Fuori dal continuum di Brodsky LORENZO BARBERIS Ultimamente, emerge con frequenza nei media quello che è un luogo comune piuttosto noto (e complessivamente vero) negli appassionati d’arte: il boom dell’arte astratta nel corso del secondo dopoguerra ha avuto una cospicua influenza dell’appoggio della CIA. In particolare, ad essere promosso fu l’Espressionismo Astratto: un termine coniato nel 1919 per descrivere i quadri di Kandinsky, astratti ma privi di quella freddezza geometrica e scientifica dello studio di forme del cubismo e altri.
Il termine venne ripreso nel 1946 e adattato alla scena artistica più innovativa degli States. Si è in seguito contestata molto quest’etichetta per la sua inefficacia. Dei tre artisti più noti, De Kooning sembra troppo volto verso la figura (le sue donne, pur rese “espressionisticamente”, sono figurativamente riconoscibili), Rothko invece mette in scena una astrazione a campiture di colore rigorose, poco “espressionista”. Va detto che la loro produzione è molto vasta, ma l’etichetta, se parliamo di una operazione mediatica calcolata, dovrebbe coincidere con l’icona più nota: le Donne del 1953 di De Kooning, l’astrazione da N.10 (1950) in poi di Rothko. Il punto è che, in verità, si voleva con l’Espressionismo Astratto semplicemente lanciare “l’astrazione” in senso assoluto, ed era ancora più opportuno, forse, che ognuno dei tre membri prescelti ne mostrasse, quasi didascalicamente, un aspetto.
Se De Kooning era l’espressionismo, Rothko l’astrazione, i due elementi si fondevano in Jackson Pollock, il cui dripping potrebbe essere la fusione dei due elementi (un po’ come, nelle tre corone del Rinascimento, Leonardo è il “non-finito”, Michelangelo il “troppo finito” e Raffaello la sintesi dei due). Al di là del risultato, che non è sicuramente geometrico – e quindi è espressionistico – ma sicuramente astratto, la stessa tecnica del Dripping, scagliare il colore abbastanza casualmente sulla tela, sembra perfetto per incontrare le critiche dell’uomo della strada di ieri e di oggi, stile vignetta della settimana enigmistica sull’arte (“No, qui invece il gatto ha proprio fatto cadere per sbaglio il colore”). La CIA entrò in campo nel 1950, sponsorizzando pesantemente la ricerca astratta e la sua diffusione. L’intento era quello di dimostrare all’opinione pubblica della sinistra liberal, intellettuale e potenzialmente più a rischio di “contagio comunista”, che gli USA erano la terra della libertà artistica, opposti alla cupezza del Realismo Sovietico imposto da Stalin nel 1934.
La cosa curiosa è che Isaac Brodsky, il dimenticato caposcuola del realismo staliniano, direttore dell’Accademia d’Arte russa dal 1934, era in perfetta continuità col realismo ottocentesco in cui aveva mosso i passi, e i suoi dipinti degli anni ’30, fatta salva la diversa “calligrafia” artistica, non sono poi così distanti dall’equivalente realismo americano di un Norman Rockwell. Ma il nuovo immaginario plasmato ci fa percepire vuotamente retorici i suoi Lenin, i suoi Stalin, mentre a un David perdonavamo volentieri l’accademica esaltazione di un Napoleone. Oltretutto Brodsky, comunista della prima ora e primo premiato (da Stalin) con l’Ordine di Lenin, non era apprezzato pare dal fondatore del comunismo, che percepiva l’arretratezza di questa arte.
(Hitler, “Madonna con Bambino”)
L’importanza simbolica di questo gioco, a mio avviso, era rafforzata dall’ostilità atroce di Hitler (mediocre pittore e decoratore – per spregio democratico ridotto a “imbianchino” – rifiutato dalla stessa Accademia classicista) verso ogni forma di “arte degenerata”, astratta, anche per via dell’impegno di molti artisti surrealisti e cubisti contro il nazifascismo. Già col Fascismo – che aveva nel Futurismo un suo pilastro importante – le cose erano in verità molto diverse. Questo creava una suggestiva continuità nazifascismo-comunismo, con un lieve cambio cromatico dal nero al rosso nel colore delle divise dei cattivi, ma che continuava a garantire agli USA (e ai loro alleati: nel 1958 venne promosso un tour dell’astrazione in tutta Europa) il ruolo di difensori della libertà artistica – e non a torto, del resto.
Per chi è interessato alle paranoie dei complottisti come una interessante cartina al tornasole della psicologia delle folle moderna, interessa notare il coinvolgimento, nell’operazione, degli stessi Rockefeller (il cui capostipite è stato trasposto dalla massonica Disney, con Carl Barks, nella figura di Rockerduck, il massimo rivale capitalistico di Paperone). La famiglia dei più potenti e noti capitalisti
americani aveva istituito già nel 1919 un proprio progetto artistico, che nel 1929 promosse una prima grande mostra degli Impressionisti, a cui seguì nel 1935 la scoperta dell’Espressionismo (quello storico) di Van Gogh; quindi nel 1937, posta la sede del MoMA (il Mummy, come lo chiamavano sarcasticamente i newyorkesi comuni dell’epoca) nella sede centrale della Rockefeller Foundation, attuale sede, vi realizzarono nel 1939 una cruciale mostra di Picasso, legittimando in USA l’astrazione storica, nonostante il conclamato comunismo del suo fondatore (importante, ovviamente, in chiave antifascista). Non stupisce dunque una sinergia CIA-Rockefeller nell’Espressionismo Astratto, il quale veniva ad essere una perfetta chiosa della “Storia dell’Arte secondo il MOMA” che i Rockefeller avevano provveduto a imbastire (e che coincide, del resto, con la storia dell’arte ufficialmente accettata): Impressionismo, Espressionismo, Astrazione, Espressionismo Astratto. Del resto i Rockefeller avevano molto da perdere dall’affermarsi, anche blando, del comunismo, ed esercitarono volentieri il loro ruolo nel Piano della CIA. “Ci vuole un Papa per creare Michelangelo” pare dicessero i Rockfeller a giustificare e glorificare il loro ruolo: che se poneva Pollock in alto, poneva loro ancora sopra (un ruolo che i complottisti – christian reborn USA non esiterebbero a vedere come diabolico, se la loro conoscenza dei fatti arrivasse a questo – modesto – punto). Ad ogni modo, nata per ragioni anche politiche e propagandistiche (come molta grande arte), alla fine l’Espressionismo Astratto ha in-formato di sé la percezione estetica dell’Occidente, riscrivendo la concezione globale del bello in pittura, ma anche nelle altre arti. I progressi del cinema, del fumetto, perfino del videogame odierni non sono pensabili se non a partire da questa rivoluzione visuale, che solo la maccartista CIA degli anni ’50 poté definitivamente consolidare.
(ISIS che distrugge cose)
Insomma, questo breve excursus non ha nessun particolare intento, se non quello – piuttosto ovvio, forse – di mostrare come l’Arte è tutt’altro che un’innocente speculazione estetica ma è, ancora oggi, un elemento vitale nella rappresentazione di sé di una cultura e, ovviamente, del suo potere centrale. Come ci dimostrano altre minacce, ancora più radicali, che nella tutto sommato acquiescenza generale stanno distruggendo non gli ultimi capitolo della Storia dell’Arte, ma il suo stesso fondamento. E questa volta, pare, la CIA sta sottovalutando l’importanza di questa sotterranea “guerra simbolica”. In copertina: “Ritmo d’autunno” (1950) di Jackson Pollock.