IDENTITÀ GENERATIVA Nuovo metodo di progettazione visiva LORENZO BLASI
LABA LIBERA ACCADEMIA DI BELLE ARTI SEDE RIMINI DIPLOMA ACCADEMICO DI I LIVELLO IN GRAPHIC DESIGN
Tesi di Laurea
IDENTITÀ GENERATIVA 3
Candidato Lorenzo Blasi
Relatore Prof. Pier Luigi Capucci
Anno Accademico (2016/2017) III Sessione - Febbraio 2018
INDICE 5
INTRODUZIONE
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1. CARATTERISTICHE DEL DESIGN GENERATIVO
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1.1 Il contributo di Celestino Soddu
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1.2 Un nuovo metodo progettuale
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1.3 Confronto tra designer ed artista
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2. L’IMPORTANZA CULTURALE DEL DESIGN GENERATIVO
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2.1 Arte generativa
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2.1.1 Definizioni di arte generativa
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2.1.2 Artisti generativi
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2.2 La letteratura combinatoria e la molteplicità di Calvino
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2.3 Natura generativa: tra biologia, matematica e arte
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2.3.1 Tra arte e biologia
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2.3.2 Il contributo di Maurizio Turlon
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2.3.3 I frattali
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3. IL CONCETTO D’IDENTITÀ AZIENDALE E L’EVOLUZIONE DEI MARCHI 3.1 Definizione del concetto di marca
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3.2 Brand identity e le sue componenti
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3.3 Qual è la differenza tra marchio e logo?
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3.4 Le prime rappresentazioni dell’identità di marca
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3.5 Come nasce l’identità aziendale
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3.6 L’evoluzione dei marchi
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4. IDENTITÀ GENERATIVE
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4.1 L’avvento del digitale
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4.2 Differenze tra il marchio tradizionale e quello generativo
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4.3 Caratteristiche del marchio generativo
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4.4. Esempi di identità generative
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5. STUDIO SULL’IDENTITÀ GENERATIVA PER NOEMA
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5.1 Il magazine online Noema
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5.2 Concept dell’identità del sito: ordine e caos
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5.3 L’effetto farfalla e il caos deterministico 5.4 Traduzione visiva del concept 5.5 Presentazione del poster alla mostra di arte generativa
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BIBLIOGRAFIA
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SITOGRAFIA
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A mia madre e a mio padre
INTRODUZIONE
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INTRODUZIONE
Al giorno d’oggi la relazione tra uomo e tecnologia ha raggiunto un livello di interazione così elevato che è difficile tornare indietro, quando tutto era analogico. L’avvento della realtà virtuale ci introduce nell’era digitale, nella quale ogni individuo può accedere facilmente ad internet da un computer o da uno smartphone, usufruendo di un’elevata varietà di contenuti. Nel corso della storia non è mai successo che una moltitudine di innovazioni tecnologiche si fossero diffuse in un così breve lasso temporale. Le conseguenze sono ambigue e contraddittorie: da una parte si diffondono le illusioni di un progresso continuo e soprattutto un senso di disagio, che colpisce l’uomo così profondamente che perde la consapevolezza di ciò che è reale o virtuale, vero o falso; dall’altra parte nasce un senso di fiducia e di ottimismo nei confronti di un futuro nel quale ogni singolo individuo potrebbe autorealizzarsi. 10
Queste contraddizioni rendono il presente molto interessante e ricco di novità. Una delle innovazioni più affascinanti è sicuramente il design generativo, che è un processo morfogenetico attraverso il quale il progettista è in grado di ottenere un numero elevato di prototipi, che spaziano dagli elementi di arredo, protesi mediche, sino a componenti meccaniche di motori, usufruendo della potenza di calcolo dei software digitali. Questo nuovo metodo progettuale conferisce una maggiore importanza al ruolo del progettista, il quale, applicando competenze matematiche che riguardano le funzioni parametriche, è in grado di progettare un numero elevato di prodotti, che spesso presentano benefici, quali risparmi sui tempi di produzione, minor costo di materiali, maggiore efficienza a livelli di prestazione e ottimizzazione delle tecniche di lavorazione. Si tratta di un processo rapido per esplorare le possibilità di progettazione in diversi contesti, quali arte, architettura, design del prodotto e design della comunicazione. In questo senso, è molto importante il
INTRODUZIONE
1 www.linkiesta.it/it/ article/2016/05/25/ la-rivoluzione-deldesign-generativodobbiamo-nasconderelinnovazione-/30489/
contributo portato da General Electric,1 che ha realizzato il motore di un aereo, il cui modello è stato progettato con il design generativo e stampato in 3D. Il modello precedente del motore, realizzato secondo tecniche tradizionali, era composto da circa 20 pezzi, mentre quello nuovo è un pezzo unico molto più leggero. Dopo una breve descrizione del concetto di design generativo, è necessario compiere un’analisi sui pregi e le innovazioni di questo fenomeno. In primo luogo l’aspetto più affascinante del design generativo è la possibilità di imitare il processo genetico della natura, ossia la capacità di produrre una molteplicità di strutture che sono uniche nella loro specificità ma appartengono alla stessa famiglia. In secondo luogo, il pregio di questo fenomeno è l’elevata quantità di linguaggi espressivi offerte dai software generativi. Come se un pittore avesse a disposizione nuove cromie per raffigurare i soggetti da dipingere, così un progettista può sfruttare le potenzialità digitali dei software e delle macchine da stampa 3D per realizzare dei modelli o progetti completamente nuovi rispetto al passato, sia dal punto di vista strutturale, che dal punto di vista funzionale.
INTRODUZIONE
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Un difetto del design generativo riguarda l’attitudine di un’elevata quantità di individui nell’utilizzo di software generativi per fare semplici esercizi di stile. Al contrario, il designer è un professionista che lavora per il mercato e i suoi prodotti servono a migliorare la vita delle persone. Per valutare correttamente un progetto, è necessario conoscere il contesto che coinvolge il progettista e l’azienda, dal momento che un giudizio, limitato esclusivamente alle caratteristiche del progetto, è segno di superficialità. In sintesi, il designer assume un ruolo di rilievo perché si relaziona con la società, con le sue esigenze, con i fenomeni che l’attraversano e le sue complessità. Il design generativo è uno strumento nuovo che migliorerà il sistema di produzione e i prodotti stessi.
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INTRODUZIONE
1. CARATTERISTICHE DEL DESIGN GENERATIVO
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1.1 IL CONTRIBUTO DI CELESTINO SODDU
1 www.dama.academy/ computational-designalgoritmi-generativi-eprogettazione-parametrica/
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Nella definizione del design generativo è molto importante il contributo di Celestino Soddu, docente del Politecnico di Milano che insegna nel Laboratorio di Progettazione Generativa presso il dipartimento di Architettura e Studi Urbani. Secondo il professor Soddu, il design generativo è “un processo morfogenetico che utilizza algoritmi strutturati come i sistemi non-lineari per risultati unici, irripetibili e riproducibili all’infinito da un’idea-codice, come in natura”1. Tale definizione è molto interessante perché mette in luce la possibilità del progettista di interagire con una molteplicità di risultati, che si possono ottenere grazie agli algoritmi, specificando come la pratica generativa possa accostare l’uomo alla natura nella possibilità di realizzare una serie di prototipi singolarmente unici ma riconducibili allo stesso insieme. Questa nuova forma di progettazione presenta una serie di importanti innovazioni: da una parte la definizione di un elevato standard di qualità che si mantiene costante nel tempo, dall’altra la capacità di gestire la complessità, intesa quale abilità del progettista di interagire in maniera critica con un elevato numero di elementi e dinamiche. Inoltre, la progettazione generativa permette di manifestare in maniera chiara l’identità del designer, poiché egli ha la possibilità di elaborare progetti più riconoscibili e coerenti alla propria idea astratta del progetto. Aumentando gli strumenti a disposizione, bisogna sottolineare che la creatività del progettista ha la capacità di esprimersi in maniera imprevedibile e sorprendente. Gli aspetti peculiari del design generativo sono tre: risultati dinamici, possibilità di trasformare le regole ed infine la definizione della visione del designer. Le variabili parametriche aggiungono una componente dinamica che si oppone alla fissità e staticità del metodo tradizionale. Il designer tradizionale progetta delle forme statiche e finite, mentre grazie al design generativo il progettista ha la possibilità
1. CARATTERISTICHE DEL DESIGN GENERATIVO
di lavorare su forme mutevoli e dinamiche, che si trasformano grazie al cambiamento dei parametri dell’algoritmo. Gli algoritmi diventano strumenti dinamici di progettazione perché, modificando le regole, i risultati finali cambiano. Avendo la possibilità di realizzare progetti più coerenti con la propria idea astratta, ogni designer definisce e realizza, di conseguenza, la propria visione di design, perché ogni progetto rispecchia la propria soggettività.
2 www.generativeart.com
Il processo del design generativo può essere suddiviso in due parti: inizialmente si deve identificare il paradigma dell’oggetto da progettare, poi si devono costruire una serie di strumenti di trasformazione. Nella prima parte l’obiettivo del designer è definire in maniera chiara il paradigma, il quale è composto da una serie di tappe, che verranno affrontate in successione. Così facendo, il designer fissa la struttura del progetto e le sue fasi, organizzando il lavoro in maniera più intelligente e aumentando di conseguenza la qualità dell’artefatto. Un aspetto interessante da sottolineare in questa fase di progettazione è che la prima prova, o scarabocchio, non corrisponde al lavoro finale ma si tratta del primo momento di un percorso che porterà alla realizzazione dell’idea. Nella seconda fase del progetto il designer costruisce i suoi strumenti, ossia personalizza gli algoritmi secondo la sua idea astratta.2 Le nostre passioni ci caratterizzano, rendendoci unici, e il punto di vista soggettivo è la risorsa principale del design generativo per dare la possibilità a tutti di esprimere se stessi attraverso il progetto.
1. CARATTERISTICHE DEL DESIGN GENERATIVO
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1.2 UN NUOVO METODO PROGETTUALE
3 Hartmut Bohnacker, Benedikt Gross, Julia Laub, Claudius Lazzeroni, Generative Design: Visualize, Program, and Create With Processing, Princeton Architectural Press, 2012
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4 Bruno Munari, Da cosa nasce cosa, Editori Laterza, Bari 1981
Per fornire maggiore chiarezza riguardo alle novità del design generativo, è necessario approfondire, nell’iter progettuale, il cambiamento del ruolo della macchina o computer che non assolve più un semplice compito funzionale, ma assume un ruolo fondamentale all’interno del processo creativo. In questo senso è utile confrontare il metodo di progettazione, proposto da Bruno Munari, designer e grafico protagonista del XX secolo, con lo schema dell’iter progettuale di design generativo, proposto nel libro Generative Design,3 in cui si analizza in maniera completa il design generativo. Il metodo progettuale ideato da Munari fornisce grande importanza alla capacità del designer di inquadrare in maniera chiara il problema che deve affrontare.4 Progettare significa risolvere le necessità dei clienti attraverso la realizzazione di un prodotto o un artefatto capace di assolvere la propria funzione, ma allo stesso tempo di essere esteticamente gradevole. Secondo Munari, per raggiungere tale obiettivo, è fondamentale definire inizialmente, nella maniera più corretta e pertinente, il problema, scomponendolo in sottoproblemi. Il problema di base contiene in sé tutti gli elementi per la sua soluzione e inquadrandolo con esattezza, è possibile avere un’idea chiara di quali siano i limiti e le vie da seguire.
Dopo aver definito e scomposto il problema, il designer esegue una ricerca approfondita sui prodotti che sono stati realizzati in passato in maniera tale da avere una visione totale del settore. Segue un’analisi critica dei dati raccolti per comprendere sia i pregi che i difetti dei prodotti realizzati, fornendo una personale consapevolezza del prodotto, traendo utili suggerimenti e evitando gli errori già commessi.
1. CARATTERISTICHE DEL DESIGN GENERATIVO
Terminata la fase più razionale della progettazione, inizia il momento più divertente, ossia quello creativo. Il progettista è in possesso di indicazioni che gli permetteranno di incanalare la fantasia e la creatività nella giusta direzione, senza lasciarsi prendere da qualsiasi iniziativa arbitraria fuorviante. L’obiettivo è ricercare un’idea originale e risolvere i sottoproblemi definiti in precedenza, attenendosi alle caratteristiche del prodotto, allo scopo del progetto, al mezzo da utilizzare e all’utente finale a cui è destinato l’artefatto. Per realizzare un prototipo coerente con l’idea, è necessario che il designer sia consapevole dei materiali da utilizzare e delle tecniche realizzative, sperimentando persino metodi più originali e innovativi. Quando le tecniche e i materiali a disposizioni del designer non permettono la realizzazione dell’idea del prodotto, oppure rendono complessa o dispendiosa la produzione, conviene che il designer cambi idea, cercando una soluzione realizzabile. Successivamente verrà elaborato un prototipo che sarà sottoposto a delle verifiche per metterne in luce i pregi e i difetti. Quando il modello del prodotto avrà superato tutte le prove, si passerà alla fase di produzione. Infine, il designer compierà una serie di revisioni per verificare la presenza di difetti che comportino la necessità di ritocchi finali. Nel libro Generative Design è definito il metodo del designer moderno che si concentra direttamente sulla forma del prodotto; successivamente sarà la scelta degli algoritmi e del codice a determinare l’output, ossia il risultato finale. L’aspetto molto interessante è il fatto che il designer, interagendo con il computer, approfondisce meno l’aspetto tecnologico e fornisce maggiore importanza al lato creativo. Per esempio, un designer che deve progettare una sedia, utilizzando dei software generativi, dovrà semplicemente inserire i parametri tecnici che ritiene corretti, quindi scegliere il peso massimo da sostene-
1. CARATTERISTICHE DEL DESIGN GENERATIVO
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re, il peso della sedia, il costo di produzione ed il materiale. In seguito il software produrrà migliaia, se non milioni, di prototipi che rispettano i criteri posti in precedenza. Successivamente il designer sceglierà, secondo il suo senso critico e la sua esperienza, il prototipo che verrà messo in produzione. In sintesi, si tratta di una rivoluzione perché il designer si dedica maggiormente all’idea astratta del prodotto finale e si relaziona con il software in due momenti: prima per scegliere l’algoritmo generativo che meglio si adatta all’idea, poi per adattare tale algoritmo alla sorgente del codice, attraverso la scelta dei parametri del software che rielabora le informazioni e produce una moltitudine di risultati, che saranno scelti successivamente dal designer.
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1. CARATTERISTICHE DEL DESIGN GENERATIVO
1.3 CONFRONTO TRA ARTISTA E DESIGNER
5 Bruno Munari, Artista e designer, Editori Laterza, Bari 1966
Nel libro Artista e designer Bruno Munari compie un approfondito confronto tra il profilo dell’artista e quello del designer, per chiarire le specifiche differenze ed evitare fraintendimenti. Il designer è un professionista che collabora con l’industria, realizzando progetti che entreranno in un sistema di produzione. Molto spesso lavora in gruppo, perché diverse competenze tecniche sono necessarie per la realizzazione del prodotto, non potendo la produzione di un oggetto essere gestita interamente da un unico professionista. Pertanto il progettista deve essere in possesso di una cultura scientifica e tecnica, per comunicare in maniera efficace e collaborare con i professionisti dell’industria. Al contrario, l’artista è meno vincolato da rapporti esterni e la produzione di opere è legata alla soggettività personale. Infatti l’artista lavora da solo e non in gruppo, essendo in possesso di una cultura umanistica e di tutte le tecniche sufficienti per la realizzazione autonoma dell’opera. Il designer non ha uno stile personale ma ad ogni progetto inventa uno stile adatto alla comunicazione corretta o ad esigenze di progettazione. Il designer è in possesso di un metodo versatile che gli permette di progettare qualunque oggetto, elaborando una forma specifica al contesto. Poiché gli oggetti progettati sono rivolti alla massa, il designer produce oggetti in serie, infatti l’obiettivo di un designer è quello di raggiungere i centri commerciali. Invece l’artista, per essere riconoscibile e riconosciuto, deve essere in possesso di uno stile personale. Munari definisce lo stile come “un linguaggio caratterizzato visivamente da quelle sensazioni che nascono nell’artista secondo gli stimoli che riceve dal mondo nel quale vive”. Tale stile lo caratterizza e lo rende unico, ed è un insieme di esperienze, duro lavoro, errori commessi e segreti ereditati dai propri maestri. Il lavoro dell’artista si basa sul gusto personale e sulla propria soggettività perché l’arte non pone regole ma è regolata dall’individuo, mentre, al contrario, il progetto necessita di regole per la produzione in serie. L’artista produce pezzi unici, non ripetibili, fatti a mano dall’autore.
1. CARATTERISTICHE DEL DESIGN GENERATIVO
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Non essendo in possesso di una visione artistica personale, il designer ha l’obiettivo di risolvere i problemi del prodotto, cercando allo stesso tempo una caratterizzazione estetica interessante. Mentre l’artista tende a dare un significato alle proprie opere, il designer non attribuisce nessun significato ai suoi oggetti ma lavora per la funzione che devono svolgere. L’artista non deve rendere comprensibile a tutti il messaggio che nasconde nelle sue opere, mentre il designer deve creare oggetti la cui fruizione deve essere compresa da tutti in maniera immediata. Quando i ruoli non vengono rispettati, allora possiamo avere casi di “design artistico”, che tratta di oggetti di design realizzati da artisti. Un caso interessante è “L’albero dei cassetti” del pittore francese Marcel Jean (artista surrealista francese attivo dagli anni 30), che ha realizzato una base in legno con delle ramificazioni sinuose a cui sono agganciati dei cassetti. Tale opera è stata esposta nella mostra “L’oggetto” al Museo del Louvre, nella sezione dedicata alle arti decorative, mostra che aveva l’obiettivo 20
di raccogliere 32 oggetti realizzati da artisti per testimoniare la superiorità creativa e la maggiore fantasia degli artisti rispetto ai designer. Il risultato finale è stato deludente perché gli oggetti in mostra erano esteticamente interessanti ma presentavano difetti strutturali o non assolvevano completamente alla propria funzione.
1. CARATTERISTICHE DEL DESIGN GENERATIVO
2. L’IMPORTANZA CULTURALE DEL DESIGN GENERATIVO 21
2. L’IMPORTANZA CULTURALE DEL DESIGN GENERATIVO
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In questo capitolo verrà approfondita l’importanza culturale del design generativo che è come una nebulosa informe, dinamica, composta da diversi elementi e ricca di sfumature. La ricchezza di componenti e colori rende la nebulosa uno dei fenomeni più interessanti e affascinanti dello spazio. Allo stesso modo, il design generativo non ha un’identità precisa e marcata, ma è ricco di sfaccettature e declinazioni differenti; quindi, per comprenderne l’importanza, è necessario analizzarlo secondo diversi punti di focalizzazione, in maniera tale da trarre differenti conclusioni sullo stesso argomento. Nella prima sezione riporterò gli approfondimenti di alcuni studiosi e il contributo di alcuni artisti sull’arte generativa, per comprendere quali siano le potenzialità espressive e i contesti di utilizzo dei software generativi. Nella seconda sezione compierò un approfondimento su Calvino e sulla letteratura combinatoria, ossia quando la struttura del
2. L’IMPORTANZA CULTURALE DEL DESIGN GENERATIVO
romanzo perde la sua unità e diventa più frammentata, per poter imitare la molteplicità di sfaccettature della vita. Infine, nella terza sezione andrò ad analizzare alcune strutture naturali che vengono reinterpretate dal codice, dimostrando la connessione tra natura e codice. L’aspetto caratteristico di questa sezione sarà la possibilità di capire quali possano essere le possibili declinazioni dell’interazione dell’uomo con il caos e comprendere come il computer sia semplicemente ausiliario, per poter raggiungere un equilibrio molto sottile tra quello che è l’ idea unitaria e astratta dell’artista e la sua molteplice caratterizzazione. Il contesto culturale è differente, può essere artistico, letterario oppure scientifico, ma la scintilla che si accende e ci emoziona sarà sempre la stessa.
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2. L’IMPORTANZA CULTURALE DEL DESIGN GENERATIVO
2.1 ARTE GENERATIVA 2.1.1 Definizioni di arte generativa
L’arte generativa è una branca dell’arte digitale, che consiste nella traduzione visiva attraverso forme, colori e animazioni di istruzioni dettate dall’artista ed eseguite da un software generativo. L’aspetto interessante è l’interazione tra uomo e macchina, che consente la realizzazione di opere d’arte visive e architettoniche sfruttando le potenzialità generative offerte dal software. Tali software permettono di amplificare la creatività dell’artista grazie alla potenza di calcolo, generando opere nuove rispetto al passato.
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1 Pearson Matt, Generative art: A practical guide using processing, New York , Manning Pubblications, 2012.
2 ivi p.XVIII.
Nel libro Generative Art,1 utilizzando la metafora dell’edificio e dell’albero, Pearson (artista autore di un libro sull’arte generativa) definisce la cosa meccanica come un edificio o un oggetto finito, che ha un inizio ed una fine, poiché è considerato come un oggetto fermo e privo di vita. Al contrario, l’albero rappresenta la cosa organica ed è sempre vivo, respira ed è un simbolo di apertura perché dal tronco si apre una moltitudine di rami, che abbracciano il cielo. L’arte generativa è il connubio tra ciò che è meccanico e ciò che è organico; da una parte presuppone una pianificazione e il rispetto di alcune regole, che ci permettono di elaborare l’opera, seguendo una successione di tappe; dall’altra, l’arte generativa simula l’organico e trasmette delle emozioni, poichè è composta da forme, luci e colori che sono lo strumento espressivo dell’arte. “Generative art is about creating the organic using the mechanical.”2 Nell’arte generativa convivono molte contraddizioni, quali i rapporti organico-meccanico, semplicità-complessità e ordine-caos. Tali opposizioni rendono complesso il rapporto con l’arte generativa ma, come
2. L’IMPORTANZA CULTURALE DEL DESIGN GENERATIVO
3 ivi p. p.XXXII
4 Marshall McLuhan, Gli strumenti del comunicare, Il saggiatore, 1962, p.78.
5 Pier Luigi Capucci, Arte e tecnologie. Comunicazione estetica e tecnoscienze, Bologna, Edizioni dell’ortica, 1996, p.57.
dice Matt Pearson, “the aim of generative art, if it has any aim at all, is make something beautiful”.3 Si tratta di un genere nuovo di bellezza, che è completamente diverso dalle opere artistiche che appartengono alla tradizione, e della possibilità di cercare un nuovo punto di vista, una nuova opinione, un nuovo modo di raccontare e vedere quello che già conosciamo. McLuhan definisce l’artista come “l’uomo della consapevolezza integrale”4 ed è in grado di proporre uno sguardo nuovo a ciò che è universalmente condiviso. Nell’arte generativa l’artista ha la possibilità di esprimersi, utilizzando dei linguaggi completamente nuovi. L’opera scaturisce dall’integrazione - dall’interazione - di una parte interna ad essa e dipendente da essa (una struttura di supporto a vari gradi di libertà relata ad un sistema di elaborazione e di attivazione, entrambi noti, codificati e riproducibili), che contiene le informazioni e le condizioni di partenza, di possibilità e di una parte esterna, indipendente da essa, parzialmente ignota (come prevedere esattamente le modalità di approccio del fruitore, la variabilità del contesto ambientale nel quale tale costrutto è collocato?), che rende operative quelle condizioni di partenza. L’opera integra questi due elementi, è aperta perché il risultato dell’interazione non può mai essere completamente predetto.5 L’artista generativo non solo vuole esprimere la sua individualità ma anche il caos e l’abbandono del processo libero dal nostro controllo. L’aspetto affascinante è che l’artista non è consapevole di come possa essere l’opera finale. L’arte generativa, pertanto, è una delle forme di espressione artistica più creative in assoluto per la sua componente misteriosa e mutevole. Il valore dell’opera d’arte generativa è determinato dal valore dell’idea dell’artista. Se l’idea è innovativa, allora c’è la possibilità di creare un’opera degna d’interesse.
2. L’IMPORTANZA CULTURALE DEL DESIGN GENERATIVO
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Celestino Soddu, architetto e professore di Design Generativo presso il Politecnico di Milano, ha dato un importante contributo alla nascita e allo sviluppo dell’arte generativa, avendo progettato un software chiamato Argenia, perché riprende la sua idea di arte generativa quale modo per trasmettere il codice genetico degli oggetti artificiali. La sua volontà è quella di riprendere il DNA come avviene in natura e di cercare di rendere visibile la struttura degli oggetti artificiali con quella naturale.
6 www.generativedesign. com/design/GA_soddu_i. htm
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Progettare questo codice genetico artificiale è stata un’operazione creativa entusiasmante. Ho ritrovato l’approccio culturale rinascimentale capace di coniugare scienza ed arte. Ho creato l’idea formulando un codice dell’armonia che, nascendo dalla storia dell’uomo e dal suo rapporto con la natura, identifica e rappresenta la mia soggettiva visione del possibile, il mio imprinting di progettista.6 In occasione del ciclo di conferenze art*science 2017/Leonardo 50, curate dal professor Pier Luigi Capucci, svolto a Bologna agli inizi del mese di luglio 2017, Celestino Soddu ha presentato alcune sue opere generative, che sono delle contaminazioni e interpretazioni personali di natura artistica, come la ricostruzione generativa di modelli di cattedrali che richiamavano le architetture di Borromini, oppure altri progetti di natura visionaria riguardanti l’identità di grandi metropoli mondiali o di borghi medievali. Nelle sue opere sono presenti le sue principali passioni: l’architettura, l’arte, la tecnologia e la programmazione, che sono trasmesse con vivo entusiasmo. Un elemento essenziale dell’arte generativa è la componente soggettiva, in quanto l’opera non è altro che la declinazione delle nostre idee, che corrispondono all’interpretazione personale dell’artista. Quando c’è una coerenza tra il messaggio trasmesso dall’artefatto visivo e la visione dell’artista, allora tale artefatto può essere definito come opera.
2. L’IMPORTANZA CULTURALE DEL DESIGN GENERATIVO
2.1.2 Artisti generativi
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Scott Draves - Electric Sheep
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Scott Draves è uno dei pionieri dell’arte generativa, famoso per aver programmato “Electric Sheep”, che è un software generativo di elementi grafici animati che seguono la struttura dei frattali e sono comandati da algoritmi. L’ idea di questo software è nata dalla lettura del libro Il cacciatore di androdi di Philip K. Dick, a cui si è ispirato il film Blade Runner. Questo progetto prevede anche un sito e un’applicazione, in cui partecipano migliaia di persone da tutto il mondo, condividendo il proprio lavoro e valutando quello degli altri. Un frame generato da questo software è stato utilizzato come copertina de Il grande progetto di Stephen Hawking. L’immagine sopra riprodotta è un mio screenshot catturato durante una proiezione visiva generata dal software. L’aspetto interessante è come l’ immagine mostri lo stesso frattale che viene ripetuto più volte, collocandosi nello spazio seguendo degli andamenti curvlinei.
Le cromie dominanti sono quelle fredde, infatti possiamo notare l’elevata presenza di cromie quali il viola, il blu e il verde. Al contrario, sono presenti in minor quantità cromie quali il rosso, il giallo e l’arancione.
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Raven Kwok - 1194D^3
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Raven Kwok nasce a Shangai nel 1989 ed è un artista cinese noto per la sua ricerca sulle potenzialità generative del codice informatico. I suoi video e performance generano interi universi visivi, che accompagnano il fruitore in un viaggio all’ interno di un mondo di forme geometriche. Tali forme hanno un’estetica ricercata e non banale, che favorisce l’immedesimazione dello spettatore. 1194D^3 è un’ installazione che appartiene ad una serie di opere generative, accomunate dalla traduzione visiva di esperimenti con algoritmi e forme geometriche. Nel 2012 Kwok ha realizzato 115C8 che è una creatura algoritmica, ossia un’opera che mostra la suddivisione dinamica di un triangolo. Nel 2013 Kwok non lavora più su un unico elemento ma decide di verificare la convivenza con una molteplicità di elementi. In questo modo nasce 1194D, che è un’ opera che si costruisce su una griglia, dove un tetraedro di base viene collocato e interagisce con altri elementi geometrici. Le figure geometriche finali sembrano
vive, perché mutano e si combinano in vari modi. 1194D^3 è un’opera del 2017 e termina la serie di creature algoritmiche. Quest’opera non è altro che una revisione delle opere precedenti a cui è inserito un arrangiamento musicale come base ed è stata applicata un’ implementazione su tre piani. Tutte le proiezioni sono state realizzate con il software Processing.
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Cedric Kefier- Unnamed soundsculpture
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Cedric Kefier è un artista e designer tedesco che lavora nello studio “onformative” di Berlino, specializzato nella realizzazione di progetti e opere che coinvolgono arte, design e tecnologia. Questa scultura in movimento è basata sulla registrazione dei dati di una persona reale. La ballerina berlinese Laura Keil ha interpretato un pezzo musicale, Kreukeltape di Machinefabriek. Keil è stata registrata da tre telecamere Kinect, grazie alle quali le interazioni delle immagini sono state successivamente unite insieme, per ottenere un volume tridimensionale dinamico, che interagisce con una massa di punti. L’immagine tridimensionale ha permesso una manipolazione libera e completa della camera digitale senza limitazioni di prospettiva. La camera supporta l’ imitazione fisica del pezzo musicale svolto dalla ballerina e reagisce anche all’audio. I movimenti della ballerina
e il ritmo musicale variabile comportano la modifica del seme casuale, creando costantemente una nuova versione del video e offrendo una differente composizione della perfomance registrata. La dimensione multipla dell’opera è coerente con ogni movimento della ballerina, in quanto la camera permette un’elevata varietà di prospettive capaci di riprendere Keil con elevata precisione. “Untitled Soundsculpture” ha ricevuto una menzione d’onore ai Prix Ars Electronica 2012.
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Celestino Soddu -Venice more Venice than before
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Celestino Soddu è un architetto e professore di Design Generativo presso il Politecnico di Milano. È uno dei pionieri dell’arte generativa. Il suo primo software generativo, chiamato Argenia, è stato progettato nel 1986 per la creazione di modelli 3D, composti da variazioni infinite di tipiche città medievali italiane. In occasione della conferenza Futuring Past del 2015, il professore Soddu è intervenuto approfondendo il tema dell’arte generativa in relazione al tempo. Secondo Soddu, l’arte può eseguire il passaggio tra il passato e il futuro. In questo intervento ha presentato una serie di opere, che rappresentano Venezia in maniera particolare. Riprendendo le composizioni e le inquadrature di Canaletto con soggetto Venezia, Soddu ricostruisce in maniera generativa la città veneziana. L’opera di Soddu mostra una città più autentica di quella reale perché è composta essenzialmente da elementi che hanno realmente a che fare con la città veneziana. Infatti sono state ricostruite in maniera generativa le architetture dei pa-
lazzi, delle chiese, dei ponti e degli abiti. L’aspetto maggiormente interessante è che nessuno degli elementi dell’opera esiste realmente, perché Soddu non ha riprodotto in maniera fedele le architetture esistenti ma tutti gli elementi sono stati progettati iniziando da zero con il fine di mettere in luce il DNA della città. Per Soddu questa opera vuole essere una specie di manifesto per l’identità progressiva e potenziale di Venezia.
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Serpentine Gallery Pavillion di Toyo Ito
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Si tratta di un padiglione realizzato a Londra per la celebre Serpentine Gallery, museo per il quale ogni anno un architetto di fama mondiale è selezionato per realizzare una struttura temporanea in cui sarà allestita una mostra. Nel 2002 è stato scelto l’archistar giapponese Toyo Ito, celebre per le sue architetture d’avanguardia, che ha deciso di decorare il padiglione utilizzando un pattern geometrico, caratterizzato da linee rette, volumi spigolosi e giochi di luci e ombre generati dall’alternanza di sezioni in vetro e in plexiglass. Il pattern utilizzato non è una giocosa alternanza di linee ma è una sovrapposizione di precisi momenti in cui un quadrato dinamico modifica la sua posizione e la sua superficie più volte, realizzando il motivo del pattern. Il padiglione è riutilizzato come ristorante in spiaggia di un hotel di lusso a Le Beauvallon, sulla baia di Saint-Tropez nel sud della Francia.
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2.2 LETTERATURA COMBINATORIA
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2.2 La letteratura combinatoria e la molteplicità di Calvino
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L’arte generativa è una forma di espressione che interagisce con la complessità ed il caos, creando opere che riflettono con maggiore fedeltà e precisione le idee dell’artista. La tecnologia diventa un mezzo per interagire con il complesso ed il molteplice. Tale componente indefinita rende l’arte generativa una forma d’arte eterogenea che ha diverse applicazioni, come abbiamo visto nella sezioni precedenti. Infatti può essere utilizzata per progettare prodotti d’uso quotidiano e realizzare padiglioni, animazioni visive ed installazioni video. La stessa ricchezza, a livello di sperimentazione, è possibile ritrovarla nella produzione letteraria dell’Oulipo (officina di letteratura potenziale), che propone un metodo innovativo di composizione letteraria, distinguendosi rispetto al passato circa la possibilità di compiere sperimentazioni sulla struttura del romanzo. La letteratura potenziale è una ricerca di nuove strutture e schemi che possono essere usati dagli scrittori nella maniera che preferiscono. I profondi cambiamenti avvenuti nel Novecento rendono i metodi tradizionali di scrittura incapaci di definire e trattare la realtà in maniera soddisfacente. Su questa idea è stata fondata l’Oulipo dallo scrittore Raymond Queneau e dal matematico Francojs Le Lionnais nel 1960, proponendosi di cercare una connessione tra la matematica e la letteratura. Un altro aspetto interessante che lega la letteratura combinatoria con l’arte generativa è la possibilità di utilizzare le conoscenze matematiche come un mezzo per esprimere un’ idea personale o la visione soggettiva della realtà. Infatti, nell’arte generativa gli algorit-
2. L’IMPORTANZA CULTURALE DEL DESIGN GENERATIVO
1 http://www.paoloalbani.it/ Letteraturacombinatoria.pdf
2 Italo Calvino, Lezioni americane, Einaudi, Torino, 1972.
mi permettono all’artista di esprimere la propria visione personale, dando vita a mondi visivi e immersivi quali le creature algoritmiche di Raven Kwok, ricche di forme geometriche e di suggestioni cromatiche, che mostrano la capacità espressiva e la potenza di calcolo degli algoritmi. Nella letteratura combinatoria la matematica diventa uno strumento di composizione, a tal punto da influenzarne la struttura e i metodi di lettura. Raymond Queneau ha scritto Un racconto a modo nostro, presentato durante una riunione di lavoro dell’Oulipo, opera la cui struttura richiama i diagrammi di flusso, i quali vengono utilizzati nei linguaggi di programmazione. Il lettore ha la possibilità di leggere il racconto a sua discrezione, imitando così la fruizione ipertestuale delle pagine web. In questo senso è molto interessante il contributo dello scrittore Italo Calvino, che ha partecipato attivamente e in maniera vivace alla sperimentazione della letteratura combinatoria.1 Dal momento in cui si trasferì a Parigi nel 1967, Italo Calvino rimase profondamente influenzato dalla cultura francese, nello specifico dallo strutturalismo, un movimento culturale delle scienze umane che si proponeva di ricostruire i modelli dell’oggetto, composto da una serie di elementi collegati in un unico sistema. Influenzato dallo strutturalismo, l’Oulipo si propose di elaborare una nuova forma di letteratura che permetteva di sperimentare nuove strutture del romanzo per imitare, con maggiore consapevolezza, la realtà. Italo Calvino fu nominato membro straniero dell’Oulipo e partecipò attivamente all’esercizio combinatorio di produzione letteraria, ma in maniera critica, scrivendo con vigile coscienza e ironia e ricercando la possibilità di una conoscenza del reale. Tale esperienza viene riproposta dall’autore in un importante capitolo sulla molteplicità nelle Lezioni americane,2 un saggio che raccoglie interventi sul futuro della letteratura che l’autore avrebbe dovuto tenere nel corso dell’anno accademico 1985-1986 ad Harvard.
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La molteplicità è una delle sei tematiche approfondite nel libro e Calvino sostiene che la letteratura è il risultato di tanti codici e tanti linguaggi, pertanto è necessario che la realtà attuale debba essere considerata plurima ed eterogenea. In questo capitolo l’autore ligure compie un percorso didattico per introdurre il lettore alla letteratura combinatoria, spiegando per quale motivo la struttura del romanzo diventa più complessa e risente dell’ influenza delle regole matematiche. All’inizio Calvino mette in relazione Robert Musil con Carlo Emilio Gadda, evidenziando le somiglianze e le differenze dei due autori. In primo luogo si riscontra che entrambi gli scrittori sono degli ingegneri e hanno una formazione scientifica che influenza l’approccio personale alla letteratura. In secondo luogo i due autori utilizzano un linguaggio tecnico e specifico nella definizione e nella rappresentazione degli eventi, poiché ritengono di poter inglobare la conoscenza del mondo in un libro. In conclusione, al termine del confronto, emerge il fatto che entrambi i letterati non sono stati capaci di terminare alcune delle loro opere a causa delle proprie ossessioni. La riflessione di Calvino denota che un singolo autore non è capace di riportare fedelmente la conoscenza totale del mondo in un’unica opera, pertanto è necessario compiere una riflessione sulla struttura del romanzo.
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3 Ivi, p.114
Oggi non è più pensabile una totalità che non sia potenziale, congetturale, plurima. A differenza della letteratura medievale che tendeva a opere che esprimessero l’integrazione dello scibile umano in un ordine e una forma di stabile compattezza, come la Divina Commedia, dove convergono una multiforme ricchezza linguistica e l’applicazione d’un pensiero sistematico e unitario, i libri moderni che più amiamo nascono dal confluire e scontrarsi d’una molteplicità di metodi interpretativi, modi di pensare, stili d’espressione.3
2. L’IMPORTANZA CULTURALE DEL DESIGN GENERATIVO
Questa citazione evidenzia la necessità di un cambiamento nel modo di comporre il romanzo, perché i metodi tradizionali sono insufficienti per riproporre e interpretare la realtà attuale in maniera appropriata. Attualmente lo scrittore deve concentrarsi sull’elaborazione di strutture complesse, essendo la realtà di oggi plurima ed eterogenea, pertanto utilizza competenze e nozioni matematiche, che permettono di raccontare con maggiore precisione e varietà la propria visione del mondo. L’intuizione e l’analisi di Calvino mettono in luce l’importanza della matematica non come un modello austero e sterile da riproporre in letteratura, bensì come uno strumento fertile, capace di aiutare lo scrittore a definire la sua soggettività e ad esprimere la personale visione. Seguendo questa impostazione Calvino compone dei romanzi che saranno analizzati sotto il punto di vista della trama, della struttura e della composizione. Inoltre, sarà approfondita l’opera di Roy Ascott, artista inglese esperto di cibernetica, il quale propone un’opera di natura letteraria con un’impostazione generativa di narrazione.
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Le città invisibili (1972) È delle città come dei sogni: tutto l’immaginabile può essere sognato ma anche il sogno più inatteso è un rebus che nasconde un desiderio, oppure il suo rovescio, una paura. Le città, come i sogni, sono costruite di desideri e di paure, anche se il filo del loro discorso è segreto, le loro regole assurde, le prospettive ingannevoli, e ogni cosa ne nasconde un’altra.4
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L’opera è stata pubblicata nel 1972 e approfondisce il dialogo tra Marco Polo e l’imperatore dei Tartari Kublai Khan, il quale desidera venire a conoscenza delle meraviglie che compongono il suo vasto impero. Marco Polo descrive molteplici città, di cui alcune esistenti, altre fantasiose ed eterogenee per stupire il suo imperatore, ma soprattutto per capire quali sono le ragioni che spingano le persone a viverci. Dal racconto emerge un ritratto originalissimo delle città, che assumono significati diversi a seconda degli aspetti associati. Il libro “è fatto a poliedro” ed è suddiviso in nove capitoli, che raccontano, secondo una precisa struttura, cinquantacinque città che appartengono a undici categorie differenti. Ogni categoria affronta e approfondisce la città in maniera specifica: da una parte abbiamo la “città e la memoria”, che racconta come la città colpisca l’ immaginario e si sedimenti nei ricordi delle persone; dall’altra la “città e gli occhi”, in cui racconta la bellezza delle architetture urbane e la pesantezza dell’aree industriali. Il lettore assume un ruolo da protagonista perché ha diversi approcci alla lettura dell’opera: può scegliere di leggere il racconto seguendo la categoria di città op-
pure può preferire la divisione tradizionale in capitoli. L’ordine è così determinato dalle preferenze del lettore, motivo per il quale tale libro diventa un’esperienza originale di lettura.
4 Italo Calvino, Le città invisibili, Einaudi, Torino, 1972, p.42 5 Ivi, p. X
Il castello dei destini incrociati (1973)
“Un numero infinito di elementi le cui combinazioni si moltiplicano a miliardo di miliardi.”6
che potesse valorizzare il testo e permettesse, allo stesso tempo, l’inserimento dei tarocchi utilizzati per raccontare la storia.
Questo romanzo breve è un altro esempio di letteratura combinatoria e l’aspetto più originale di quest’opera è il metodo compositivo, che consiste nell’utilizzo di tarocchi illustrati per raccontare una serie di storie. L’opera è stata pubblicata nel 1973, è suddivisa in due racconti principali che sono Il castello dei destini incrociati e La taverna dei destini incrociati. Entrambi hanno un prologo comune che tratta dell’incontro di alcuni viandanti che, dopo aver percorso un sentiero in un bosco, raggiungono un castello, che include una taverna per trascorrere la notte. Durante il banchetto, i commensali diventano consapevoli di aver perso l’uso della parola, nonostante riescano a sentire i rumori e i suoni della cena diffusi per l’ intera stanza. Dopo il pasto il castellano e l’oste sparecchiano e poggiano un mazzo di tarocchi al centro del tavolo, che viene successivamente utilizzato come strumento per raccontare le proprie storie. I commensali usufruiscono dell’immagine rappresentata nei tarocchi per raccontare una storia, che rispecchia verosimilmente le vicende della propria vita. Si tratta di un interessante meccanismo narrativo, che sfrutta il significante (l’ immagine) delle carte per creare un significato, ossia una storia che è determinata dalla combinazione di carte. L’aspetto più affascinante è che una carta assume sfumature e significati diversi a seconda della combinazione e della storia da raccontare. L’edizione stampata dell’opera è stata impaginata utilizzando una griglia specifica
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6 Italo Calvino, Il castello dei destini incrociati, Einaudi, Torino, 1973, VIII.
Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979)
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Il mio intento era quello di dare l’essenza del romanzesco concentrandola in dieci inizi di romanzi, che sviluppano nei modi più diversi un nucleo comune, e che agiscono su una cornice che li determina e ne è determinata.7 L’opera è stata pubblicata nel 1979 ed ha una storia principale in cui si susseguono dieci inizi di romanzi di generi differenti. La cornice tratta le vicende di Lettore e Ludmilla (la Lettrice), i quali si incontrano in libreria, perché entrambi sono accomunati dallo stesso problema, ovvero l’ impossibilità di leggere il libro Se una notte d’ inverno un viaggiatore, che presenta errori di impaginazione. Successivamente ad entrambi i lettori viene fornito lo stesso volume sostitutivo, che è di un genere diverso rispetto al precedente ed è tuttavia incompleto.
Pertanto i lettori cominciano una ricerca del libro completo, imbattendosi in un terzo volume, il quale approfondisce tematiche completamente differenti rispetto ai due libri precedenti. La ricerca prosegue e i due lettori entreranno in contatto con romanzi di generi diversi ma accomunati dall’essere incompleti. Successivamente, si scopre che la lettrice è collegata ad un’organizzazione segreta che falsifica i libri d’autore. Le vicissitudini collegate alla ricerca del libro legano i protagonisti, tanto che si sposano. Alla fine il Lettore comunica alla Lettrice di aver terminato di leggere il libro Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino, un romanzo che tratta le vicende di un lettore, che ama leggere romanzi. 7 Italo Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, Einaudi, Torino, 1979.
Roy Ascott - La Plissure du Texte
Roy Ascott è un artista britannico che si concentra sulla cibernetica e sulle nuove tecnologie. È considerato dall’Ars Electronica come uno dei più importanti innovatori della storia dell’arte digitale. Nel 1980 Roy Ascott lavora per l’opera La Plissure du Texte che si propone di esplorare le capacità narrative del networking, che è un sistema comunicativo in cui un’emittente si mette in contatto con una serie di destinatari, i quali, a loro volta, hanno la possibilità di generare una comunicazione. Si tratta di una comunicazione biunivoca in cui il ruolo di destinatario è attivo. Il titolo dell’opera si riferisce al celebre saggio di Roland Barthes, La plaisir du text, che si proponeva di indagare le relazioni tra lettore, opera e autore. Un gruppo di artisti collocati in undici località negli Stati Uniti, in Canada, in Europa e in Australia hanno lavorato per dodici giorni alla redazione di un testo narrativo, utilizzando testi ASCII, che è un codice informatico per la codifica di caratteri, dove ad ogni partecipante veniva associato un personaggio diverso, quali mago, principessa, bestia e principe. Si tratta di una favola planetaria in cui il testo, composto da un individuo, viene modificato da colui che lo succede. Il succedersi di autori rende interessante l’ impostazione narrativa che assume dei connotati generativi in quanto l’opera è stata composta da una molteplicità di autori, ognuno dei quali ha riportato una suo personale contributo.
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2.3 Natura generativa: tra biologia, matematica e arte 49
2.3 Natura generativa: tra biologia, matematica e arte 2.3.1 Tra arte e biologia
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1 http://digicult.it/it/ the-agency/lectures/ generative-nature-fabricaworkshop/
L’arte generativa è una forma di espressione artistica in cui le opere non sono fisse e statiche ma hanno un carattere dinamico e fluido, poichè sono regolate da funzioni parametriche che hanno un risultato esponenziale. In questo senso, è esemplificativa la precisazione del professor Soddu che considera l’arte generativa come “un codice genetico di eventi artificiali, come costruzioni di sistemi dinamici complessi in grado di generare variazioni senza fine.”1 Tale definizione permette di sottolineare la relazione tra l’arte generativa e la biologia, soprattutto per quanto riguarda il carattere dinamico dell’opera generativa e il processo genetico, attraverso il quale la natura si evolve.
2. L’IMPORTANZA CULTURALE DEL DESIGN GENERATIVO
2 Ernst Heackel, Kunstformen der Natur, Munich (Germany), Marzo, Prestel Verlag, 2012
3 http://www.lettere.unimi. it/Spazio_Filosofico/imago/ haeckel/elenacanadelli_ main.html
Un importante biologo, che contribuì con i suoi studi alla diffusione della biologia, fu Ernst Heackel, che nel suo libro Kunstformen der Natur 2 (Forme artistiche della natura) mostrò come l’arte fosse diventata uno strumento espressivo e pedagogico valido per la diffusione scientifica. In tale opera sono raccolte una moltitudine di tavole che illustrano le specie di esseri viventi studiate, alcune delle quali sono state scoperte dallo stesso biologo tedesco. Il metodo utilizzato per lo studio e la realizzazione delle tavole è denominato morfologia comparata, che è un modo per visualizzare nella stessa tavola tutte le possibili manifestazioni di una specie oppure di una forma caratteristica. Ad esempio, nella tavola 42 sono raccolte diverse specie di pesci, che sono confrontate per la tipologia di squame, evidenziando una somiglianza genetica tra i vari esemplari e mostrando allo stesso tempo le variazioni. Queste tavole illustrano il rapporto genetico tra gli esseri viventi e l’evoluzione degli organismi nel tempo. Lo scopo del biologo tedesco era quello di “osservare la regola in ciò che è differente”3 per cercare un ordine nell’evoluzione degli organismi viventi, ritrovando l’unità nella loro manifestazione eterogenea. Dalle tavole emerge un’ interpretazione artistica dell’elemento naturale, come se le illustrazioni scientifiche aiutassero il fruitore a comprendere la bellezza e l’essenza della natura. Le opere del biologo tedesco ebbero una grande diffusione e incontrarono l’apprezzamento del mondo scientifico e artistico. A partire dal 1900 molti artisti rimasero affascinati dagli organismi rappresentati nelle tavole di Heackel, tanto che il libro Kunstformen der Natur è considerato come la “Bibbia dell’Art Nouveau”. La bellezza delle tavole colpì l’immaginario degli artisti, influenzando lo stile estetico di opere di artisti del calibro di Hermann Obrist, Costant Roux e Renè Binet. La natura è considerata una fonte di ispirazione dagli artisti e l’opera di Haeckel ha risvegliato in loro uno slancio vitale, a cui è seguita una
2. L’IMPORTANZA CULTURALE DEL DESIGN GENERATIVO
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primavera artistica, che ha portato a molte sperimentazioni e applicazioni in diverse contesti, dall’architettura sino all’ artigianato e alla grafica. La medusa è considerata come il simbolo del movimento oscillatorio, del mondo marino e dell’espansione ed ha influenzato l’artista Hermann Obrist, che fu uno degli esponenti più importanti dello Jugendstil, per la realizzazione dell’arazzo sottostante, nel quale è possibile riscontrare una corrispondenza riguardo all’eleganza e alla sinuosità delle forme con la tavola 18 del biologo tedesco raffigurante delle meduse.
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È molto interessante in questo periodo storico constatare come la scoperta della biologia e la visione di nuove specie di esseri viventi animali e vegetali, influenzarono l’immaginario degli artisti, a tal punto da favorire la nascita dell’Art Nouveau. Le caratteristiche più importanti di tale movimento artistico sono state la notevole produzione di artefatti e l’elevato grado di sperimentazione che hanno reso questo periodo uno dei più prolifici della storia dell’arte.
2. L’IMPORTANZA CULTURALE DEL DESIGN GENERATIVO
2.3.2 Il contributo di Maurizio Turlon
L’ ispirazione stilistica alla natura ed il forte coinvolgimento degli artisti, che ha comportato una elevata produzione di artefatti, sono peculiarità dell’Art Nouveau, che permettono di compiere un accostamento con il fiorire dell’arte generativa. Tale forma di espressione artistica contemporanea si manifesta in artefatti dinamici e fluidi che sono regolati da funzioni parametriche. Un importante contributo all’arte generativa è stato dato da Maurizio Turlon, un ricercatore laureato in fisica e studioso di matematica, che ha compiuto esperienze di lavoro nell’ambito dell’informatica e dell’insegnamento. Recentemente ha sviluppato un software generativo capace di creare, controllare e visualizzare forme definite in spazi con un numero arbitrario di dimensioni. Turlon ridefinisce l’arte generativa con il termine di pittura generativa considerata come:
4 http://www. maurizioturlon.it/pittura_ generativa_2.html
Una composizione di natura pittorica, realizzata con tecniche e programmi computerizzati (software generativi) a partire da strutture logico-matematiche, fisico-chimico-biologiche o da libere matrici numeriche, associabili a spazi di dimensioni arbitrarie, che si generano ed evolvono con o senza interferenze, secondo modalità deterministiche, semideterministiche o casuali, originando una traccia registrabile, non necessariamente riproducibile e comunque non ricostruibile o controllabile senza l’uso di sistemi non umani.4 Tale definizione è interessante perchè mette in luce la natura matematica di un’opera generativa e la relazione con la biologia circa lo sviluppo generativo degli elementi visivi, tentando di imitare l’evoluzione genetica delle specie viventi. Un pittore generativo, che abbia conoscenze negli ambiti della fisica della matematica, è in grado di progettare software, che realizzino forme elaborate e ricche di simmetria. Grazie ai software generativi, l’artista non riproduce più la natura ma la rigenera.
2. L’IMPORTANZA CULTURALE DEL DESIGN GENERATIVO
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5 http://www.maurizioturlon. it/varie_04_42.html
“Alcuni miei lavori sono basati su forme geometriche definite in spazi n-dimensionali, su logiche multivalore o su processi iterativi di natura algoritmica…”5 Le opere d’arte generative tendono alla complessità ma sono regolate da strutture e logiche matematiche. Due importanti impostazioni che strutturano tali opere sono: l’iterazione e l’algoritmo. L’iterazione è un processo che applica ripetutamente una successione di operazioni, iniziando ogni volta dal risultato precedente, con approssimazioni sempre maggiori. L’algoritmo è un procedimento di computo di una funzione che permette di trovare la soluzione a specifici problemi, attraverso l’applicazione di una sequenza definita di precise istruzioni, fino all’ottenimento del valore della funzione relativa ad un dato argomento.
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2. L’IMPORTANZA CULTURALE DEL DESIGN GENERATIVO
2.3.3 I frattali
Dopo aver riportato il punto di vista di un fisico sull’arte generativa, procediamo approfondendo quella che è una delle tematiche più affascinanti della matematica, ossia i frattali. Il termine frattale deriva dal latino fractus che significa “spezzato, frazionato” ed è un oggetto geometrico costituito dall’iterazione di una forma su diverse scale. Infatti, ingrandendo un frattale è possibile individuare la ripetizione di un motivo geometrico che cambia la struttura ma richiama sempre il motivo originale. Il matematico polacco Mandelbrot è stato il primo a studiare i frattali, avendo coniato il termine nel 1975 e dato il proprio nome al famoso “Insieme”. I frattali sono uno strumento innovativo rispetto alla matematica tradizionale perchè sono utilizzati per studiare le strutture naturali più complesse, dal momento che le forme primitive della geometria euclidea erano insufficienti per tale scopo. Infatti i frattali sono uno strumento utile per comprendere e rigenerare l’architettura che regola la natura. Di seguito sono riportati una serie di esempi di formule matematiche che generano i frattali.
2. L’IMPORTANZA CULTURALE DEL DESIGN GENERATIVO
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Il fiocco di neve di von Koch La figura mostra come è possibile generare il fiocco di neve di von Koch. Partendo da un triangolo equilatero, si esegue ricorsivamente quanto indicato: inizialmente si divide ciascun lato in tre segmenti di uguale lunghezza, successivamente si disegna un triangolo equilatero, che punta verso l’esterno, in corrispondenza del punto medio di ogni lato, ed infine si rimuove il segmento che è la base del triangolo equilatero. Dopo una reiterazione di questo processo, la forma risultante è il contorno di un esagramma, che è illustrato nell’ultima immagine a destra. 56
Il triangolo di Sierpinski Il triangolo di Sierpinski è generato da una successione infinita di rimozioni in un triangolo equilatero. Si inizia con un triangolo equilatero pieno e dal suo interno si rimuove il triangolo centrale che ha i vertici nei punti medi dei lati, lasciando così tre triangoli equilateri più piccoli. Da ciascuno di questi tre triangoli si rimuove il triangolo equilatero centrale, lasciando nove triangoli equilateri ancora più piccoli. Si ripete il procedimento e si rimuove al passaggio successivo il triangolo centrale, lasciando così i triangoli ad esso adiacenti.
2. L’IMPORTANZA CULTURALE DEL DESIGN GENERATIVO
Curva di Peano Nel 1890 il matematico Giuseppe Peano individuò una curva capace di riempire il piano interamente. La curva di Peano è infatti una curva continua ma non regolare. Si definisce ricorsivamente in modo che riempia interamente il quadrato unitario per dissezioni e duplicazioni reiterate. Le linee costruttive della curva di Peano hanno ispirato il designer Bruno Munari, che ha interpretato il motivo geometrico attraverso l’utilizzo di cromie, realizzando una serie di pattern colorati. 57
2. L’IMPORTANZA CULTURALE DEL DESIGN GENERATIVO
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Insieme di Mandelbrot In queste fotografie possiamo osservare come sia strutturato l’insieme di Mandelbrot e come, ingrandendo la raffigurazione grafica dell’ insieme, si generino nuove strutture differenti ma sempre riconducibili a quella iniziale. Da queste immagini possiamo comprendere due caratteristiche fondamentali dei frattali: l’autosomiglianza e la risoluzione indefinita. Nel primo caso, se i dettagli vengono osservati a scale differenti, si nota sempre una certa somiglianza approssimativa con il frattale originale; nel secondo caso non è possibile definire in modo preciso ed assoluto i confini dell’insieme.
2. L’IMPORTANZA CULTURALE DEL DESIGN GENERATIVO
3. IL CONCETTO D’IDENTITÀ AZIENDALE E L’EVOLUZIONE DEI MARCHI
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3.1 Definizione del concetto di marca
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Dopo aver analizzato da un punto di vista culturale l’attitudine generativa, intesa quale l’interazione del singolo con il molteplice nelle diverse discipline e intesa quale capacità di saper riconoscerne il valore, ci soffermiamo su come il marchio rappresenti l’identità di un’azienda e su come si è evoluto nella storia. Le aziende si identificano grazie al marchio, che risulta essere il primo messaggio rivolto al cliente ed è il segno distintivo che rappresenta la mission, la vision e la storia dell’azienda. È complesso definire in maniera chiara l’identità aziendale perché esistono tanti fattori da tenere in considerazione. Uno degli aspetti più importanti è sicuramente la marca che è una denominazione, un simbolo, un disegno o
3. IL CONCETTO D’IDENTITÀ AZIENDALE E L’EVOLUZIONE DEI MARCHI
1 Laura Minestroni, Il manuale della Marca. Milano, Logo Fausto Lupetti, 2010, p.75
un insieme di tali elementi, attraverso i quali le aziende trasmettono i propri valori nei prodotti e nei servizi offerti, per essere riconosciuti e per differenziarsi dalla concorrenza. Inoltre, la marca corrisponde alla specifica relazione tra domanda, offerta e concorrenza in un determinato mercato. La specificità di un prodotto o di un servizio denota la natura intersoggettiva della marca, che necessita di un riconoscimento identitario, risultato di un processo che coinvolge uno studio approfondito sui significati e sulla loro comunicazione.1 Ciò premesso, è possibile affermare che le aziende sono come delle persone, uniche e con una specifica personalità, di cui la marca non è altro che il segno distintivo che li rappresenta. La marca è la traduzione del termine brand, che deriva dall’antico francone brennan (antica lingua germanica) che significa “bruciare”; quindi il brand è qualcosa che brucia, vibra nel suo interno e l’etimologia stessa sottolinea il carattere vitale di un’azienda. La marca di un’azienda è costituita da un insieme di fattori: il brand knowledge, il brand positioning, il brand recognition e il brand identity. Il brand knowledge (conoscenza di marca) indica gli aspetti che denotano la qualità di un brand, includendo la notorietà e l’immagine di marca. La notorietà è la capacità di un brand di essere identificato dai consumatori e ne esistono diversi gradi: si inizia con la non conoscenza della marca, quando il prodotto di un azienda viene ignorato; si procede con il riconoscimento, nel momento in cui il consumatore acquista un prodotto perché stimolato dalla marca; infine, si giunge al ricordo spontaneo, quando la domanda compra il prodotto senza alcuno stimolo. L’immagine di marca rappresenta l’aspetto qualitativo della conoscenza della stessa, che analizza come i consumatori percepiscono il prodotto.
3. IL CONCETTO D’IDENTITÀ AZIENDALE E L’EVOLUZIONE DEI MARCHI
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La valutazione dei consumatori esprime l’accettazione della marca, quando un prodotto ha una percezione positiva, o come non accettazione, quando i consumatori ne hanno un’esperienza negativa. Il brand positioning (posizionamento) è inteso come la collocazione che un brand assume all’interno di un settore competitivo per occupare una posizione distintiva rispetto ai concorrenti. La visualizzazione efficace di questa collocazione avviene attraverso la mappa del posizionamento, uno strumento grafico che rappresenta quattro coordinate di riferimento, dove si collocano i vari concorrenti e l’azienda in questione, basandosi sui dati raccolti riguardo a preferenze, intenzioni di acquisto, valori aziendali e percezione dei consumatori.
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Il brand recognition (riconoscimento di marca) misura la capacità della domanda, dopo che è stata stimolata, di associare una marca al prodotto o all’azienda che rappresenta. Nello specifico, si tratta del dato percentuale del pubblico che riconosce la marca, nel venire a contatto con la visione del marchio oppure con l’ascolto di uno slogan. Pertanto, l’identificazione della marca avviene sulla base di uno o più segni di riconoscimento della stessa, ma è possibile che il ricordo della marca venga stimolato attraverso la categoria di appartenenza, dai bisogni soddisfatti dalla categoria di riferimento, o ancora da una particolare situazione di acquisto o di utilizzo del prodotto. Il brand identity (identintità dI marca) sarà approfondito in maniera specifica nel paragrafo seguente.
3. IL CONCETTO D’IDENTITÀ AZIENDALE E L’EVOLUZIONE DEI MARCHI
3.2 Brand identity e le sue componenti
Il brand identity costituisce l’insieme di tutti gli elementi visivi che interpretano l’ identità dell’azienda e la caratterizzano. La comunicazione dei valori di un’azienda è efficace, quando l’identità è semplice, chiara e coerente; essa viene interpretata attraverso diversi elementi che sono il naming, il payoff, la vision, la mission, il packaging e il marchio. Il naming è la denominazione di un’azienda, servizio o prodotto ed è uno dei primi elementi che vengono memorizzati dal consumatore. Il naming efficace è breve, memorizzabile, originale e orecchiabile; in sintesi, la semplicità e la creatività sono le caratteristiche ideali per la scelta del nome. Esistono tre tipologie di naming: descrittivo, patronimico ed evocativo. Il nome descrittivo, come Perlana o Poltronesofà, funziona perchè delinea una caratteristica del prodotto. Il nome patronimico, come Armani o Versace, è scelto da brand che si identificano con il cognome del fondatore. Il naming evocativo, come Amazon, colpisce l’immaginario. Il payoff è uno slogan, che serve per caratterizzare in maniera specifica il brand, e viene affiancato al naming e al marchio. L’idea è di colpire nell’immediato l’immaginario del consumatore e favorirne l’ identificazione. Alcuni esempi di payoff efficaci sono: BMW “Il piacere di guidare”, Apple “ Think different” oppure Nike “Just do it”. La vision corrisponde all’idea che l’imprenditore ha sul futuro della propria azienda, sugli obiettivi da raggiungere, sui nuovi mercati da abbracciare, sui nuovi prodotti e sui miglioramenti da implementare nella struttura o nel personale. Tali propositi rispecchiano i sogni e gli ideali dell’imprenditore e vengono trasmessi dall’attività commerciale. La vision è efficace quando viene condivisa dal personale dell’azienda. La mission, invece, raccoglie l’insieme di azioni atte a realizzare i propositi della vision. Una mission adeguata propone obiettivi realizzabili e proiettati nel presente, nell’intento di fornire una guida operativa e di realizzare quanto esprime la vision.
3. IL CONCETTO D’IDENTITÀ AZIENDALE E L’EVOLUZIONE DEI MARCHI
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Il packaging è una sezione del marketing che si occupa della progettazione delle confezioni dei prodotti. La confezione di un prodotto è idonea quando svolge tre funzioni: quella di contenimento e conservazione del prodotto, la fruizione di esso ed infine la funzione comunicativa per identificare l’articolo da vendere, in coerenza con i valori dell’azienda. Il packaging è un elemento utile per distinguere e personalizzare il prodotto, oltre che distribuirlo e collocarlo nei punti vendita. Si tratta di uno strumento utile a comunicare stimoli al consumatore sul punto vendita e spingerlo all’acquisto immediato del prodotto. Tuttavia la confezione di un prodotto svolge un ruolo di richiamo e di comunicazione di marca: non solo ne aumenta il ricordo e l’ immagine, ma contribuisce anche a definirne l’identità.
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Il marchio, che corrisponde ad un prodotto, un’azienda o a un ente, è considerato dai progettisti l’elemento essenziale del graphic design, perché riassume in esso tutte le condizioni fondamentali della comunicazione visiva, utili a identificare, informare, presentare e promuovere un prodotto o un’azienda.
3. IL CONCETTO D’IDENTITÀ AZIENDALE E L’EVOLUZIONE DEI MARCHI
3.3 Qual è la differenza tra marchio e logo?
Attualmente nel mondo del marketing e nella comunicazione si confonde il logo con il marchio. Il marchio è l’insieme di simboli, lettering o segni che identifica concretamente una marca. Esistono diversi tipi di marchi che sono il logotipo e il pittogramma. Il logotipo, di cui “logo” è la forma abbreviata, è composto esclusivamente dal lettering, come quello della Coca Cola; invece, il pittogramma è un simbolo che rappresenta un brand, come il marchio della Apple. Nel design del marchio è fondamentale la scelta del nome, ancor prima della forma. Il naming è l’arte di calare il brand nel cuore del prodotto, sino a diventare un termine di successo che si identifica con il prodotto stesso ( es. Scottex, Rimmel, Thermos). Questi prodotti nascono come nomi di marche e diventano i prodotti stessi. Prima della produzione del prodotto, bene o servizio, le società e gli enti effettuano delle riflessioni teoriche nelle quali vengono analizzati tutti gli aspetti del prodotto, definiti dal termine inglese brand. Il brand è l’idea psicologica del prodotto e non la merce o il prodotto stesso. Una multinazionale può possedere in varie parti del mondo diverse fabbriche e laboratori, ma è il brand che fa apparire l’azienda come un’unica entità, tramite il visual design. Il marchio non coincide con il brand ma ne è il vessillo. Il lavoro coordinato del marchio, con tutti gli altri elementi sia grafici, sonori o tattili, costituisce un’identità uniforme e riconoscibile, che si imprime nella memoria, convince e seduce, intendendo con detto termine “attrarre a sé”, fidelizzare. Questo metodo di comunicazione visiva vale anche per le idee politiche e messaggi sociali. Infatti nei paesi del Nord Europa le istituzioni investono consapevolmente in simili comunicazioni visive, per comunicare trasparenza e correttezza ai destinatari.
3. IL CONCETTO D’IDENTITÀ AZIENDALE E L’EVOLUZIONE DEI MARCHI
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3.4 Le prime rappresentazioni dell’identità di marca
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Il marchio moderno, più che dalla marchiatura del bestiame, inizia dall’araldica, cioè da quando è stato utilizzato lo stemma per rivelare l’identità del proprietario di un prodotto, secondo le condizioni e i modi stabiliti dallo stesso, mentre la marchiatura, i timbri e i sigilli erano usati per rivelare la proprietà o la provenienza. L’araldica non ha riguardato solo i casati nobiliari ma anche tutti i ceti sociali ed è un sistema di riconoscimento che ha radici antiche, persino nel mondo romano quando le gare delle bighe dividevano le tifoserie in due gruppi, ognuno con una coppia di colori distintivi, sistema che tutt’oggi vige nello sport. Lo stesso è avvenuto nel mondo bizantino e lo si riscontra nei colori delle contrade del palio di Siena. Il motivo per cui i colori delle squadre sono sempre a coppia è dovuto al fatto che sono facilmente memorizzabili, mentre un colore isolato è psicologicamente mutevole.
3. IL CONCETTO D’IDENTITÀ AZIENDALE E L’EVOLUZIONE DEI MARCHI
In età umanistica nacquero delle vignette riportanti un motto dette “imprese” o “emblemi” e fu un tale successo che furono raccolte in un libro dal giurista milanese Andrea Alciato, una sorta di araldica personale, filosofica con connotazioni morali. Da queste nacquero le prime “marche editoriali” come quella di Aldo Manuzio che raffigura un delfino avvinto ad un’ancora a cui è accostato un motto latino “festina lente” (affrettati con lentezza) che oggi può chiamarsi slogan. Questo emblema fu una dichiarazione di intenti, in cui l’imprenditore scelse un segno specifico che indica chi era e cosa faceva. È uno dei primi marchi moderni. Il marchio per Manuzio era una questione sia di identità che di diritto industriale, un modo per tutelare i suoi prodotti dalla falsificazione, come la filigrana della carta. Il copyright nasce nel XVI secolo ed è tutt’uno con la marca. Anche Louis Vuitton, secoli dopo, farà ricoprire di marchi i suoi bauli, viste le massicce imitazioni, inventando un pattern tra i più famosi, con le ripetizioni del marchio come una carta da parati, divenendo simbolo di pelletteria.
3. IL CONCETTO D’IDENTITÀ AZIENDALE E L’EVOLUZIONE DEI MARCHI
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3.5 Come nasce l’identità aziendale
2 Riccardo Falcinelli, Critica portatile al visual design, Torino, Einaudi, 2009 p. 108
Nel XIX secolo, con il maturare della società capitalistica, si vengono a definire le caratteristiche sociali della modernità: i ceti contadini si urbanizzano a seguito dell’industrializzazione, si diffonde l’alfabetizzazione di massa, si sviluppa lo Stato con una struttura organizzativa centralizzata e l’istituzione di organi ed uffici statali (ospedali, scuole, prigioni), si avvia l’utilizzo della scienza, considerata come legittimazione delle convenzioni sociali e si sviluppano le prime forme di promozione pubblicitaria. Tutte queste istituzioni non necessitano più di un ruolo ma hanno bisogno di un’identità chiara e precisa che faccia coincidere le proprie azioni con la propria essenza. Così l’identità si configura come una versione attiva e laica dell’interiorità umana. In questo tipo di società capitalistica e consumistica, il marketing si diffonde facilmente perché l’identità non è solo un fatto personale, ma diventa il fondamento della comunicazione con identità locali, nazionali, aziendali ed identità globali.2
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A ciascuna identità il visual design affida uno stile, un colore e un’immagine coordinata e l’utente o il pubblico potrà scegliere a quale identità visiva potrà appartenere. Nel mondo degli affari l’immagine coordinata, che rimanda all’identità, è definita “ identità aziendale”. Il concetto, inizialmente usato dalla politica e dalla burocrazia, è stato utilizzato successivamente dalle aziende. Per esempio, il marchio di Napoleone è stato riprodotto su mobili, scudi e carte bollate; allo stesso modo avviene con l’immagine coordinata delle aziende, intesa quale declinazione dell’identità visiva in tutti i supporti che caratterizzano l’attività. Avere un’identità significa farsi riconoscere e il visual design è necessario per raggiungere tale scopo.
3. IL CONCETTO D’IDENTITÀ AZIENDALE E L’EVOLUZIONE DEI MARCHI
3.6 L’evoluzione dei marchi 69
3.6 L’evoluzione dei marchi
Con l’avvento delle rivoluzioni industriali e lo sviluppo delle aziende, i marchi si sono diffusi e sono diventati lo strumento più importante per identificare un’attività imprenditoriale. In questo capitolo sarà approfondito come il marchio si sia evoluto dalla fine dell’ottocento fino ai giorni nostri, evidenziando una tendenza stilistica generale, che ha caratterizzato un periodo storico; in seguito sarà analizzato come si è evoluto il marchio di un’azienda nel periodo di riferimento.
3.6.1 Il dominio del bianco e nero nell’Ottocento
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3 http://www.cocacolaitalia.it/storie/cocacola-storia-di-un-marchio
1886
1987
A partire dalla metà del XIX secolo, il marchio iniziò a diventare una strategia di identificazione per le aziende. I marchi di tale periodo erano realizzati a mano oppure venivano utilizzati i caratteri adoperati nelle tipografie, formando dei marchi che erano in bianco e nero. Uno dei loghi più celebri di quel periodo è sicuramente quello della Coca Cola. Nel 1886 il farmacista statunitense John Pemberton ideò la ricetta di una bevanda, che era una variate al “vino di coca” ed era un composto di bevande distillate dalle foglie di coca e dalla noce di cola. Per scegliere il naming dell’azienda, il suo socio e contabile Frank Mason Robinson si ispirò semplicemente ai due componenti principali della bevanda originale.3 Il risultato “Coca Cola” risulta essere un naming efficace, perché è breve e memorizzabile, grazie all’allitterazione.
1900
2000
3. IL CONCETTO D’IDENTITÀ AZIENDALE E L’EVOLUZIONE DEI MARCHI
1944
2009
Robinson desiderava che il naming del suo prodotto avesse uno stile grafico d’impatto. Decise di utilizzare l’adattamento in corsivo della font Spencerian, che era molto diffuso e presentò ai dipendenti dell’azienda una proposta del marchio, chiedendo un giudizio. Il consenso fu unanime e così venne scelto il marchio dell’azienda. Il logotipo, composto da un carattere tipografico disegnato a mano di natura calligrafica con delle linee sinuose e armoniose, richiama ad una dimensione tradizionale e artigianale, dove dominano valori quali la genuinità e l’autenticità. Inoltre le cromie utilizzate, che sono il rosso per lo sfondo e il bianco per il lettering, evocano sensazioni e sentimenti come passione, vivacità ed energia, i valori fondanti dell’azienda. Nel corso di un secolo il logotipo ha subito delle lievi variazioni, pur mantenendosi fedele con la versione originale.
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3. IL CONCETTO D’IDENTITÀ AZIENDALE E L’EVOLUZIONE DEI MARCHI
3.6.2 Lo sviluppo del branding nel Novecento
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4 Dario Russo, Corporate image, Milano, Lupetti Editori di Comunicazione - 2005, p.14.
I marchi depositati divennero popolari nei primi anni del ‘900, cioè nel momento in cui il concetto di brand iniziò a farsi più consistente. Anche allora, tranne rare eccezioni, la maggior parte dei loghi erano in bianco e nero. Uno dei contributi più significativi fu quello dell’architetto Peter Beherens, che lavorò per un progetto totale d’identità dell’azienda elettrica tedesca AEG, tanto che fu uno dei primi a realizzare quella che oggi definiamo “immagine coordinata”.4 Peter Behrens nel 1907 progettò non solo i prodotti, ma anche la fabbrica, in cui avveniva la produzione degli oggetti, la comunicazione e la pubblicità per la vendita. Behrens realizzò tutto quello che concerne l’azienda, dalla vite al manifesto, dal logotipo alla font, coordinando tutto in maniera nuova e coerente. Egli indicò la strada al brand design delle aziende americane, che trovarono nell’AEG un modello di riferimento.
3. IL CONCETTO D’IDENTITÀ AZIENDALE E L’EVOLUZIONE DEI MARCHI
Il logotipo della AEG fu progettato dall’architetto tedesco nel 1908 e fu l’elemento fondativo dell’azienda. È composto da tre esagoni che contengono le tre iniziali AEG racchiusi in un esagono più grande. Il logotipo si risolve in termini geometrici modulari con precise proporzioni aritmetiche. Il marchio allude ad un alveare, simbolo dell’operosità della nuova cultura industriale. Il logotipo venne applicato su tutti i prodotti dell’azienda, dagli artefatti pubblicitari agli oggetti industriali e alle strutture architettoniche. Ne sono state presentate due varianti: la prima versione conteneva le tre lettere iniziali allineate in senso orizzontale e racchiuse in un rettangolo, ed una versione contornata da un filetto ellissoidale, tipica dei marchi di fabbrica, in una sorta di corsivo minuscolo. Paragonando i loghi di Behrens con i precedenti, si denota che il taglio progettuale, fondato sulla strutturazione geometrica, abbia preso le distanze dallo stile floreale dello Judenstil.
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3. IL CONCETTO D’IDENTITÀ AZIENDALE E L’EVOLUZIONE DEI MARCHI
3.6.3 I marchi durante le due guerre mondiali
1692
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1929
1947
1994
Durante le due guerre mondiali la produzione economica delle aziende si bloccò o si focalizzò verso la produzione militare, pertanto lo sviluppo delle aziende e delle loro identità fu rallentato. Nonostante la guerra, ci furono delle aziende che avviarono la propria attività e una delle realtà più interessanti è stata quella della Ferrari. Nel 1929 Enzo Ferrari, il pilota che vinse la corsa che si tenne sul Circuito del Savio a Ravenna in memoria di Francesco Baracca, un ufficiale aviatore deceduto nella Grande Guerra, creò la scuderia Ferrari a Modena, una filiale tecnico-agonistica dell’Alfa Romeo. Nel 1943 la società si trasferì su un terreno di proprietà Ferrari sito a Maranello (MO). Enzo Ferrari come marchio di fabbrica utilizzò lo stemma del cavallino rampante che Francesco Baracca aveva riportato sulla fusoliera del suo aereo, l’emblema del cavallino rampante reggimentale, simbolo della cavalleria Savoia, del quale andava fiero, in quanto ufficiale di cavalleria prima di diventare aviatore. Il cavallino nero, ritto su una sola zampa posteriore, fu inserito in uno scudo giallo, colore della città di Modena, e fu bordato in alto con i colori della bandiera italiana. Tale marchio apparve su tutte le pubblicazioni ma non sulle auto perché di marca Alfa Romeo.
3. IL CONCETTO D’IDENTITÀ AZIENDALE E L’EVOLUZIONE DEI MARCHI
5 http://corporate.ferrari. com/it/chi-siamo/la-astoria
Con l’inizio della realizzazione delle autovetture da parte di Enzo Ferrari, lo scudetto Ferrari fece il suo esordio sulle auto in occasione della “24 ore di SPA ” in Belgio, a cui la scuderia Ferrari partecipò con due auto.5 Oltre al marchio a scudo, fu creato il marchio rettangolare con il cognome del fondatore della scuderia, utilizzando per il lettering il carattere graziato e molto spaziato. Successivamente fu sottoposto a restyling. Il marchio rettangolare è apposto su tutte le auto Ferrari, granturismo e da competizione, mentre il marchio a scudo contraddistingue le vetture ufficiali nelle gare. I marchi Ferrari hanno avuto in oltre 70 anni di storia continue ma contenute evoluzioni, consolidando nel 1994 i segni distintivi Ferrari.
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3. IL CONCETTO D’IDENTITÀ AZIENDALE E L’EVOLUZIONE DEI MARCHI
3.6.4 I marchi nel dopoguerra: anni 50
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Durante questo periodo ci fu un cambiamento a livello stilistico perchè i designer elaborano artefatti più semplici ma più efficaci dal punto di vista comunicativo. Lo stile dei marchi diventa più moderno e lineare, perché vengono percepiti e memorizzati dal cliente in maniera immediata. È un periodo caratterizzato dall’utilizzo del logotipo, nei quali l’elemento tipografico domina; infatti in questo capitolo verranno analizzate l’evoluzione di due loghi molto importanti: IBM e Olivetti. Il primo logo IBM fu elaborato negli anni ’30: era un monogramma in carattere City Medium. Paul Rand nel 1956 fu incaricato di cambiare la grafica dell’azienda IBM ed egli preferì ridisegnare il logotipo redendo più moderna la versione precedente. L’ innovazione è caratterizzata dalla collocazione di due quadratini in negativo nella B e da una rivisitazione in chiave geometrica. Paul Rand presentò quattro versioni di loghi: una piena e tre contornate, a
3. IL CONCETTO D’IDENTITÀ AZIENDALE E L’EVOLUZIONE DEI MARCHI
tratto spesso, tratto medio e tratto sottile. Rand non volle progettarne uno ex novo perché temeva che non fosse accettato favorevolmente, dal momento che i dirigenti dell’IBM erano ancora affezionati alla versione precedente. Invece la nuova versione fu accolta con entusiasmo. Sei anni dopo, nel 1962, sarà adottata la versione a strisce che conosciamo, legando in maniera armonica ed originale le lettere e risolvendo l’incongruenza stilistica della versione precedente. Propose il logo in due versioni: a otto e tredici strisce che i dirigenti IBM non accolsero volentieri, denunciando una somiglianza con l’uniforme di una prigione. Il logo, invece, ebbe successo e si è affermato sino ai nostri giorni, risultando uno dei marchi più efficaci in assoluto.
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3. IL CONCETTO D’IDENTITÀ AZIENDALE E L’EVOLUZIONE DEI MARCHI
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Il logotipo della Olivetti attraverserà un’evoluzione crescente nel corso degli anni tra il 1911 e il 1971. Il primo logo fu disegnato dal fondatore Camillo Olivetti in stile Liberty; cambierà nel 1934 con il secondo progettato da Xanti Schavinsky (un bauhausiano che lavorò nello studio Boggeri) che lo rappresentò con una configurazione geniale, riportando nel logo le lettere tipiche della macchina da scrivere, generando così l’identificazione Olivetti-macchina da scrivere. Il terzo logo fu disegnato da Marcello Nizzoli nel 1950 che lo rese semplice e lineare, ampliando la crenatura, lo spazio tra le lettere, e rendendolo più leggero. Il quarto logo, adottato da Giovanni Pintori nel 1955, è più compatto, poichè la crenatura è diminuita e lo spessore delle lettere è aumentato. Infine, il quinto e ultimo logo elaborato nel 1971 da Walter Ballner, presentò un’impronta più compatta ed incisiva, aumentandolo di volume.
3. IL CONCETTO D’IDENTITÀ AZIENDALE E L’EVOLUZIONE DEI MARCHI
3.6.5 I marchi negli anni 70
Durante gli anni ’70 i marchi riflettevano la cultura televisiva, che aveva un suo linguaggio e uno stile estetico diverso, caratterizzato dal medium video. Si tratta di uno stile estetico più vivace, colorato ed espressivo rispetto a quello utilizzato dal metodo progettuale precedente. Uno dei casi più singolari del periodo è il marchio della Apple, la cui evoluzione è possibile rivisitarla in 3 marchi. Il primo venne disegnato da Ronald Wayne, nel 1976, il quale era un socio della Apple. L’elaborato proposto da Wayne è un’illustrazione in bianco e nero, che raffigura Newton, seduto sotto un albero mentre sta leggendo, e una scritta che recita “Apple computer & co. – Newton: una mente che solca i difficili mari del pensiero”. Il marchio è dettagliato e tecnicamente curato ma dal punto di vista comunicativo è poco efficace perchè la mela, che dovrebbe essere l’elemento più importante del marchio, è poco visibile e la scritta Apple è poco leggibile. Jobs infatti lo scartò immediatamente, ricercando un marchio più professionale. Per il nuovo logo Jobs incaricò l’agenzia pubblicitaria Regis McKenna, in cui già lavorava Rob Janoff, uno dei più creativi progettisti di quegli anni, designer che realizzò il marchio di brand quali FedEx, Volkswagen e CNBC. Janoff, per cercare ispirazione, si recò direttamente al supermercato e comprò mele di ogni varietà per avere una visione completa del frutto. Dopo qualche settimana di progettazione Janoff si presentò da Jobs con il disegno di una mela monocromatica con un morso laterale. Jobs apprezzò l’idea ma chiese a Janoff di rendere il disegno più colorato per trasmettere l’umanità dell’azienda. Fu allora che Janoff progettò quello che divenne il secondo marchio: la mela arcobaleno. Durante gli anni novanta Steve Jobs tornò a capo della compagnia e decise di compiere diversi cambiamenti sia a livello dirigenziale che a livello d’identità. Jobs ha ritenuto giusto rendere più moderno il mar-
3. IL CONCETTO D’IDENTITÀ AZIENDALE E L’EVOLUZIONE DEI MARCHI
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chio perché l’arcobaleno appariva superato e i pubblicitari confermarono che l’azienda era certamente più associabile alla mela che non ai colori. Si iniziò quindi a studiare un logo che mantenesse la mela, eliminando le bande colorate e utilizzando una monocromia semplice ma efficace. I loghi proposti diedero subito un’immagine più seria e professionale dell’azienda e l’identità, oltre ad essere da un punto di vista comunicativo più diretta, risultò più versatile nei vari supporti applicati rispetto alla versione precedente. Il terzo logo, quindi, quello della nuova era, iniziò ad essere utilizzato nel 1998, subendo ben poche variazioni. Nell’ultima decade infatti poco è cambiato della mela monocromatica e solo tre sono state le varianti.
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3. IL CONCETTO D’IDENTITÀ AZIENDALE E L’EVOLUZIONE DEI MARCHI
4. IDENTITÀ GENERATIVE
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4.1 L’avvento del digitale
L’avvento dell’era digitale si è verificato grazie alla diffusione dell’informatica e dell’elettronica, aspetti che hanno comportato importanti cambiamenti nel nostro modo di vivere e lavorare. Attraverso la diffusione dei computer e delle prime macchine si è sviluppata l’informatica, che è la disciplina che studia il processo dell’ordinamento, memorizzazione e trasmissione di informazioni attraverso il supporto di procedure automatizzate. Tali informazioni sono elaborate grazie all’elettronica che è l’applicazione dell’elettricità nella progettazione di sistemi, che sono in grado di sviluppare segnali contenenti delle informazioni con diverse applicazioni. L’utilizzo delle tecnologie informatiche ha avuto una sua evoluzione fino a raggiungere la forma e la diffusione che oggi conosciamo. Le peculiarità che caratterizzano il computer sono tre: l’interfaccia grafica, la capacità di memorizzare informazioni e l’accesso alla rete. L’ interazione dell’uomo con la macchina avviene grazie dell’interfaccia grafica, che consiste nella
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schermata in cui l’utente assegna istruzioni al computer grazie ad oggetti grafici convenzionali. Inizialmente l’interazione era limitata, poichè la potenza di calcolo delle macchine era insufficiente per eseguire altre funzioni. Quando le prestazioni dei computer hanno raggiunto livelli soddisfacenti, i programmatori hanno avuto la possibilità di soffermarsi sull’interfaccia grafica. Il primo programmatore a concentrarsi su tale componente è stato Alan Kay, informatico che ha lavorato per la Xerox e la Apple, il quale ha capito che i display grafici con finestre, icone, ipertesto e cursore potevano essere integrati nel computer, e che l’ interazione con esso doveva essere semplice e facile da memorizzare. La principale funzione di un computer è stata quella di immagazzinare informazioni e la componente dedita a questo compito è l’hard disk. Il progresso tecnologico ha comportato il miglioramento delle prestazioni del computer stesso e lo sviluppo di dispositivi esterni, quali il floppy disk, che è il primo supporto utilizzato per il trasferimento dei dati;
4. IDENTITÀ GENERATIVE
il CD-ROM, che permette la registrazione dei dati in maniera analogica e digitale ed è basato su un sistema laser di scrittura e lettura; la chiavetta USB, che è una scheda di memoria estraibile; e i supporti di memoria ottici quali DVD o Blu-ray, che permettono di visualizzare contenuti video di elevata qualità. L’aspetto che ha maggiormente comportato rivoluzioni nell’età digitale è stata la possibilità di potersi collegare alla rete, che consiste nella capacità di comunicare e trasmettere informazioni a distanza. A partire dagli anni novanta si è diffuso internet, offrendo all’utente una vasta serie di contenuti informativi e di servizi, sviluppando il networking, che è un modello comunicativo in cui il ruolo di emittente e destinatario si invertono, generando un notevole numero di interazioni e scambio di informazioni. L’avvento dell’età digitale è un avvenimento rivoluzionario costituendo 1 Zygmunt Bauman, Modernità liquida, Bari, Laterza, 2011
uno dei fattori che ci introduce nella “società liquida”,1 come viene definita dal professor Zygmunt Bauman, perchè la caratteristica intrinseca di un liquido è la sua incapacità a mantenere costante la propria forma nel tempo. Si perdono le certezze e le sicurezze del passato, vivendo in un presente di profonda instabilità, caratterizzato da mutamenti repentini e imprevedibili, dominato dal disorientamento e dal caos. Le nostre stesse identità diventano liquide e si lasciano alle spalle le certezze e la stabilità del passato, ma nello stesso tempo si abituano alla flessibilità, alla varietà e all’interazione con il molteplice. Questa novità è molto interessante dal momento che nella società attuale l’uomo deve imparare a interagire con il molteplice: costituiamo una società che fruisce di una notevole quantità di contenuti on line, come quando effettuiamo ricerche su Google, scegliendo tra milioni di contenuti ciò che ci interessa; oppure interagiamo con i big data, che sono una raccolta di dati massivi utilizzati per analizzare esperienze eterogenee, fenomeni del passato e del presente e per eseguire previsioni sul futuro.
4. IDENTITÀ GENERATIVE
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4.2 Differenze tra il marchio tradizionale e quello generativo La progettazione grafica è un settore che è stato particolarmente influenzato dalla rivoluzione digitale, tanto che i metodi di lavoro si distaccano profondamente dalla tradizione. La fruizione dei media digitali ha amplificato la tendenza della progettazione verso la molteplicità, il dinamismo e la flessibilità. Al contrario, il graphic design novecentesco è stato fortemente influenzato dal contesto ed ha prodotto artefatti la cui caratteristica principale era la fissità e la coerenza. Il graphic design ha realizzato progetti statici e fissi perchè si concentrava sulla necessità di realizzare un artefatto che comunicasse in maniera diretta e fosse immediatamente riconoscibile. Pertanto i designer si sono focalizzati su una concezione stabile del lavoro perchè una progettazione dinamica era controproducente e complessa da realizzare. Nella definizione delle scelte progettuali d’identità visiva è interessante il contributo di Giovanni Anceschi, cha ha suddiviso l’approccio progettuale al brand identity in due categorie: polo soft e polo hard. Il polo soft è
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“un’immagine spontanea che agisce e si sviluppa liberamente, in assenza 2 Giovanni Anceschi, Monogrammi e figure, Firenze, Casa Usher, 1988, p. 177
di necessità e vincoli”.2 Tale definizione sottolinea che l’ identità aziendale si determinava attraverso il continuo confronto tra progettista ed imprenditore. Un modello della teoria soft è stata l’esperienza beherensiana nell’AEG di inizio novecento, che ha definito l’approccio alla progettazione dell’identità visiva degli anni successivi. Il modello hard della comunicazione è l’applicazione pedissequa del manual, inteso come “li-
3 Ivi, p.152
bro della legge comunicativa dell’azienda”3. Un esempio del polo hard è stato il progetto d’ identità, eseguito da Otl AIcher nel 1962, per Lufthansa, dove è stato utilizzato un approccio metodico e sistematico, riportato nel manual, in cui era descritto ogni possibile applicazione del marchio, realizzando un progetto in cui emergeva il rigore grafico e l’eleganza formale. Da quando gli strumenti informatici e il mondo digitale sono entrati in relazione con il graphic design, è avvenuto un cambiamento importante in quanto il designer entra in un mondo dinamico in cui ha la possibilità
4. IDENTITÀ GENERATIVE
di sperimentare. I designer così hanno iniziato a lavorare con gli strumenti innovativi messi a disposizione dal mondo digitale senza dimenticare la conoscenza tradizionale. L’obiettivo del progettista è quello di realizzare artefatti che siano riconoscibili nella loro essenza, ma allo stesso tempo appaiano dinamici e polivalenti, in modo che possono essere declinati su media diversi. L’affascinante scenario attuale vede i progettisti integrare la programmazione nella realizzazione di progetti di identità visiva, i cui risultati sono caratterizzati da variabilità, flessibilità e dinamicità. A partire dagli anni ottanta è avvenuto un cambiamento nella progettazione dei marchi, perchè si è verificata una frammentazione dell’unità e della staticità del marchio tradizionale a scapito di un’ identità dinamica, la quale è una rappresentazione dell’immagine aziendale flessibile, capace di adattarsi ai cambiamenti sempre più frequenti. Esistono due tipi di identità dinamiche: quella variabile e quella generativa. Negli anni ottanta una delle aziende ad aver utilizzato un marchio variabile è stata MTV, che è un’emittente televisiva che si rivolge agli adolescenti, proponendo contenuti musicali. Per raggiungere il proprio pubblico e rispecchiare le mode giovanili, MTV decide di personalizzare il proprio marchio grazie al contributo di videomaker e illustratori, generando una serie di loghi dallo stile differente. Questa scelta dimostra come il marchio variabile sia un contenitore, che subisce una serie di cambiamenti e personalizzazioni per adattarsi ad una specifica situazione. L’ identità generativa è caratterizzata dal fatto che il designer non si concentra sulla realizzazione di una singola struttura visiva (il marchio) ma lavora su un sistema che genera strutture, grazie all’ausilio degli algoritmi generativi.
4. IDENTITÀ GENERATIVE
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4.3 Caratteristiche del marchio generativo
La nuova generazione di designer acquisisce nuove competenze di programmazione e capacità di definire un sistema di regole di base e di gestirle nella maniera migliore. L’ identità generativa è una nuova forma di rappresentazione visiva dove il designer progetta con un software generativo, che è capace di realizzare un elevato numero di prototipi grazie alla potenza di calcolo dell’algoritmo. In questo senso i marchi generativi vengono definiti fluidi e flessibili, perchè utilizzano stilemi dinamici ed espressivi con caratteristiche quali la variabilità, la processualità, la performabilità e la molteplicità. Recentemente si sono diffuse delle tendenze innovative di pensiero e di atteggiamento progettuale sul brand, che non viene percepito come una realtà statica e fissa, bensì dinamica e fluida, dove il consumatore si immedesima sempre più e il marchio, di conseguenza, rispecchia questo cambiamento. Le caratteristiche principali del marchio generativo sono: la temporalità, che è la capacità del progettista di controllare l’evoluzione di un segno grafico, decidendo un sistema di regole che generano strutture visive eterogenee ma coerenti; la fluidità, che sottolinea la dimensione flessibile, infatti oggi vivendo nella società liquida dominata da internet, un buon marchio si contraddistingue per la capacità di sapersi adattare ai rapidi cambiamenti; la molteplicità, che indica la possibilità del marchio di mutare aspetto, grazie alla potenza di calcolo algoritmico del software, che genera un elevato numero di prototipi, assumendo aspetti diversi per contesti differenti. Tali aspetti sono molto interessanti per quelle aziende o istituzioni che interagiscono con una pluralità di fattori e hanno bisogno di un’identità versatile, capace di adattarsi e assolvere a diverse necessità.
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La progettazione di un’identità dinamica è suddivisa in tre momenti principali: l’analisi della struttura e dei valori dell’azienda, lo sviluppo delle costanti e delle variabili, e l’applicazione concreta degli artefatti
4. IDENTITÀ GENERATIVE
generati dal software. Quando il progetto d’identità è alla fase iniziale, è fondamentale il confronto tra il designer e l’imprenditore per verificare se l’azienda in questione sia adatta a un sistema d’identità generativa e, qualora lo sia, far emergere l’anima profonda del brand in tutte le sue sfaccettatura. In seguito il designer effettua una ricerca per definire meglio il concept e studia il segno grafico e astratto che possa interpretare al meglio i valori e le caratteristiche costanti dell’azienda. Tale segno grafico ha una matrice comune che poi viene declinata in modo variabile dal software generativo, così che possa identificare il brand nella sua completezza. Successivamente il designer traduce la forma visiva, che ritiene adeguata, utilizzando la sintassi del linguaggio di programmazione e scegliendo gli algoritmi capaci di generare una molteplicità di prototipi che rispecchino il segno base precedentemente scelto. Il gioco è fatto! Quando il designer ha scritto il programma completo, lo avvia e lascia che il software generi molteplici segni grafici, che saranno scelti insieme all’ imprenditore.
4. IDENTITÀ GENERATIVE
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CASA DA MUSICA Realizzata nel 2005 da Rem Koolhass per onorare la nomina di Porto come “Capitale Europea della Cultura del 2001”, Casa da Música è la principale sala da concerto della città portoghese. Nel 2007 per realizzare l’ identità dell’istituzione musicale è stato chiamato il designer austriaco Stefan Sagmeister, cha ha realizzato Logo Generator, un software che gestisce il marchio, riportando come segni grafici le diverse prospettive dell’edificio (Nord, Sud, Est, Ovest, Sopra e Sotto) e ispirandosi alla geometria dell’architettura. Il marchio si trasforma attraverso alcune applicazioni, cambiando forma e colore, rifacendosi alle cromie delle fotografie. Poiché l’istituzione è coinvolta con iniziative 88
legate al mondo della musica e rivolte a un pubblico eterogeneo, l’identità visiva è variegata e caratterizzata da colori personalizzabili per l’evento specifico. Per il personale che lavora all’interno, si è scelto di personalizzare i biglietti da visita con il marchio riportante i colori ripresi da una foto della singola persona.
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PENISOLA DI NORDKYN
Per la realizzazione della campagna di promozione turistica e dell’identità visiva della penisola di Nordkynn, nella regione di Finmark, sita all’estremità nord della Norvegia, è stato interpellato lo studio Neue Design di Oslo, che ha basato questo progetto su due fattori: il payoff “Where naturals rules” e i dati meteorologici che modificano la forma del segno base del marchio, in relazione alla direzione del vento e ai cambi di temperatura. E’ stato sviluppato un logo generator nel sito dell’azienda, in cui l’utente interessato può scaricare il marchio aggiornato alle condizioni climatiche in tempo reale.
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MIT MEDIA LAB
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In occasione del venticinquesimo anniversario dalla fondazione dell’università e dell’inaugurazione della nuova sede, MIT Media Lab ha commissionato lo studio The Green Eyl per la realizzazione di uno dei loghi generativi più noti. Il marchio è costituito dalla variazione di tre forme geometriche che modificano la propria posizione e le cromie. L’algoritmo del software è capace di generare 40.000 marchi, così da realizzare un’ identità per ogni facoltà, ogni membro dello staff e ogni studente. In tal modo è stata progettata una pagina web, per consentire ad ogni persona di scegliere il proprio marchio e creare delle personalizzazioni, realizzando il proprio biglietto da visita.
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BOLOGNA CITY BRANDING
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L’alfabeto visivo e alcune variazioni del progetto di city branding sono stati realizzati dai designer Matteo Bartoli e Michele Pastore, che hanno elaborato il progetto per il Brand di promozione culturale e turistico della città di Bologna, dopo aver vinto il relativo concorso nazionale. Gli elementi visivi, i valori tangibili, le sfaccettature e la percezione della città sono state alla base di un sistema di scrittura che sostituisce i grafemi dell’alfabeto latino con segni astratti di un immaginario storico tipico italiano. Le forme utilizzate si ripetono e riprendono gli archetipi figurativi della città bolognese, come la cinta muraria, Il mosaico, il mattone, il giglio e la croce del gonfalone araldico della città. Ogni iniziativa culturale e sociale che coinvolge la collettività bolognese ora ha una propria identità. Nel sito ebologna.it è disponibile un tool che permette di elaborare il proprio marchio personale e rende il cittadino partecipe all’identità visiva della città.
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5. STUDIO SULL’ IDENTITÀ GENERATIVA PER NOEMA
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5.1 Il magazine online Noema
Per la discussione della tesi ho scelto di approfondire il tema del logo generativo, suddividendo la tesi in due parti: la prima è teorica, la seconda è progettuale. Nella prima sezione ho analizzato il fenomeno dell’ identità generativa da un punto di vista tecnico e culturale, mentre nella seconda ho avuto la possibilità di eseguire, come esperimento del design generativo, un progetto d’identità della rivista online Noema, dopo averlo concordato con il professore Pier Luigi Capucci, di cui è il caporedattore. Noema è un magazine online che approfondisce le trasformazioni dei sistemi culturali in relazione all’evoluzione dei new media. Tale magazine online è stato fondato nel 1999 e segue l’esperienza di alcuni ragazzi dell’Università di Bologna che hanno pubblicato articoli online sul tema delle nuove tecnologie, diventando un punto di riferimento del web sia per i contenuti che per l’interfaccia grafica.
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5.2 Concept dell’identità del sito: ordine e caos
Le caratteristiche peculiari del magazine sono la molteplicità di argomenti trattati in relazione ai new media e il significato del naming. Il tema delle nuove tecnologie viene trattato in maniera completa nei molteplici ambiti culturali, infatti Noema è un sito sulle relazioni tra cultura, scienze e tecnologie e sulle loro reciproche influenze. Il termine “cultura” significa anche “abitudini”, “modi di vita”, “comunicazione”, “arte”, “società”, “economia”, “media”, “filosofia”…, mentre il termine “nuove tecnologie” va inteso in 1 https://noemalab.eu/ about/
maniera più estesa della mera accezione digitale.1 Il termine “noema”, che significa “pensiero, concetto e idea”, rende perfettamente il proposito di questo sito, ossia di razionalizzare e mettere ordine al caos delle nuove tecnologie. In sintesi, i temi della ricerca che caratterizzano il magazine sono l’ordine e il caos. Per realizzare una rappresentazione visiva di questi due termini opposti, è opportuno approfondire la teoria del caos che attraverso sistemi dinamici non lineari si propone di esibire un comportamento casuale. Pertanto ho deciso di utilizzare come segno grafico la visualizzazione dell’attrattore di Lorenz, che è un sistema di equazioni differenziali capace di generare un movimento caotico.
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5.3 L’effetto farfalla e il caos deterministico
2 Eric Bress, J. Mackye Gruber, The Butterfly Effect, Stati Uniti d’America, 2004
“Si dice che il minimo battito d’ali di una farfalla sia in grado di provocare un uragano dall’altra parte del mondo.”2 La citazione sull’effetto farfalla è un’applicazione della teoria del caos elaborata da Edward Lorenz, che studia, attraverso modelli fisici e matematici, i sistemi dinamici nei quali minime variazioni dello status iniziale provocano grandi cambiamenti nel lungo termine. Tali sistemi, nonostante siano regolati da leggi deterministiche, mostrano una componente caotica nell’evoluzione delle variabili dinamiche.
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5.4 Traduzione visiva del concept
Per riprodurre visivamente il segno grafico dell’attrattore ho utilizzato il linguaggio di programmazione Processing, che è un software capace di sviluppare giochi, animazioni, contenuti interattivi e opere d’arte generative. L’attrattore di Lorenz è generato da un sistema composto da tre fattori di cui due sono costanti ed uno è variabile. Il fattore variabile genera una serie di attrattori differenti ma, allo stesso tempo riconducibili alla forma base. Successivamente ho scritto il codice di un programma, che reinterpreta il sistema dell’attrattore di Lorenz e ad ogni riavvio del software muta la forma e il colore del logo, generando un’elevata quantità di variabili.
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5.5 Presentazione del poster alla mostra di arte generativa Presso il MAR, il Museo d’Arte di Ravenna, ho avuto l’opportunità di esporre un mio poster il 15 dicembre 2017 alla XX mostra internazionale di Arte Generativa, organizzata dal professor Celestino Soddu. Il poster illustra sinteticamente lo studio dell’identità generativa del sito Noema ed è suddiviso in due parti: nella prima è inserita la descrizione del concept e dell’elaborazione del progetto; nella seconda sono riportati una serie di loghi generati dal programma in forme e colori diversi. È stata un’esperienza molto interessante perché sono entrato in contatto con artisti di livello internazionale, ognuno dei quali ha presentato la propria opera, spaziando da modelli di architettura generativa, a composizioni di musica generativa e a installazioni che sperimentano possibilità avanzate di intelligenza artificiale.
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GENERATIVE IDENTITY FOR NOEMA Concept Noema
Lorenzo Blasi
Theory of chaos and Lorenz Attractor
103 Noema is a magazine that studies in deep the relationships between culture, science and new media. The most important aspect of the magazine is the multiplicity of the topics covered in articles, which focus on the interactions between art and science about new media. It is also fascinating the concept of Noema, which means “thought or idea” and wants to arrange the chaos of technologies. It is very interesting the theory of chaos, which proposes to show a random behavior through dynamical systems that are highly sensitive to initial conditions. Therefore I decided to use the visualization of Lorenz Attractor, which is a system of equations able to generate chaotic movement, as the graphic sign of logo. Using the software Processing, I’ve reproduced visually the attractor which changes color and shape when the program starts. This is a generative logo with a high amount of variables.
ORDER
Generative logo for Noema
CHAOS
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BIBLIOGRAFIA Zygmunt Bauman, Modernità liquida, Bari, Laterza, 2011 Hartmut Bohnacker, Benedikt Gross, Julia Laub, Claudius Lazzeroni, Generative Design: Visualize, Program, and Create With Processing, Princeton Architectural Press, 2012 Italo Calvino, Lezioni americane, Einaudi, Torino, 1972 Italo Calvino, Le città invisibili, Einaudi, Torino, 1972 Italo Calvino, Il castello dei destini incrociati, Einaudi, Torino, 1973 Italo Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, Einaudi, Torino, 1979 Pier Luigi Capucci, Arte e tecnologie. Comunicazione estetica e tecnoscienze, Bologna, Edizioni dell’ortica, 1996 Riccardo Falcinelli, Critica portatile al visual design, Torino, Einaudi, 2009 Ernst Heackel, Kunstformen der Natur, Munich (Germany), Marzo, Prestel Verlag, 2012 Marshall McLuhan, Gli strumenti del comunicare, Il saggiatore, 1962 Laura Minestroni, Il manuale della Marca. Milano, Logo Fausto Lupetti, 2010 Bruno Munari “Da cosa nasce cosa, Editori Laterza, Bari 1981 Bruno Munari, Artista e designer, Editori Laterza, Bari 1966 Matt Pearson, Generative art: A practical guide using processing, New York , Manning Pubblications, 2012 Dario Russo, Corporate image, Milano, Lupetti - Editori di Comunicazione - 2005
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SITOGRAFIA http://www.linkiesta.it/it/article/2016/05/25/la-rivoluzione-del-designgenerativo-dobbiamo-nascondere-linnovazione-/30489/ https://www.dama.academy/computational-design-algoritmi-generativi-eprogettazione-parametrica/ http://www.generativedesign.com/ http://www.paoloalbani.it/Letteraturacombinatoria.pdf http://digicult.it/it/the-agency/lectures/generative-nature-fabrica-workshop/ http://www.lettere.unimi.it/Spazio_Filosofico/imago/haeckel/elenacanadelli_ main.html http://www.maurizioturlon.it/varie_04_42.html http://www.coca-colaitalia.it/storie/coca-cola-storia-di-un-marchio https://noemalab.eu/
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RINGRAZIAMENTI Ora che la tesi è terminata, questa pagina di vita è dedicata a tutte quelle persone che mi sono state vicino in questo ultimo periodo. Vorrei ringraziare la mia famiglia, in primis mia madre, che mi ha sempre sostenuto e supportato in questo percorso, aiutandomi a superare ogni difficoltà con la tenacia e la forza di volontà, che le appartengono da sempre; poi mio fratello, che è un punto di riferimento e mi trasmette sempre tanta fiducia; infine a mio padre, che nonostante non sia più tra noi, è sempre presente. Vorrei ringraziare i miei amici per i consigli sinceri ed il continuo sostegno. Infine vorrei ringraziare il professor Capucci, relatore di questa tesi, che mi ha guidato in questo percorso e mi ha dato la possibilità di realizzare un lavoro completo, sia dal punto di vista teorico che pratico, approfondendo la tematica in maniera esauriente e dandomi la fiducia e la possibilità di realizzare concretamente il progetto.
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