aree adibite a parco pubblico che si sviluppano però nelle aree più interne del tessuto urbano. La chiesa de Nuestra Senora de Montserrat come scritto nell’introduzione all’area di progetto si erge di fronte a una piccola piazzetta che rappresenta di fatto lo spazio pubblico principale e il luogo più vivace dal punto di vista della vita sociale soprattutto durante le domeniche e i giorni festivi. Sebbene questa piccola area non presenti particolari qualità architettoniche, la sua posizione strategica lungo la via di comunicazione principale e l’ubicazione tra le trame più tte del quartiere la rendono un punto di importanza fondamentale nell’ambito della struttura urbana. Questo spazio come si evince da alcune foto storiche rappresenta il cuore generatore di tutti quegli impulsi che hanno portato ad un veloce progredire della crescita urbana. Si tratta quindi oltre che del centro di condivi177


visone sociale più importante anche del nocciolo generatore del settore, sebbene lo sviluppo dei tessuti urbani da questo punto focale non si sia svolto in maniera del tutto omogenea. La piazza ospita quindi una fermata della linea dei bus ed è contornata da una serie di tiendas oltre che di attività di servizio. Oltre alla piazzetta della chiesa e agli spazi prospicienti il Colegio del Milennio di cui avremo modo di parlare anche in seguito, come già in parte anticipato sono stati individuati altri due spazi pubblici destinati al verde che si trovano rispettivamente lungo calle Humberto Puga e calle Paris. Entrambi presentano una qualità ed una manutenzione alquanto de citaria oltre a non essere attrezzati in maniera adeguata alla funzione che dovrebbero assolvere. Tralasciando queste valutazioni puramente legate alle peculiarità di questi spazi è importante notare come ambedue i casi si possano de nire degli spazi di risulta, prodotti cioè dalla parcel178

lizzazione dei lotti in cellule via via più limitate dimensionalmente. Entrambi inoltre si trovano su percorsi secondari all’interno di aree poco frequentate e nel caso del parco lungo calle Paris sono circondati addirittura da un percorso accidentato completamente sterrato che inuisce negativamente sulla già poca attrattività dell’area. In ne va data attenzione allo spazio pubblico antistate l’ingresso del Colegio del Millenio, sebbene non si tratti di una vera e propria piazza, quest’area che nasce dall’arretramento del fronte della scuola rispetto alla carreggiata è sicuramente uno degli spazi pubblici principali di Mariana de Jesus e sicuramente quello che viene meglio gestito e mantenuto. Questa piccola isola attrezzata inoltre si sviluppa per buona parte al di sotto della carreggiata creando un ulteriore divisione sica-funzionale che la racchiude in un’area ben de nita, non riducendo questo spazio a mero allargamento della strada. la frequentazione


Per quanto riguarda la frequentazione di questo luogo è naturale che avvenga in maniera più consistente in corrispondenza degli orari scolastici ed in particolar modo durante le fasce in cui gli alunni entrano o escono dall’istituto. Come conseguenza diretta di questo usso principalmente di studenti si è generato, in maniera più intensa rispetto ad altre aree, un sistema di servizi paralleli che ha fatto proliferare non di poco la frequentazione dell’area.

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Tipologie edilizie E’ dif cile per noi stimare il numero di abitanti dell’area di Mariana in parte per mancanza di dati ed in parte per la dif coltà nel produrre una stima degli inquilini di ogni singola abitazione. Quest’ultimo fattore è certamente anche dovuto alla presenza di numerosi conjunto che si distribuiscono in maniera eterogenea su tutta l’area di studio oltre ad essere una prerogativa di Calderon più in generale. Il quartiere in generale si congura quindi, un po’ come tutta l’area di Calderon, come un settore dormitorio, in cui gli abitanti, quasi sempre in altre zone per motivi lavorativi, tornano solamente in serata. Ne risulta che le dinamiche sociali e quindi più in generale la dinamicità della vita cittadina quotidiana sono fortemente in uenzate in maniera negativa e ridotte quasi esclusivamente alle zone d’intorno della scuola e della chiesa. Queste due aree come già detto sono le uniche interessate da un importante usso di persone, 188

sebbene non in via continuativa durante l’arco di una giornata. La tipologia edilizia quindi che si manifesta più frequentemente è quella ad uso residenziale, che si presenta nel territorio di Mariana in differenti forme che variano dalla villa monofamiliare, all’abitazione all’interno di un conjunto (simile alle villette a schiera), all’appartamento all’interno di edi ci plurifamiliari ed in ne agli alloggi informali (vere e proprie baracche di fortuna). E’ importante notare come all’interno dei recinti murari (di cui parleremo tra poco) che circondano le abitazioni molto spesso sorgano tutta una serie di edi cati più piccoli che vengono usati molto spesso come deposito di materiale o di attrezzi da lavoro. Queste baracche, che in alcuni casi vengono purtroppo utilizzate anche come abitazioni dalle famiglie meno abbienti, sono collocate molto spesso nelle aree adiacenti al muro del lotto per usufruire di una parete sulla quale reggersi. Grazie ad una vista dall’alto


si nota come questo fenomeno di micro costruzioni destinate a funzioni puramente di deposito siano diffuse in maniera omogena su tutta l’area di Mariana de Jesus conformandosi come una delle tipologie edilizie principali della zona. Le altre tipologie edilizie che si osservano più frequentemente sono quelle destinate ad uso commerciali, per il settore terziario e ad uso pubblico. La struttura sociale poco attiva oltre che poco propositiva è stata fortemente in uenzata dalle tipologie di edi ci residenziali presenti in loco ma a sua volta è stata causa di un ulteriore rincorsa da parte dei cittadini e quindi anche dei costruttori ad un isolazionismo esasperato. Questo aspetto legato alle poche possibilità di condivisione degli spazi sociali e ad un atteggiamento poco aperto ad altre forme di socialità introduce un tema molto importante connesso alle tipologie e agli effetti delle barriere siche e non che si diramano più o meno omogeneamente su tutta la zona. 189


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Le barriere La principale barriera ed anche la più facile da individuare ma allo stesso tempo la più dif cile da analizzare è senz’altro il muro. Il muro qui appare nella sua forma più arcaica, come puro elemento escludente e difensivo. Questo aspetto, che abbiamo già in parte affrontato ed indagato in alcuni passi del nostro diario di bordo, si ripresenta, soprattutto in alcune aree di Mariana, nei suoi aspetti più alienanti oltre che antiestetici e ci comunica uno spazio che tramite le sue strutture siche di sicurezza produce in maniera involontaria un sistema ridondante di insicurezza. A causa di questo paradosso durante le nostre analisi è risultato lapalissiano come nelle aree di Mariana in cui le barriere siche erano limitate in altezza, spezzettate o lasciavano in parte intravedere gli spazi retrostanti la sensazione di tranquillità e di sicurezza fosse maggiore. Quest’ultimo aspetto emotivamente positivo nonostante si sviluppi in parte simbioticamente alla condizione 196

di sgomberare la vista dai possibili ostacoli sici non può senz’altro pre gurarsi come unica condizione suf ciente e quindi anche la presenza di presidi riconoscibili o di nuovi punti di riferimento diventerebbero forme fondamentali per potenziare questo stato d’animo. Ma purtroppo, soprattutto in relazione ad alcune zone del barrio questa possibilità è del tutto negata o insuf ciente. Nel caso per esempio di calle Albornoz di cui riparleremo anche in seguito in relazione alla sua in uenza sul tessuto urbano, troviamo che le barriere siche murarie incanalano la vista in un metaforico imbuto che non permette alcuna libertà di sguardo se non quella riferita al cielo e all’inquadratura prospettica di fronte a se. La qualità estetica di questi elementi di recinzione che variano da altezze poco inferiori ai 2 metri no a s orarne i 3, è del tutto carente oltre a possedere una certa innaturale ripetitività nelle sue cellule compositive che non differiscono quasi mai dal classico mattone di cemento prefabbri-


cato. Di certo, la mancanza di discontinuità o di elementi di interruzione che rompano questo rigido sistema sia verticale che orizzontale non in uisce positivamente sulla valutazione dell’area di Albornoz e delle vie limitrofe ma anzi ribadiscono ancora una volta come questa mancanza di comunicazione tra le architetture contenute in queste prigioni di cemento determinino un totale abbandono della strada dal punto di vista sico e una totale mancanza di possibilità per lo sviluppo conoscitivo tra le persone dal punto di vista sociale. Il muro quindi rappresenta l’ostacolo più importante sia in ambito sico che in ambito sociale è risultando essere uno dei maggiori fattori di incomunicabilità tra i settori di Mariana.

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Tessuti e lotti A seguito dell’attenta osservazione e di una mirata analisi sulla trama dei tessuti del settore di Mariana de Jesus è necessario sviluppare alcune ri essioni in maniera più speci ca. Come più volte scritto ciò che si evince dalle prime impressioni (diario di bordo) riguardanti il tessuto e i lotti nell’area di progetto da noi identi cata è la grandezza di quest’ultimi e lo scarso utilizzo che avviene degli spazi di risulta tra l’edi cato e i muri che lo circondano. Ma ben più importante prima di un aspetto così speci co risulta essere l’individuazione di tre differenti aree morfologicamente e dimensionalmente distinguibili. Questa macro divisione per settori è stata identi cata sia grazie ai sopralluoghi fatti in loco sia analizzando il materiale fotogra co satellitare che ci ha permesso di veri care attraverso la visione dall’alto alcune tesi da noi formulate ma che dovevano trovare conferma in maniera de nitiva. A partire dalla chiesa Santuario de Nuestra Senora de 200

Montserrat, fulcro della vita sociale e religiosa e centro sebbene non geogra co del settore, è possibile individuare la diramazione di 3 tessuti tra loro indipendenti, per trama, funzioni e sviluppo urbano. Di questi 3 noi ne andremo ad analizzare 2 che saranno poi fondamentali per le nostre ricerche in materia progettuale. Primo tessuto. Nella parte occidentale del barrio e quindi nell’area che si sviluppa alle spalle della chiesa si estende il tessuto più antico di Mariana, sulla calle (Rafael Calvache) che si sviluppa trasversalmente rispetto all’asse principale Giovanni Calles, si affacciano tutta una serie di lotti di dimensioni più contenute rispetto alle griglie dalle maglie larghe delle altre aree. In questa zona, se non si tiene conto degli inquilini dei conjunto che sono distribuiti su tutto il territorio di Mariana, la densità abitativa e costruttiva è sicuramente la più alta di tutta l’area di studio. Sebbene la zona non sia rifornita di innumerevoli servizi e si può tran-


quillamente de nire come un’area monofunzionale, la vita cittadina qua appare tra le più vivaci anche grazie alla presenza di due campi sportivi e del cimitero barriale. Parallelamente alla via Rafael Calvache è andata formandosi negli anni, anche grazie ai percorsi campestri informali creati dagli abitanti della zona, una seconda via Humberto Puga. Tra questa coppia di percorsi trasversali al viale principale del barrio si sono innestati tutta una serie lunghi e stretti lotti che oggi caratterizzano l’area. Proprio le ridotte dimensioni di affaccio su strada dei singoli lotti ha portato ad uno sviluppo degli stessi più in profondità, creando a volte delle vere e proprie striscioline di terreno. Di fatto questo ha portato ad una urbanizzazione del fronte adiacente il percorso ma di uno scarso utilizzo delle aree retrostanti dei lotti. Questo produce in maniera automatica un consumo di suolo spropositato rispetto ai reali spazi occupati dall’edi cato, creando di conseguenza una sorta di “terra di nessuno” che con na con

la rispettiva parte retrostante vuota del lotto con nante posteriormente. Tutto ciò produce come conseguenza diretta una bassa densità e l’impossibilità a gestire gli spazi interni inutilizzati.

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Secondo tessuto. Come in parte già accennato nella parte riferita ai percorsi una grossa mutazione delle dimensioni ma soprattutto dell’orditura dei lotti avviene lungo calle Albornoz, via che dalle analisi fatte grazie alle foto aeree scattate negli anni 80’, risulta essere già presente in quel periodo sebbene supponiamo che possa essersi formata anche ben prima. Quest’ultima si innesta nell’incrocio tra calle Leonidas Puebla e Amalia Uriguen andando a ride nire un nuovo asse di percorrenza che non segue un andamento parallelo ai percorsi sopracitati, con conseguente nuovo orientamento dei lotti perpendicolari alla via stessa. Inoltre a differenza del primo tessuto analizzato questo propone dei lotti di dimensioni ben maggiori e quindi di conseguenza la densità della zona appare assai più bassa come anche la presenza di persone lungo i marciapiedi della via stessa. Le cause di questo sovradimensionamento dei lotti sono imputabili alla presenza in passato in quest’area di grandi appez202

zamenti terrieri agricoli. Questi enormi latifondi, sono state suddivisi negli anni e via via parcellizzati, nonostante ciò, in quest’area risultano ancora sovradimensionati rispetto ai lotti di altri tessuti della zona. Il diverso orientamento dei lotti, la differenza di grandezza, la conformazione dei percorsi e la presenza di muri ha portato ad una netta divisione tra i due tessuti analizzati che di fatto ha creato una spaccatura all’interno del territorio stesso di Mariana che sfocia molto spesso in un isolamento di calle Albornoz nei confronti degli altri assi principali e di una bassissima frequentazione della stessa. Discorso a parte meritano la miriade di lotti inutilizzati collocati soprattutto lungo calle Albornoz ma non solo. Come abbiamo avuto modo di apprezzare durante i nostri ripetuti sopralluoghi, l’area, sebbene stia subendo un forte sviluppo urbano, è ancora disseminata di lotti non ancora urbanizzati. Molti di questi recano delle scritte sui muri che li circondano (nonostante al loro interno non conten-


gano assolutamente nulla), che suggeriscono che sono in vendita o messi in af tto. Sebbene l’esistenza di queste “scatole vuote” renda il panorama ancor più desolante, la loro presenza diventa uno spunto fondamentale per ripensare il concetto di urbanizzazione e quello di muro. Fra le cause più probabili per cui queste proprietà rimangono invendute ci sono sicuramente molte delle considerazioni che abbiamo già fatto ma vale la pena ribadirne alcune. L’eccessiva grandezza di questi appezzamenti di terreno molto spesso scoraggia i compratori che non potendo ripartirli in lotti più piccoli si ritrovano con aree estremamente estese che non sanno come utilizzare. Una buona parte di questi lotti non utilizzati si affacciano su vie di comunicazione non attrezzate e il più delle volte non dispongono di percorsi secondari su cui poter aprire altre vie d’accesso in previsione di una futura riparcellizzazione, questo come il problema precedente non stimola i compratori che trar-

rebbero pochi vantaggi da un terreno per la maggior parte vuoto e non rivendibile. Ultimo motivo che va a sommarsi ai precedenti è sicuramente legato all’intrinseco carattere odierno di questo territorio, che a causa della forte espansione urbana, favorita dalle migrazioni campesine, è diventato terreno fertile per speculazione fondiarie, in questo modo, spesso i proprietari attendono i momenti di mercato più favorevoli per rivendere questi lotti e ricavare il massimo pro tto. Tutti questi motivi rendono questi terreni poco appetibili consegnandoli di fatto al degrado che li porta a diventare spesso delle vere e proprie discariche di ri uti a cielo aperto dove i cittadini di Mariana non avendo luoghi adeguatamente attrezzati smaltiscono i propri ri uti.

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4.6 Conversazioni A pranzo con Julio Incredibile a volte come le cose capitino per caso. Abbiamo incontrato Julio per la prima volta al El Quinche, una parroquia rurale a est di Quito, mentre facevamo un sopralluogo in una nca di rose, in cerca di un tema da sviluppare in ambito di tesi. Julio è un biologo, e si occupa di sviluppare nuovi metodi di fertilizzazione del terreno da rose. Il caso ha voluto, tuttavia, che vivesse con la famiglia a Calderón, un’ area periurbana a nord della capitale su cui già avevamo pensato di fare qualche ricerca, su consiglio della nostra relatrice. Così, quasi senza accorgercene, ci troviamo invitati ad un pranzo domenicale da Julio che, con grandissima cortesia, si è reso disponibile a parlarci un po’ del suo quartiere, in sessione plenaria con tutta la famiglia allargata. Alla ne siamo stati con loro quasi 5 ore a parlare e questo, più o meno, è quello che è emerso. 210



VERONICA: Quando io andavo ancora al liceo, una cosa come 10 anni fa, capitava ogni tanto che facessimo dei tour della città e spesso venivamo anche qui a Calderón per venire a vedere le bancarelle degli artigiani che producevano le statuette di marzapane. C’era una strada, completamente piena di queste bancarelle e c’era anche un certo numero di stranieri che andavano lì per visitarle. però adesso è diverso, non so che cosa è successo… oggi se vai lì ce ne sono due o tre, una volta invece erano un sacco… BCDL: No guarda noi siamo andati lì per vedere se c’era qualcosa, ma non abbiamo trovato niente… è nel Barrio Central, giusto? Dove c’è la chiesa… VERONICA: Si esatto, lungo la strada che passa davanti alla Chiesa BCDL: Si fanno in occasione della festa dei morti queste gure di marzapane se non sbaglio, no? il 2 di novembre

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VERONICA: Si, ci si dedicano soprattutto gli anziani. E’ una tradizione che appartiene alla popolazione indigena… un tempo facevano queste statuette commestibili perchè il rito prevedeva di andare a conversare e a pranzare al cimitero con i propri defunti. In realtà si sta un po’ perdendo questa tradizione… la comunità indigena qui a Calderón una volta era più numerosa, abbastanza almeno da costituire un gruppo a parte. Una volta Calderón era considerato un pueblo indigeno, mentre oggi non è più come a Otavalo che vedi la gente vestita con i costumi tradizionali… ormai li usano solo gli anziani. BCDL: E nella zona di Llano Grande ed Oyacoto? Dovrebbero essere comuni indigene VERONICA: A Llano grande non molto, più ad Oyacoto: lì puoi trovare ancora persone che indossano i costumi tradizionali indios.


BCDL: Veronica, se ti chiedessi di dirmi tre parole per descrivere Calderón ed il barrio in cui vivi qui, adesso, a te cosa verrebbe in mente? VERONICA: Beh dunque per Calderón io ti direi che è una zona tranquilla, senza inquinamento… ma anche disordinata. Questo in particolare è un po’ un problema di qui, come anche il trasporto pubblico, le strade che a volta non sono asfaltate, l’ immondizia per strada… Questa cosa dell’immondizia, ad esempio, mi infastidisce molto. E’ che qui non è come in città, non c’è polizia, non c’è controllo… è dif cile che ti facciano una multa. BCDL: Senti Julio… noi in questi giorni stavamo un po’ pensando ad alcuni progetti che forse si potrebbero fare qui a Calderón, su questo tema che hai tirato giustamente fuori del fatto che una città più bella dipende non solo dalla sua architettura, ma anche dalla sua dimensione sociale… Una cosa che ci

chiedevamo, ad esempio, è: “Tu saresti disposto ad acquistare con alcuni vicini un terreno, un piccolo lotto per realizzarci sopra dei servizi di cui hai bisogno ma che lo Stato non nanzia?”… perchè, lo sai, il fatto è che qui le cose cambiano molto in fretta, ogni giorno arriva qualcuno di nuovo e dif cilmente ci si riesce a stare dietro con i nanziamenti del Distretto… un altro problema forse è che qui ognuno vive un po’ per i fatti suoi, con il suo terreno e così, almeno crediamo, è più dif cile per i cittadini avere un vero controllo sul posto in cui vivono. Se per esempio domani il tuo vicino vendesse ad un impresa per costruire un condominio o qualsiasi altra cosa che non ti piace… tu da solo non so quanto potresti farci… ma se esistessero più proprietà condivise sarebbe forse più dif cile che qualcuno venga a costruire cose che il barrio non apprezza. Lo so che è un po’ confusionaria, ma questa più o meno è la nostra domanda.

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JULIO: Sapete, prima di venire qui vivevamo in un condominio a Carcelen, non molto lontano da qui… il fatto è che anche lì la gente era un po’ isolata, sai.. la gente si chiude nel suo spazio e punto! E’ questo il problema più che altro. Io i miei vicini, anche lì, non li conoscevo per esempio. Ma, scusate, siete socialisti? (risate) BCDL: Noi per esempio intendevamo chiederti se fosse possibile o desiderabile avere più spazi di incontro, senza che questo signi chi rinunciare alla propria proprietà, intimità, alla propria casa. JULIO: Si, prima però servirebbe sapere se la gente si trova bene, servirebbe un’occasione per conoscersi di più.. e poi non c’è per forza bisogno di condividere uno spazio, i rapporti possono anche basarsi su qualcos’altro che non sia un luogo comune, come una necessità. Comunque credo esista una legge che dice che i terreni abbandonati per oltre dieci anni possono venire espropriati dallo Stato, almeno 214

credo… non ho mai lavorato in questo settore.



Il workshop Il 20 novembre 2016 si è tenuto, grazie alla collaborazione con l’arch. José Luis Barros e l’uf cio per la partecipazione cittadina dell’amministrazione zonale di Calderon, un workshop di un pomeriggio presso la Casa Barrial di Mariana de Jesus, insieme ad alcuni membri rappresentanti della comunità di quartiere. Dopo una breve presentazione da parte nostra sul nostro tema di ricerca, che alleghiamo, abbiamo passato la giornata a identi care insieme problematicità e desideri che le persone riscontrano nel quartiere, in un clima molto conviviale accompagnato da patatine, coca cola e diversi toast al prosciutto che ci eravamo messi a preparare dalla mattina. Alleghiamo quindi la presentazione e la scheda con gli obiettivi generali e speci ci dell’evento, revisionata insieme all’arch. Barros.

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GOALS GENERAL GOALS 1. To involve heterogeneous groups of people living in Marianas de Calderon up to a maximum number of 60 people 2. To propose a semi-structured workshop with as many moments of open discussion between people as many of confrontation on issues we have identi ed in Calderon such as: - Security problems - Lack of orientation elements - Housing and living standardization processes - Zoning and monofunctional areas - Sprawl and land consumption - Lack of inter-personal relationships among neighbors - Dormitory settlement 3. To test the perception of common problems and the skill to individuate them 4. To test the average disponibility of people in cooperation and to invest resources in common actions (ideas, time, money) 5. QUALITATIVE DATA: To organize discussion moments with small groups (4, 5 cad.) and sharing moments 6. QUANTITATIVE DATA: To provide a moment to collect statistics information on issues we don’t have time to study in deep during the workshop 7. To provide a moment in which we can have a confrontation on a project proposal SPECIFIC GOALS Shared individual needs 1. To identify which kind of needs in the personal perception are identi able as common and shared needs by the Marianas’ inhabitants, in its wide meaning (in groups) 2. To identify which kind of problems in Marianas de Calderon are commonly perceived and which of them are typical of this urban sector 3. To understand which kind of common needs, among the ones have been identi ed, don’t have effective solutions for the time being 4. To establish whether and which of this common needs could be better satis es thanks to common and cooperative actions 218


TOPICS

Common 1. To understand which meaning is commonly attributed to the word “COMMON” 2. QUESTION: Where and which kind of situations do you usually feel to share something “common” in Marianas? 3. To know the people’s opinion on the issue of “shared property” and “shared management of services and territory” 4. To understand how much people is available in forming institutional groups such as associations and cooperatives to solve common problems 5. To understand which is the better and more effective form of common action in people’s opinion Testing proposals 1. To evaluate the degree of consensus on our proposals 2. To evaluate possible corrections of our proposals

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Il questionario

Questionario qualitativo semistrutturato somministrato a 155 come campione a scopo investigativo, di cui: 58% studenti del Collegio del Millennio Calderon (90/155) 28,4% parrocchiani della Chiesa “Santuario di Nostra Signora di Montserrat”, Mariana de Jesus (44/155) 9,7% commercianti (15/155) 3,9% partecipanti al workshop organizzato con l’Amministrazione Zonale di Calderon (6/155) INFORMACIÓNES GENERALES 1. ¿Cuál es su nombre? 40,6% di sesso maschile (63/155) 59,4% di sesso femminile (92/155) 2. ¿Cuántos años tiene? 3,9% ha meno di 15 anni (6/155) 66,5% ha tra i 15 ed i 20 anni (103/155) 6,5% ha tra i 21 ed i 30 anni (10/155) 9% ha tra i 31 ed i 40 anni (14/155) 10,9% ha tra i 41 ed i 60 anni (17/155) 3,2% ha più di 60 anni (5/155) 3. ¿Cuál es su nivel de estudios? 0,6% Alfabetizado (1/155) 12,9% Primaria/Básico (20/155) 10,3% Tercer Nivel (16/155) 75,5% Bachiller (117/155) 1,3% No sabe / No contesta / Otro (2/155) 4. ¿Dónde vive? 10,96% a Calderon Generico (17/155) 11, 61% a Zabala (18/155) 42,58% a Mariana de Jesus (66/155) 6,45% a Carapungo (10/155) 3,22% a Bellavista (5/155) 3,87% a San Jose de Moran (6/155) 6,45% a San Juan de Calderon (10/155) 0,64% a Atucucho San Carlos (1/155) 0,64% a San Camilo de Calderon (1/155) 0,64% a San Miguel de Calderon (1/155)

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3,87% a Llano Grande (6/155) 0,64% a Kennedy (1/155) 0,64% a Ponceano (1/155) 0,64% a La Quintana (1/155) 1,29% a Pomasqui (2/155) 1,29% a Entrada de La Bota (2/155) 0,64% a Comite del Pueblo (1/155) 1,29% La Capilla (2/155) Non risponde: 2,58% (4/155) 5. ¿Hace cuánto tiempo vive en Marianas de Calderón? [MARIANA] 25,74% tra gli 0 ed i 5 anni (17/66) 37,87% tra i 6 ed i 10 anni (25/66) 15,15% tra gli 11 ed i 15 anni (10/66) 10,60% tra i 16 ed i 30 anni (7/66) 1,51% tra i 31 ed i 50 anni (1/66) 4,54% da più di 50 anni (3/66) Non risponde: 4,54% (3/66) 6. ¿Dónde vivía antes? MARIANA 24,24% Otra parte de Calderón Zabala (1/66) Carapungo (6/66) Bellavista (1/66) Generico (8/66) 54,54% Quito Generico (2/66) Sur de Quito (4/66) La Floresta (1/66) Carcelen (5/66) Comitè de Pueblo / La Bota (7/66) Rumiñahui (1/66) Villa Flora (1/66) Cochapamba (3/66) La Quintana (2/66) La Colmena (2/66) Atucucho (1/66) La Orellana (2/66) La Magdalena (1/66) Eloy Alfaro (1/66) San Isidro del Inca (1/66) 226


Solanda (1/66) Las Orquideas (1/66) 13,63% Otro Cuba (1/66) Guayllabamba (2/66) Mitad del Mundo (2/66) Ibarra (1/66) Calacalì (1/66) Loja (1/66) Sangolqui (1/66) 7,57% Non risponde / Non valido (5/66) 7. ¿Cuáles fueron las razones para vivir en Mariana de Jesus? Risposta multipla MARIANA 7,57% per vida más barata (5/66) 7,57% per seguridad (5/66) 21,21% per mejor ubicación (14/66) 33,33% per razón familiar (22/66) 15,15% per trabajo (10/66) 15,15% per casa propia, comprare casa, casa mas grande, c’è più spazio (10/66) 4,54% per una mejor educacion (3/66) Non risponde: 2,81% (2/71) 8. Número de personas que viven es su casa 1,29% 1 persona (2/155) 5,80% 2 personas (9/155) 12,90% 3 personas (20/155) 36,77% 4 personas (57/155) 28,38% 5 personas (44/155) 13,54 6 personas o mas (21/155) 1,29% Non risponde / Non valido (2/155)

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9. ¿En qué tipo de vivienda habita? MARIANA 6,25% Condominio (4/64) 39,06% Conjunto residencial (25/64) 21,87% Construida por usted mismo (14/64) 20,31% Casa propia (13/64) 12,5% Departamento alquilado (8/64) FUORI MARIANA 1,09% Condominio (1/91) 24,17% Conjunto residencial (22/91) 17,58% Construida por usted mismo (16/91) 39,56% Casa propia (36/91) 14,28% Departamento alquilado (13/91) 3,29% Non risponde (3/91) INFORMACIÓNES SOBRE SU BARRIO 1. ¿En su cuadra, aproximadamente, a cuántas personas conoce? MARIANA 25% Todos o casi todos (16/64) 15,62% Más de la mitad (10/64) 17,18% La mitad (11/64) 31,25 Menos de la mitad (20/64) 10,93% Nadie o casi nadie (7/64) FUORI MARIANA 20,87% Todos o casi todos (19/91) 13,18% Más de la mitad (12/91) 17,58% La mitad (16/91) 19,78% Menos de la mitad (18/91) 21,97% Nadie o casi nadie (20/91) 6,59% Non risponde (6/91)

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Número aproximativo: MARIANA 3,12% tra le 0 – 4 persone (2/64) 12,5% tra le 5 – 10 persone (8/64) 23,43% tra le 11 – 20 persone (15/64) 14,06% tra le 21 - 30 persone (9/64) 12,5% tra le 30 – 50 persone (8/64) 1,56% tra le 51 – 70 persone (1/64) 7,81% oltre 100 (5/64) 23,43% Non risponde (15/64) 1,56% Non valido (1/64) FUORI MARIANA 10,98% tra le 0 – 4 persone (10/91) 14,28% tra le 5 – 10 persone (13/91) 15,38% tra le 11 – 20 persone (14/91) 6,59% tra le 21 - 30 persone (6/91) 15,38% tra le 30 – 50 persone (14/91) 2,19% tra le 51 – 70 persone (2/91) 6,59% oltre 100 (6/91) 26,37% Non risponde (24/91) 2,19% Non valido (2/91) ¿Cree qué si la gente se conociera mejor el barrio sería más seguro? 88,38% Si (137/155) 7,09% No (11/155) 4,51% Non risponde (7/155) Perchè SI? Aiutarci tra vicini di casa (3/155) Perchè la gente è egoista Aiuterebbe a ridurre rapine e scippi Perchè con Dio tutto è buono Conosceremmo le capacità di ciascuno Perchè in un luogo sicuro ci si relaziona meglio L’unione fa la forza / aiutarsi a vicenda / comunicazione (40/155) Limpieza / aseo Barrio /comunità organizzata / bene comune (8/155) Creare ducia e con denza / conoscersi /dialogo (10/155) Miglior convivenza Mutuo controllo (3/155) 229


L’apparenza inganna: non tutti sono quel che sembrano Sapremmo quali persone sono buone e quali no (16/155) Più rispetto e solidarietà Staremmo in contatto e decideremmo le cose migliori per il conjunto Più uniti di fronte alle diversità Uniti per un barrio più sicuro (15/155) Perchè NO? La delinquenza non c’entra niente con l’amicizia Le persone “pericolose” non sono del barrio / vengono da altre zone (4/155) Non cambierebbe molto in ogni caso / ci sarà sempre gente “pericolosa” (3/155) Non risponde (22/155) Non chiaro (10/155) 10. ¿Dónde pasa su tiempo libre cuándo está en Marianas? Risposte multiple MARIANA 4,54% Un parque o plaza (3/66) 68,18% En casa (45/75) 12,12% Con amigos (8/66) 12,12% Hago deportes (8/66) 6,06% En la iglesia (4/66) 1,51% Centro commerciale (1/66) 3,03% Gruppo della terza età (2/66) 1,51% Con il mio ragazzo (1/66) 3,03% Non risponde (2/66) 1,51% Non valido (1/66) 11. Sobre la relación con su barrio en general, usted: MARIANA 50% No se cambiaría porque lo aprecia (33/66) 27,27% Está bien allí, pero se cambiaría (18/66) 10,60% Es indiferente, le da igual (7/66) 6,06% Se cambiaría a la primera oportunidad (4/66) 0% Lo detesta y está por salir por eso (0/66) 1,51% No me cambiaria porque ya me costumbre (1/66) 4,54% Non risponde (3/66)

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FUORI MARIANA 28,08% No se cambiaría porque lo aprecia (25/89) 32,58% Está bien allí, pero se cambiaría (29/89) 22,47% Es indiferente, le da igual (20/89) 6,74% Se cambiaría a la primera oportunidad (6/89) 1,12% Lo detesta y está por salir por eso (1/89) 6,74% Non risponde (6/89) 2,24% Non valido (2/89) 2. ¿Cuál es el principal problema qué usted encuentra en el espacio publico? MARIANA 69,69% Inseguridad (46/66) 7,57% No hay problemas (5/66) 19,69% No hay nada para hacer (13/66) 1,51% Igiene nel barrio (1/66) 1,51% Strade in cattivo stato (1/66) 1,51% Discoteca (1/66) 1,51% Violenza di genere per la strada (1/66) 1,51% Mancanza di segnaletica (1/66) FUORI MARIANA 78,65% Inseguridad (70/89) 12,35% No hay problemas (11/89) 12,35% No hay nada para hacer (11/89) 1,12% No me gusta (1/89) 1,12% Mancanza di rispetto (1/89) 1,12% Polveroso (1/89) 1,12% Pulizia (1/89) 1,12% Pericolosità della strada (attraversamenti) (1/89) 4,51% Non risponde (7/155) 3. ¿Por qué motivo cree que la calle podría ser insegura? 34,83% Falta iluminación (54/155) 5,16% Cerramientos muy altos (8/155) 69,67% Falta policías (108/155) 3,87% No es insegura (6/155) 34,19% Hay poca gente en la calle (53/155) 0,64% No hay muchas cosas (1/155) 1,29% Discotecas (2/155) 1,93% Ladrones (3/155) 0,64% Drogado (1/155) 231


0,64% Poca cultura (1/155) 1,29% Mucha delinquencia (2/155) 3,87% Non risponde (6/155) NOTE: Insicuro solo la sera COMÚN 1. ¿Qué le viene a la mente con la palabra “Común”? Por favor, enumera tres situaciones, acciones o lugares que se pueden asociar con esa palabra para usted: Ordinario Quotidiano, ordinario, routine (22/155) Qualcosa di continuo, senza grande impatto Parecido, uguale (9/155) Stabile, indifferente (4/155) Normale, basico (8/155) Lo stesso di sempre, sedentarietà Qualcosa di semplice (2/155) Eventi / azioni Concierto (2/155) Fiestas (4/155) Volontariato ed associazioni Uscire con gli amici, andare al ristorante (2/155) Fare sport (2/155) Mangiare (3/155) Conversare (2/155) Vedere la tv Giocare (3/155) Lavorare (4/155) Leggere Spazi sici Conjunto Casa (7/155) Calle (3/155) Parque (16/66) Iglesia (6/155) Casa Comunal (4/66) Luoghi conosciuti da tutti Bus 232


Colegio, studiare (18/155) Discoteca (3/155) Centro commerciale (4/155) Problematiche comunemente percepite Poca gente per strada Luogo senza alcuna gestione Rapine e scippi frequenti (2/155) Vedere poca polizia Adoquinado Insicurezza (3/155) Illuminazione (2/155) Comunità Accordarsi Gruppo (3/155) Comunion, comunità, comunicazione (6/155) Quando tutti condividiamo qualcosa, usato da diverse persone (6/155) Persone con gli stessi interessi (3/155) Cassa comune Integrazione Familia (3/155) Altro Attitudine delle persone del barrio Informazione Esprimere idee Non risponde (31/155) Non valido / chiaro (14/155) 2. Sobre las relaciones sociales en su barrio, en los últimos 6 meses usted ha participado al menos una vez al mes en: 36,77% Grupos religiosos (57/155) 4,51% Asociación productiva (7/155) 18,70% Liga o club deportivo (29/155) 8,38% Voluntariado (13/155) 7,09% Comité Barrial (11/155) 1,29% Comité de damas (2/155) 0,64% Campamento vacacional (1/155) 0,64% Mingas (1/155) 1,29% Danza (2/155) 0,64% Recreacion (1/155) 23,22% Nada (36/155) 233


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10,96% Non risponde (17/155) 0,64% Non valido (1/155) NOTE: Non mi piace uscire molto di casa 3. ¿Cómo cree qué la gente de Marianas puede empezar a conocerse mejor? 18,7% A través de una esta 29 30,32% A través de una reunión 47 16,77% A través de una parrillada / cena 26 36,12% A través de una “minga” 56 3,22% En la iglesia 5 1,29% Programas de participacion ciudadana: 1 1,29% Solo convivencia: 1 1,29% Discussione sopra temi di interesse 1 9,03% Non risponde 14 4. ¿Estaría usted interesado en la creación de una asociación de vecinos, junto con otros habitantes de Marianas para ocuparse de los temas expresadas en el taller? MARIANA 81,81% Si (54/66) 10,60% No (7/66) 7,57% Non risponde (5/66) Perchè SI? Maggiore unità (3/54) Unendoci pensiamo meglio Mejoramiento del barrio / Barrio organizzato (7/54) Più sicurezza 3/54) Sviluppo della comunità / conoscersi 6/54) Processo di socializzazione Per conoscere i problemi dei nostri vicini e poterli aiutare 5/54) Se ci conoscessimo di più saremmo realmente vicini Per aiutare i giovani a scoprire le proprie capacità Parchi giochi Realizzare opere E’ sempre buono ascoltare diverse opinioni Realizzare attività insieme Si possono ottenere più informazioni / condividere idee (2/54) Prendere più interesse Ci daremmo delle regole Perchè c’è nuova gente 236


Lavorando per il bene comune/pubblico lavoriamo per il bene privato Si arriva ad accordi comuni Non risponde / Non valido (13/54) Perchè NO? Le persone nel nostro settore non hanno suf ciente iniziativa o interesse per realizzare un progetto Para mi no me parece algo mucho para poder integrar Non mi trovo con quasi nessuno Non mi interessa Non ho tempo 5. ¿Cuánto tiempo estarías dispuesto a dedicar a la creación y al desarrollo de esta asociación para Marianas de Calderón? MARIANA 18,18% Algunos días cada semana (12/66) 31,81% Algunos días cada mes (21/66) 24,24% De vez en cuando (16/66) 9,09% No tengo tiempo (6/66) 0% Todo el tiempo (0/66) 12,12% Non risponde (8/66) 4,54% Non valido (3/66) 6. ¿Si la asociacion tuviera un lote en Marianas, cómo lo debería utilizar? MARIANA 45,45% Para un parque (30/66) 19,69% Para nuevos servicios (13/66) 9,09% Para huertos urbanos (6/66) 28,78% Para un espacio de control y seguridad de barrio (19/66) 18,18% Para crear mas espacios de diversion (12/66) 1,51% Comitato mediatore o assemblea (1/66) FUORI MARIANA 39,32% Para un parque (35/89) 13,48% Para nuevos servicios (12/89) 6,74% Para huertos urbanos (6/89) 28,08% Para un espacio de control y seguridad de barrio (25/89) 31,46% Para crear mas espacios de diversion (28/89) 1,12% Centro y academia de ballo (1/89) 1,12% Comedor de ayuda (1/89) 1,12% Casa de retiros (1/89) 237


1,12% Un rifugio per gli animali (specie i cani) (1/89) 10,32% Non risponde (16/155) 7. ¿En cuál servicio para el barrio esta asociacion debería trabajar? Mejoramiento del lugar Huertos seguridad social 35 servizi sportivi / socialità 2 parque de diversiones 13 Bienestar de los vecinos Mercaderia o alimentos En la urbanizacion / illuminacion 2 Vigilanza Collaborar Legales Iglesia Spazi per bambini e ragazzi 2 Biblioteca Comunicacion Luce elettrica Limpieza 2 Cargador de costales per la strada gioventù En canchas deportivas Alcantarillado attività ricreative Non risponde: 68 Non valido / chiaro: 6 8. ¿Cuánto estaria dispuesto a invertir para este servicio? MARIANA 31,81% Una cuota mensual (21/66) - NOTE: “modesta” 36,36% Una cuota anual (24/66) 1,51% Una cuota quando quiero (1/66) 4,54% Solo cuando necesito de esto servicio (3/66) 1,51% Autogestione (1/66) 1,51% Dipende da che se cumpla (1/66) 1,51% Non ho soldi (1/66) 16,66% Non risponde (11/66) 4,54% Non valido (3/66) 238


OTRAS INFORMACIÓNES ¿Qué piensa usted acerca de vivir en un condominio? (Puede seleccionar más de una respuesta) 38,1% Me gustaría (59/155) 19,3% Es indiferente, le da igual: (30/155) 21,3% No me gustaría, (explique por qué) : 33 Molte regole e scomodità (4) / Non è sempre comodo (3) / Es muy ordinario / Es muy cerrado / Bisogna pagare le tasse condominiali / Preferisco vivere in una casa indipendente (3) / Già ci vivo però non mi piace / Vivono tutti insieme / Non ti permettono di vivere / C’è troppa gente / Ho bisogno di privacy (3) / Troppo poco spazio (2) / Non c’è sempre una buona comunicazione / Case piccole / Me gusta estar apartado del ruida / Non c’è socializzazione Non valido: 5,2% (8/155) Non risponde: 11% (17/155) EL TALLER Totale intervistati: 6 1. ¿Piensa qué los temas abordados hoy han sido interesantes? Muy interesantes: 5/6 Bastante: 1/6 Poco Para nada 2. ¿Cree qué las razones por las qué se llevó a cabo este taller se hayan expresado de manera clara? Muy: 5/6 Bastante: 1/6 Poco Para nada 3. ¿Por favor escribe una evaluación del 1 al 10: 8,8

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4. ¿Hay temas qué el taller no ha tratado sobre los cuáles quisiera hablar? Totale intervistati: 155 (abbiamo rilevato anche le risposte dei non partecipanti, ove presenti) Si: 2/6 No: 4/6 ¿Cuáles? PARTECIPANTI AL WORKSHOP: Educazione Stradale NON PARTECIPANTI AL WORKSHOP: Degli adolescenti / Evangelizzazione (2) / Sulla questione dei condomini / Urbanizzazione e beni patrimoniali / Affari (?), luoghi pubblici di svago / Attenzione ai giovani / Aiuto agli altri / Sicurezza / Come potersi organizzare meglio / Riquali cazione di: marciapiedi, illuminazione / recinzioni / Todos estan fratados / La mancanza di servizi base nel settore / Comunicazione, Tradizione e Cultura / Modo di vita a Marianas e sicurezza delle costruzioni / Locales donde la ubicacion y su fachada no estan buena

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la strategia



A Ersilia, per stabilire i rapporti che reggono la vita della città, gli abitanti tendono dei li tra gli spigoli delle case,bianchi o neri o grigi o bianco-e-neri a seconda se segnano relazioni di parentela, scambio, autorità, rappresentanza. Quando i li sono tanti che non ci si può più passare in mezzo, gli abitanti vanno via: le case vengono smontate; restano solo i li e i sostegni dei li. Dalla costa d’un monte, accampati con le masserizie, i profughi di Ersilia guardano l’intrico di li tesi e pali che s’innalza nella pianura. È quello ancora la città di Ersilia e loro sono niente. Riedi cano Ersilia altrove. Tessono con i li una gura simileche vorrebbero più complicata e insieme più regolare dell’altra. Poi l’abbandonano e trasportano ancora più lontano sé e le case. Così viaggiando nel territorio di Ersilia incontri le rovine delle città abbandonate, senza le mura che non durano, senza le ossa dei morti che il vento fa rotolare: ragnatele di rapporti intricati che cercano una forma. Italo Calvino, Le città invisibili

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5.1 Reconectar Dalla lettura delle analisi dei piani, dalla nostra percezione personale e dall’opinione degli abitanti emerge innanzitutto un problema infrastrutturale. Le strade sono poche, senza gerarchie, senza qualità e spesso sprovviste di un fondo asfaltato. Ma il problema dell’accessibilità non solo è un nodo fondamentale da risolvere per fronteggiare il probabile aumento della popolazione: costituisce anche un ottima leva per la densi cazione dell’area, la parcellizzazione e la vendita delle proprietà abbandonate. Il progetto intende ripensare quindi i percorsi di attraversamento del barrio per garantire connessioni più ef caci, creare un’infrastruttura adatta allo sviluppo urbano e ripristinare la percezione di un continuum spaziale attraverso una rete di nodi pubblici che si articoli lungo il tessuto in modo riconoscibile ed ininterrotto.

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5.2 Reinterpretar L’aspetto qualitativo dello spazio attraversabile è una questione fondamentale da risolvere per poter anche solo pensare un uso differente dello spazio collettivo. Per poter garantire un miglioramento di quest’ultimo è necessario ripensare gli elementi caratteristici e tipologici che si ripetono nella percezione quotidiana del quartiere (i muri, i conjuntos, gli angoli) mantenendone alcuni dei tratti essenziali, ma alterando quelli che rendono critico il con ne tra spazio pubblico e spazio privato, tra dentro e fuori. E’ necessario, in de nitiva rendere lo spazio esterno non solo di “tutti”, ma soprattutto di “ciascuno”. Introdurre diverse scale di spazi (pubblici, semipubblici, privati, semiprivati) risulta quindi strategico per proporre soluzioni valide al bipolarismo funzionale del quartiere, dove esistono quasi unicamente due mondi: la casa e lo spazio necessario da attraversare per raggiungerla. 248



5.3 Reverse Per riempire lo spazio “aperto”, il “fuori”, di signi cato sociale non basta disegnare l’arredo urbano. L’uso dei luoghi si consolida con il tempo e sulla base delle necessità degli abitanti, non in funzione di un progetto su carta. Per promuovere quindi un’uscita verso l’esterno, un moto contrario rispetto a quello attuale, è importante partire dalla esigenze manifestate dalla popolazione, coadiuvate dal buon senso e dalla consapevolezza che non tutto è possibile. Il progetto propone di polarizzare il percorso attraverso una rete di nodi funzionali quindi che promuovano nuove forme di incontro tra le persone sulla base di servizi richiesti che riportino la soluzione di problemi personali nello spazio collettivo, come l’esigenza di spazio pubblico, di sicurezza, e via dicendo.

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re-verse


6.1 Premesse al progetto Il progetto proposto in questo lavoro di ricerca elabora soluzioni di piccola scala che possano intervenire sulla qualità dello spazio collettivo come luogo di attraversamento e di sosta. Nelle sue tre linee strategiche il progetto non distingue fasi temporali nella realizzazione, dal momento che queste di devono intendere come elementi concorrenti al successo degli obiettivi preposti. Ciò che invece è previsto riguarda la distinzione in aree prioritarie di intervento, andando quindi a de nire quali porzioni di questo percorso si debbano ritenere fondamentali come punto di inizio per la diffusione della strategia progettuale nel tessuto. Su questa linea l’area di intervento individuata dal progetto inquadra come prioritario il collegamento tra calle Rafael Calvache e calle Albornoz, approfondito negli elaborati gra ci alla tavola 9. Come seconda premessa occorre ricordare che il programma funzionale e la re258

alizzazione degli interventi si pone in una zona intermedia tra ciò che è emerso come elemento carente dal confronto con gli abitanti e ciò che è concretamente realizzabile con i nanziamenti disponibili, che possono considerarsi scarsi. L’elaborazione del progetto ha perseguito quindi n dal primo giorno l’idea di ottenere il massimo risultato possibile con il minimo del costo in termini di gestione, di costruzione e di tempo di trattativa. Gli interventi proposti in ne per dimensioni e costi di realizzazione prevedono diverse possibilità di nanziamento che vanno dall’autocostruzione, al nanziamento pubblico, a voci il più possibile paragonabili a quelle di costo nel calcolo degli oneri di urbanizzazione, qualora si dovesse identi care l’impresa privata come soggetto principale di riferimento. Come ultima considerazione sottolineiamo il fatto che in nessun caso si sono operati espropri di super ci tali da compromettere fortemente la trattativa con la proprietà o da costituire un’indennizzo


eccessivo per l’amministrazione. Si tratta quindi di sottrazione di aree marginali ai lotti, necessarie per l’inserimento di percorsi, in favore delle quali, comunque, si sono previste forme plausibili di trattativa che vadano dall’indennizzo, all’aumento di cubatura edi cabile ed alla riduzione della super cie minima di parcellizzazione, passando per il condono delle strutture edi cate contro le previsioni di piano.

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6.2 Reconectar La prima delle linee strategiche del progetto identi ca come spazio d’intervento l’infrastruttura urbana della mobilità, carrabile e pedonale, all’interno del quartiere. Come è emerso dalle analisi, dalla nostra percezione personale e dalle voci degli abitanti, il problema della strada è un punto cruciale su cui occorre proporre soluzioni. Si tratta di uno spazio sporco, poco attrezzato e privo di gerarchie. In più punti infatti l’infrastruttura ri ette ancora il proprio passato agricolo e mal si adatta alle previsioni di crescita dell’area e pertanto ad un uso urbano. Secondariamente, ma non per importanza, la strada costituisce un elemento chiave per intervenire in modo ef cace sull’accessibilità, la parcellizzazione delle proprietà, la vendita dei lotti inedi cati e la densi cazione. Alcuni degli interventi proposti in questa fase pertanto possono considerarsi essenziali a prescindere dalla realizzazione completa della 260

proposta, poiché intervengono su fattori che, considerate le proiezioni di crescita, rischiano di diventare critici come, ad esempio, quello del traf co. All’interno del “programma strade” del progetto rientrano diverse proposte che, differenti nel particolare, concorrono in linea generale al perseguimento di quanto sopra esposto. Riconnessione dei tessuti La prima linea strategica interviene sul problema, già riscontrato e svolto nel discorso sulle analisi, dell’incomunicabilità tra alcuni dei settori del quartiere, in conseguenza di una assente maglia di percorsi incidentali a quelli già presenti e delle particolari dimensioni e posizioni dei lotti di proprietà privata che si frappongono al possibile passaggio da una parte ad un’altra. Si propone quindi l’inserimento di un percorso di spina, parallelo alla via principale passante per la chiesa, che attraversi il quartiere in senso opposto alla matrice attuale del tessuto.


Completamento dei percorsi Come elemento diffuso di riconnessione del nuovo percorso di spina all’infrastruttura esistente si prevede il completamento e l’integrazione di diverse strade vicinali chiuse, di modo da reinserirle nel usso della mobilità e di garantire una maggiore accessibilità alle aree di progetto a partire dallo spazio privato della casa. Creazione di isolati L’introduzione di una maglia a “quadras” e di isolati, come già accennato, risulta fondamentale per intervenire sul fattore accessibilità, specie lungo l’asse di Albornoz che manifesta una forte tendenza a svilupparsi in modo lineare, senza nessuna relazione con il tessuto circostante. L’introduzione del sistema ad isolati interviene quindi aprendo strade sulle parti retrostanti dei lotti a cella lineare di maggiori dimensioni ( no a 7.000mq), al ne di aumentare lo spazio servito dal percorso ed incentivare la divisione della proprietà e la vendita di quelle che ad oggi risultano essere abban-

donate. Ma l’importanza di questo intervento riguarda anche un’altra questione. Se infatti da un lato molti di questi lotti risultino abbandonati poiché i proprietari restano in attesa di un aumento del valore del suolo, dall’altro non si può escludere che in alcuni casi possano trovare come acquirente un impresa interessata alla realizzazione di conjuntos. In questo caso particolare, l’elemento-isolato, sarebbe in grado di garantire, o almeno di rendere possibile, la realizzazione di complessi con accessi in numero superiore ad uno, come è in effetti allo stato attuale. Si tratterebbe quindi, si, di complessi recintati, ma con un contatto maggior con l’elemento esterno della strada. Penetrazione del tessuto Il taglio in senso longitudinale di alcune proprietà non viene operato unicamente in funzione di una necessità di riconnessione. L’attraversamento di questi lotti, in molti casi, coincide con l’urgenza di proporre una maglia più 261


adatta al processo di densi cazione e che, pertanto, renda accessibili quelle migliaia di metri quadrati di super cie che si sviluppano alle spalle delle strade esistenti e che, nella maggior parte dei casi, vengono adibite come spazio di deposito o saturate con baracche di vario genere, senza che quindi ve ne si faccia un uso sostenibile. Lungi dal de nire ciò che una persona dovrebbe fare dello spazio che legalmente possiede pertanto, il progetto propone una maggiore penetrazione ed urbanizzazione delle aree interne, riportando le istanze degli usi attuali di queste ultime all’interno di spazi collettivi meglio spiegati successivamente. Riconnessione degli spazi pubblici Il quartiere, è vero, dispone di poca super cie di proprietà pubblica, ma non ne è del tutto privo. La rete di percorsi individuata dal progetto considera quindi la possibilità di integrare questi spazi all’interno del sistema operando, dove necessario, i dovuti ricollega262

menti. Eterogeneità del percorso Veniamo quindi alla qualità dei percorsi proposti. L’assenza di una gerarchia stradale, di una differenza nell’ampiezza, nell’uso e nella qualità dei percorsi esistenti risulta essere un forte ostacolo mentale alla possibilità di un utilizzo alternativo alla automobile. I percorsi inseriti, anche quando carrabili, dovrebbero pertanto prevedere, oltre ad una già proposta riduzione della sezione stradale, una variazione nelle modalità materiche di pavimentazione. Oltre a questo aspetto, sicuramente importante, va poi considerato il fatto che i nuovi percorsi non debbano risultare eccessivamente lunghi ed angusti per chi decidesse di percorrerli a piedi. Arriviamo quindi all’ultimo punto. Incremento dello spazio di sosta Il barrio lamenta la mancanza di spazi pedonali e di spazi di sosta ma, al contempo, non gode della possibilità di


un intervento pubblico che risolva il problema mediante la creazione di un grande parco attrezzato, frequente richiesta dei cittadini. Il progetto propone pertanto di discretizzare questa necessità in micro soluzioni diffuse nel tessuto che quindi non solo puntino ad una facilitazione nella realizzazione e ad una riduzione dei costi, ma alla creazione di una serie di nodi che rendano eterogenei l’uso e la percezione del percorso e che si impiantino sui suoi punti angolari. Questi nuovi poli quindi, oltre a funzionare come impulsi prospettici e a ridurre la lunghezza percepita nella percorrenza, trovano nell’angolo e nell’incrocio un punto di risoluzione qualitativa dello spazio stradale, disincentivando attraverso l’uso collettivo di questi spazi i problemi connessi all’abbandono come l’accumulo di ri uti sulla strada e l’insicurezza, stradale e sociale, che l’angolo murato pone.

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6.3 Reinterpretar Il quartiere risulta fortemente caratterizzato da alcuni elementi ricorrenti che, come già detto, rendono critico il con ne pubblico/privato. Tra questi riscontriamo principalmente il muro come elemento morfologico ed il conjunto, come elemento tipologico. Il progetto si pone l’obiettivo di indagare soluzioni, funzionali ed estetiche, che non neghino il preesistente ma che lo rielaborino.

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il muro Il muro, elemento onnipresente nel lessico del tessuto di studio, trova nel progetto diverse tipologie di rivisitazione che vanno dal disallineamento, alla ritessitura, alla replica. Esempi di disallinamento sono sicuramente gli angoli stradali studiati per l’asse di Albornoz, che prevedono lo svuotamento dell’angolo e l’arretramento del muro al ne di garantire lo spazio abitabile pe nuovi funzioni collettive che si possano integrare con l’accesso alle pro-


prietà. In questo caso, agen do in modo piuttosto diretto sullo spazio privato, si è prevista una modalità di restituzione della super cie sottratta al piano superiore rispetto a quello del terreno. Per quanto riguarda la ritessitura segnaliamo gli interventi operati sulla materia del muro e sulla sua permeabilità visiva, di cui sono un esempio le barriere che delimitano e de niscono i nuovi nodi funzionali e la piantumazione di alberi lungo il parco pubblico di calle Puga, in perfetto allinemeamento con i muri circostanti.

il conjunto Per quanto riguarda l’aspetto tipologico si propone la creazione di un complesso residenziale lungo calle Calvache, che dispone di un grande lotto aperto la cui possibile saturazione costituisce, a nostro avviso, una minaccia alla permeabilità del quartiere. Il lotto oggi risulta infatti quotidianamente percorso per via della sua particolare posizione ma, al contempo, una super cie tale da prospettare un edi cazione a complesso residenziale chiuso. Il complesso proposto, seppur senza entrare nel merito della distribuzione interna, mantiene invece intatto il percorso pedonale che attraversa oggi il lotto, elaborando di fatto un’ipotesi di conjunto passante che, sebbene attraversato dallo spazio pubblico, non ricerchi come soluzione al contatto il muro, bensì uno spazio graduato tra semipubblico e semiprivato, che non sacrichi il legittimo desiderio ldi privacy e sicurezza degli abitanti.

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6.4 Reverse Aprire percorsi pone due problemi essenziali: un problema di utilità ed un problema d’uso. Due facce, a dire il vero, della stessa medaglia. Che bisogno c’è di nuovi percorsi? Quale garanzia abbiamo che possano diventare spazi usati, luoghi riconosciuti dai cittadini? In tutta onestà nessuna. Abbiamo già parlato di quanto sia complesso scendere nel dettaglio architettonico quando si è alla ricerca di soluzioni a problemi urbani secanti la sfera del sociale. Ciò che è opportuno fare in queste situazioni, a nostro avviso, è parlare. Parlare, parlare, parlare, perché in nessun contesto è possibile prevedere l’uso che una persona o più persone faranno dell’ “oggetto pubblico”. Quello su cui invece si può intervenire è quindi ciò che riguarda la sfera del desiderio, ciò che quindi esce dall’espressione di necessità locali mediate dalla gura dell’architetto verso soluzioni plausibili, o meglio, proposte. Quello che propone “re-ver268

se” è, come già detto, di discretizzare la necessità di spazio pubblico in soluzioni puntuali di agopuntura da un lato e, dall’altro, di stendere un programma funzionale che ne illustri un potenziale utilizzo, sulla base di quanto osservato ed ascoltato durante i mesi del sopralluogo. Sul piano funzionale il progetto ambisce ad evitare soluzioni omologate a ciò che si considera tradizionalmente “un intervento pubblico”. L’idea chiave del progetto, al contrario, è di riportare necessità private, ma condivise dagli abitanti, all’interno di spazi di soluzione collettivi che prevedano ed incentivino quindi una strada collaborativa verso i problemi del quartiere. Sebbene quindi i nodi progettati ospitino elementi tradizionali del lessico e dell’attrezzatura urbana, l’uso che se ne prospetta non è comune.


Interventi sullo spazio pubblico Come già illustrato nel capitolo dedicato ai percorsi, i nuovi attraversamenti prevedono la riconnessione del tessuto a due spazi pubblici abbandonati, entrambi di proprietà pubblica. Per entrambi i casi si è prevista una rifunzionalizzazione a spazio verde, dal momento che risultano essere lotti non ancora asfaltati. Per quanto riguarda il parco a nord, vista la sua prossimità al Collegio del Millennio su calle Uriguen, si prevede un’uso più sportivo e ricreativo per ragazzi di fascia compresa tra i 4 ed i 1820 anni. Il quartiere possiede infatti campi per il gioco, ma in ciascuno dei casi analizzati si tratta di aree ad accesso controllato e con una fascia d’orario prestabilita che ne limita fortemente l’uso spontaneo e non piani cato.

Potenziamento dei servizi carenti Tra le linee di intervento più immediate e più tradizionali rientra sicuramente quella del potenziamento dei servizi carenti che, dalle discussioni tenutesi, emergono essere essenzialmente il numero e la qualità di fermate per il servizio di trasporto pubblico ed il problema della notevole presenza di ri uti sulla strada. Per risolvere queste criticità il progetto prevede l’inserimento di nuove fermate e di punti di raccolta dell’immondizia in compresenza con altre funzioni nei nodi scelti come punti strategici. Si tratta quindi di una serie di interventi secondari, paralleli che s’innestano su nodi che funzionano sulla base di un programma funzionale più diversi cato. Tuttavia l’inserimento di nuove fermate non è da considerarsi unicamente per il suo aspetto infrastrutturale. Per molti abitanti del quartiere, considerato il numero dei pendolari con Quito, la fermata dell’autobus rappresenta il punto di partenza ed il punto di arrivo di ogni gior269


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nata. Riprogettare questi luoghi signi ca pertanto riprogettare i reali “ingressi” al quartiere. Il posizionamento di queste nuove fermate, secondariamente, avviene in particolari punti degli assi principali di Albornoz e Uriguen e, più precisamente, in quei punti che riconducono alle riconnessioni pedonali e prospettiche verso l’interno del percorso introdotto. La decisione di mischiare questi servizi all’interno dei nodi con altre funzioni è in ne da considerarsi una scelta strategica: l’uso quotidiano della fermata permette in tale modo il quotidiano incontro con i nodi del percorso e con le funzioni che ospitano.

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Modulare I nodi ospitanti le funzioni vengono realizzati in ciascuno dei casi proposti a partire da un modulo base quadrato di 5x5 metri. L’uso del modulo risulta di particolare effetto infatti per quanto può riguardare l’identi cazione del progetto realizzato all’interno del quartiere. Proporre spazi modulari, ripetuti, coerenti nel loro aspetto dimensionale aiuta a costruire quindi l’idea di un con ne “non tracciato” ma percepibile, di un “dentro” e di un “fuori” del quartiere, di uno spazio che “mi appartiene” e che conosco. Secondariamente l’impiego di un sistema sempli cato in pianta ben si adatta a forme di autocostruzione del progetto che in alcun modo escludiamo e che già riscontrano, oltre alla manifestata disponibilità di alcuni abitanti, diversi precedenti nell’area.


Uso incrementale Tra le soluzioni alternative agli usi proposti il progetto individua come concreta possibilità l’intercambiabilità di alcuni dei nodi. Esempio tra tutti sono gli angoli studiati lungo l’asse di calle Albornoz. Gli spazi su questa strada vengono infatti ottenuti dal ritaglio dell’angolo. Lo spazio così guadagnato è studiato per con gurarsi da un lato come ingresso alla proprietà retrostante, dall’altro come nodo funzionale essibile. Oltre agli spazi previsti per alcune funzioni stabili (fermata autobus, punto di raccolta dei ri uti), si propone infatti uno spazio con nante che, laddove non sia espressamente dedicato a funzioni di portierato (approfondito più avanti) possono facilmente considerarsi come punti in cui aprire piccole attività commerciali connesse allo spazio della casa.

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Le funzioni: il portierato Il portierato di quartiere rielabora ciò che oggi è rappresentato dalle postazioni per i vigilantes a guardia dei complessi residenziali recintati. Nato come punto di controllo del conjunto, il portierato, si trasforma così in un punto di controllo della strada, condiviso e nanziato da più proprietari. Oltre alle funzioni di controllo dello spazio tuttavia il portierato di quartiere introduce un altro aspetto, di maggiore importanza: un uso sociale. Lo spazio predisposto è pensato infatti per costituire uno spot di problem solving dedicato ai residenti che, in caso di necessità possono rivolgersi ad una sorta di maggiordomo condiviso. Il portierato, pertanto, si congura come uno spazio di con ne tra pubblico e privato ed, al contempo come luogo d’incontro.

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Le funzioni: la biblioteca delle cose La biblioteca delle cose è una tipologia di servizio già sperimentata in diversi città nel mondo. L’idea di base è quella di un servizio di prestito di oggetti e strumenti d’uso comune ma non frequente, messi in condivisione dagli iscritti. L’utilità di questo servizio sta pertanto nella potenziale fruizione di oggetti e macchinari necessari ma dai costi considerevoli come, per fare un esempio, i taglia erba che, nel contesto di Mariana, risulta di frequente utilizzo. Lo spazio dedicato a questa funzione, inoltre, prevede un’area attrezzata esterna per lavori artigianali e riparazioni occasionali ed uno spazio chiuso dedicato a deposito personale di utensili che non si ha spazio per conservare in casa.

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Le funzioni: l’asilo collaborativo All’interno del quartiere è frequente notare come i bambini di età inferiore a quella scolastica siano spesso costretti a passare la propria giornata a lavoro con i genitori, dal momento che non vi sono suf cienti servizi d’asilo. Allo stesso tempo non è raro che la maggior parte degli anziani passino buona parte del loro tempo in casa, per via della scarsità di spazi d’incontro per questa categoria sociale. Il progetto propone l’inserimento pertanto di piccoli spazi pubblici in autogestione che possano risolvere congiuntamente entrambi questi problemi nell’unica funzione di un asilo collaborativo. Uno spazio quindi d’incontro e di conoscenza che si fondi sulla ducia reciproca in virtù dell’erogazione di un servizio sociale necessario e richiesto dagli intervistati. Uno spazio quindi dove afdare quando necessario i propri gli sotto la supervisione di persone conosciute resesi disponibili a cedere parte del loro tempo. 278


Le funzioni: Cucina condivisa Il progetto propone l’allestimento di spazi esterni per organizzare grigliate, o parrilladas, insieme a piĂš persone od in occasione di eventi particolari. Si tratta di uno spazio semplice, senza particolari necessitĂ impiantistiche e di facile manutenzione il cui uso è esteso a chiunque lo richieda.

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6.5 Riferimenti progettuali A Parigi c’è Lulu, il portinaio di quartiere Sembra un’edicola e invece è solving problems point. Una sorta di concierge cui rivolgersi per ogni tipo di problema, dalle tap-parelle che non funzionano, alla manutenzione ordinaria no al far fare i compiti ai bambini. «Abbiamo voluto ridare umanità alla vita quotidiana», spiega l’ideatore Charles-Edouard Vin-cent. È un po’ il sogno di ciascuno. Avere un domestico personale che si occupi delle piccole e fastidiose faccende quotidiane per noi. Qualcuno cui rivolgersi quando le tapparelle smettono di funzionare a dovere o a cui af dare i gli nelle ore dei compiti. Parigi il sogno è diventato realtà. Vicino a place de Vosges c’è infatti Lulu dans ma rue (Lulu nella mia strada). A guardarla sembra una normale edicola. Invece è una sorta di portinaio di quartiere. Anzi meglio: un concierge di quartiere. Da Lulu si può ricorrere per ogni cosa. 284

Esiste dalla primavera dell’anno scorso, ha il sostegno del comune di Parigi ed è un successo: 11.000 clienti, 3.596 servizi richiesti ai 48 Lulus e 120 proposte di nuove aperture in tutta la città. L’idea è venuta a un economista prodige, Charles-Edouard Vincent, passato per Polytechnique e la Stanford university e oggi, a 42 anni, insegnante di economia sociale nella più presti-giosa scuola di commercio di Francia, la HEC : «abbiamo volu-to ridare umanità alla vita quotidiana. Lulu dans ma rue è un portierato di quartiere. L’obiettivo è di risolvere piccoli e anche un po’ più grandi problemi degli abitanti del quartiere». Ecco perché il motto del piccolo chiosco recita: «Bricolage, ménage, coup de main et bonne humeur» (Fai da te, pulizia, darrsi una mano e buon umore ndr). Ma come funziona tecnicamente? Basta contattare il chiosco per speigare di cosa si ha bisogno. Si può telefonare, inviare una mail o semplicemente passare di persona.


Una volta individuato il bisogno, il portiere di turno trova il Lulu giusto, cioè l’uomo o la donna (idraulico, pollice verde, esperto informatico, studen-te, pensionato, ex disoccupato, magari il vicino di casa) in gra-do di svolgere il lavoro richiesto. Le tariffe sono modiche: tra i 5 e i 10 euro per venti minuti (in caso di piccoli interventi), o a forfait concordati in anticipo, il tutto detraibile dalle tasse al cinquanta per cento. Articolo di Lorenzo Maria Alvaro ( www.vi ta.it/ i t/ article/2016/02/18/a-parigi-ce-lulu-il-portinaio-di-quartiere/138355/)

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Tools Library Molto spesso quando compriamo un oggetto, un attrezzo da la-voro o un gioco, come quando eravamo piccoli, sorge in noi una strana sensazione di orgoglio: siamo felici, contenti perchè rite-niamo che quell’ oggetto speci co sia necessario, indispensabile per la nostra vita domestica quotidiana... una nuova cosa da scoprire. Non ci rendiamo conto però che la maggior parte delle volte questi niscono per cadere nel dimenticatoio molto in fretta... prima o poi, insomma, niscono su una mensola a prendere pol-vere o in qualche scatola mal risposta in cantina. A volte si tratta di semplici giochi che, con l’avanzare dell’età, non si usano più, scarpe da trekking usate solo un paio di volte per andare in montagna o attrezzi per il fai-da-te impiegati so-lamente in un’ occasione, spesso in malo modo. La lista però po-trebbe essere in nita. Prendiamo come esempio un oggetto/utensile medio come il trapano a batteria: è stato recentemente calcola286

to che durante tutto il loro ciclo di vita i trapani vengano utilizzzato per non più di 13 minuti consecutivi. Naturalmente il trapano, come molti altri attrezzi, è indispensabile per svolgere molti lavoretti in casa, ma siamo sicuri che spendere 90€ (prezzo per un trapa-no di media qualità) sia un investimento così conveniente per le nostre tasche, indispensabile visto lo scarso utilizzo che ne fa-remo? Anche per questi motivi negli ultimi anni stanno sorgendo a macchia d’olio tra il nord-America e l’Europa iniziative e spazi dove sviluppare l’esperienza delle tool sharing-libraries: vere e proprie biblioteche dove è possibile prendere in prestito oggetti e utensili di ogni tipo. Le tool-library nascono con l’intento di offrire un servizio alla cittadinanza, specie quella a basso reddito, oltre che con lo sco-po di limitare l’impatto ambientale aumentato dallo smaltimento di tutti questi oggetti, presenti in ogni casa ma il più delle volte inutilizzati. L’iniziativa offre quindi ai cittadini l’opportunità di poter


to che durante tutto il loro ciclo di vita i trapani vengano utilizzzato per non più di 13 minuti consecutivi. Naturalmente il trapano, come molti altri attrezzi, è indispensabile per svolgere molti lavoretti in casa, ma siamo sicuri che spendere 90€ (prezzo per un trapa-no di media qualità) sia un investimento così conveniente per le nostre tasche, indispensabile visto lo scarso utilizzo che ne fa-remo? Anche per questi motivi negli ultimi anni stanno sorgendo a macchia d’olio tra il nord-America e l’Europa iniziative e spazi dove sviluppare l’esperienza delle tool sharing-libraries: vere e proprie biblioteche dove è possibile prendere in prestito oggetti e utensili di ogni tipo. Le tool-library nascono con l’intento di offrire un servizio alla cittadinanza, specie quella a basso reddito, oltre che con lo sco-po di limitare l’impatto ambientale aumentato dallo smaltimento di tutti questi oggetti, presenti in ogni casa ma il più delle volte inutilizzati. L’iniziativa offre quindi ai cittadini l’opportunità di poter

usufruire di qualunque oggetto necessitino senza nessuna particolare garanzia: le uniche incombenze da assolvere, come in ogni biblioteca che si rispetti, sono l’iscrizione e la restituzione degli oggetti in tempo e, soprattutto, in buono stato. Per iscriversi a queste particolari “biblioteche di oggetti” sono state intraprese politiche differenti a seconda delle scelte im-boccate dalle associazioni che gestiscono questi spazi: c’è chi permette di iscriversi solamente dopo aver messo a disposizione della biblioteca un proprio oggetto, chi richiede una quota as-sociativa annuale (dai 20€ no 100€ a seconda dei servizi di cui vuoi usufruire) e chi richiede entrambe le cose. La sostanza però non cambia: ogni volta che necessiti di un og-getto per un qualsiasi bisogno personale puoi recarti in bibliote-ca per prenderlo, usarlo per il tempo che ti è concesso e poi re-stituirlo o, qualora questo non fosse disponibile in quel momen-to, per farne richiesta. In tutto questo non è da sot287


tovalutare il fatto che un’iniziativa del genere possa avere anche forti ripercussioni sull’aspetto psi-cologico degli iscritti: infatti, oltre a stimolare la creatività delle persone che per la prima volta possono utilizzare attrezzi, artico-li sportivi o giochi che non avevano mai avuto l’occasionedi po-ter usare no a quel momento; viene dato loro un limite di tem-po per poterne usufruire, stimolando di conseguenza negli stessi iscritti il desiderio e la volontà di portare a termine un lavoro domestico o vivere un’ esperienza che programmavano da tanto tempo. Questo processo “terapeutico”, in particolare, è stato portato avanti dalla Edinburgh Tool Library (Scozia); nata nel 2015 questa biblioteca d’oggetti concede infatti il loro prestito sola-mente per il week-end, in maniera tale da stimolare gli iscritti a non rimandare faccende che, possedendo e avendo in casa l’at-trezzo o l’utensile in questione, avrebbero tranquillamente ri-mandato. L’Edinburgh Tool Library, che può contare su più di 1200 288

utensili messi a disposizione e su 180 membri iscritti, garantisce inoltre alle persone disoccupate l’opportunità di accedere al ser-vizio offrendo una quota d’iscrizione in base allae loro disponi-bilità economiche. L’idea rivoluzionaria delle Tools Libraries, in una fase stori-ca incentrata sui consumi ed in cui ognuno di noi è sempre più spinto a possedere le cose piuttosto che a condividirle, è però sicuramente la condivisione: quest’ iniziativa ha porta-to infatti nuova linfa all’idea di vita comunitaria cittadina, incoraggiando veri e propri quartieri a mettersi in gioco nel-lo sviluppo di questo progetto, mettendo a disposizione delle “biblioteche delle cose” molti dei loro oggetti personali poco utilizzati. E’ questo il caso di Leila, la biblioteca delle cose nata in Fehr-belliner Strasse a Berlino, che oggi conta tra i propri iscritti ben 400 residenti della zona e che ha sviluppato una nuova “eco-nomia della condivisione” all’interno dell’intero quartiere. Leila ha cambiato la prospettiva delle persone, che sono


passate dall’idea di “ownership” a una “relationship” delle risorse ma soprattutto ha promosso uno spazio che ha reso la comunità sempre più resiliente e unita. Da non sottovalutare inoltre il fatto che la condivisione delle cose promossa su scala di quartiere riduce di gran lunga la pos-sibilità che ci siano persone che non restituiscano oggetti o che lo facciano in ritardo, in quanto quest’ultimi potrebbero appar-tenere o servire ad un amico, a un familiare o al tuo vicino di casa. La scala di progetto ridotta appare un ottimo metodo deterrente sopratutto per i “furbetti” che allungano i tempi di prestito o che non restituiscono ma anche per i più di-stratti. Il caso meglio riuscito però è forse quello dello Sharing Depot di Toronto (Canada), sviluppato da due amici, Ryana Dyment e Lawrence Alvarez, e che oggi conta più di 2200 iscritti , può avvalersi di un catalogo di oltre 25000 oggetti ed ha aperto altre sedi sparse per il paese. Lo Sharing Depot prevede diversi prezzi di af liazione che

va-riano dai 25$ no ai 100$ annuali a seconda della durata dei prestiti di cui uno vuole avvalersi (passano dai 2/4 giorni ai 7 giorni) oltre a dare la possibilità di partecipare a tutti gli eventi proposti dall’associazione. Tra questi il più interessante è sicu-ramente la Free Community Night, una serata aperta a tutti in cui è possibile provare molti degli oggetti presenti in nego-zio come stampanti 3D, macchine a taglio laser ed altri at-trezzi da falegnameria per poter magari cominciare a svi-luppare un progetto da portare avanti nei mesi successivi. La library of tools di Toronto è diventata con il tempo non solo un luogo dove poter prendere in prestito oggetti, ma anche uno spazio di libera espressione della propria creatività in cui re-centemente è diventato anche possibile organizzare e pro-muovere workshop a tema per un ulteriore coinvolgimento della comunità locale. In ne l’associazione è in continua ricer-ca di volontari che possano aiutare nella gestione dei servizi e nel 289


management degli inventari che di recente hanno subito un’ ulteriore espansione grazie all’apertura della “biblioteca della cucina” e della “biblioteca delle sementi”. The Cook, the Farmer, His Wife and Their Neighbor “The Cook, the Farmer, His Wife and Their Neighbor” è un progetto partecipativo promosso dall’artista ed architetto slovena Marjetica Potrc, congiuntamente con Wilde Westen, un gruppo di giovani designers ed architetti e nato con lo scopo di combinare l’uso delle arti visuali e la produzione di spazi di architettura sociale per una ride nizione del concet-to di “città verde”. Il progetto, nato nel 2008 all’interno di un’iniziativa promossa dal Stedelijk Museum di Amsterdam ed operativo dalla prima-vera del 2009, si inserisce in un particolare punto del tessuto di Amsterdam, Nieuw West, oggi considerato uno dei siti di ri-quali cazione urbana ad uso residenziale più grandi d’Europa e caratterizzato da un rapido processo di 290

cambiamento della po-polazione connesso ad una generale problematica di adattamen-to ed inserimento dei nuovi arrivati, specialmente turchi e ma-rocchini. L’area di Nieuw West, infatti, ha una storia particolare. Scelta prima della Seconda Guerra Mondiale come area di spe-rimentazione per la realizzazione di un modello di città giardino (progetto di Cornelis van Eeesteren), a partire dagli anni ‘50 vi-de l’inizio della costruzione di un grande quartiere modernista, secondo i sacri principi e standards dell’urbanistica funzionali-sta. Oggi tuttavia, a quasi mezzo secolo di distanza, i problemi e le s de che gli abitanti di questo quartiere devono quotidiana-mente affrontare sono le stesse di molti altri grandi progetti eu-ropei del periodo modernista - in particolare, disoccupazione e mancata integrazione delle nuove cittadinanze. Oltre a questo (o forse proprio per questo) Nieuw West, oggi, è un’area dove si stanno concentrando molti interventi di riqua-li cazione


che, oltre a riquali care, introducono nel territo-rio dinamiche di gentri cazione che costringono, soprattutto le famiglie di immigrati, ad un continuo sforzo di ricolloca-mento, il che non fa che peggiorare il già complesso processo d’integrazione. KKVB (questo l’acronimo olandese), con i suoi orti ed i suoi giardini comunitari, è diventato in questo senso uno strumento nelle mani dei cittadini di Amsterdam Nieuw West per poter (ri)costruire un proprio senso di appartenenza al quartiere in un momento in cui la rapida trasformazione della città, con il suo demolire, ricostruire e ripopolare stava creando un generale senso di spaesamento e di sradicamento nei suoi abitanti. I giardini aiutano infatti a dare ai residenti una percezione ed un senso di connessione con il contesto, mediato dal lavoro della terra e dal mantenimento degli orti, in un quartiere che sperimenta continuamente un cambio della propria composizio-ne sociale. Sia la gestione degli orti, sia

le cucine (si, ci sono cucine comu-nitarie) funzionano sulla base di regole ben precise che disci-plinano il godimento del servizio (ciascun residente lascia alla cucina metà del proprio raccolto) e diventano così un elemento di catalizzazione nella trasformazione del concetto di spazio pubblico, condiviso, come della comunità stessa. STEP #1: La scelta della location Nel 2008 il gruppo Wilde Westen fu scelto da alcune autorità pubbliche, investitori privati e dalla Camera di Commercio di Amsterdam per portare avanti un progetto di ricerca della dura-ta di 6 mesi sul tema della Bedrijventuin (the Entrepreneurial Garden City) con lo scopo di trovare nuove opportunità di svi-luppo per incentivare la crescita economica di un’area in declino di Amsterdam: Nieuw West. Il risultato a cui ha portato questa ricerca si è concretizzato nella formulazione di una strategia che è andata oltre le aspettative e che si è resa capace di mettere a 291


sistema aspetti come lo svilup-po culturale, sociale ed economico della zona, facendo del coinvolgimento degli abitanti locali dell’area l’elemento - risorsa principale per lo sviluppo di un modello di trasformazione so-stenibile. Questa strategia, pur non avendo soddisfatto pienamente la commissione di valutazione, ha fortemente convinto invece gli stessi progettisti che si sono successivamente lanciati nel primo progetto pilota. Appena terminata la fase di ricerca quindi, Wilde Westen ha incontrato Marjetica Potrč alla quale era sta-to recentemente chiesto dal Museo Stedelijk di Amsterdam di realizzare un progetto nella stessa area - dando inizio alla colla-borazione per la realizzazione di un progetto partecipativo lega-to ad attività di agricoltura urbana e cucina. Così Marjetica, nel mese di dicembre 2008, cominciò le ricerche in situ alla ne delle quali si cominciarono a mettere le basi per ssare un punto di partenza del progetto. Con l’aiuto ed il supporto del Museo Stedelijk, che accon292

sentì alla collaborazione con WW, si individuarono in questo modo due possibili opzioni per la scelta dell’area di intervento: un de-posito a Slotervaart di proprietà della Eigen Haard; ed un nego-zio in Geuzenved e Slotermeer di proprietà della Far West (housing corporations). La prima opzione riguardava uno spazio estremamente grande e ben situato, ma non connesso direttamente a nessuna area ver-de; la seconda opzione, d’altra parte, aveva lo svantaggio di es-sere un lotto piccolo, poco illuminato, abbandonato da almeno 10 anni, ma con un giardino sul retro che era perfetto per KKVB. Fu scelto all’unanimità. Così The Cook, the Farmer, his Wife and the Neighbour comin-ciò la sua attività in Lodewijk van Deysselstraat 61. STEP #2 Il negozio in Lodewijk van Deysslestraat consisteva in uno spa-zio, al piano terra, di 30 mq di super cie. Quando ci entrammo per la prima volta le nestre sul lato e ver-


so il retro erano spran-gate, le pareti erano marce, il sistema idrico era fuori uso ed il piano superiore inaccessibile. C’era bisogno di una ristruttura-zione, da cima a fondo. Al contrario, il giardino sul retro era in buone condizioni, anche se sembrava un po’ desolato. Era stato anche recintato, nonostante fosse un giardino comunale per il quale i residenti pagavano mensilmente una quota di manteni-mento. Nessuno aveva le chiavi a parte la proprietà del negozio ed il giardiniere, Rochdale. A Nieuw West Amsterdam ci sono numerosi spazi vuoti ed una gran parte di questi sono aree verdi, inaccessibili, abbandonate. Questa evidente dimensione di vuoto, di vacante - percepibile in tutta l’area - ci ha ispirato l’idea di riempire questo giardino con il nostro sogno di creare uno spazio per la comunità locale, uno spazio che appartenesse a tutti e di cui tutti potessero real-mente godere. Quindi così cominciammo a progettare, con i re-sidenti, uno spazio da dedicare ad agricoltura urbana e cucina

comunitaria. STEP #3 Durante il suo soggiorno ad Amsterdam, nel dicembre 2008, Marjetica Potrč ha avuto la possibilità di incontrare diverse or-ganizazzioni sociali e culturali attive nel quartiere, conoscere ar-tisti ed iniziative, fare la conoscenza di alcuni funzionari del municipio e di discutere con loro ed altri esperti sul rapporto tra natura ed habitat urbano, nonchè del futuro green di una città come Amsterdam. Wilde Westen, bene ciando delle informazioni e del supporto di Marjetica si è potuto concentrare su una campagna di sensibi-lizzazione del nascente progetto di Lodewijk, coinvolgendo la popolazione per ottenere opinioni e feedbacks. Hanno fatto vi-sita quindi a molti residenti della zona, con la scusa di un caffè, di un thè o di una fetta di torta. L’idea di un possibile cambiamento attraverso questo progetto è stata poi anche pubblicizzata attraverso l’uso di volantini e l’invio di lettere uf ciali a tutti coloro che vivevano nel293


le immediate vicinan-ze del lotto 0. STEP #4 Una volta terminati i lavori preliminari per la ristrutturazione del locale (un’ ex-macelleria), Marjetica Potrč e WW hanno potuto cominciare a lavorare sulla trasformazione sica dell’interno che, grazie ad un laboratorio della durata di quattro giorni, si è trasformato in una cucina ampia, ef ciente e confortevole. Il piano cottura è stato fatto assemblando alcune assi di legno e compresivo di spazio per: lavastoviglie, frigo, quattro fuochi da campeggio, ed un piano con due lavandini. La zona pranzo, in-vece, si componeva di un lungo tavolo con panche ed una pic-cola scala per accedere al piano superiore. I quattro giorni di workshop, oltre che per eseguire questi lavo-ri, sono stati un’occasione preziosa per incontrare anche altri vi-cini e residenti, per rispondere alle loro domande e sponsorizza-re il progetto. Una volta terminato con l’in294

terno si è passati poi alla risistema-zione del giardino comunale, per il quale sono stati fatti i dovuti campionamenti allo scopo di rendere possibile l’attività agricola. STEP #5 La cucina ed il giardino hanno uf cialmente aperto con una fe-sta di benvenuto il 18 aprile 2009 alla quale hanno partecipato visitatori del museo Stedelijk, oltre a tutti coloro che erano stati invitati all’evento attraverso posters, yers ed inviti personali sparsi un po’ ovunque attraverso il quartiere. Ognuno è stato in-vitato a prendere parte alle iniziative organizzate speci cata-mente per questa occasione scrivendo i loro nomi sull’ingresso, facendo visite guidate del giardino e degli orti, facendo brain-storming con Wapke Feenstra sul tema dell’arte agricola, etc... Alcuni hanno af ttato delle piccole porzioni di giardino da cu-rare personalmente, ed ai bambini è stato chiesto di piantare un melo di fronte alla cucina come segno di prosperità.


STEP #6 Poco dopo l’apertura circa 22 famiglie, appartenenti a 7 gruppi etnici differenti, hanno deciso di prendere in cura la propria parte di orto e KKVB ha incontrato il suo primo giardiniere: Roy. Così si è subito cominciato a preparare il suolo, le sementi e a piantare ogni sorta di vegetali, a seconda dei gusti e delle abitudini alimentari di ciascuno. In quel periodo il giardino era aperto per le visite tre giorni alla settimana e la cucina 4 giorni alla settimana a tutti gli abitanti del vicinato, ai visitatori dal centro città ed a tutti coloro che venivamìno per vedere il progetto o partecipare ai workshop or-ganizzati da Wilde Westen. Questi workshops sono stati infatti uno strumento ef cace per incoraggiare i residenti locali in par-ticolare a prendere l’iniziativa e a sviluppare nuove idee per la cucina ed il giardino. La tipologia di workshop variava da quelli dedicati alla cucina multietnica (Dora’s Kitchen, Taji the Chef workshops), alle pratiche di

permacultura (Free State SWOMP workshop), al teatro ed all’improvvisazione per bambini (Marina Breton workshop), alla progettazione con materiali di riciclo(LDSP workshop), etc.. L’apertura di questo spazio, in de nitiva, è stato un grande ri-sultato: i residenti si sono potuti infatti divertire incontrandosi con i propri vicini in un ambiente piacevole e protetto. Si è co-minciato a condividere idee, a cucinare, a coltivare: una nuova comunità si stava formando. STEP #7 A partire dall’estat del 2009 molte persone avevano già fatto manifestato entusiasmo per il progetto e per la possibilità di condividere un giardino ed una cucina tra vicini. Era nata quin-di, anche per il successo dell’iniziativa, la necessità di rivedere alcuni aspetti dell’organizzazione di questa nascente comunità e di rivedere con il museo Stedelijk le modalità di supporto e di nanziamento del progetto: così Marjetica Potrč e Wilde We-sten cominciarono a suggerire ai residenti di for-


mare un comita-to di quartiere. Si cominciò quindi a discutere di cosa avrebbe dovuto occupar-si questo comitato: sarebbe dovuto essere un organo democrati-co volto alla gestione del giardino e della cucina, capace di or-ganizzare attività e di mantenere le relazioni con la compagnia proprietaria dello stabile (la Far West). Il comitato si formò nell’agosto del 2009, composto da 8 membri: Aisha, Costa, Ep-tisam, Gerda, José, Latifa, Mostapha e Roy, il giardiniere. STEP #8 D’accordo con i residenti locali, il comitato decise successivamente di organizzare una festa per celebrare insieme il primo raccolto. Diversamente dall’evento di apertura, per il quale il ruolo del museo di Stedelijk fu fondamentale, la festa del rac-colto fu ideata interamente dai residenti, in collaborazione con Marjetica Potrč e Wilde Westen. L’evento è stato nanziato grazie alla partecipazione di KKVB alla era di Stadsdeel Geuzenveld,

a Slotermeer, cosa che ha permesso non solo di esporre quanto prodotto dagli orti, ma anche di sponsorizzare il progetto come uno dei luoghi più bucolici di Amsterdam Ovest. The Cook, the Farmer, his Wife and their Neighbour è un progetto che si è sviluppato ed è cresciuto tra l’entusiasmo dei par-tecipanti e grazie alla collaborazione attiva di più di 100 perso-ne, che si sono cimentate nella coltivazione e nella cucina, in un clima di scambio di saperi e tradizioni. Questo prova senza dubbio che i residenti tenevano al proprio quartiere e hanno gradito l’idea di appropriarsi di tutti quegli spazi abbandonati che, riquali cati, avrebbero potuto restituire e consolidare un’i-dentità dell’area. Questo progetto, tra le altre cose, ha poi porta-to anche ad un maggiore senso di sicurezza, oltre ad aver au-mentato il valore della zona. Articolo da: http://kkvb-cfwn.blogspot.it/



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conclusioni


Confrontarsi con un contesto così complesso e ricco di sfaccettature come quello sudamericano equello ecuatoriano in particolare ci ha portati a innumerevoli considerazioni in questi mesi. Se infatti da un lato ci ha fornito la possibilità di aprire la mente e di confrontarci con una realtà completamente diversa rispetto a quella in cui trascorriamo le nostre vite, dall’altro ci ha messo di fronte all’evidenza che non è sempre possibile realizzare tutto quello che ci si immagina e che bisogna spesso adattarsi alle situazioni e accettarle per come queste si sviluppano. Nonostante questo, il lavoro di questi mesi è risultato estremamente utile per accrescere il nostro livello di maturità professionale e per sviluppare il nostro know-how. Lavorare su un tema così complicato come la frangia periurbana e per di più in un’area a forte espan300

sione urbana ha fatto sì che il nostro lavoro di ricerca si focalizzasse su temi e aspetti che avevamo n qui indagato solo in maniera super ciale. Questo aspetto ci ha portato a svolgere un accurato lavoro di analisi producendo ,di fatto, un elaborata quanto profonda ricerca su temi spinosi quali: espansione urbana, piani cazione, speculazione, partecipazione, ecc.. i quali spesso e volentieri hanno generato un serio quanto dialettico dibattito tra di noi. In generale quindi riteniamo che aver sviluppato la nostra tesi di laurea sull’area di Calderon ed in particolare sul settore di Mariana de Jesus possa ritenersi un aspetto estremamente interessante oltre che pertinente per future ricerche in ambito del periurbano in Sud America. Sebbene siamo consapevoli che il nostro lavoro in qualche forma non abbia risposto ad alcuni aspetti della di-


sciplina urbanistica, pensiamo tuttavia che possa ritenersi valido per portare avanti alcune proposte da noi presentate in fase progettuale nell’area di riferimento. Se infatti da un certo punto di vista le nostre proposte possano sembrare limitate in termini dimensionali o poco dettagliate gra camente, dall’altro esse cercano di strutturarsi come piccoli interventi di semplice realizzazione che diano spazio e luogo ai cittadini e agli abitanti del luogo per un possibile sviluppo e miglioramento. Concludiamo dicendo che questo lavoro di tesi ci ha permesso di collaborare in maniera congiunta con alcune istituzioni locali sia per il lavoro di analisi che per sviluppare un workshop con la popolazione, il quale ci ha fornito in maniera ancor piÚ speci ca informazioni fondamentali per la nostra ricerca. 301


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note e bibliogra a


NOTE [1] Carter, H., The Study of Urban Geography, Arnold London, 1972 [2] in Adell, G., Theories and models of the peri-urban interface: a changingconceptual landscape, London 1999 [3] Vedasi de nizione proposta dalle Università di Nottigham e Liverpool in: Adell, G., Theories and models of the peri-urban interface: a changing conceptual landscape, Draft for discussion of the Strategic Environmental Planning and Management for the Peri-urban Interface Research Project, Development Planning Unit of the UCL (Bartlett University), London, marzo 1999, pag. 8 [4 - 5] Foucault, M., Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Einaudi, 2014, pag. 218 [6] Bonasera, J., Logiche spaziali della sovranità moderna, in: Limiti Urbani Pamphlet 2015, Universud, pag. 36 [7] Galli, C., Introduzione in “Hobbes, T., Il Leviatano”, BUR, 2011, pag. XIV [8] Sgroi, E., Città ed esclusione sociale: riparliamo di comunità, in Guidicini, P., Pieretti G., Bergamaschi, M., L’urbano, le povertà. Quale welfare. [9] Instituto Latinoamericano de Investigaciones Sociales, El proceso urbano en el Ecuador, ILDIS, 1987, pag. 127 [10] Instituto Latinoamericano de Investigaciones Sociales, El proceso urbano en el Ecuador, ILDIS, 1987, pag. 18 [11] Maldonado Lince, G., La reforma agraria en el Ecuador, in “Cahiers du monde hispanique et luso brésilien, n°34, 1980, pag. 46 [12] Instituto Latinoamericano de Investigaciones Sociales, El proceso urbano en el Ecuador, ILDIS, 1987, pag. 35 [13] Loos, A., Parole nel vuoto [14 - 15] M. Davis, Geogra e della paura, p.292

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ARTICOLI Adell, G., Theories and models of the peri-urban interface: a changing conceptual landscape, Draft for discussion of the Strategic Environmental Planning and Management for the Peri-urban Interface Research Project, Development Planning Unit of the UCL (Bartlett University), London, marzo 1999 Allen, A., Environmental planning and management of the peri-urban interface: perspectives on an emerging eld, in “Environment & Urbanization”, Vol. 15, Development Planning Unit of the UCL (Bartlett University), London, aprile 2003 Atkinson, A., Principles and components of a strategic EPM process relevant to the peri-urban interface (PUI), Draft for discussion of the Strategic Environmental Planning and Management for the Peri-urban Interface Research Project, Development Planning Unit of the UCL (Bartlett University), London, giugno 1999 Budds, J. and Minaya, A., Overview of initiatives regarding the management of the peri-urban interface, Draft for discussion of the Strategic Environmental Planning and Management for the Peri-urban Interface Research Project, Development Planning Unit of the UCL (Bartlett University), London, marzo 1999 Carillon, D., Vasconez, J. with the collaboration fo Nury Bermudez, The case of Quito, Ecuador, UN-Habitat Global Report on Human Settlements, The Challenge of Slums, Earthscan, London; Part IV: Summary of City Case Studies, p. 195-228 Dávila, D. J., Budds, J., Minaya, A., A review of policies and strategies affecting the peri-urban interface, Draft for discussion of the Strategic Environmental Planning and Management for the Peri-urban Interface Research Project, Development Planning Unit of the UCL (Bartlett University), London, agosto 1999 Maldonado Lince, G., La reforma agraria en el Ecuador, in “Cahiers du monde hispanique et luso brésilien, n°34, 1980

TESI

Palmieri, E., Pironi M., Tonin, L., Sube y Baja. Ripensare la pendenza ai margini di Quito. Il caso studio di Guapulo. Tesi di Laurea in Archiettura, Università degli Studi di Ferrara, 2014-15 306


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DATA GAD Calderon, Rendicion de cuentas 2015, 2015 Archivio UCE Universidad Central Ecuador, Facultad de Arquitectura, ordinanze sulle riforme agrarie in Ecuador Archivio dell’Istituto Geogra co Militare dell’Ecuador (foto satellitari)

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allegati


























ringraziamenti



Grazie a Etra Occhialini per averci seguito con grande pazienza in questi mesi Grazie a Dora Arizaga Guzmån, Romeo Farinella, Alfredo Alietti per i suggerimenti, gli spunti e le dritte sul lavoro Grazie a Diego Hurtado, Janaina Marx, Hernan Espinoza, JosÊ Luis Barros, Paulina Cubillo ed ai ragazzi di Estudio 685, che ci hanno seguito durante il nostro soggiorno a Quito Grazie alla famiglia Pasquel Solah, ad Ana e Camila, che ci hanno accolto in Ecuador e ci ha fatto subito sentire a casa Grazie a Rocio Narvaez e David Silva, cortesi e disponibili padroni di casa Grazie alla famiglia Arico Cortez, a Julio e Veronica Grazie ai ragazzi di Universud, con i quali non condividiamo solo aspirazioni, progetti, interessi, ma anzitutto e soprattutto un’amicizia

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LORENZO Grazie alla mia famiglia che mi ha accompagnato e sostenuto durante l’interminabile avventura universitaria e a mio padre per la sua piacevole visita in Ecuador Grazie ai bolognesi, con i quali ho avuto il piacere di passare un corrispettivo di due lunghi mesi in treno e a Petru, con cui si è riso tanto Grazie ai miei amici, Luca, Stiva Ollo ed in particolare a Jacopo, sempre disponibile a confrontarsi con me su questo ed altri lavori Grazie a Francesca per essere stata uno spazio sicuro Grazie a Dario, con il quale ho avuto e avrò il piacere di collaborare oltre lo spazio universitario nel tentativo di ricercare nuove strade professionali in un settore così stimolante e tuttavia oggi così immeritatamente trascurato come l’architettura

DARIO Grazie ai miei genitori che in questi anni hanno avuto la pazienza di supportarmi nelle scelte intraprese e sopportarmi anche nei momenti più dif cili. Grazie a mia sorella che ho visto crescere in questi anni e che mi ha dato involontariamente tanta forza. Grazie alla mia famiglia, dalla Sicilia alla Germania. Grazie ai miei migliori amici: Ale, Bonna, Brigo, Carlet, Frabba, Costi, Megs, Ila e Ade che nonostante tutto hanno sempre fatto il tifo per me. Grazie a Cami per essermi stata vicina per più di 3 anni e senza la quale forse avrei fatto fatica ad andare avanti. Grazie a tutti coloro che si sono interessati a me: i ragazzi dell’Aka, i miei compagni delle elementari (l’inimitabile 5B), i Bolognesi (senza i quali forse starei ancora facendo gli esami),ecc… Grazie al Professor Andreas Hofer che senza saperlo mi ha dato un grande spunto per il futuro. Grazie a Universud e ai suoi componenti che mi hanno sempre ispirato e dato nuova linfa. E grazie a Beso con il quale ho passato la maggior parte del mio tempo accademico e senza il quale non ce l’avrei mai fatta.

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elaborati gra ci

















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