Nanga Def Viaggio dal Senegal all’Italia
Lorenzo Columbo II corso triennio A.A. 2013 2014 Sociologia
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RACCONTO DEL perchè TUTTO CIÒ ACCADE DEL perciò... COSA SI FÀ? E DEL per come MI SENTO FORTUNATO
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Nanga Def Viaggio dal Senegal all’Italia
Lorenzo Columbo II corso triennio A.A. 2013 2014 Sociologia
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L’oggetto di studio è l’immigrazione della comunità senegalese in Italia. Mi sono occupato di questo fenomeno compiendo un’indagine sul territorio, che è stata condotta attraverso interviste di tipo biografico sul vissuto soggettivo dell’ esperienza migratoria degli individui scelti come informatori. Il nucleo essenziale della ricerca è costituito dalla realizzazione e dall’elaborazione di quattro interviste fatte ad immigrati senegalesi. Ho cominciato con l’analizzare il fenomeno migratorio in generale per poi scendere nel particolare dell’immigrazione senegalese. Non è più possibile definire le migrazioni come fenomeni di breve durata, così come l’Italia non è più solamente un Paese di transito: oggi siamo di fronte a sempre più insediamenti stabili, a matrimoni misti e all’inserimento di molti bambini, figli di immigrati, nelle scuole italiane. Questi fattori mettono in luce un cambiamento all’interno del progetto e del percorso migratorio di molti extracomunitari.
Lorenzo Columbo
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INDICE Senegal
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LEGENDA
Famiglia
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Wolof
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Che cosa cerchi?
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Cucina
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Miguel de Cervantes
Didascalie Approfondimenti Citazioni Storia
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Progetto migratorio Scuola
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INTERVISTE
...In viaggio
Italia
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Migrazione in Italia
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Solidarietà e ospitalità
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Musica e danza
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Pontedera
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Religione
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Alla fine?
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Perchè?
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Lotta senegalese
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Mademba
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Mademba
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Tigo
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Giornata di lavoro
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Ingresso per l’Italia
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Vù-cumprà
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Mafie degli altri
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Nanga Narratore: Bassirou. EtĂ : 33 anni. Provenienza: Saint Louis. In Italia da: 7 anni.
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Narratore: Hane. EtĂ : 24 anni. Provenienza: Aedulain. In Italia da: 1 anni.
a deF Narratore: Abdull. EtĂ : 28 anni. Provenienza: Kaolack. In Italia da: 3 anni.
Narratore: Salif. EtĂ : 29 anni. Provenienza: Saint Louis. In Italia da: 6 anni.
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Premessa Negli ultimi anni abbiamo assistito ad uno dei periodi di maggiore crescita e sviluppo sulla scena mondiale delle migrazioni internazionali, almeno dalla fine del secondo dopoguerra ad oggi. Tale evoluzione sembra muoversi insieme ai più generali cambiamenti economici e sociali, dimostrando così la capacità delle migrazioni, come fenomeno sociale autonomo, di adattarsi alle nuove realtà. Il fenomeno migratorio si presenta, quindi, come un elemento dinamico in continua crescita ed è caratterizzato dalla mobilità di uomini e donne di ogni età, in maggioranza giovani maschi, che provengono in gran parte dalle aree economicamente deboli del pianeta, migrando da un continente all’altro per motivi politici, etnici o religiosi, alla ricerca di migliori condizioni di vita. La ricerca di uno spazio di vita diverso e migliore mette così in movimento un ingente numero di persone che si spostano verso aree geografiche economicamente più forti o meno tormentate politicamente. Si tratta di persone disposte a lasciare la propria patria, ad affrontare gli inconvenienti ed i rischi del viaggio e del nuovo insediamento, a lavorare duramente in condizioni difficili, ad apprendere una nuova lingua, a incontrare nuove culture, ambienti religiosi e modi di vivere diversi. Con l’insediamento dei flussi migratori per la società ospite si apre la prospettiva di passare a una società multi-etnica, multi-culturale, assumendo tutte le misure necessarie per quanto concerne sia dell’integrazione sociale degli immigrati, sia la difesa della loro identità culturale. Ma la formazione di questo tipo di società non deve essere di per sé una soluzione statica su cui fossilizzare il fenomeno migratorio, bensì deve costituire un processo dinamico orientato all’apertura e alla disponibilità umana.
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OGGETTO della
RICERCA Il nucleo essenziale della ricerca è costituito dalla realizzazione e dall’elaborazione di dieci interviste fatte ad immigrati senegalesi. Oggetto dell’indagine, condotta attraverso interviste di tipo biografico, è il vissuto soggettivo dell’esperienza migratoria degli individui scelti come informatori. Lo studio in questione verte, attorno allo scopo di approfondire la conoscenza dell’esperienza migratoria degli immigrati senegalesi e del loro inserimento nell’ambito locale. Ho cercato di riportare le interviste nel modo più fedele possibile, limitando al minimo correzioni ed interventi, proprio perché volevo mettere in risalto anche le esitazioni, le pause e le incertezze che spesso contribuiscono a dare un’immagine più completa del pensiero di chi si esprime in quel momento. Le “storie di vita” degli immigrati intervistati sono state ricostruite a partire dal contesto di origine fino all’impatto con la realtà del Paese ospitante e alle attuali condizioni di esistenza. Ho articolato una comune traccia d’intervista: - La vita nel Paese d’origine: la zona di provenienza e infanzia, educazione familiare, formazione scolastica. - L’ espatrio e l’arrivo in Italia: decisione di emigrare, influenza dei racconti degli altri immigrati, l’entrare nella realtà italiana. - La vita in Italia: attività lavorative, legami con il Paese d’origine, progetti futuri.
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FAMIGLIA Una buona base
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Grazie alla solidarietà famigliare la popolazione resiste a una crisi economica ormai cronica, ma a causa di questi pesanti legami fatica a svilupparsi: gli impieghi, tanto difficili da trovare nelle zone urbane, sono sistematicamente attribuiti ai parenti delle persone incaricate di selezionare il personale. D’altra parte un senegalese non rimane mai isolato di fronte a un imprevisto o una disgrazia: la perdita del lavoro, la morte del capofamiglia… sono problemi di cui la grande famiglia si fa carico, pena l’onta sociale e la riprovazione più assoluta della collettività. Una famiglia è costituita da un gruppo di persone che vivono insieme aventi in comune
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la discendenza (dimostrata o stipulata) da uno stesso progenitore o progenitrice nel caso di famiglia matriarcale, da una unione legale o da una adozione. Il soggetto principale del diritto era non l’individuo ma la Comunità, la famiglia allargata e il clan.
“Abitavo in campagna, con mio papà e mia mamma e con dieci fratelli, il fratello di mio papà e i suoi figli e la nonna (...) Io andavo d’accordo soprattutto con i mie i fratelli più grandi.” Bassirou
Così come in tutta l’Africa, in Senegal la famiglia è dell’economia monetaria e del commercio, la maggior parte dei senegalesi continua a concentrare i propri rapporti sociali sulla parentela e sull’origine etnica. La struttura familiare più diffusa è quella della famiglia allargata, intendentendo con questo che il nucleo familiare comprende, oltre al capofamiglia, moglie (o mogli) e figli, altri parenti o affini fino al terzo grado.
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I l 76% delle famiglie è di questo tipo, con un numero medio di 9 persone. La famiglia è l’ambito nel quale l’imperfetta fusione tra tradizione e modernità dà origine alle contraddizioni più grandi: malgrado la comparsa dell’individualismo e di una certa “razionalizzazione” dei rapporti umani, prima conseguenza dell’istruzione, dell’urbanizzazione, dell’ diffusione dell’ economia monetaria e del commercio, la maggior parte dei senegalesi continua a concentrare i propri rapporti sociali sulla parentela e sull’origine etnica.
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WOLOF I Wolof costituiscono l'etnia numericamente e socialmente piÚ importante e sono circa il 40% Altre due etnie dominanti sono i SÊrèf(15%) e i Fula(23%), il rimanente sono etnie di minor rilevanza.
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CHE COSA CERCHI ?
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Il perché della migrazione La migrazione senegalese in Italia si caratterizza innanzitutto per la ricerca di migliori condizioni economiche. Al primo posto fra i motivi che spingono all’emigrazione troviamo, infatti, quelli di natura economica mentre al secondo quelli di natura familiare. Gli immigrati sono in Italia per guadagnare denaro che verrà successivamente spedito alle famiglie.
“Sai perché loro mi dicevano che... qua si guadagna di più e c’è più lavoro, io lavoravo in Senegal ma volevo di più, volevo provare a andare fuori come i miei fratelli.”
Questo dato conferma l’osservazione secondo cui la migrazione senegalese è una migrazione finalizzata alla ricerca di uno standard di vita migliore, tanto per se quanto per la famiglia che rimane nel paese di origine. La forte propensione al risparmio che gli intervistati senegalesi hanno dichiarato di avere, li fa sperare di riuscire a migliorare notevolmente la capacità di consumo della famiglia rimasta nel paese di origine e di accumulare ricchezza finanziaria utilizzabile in eventuali attività produttive da avviare nel paese di origine.
Abdull
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I legami con la madrepatria, dunque, sono una caratteristica fondamentale della migrazione senegalese e sembrano confermare la tesi sostenuta dalle teorie relative alla New Economics of Labour Migration che la migrazione non è soltanto una decisione individuale ma anche collettiva. La famiglia, cioè, pianifica il progetto migratorio per ridurre i rischi legati alle difficoltà economiche del paese di provenienza.
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CUCINA
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Il piatto principale della cucina senegalese è il cheb-ou-jen , riso con pesce. Molto sentita in Senegal è l’ospitalità che si riflette nel modo di cucinare e di offrire i piatti. Le portate sono molto abbondanti nel caso ci siano degli ospiti. Il cibo viene servito su un largo vassoio, con il riso sotto e le verdure in alto, dando molta importanza a come si presenta. Si posa il vassoio su una stuoia sul pavimento e la famiglia si siede tutt’intorno. Di solito si mangia con la mano destra, così viene passata una bacinella d’acqua prima e dopo il pasto per lavarsi le mani. Con le dita si raccoglie un po’ di riso, lo si appallottola e lo si porta in bocca. Agli ospiti europei solitamente viene offerto un cucchiaio. Il pesce, la carne e le verdure vengono spezzettati dalla padrona di casa e posti davanti ai commensali, perché non è buona educazione allungarsi per prenderli. Dopo i pasti si prende il tè senegalese. Un giovane della famiglia scalda una miscela di tè verde, menta fresca e acqua in una teiera di metallo sulla carbonella. L’infuso viene versato dalla teiera nel bicchiere partendo da molto in alto, in modo che lo zucchero si sciolga e formi una schiuma in superficie. Questa operazione si ripete tre volte, il tè è forte e amaro, la seconda un po’ più dolce, la terza ancora più dolce e con intenso sapore di menta.
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45°
0°
10% CARNE
315°
Senegal
90°
135°
40% VERDURE
180°
50% RISO
225°
270° 27
“Nel Nanga def
mondo non c'è che due razze, diceva mia nonna, quella di chi ha e quella di chi non ha.”
Miguel de Cervantes, Don Chisciotte della Mancia. 28
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PROGETTO MIGRATORIO 30
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Cosa ci aspetterà? Il progetto migratorio, ovvero le finalità che il migrante si propone di raggiungere, si modella sulla base dei vincoli e delle opportunità del paese ospitante, che danno vita ad un vero “modello migratorio”, all’interno del quale le intenzioni future espresse dagli immigrati appaiono come una componente importante. Sicuramente, le intenzioni del migrante possono cambiare ed evolversi nel tempo a causa dei limiti e delle opportunità che il contesto di accoglienza offre al migrante stesso. Non è un caso isolato quello di molti immigrati africani, che, una volta giunti in Italia, modificano la prospettiva di permanenza del loro progetto migratorio. La difficoltà di trovare lavoro ed un’abitazione porta, spesso, a rivedere, se non lo scopo della migrazione che rimane quello di risparmiare il più possibile per poi reinvestire nel paese di origine, la durata del progetto La scuola migratorio, che inevitabilmente si Nonostante lo sviluppo delle allunga. L’allungamento del strutture scolastiche, tra le periodo di migrazione fa si che migliori dell'Africa occidentale, molti degli immigrati senegalesi si rimane ancora elevato il tasso di analfabetismo, che raggiunge il trovino in una situazione limbica, 59,8%, per le donne il 69,3%. in cui, oramai residenti in Italia Si può parlare del sistema da un decennio, non hanno ancora scolastico del Senegal come di chiesto il ricongiungimento una piramide rovesciata: notevole è la creascità familiare nella speranza di tornare qualitativa dell'istruzione nel paese d’origine, opportunità superiore, mentre ancora non che però tarda a realizzarsi. molto sviluppata, in particolare nelle aree del territorio periferici o rurali, è l'istruzione primaria.
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... In viaggio
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MIGRAZIONE in ITALIA
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Il vuoto legislativo, comune a tutti i Paesi dell’Europa meridionale che si avviavano a divenire paesi d’immigrazione, ha costituito un potente fattore d’attrazione verso quei flussi migratori che negli anni precedenti erano rivolti in direzione dei Paesi dell’Europa più settentrionale. È verso la fine degli anni ’80 che l’Italia si trova
“Io, ehmm... si ho detto che facevo il commerciante e che lavoravo tanto, ma non ho detto tutto perché non volevo che si preoccupano perché per loro è già difficile stare in Senegal perché non c’è lavoro.” Hane
I primi flussi di immigrazione straniera in Italia si sono trovati di fronte ad una legislazione quasi inesistente, per questo possiamo affermare che una delle cause scatenanti di questo fenomeno è proprio l’assenza di una normativa adeguata e di efficaci controlli nel momento in cui i tradizionali Paesi d’arrivo mettevano in atto politiche di ingresso più restrittive.
ad affrontare le prime esperienze significative come luogo di immigrazione: la situazione, così nuova nei suoi connotati, coglie il nostro Paese abbastanza disponibile verso l’accoglienza degli stranieri che premono alle frontiere, soprattutto clandestini, alla ricerca di migliori condizioni di vita. Le condizioni e l’attività lavorativa sono un elemento significativo per definire i ruoli e la legittimità del fenomeno migratorio, in particolare il tipo di inserimento nel mercato del lavoro è il fattore che più di tutti definisce la situazione economico-sociale degli immigrati nei diversi contesti.
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Le condizioni e l’attività lavorativa costituiscono un elemento significativo per definire i ruoli e la legittimità del fenomeno migratorio, per primo il tipo di inserimento nel mercato del lavoro è il fattore che più di tutti definisce la situazione economico-sociale degli immigrati nei diversi contesti. In Italia siamo di fronte ad una situazione nettamente differenziata tra le regioni del nord e del centro-sud, soprattutto in materia di qualità e di dimensione dell’intervento istituzionale, a livello locale, volto a gestire i problemi dell’accoglienza e dell’eventuale inserimento degli immigrati. Il rapporto della popolazione senegalese con l’emigrazione è di vecchia data: all’origine di questo fenomeno c’è un Paese le cui risorse economiche stanno rapidamente diminuendo, MUSICA E DANZA a causa dello sfruttamento eccessivo La musica e la danza sono dei terreni e dalla desertificazione. sempre presenti nella vita degli stessi. Questi fattori hanno quotidiana senegalese. La base diminuito le possibilità di lavoro di tutta la musica senegalese è in Senegal, da qui scaturisce tradizionale; tante occasioni sono pretesti per ballare e l’esigenza di un miglioramento delle suonare: battesimi, matrimoni, proprie condizioni di vita, favorita feste e avvenimenti sportivi. dalla grande permeabilità dell’ Di solito in queste occasioni un Occidente nell’assorbire manodopera gruppo di percussionisti si mette all’esterno e comincia a suonare. extracomunitaria.
I bambini più piccoli si siedono a cerchio di fronte a loro. Dietro ci sono le donne sedute o in piedi, dietro ancora gli uomini. Le donne e i bambini ballano e tengono il tempo battendo le mani. Di solito viene data una mancia ai danzatori più bravi.
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RELIGIONE I senegalesi sono in maggioranza musulmani (95% della popolazione), cristiani (4%) e animisti (1%). Le confraternite piÚ rappresentative sono il Muridismo, il Tidianismo, la Kadriya, il Layene. In Africa, le finte frontiere inventate dai colonizzatori sono una pesante eredità dell'epoca coloniale. Prendiamo a esempio il Gambia, striscia di terra nel cuore del Senegal con cui ha tutto in comune: la religione, lingue, cultura, ma al tempo stesso i due paesi si differenziano per l’impronta lasciata dai francesi in uno e dagli inglesi nell'altro.
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Perchè ? Gli anni ’60 e ’70 sono caratterizzati da lunghi periodi di siccità che provocano il deterioramento dei difficili equilibri ecologici in un ambiente già di per sé fragile. Tutto questo non fa altro che accentuare il fenomeno migratorio che in alcune zone si traduce in partenze di massa della popolazione attiva. Nei primi anni ’80, la crisi economica dovuta alla siccità, ha fornito un’ulteriore spinta all’emigrazione che si rivolge all’esterno del Paese, soprattutto verso l’Italia e la Spagna, in seguito alle restrizioni della Francia, meta delle prime tradizionali migrazioni. L’emigrazione si evolve lungo tre possibili circuiti: quello dei centri urbani nazionali, quello dei paesi africani limitrofi e infine, quello dell’Europa. Ognuno di questi circuiti mette in atto caratteristiche migratorie diverse. È grazie alla famiglia, alla comunità, ed alla rete di relazioni stabilite e basate sui vincoli sociali di appartenenza, che si rende per lo più possibile l’emigrazione sul circuito europeo.
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Storiografia
Inizialmente gli immigrati senegalesi sono, in misura preponderante, maschi e giovani con un livello di istruzione medio-alto e provenienti da aree geografiche urbanizzate, ma già negli anni successivi il flusso diventa continuo assumendo i caratteri di vera e propria “rete etnica”. Verso la fine degli anni ottanta comincia una seconda fase sollecitata dai rientri in patria degli “emigranti-pionieri” che portano notizie e informazioni sulla situazione in Italia, dando avvio alla migrazione diretta dalla campagna senegalese all’Italia.
“In Italia si lavora tanto se vuoi lavorare e questo è importante e poi l’Italia è tollerante, c’è libertà e non è così dappertutto, neanche in Europa.” Bassirou Una volta superato il primo periodo di ambientamento nella nuova società, gli immigrati senegalesi tendono a spostarsi ancora verso l’interno del Paese, sia per motivi lavorativi che per ragioni familiari come ad esempio il ricongiungimento. La terza fase, è quella attuale della stabilizzazione, in cui i comportamenti dei migranti sono il risultato di un adattamento in continuo divenire, attraverso la combinazione tra riferimenti a valori e comportamenti della società d’origine e valori e comportamenti della società d’arrivo.
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“
Mentre aspettavo i miei fratelli facevo mie prime riflessioni sull’italia. Ero piuttosto scoraggiato perchè mi immaginavo che fosse diversa. Pensavo fosse come l’America, un paese delle meraviglie, invece era un paese soltanto un pochino diverso dal B. Mademba
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Senegal.
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Tigo
NAPOLI (19 dicembre) - «I napoletani sono gli africani d’Europa». Non è una boutade di Mario Borghezio e non è neanche un insulto. Anzi, un complimento. Parola di Tigo, nome di battaglia di Mbaye Wagnè, 43 anni (ma ne dimostra molti di meno), faccia da attore, professore di francese al liceo Charles De Gaulle di Saint-Louis, città di 170mila abitanti all’estremo nord del Senegal, in Italia per studiarci, vestendo gli abiti di un vu’-cumprà, con tanto di collanine, anelli e bracciali. Un esperimento che diventerà un libro, finanziato, racconta Tigo-Wagnè, dal ministero dell’Istruzione del suo paese, dove gli hanno concesso un’aspettativa retribuita con la quale mantiene la sua famiglia, moglie e tre figli. A vederlo per strada, tra via Toledo e il Lungomare, è un immigrato come gli altri. E questo vuole sembrare. Fa la vita dei suoi connazionali: abborda i passanti e cerca di piazzare la merce, non per venderla dopo estenuanti trattative (anche se, quando decidete di comprare, accetta di buon grado il denaro), ma per studiare le reazioni degli italiani. Quando non è «al lavoro», resta chiuso a casa a scrivere. Abita a piazza Garibaldi, con tre coinquilini del Burkina Faso. Il suo italiano è fluente («Mi sono pagato un corso privato»), ma parla francese (naturalmente), inglese e quattro lingue africane: «Conosco persino un po’ di latino». La sua storia, nella giornata dell’emigrazione, ribalta molti luoghi comuni sull’Africa e suoi migranti, e ne conferma altri, per fortuna positivi, su Napoli e i suoi abitanti. «Sono arrivato alla fine di agosto e sono stato prima a Roma» racconta il professor Wagné, in arte Tigo. «Poi da tre mesi sono venuto qui. Con il mio libro descriverò soprattutto come vivono i miei connazionali in Italia. Non voglio fare sociologia astratta, ma documentare storie vere, colte in presa diretta». I senegalesi sono una comunità molto coesa. Arrivano senza l’intenzione di accasarsi definitavamente: «Si pongono un obiettivo economico preciso. Vogliono guadagnare una somma che gli consenta di intraprendere un’attività nel proprio paese. Raccolto quel denaro, tornano in Africa».
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Tra di loro c’è una forte solidarietà: «Chi viene in Italia, va a vivere in appartamenti con altri connazionali. Non vedrete mai un senegalese dormire per strada. Per i primi tre mesi il nuovo arrivato è esentato dal pagamento delle quote comuni per affitto, gas, acqua, luce. È una forma di solidarietà». Il rapporto con gli italiani è sempre molto cordiale. Le è capitato di essere fermato? «Sì, ma quando la polizia vede che non ho prodotti falsi non insiste, poi quando mostro i miei documenti e spiego il mio esperimento mi salutano e mi augurano buon lavoro». Pochi problemi anche con il razzismo. «Gli africani, tranne i nigeriani, sono in genere ben voluti» racconta. «I sospetti si appuntano quasi sempre su arabi e rumeni, che sono accomunati ai rom. Anche gli slavi non hanno molti problemi, sebbene la gente si lamenti dei maschi che sono spesso ubriachi. In giro c’è molta ignoranza che genera intolleranza e ostilità. Una volta un ”cliente” mi chiese da dove venivo. Quando risposi che ero del Senegal, si stupì e disse: ”Ah, pensavo che venivi dall’Africa”». Gli manca poco per finire il suo libro. «Dai tre ai sei mesi» spiega. «Ma tra poco mi toccherà tornare a casa, perché mi scade il visto. Non sono riuscito ad avere un permesso di soggiorno e non vorrei diventare un clandestino». Ma da quanto che racconta non sarebbe una scelta molto rischiosa. «Quello che sto imparando dal vostro Paese e da Napoli, in particolare, è un senso molto ampio di umanità e di rispetto. Chi si comporta bene non è molestato o infastidito e si è anche disposti a chiudere un occhio sui documenti. È una forma molto speciale di tolleranza, molto italiana. Qui, a parte il freddo di questi giorni, ci sentiamo come a casa». Forse perché i senegalesi sono i napoletani d’Africa? Tigo ride: «Sarà per questo, certo». Pietro Treccagnoli
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INGRESSO per L’ITALIA
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... in viaggio
La Sicilia negli ultimi vent’anni ha costituito la principale porta d’ingresso per i flussi migratori diretti verso l’Italia ed i vicini Paesi europei. Inoltre da zona di transito si è trasformata, col tempo, in luogo di residenza per una fascia minoritaria di immigrati.
Un altro aspetto molto importante è dato dalla similarità tra l’ambiente ospite e il contesto di riferimento: a Catania, diversamente da altre città italiane ed europee, la comunità senegalese è riuscita a ricreare le relazioni amicali di tipo familiare e religioso proprie dei villaggi di origine.
“Io all’inizio non avevo i permessi, ero come si dire? clandestino? si ero clandestino.. ma il problema più grande è la lingua, io non conosco bene l’italiano e così non so quello che mi dicono gli altri, gli italiani, non capire niente ma poco ho imparato, i miei amici mi hanno aiutato.” Hane Nella città siciliana in questione la maggior parte dei senegalesi fa il venditore ambulante e questi costituiscono una vera e propria corporazione che monopolizza il settore dell’ambulantato. Questo lavoro risponde all’esigenza di flessibilità che essi privilegiano dato che provengono da una comune condizione lavorativa, nel loro Paese, di coltivatori e commercianti. Il lavoro assume un’importanza fondamentale, in quanto rappresenta il mezzo per ottenere il riscatto dalla condizione di miseria e di emarginazione. L’immigrato non tenta di diventare membro della nuova società, impegnato com’è a lavorare per poter accumulare il denaro da spedire in patria. I giovani senegalesi, in pochi anni, sono venuti a contatto con una società in cui le loro tradizioni si scontrano con una realtà molto diversa: si dà importanza al risparmio e al posto di lavoro fisso. Molti regolarizzati partono per altre destinazioni, verso il Nord industrializzato dove è più facile trovare un posto di lavoro dipendente e con regolare contratto. I legami fra connazionali appaiono fortissimi: anche se non disdegnano la socializzazione con gli italiani, e nei confronti delle altre comunità, si avverte una sorta di diffidenza a non mischiarsi con loro per non essere giudicati insieme a quanti potrebbero avere una cattiva reputazione. La maggior parte di loro svolge attività di ambulantato e questo non favorisce la loro integrazione nella tipica cultura della società industriale moderna.
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SOLIDARIETÁ ed OSPITALITÁ
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“Quella morale che in Italia si è persa”
L’immigrazione senegalese, sia per origine che per modalità organizzative, è un fenomeno prettamente maschile ed è imperniata sulla valorizzazione della “cultura africana”, intesa come pratica sociale della solidarietà e dell’ospitalità. I migranti senegalesi hanno assunto i caratteri di una vera e propria rete etnica, la cui presenza in Italia è stata sostenuta da una rapida espansione e capacità organizzativa.
“Io ehmm... con gli italiani, si con gli italiani mi trovo bene anche se c’è qualche italiano che è razzista, secondo me è perché qua non sono abituati allo straniero e magari sono razzista perché non ci conoscono, ma sono pochi questi, io non ho avuto problemi.” Abdull
Come per tutti gli immigrati uno dei problemi maggiori è quello dell’alloggio. Le difficoltà a trovare un’abitazione impongono la coabitazione di molte persone, a ciò viene in aiuto l’abitudine alla vita comunitaria, frutto dell’esperienza della famiglia allargata che contribuisce a mantenere forte lo spirito di solidarietà e coesione del gruppo.
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Pontedera La comunità senegalese: ''Accoglienza unica in Italia''. Nella cittadina toscana, dove vivono 700 senegalesi per lo più impiegati nel settore del cuoio, si respira solidarietà. Demba, coordinatore regionale Consigli degli stranieri: ''Qui c'è maggiore sensibilità'' 29 giugno 2009 Pontedera - Mentre tenta di venderti accendini o calzini ti sorride. E allora ci prendi confidenza e magari gli chiedi da dove viene. Lui ti risponde: “dal Senegal”. E se gli chiedi dove abita, lui ti risponde: “a Pontedera”. E ti rispondono quasi tutti allo stesso modo. Questo significa che 9 venditori ambulanti su 10 abitano nella piccola cittadina toscana di Pontedera. Succede così per le strade di Firenze, Pisa, Livorno, Siena, Pistoia. Nel paesino della Valdera, a pochi minuti di macchina da Pisa e a circa 40 minuti da Firenze vive una delle comunità senegalesi più grandi d’Italia (quasi 700 persone). Sono oltre 2.700 gli immigrati nel complesso. Girando per le strade troviamo una realtà idilliaca, nella quale oltre 2 mila immigrati vivono in sintonia con gli abitanti del luogo. Il clima che si respira non è quello rigido, teso e ghettizzato che si ritrova in molte altre città d’Italia. “A Pontedera e in gran parte della Toscana – spiega Dia Papa Demba, coordinatore regionale dei Consigli degli stranieri – c’è una maggiore sensibilità, dettata sia dal carattere dei toscani sia dalle politiche sociali attuate dall’amministrazione regionale, molto sensibile al tema dell’immigrazione. Non respiriamo quell’allarmismo tipico di altre realtà nel quale si trovano a vivere i nostri connazionale senegalesi come Brescia o Roma. L’accoglienza che c’è a Pontedera non si trova in altre zone d’Italia”. E la stragrande maggioranza di loro ha un’occupazione permanente, per lo più nel settore del cuoio, assai in voga nella zona della Valdera. “Quando siamo arrivati, anni fa, la media impresa del luogo versava in una grave crisi – dice Demba – Non c’era ricambio generazionale tra gli operai delle aziende e l’immigrazione ha colmato questo vuoto”. (js)
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ALLA FINE ? Nell’approccio neoclassico il ritorno viene considerato come un successo o un fallimento, a seconda del raggiungimento degli obiettivi in termini di durata e di guadagni, mentre nella New Economics of Labour Migration , visto che la migrazione nasce da una decisione collettiva di tipo familiare volta a diversificare le entrate, il
“Prima o poi tornerò in Senegal questo è sicuro, non so se fra due anni o fra cinquanta anni ma prima o poi un giorno tornerò in Senegal, sono sicurissimo.” Salif
ritorno è visto come una fase prevista del progetto migratorio nel momento in cui gli obiettivi del migrante in termini finanziari, di miglioramento delle competenze e di acquisizione di esperienza verranno raggiunti.
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Le intenzioni di ritorno
Si possono anche immaginare ulteriori casi in cui il migrante decide di tornare che sono di ordine economico (deterioramento della situazione economica nel paese di destinazione o miglioramento delle condizioni nel paese di origine), sociale (razzismo, difficoltà/nostalgia del paese di origine, desiderio di migliorare lo status sociale), familiare (creare una famiglia); politico (difficoltà di procedere al ricongiungimento, espulsioni forzate/politiche di incentivi al ritorno), morale (desiderio di partecipare alla costruzione economica, sociale, culturale e Lotta senegalese politica del proprio paese). Infine, possiamo anche considerare la figura La lotta senegalese è una lotta del migrante transnazionale, che tradizionale africana un misto riesce a mantenere i legami in tra spettacolo, competizione e rito. Nel paese d’origine, il entrambi paesi, e quella del mi Senegal, viene vissuta grante circolare, che essendo alla pari di un rito sacro e riuscito ad adattarsi bene anche alla seguita come un vero sport realtà di destinazione, è in grado di agonistico di livello nazionale. La lotta è oggi lo sport più muoversi senza troppi vincoli tra i seguito in Senegal, al punto da due paesi.
subissare persino il football. I lottatori sono giovanissimi e su di loro si favoleggia: per i presunti poteri mistici e, molto di più, per i loro cachet miliardari. La lotta in se è molto tecnica, è immediatamente comprensibile da tutti, ma occorre un occhio esperto per apprezzarne le sfumature. Fondamentalmente si tratta di una sorta di lotta libera, si combatte a mani nude, all’interno di un cerchio molto ampio disegnato sulla sabbia.
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“Non ci sono più nè vecchi nè giovani, in questo ballo in maschera della società del benessere, abbiamo perso l’identità e tutti siamo diventati immigrati.” B. Mademba
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GIORNATA di LAVORO 1
PASTA
OFFERTA
2ABITUALI CLIENTI
3
EURO DI GUADAGNO
5
EURO SICURI
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6 ORE
16 NEGOZI
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Giornata iniziata alle 8 e trenta minuti (per me) mi incontro con Abdull in stazione santa maria novella. Lui abita a Pontedera e si sveglia ogni giorno, tranne la domenica, alle 6 e trenta minuti. Partiamo a camminare e lui, ”non sente la fatica” camminava veloce pure se doveva portare con se il peso del borsone. A un certo punto gli dissi di fermarsi un attimo, chiedendogli se non era stanco. Lui rispose ridendo: ”Noi in Senegal lavoriamo molto di più... camminare è semplice”. Gli offrì un caffè (lui accetta) poi mi ha detto di non farlo più perchè essendo sabato, c’è poca gente in giro e se lo sarebbe fatto offrire stando dentro i bar. (in pochi gli hanno offerto qualcosa). Per i bar e locali, poche volte sono entrato con lui... tanto la situazione, generalmente, andava sempre nello stesso verso...entra nel negozio, salutando rispettosamente e sorridendo, nessuno gli rivolge parola (molti guardandolo anzi male) e dopo qualche minuto in silenzio, esce! Andiamo da un suo conoscente a cui doveva vendere una sciarpa (l’unico guadagno sicuro della mattinata) =5€. Durante la mattinata volevo fare delle foto quando invontravo altri senegalesi. Mi disse: “ No, perchè noi non ci vogliamo far immortalare mentre facciamo i venditori ambulanti, non si deve sapere a casa (in Senegal) e non è rispettoso per gli altri. Parlando con lui, iniziai a capire come tutti gli oggettini che vendono li recuperano facendo credito in negozi non autorizzati di “amici”.
Una cosa che mi stupì fu che tra senegalesi non si salutano tutti, perchè alcuni specialmente i più agiati solitamente controllano che i vù-cumprà facciano il loro mestiere. Lo intendono come un cambio di favore a chi li ha aiutati appena arrivati in Italia. Purtroppo non capiscono che così si imprigionano da soli. Abdull non fuma, non beve alcolici e non prende più di un caffè al giorno, non ha vizi ... ha solo voglia di fare. Lui è senza permesso di soggiorno, così facendo non può tornare in Sengeal e essendo un vù-cumprà non può avere il permesso di soggiorno. I senegalesi spesso provano a lavorare in fabbrica o nei campi, chi vuole o chi non ci riesce fa il venditore ambulante. Verso la fine della mattinata abbiamo suonato al campanello del nonno in via capo di mondo per salutarlo. Non era in casa. Andammo a mangiare a casa mia, aspettando il pomeriggio, in cui avrei fatto a lui e dei suoi amici le interviste.
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Vù-Cumprà Per diversi anni e ancora oggi, nell’immaginario collettivo italiano la rappresentazione dell’immigrato senegalese si è cristallizzata nella figura del venditore ambulante, accentuando tutti i lati negativi che tale rappresentazione può significare agli occhi degli italiani, a causa, soprattutto, della forte “visibilità” che questa attività comporta.
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MAFIE DEGLI ALTRI
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Riporto un articolo di Alfio Caruso apparso sul Corriere Milano del 19 dicembre 2010. A chi appartengono gli orientali, spesso donne dallo sguardo smarrito, che vendono giocattoli nella galleria Vittorio Emanuele, prontissimi a richiudere il telo e ad allontanarsi al primo sospetto di un controllo? Da chi dipendono gli spilungoni africani accampati con il loro campionario di borse contraffatte dinanzi alle vetrine di corso Buenos Aires? Dove si riforniscono i sudamericani con gli ombrelli in mano appena piovono le prime gocce? Chi gestisce i ragazzi con i fiori, che pattugliano la sera i marciapiedi in attesa dei clienti di un cinema o di un ristorante? Sono gli aspiranti ultimi nella società del malaffare. Esistenze lontanissime, delle quali neppure ci accorgiamo, meno che mai ce ne curiamo. Ne veniamo appena sfiorati come capitava nella Londra di Dickens o nella Parigi di Restif de la Bretonne. Spesso diventa persino difficile distinguere se sono cinesi o coreani, dello Sri Lanka o delle Mauritius, di Tonga o del Mali, dell’Ecuador o del Perù. Rappresentano il disordine di cui si nutre il nostro benessere. Il loro vivere fuori dalle regole non ci tocca perché all’apparenza non ci danneggia. Però bisognerebbe andarlo a chiedere ai negozianti di corso Buenos Aires, che la concorrenza sfrenata della perfetta imitazione sottocosto se la ritrovano a un metro dall’ingresso. Le grandi operazioni di contrasto e i titoli dei giornali riguardano, ovviamente, ‘ndrangheta e mafia, camorra e sacra corona unita: abbiamo provato sulla nostra pelle che sono il cancro della convivenza, la sfida continua al funzionamento della democrazia. Il resto fa poca notizia: risulta ostico rendersi conto che i 5 euro per l’ombrello o l’euro per la rosa possano assommarsi fino a costituire una considerevole fonte di reddito illegale.
E’ il sommerso della mala, con una rigida suddivisione dei settori per nazionalità. In tale mappa s’impara che i cinesi praticano in Italia gli stessi metodi già praticati nell’Impero di mezzo, che centinaia di fantasmi vivono dentro laboratori artigianali, sartorie, aziende tessili; che la prostituzione è controllata dagli albanesi, che i ladri di zinco sono rumeni, che l’accattonaggio è in mano ai serbi e ai montenegrini, che il furto delle auto è dominato dagli slavi. Il profitto si basa sul servaggio della forza lavoro, sulla manodopera a costo quasi zero: di una rosa al ragazzo dello Sri Lanka rimangono 10 centesimi, di un ombrello al peruviano 50. La ricchezza, il lusso sono soltanto per i capi, per gli organizzatori dei traffici. Si possono aiutare gli abitanti di quest’inferno, che spesso si sono lasciati alle spalle inferni peggiori? A chi tocca farlo? Non è una questione di buon cuore noi costituiamo l’unica speranza del loro futuro bensì di pragmatismo politico. Un secolo addietro ne usufruirono le centinaia e centinaia di siciliani e di veneti ammassati negli scantinati delle vie attorno al porto di New York a preparare carte da gioco taroccate, timbri e bolli falsi, vino edulcorato.
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Conclusione I senegalesi intervistati hanno fornito un quadro abbastanza omogeneo, evidenziando condotte, obiettivi e valori molto simili fra loro. Tutti sono venuti in Italia per migliorare la propria condizione economica con l’intento, in seguito, di fare ritorno in patria e realizzare i propri desideri, alcuni dei quali attraverso quanto si è appreso qui. Oggi, i senegalesi non sono più soltanto venditori ambulanti, ma li troviamo inseriti in diversi settori all’interno del mercato del lavoro regolare rendendoli più partecipi all’interno della realtà locale in cui sono inseriti. Di conseguenza anche gli autoctoni hanno cominciato a prendere atto e consapevolezza della presenza di questi immigrati. Il pensiero della propria terra è costante e cercano l’avvicinamento ad essa con tutti i mezzi possibili: dalle telefonate ai familiari rimasti in Senegal all’ascoltare e ballare musica popolare senegalese, alla lettura di libri o riviste africane. Gli immigrati si trovano così divisi tra la realtà attuale e quella del loro Paese d’origine, per cui mettono in atto i meccanismi in grado di reinterpretare la loro cultura adattandola al nuovo contesto. Se andiamo a considerare l’immigrazione come una risorsa, molto di ciò che verrà in futuro dipenderà dalla possibilità di realizzare migliori rapporti reciproci, che conducano verso una interazione piuttosto che verso l’innalzamento di barriere culturali.
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Narratore: Bassirou. Età: 33 anni. Provenienza: Saint Louis. In Italia da: 7 anni.
Io sono di Saint Louis, che è a nord-ovest vicino al mare. Abitavo in campagna, là c’è campagna, con mio papà e mia mamma e con dieci fratelli, il fratello di mio papà e i suoi figli e la nonna (...) Io andavo d’accordo soprattutto con i mie i fratelli più grandi. Allora io sono andato a scuola coranica e scuola francese sono andato anche, e anche dopo alle scuole come le vostre superiori, tipo il liceo ma dopo non sono più andato. Mio fratello e due cugini erano già in Italia, io volevo avere un futuro migliore che in Senegal , volevo guadagnare e dopo tornare magari, così sono partito (...). In senegal Ho lavorato come commesso nel negozio di elettrodomestici di mio papà, lì lavoravano anche mio fratello e mio cugino. Mi piaceva come lavoro, era bello, un bel lavoro. Come prima cosa all’inizio non avevo il permesso di soggiorno, quando ero ad Ancona ma dopo mi sono messo in regola. Ci sono altri problemi come il lavoro, è difficile trovare lavoro e il lavoro ti serve per pagare l’affitto perché tu devi avere una casa, noi ci aiutiamo tra senegalesi, abitiamo in tanti amici nella stessa casa, non c’è problema è così perché bisogna aiutarsi tra di noi però bisogna trovare un lavoro perché affitto costa. Ho fatto il venditore ambulante in spiaggia d‘estate per sei mesi perché difficile trovare altre cose, anche a Firenze non c’è tanto lavoro. Adesso io vendo oggetti per strada, statuette e così perché è tanto difficile aprire un negozio qua, non so come si può fare, io ho cercato anche altri lavori, come operaio ma no mi piace, non mi piace stare tutto il giorno dentro in fabbrica, chiuso in fabbrica e così continuo a fare l’ambulante. Voglio avere tanti soldi per tornare in Senegal e aprire un negozio ecco... e magari sposarmi, mi piacerebbe aprire un negozio perché quello è lavoro che mi piace, vendere le cose alle persone, mi piace... In Italia si lavora tanto se vuoi lavorare e questo è importante e poi l’Italia è tollerante, c’è libertà e non è così dappertutto, neanche in Europa.
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Io vivevo a Aedulain che è come si dice da voi? Che è come provincia di Dakar, e io vivevo in campagna, in casa vivevamo io, miei fratelli e sorelle, mio papà e mamma. Mia mamma stava sempre con le mie sorelle, mia mamma ha insegnato a loro cucinare, come parlare con altra gente, come pulire la casa, insegnava a loro i lavori da femmine così quando dopo si sposano loro sono già abituate sanno cosa devono fare. Io ho fatto la scuola francese, Io vendere gli accendini, le cassette e altre cose, e mi piace perché conoscevo tante persone, anche ragazze sai, ragazze italiane. Dopo mi sono spostato a Mestre e non ho trovato subito un posto di lavoro e sai se non hai lavoro, devi pagare l’affitto, comprare da mangiare, comprare i vestiti così all’inizio sono tornato a vendere per strada. Io vendo accendini, le cassette di musica e altre cose per poter pagare tutto il resto e cerco lavoro fisso. Io all’inizio non avevo i permessi, ero come si dire? clandestino? si ero clandestino.. ma il problema più grande è la lingua, io non conosco bene l’italiano e così non so quello che mi dicono gli altri, gli italiani, non capire niente ma poco ho imparato, i miei amici mi hanno aiutato. Io, ehmm... si ho detto che facevo il commerciante e che lavoravo tanto, ma non ho detto tutto perché non volevo che si preoccupano perché per loro è già difficile stare in Senegal perché non c’è lavoro e non volevo dare preoccupazioni. Io, ti ho detto che mi trovo bene in Italia anche se tornerò in Senegal, ma ci sono state tante cose che mi sono piaciute dell’Italia da quando sono qua, mi sono trovato bene con tanta gente e ho tanto nuovi amici e posso fare cose che in Senegal non ci sono, la non si possono fare perché mancano i soldi...
Narratore: Hane. Età: 24 anni. Provenienza: Aedulain. In Italia da: 3 anni.
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Narratore: Abdull. Età: 28 anni. Provenienza: Kaolack. In Italia da: 3 anni
Io abitavo a Kaolack con la mia famiglia, eravamo tanti, quindici persone,e dopo... (...) la scuola, io ho fatto la scuola coranica per 10 anni, ma dopo volevo lavorare e... non sono più andato... Si, io ho fatto artigiano, lavoravo tanto ma mi piaceva, mi piaceva, sai costruire le opere, mi piaceva (...) anche perché c’era anche mio fratello Henry, sai lavoramo insieme e dopo anche si tornava a casa insieme. Dopo però io avevo altri fratelli che erano qua in Italia, e io ho voluto voglia di venire qua. Sai perché loro mi dicevano che... qua si guadagna di più e c’è più lavoro, io lavoravo in Senegal ma volevo di più, volevo provare a andare fuori come i miei fratelli. Io sono arrivato qua nel’ 09, in Italia e ho lavorato subito, prima io abitavo a Mestre e vendevo le cose a Venezia, sai le borse, portafoglio, io vendevo ai turisti a Venezia, è bella Venezia sai, io lavoravo là... Si, io con la casa un po’ è difficile con la casa, però io a Mestre abitavo con altri senegalesi e non c’era problema, però con la casa è difficile perché italiani non vogliono tanto affittare casa ai senegalesi. Io ehmm... con gli italiani, si con gli italiani mi trovo bene anche se c’è qualche italiano che è razzista, secondo me è perché qua non sono abituati allo straniero e magari sono razzista perché non ci conoscono, ma sono pochi questi, io non ho avuto problemi. Progetti? Ehmm... io non penso di stare qua sempre, sempre, perché Senegal è la mia terra, c’è mio papà, la mia famiglia anche.
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Le elementari le ho fatte a Saint Louis. Si, si è molto difficile trovare casa si, non lo so i senegalesi non trovano casa, nessuno trova casa neanche i pakistani trovano casa... mi sono reso conto che gli italiani si sono spostati tutto e sono andati via, chi c’era qua che fa? affitta la casa agli immigrati al doppio del normale e quindi la casa non la affittano agli extracomunitari, non lo so non, non... non sono andato a cercare il perché, mi sono fatto un’idea però... No lavoro e quando vendi, vendi... e delle volte non riesco a pagare, pagare affitto e loro mi capirono... e altri come me che vengono qua senza conosciuto, senza conosciuto niente, non hanno casa e vanno stazione treno hanno paura, vivono come paese in una guerra, come una persona che abitano in una paese che hanno bomba, come si preoccupano questa persona anche questi stranieri che vengono in questo paese senza conoscere niente vivono la stessa situazione, veramente molto duro. Prima o poi tornerò in Senegal questo è sicuro, non so se fra due anni o fra cinquanta anni ma prima o poi un giorno tornerò in Senegal, sono sicurissimo.
Narratore: Salif. Età: 29 anni. Provenienza: Saint Louis. In Italia da: 6 anni
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