LD'A - Tesi di Laurea

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ACCADEMIA DI BELLE ARTI - BOLOGNA A.A 2013/2014 SESSIONE STRAORDINARIA

STUDENTE LUCA D’AMBROSIO

CORSO DI DESIGN GRAFICO PROF. MARINA GASPARINI

RELATORE PROF. CARLO BRANZAGLIA

CONTATTI LUCA D’AMBROSIO @toskins +39 393 4327735 www.lucadambrosio.com mail@lucadambrosio.com

PROGETTO GRAFICO FO NT Galano Classic Bold Merriweather TRADE GOTHIC CONDENSED PROXIMA NOVA

STAMPA (ELEMENTI PAGINA) (CORPO DEL TESTO) (INDICE E NOTE) (BIBLIOGRAFIA E NOTE)

GRAFICHE DELL’ARTIERE VIA LUCIANO ROMAGNOLI 5/2 BENTIVOGLIO (BO) ITALIA

TESI DO YOU?


It’s not where you take things from, it’s where you take them to.

J.L. Godard



DAL BIOCENTRISMO ALLE SOCIAL STREET IN QUESTO CAPITOLO VERRANNO ESPOSTI NUOVI PARADIGMI DELLE LEGGI CHE REGOLANO L’UNIVERSO E LA VITA TERRESTRE SECONDO IL BIOCENTRISMO, TEORIA NATA DALLO SCIENZIATO R.LANZA. ESSI VERRANNO MESSI A CONFRONTO CON GLI ATTUALI MODELLI DI FUNZIONAMENTO DELLA NUOVA VITA SOCIALE NELLE CITTÀ ITALIANE QUALI LE SOCIAL STREET, FENOMENO GLOBALE NATO DA UN PICCOLA STRADA NEL CENTRO DI BOLOGNA.



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DAL BIOCENTRISMO ALLE SOCIAL STREET

DAL BIOCENTRISMO ALLE SOCIAL STREET

1.1 BIOCENTRISMO: È LA VITA CHE CREA L’UNIVERSO (NON VICEVERSA) 1.2 MORTE? NULLA SI DISTRUGGE. TUTTO SI TRASFORMA. 1.3

IL MICRO UNIVERSO DELLE SOCIAL STREET: SI NASCE VIRTUALI, SI DIVENTA VIRTUOSI.

1.4

DA VIA REMBRANDT NASCE LA BIBLIOTECA DI CONDOMINIO

Il Biocentrismo è stato proposto per la prima nel 2007 da un articolo di Robert Lanza, apparso in The American Scholar, dove l’obiettivo era quello di mostrare come la biologia potrebbe svilupparsi sulla fisica quantistica. Due anni più tardi, Lanza ha pubblicato un libro insieme all’astronomo Bob Berman intitolato “Biocentrismo: Come la Vita e la Coscienza Sono le Chiavi per Comprendere la Vera Natura dell’Universo” il quale ha allargato le idee che Lanza ha scritto nel suo saggio su The American Scholar. Il libro è diventato un best seller, e Lanza è finito nella lista dei 100 uomini più influenti del 2014 secondo il Time Magazine. La sua teoria è chiamata biocentrismo. La fisica quantistica è alla base di questa rinnovata attenzione che la scienza sta dedicando alla coscienza umana, tanto da far definire l’anima come una delle strutture fondamentali dell’Universo.

Ad oggi, nella fisica moderna non è stata trovata nessuna spiegazione valida che giustifichi come un gruppo di molecole possa creare coscienza. Secondo il biocentrismo, lo spazio e il tempo non sono quelle dimensioni immutabili e rigide che abbiamo sempre pensato. Secondo le considerazioni degli esperimenti di fisica quantistica, tutta la nostra esperienza sensoriale non è altro che un vortice di informazioni che si verificano nella nostra mente. L’avvento della fisica quantistica ha portato una ferita nel modello dell’universo-orologio, che da una prospettiva prevedibile dei fenomeni fisici, si sta addentrando in una prospettiva semi-prevedibile. Tuttavia, con l’attuale paradigma cosmologico, rimangono aperti ancora molti problemi, alcuni ovvi, altri raramente citati, ma altrettanto fondamentali. Il problema di fondo riguarda la vita che, sin dalla sua comparsa, rimane ancora un processo scientificamente sconosciuto, sebbene alcuni meccanismi di sviluppo possono essere compresi tramite i meccanismi della Teoria di Darwin. Il problema più grande è che in una particolare forma di vita, quella umana, esiste un fenomeno come quello della coscienza, la cui comprensione rimane ancora, a dir poco, un mistero. Se il 20° secolo è stato dominato dalla fisica, il 21° secolo si configura come l’epoca della convergenza tra diverse discipline, fino ad oggi ancora in apparente conflitto tra loro, quali la fisica e la filosofia, la biologia e la teologia. Tutto sembra convergere in una unificazione dei saperi. Forse è questo il tentativo più qualificante di una teoria come quella del biocentrismo, secondo la quale la vita precede l’esistenza dell’Universo. E’ un concetto semplice ma sorprendente: la vita determina l’universo, anziché il contrario.

Lanza, Robert “Biocentrism: How Life and Consciousness Are the Keys to Understanding the True Nature of the Universe” Benbella Books, 2010


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1.1 BIOCENTRISMO: È LA VITA CHE CREA L’UNIVERSO (NON VICEVERSA) 1.2 MORTE? NULLA SI DISTRUGGE. TUTTO SI TRASFORMA. 1.3

IL MICRO UNIVERSO DELLE SOCIAL STREET: SI NASCE VIRTUALI, SI DIVENTA VIRTUOSI.

1.4

DA VIA REMBRANDT NASCE LA BIBLIOTECA DI CONDOMINIO

Molti di noi hanno paura della morte. Crediamo nella morte, perché ci è stato detto che noi moriremo. Ci uniamo con il corpo, e sappiamo che il corpo muore. Un noto aspetto della fisica quantistica è che alcune delle osservazioni non possono essere predette. Tuttavia, vi è una gamma di possibili osservazioni, ciascuna con una diversa probabilità. È teorizzato che vi sono un numero infinito di universi, e tutto ciò che potrebbe accadere si verifica solo in alcuni di essi. La morte non esiste in alcun senso reale in questi scenari. Tutti i possibili universi esistono contemporaneamente, indipendentemente da ciò che accade in qualcuno di essi. Anche se i singoli corpi sono destinati ald un lungo processo di auto-distruzione, il vivo sentimento di coscienza, il - ‘Chi sono io?’- è misurabile in appena 20 watt di energia elettrica, la quale permette il funzionamento del cervello. Questa energia non scompare all’avvento della morte del corpo. Non può. Uno dei più sicuri assiomi della scienza è che l’energia non muore mai: non può essere né creata né distrutta. Essa trascende spazio e tempo. La vita e la morte sono temi ricorrenti nelle opere di Damien Hirst il quale, sin dal 1988, realizza istallazioni che trattano del loro rapporto con l’arte. In una sua opera, intitolata “The Phisical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living” (L’impossibilità fisica della morte nella mente di chi vive), l’artista fa notare come sia impossibile per noi vivi concepire l’idea stessa della morte.

Gallagher, Ann “Damien Hirst” TATE Gallery Collection London, 2012

Attraverso le sue installazioni, egli sembra voler provare a mostrarci i diversi aspetti della morte, sganciandola da quell’alone di paura e dolore che spesso la circonda e mostrandola come un aspetto normale della vita stessa. Un set particolare di sue installazioni ha per oggetto cadaveri di animali, sezionati in modo da poter osservare l’esterno e

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l’interno del corpo, inseriti in enormi vasche di formaldeide o altri liquidi adatti alla conservazione. Tali opere sono comunque destinate alla scomparsa: i liquidi, infatti, rallentano soltanto il processo di decomposizione che, porterà, in un modo o nell’altro, alla disgregazione delle stesse. Questo aspetto della sua poetica ricorda il concetto di bellezza espresso da S. Freud nel suo saggio intitolato: “Caducità: non bisogna essere tristi per il fatto che le opere d’arte sono destinate a scomparire, in seguito alle guerre o alle catastrofi naturali, perché ciò non è sufficiente ad arrestare la creatività degli uomini”.

Freud, Sigmund “Civilization and its contents” Penguin Books London 1986

Così come Hirst tramite l’arte prova a fornire risposte sulla vita e sulla morte, anche Duchamp, prima di lui, ha lavorato sull’argomento. I suoi ready-made, non sono solo “oggetti industriali promossi alla dignità di oggetti d’arte dalla scelta dell’artista” (in altre parole un oggetto distolto dalla sua funzione tramite la firma e il titolo). Il ready-made mette in crisi lo statuto dell’opera, mostra la propria materialità e nega la manualità. Essi rappresentano anche un gesto fenomenologico che si configura come un autentico atto di morte-rinascita dell’oggetto, attuando la cancellazione della valenza economica intrinseca e rimettendo in evidenza la propria autosignificanza. Questa lettura sottolinea come la ricontestualizzazione dell’oggetto renda possibile la liberazione dell’aspetto estetico, inteso però, in questo caso, innanzitutto nel senso etimologico e insieme fenomenologico del termine, cioè come aspetto sensibile attraverso il quale l’oggetto si mostra per ciò che è.

Girst, Thomas “The Duchamp Dictionary” Thames & Hudson London 2008

Non si tratta, in quest’interpretazione, di far emergere una presunta dimensione formale latente che non tutti gli oggetti hanno, né si tratta di sostenere semplicemente, che «nulla essendo utilitario tutto può essere estetico».


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Così come l’arte può essere “già pronta” anche in scenari di vita quotidiana, grazie ad una scelta e ad una volontà ben precisa, anche il design, il progetto, possono trovarsi ovunque. La necessità è sempre madre dell’invenzione, e l’invenzione è una forma d’arte. Come illustra Daniele Pario Perra nel libro “Low cost design”, siamo circondati da migliaia di oggetti e strutture che non seguono le regole della progettazione convenzionale. Questi non sono solamente prodotti dell’ingegno, ma indicatori culturali della progettualità collettiva. Il principio per cui il miglior progetto non è sempre e necessariamente quello brevettato, pensato negli studi di architettura o nelle grandi aziende, ma quello che nasce dalla semplicità quotidiana, come sottolineato da a una citazione di Joseph Beuys che dice: “Ogni uomo è un artista.” Le idee, spesso senza paternità, vengono classificate a seconda dei piani di ricerca (cinque differenti livelli di progettazione per gli oggetti, sei categorie per le azioni), offrono uno spunto di riflessione sulla pratica del recupero, del riciclo e del riuso. Low Cost Design è nato come nel 2001 come database fotografico sulle trasformazioni degli oggetti e dello spazio pubblico in Europa. Attraverso l’analisi sociologica della creatività spontanea si può osservare come il genere umano possieda un medesimo DNA creativo, che dinanzi a problemi simili provoca simili reazioni, e simili soluzioni, indipendentemente dal tempo e dal luogo. Gli oggetti catalogati in Low Cost Design sfuggono alle regole della progettazione aziendale, rivelando un patrimonio interdisciplinare che lega la cultura del design alle discipline sociali, alla storia, all’economia e alla politica.

DAL BIOCENTRISMO ALLE SOCIAL STREET

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La sezione degli Oggetti è divisa in 5 differenti livelli di progettazione, una scala di valori che cresce in proporzione all’incremento dei requisiti fondamentali.Al livello più alto troviamo la massima capacità di risolvere, in modo semplice, i problemi più complessi. Gli oggetti selezionati in Low Cost Design sono la sintesi estetico/ funzionale di un progetto che si realizza alla presenza di fattori diversi come la trasmissione dei saperi, delle risorse disponibili, di cui molte locali, e dei rapporti di prossimità. Il mondo ragiona sulle pratiche per risparmiare e riciclare gli oggetti da sempre: si pensi all’invenzione della filigrana nell’oreficeria del III secolo d.C. per compensare il risparmio del peso o alla trasformazione delle monete d’oro in gioielli e monili.

magazine stand (persiana) – Camera a Su

Classificazione degli oggetti

Allo stesso modo, trascorsi quasi duemila anni, vengono utilizzate posate e pentole ricavate dalla demolizione delle portaerei, le autostrade vengono asfaltate con i cd invenduti, il biodiesel viene prodotto dal grasso umano delle liposuzioni, i campi da tennis vengono costruiti con le suole delle scarpe e il Pile viene prodotto con il PET. Pario Perra, Daniele “Low cost design” Silvana Editore, 2010


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ud, Bologna

tavolo portariviste (bobina per cavi industriali)

panchina (skateboard riutilizzati)

Oggetti semplici

Oggetti sviluppati

Oggetti ottimizzati

Essi sono oggetti elementari, senza particolari modifiche strutturali, ma che suggeriscono nuove progettazioni, oppure che aumentano le funzionalità dei prodotti originali.

Essi hanno un maggiore sviluppo progettuale e applicazioni di mercato. Gli oggetti sviluppati cambiano radicalmente la destinazione d’uso, rivelando l’abilità e l’inventiva dell’artefice. Tra gli esempi riportati ci sono i palloni da calcio in gomma usati come galleggianti per le reti da pesca e boe, la bottiglia che diventa un dosatore del fertilizzante per le piante e la passerella in legno dedicata ai gatti.

Questi sono quelli in cui lo spostamento della funzione originaria è incrementata dalla capacità di astrazione e simbolizzazione del progettista.

Sono gli oggetti che cambiano uso rispetto alla progettazione iniziale come per esempio il catino che diventa lavabo e la persiana che si trasforma in portariviste da parete; le reti da pesca impiegate per proteggersi dalle incursioni dei volatili e il vaso di terracotta usato per fare il barbecue, o le scarpe da ginnastica tagliate per essere indossate come ciabatte.

Alcuni oggetti, insieme alla novità dell’applicazione, rivelano importanti sinergie tra la forma e il materiale di cui sono costituiti: come la lattina dei fagioli trasformata in grattugia igienicamente valida perché in metallo smaltato), o i tappi delle bottiglie di plastica che possono trasformarsi in tavolozza da pittore (facilmente lavabile e comoda nell’uso).

In tali oggetti rivisitati la comunicazione e l’evocazione hanno un ruolo particolare: come nel caso del portacenere da esterni a forma di sigaretta o della panchina assemblata con skateboard usati. Gli oggetti ottimizzati sono caratterizzati anche dai cosiddetti “cortocircuiti concettuali”: oggetti che, grazie alla loro capacità di disconnettersi dal contesto iniziale, propongono invenzioni con nuovi plusvalori. Come la maschera da sub per il taglio delle cipolle o i compact disc utilizzati per allontanare gli uccelli grazie agli effetti di rifrazione della luce, oppure il cappuccio di lana che mantiene caldo il caffè nella moca.


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porta asciugamano (ventosa)

sale e pepe (portarullini)

Oggetti elaborati

Oggetti completi

Essi mostrano chiaramente i segni della progettazione interdisciplinare. Combinazioni in cui un semplice imbuto in plastica diventa uno strumento perfetto per proteggere i filtri per il monitoraggio dell’inquinamento, preservandoli dalla pioggia, ma al tempo stesso senza ridurne l’esposizione all’aria.

Questi hanno un alto grado di semplicità inversamente proporzionale all’importanza del compito da adempiere. Sono gli oggetti in cui intuizione, semplificazione tecnologica e conoscenza interdisciplinare danno vita a piccoli capolavori d’ingegno, sia per la qualità ideativa che per il loro basso costo di produzione, come nel caso della fetta di pane che assorbe odori sgradevoli e umidità dagli abiti nell’armadio.

Un oggetto multifunzionale non equivale a una macchina tecnicamente più elaborata, ma a un dispositivo utile a risolvere bisogni più complessi grazie all’incremento dell’immaginazione. Sono quindi oggetti re-inventati che prevedono il potenziamento delle funzioni originarie: come le palline da tennis tagliate e infilati nelle gambe delle sedie per proteggere i pavimenti o il vassoio antiscivolo per camerieri, oppure i tappi di sughero inseriti nei coperchi con manici in ferro per non bruciarsi le dita.

Negli oggetti completi è riscontrabile anche una capacità di progettazione interculturale come nel caso delle bacchette cinesi (chopsticks) a molla oppure o in quello del tappo di sughero con spilli riutilizzato per estrarre le lumache di mare dal loro guscio.

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porte da calcio dipinte su

Classificazione delle azioni


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ul cancello di una chiesa

venditore ambulante di fiori e frutta

barriere antiparcheggio diventano fioriere con tavolino per il bar di fronte

Pianificazione territoriale

Commercio creativo

Interazioni tra pianificazione pubblica e progetto privato

La pianificazione territoriale privata raggruppa le azioni di tutti i gruppi sociali che progettano o realizzano opere nello spazio pubblico.

È il commercio ambulante rivisitato in maniera creativa e originale. I venditori si spostano per quartieri, paesi e città, con cadenza regolare, e considerano la mobilità il loro punto di forza.

Esse sono un tipo di interazione “creativa” che rappresenta sia un punto di incontro sia una netta demarcazione fra pubblico e privato.

Attraverso processi di confronto e aggregazione, conformità alle istituzioni e variazioni delle consuetudini, i gruppi si riappropriano dei luoghi della vita quotidiana: i fili del bucato s’intrecciano tra i pali dei cartelloni pubblicitari, le finestre delle case si trasformano in vetrine di negozi, le statue dei santi protettori o le edicole religiose si ergono al centro di piccole piazze di quartiere.

I mezzi di trasporto di cui si servono per far circolare le merci sono abilmente attrezzati per veicolare una campagna di comunicazione pubblicitaria attraverso una strategia di vendita e una retorica mercantile, governate da un complesso di regole mai scritto. All’offerta di merci garantite, viene spesso affiancato un servizio aggiuntivo su misura per il cliente: come l’assistenza e la consegna a domicilio, la riparazione in caso di guasti, talvolta l’opportunità di un acquisto rateale senza effetti bancari. Queste “leggi” sono il frutto di un rapporto di prossimità fra le parti che da sempre caratterizza lo scambio di qualsiasi natura nelle società civili.

Queste interazioni producono uno scambio di ruoli e di funzioni: da una parte assegnano una maggiore responsabilità ai privati nella logistica dei servizi pubblici, dall’altra invitano gli enti istituzionali a fare scelte gestionali più flessibili e meno burocratizzate. Gli individui pianificano gli spazi comuni comportandosi come fossero istituzioni pubbliche, e viceversa quest’ultime si rifanno a soluzioni intraprese dai privati, nell’ambito della gestione del territorio e dei servizi.


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sedie poste all’interno di una pensilina di attesa dell’autobus

DAL BIOCENTRISMO ALLE SOCIAL STREET

palloni da calcio bucati sul portale di una chiesa, usati come monito per i bambini

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sistema in legno per non far sedere sui gradini del

Soluzioni personali alla carenza di servizi pubblici

Comunicazione sociale

Sicurezza personale

Esse sono quelle per cui i cittadini suppliscono del tutto alle inadempienze dei servizi pubblici e le carenze progettuali del territorio risolvendo le questioni a con mezzi propri.

Questa agisce attraverso l’uso di oggetti che si trasformano in veicoli di espressione artistica o informazione pubblicitaria.

Quando i privati operano per il mantenimento della loro sicurezza personale o della propria influenza, il controllo del territorio non è più inteso solo come esercizio dell’ordine pubblico, ma anche quale metodo di espansione e appropriazione da parte dei gruppi che vi abitano, sia all’interno sia all’esterno della legalità.

il caso dei cittadini che riparano, per renderle più confortevoli, le pensiline di attesa dell’autobus, che creano sistemi di dissuasione contro il parcheggio abusivo nelle aree di confine tra proprietà pubblica e privata; che ancora sistemano specchi per aiutare l’orientamento di pedoni e automobilisti in angoli stradali a rischio o che dipingono a mano i nomi delle vie dove non sono visibili.

Questi oggetti definiscono status sociali e comunità di appartenenza, attraverso la diffusione di segni a valenza ideologica, politica, culturale, religiosa o meramente commerciale. Messaggi efficaci con forti componenti visuali che si trasformano in nuovi codici di comunicazione urbana come per esempio le cassette delle lettere a forma di simboli nazionali o religiosi, a indicare la cultura o la provenienza del padrone di casa, i palloni da calcio tagliati sul portale della chiesa, usati a monito.

Pur essendo di natura diversa, entrambe condividono un atteggiamento di difesa.


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1.1 BIOCENTRISMO: È LA VITA CHE CREA L’UNIVERSO (NON VICEVERSA) 1.2 MORTE? NULLA SI DISTRUGGE. TUTTO SI TRASFORMA.

portone – Via Petroni, Bologna

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IL MICRO UNIVERSO DELLE SOCIAL STREET: SI NASCE VIRTUALI, SI DIVENTA VIRTUOSI.

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DA VIA REMBRANDT NASCE LA BIBLIOTECA DI CONDOMINIO

In principio fu Voisineo.com, il Facebook di prossimità inventato da tre giovani lionesi nel 2008. Muovendosi in direzione opposta rispetto alla piattaforma di Zuckerberg, si proponeva come luogo d’incontro per scambiare beni e servizi con i vicini, muovendosi dal virtuale alla riscoperta delle attività e dei commerci del vicinato, con il cuore pulsante nel quartiere. Un’idea di successo che in breve è cresciuta, arricchendo le sue proposte, fino a diffondersi in maniera capillare in tutta la Francia. Un piccolo contagio, con un valore aggiunto che risiede tutto nel passaggio dal virtuale al sociale e da lì al “virtuoso”, come recita il loro slogan.Ma non finisce qui: l’ambizione è quella di diventare referenti delle amministrazioni locali, nell’ottica di una cittadinanza finalmente e realmente attiva, partecipe, protagonista, propositiva, portatrice e fautrice di buone pratiche, nel tentativo di ricompattare una società un po’ sfilacciata e frammentata, talvolta egoista, fragile, spaventata e dimentica del bene comune.

Oggi, il fenomeno del momento si chiama Social Street e ha il passaporto italiano. Il concetto è lo stesso, quello di far incontrare prima virtualmente e poi concretamente le persone, per fare rete, per scambiarsi servizi, aiuti, per organizzare iniziative, avanzare proposte, condividere idee, per andare al di là del saluto educato, quando c’è, con il vicino di pianerottolo, abbattendo muri non di mattoni ma di diffidenza.

La filosofia social non transige: l’imperativo è quello di passare sempre dal virtuale al reale. L’unica regola è non restare impigliati nella rete: uscire, incontrarsi, e trascinare fuori anche chi in rete non c’è: piccoli gesti capaci di fare la differenza.

Il gruppo di Via Fondazza comincia a diventare il punto di riferimento per chi intenda aderire all’iniziativa e introdurre questa nuova, e al tempo stesso antica, forma di socializzazione nel proprio territorio. Basta scrivere agli organizzatori per presentare il proprio progetto e seguire le linee guida, condividendo la visione della Street originaria. Ovvero, non avere fini di lucro ma solo scopi sociali; essere apolitico e non connotato per ideologia e credo.

Il quartiere diventa strada, cortile, piazzetta, il virtuale diventa strumentale, non più soltanto comodo rifugio di socializzazione a portata di click, ma luogo dove darsi appuntamento per incontrare persone in carne e ossa. Così la chattata torna a essere chiacchierata e il commento può trasformarsi in proposta. Internet diventa megafono, volantinaggio, citofono. La prima strada sociale nasce a Bologna, da un quasi quarantenne freelance toscano, Federico Bastiani, stanco di vedere il suo unico bimbo giocare spesso da solo. Lo scorso settembre crea su Facebook il gruppo chiuso “Residenti in Via Fondazza – Bologna”, da cui poco dopo prende forma l’idea della Social Street con l’obiettivo, come raccontato nella presentazione su www.socialstreet.it, di socializzare con i vicini della propria strada di residenza al fine di instaurare un legame, condividere necessità, scambiarsi professionalità, conoscenze, portare avanti progetti collettivi di interesse comune e trarre i benefici derivanti da una maggiore interazione sociale.


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DAL BIOCENTRISMO ALLE SOCIAL STREET

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1.1 BIOCENTRISMO: È LA VITA CHE CREA L’UNIVERSO (NON VICEVERSA) 1.2 MORTE? NULLA SI DISTRUGGE. TUTTO SI TRASFORMA. 1.3

IL MICRO UNIVERSO DELLE SOCIAL STREET: SI NASCE VIRTUALI, SI DIVENTA VIRTUOSI.

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DA VIA REMBRANDT NASCE LA BIBLIOTECA DI CONDOMINIO

In un condominio di via Rembrandt 12 a Milano, Roberto Chiapella ci vive da 39 anni. Chiapella ha avuto un’idea semplice semplice, che però sta raccogliendo consensi in mezza Italia: la biblioteca di condominio. «Ero sceso a buttare la carta e nel cassonetto ho visto una decina di libri. Erano titoli strani, sui dischi volanti e la lettura della mano, ma erano nuovi e mi sembrava un peccato buttarli via. Così li ho raccolti. Rientrando sono passato davanti alla nostra portineria, che era in disuso. E si è accesa una lampadina». Chiapella ha iniziato a parlarne con i condomini e con gli amici. La voce nel quartiere si è sparsa e in circa un anno alla biblioteca sono arrivati 4.500 volumi. Qualche scaffale, una sistemata all’ambiente e la portineria disabitata è diventata un punto di ritrovo. Il risultato è che ormai gli inquilini di via Rembrandt 12 si conoscono praticamente tutti di persona e in biblioteca organizzano perfino feste condominiali. In perfetta chiave low cost design, cosa fare degli esuberi e dei volumi doppi? riciclo? Assolutamente no, tutto il di più viene convogliato nella biblioteca del carcere di Opera, o a San Vittore.

CAP. 1


LA SHARING ECONOMY IN RISPOSTA ALLA CRISI DOPO AVER VISTO QUELLI CHE SONO I “SOTTOMODELLI” DI ORGANIZZAZIONE SPONTANEA DELLA SOCIETÀ 2.0 E AVENDONE ESPLORATO GLI STRUMENTI DAL BASSO, IN QUESTO CAPITOLO SI PARTIRÀ DALLA O.S.T. E IL SUO UTILIZZO NELLA PROGETTAZIONE PARTECIPATA PER ARRIVARE AI NUOVI MODELLI DI MERCATO PROPOSTI DALLA SHARING ECONOMY PER FRONTEGGIARE L’INCESSANTE CRISI GLOBALE. OSPITALITÀ / SOLIDARIETÀ 2.0: NUOVI BENI DI SCAMBIO DELLE COMUNITÀ ONLINE?



CAP. 2

2.1 2.1.2 2.2

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LA SHARING ECONOMY IN RISPOSTA ALLA CRISI

COS’È L’OPEN SPACE TECHNOLOGY? I PRINCIPI E LE LEGGI LA PROGETTAZIONE PARTECIPATA IN ARCHITETTURA E URBANISTICA OSPITALITÀ / SOLIDARIETÀ 2.0 LA SHARING ECONOMY IN RISPOSTA ALLA CRISI

2.3 IL PEER-2-PEER OLTRE L’ALTRUISMO 2.3.1 ECONOMIA COLLABORATIVA 2.3.2 LA MORTE DEL CAPITALISMO

L’Open Space Technology è una metodologia che permette, all’interno di qualsiasi tipo di organizzazione, di creare gruppi di lavoro e riunioni particolarmente ispirati e produttivi. È stato sperimentato negli ultimi vent’anni in differenti paesi del mondo, impiegato nella gestione di gruppi composti da un minimo di 5 a un massimo di 2000 persone, in conferenze della durata di una, due o anche tre giornate. Si tratta di una metodologia innovativa poiché in tal modo le persone tendono a non annoiarsi e, anche grazie a un clima piacevole, in tempi relativamente brevi esse producono un documento riassuntivo di tutte le proposte/progetti elaborati dal gruppo, l’instant report. Harrison Owen, pioniere dell’Open Space Technology, ha notato nel corso della sua esperienza di organizzatore di conferenze come le persone si confrontino con molto più entusiasmo durante i coffe break che non nelle fasi di lavoro. È giunto quindi a considerare l’ipotesi di strutturare un’intera conferenza in modo che i partecipanti si sentano liberi di proporre gli argomenti e di discuterli solo se interessati ad essi.

Esistono quattro “principi” ed una sola “legge”. Chiunque venga è la persona giusta; le decisioni che vengono prese durante il lavoro sono opera di coloro che sono presenti. Non serve quindi pensare a chi sarebbe potuto intervenire o chi avremmo dovuto invitare, è molto più utile concentrarsi su quelli che ci sono. Qualsiasi cosa accada è l’unica che poteva accadere; in una particolare situazione, con determinate persone e discutendo di un certo tema, il risultato che si otterrà è l’unico risultato possibile. Le sinergie e gli effetti che possono nascere dall’incontro di quelle persone sono imprevedibili ed irripetibili, per questo chi conduce un Open Space Technology deve rinunciare ad avere il controllo della situazione: tentare di imporre un risultato o un programma di lavoro è controproducente. Quando comincia è il momento giusto; l’aspetto creativo del metodo. È chiaro che dovranno esserci un inizio ed una fine, ma i processi di apprendimento creativo che avvengono all’interno del gruppo non possono seguire uno schema temporale predefinito. Quando è finita è finita; se certe volte serve più tempo di quello previsto, altre accade il contrario. Se ad esempio si hanno a disposizione due ore per trattare un certo argomento, ma la discussione si esaurisce più velocemente del previsto, è inutile continuare a ripetersi, molto meglio dedicare il nostro tempo ad altro. L’unica legge che regola l’Open Space Technology è la legge dei due piedi: se ti accorgi che non stai né imparando né contribuendo alle attività, alzati e spostati in un luogo in cui puoi essere più produttivo. Questo atteggiamento non va interpretato come una mancanza di educazione, ma come un modo per migliorare la qualità del lavoro.

Owen, Harrison “Open Space Technology, a user’s guide” Berrett-Koehler Publishing 2008


LA SHARING ECONOMY IN RISPOSTA ALLA CRISI

2.1 2.1.2 2.2

COS’È L’OPEN SPACE TECHNOLOGY? I PRINCIPI E LE LEGGI LA PROGETTAZIONE PARTECIPATA IN ARCHITETTURA E URBANISTICA OSPITALITÀ / SOLIDARIETÀ 2.0 LA SHARING ECONOMY IN RISPOSTA ALLA CRISI

2.3 IL PEER-2-PEER OLTRE L’ALTRUISMO 2.3.1 ECONOMIA COLLABORATIVA 2.3.2 LA MORTE DEL CAPITALISMO

L’approccio partecipativo implica il coinvolgimento attivo dei beneficiari potenziali nelle diverse fasi di un piano, fin dalla sua ideazione. Questo approccio, conosciuto anche come bottom-up, ha avuto un notevole successo, ma non sempre gli si attribuisce un significato univoco. In molti casi, ad esempio, esso viene interpretato come un importante fattore di democrazia locale, tuttavia le ragioni principali per cui un approccio “dal basso” si dimostra efficace nel migliorare la qualità dei progetti di sviluppo locale sono sostanzialmente di due tipi: Un’attività di diagnosi strategica orientata ad un sistema territoriale circoscritto non può prescindere, sia nella fase di analisi che in quella di decisione strategica, dalla raccolta e dal confronto di elementi conoscitivi detenuti esclusivamente dai diversi gruppi di attori locali che operano nell’ambito di quel sistema. Questa constatazione, che rappresenta il “principio operativo” del bottom-up, è illustrata chiaramente nel metodo del Project Cycle Management (ITAD Ltd, Project Cycle Management Training Courses Handbook, European Commission: EUROPEAID Co-operation Office) che, messo a punto per migliorare la qualità dei progetti di cooperazione con i paesi in via di sviluppo, ha poi fortemente influenzato il sistema di procedure e raccomandazioni che riguarda tutta la programmazione dei fondi strutturali dell’UE. Si tratta quindi di suscitare la condivisione di informazioni, percezioni, esigenze, visioni e, più in generale, conoscenze implicite ed esplicite per farle diventare “patrimonio di progetto”. È necessario creare un senso di appartenenza al progetto tra gli attori che saranno mobilitati in fase di implementazione e, in questo, nulla è più efficace del dare evidenza di un uso convinto del bottom-up. Questo processo, che nelle concezioni meno illuminate viene interpretato come un’attività propagandistica di “costruzione del consenso”, implica in realtà un’evoluta capacità di ascolto

ed animazione per compiere il percorso che porta da un primo “allineamento delle visioni” ad una vera progettazione partecipativa delle strategie di intervento. Il campo principale di applicazione dei sistemi partecipativi è quello della progettazione, nell’ambito del quale esistono diverse categorie di “metodologie partecipative”. Tuttavia, se opportunamente utilizzati, i metodi partecipativi si rivelano utili in tutti i casi in cui è necessario sviluppare nuove conoscenze a supporto di decisioni, comprese, naturalmente, le attività di valutazione. Analizziamo gli strumenti con cui questi modelli vengono messi in pratica. Gli obiettivi sono: •

Favorire la partecipazione e lo sviluppo di nuove idee e proposte tramite la rete

Raccogliere proposte e costruire decisioni condivise in associazioni, organizzazioni e movimenti

Garantire imparzialità, trasparenza, privacy, e rispetto delle regole condivise nella gestione della partecipazione e dei dati

CAP. 2

STRUMENTI

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CAP. 2

LA SHARING ECONOMY IN RISPOSTA ALLA CRISI

Liquid Feedback

Strumento di deliberazione online sviluppato dal Partito Pirata tedesco, dà la possibilità di raccogliere proposte, organizzandole per aree tematiche, migliorarle con suggerimenti e votarle per misurarne il gradimento; consente inoltre di assegnare deleghe nelle varie fasi del processo.

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Formulare proposte, raccogliere suggerimenti, portarle in votazione e selezionare quelle che riscuotono il maggior gradimento. E’ possibile inoltre delegare altri partecipanti per la fase di voto sulla specifica proposta o su un’intera area tematica.

Gestire tutte le fasi di un bilancio partecipativo, dalla fase di proposta sino a quella di votazione, supportando e mettendo in rete i cittadini, le loro esigenze e proposte, attraverso la possibilità di geolocalizzarle, taggarle, dettagliarle nei contenuti, condividere, attivare discussioni e chiedere sostegno e collaborazione agli altri concittadini.

OpenDCN

Piattaforma open source di partecipazione e deliberazione online, sviluppata da Fondazione RCM e Laboratorio di Informatica Civica, contiene un’ampia gamma di strumenti per realizzare un ambiente online con spazi di community, discussione informata, segnalazioni, raccolta di problemi e proposte, petizioni e brainstorming.

Raccogliere proposte associate a specifiche problematiche, caratterizzate da un tema, e aggregare su ciascuna proposta adesioni, giudizi e argomentazioni pro o contro. Segnalare i problemi a cui collegare le proposte.

Attivare uno spazio di dialogo tra i candidati alle elezioni comunali e i cittadini, in cui ciascun candidato ha la possibilità di presentarsi e di interagire in rete formulando o sostenendo proposte, partecipando alle discussioni, inserendo eventi, ecc.

BiPart

Piattaforma sviluppata dal Centro Studi per la Democrazia Partecipativa per promuovere e realizzare bilanci partecipativi nelle varie comunità territoriali nazionali, è in grado di fornire un supporto alla gestione di tutte le fasi di questa tipologia di processi: dalla fase di formulazione della proposta da parte dei cittadini sino a quella di votazione e selezione.

Realizzare progetti di mappatura partecipata, raccogliendo segnalazioni di luoghi da evidenziare su una mappa, con possibilità di arricchirle con risorse informative allegate (file, link o video), inviare commenti ed esprimere un proprio gradimento in merito.

Effettuare consultazioni dei partecipanti ad un processo partecipativo in merito ad uno o più quesiti proposti nel rispetto di alcuni requisiti volti ad aumentare il grado di attendibilità delle risposte fornite.


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LA SHARING ECONOMY IN RISPOSTA ALLA CRISI

2.1 2.1.2

COS’È L’OPEN SPACE TECHNOLOGY? I PRINCIPI E LE LEGGI

2.2

OSPITALITÀ / SOLIDARIETÀ 2.0 LA SHARING ECONOMY IN RISPOSTA ALLA CRISI

LA PROGETTAZIONE PARTECIPATA IN ARCHITETTURA E URBANISTICA

2.3 IL PEER-2-PEER OLTRE L’ALTRUISMO 2.3.1 ECONOMIA COLLABORATIVA 2.3.2 LA MORTE DEL CAPITALISMO

Discutere in merito ai moderni processi di networking locale e di progettazione partecipata pone quesiti di carattere sociologico. Nello specifico, in una società interconnessa e globalizzata come la nostra, sono di grande attualità le tematiche relative alla mobilità degli individui e alla interazione tra di loro. Che si parli di come interagiscono membri della stessa strada o dello stesso gruppo di lavoro, ci troviamo di fronte all’interpretazione soggettiva del senso di ospitalità e di comunicazione all’interno di gruppi sociali. Jacques Derrida è uno dei maggiori esponenti della filosofia del XX secolo. Egli ha scritto un testo, “Sull’ospitalità” insieme a Anne Dufourmantelle, sull’argomento dell’ospitalità, ma anche sull’ostilità dell’altro, dello straniero che invade e occupa il territorio sentito come privato. Per Derrida l’autentica ospitalità è l’ospitalità indiscriminata, ovvero quella che proviene da un atto soggettivo, privato. Intesa così l’ospitalità non può richiedere allo “straniero”, ovvero “colui che viene da fuori”, delle domande, pretendendo uno scambio al fine di accettare la richiesta di ospitalità (che è poi la richiesta disperata di continuare a vivere). La società e la politica attuali, optano per una normalizzazione e regolamentazione di questo principio intrinsecamente privato. Attraverso il processo di annullamento della privacy, il sitema attuale porta il singolo all’impossibilità di adottare l’ospitalità nella sua accezione onesta e corretta.

Kant, Immanuel “Per la Pace Perpetua” Bur - Rizzoli Milano, 2010

Derrida, Jacques “L’Ospitalità” Baldini & Castoldi Milano, 2000

Per Jacques Derrida l’ospitalità non è semplicemente una regione dell’etica, un suo capitolo delimitato e circoscritto, un suo modo o maniera ma l’etica stessa, il suo principio: accogliere l’altro che viene, farsi abitare dall’altro custodendolo e rispondendone, persino nella sua eccentricità e stravaganza, è, a ben vedere, l’imperativo di un’etica da riformulare nel confronto con il problema dell’alterità.

Accoglienza: una parola che ci riporta subito al senso più profondo delle relazioni umane, al portare accanto a sé qualcuno, nel riceverlo con amore e familiarità. Significa accettare l’alterità con le sue differenze costitutive e nello stesso tempo accordare ospitalità a chi ce la chiede. La prassi dell’accoglienza viene, infatti, perlopiù riferita allo “straniero”, a chi non è a noi prossimo, ma che ci chiede solidarietà e vicinanza territoriale, ci domanda di poter di travalicare i confini geografici che sono stati tracciati fra “noi cittadini” e gli “altri, forestieri, non-appartenenti”. La politica dell’accoglienza dello straniero è al giorno d’oggi una delle più spinose questioni, presenti nelle agende politiche sia di governi nazionali che di organismi internazionali. Si riferisce perlopiù a quei massicci processi migratori che nell’età della globalizzazione hanno comportato l’aumento esponenziale della mobilità non solo di merci, bensì di individui e comunità. Si spostano alla ricerca di una migliore qualità della vita, fuggendo di fronte a guerre e a carestie, ma anche semplicemente proponendosi l’obiettivo di garantire a sé e alla propria famiglia un diverso futuro e maggiori opportunità esistenziali.

CAP. 2


CAP. 2

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LA SHARING ECONOMY IN RISPOSTA ALLA CRISI

Proprio per la mutata situazione geo-politica che coinvolge tutti i paesi e i cittadini del mondo, si sta ora affermando a livello internazionale un acceso dibattito sul significato e la praticabilità (non solo teorica) del cosmopolitismo. Tale discussione prende le mosse dal noto saggio di Immanuel Kant su “Per la Pace Perpetua” (1795), in cui l’accettazione dello straniero non è fondata né sulla semplice benevolenza od ospitalità, ma su un’accoglienza che mira a integrare chi è ancora straniero nella nostra cittadinanza.

Da una parte ci sono infatti organismi internazionali e sovranazionali, quali l’ONU, il Consiglio d’Europa, l’Unione Europea, mentre dall’altra ci sono i singoli paesi (Stati nazionali). Di fatto, sono sempre i Paesi interessati che decidono in ultima istanza delle politiche immigratorie e del trattamento da riservare agli stranieri, venendo sempre più a limitare il potere delle convenzioni internazionali e aumentando la loro forza discrezionale, a proposito di chi accogliere o respingere.

Come scrive Kant nel “Terzo articolo definitivo”: « Accoglienza significa dunque cercare di re-incontrarsi, dopo la diaspora biblica dei popoli, seguita alla distruzione della Torre di Babele voluta dall’intervento della violenza divina. Tale incontro diventa tanto più urgente, quanto più continuano ad essere rinfocolate guerre violente per il possesso di “una porzione determinata della terra.“ Seppur consapevoli che la cessazione di tali contese è di difficile soluzione, tuttavia l’accoglienza come interesse per politiche eque e come apertura all’alterità è un compito che spetta a tutti noi, in quanto cittadini, per l’appunto, del mondo. »

Oggi viviamo nell’era dei social network e grazie all’utilizzo capillare della rete il modo di viaggiare è cambiato: è più evoluto e tecnologico, ma allo stesso modo ci riavvicina alla ricerca di esperienze sempre più personalizzate ed autentiche, soddisfando così il nostro bisogno d’interagire con i territori e le persone che vi si incontrano. Internet sta modificando il modo di relazionarci con gli altri ed in campo migratorio/turistico è stato ed è in grado di rafforzare la logica della relazione diretta tra tra ospite e destinazione, turista e “albergatore”. (vedi il caso Airbnb) In particolare, in questo processo, ci viene in aiuto l’utilizzo dei mobile come strumento dell’esserci, comunicando in prima persona il viaggio nello stesso momento della fruizione con le informazioni geolocalizzate, promuovendosi, disintermediando il sentimento dello spostamento, diventando testimonial di un’esperienza e influencer rispetto alle nostre cerchie di conoscenze. Quello che sta avvenendo in realtà è molto più profondo di quanto i numeri dicono fino ad ora. Attraverso i servizi collaborativi si sta affermando un nuovo modello progettuale, il p2p, che, disintermediando, ridefinisce e modifica il modo in cui consumiamo – e viviamo – trasformando così, ancora una volta, il rapporto fra aziende e consumatori. Oggi siamo davanti a una nuova trasformazione in cui le persone diventano “cittadini”, i quali, non avendo più fiducia nelle aziende e nelle istituzioni, non sono più disposti a stare a guardare e utilizzano non più solo internet e social media ma tutte le tecnologie digitali per passare all’azione, dettare le regole, e costruire un futuro migliore.

foto di Veronica Santandrea


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Condivisione, collaborazione, fiducia negli sconosciuti, disintermediazione, sono abitudini acquisite proprio grazie all’utilizzo delle tecnologie digitali e diventano le basi sulle quali costruire modelli diversi da quelli che la crisi ha dimostrato non funzionare più.

LA SHARING ECONOMY IN RISPOSTA ALLA CRISI

CAP. 2

MODELLI DI SHARING MICROECONOMY CROWDFUNDING

CARPOOLING/CARSHARING

Il crowdfunding è un processo collaborativo di un gruppo di persone che utilizza il proprio denaro in comune per sostenere gli sforzi di persone e organizzazioni. È una pratica di micro-finanziamento dal basso che mobilita persone e risorse. Il crowdfunding è spesso utilizzato per promuovere l’innovazione e il cambiamento sociale, abbattendo le barriere tradizionali dell’investimento finanziario. Il web è solitamente la piattaforma che permette l’incontro e la collaborazione dei soggetti coinvolti in un progetto di crowdfunding. Esso è una importante fonte di finanziamento ogni anno per circa mezzo milione di progetti europei che altrimenti non riceverebbero mai i fondi per vedere la luce.

Il termine car pooling, indica una modalità di trasporto che consiste nella condivisione di automobili private tra un gruppo di persone, con il fine principale di ridurre i costi del trasporto. È uno degli ambiti di intervento della cosiddetta mobilità sostenibile. Nel car pooling uno o più dei soggetti coinvolti mettono a disposizione il proprio veicolo, eventualmente alternandosi nell’utilizzo, mentre gli altri contribuiscono con adeguate somme di denaro a coprire una parte delle spese sostenute dagli autisti. Tale modalità di trasporto è diffusa in ambienti lavorativi o universitari, dove diversi soggetti, che percorrono la medesima tratta nella stessa fascia oraria, spontaneamente si accordano per viaggiare insieme.

CROWD/OUT SOURCING MARKETPLACE

Banche e istituzioni non prestano più denaro per il lancio di nuovi progetti? C’è il crowdfunding. Muoversi in macchina è troppo costoso e nuoce l’ambiente? Si provi il carpooling o il carsharing. Stufi di accumulare beni? Scambi, noleggi, annunci online. Il lavoro non c’è? Lo si cerca sugli outsourcing marketplace. Gli intermediari tradizionali non sono più necessari e delle due l’una, o l’azienda offre davvero un servizio esclusivo, oppure presto dovrà fare i conti con i nuovi cittadini. Emblematico, per esempio, è il caso di Carrotmob, una piattaforma attraverso la quale le persone chiedono alle piccole e grandi imprese di intraprendere buone azioni in cambio della promessa di diventare loro clienti.

Crowdsourcing (o Outsourcing) è una tipologia di attività online partecipativa nella quale una persona, istituzione, organizzazione non a scopo di lucro o azienda propone ad un gruppo di individui, mediante un annuncio aperto e flessibile, la realizzazione libera e volontaria di un compito specifico. La realizzazione di tale compito, di complessità e modularità variabile, e nella quale il gruppo di riferimento deve partecipare apportando lavoro, denaro, conoscenze e/o esperienza, implica sempre un beneficio per ambe le parti. Oggi il crowdsourcing è per le aziende un nuovo modello di open enterprise, mentre per i freelance diventa la possibilità di offrire i propri servizi su un mercato globale.


CAP. 2

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LA SHARING ECONOMY IN RISPOSTA ALLA CRISI

2.1 2.1.2

COS’È L’OPEN SPACE TECHNOLOGY? I PRINCIPI E LE LEGGI

2.2

OSPITALITÀ / SOLIDARIETÀ 2.0 LA SHARING ECONOMY IN RISPOSTA ALLA CRISI

LA PROGETTAZIONE PARTECIPATA IN ARCHITETTURA E URBANISTICA

2.3 IL PEER-2-PEER OLTRE L’ALTRUISMO 2.3.1 ECONOMIA COLLABORATIVA 2.3.2 LA MORTE DEL CAPITALISMO

Michel Bauwens è considerato uno dei guru di Internet per le sue capacità di cogliere alcune tendenze sociali presenti nella Rete che hanno la capacità di rompere le barriere dello schermo e condizionare così la realtà al di fuori del web. È considerato uno dei teorici della «economia politica della produzione peer», cioè di quell’attitudine a scambiarsi informazione, musica e video che caratterizza la rete e che sta cambiando profondamente la realtà. Infatti Bauwens, dilata molto il concetto di peer to peer, includendovi tutte quelle attività relazionali che caratterizzano il World wide web (WWW), ma anche quelle forme di cooperazione e condivisione che avvengono al di fuori del cyberspazio. Il peer to peer è solo uno dei tanti aspetti della network culture, cioè quell’accumulo di elaborazioni e riflessioni su come la rete e le forme di vita lì insediate stanno cambiando la realtà.

Kostakis V., Bauwens, M. “Network Society and Future Scenarios for a Collaborative Economy” Palgrave Pivot, 2014

Bauwens è il fondatore della P2P Foundation, e da alcuni anni sta dedicando la sua vita alla diffusione della conoscenza intorno alle pratiche peer-to-peer e alla crescita della economia della condivisione.

Internet sta trasformando i modi in cui le persone si informano, producono e distribuiscono contenuti e si connettono tra loro. Alcuni studiosi come Yochai Benkler descrivono questi fenomeni come l’ascesa dell’economia della condivisione, basata su un uso collettivo dei “beni comuni digitali”. Per economia della condivisione si intende il passaggio da un’economia di scala, adatta ad un periodo storico in cui abbondavano l’energia e le materie prime, ad un’economia di scopo, basata sul principio della condivisione delle conoscenze (es. fare di più a partire dalla stessa risorsa). Questa economia si fonda sulla diffusione delle pratiche open source nei domini della cultura, dell’informatica (il software libero), del design (le automobili basate su progetti open source, oggetti basati su schede madri Arduino). Le pratiche di consumo collaborativo (collaborative consumption) – più comunemente note come sharing economy – consistono nella condivisione di infrastrutture, beni e strumenti (per esempio piattaforme online per la condivisione peer-to-peer di spazi di lavoro, attrezzi, automobili). Quando i due domini della comunità globale dell’open design che produce beni comuni materiali e immateriali e della comunità degli imprenditori etici e innovatori sociali che producono beni materiali attraverso mezzi di produzione distribuiti si fondono, accade sempre qualcosa di interessante e di positivo. Sarebbe di grande rilevanza se accadesse che gli attori delle economie no profit scoprissero le pratiche della produzione peer-to-peer per un sistema cooperativo basato su pratiche open source. Purtroppo il mercato attualmente è orientato al profitto, e non è d’aiuto che sia sto scoperto che le pratiche peer-to-peer sono iper-produttive, efficienti. In un sistema sotto il dominio della finanziarizzazione, la produzione peer-to-peer è vista soprattutto come un mezzo per esternalizzare i rischi.

Benkler, Yochai “La ricchezza della rete. La produzione sociale trasforma il mercato e aumenta le libertà” Università Bocconi Editore, 2007


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LA SHARING ECONOMY IN RISPOSTA ALLA CRISI

2.1 2.1.2

COS’È L’OPEN SPACE TECHNOLOGY? I PRINCIPI E LE LEGGI

2.2

OSPITALITÀ / SOLIDARIETÀ 2.0 LA SHARING ECONOMY IN RISPOSTA ALLA CRISI

LA PROGETTAZIONE PARTECIPATA IN ARCHITETTURA E URBANISTICA

2.3 IL PEER-2-PEER OLTRE L’ALTRUISMO 2.3.1 ECONOMIA COLLABORATIVA 2.3.2 LA MORTE DEL CAPITALISMO

Nello scenario for profit e a controllo centralizzato c’è il capitalismo “netarchico” (net+gerarchico), in cui i creatori di valore vengono sfruttati dalle piattaforme proprietarie, che controllano reti e dati personali e guidano il nostro comportamento. Nello scenario for profit ma con controllo distribuito (capitalismo distribuito) ci sono mercati p2p, alcune piattaforme di crowdfunding, Bitcoin: rappresentano tutte la possibile realizzazione del sogno anarco-capitalista e liberista in cui ogni essere umano è un imprenditore che cerca il proprio profitto personale. Lo scenario no profit e con controllo centralizzato è dove gruppi locali utilizzano piattaforme p2p per creare monete comunitarie, piattaforme di scambio di cibo locale, ecc.. uno scenario in cui le tecnologie p2p sono al servizio di una comunità locale. Infine, nello scenario che preferiamo, quello dei beni comuni globali, ci sono grandi comunità globali che sviluppano progetti aperti come nel caso di Linux e Wikipedia e dove la governance globale è più democratica, post-capitalista e post-statale. Questi progetti si basano sull’open source: non traggono, cioè, il proprio valore da una scarsità indotta artificialmente attraverso gli strumenti legali per la tutela della proprietà intellettuale. Al contrario, rilasciano liberamente tutte le informazioni necessarie a replicare il prodotto, invitando altre persone a prendere parte al processo o a realizzarlo autonomamente. La loro caratteristica distintiva, quindi, è quella di perseguire un’idea di valore sociale, culturale e politico che va oltre quella strettamente economica.

De Palma, Gabriele “Affare Bitcoin. Pagare col p2p e senza banche centrali” Informant, 2013

Questi processi sono il frutto sia di spinte collettive dal basso, sia di scelte politiche che ne creano le condizioni. Caso emblematico è quello di Peers.org, una lobby americana che ha l’obiettivo di combinare assieme sia gli utenti che i proprietari dei mercati p2p.

CAP. 2

Peers.org sta cercando di imporre all’agenda comunicativa americana il tema della sharing economy e sta dimostrando come attraverso piattaforme p2p oggi sia più facile condividere beni e servizi, prestarsi mutuo soccorso. Un altro tema da considerare è se il p2p emerga più facilmente all’interno di infrastrutture civiche molto sviluppate oppure in società come quella inglese ed olandese dove le pratiche p2p stanno diventando un sinonimo della retorica liberista “sei da solo al mondo, non contare sullo stato o sui servizi pubblici, non sono più in grado di aiutarti”. In quest’ultimo caso abbiamo davanti uno scenario neo-feudale, dove il p2p viene strumentalizzato a beneficio di forti interessi privati, a supporto dello smantellamento dello stato sociale. L’economia collaborativa è un mondo molto ampio di cui fanno parte le piattaforme digitali che mettono direttamente in contatto le persone ma anche il cohousing, il coworking, l’open source, le social street, fenomeni che al loro interno mostrano sfaccettature molto diverse pur promuovendo, tutte, forme di collaborazione fra pari. Minghetti, Marco “L’Intelligenza collaborativa: Verso la social organization (Nuova Cultura d’Impresa) ” Egea, 2013


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LA SHARING ECONOMY IN RISPOSTA ALLA CRISI

L’economia della collaborazione digitale, dunque, promuove lo sfruttamento a pieno delle risorse grazie a tutte quelle piattaforme che mettono in contatto le persone per affittare, condividere, scambiare, vendere beni, competenze, tempo, denaro, spazio; promuovendo nuovi stili di vita che prediligono il risparmio o la ridistribuzione del denaro e la socializzazione.

Le piattaforme abilitatrici non erogano servizi o prodotti dall’alto verso il basso ma mediano, non solo mettendo direttamente in contatto chi cerca con chi offre, ma anche diventando veicolo di reputazione, fiducia e appartenenza. Possono offrire, inoltre, servizi di valore aggiunto disegnando l’ambiente in cui avvengono le interazioni senza però influenzare gli attori che sono abilitati.

Tutti gli attori di questa economia promuovono lo sfruttamento pieno delle risorse incoraggiando l’accesso invece della proprietà e il riuso invece dell’acquisto.

LE OPERAZIONI Gli asset che generano valore per le piattaforme (beni e competenze) appartengono alle persone e non alla compagnia, come avviene invece nelle aziende tradizionali. Gli stessi attori possono scambiarsi i ruoli, proponendosi in alcuni casi come chi offre e in altri come chi cerca.

La collaborazione è al centro del rapporto fra i pari. Le persone attraverso questi servizi entrano in relazione fra loro collaborando. Le piattaforme collaborative hanno sempre un valore sociale, anche quando lo scambio è mediato dal denaro. Si può collaborare mettendo in comune il bene temporaneamente senza modificarne la proprietà, o in maniera permanente cedendo la risorsa non più utilizzata.

Condivisione quando si accede a una risorsa in maniera temporanea e la piattaforma non prevede transazioni in denaro (come Timerepublik);

Affitto quando si accede a una risorsa in maniera temporanea e la transazione è mediata dal denaro (come nel caso di servizi come Airbnb, ma anche di cessione temporaneo di competenza come nel caso di Tabbid o anche Gnammo);

Scambio quando si baratta una risorsa in cambio di un’altra senza intermediazione di denaro (servizi tipici di baratto come Baratto Facile, Zerorelativo), anche se lo scambio viene mediato da monete alternative (tempo, crediti) come nel caso di Reoose, Timerepublik, Sardex;

Vendita

La tecnologia digitale è un supporto necessario: in tutti i servizi collaborativi digitali, le piattaforme tecnologiche, sotto forma di siti internet o app mobile, sono necessarie per abilitare questi servizi e renderli scalabili, utili, originali.

se quel che si cede in maniera permanente è un oggetto usato (Sharoola, Subito.it, ma anche eBay prima maniera).


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LA SHARING ECONOMY IN RISPOSTA ALLA CRISI

2.1 2.1.2

COS’È L’OPEN SPACE TECHNOLOGY? I PRINCIPI E LE LEGGI

2.2

OSPITALITÀ / SOLIDARIETÀ 2.0 LA SHARING ECONOMY IN RISPOSTA ALLA CRISI

LA PROGETTAZIONE PARTECIPATA IN ARCHITETTURA E URBANISTICA

2.3 IL PEER-2-PEER OLTRE L’ALTRUISMO 2.3.1 ECONOMIA COLLABORATIVA 2.3.2 LA MORTE DEL CAPITALISMO

Nel suo ultimo libro chiamato “The Zero Marginal Cost Society” Jeremy Rifkin racconta la sua visione: l‘eclissi del capitalismo è in arrivo e sarà a favore di un modello completamente nuovo che lui chiama “the Collaborative Commons”. Egli sostiene che “l’era capitalista sta passando” in maniera inevitabile e che il “nuovo paradigma economico”, che lui chiama appunto Collaborative Commons, si avvia a “trasformare il nostro modo di vivere”. Rifkin aggiunge che “stiamo già assistendo all’emergere di un’economia ibrida, un po’ capitalismo di mercato e un po’ Collaborative Commons”. Secondo Rifkin “i due sistemi economici spesso lavorano in tandem, talvolta competono già” e “a volte sono in profonda contraddizione”. Viene evidenzata in questo passaggio la storia di quasi quaranta anni di evoluzione intorno ai beni comuni: l’evoluzione che ha portato dal Free software ai sistemi peer to peer, attraverso l’hacktivismo e l’opensource; in definitiva quella rivoluzione digitale nata dentro la rete (e di cui la rete è parte fondamentale) che si è poi sviluppata nella società in una serie infinita di esperimenti. Un universo che basa le sue fondamenta nella collaborazione, nell’accesso libero, nella orizzontalità. La corsa sfrenata verso la produzione a costo marginale zero, tipica del mondo digitale, sta permeando tutti i settori della produzione. Agli avanzamenti della robotica e dell’intelligenza artificiale e alle nostre capacità di organizzare e ottimizzare i processi si aggiunge oggi secondo Rifkin la rivoluzione dell’internet delle cose che offre nuove possibilità di monitoraggio e automazione.

Rifkin, Jeremy “La società a costo marginale zero. L’internet delle cose, l’ascesa del «commons» collaborativo e l’eclissi del capitalismo” Mondadori, 2014

Come nella visione di Bauwens, esistono due macro modelli di produzione: da una parte il così detto “Capitalismo Cognitivo” e dall’altra la “Peer Production”.

In questo modo vengono delineati quattro macro scenari. Nei primi due, il Capitalismo Netarchico di Facebook e Google e il Capitalismo Distribuito di Bitcoin e Kickstarter, la rete è il fattore abilitante tecnologico che fornisce nuove prospettive a un modello capitalista che mantiene forti sfumature di libertarianismo e Anarco-Capitalismo. In questi due scenari, seppure i modelli di produzione di valore si basano sulla collaborazione degli utenti, i vantaggi della produzione e i profitti vanno comunque a vantaggio di pochi. Facebook non potrebbe esistere senza i contenuti che tutti noi produciamo ma allo stesso tempo gli enormi profitti che genera sono solo a favore degli azionisti dell’azienda. Nei secondi due invece trovano posto i modelli basati sui beni comuni: i global commons come wikipedia o RepRap e il mondo delle resilient communities dove Bauwens mette insieme dai progetti di Transizione al Car Sharing, dall’agricultura urbana alle monete locali: tutto ciò che riguarda i territori e la dimensione locale e i modelli collaborativi che vi si stanno applicando per migliorare la sostenibilità di lungo periodo e la “resilienza”.

CAP. 2


CAP. 2

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LA SHARING ECONOMY IN RISPOSTA ALLA CRISI

In parallelo alle trasformazioni che vediamo attuarsi nel mondo globale del business, del capitalismo tradizionale e delle grandi organizzazioni e imprese sta emergendo una nuova economia, a bassa intensità energetica, sostenibile e attenta agli impatti sociali.

In uno studio, Jeremiah Owyang ha individuato tre opportunità per le aziende per ripensare in maniera “collaborativa” il proprio modello business, o a parte di esso: trasformarsi in Aziende-Servizio: mettendo cioè in condivisione i propri prodotti, in Acceleratori di Marketplace: favorendo lo scambio e la vendita diretta di prodotti, Fornitrici di Piattaforme: abilitando le persone a creare nuovi prodotti o servizi collaborativi.

Se nel mondo del business il veicolo tradizionale resta la compagnia (the Firm) nell’ecosistema aperto e abilitato dalla rete il grande protagonista sono le comunità e la cooperazione, in tutte le sue forme.

Un percorso che le aziende possono intraprendere proprio facendo leva su quelle forze abilitatrici sociali (desiderio di comunità, aumento della popolazione, ecc.), economiche (guadagno dai beni superflui, accesso anziché possesso, ecc) e tecnologiche (social network, sistemi di pagamento, dispositivi mobile) che hanno generato e che continuano a guidare lo sviluppo dell’economia collaborativa. Un’operazione non facile.

Modelli cooperativi e aperti stanno rivoluzionando dal basso la manifattura, con le tecnologie di stampa 3D e di fabbricazione digitale in continua evoluzione. La crescente rete di Fablab e Makerspace cresce a un ritmo esponenziale che segue l’andamento della legge di Moore, raddoppiando ogni 18 mesi. L’open source è sempre più spesso utilizzato come approccio disruptive per cambiare le logiche di un mercato o di un settore e sta finalmente arrivando in mercati come l’automotive (con Open Source Vehicle) o nell’edilizia (coi progressi incredibili che sta facendo Wikihouse).

Le aziende che vorranno sperimentare questi nuovi modelli progettuali con qualche speranza di successo, dovranno dimostrare di aver capito la trasformazione in atto e dovranno essere disposte a rinnovare non solo il proprio modello di business, ma anche il modo in cui hanno fin qui visto il mercato e i propri consumatori. Perché le piattaforme collaborative crescono e si alimentano solo con la partecipazione dei cittadini e come tali rispondono alle logiche con cui si riuniscono le persone, e non a quelle che un’azienda è abituata a utilizzare. Esse funzionano quando mettono al centro l’esperienza, generatrice di un reale valore, invece che il prodotto; quando non si parla a clienti ma a membri di una community che si stimola, si rispetta, e si lascia libera; quando si agisce con trasparenza mettendoci la faccia se necessario; quando alla logica del click through, dei follower e dei like (volta cioè a misurare le performance e il ritorno sugli investimenti), si sostituiscono metriche che indicano l’impatto del servizio sul benessere delle persone.

Li Charlene, Bernoff Josh “Groundswell: Winning in a World Transformed by Social Technologies” Harvard Business Review, 2011



ECONOMIA MODERNA: WHAT’S GOING ON? IN QUESTO CAPITOLO SI ANALIZZERÀ LO STATO DELL’ARTE DELL’ECONOMIA CONTEMPORANEA, ALLA LUCE DEI CAMBIAMENTI DI SCENARIO VISTI FINORA. IL PASSAGGIO DA CONSUMER A PROSUMER, I NUOVI FATTORI CHE INFLUENZANO LE SCELTE DI ACQUISTO, IL SOCIAL SHOPPING COME MODELLO OBBLIGATORIO. IL SELF-BRANDING, ELEMENTO CRUCIALE PER PROMUOVERSI SULLE PIATTAFORME DI OUTSOURCING, LE QUALI RAPPRESENTANO IL PIÙ GRANDE MERCATO EMERGENTE A LIVELLO GLOBALE.



CAP. 3

3 3.1

ECONOMIA MODERNA: WHAT’S GOING ON? WIKINOMICS E I PROSUMERS

3.1.2 L’EVOLUZIONE DELL’ECOMMERCE: IL SOCIAL SHOPPING 3.1.3 AMAZON VS ALIBABA VS IL BOOM DEGLI ANNUNCI 3.2

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ECONOMIA MODERNA: WHAT’S GOING ON?

IL NUOVO SELF-BRANDING

3.2.1 FENOMENO MARKETPLACE: GET NINJAS, FREELANCER.COM LO STATO DELL’ARTE

Secondo Tapscott e Williams la Wikinomics (traducibile con Wikinomia) si basa su quattro principi: apertura, peering, condivisione e azione di portata globale e può rappresentare un motore di innovazione e creazione di ricchezza su una scala mai raggiunta prima. L’utilizzo di collaborazioni massicce per iniziative aziendali, nella storia recente, si può considerare come un passo ulteriore della tendenza delle aziende verso l’outsourcing: esternalizzare verso entità produttive esterne funzioni che in precedenza venivano svolte all’interno dell’azienda. La novità sta nel fatto che invece di un unico gruppo operativo organizzato aziendalmente per svolgere una sola ben determinata funzione, la collaborazione massiccia e diffusa si avvale di agenti individuali liberi che si riuniscono (in genere virtualmente) per cooperare al fine di migliorare una data operazione o per risolvere un problema.

Tapscott D., Williams A.D., “Wikinomics: How Mass Collaboration Changes Everything” Portfolio, 2010

Per sottolineare questa differenza, questo genere di outsourcing viene anche chiamato crowdsourcing. Queste attività esterne possono essere incentivate da qualche tipo di compenso, ma questo non è necessariamente presente.

Il termine “prosumer” non è nuovo. È ricorrente in tutto il mondo del marketing da anni, ma nel mondo di oggi del “social-web”, ha assunto una nuova importanza che i leader del settore non possono ignorare. Il termine “prosumer” si è trasformato dal significato di “consumatore professionale” al senso di “ambasciatore del prodotto e del marchio.” Piuttosto che semplicemente consumatori di prodotti, in nome di un aumentato prestigio le persone si fanno portavoce di valori e stile di vita che questi prodotti trasmettono. Contribuendo al marketing “involontario” di aziende, prodotti, e marchi, attraverso il loro coinvolgimento sui social network. Le imprese non sono più completamente in controllo dei loro prodotti, marchi e messaggi. Oggi, i consumatori hanno il potere si spostare opinioni e prestigio attraverso la rete. I pionieri di questo cambiamento - blogger, microbloggers, forum, gli utenti dei social network – diffondono recensioni e messaggi, influenzando le persone in tutto il mondo. I prosumer sono influenzatori che gli imprenditori e di marketing manager non devono solo identificare, ma anche riconoscere, rispettare, per sviluppare relazioni proficue per entrambi e migliorare credibilità e vendite. Più recentemente, nel Cluetrain Manifesto si afferma che “i mercati sono conversazioni” intendendo che con la Rivoluzione Digitale si assiste nella New Economy all’evoluzione da consumatore passivo a prosumer attivo. Per esempio, Amazon.com si è affermata come azienda protagonista nel e-commerce anche grazie alla sua abilità di costruire legami con i clienti basate sul dialogo piuttosto che sulla vendita del singolo prodotto. Amazon supporta la collaborazione informativa fra i clienti e offre spazio per contribuire al suo sito nella forma di recensioni di tipo librario.

Levine R., Locke C.,Searls D., Weinberger D., McKee J., “The Cluetrain Manifesto” Basic Books, 2009


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ECONOMIA MODERNA: WHAT’S GOING ON?

3 3.1

ECONOMIA MODERNA: WHAT’S GOING ON? WIKINOMICS E I PROSUMERS

3.1.2 L’EVOLUZIONE DELL’ECOMMERCE: IL SOCIAL SHOPPING 3.1.3 AMAZON VS ALIBABA VS IL BOOM DEGLI ANNUNCI 3.2

IL NUOVO SELF-BRANDING

3.2.1 FENOMENO MARKETPLACE: GET NINJAS, FREELANCER.COM LO STATO DELL’ARTE

In Italia il mercato dell’e-commerce ha raggiunto un valore pari a circa 12 miliardi di euro, con un incremento del 18% nel valore delle vendite registrate nel corso del 2013 rispetto all’anno precedente. Anche se i dati sono positivi, rispetto agli altri paesi ad economia avanzata, l’Italia ha ancora molta strada da percorrere. Il mercato dell’e-commerce negli Stati Uniti vale circa 290 miliardi di euro, in Giappone 83 miliardi, in UK 66 miliardi e 40 in Germania. Oggi non si possono non chiamare in causa i mobile devices. Il traffico da mobile, quindi da smartphone e tablet, nel 2013 ha sottratto ai dispositivi desktop una fetta considerevole al traffico internet, raggiungendo il 29% del traffico globale sui siti e-commerce, valore che sembra essere in crescita, se si considerano i dati dei primi mesi del 2014. Gran parte delle transazioni sono effettuate dagli smartphone, dato confermato dal fatto che il mobile commerce è cresciuto del 254% nel 2013. Lo smartphone è un dispositivo che ormai la maggior parte degli italiani possiede: è diventato il mezzo più comodo e veloce per reperire informazioni, per comunicare ed effettuare acquisti, approfittando del tempo libero. Le web agency che non intendono affogare nel mobile divide sono costrette a ripensare la progettazione dei siti per i propri clienti: la web user experience è ormai dominata da applicazioni mobile dedicate a una fruizione e condivisione dati rapida e intuitiva. Le attuali dinamiche di sviluppo degli e-commerce sono sempre più integrate a logiche social, le quali favoriscono una logica di “share & buy” fruibile soprattutto da smartphone.

Diegoli, Gianluca “Social Commerce: modelli di ecommerce attorno al cliente” Apogeo, 2013

Anche i sociaI network assumono un ruolo cardine nel futuro dell’e-commerce: rappresentano le social influence, influenzano cioè le scelte di consumo degli utenti. Come se non bastasse, sempre più spesso si sente parlare di social commerce, un’evoluzione dell’e-commerce che consiste in particolari piattaforme integrate ai social network, appositamente dedicate alla vendita.

Come importante trend del consolidamento dell’e-commerce nel 2014, bisogna tener conto di ciò che in lingua inglese viene chiamata Big Data, cioè la massa sempre crescente di dati (più o meno sensibili) generata da pc, tablet, smartphone, email e social media che è in attesa di essere analizzata, processata e utilizzata a vantaggio del marketing ed è fonte di inestimabile ricchezza per l’e-commerce. Utilizzando i dati a loro disposizione, i siti e-commerce potranno offrire consigli personalizzati, rispondere alle esigenze di ogni utente, garantire chat per assistenza attive 24 ore su 24 e fornire una vera e propria guida su come procedere all’acquisto. Necessaria sarebbe la nascita di un sistema di customer care efficiente per soddisfare le richieste dei clienti e proporre le soluzioni adeguate ai loro problemi. I siti e-commerce, per poter sopravvivere nella giungla selvaggia del web, non possono rinunciare a contenuti di qualità, elementi che siano distintivi rispetto ai competitor: descrizioni originali e accattivanti, immagini coinvolgenti e post di rilievo, meglio ancora se emozionali e impattanti, creati per non annoiare l’utente portandolo ad abbandonare la pagina.

CAP. 3


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ECONOMIA MODERNA: WHAT’S GOING ON?

Il Social Shopping è una evoluzione dell’e-commerce. Un contesto sociale online dove si massimizza la capacità del consumatore di influenzare negli acquisti gli altri consumatori. Ha al suo centro la potenza inarrestabile della massa umana collegata e della sua voglia di parlare, di scambiarsi informazioni. Il principio fondante è quello della massa di utenti in grado di decidere, attraverso le interazioni con gli altri utenti, quali prodotti comprare – a livello singolo, a livello di massa e a livello di fenomeno. E si tratta di tre livelli di influenza che portano con sé delle conseguenze non da poco per il lato dell’offerta. Il Social Shopping per l’acquisto individuale è la punta dell’iceberg. Si va su un sito, si parla con i propri pari, si leggono recensioni, si decide. Si compra online o in un negozio vero. E spesso ha più influenza la parola del gruppo sociale o dello sconosciuto amico recensore di quanto influenzi la pubblicità, la comunicazione, l’incentivazione del commesso in negozio. Tuttavia, la parte sommersa dell’iceberg la cominciamo a vedere se consideriamo che l’effetto accumulato di questi acquisti individuali innesca il comportamento di gruppo.

Il passaparola quindi diventa un fenomeno di comunicazione di massa, fino a innescare il terzo livello, quello della moda, del badge value, del prodotto di cui non si va a cercare conferma su un sito ma di cui si viene avvertiti proattivamente dagli amici con una mail o durante una chat, quel prodotto di cui si sente parlare sui mass media – il prodotto che la massa collegata, attraverso le proprie interazioni online, ha decretato essere il nuovo status, la nuova killer application, il gadget o il capo d’abbigliamento irrinunciabile. Il Social shopping abbraccia una vasta gamma di definizioni, ma può in gran parte essere diviso in cinque categorie: siti di shopping di gruppo, comunità di shopping, motori di raccomandazione, mercati di shopping e shopping condiviso. I siti di shopping di gruppo includono aziende come Groupon e LivingSocial, in Italia anche Groupalia, Letsbonus, Prezzo Felice, Glamoo e Sbrang. Questi siti incoraggiano gruppi di persone ad acquistare insieme un prodotto con un prezzo all’ingrosso. Le comunità di shopping accerchiano persone che la pensano allo stesso modo per discutere, condividere e acquistare in negozio. Gli utenti comunicano e aggregano informazioni su prodotti, prezzi e offerte. Molti siti permettono agli utenti di creare delle liste della spesa personalizzate e condividerle con gli amici.

I motori di raccomandazione permettono agli acquirenti di fornire consulenza ad altri acquirenti. Questa categoria di social shopping richiede un compagno acquirente che acquisti il prodotto e lo consigli. Tradizionali aziende online di recensione del prodotto come ad esempio Amazon hanno contribuito a molti consumatori. E le nuove startup di social shopping incoraggiano le conversazioni intorno all’acquisto di un prodotto con amici o conoscenti di un utente, al fine in incentivare un acquisto globale. I mercati di shopping sociale portano i venditori e gli acquirenti a connettersi insieme ed effettuare acquisti. Questo tipo di attività riunisce i venditori indipendenti a creare un forum al fine di esporre e vendere le loro merci agli acquirenti. Il mercato offre agli acquirenti e venditori vari metodi per connettersi e per comunicare. In questo caso è importante la figura del promotore e-commerce per i venditori e di motore di scoperta per gli acquirenti. Questa categoria è costituita da siti di e-commerce basati su un catalogo online, che permettono ai clienti di formare specifici gruppi commerciali di collaborazione in cui una persona può guidare una esperienza di shopping online per una o più altre persone, utilizzando la comunicazione in tempo reale sia tra loro che con il rivenditore. I siti di social shopping motivano i propri utenti a partecipare in vari modi. Molti siti non offrono nessuno specifico guadagno per l’utente se non la ricompensa sociale per aver condiviso informazioni con la comunità. Altri siti, invece, offrono ricompense tangibili per la condivisione delle informazioni o, talvolta, incentivi sotto forma di reputazione punti che possono essere convertiti in regali.


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ECONOMIA MODERNA: WHAT’S GOING ON?

3 3.1

ECONOMIA MODERNA: WHAT’S GOING ON? WIKINOMICS E I PROSUMERS

3.1.2 L’EVOLUZIONE DELL’ECOMMERCE: IL SOCIAL SHOPPING 3.1.3 AMAZON VS ALIBABA VS IL BOOM DEGLI ANNUNCI 3.2

IL NUOVO SELF-BRANDING

3.2.1 FENOMENO MARKETPLACE: GET NINJAS, FREELANCER.COM LO STATO DELL’ARTE

Con l’offerta pubblica record da 21,8 miliardi dollari, Alibaba ha eclissato Amazon quale più grande e più preziosa società di e-commerce al mondo. In realtà, sulla base del primo giorno di negoziazione, notano gli analisti, Alibaba ha più valore di Amazon e eBay messi insieme. Entrambe si concentrano sull’offerta di una vasta gamma di prodotti a prezzi bassi. Come Amazon, Alibaba ha costruito una infrastruttura massiccia, con una forte base di clienti, ed è il giocatore dominante nel proprio mercato nazionale. Alibaba non è una società tradizionale di eCommerce. Opera in un “mercato aperto”, che collega gli acquirenti con i venditori. Ha creato una piattaforma di eCommerce che aiuta le piccole imprese e i produttori ai consumatori: non vende nulla direttamente e non possiede magazzini. Come risultato, Alibaba è di gran lunga più redditizio di Amazon, con margini di quasi il 40% e utili di circa 2 miliardi di dollari solo nel trimestre più recente, secondo i suoi documenti di archiviazione dell’IPO. Al contrario, Amazon gestisce un “mercato controllato”, che è più vicino alla vendita al dettaglio tradizionale: possiede centri di distribuzione, vende la maggior parte dei suoi prodotti e i produttori promuovono direttamente i propri marchi di smartphone e tablet. Il modello Amazon dà all’azienda un maggiore controllo sulla esperienza di vendita ed ha permesso di costruire un servizio clienti con un’ottima reputazione. Ma c’è un rovescio della medaglia: Amazon deve fare investimenti massicci in infrastrutture, nella gestione del personale e opera su un margine di profitto sottilissimo.

Liu S., Avery M., “alibaba: The Inside Story Behind Jack MA and the Creation of the World’s Biggest Online Marketplace” HarperCollins, 2012

Amazon e Alibaba sono dotati di piattaforme di e-commerce adatte ai loro mercati interni. Alibaba ha una profonda comprensione dei consumatori cinesi e usa un linguaggio ricco di sfumature, con un tono e un approccio tipico di quella cultura, senza contare l’enorme varietà dei prodotti che ha a disposizione.

L’azienda conosce bene la complessità dei regolamenti cinesi e il modo di lavorare dei governi statali e nazionali. Al contrario, Amazon è un maestro nella logistica e nel supply chain management, ed è il leader mondiale nei servizi di infrastruttura cloud. I suoi dispositivi Kindle Fire fanno grande affidamento sul suo vasto catalogo di musica e film nonché sulla sua infrastruttura cloud. A differenza dell’iPhone, che è un prodotto veramente globale, il tablet Kindle Fire e il telefono Amazon Fire non possono mantenere il loro valore originario senza il contatto con i centri dati di Amazon. Amazon e Alibaba avranno difficoltà ad esportare i loro modelli di business, ampiamente sintonizzati sui reciproci mercati. Esiste una nuova figura in campo, oltre ai colossi dell’ecommerce. Sono le piattaforme di annunci. Un fenomeno che vale 18 miliardi di euro, ovvero l’1% del Pil dell’Italia, e coinvolge il 44% della popolazione del nostro Paese. E’ la “second hand economy”, l’economia di seconda mano fotografata dall’indagine Doxa realizzata per subito.it. Tre le grandi direttrici della compravendita dell’usato: tecnologica, economica e valoriale. La diffusione dei nuovi dispositivi mobili e un sempre più elevato livello di connettività ha incrementando il numero di persone che comprano o vendono oggetti usati online: 3 su 10 tra chi compra o vende usato.

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Rampini, Federico “Rete padrona. Amazon, Apple, Google & co. Il volto oscuro della rivoluzione digitale” Feltrinelli, 2014

Stone, Brad “Vendere tutto: Jeff Bezos e l’era di Amazon” Hoepli, 2013


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ECONOMIA MODERNA: WHAT’S GOING ON?

La crisi economica, inoltre, ha contribuito alla crescita della second hand economy: il 71% ha acquistato l’usato per risparmiare (anche se il 57% ha venduto usato per liberarsi dal superfluo). L’usato rappresenta anche un approccio ai consumi più “smart”, un modo intelligente ed eco-sostenibile di fare acquisti secondo 3 italiani su 5. Il 30% di chi compra o vende usato lo fa online, privilegiando i beni nelle categorie elettronica (32%) e Casa&Persona (28%). Il volume d’affari generato in Italia dal mercato dell’usato è pari, nell’ultimo anno, a 18 miliardi di euro, corrispondenti all’1% del Pil italiano, un dato che per il 47% è generato attraverso la compravendita online. Il 58% degli italiani intervistati dichiara di essere propenso a comprare un oggetto di seconda mano e il 36% di essere molto propenso a farlo. L’11% dei consumatori si identifica nel profilo del Concreto, ovvero colui che fa acquisti per permettersi di soddisfare reali bisogni famigliari, ma il profilo più ricorrente (33%) è quello che si basa su un concetto di Leggerezza del superfluo dove l’esigenza di avere cose sempre nuove, la possibilità di cambiare guardaroba, arredamento e tecnologia e l’opportunità di risparmiare senza fare troppe rinunce, guidano la scelta di acquisto e vendita dell’usato.

Seguono poi il profilo Economia 2.0 (14%), tipico dei giovani appassionati di tecnologia e utilizzatori di Internet interessati ad acquistare a poco vendendo a tanto, quello degli Ideologici (12%), nostalgici delle cose di una volta e che desiderano contribuire attivamente a un nuovo mercato, più sostenibile, e infine l’identikit della Smart Chic (8%), la over 45 che compra il bello e cerca oggetti originali, acquista ciò di cui si innamora come abiti vintage che portano con sé una storia e crede nel riuso e nella sostenibilità. Subito.it conta oggi 8,3 milioni di utenti unici al mese e oltre 1 milione al giorno, con un traffico da mobile che raggiunge oggi il 40% del totale. Sono oltre 4,8 milioni gli annunci pubblicati nelle 37 categorie merceologiche a un ritmo di più di 100.000 nuovi ogni giorno. Migliaia di opportunità giornaliere per concludere un buon affare, acquistando o venendo oggetti usati. Oltre che per i privati, infine, Subito.it è anche uno strumento utile per il proprio business, grande o piccolo che sia. Lo usa infatti il 67% dei concessionari automotive che pubblica annunci online (su Subito.it si vende un’auto al minuto) e il 47% delle agenzie immobiliari italiane (750 affari conclusi ogni giorno nella categoria case).


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ECONOMIA MODERNA: WHAT’S GOING ON?

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ECONOMIA MODERNA: WHAT’S GOING ON? WIKINOMICS E I PROSUMERS

3.1.2 L’EVOLUZIONE DELL’ECOMMERCE: IL SOCIAL SHOPPING 3.1.3 AMAZON VS ALIBABA VS IL BOOM DEGLI ANNUNCI 3.2

L’espressione personal branding indica la capacità di promuovere se stessi, al fine di essere gradito o comunque appetibile nei confronti di una comunità di consociati, con modalità simili a quanto avviene in campo economico, con i prodotti commerciali. A differenza di altre discipline di miglioramento personale, il personal branding suggerisce di concentrarsi oltre che sul valore anche sulle modalità di promozione. Il termine viene comunemente fatto risalire ad un articolo del 1997 di Tom Peters, sebbene di self-branding e brand individuale se ne parli nel libro del 1980 “Positioning: The Battle for your Mind”, scritto da Al Ries e Jack Trout.

IL NUOVO SELF-BRANDING

3.2.1 FENOMENO MARKETPLACE: GET NINJAS, FREELANCER.COM LO STATO DELL’ARTE

Il Personal Branding è un processo attraverso cui un’azienda o una persona definisce i punti di forza (conoscenze, competenze, stile, carattere, abilità, ecc.) che la contraddistinguono in modo univoco, creando un proprio marchio personale, che comunica poi nel modo che reputa più efficace. Il Personal Branding adotta le tecniche utilizzate dal Marketing per promuovere i prodotti commerciali e le adatta per la promozione dell’identità delle singole persone o delle aziende (piccole imprese o aziende personali). I vantaggi che il personal Branding apporta sono individuabili nella capacità di contraddistinguersi, come ad esempio aumentando la propria visibilità o la propria credibilità come esperto in un settore, attraverso l’uso dei nuovi media.

Ries, Al “Positioning: The Battle for Your Mind” McGraw-Hill, 1980

Il Personal Branding sta acquisendo un’importanza crescente nel Web2.0 e nei Social Media: se prima si costruiva l’immagine di un Brand valutando solamente i pro e i contro, ora occorre generare una forza, in grado di influenzare positivamente le persone con cui si è in contatto; creare una relazione duratura e a due vie con il proprio pubblico, tale da rafforzare e addirittura, molto spesso, migliorare il proprio Brand e attrarre nuove opportunità professionali.

La prima grande sfida che i baby boomers hanno dovuto affrontare più recentemente è stata quella di approcciare il concetto di personal branding, di rivalutazione e promozione delle proprie caratteristiche distintive in funzione della percezione esterna: che poi non è molto lontana dal concetto di “reputazione” a loro più familiare. La presa di coscienza di un contesto in rapida evoluzione, dove nuove competenze soft, rinnovati modelli di lavoro, rivoluzione digitale, un mercato sempre più esigente e competitivo ha messo a dura prova status quo e certezze consolidate, ha spinto un’intera generazione ad affrontare con realismo la reinterpretazione della carriera e del proprio futuro professionale. E infatti, i baby boomers si sono trovati a confrontarsi e subito a competere prima con l’avvento della tecnologia in azienda, poi con la concorrenza di colleghi o aspiranti tali più giovani, freschi e innovativi (oggi nativi digitali) e nell’era contemporanea con la globalizzazione del mercato del lavoro, che rende esponenzialmente possibile ogni interazione con team di lavoro virtuali, dove la competizione si gioca su un campo senza confini.

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ECONOMIA MODERNA: WHAT’S GOING ON? WIKINOMICS E I PROSUMERS

3.1.2 L’EVOLUZIONE DELL’ECOMMERCE: IL SOCIAL SHOPPING 3.1.3 AMAZON VS ALIBABA VS IL BOOM DEGLI ANNUNCI 3.2

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ECONOMIA MODERNA: WHAT’S GOING ON?

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3.2.1 FENOMENO MARKETPLACE: GET NINJAS, FREELANCER.COM LO STATO DELL’ARTE

“We are the workforce of the future”, siamo i lavoratori del futuro! Non è soltanto uno slogan che ripete senza timore la Freelancers Union - la più grande associazione al mondo di lavoratori indipendenti, nata nel 1995 nello Stato di New York e forte oggi di 150mila iscritti - ma anche l’evidenza presentata da uno studio condotto da Littler Mendelson, il più noto studio di avvocati specializzati in controversie di lavoro degli Stati Uniti, secondo il quale la domanda di lavoro sarà costituita dopo la recessione per il 50% da alternative labour arrangements, ovvero da forme di contratto “non standard” e da lavoratori autonomi. I freelancer crescono e con loro l’attenzione che Internet riserva come sempre alle tendenze emergenti: il Web è la “sostanza liquida” dove i nuovi lavoratori della conoscenza trovano un habitat plasmabile, oltre a nuovi mercati di scambio dove portare manodopera soprattutto digitale. L’hanno capito i venture capitalist che vedono nel segmento dei freelancer un potenziale enorme per sviluppare servizi e piazze telematiche di brokeraggio del lavoro indipendente, un segmento in costante espansione. Secondo WhichLance.com nell’ultimo trimestre del 2012 i primi cinque marketplace dedicati ai freelancer hanno registrato transazioni per ben 82,64 milioni di dollari e sono cresciuti complessivamente del 17%. Gli utenti iscritti a Freelancer. com, il primo portale al mondo, hanno superato quota 2 milioni e 600mila, facendo lievitare il fatturato del portale al ritmo del 20% ogni trimestre. In testa ci sono Elance e oDesk, con l’80,5% del fatturato di questi servizi e a seguire l’inglese Peopleperhour.com, lo stesso Freelancers.com e portali come Guru.com, nato nel lontano 1998, iFreelance.com, vWorker. com (ex RentACoder) o ScriptLance. Imprese e committenti sembrano fidarsi e dopo un inizio legato in prevalenza a minijobs oggi iniziano a transitare dal Web anche progetti con budget elevati.

Sui primi cinque servizi in Rete i buyer hanno superato quota 1 milione: Freelancer.com da solo ne conta oltre 320.000. E ciò che sorprende è il fatto che gli stessi progetti intermediati dai broker online crescono in maniera lineare con un andamento slegato da quello economico (intaccato dalla crisi) e dalle dinamiche che interessano l’occupazione. oDesk ha raccolto solo negli ultimi tre mesi del 2010 oltre 200mila progetti. Nello stesso periodo Elance ha pubblicato 105.225 nuove chance, Freelancer. com 88.703. Mentre in una fase iniziale le proposte di lavoro riguardavano esclusivamente progetti IT di sviluppo software, grafica o design di servizi Web, oggi si fanno largo anche progetti per l’area mobile, il sales & marketing o il supporto alle attività amministrative e arrivano le prime richieste anche nel segmento della consulenza legale o del planning finanziario. L’approccio dei portali è diversificato: alcuni forniscono piattaforme applicative in cui loggarsi per assicurare lo svolgimento effettivo del lavoro e pagano prevalentemente “a ore”, altri intermediano soltanto i contatti. Tutti, però, gestiscono le transazioni e prevedono fee per l’uso dei servizi di intermediazione. Il business nasce da qui.

Pappalardo N., Presenti S., “Professione Web Designer Freelance” Your Inspiration, 2013

Bologna S., Banfi D., “Vita da Freelance” Feltrinelli , 2011


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Spesso i progetti sono aste pubbliche e non è raro vedere la competizione tra freelancer di tutto il mondo, dagli indiani ai cinesi e asiatici. A fare la differenza spesso è il costo della vita e del lavoro nei differenti Paesi ed è su questi che i fornitori fanno margine. Asiatici e indiani sono imbattibili nei prezzi per lo sviluppo software, ma operano in segmenti precisi quando cioè non è richiesta una relazione stretta col committente o lingue diverse dall’inglese. I siti più longevi hanno capito però che l’azione di brokeraggio non basta per attrarre risorse e committenti. Serve orientare i giovani freelancer, mentre ai più esperti offrono servizi di portfolio e promozione individuale. I marketplace più evoluti hanno strutturato fondi di garanzia per i pagamenti a tutela del lavoro svolto: le imprese che propongono progetti sono costrette a depositi cauzionali per i compensi. Questo risolve una delle questioni più spinose, i mancati pagamenti in tempo di crisi, per tamponare i quali la Freelancers Union ha proposto allo Stato di New York un “Freelancer Payment Protection Act”. In Italia sono arrivati neoLancer.it e la tedesca Twago ad affiancare Link2me.it. Anche in questo caso esistono vantaggi e rischi: più opportunità di lavoro, ma anche guerre sui prezzi, mark-up sui servizi e spesso riduzione del lavoro autonomo a cottimo, rischio moderno del knowledge working che aprirà forse la stagione di un nuovo taylorismo telematico. “Together we are one” potrebbe essere lo slogan adatto al crowdsourcing, alla possibilità per le imprese di far fare ad altri alcune attività ricorrendo a piattaforme disponibili in Rete dove, da una parte si trovano volontari e professionisti freelance disposti ad offrire i propri servizi, e dall’altra le aziende che intendono “esternalizzare” qualche progetto. Vantaggi per le aziende? Risultati di qualità solitamente in tempi minori ma soprattutto coinvolgimento di un elevato numero di persone e quindi cooperazione. Queste 5 piattaforme da provare.

ECONOMIA MODERNA: WHAT’S GOING ON?

Freelancer.com. Con i suoi 8 milioni di utenti è uno dei bacini più ricchi dai quali poter attingere professionisti di diversi settori: dagli sviluppatori agli esperti di marketing passando per designer, consulenti legali e personale per il data entry. Le aziende possono pubblicare un progetto e un budget per ricevere offerte dai “freelancer” presenti e poi valutarle in base a prezzo e qualità. Zooppa. Piattaforma molto semplice e intuitiva dove è possibile lanciare un “brief” mettendo in palio un montepremi e avendo la possibilità, al termine del contest, di mettersi in contatto diretto con il creativo che ha vinto per chiedere aggiustamenti o modifiche rispetto al lavoro proposto. Startbytes. Adatto a chi ha l’esigenza di sviluppare un sito web. La particolarità è che si può scegliere, una volta scritto il brief e impostato il budget, tra modalità contest e job: nel primo caso l’obiettivo è trovare la proposta perfetta mentre nel secondo è individuare il migliore professionista in grado di realizzare il progetto. Userfarm. Piattaforma da scegliere quando si ha la necessità di realizzare un video: spot tv, video virali o web series. Anche in questo caso le aziende possono dar vita a gare creative, con assegnazione di compensi in denaro,

alle quali possono partecipare gli oltre 30mila videomaker che fanno parte di questa community. 99design. Indicata per chi deve realizzare un logo, un sito Internet o qualunque altro lavoro “grafico”. La forza di questa piattaforma è nel numero elevato di designer presenti (oltre 250mila) in grado di proporre soluzioni al progetto lanciato da un’impresa semplicemente compilando il brief. Un logo nuovo in 7 giorni potrebbe essere la frase adatta per 99design. Alternative al crowdsourcing ci sono ovviamente. Tra queste le peggiori: impiegare una persona giorni e giorni a chiedere preventivi oppure mettersi nel tempo libero a “googlare” per trovare degli spunti innovativi per il proprio logo da far realizzare internamente con Paint per risparmiare. Un incentivo alla scelta del crowdsourcing può venire da questa frase di Roy Kroc, fondatore di McDonald’s: “Nessuno di noi è tanto in gamba quanto noi tutti messi insieme”.

CAP. 3


WHAT’S NEXT: “DO YOU?” UN NUOVO PORTALE, DEDICATO ESCLUSIVAMENTE ALLO SCAMBIO DI SERVIZI TRA UTENTI, PER RIVOLUZIONARE IL MONDO DEL LAVORO. “DO YOU?” VUOLE COLMARE UN VUOTO, CREANDO UN LUOGO DI SCAMBIO DOVE DOMANDA E OFFERTA DI QUALUNQUE SERVIZIO POSSANO INCONTRARSI CON MODALITÀ E STRUMENTI DEDICATI. RICERCA, PROGETTO, DESIGN, FUNZIONAMENTO



4 WHAT’S NEXT: “DO YOU?” 4.1 PRESENTAZIONE 4.2

CALL TO ACTION: ISPIRAZIONE

4.2.1 LOGO: STUDIO DELLA FORMA 4.2.2 LOGO: POSITIVO–NEGATIVO 4.2.3 LOGO: STUDIO DEL COLORE ED ELEMENTI TIPOGRAFICI 4.3 INTERFACCIA 4.4

CONCLUSIONE E BIBLIOGRAFIA

Do you è un progetto per la creazione di un marketplace che permetta di far incontrare domanda di servizi e offerta di lavoro. I compiti che si possono assegnare sono molteplici, spaziando da fare la spesa a ritirare i vestiti in lavanderia, da pulire la casa a montare i mobili Ikea. Il portale, a differenza di altri che ci sono sul mercato, non si occupa di selezionare e “garantire” le persone che svolgeranno i lavori per i clienti, ma semplicmente mette a disposizione una piattaforma dedicata per fare in modo che le persone si incontrino facilmente e velocemente, nello stesso quartiere o nella stessa città. La base di utenti che si potrebbe creare è varia, studenti, disoccupati, pensionati e casalinghe.. chiunque abbia tempo e voglia di fare qualcosa in più. “do You?” ambisce ad inserirsi fra gli esponenti dell’economia collaborativa a cui appartengono anche le storie di successo di Airbnb.com e Uber. Un nuovo portale, dedicato esclusivamente allo scambio di servizi tra utenti, per rivoluzionare il mondo del lavoro. “Do you?” Vuole colmare un vuoto, creando un luogo di scambio dove domanda e offerta di qualunque servizio possano incontrarsi con modalità e strumenti dedicati. Caratteristiche grafica moderna e “content-oriented” affiliazione veloce e semplice profiling non troppo invasivo contenuti generati dagli utenti minima moderazione dei contenuti Missione creazione di uno strumento per persone come disoccupati, immigrati, o figure professionali in crisi, i quali potranno trovare una nuove forme di impiego e di sostentamento.

CAP. 4

WHAT’S NEXT: “DO YOU?”

Gawande A. “The Checklist Manifesto: How to Get Things Straight” Picador, 2011

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CALL TO ACTION 4 WHAT’S NEXT: “DO YOU?” 4.1 PRESENTAZIONE 4.2

CALL TO ACTION: ISPIRAZIONE

4.2.1 LOGO: STUDIO DELLA FORMA 4.2.2 LOGO: POSITIVO–NEGATIVO 4.2.3 LOGO: STUDIO DEL COLORE ED ELEMENTI TIPOGRAFICI 4.3 INTERFACCIA 4.4

CONCLUSIONE E BIBLIOGRAFIA

L’dea per il logo nasce dalla necessità di consegnare al ricevente due messaggi: La prima è una chiamata all’azione, all’agire, una chiamata alle “armi” digitali. “HEY–MI SERVI–AIUTAMI–FALLO TU” Per questo la fonte di ispirazione sono stati i manifesti di Uncle Sam e i suoi omologhi storici. Da qui si è posto l’accento sull’uso della mano e della gestualità. Il nome “do You?” evoca sì una domanda, ma anche un forte imperativo. Si sono quindin analizzati e ricercati tutti i casi in cui l’uso delle mani e dei gesti riesca a suscitare un forte coinvolgimento da parte dell’osservatore. Il primo messaggio è quindi indirizzato a chi userà userà il portale in cerca di un servizio/lavoro(domanda) La seconda invece riguarda l’offerta, ovvero chi userà il portale per offire un lavoro. In questo caso l’accento è stato posto sulla “lista della spesa” o meglio, sulla checklist: il linguaggio universale dell’apporre un segno di spunta “ √ ” laddove sia stao svolto un compito. La missione del logo è questa, trovare un segno che susciti, subliminalmente, un “ok! lo faccio io” in colui che cerca e un “ecco la lista di ciò che devo fare”, in coloro che offrono.

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WHAT’S NEXT: “DO YOU?”

CAP. 4


LOGO: ISPIRAZIONE

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WHAT’S NEXT: “DO YOU?”

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LOGO: STUDIO DELLA FORMA

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WHAT’S NEXT: “DO YOU?”

CAP. 4


LOGO: STUDIO DELLA FORMA

forma estrapolata dal ricalco geometrico di una mano poca compattezza, dita superiori sporporzionate rispetto alle inferiori

abbassamento dita superiori accorciamento dell’ultimo dito leggera riduzione del segno di spunta per dare piu aria nel centro buona compattezza, armonia migliori proporzioni

forma piena buon bilanciamento vuoto/pieno assenza di skeuformismi (uso di simboli e tocchi grafici fotosimulati per richiamare un materiale “fisico” e non un’astrazione grafica) forte richiamo alla mano umana

CAP. 4

WHAT’S NEXT: “DO YOU?”

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LOGO:POSITIVO

4 WHAT’S NEXT: “DO YOU?” 4.1 PRESENTAZIONE 4.2

CALL TO ACTION: ISPIRAZIONE

4.2.1 LOGO: STUDIO DELLA FORMA 4.2.2 LOGO: POSITIVO–NEGATIVO 4.2.3 LOGO: STUDIO DEL COLORE ED ELEMENTI TIPOGRAFICI 4.3 INTERFACCIA 4.4

CONCLUSIONE E BIBLIOGRAFIA

DO YOU? RIDUZIONI IN SCALA

DO YOU? 50

DO YOU?

DO YOU?

DO YOU?

DO YOU?

DO YOU?

WHAT’S NEXT: “DO YOU?”

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LOGO: NEGATIVO

DO YOU? RIDUZIONI IN SCALA

DO YOU?

CAP. 4

DO YOU?

DO YOU?

WHAT’S NEXT: “DO YOU?”

DO YOU?

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LOGO: STUDIO DEL COLORE L’arancione è un colore molto vivace, dinamico e accogliente. Manifesta in sé la forza e lo slancio del rosso e l’allegria e la vitalità del giallo. Trattandosi di un colore caldo, è ottimo per attirare facilmente l’attenzione e dare ad una composizione grafica una forte valenza emozionale e umana. L’arancione, cosi come il giallo, è particolarmente indicato nei progetti grafici che devono esprimere estro e creatività. Il verde, distensivo e riposante per gli occhi, è il colore più rilassante dello spettro. È molto positivo ed esprime sensazioni piacevoli e rassicuranti. Non dimentichiamo che il verde è il colore del denaro e del benessere economico Il blu è un colore estremamente rilassante e positivo, esprime una sensazione di benessere, di tranquillità e di pace. Per certi versi potremmo definire questo colore come il perfetto antagonista del rosso: se quest’ultimo aumenta le pulsazioni e la pressione sanguigna, con il blu è possibile ottenere l’effetto opposto. Se il rosso spinge ad azioni immediate, a volte anche irrazionali, il blu è il colore della riflessione, del pensiero razionale, della calma.

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DO YOU?

CMYK 0%-50%-100%-0% RGB 243-146-0 CMYK 81%-20%-98%-5% RGB 45-139-58 CMYK 99%-88%-25%-12% RGB 37-53-109

DO YOU?

Il rosso è il colore più vibrante e stimolante dello spettro, ed esprime numerose sensazioni positive e vitali (non a caso stiamo parlando del colore dell’amore, della passione, dell’emozione). E’ il primo colore che notiamo, ed è il colore che più di tutti è capace di attirare la nostra attenzione e di provocare in noi una qualsiasi reazione emotiva. Il rosso è il colore dell’audacia, della grinta, e stimola un senso di urgenza e di immediatezza. Il messaggio è: devo farlo, e devo farlo subito. Alcuni studi hanno dimostrato che in presenza del colore rosso un consumatore medio tende a spendere di più, e ad acquistare più in fretta, quasi in modo irrazionale. Il giallo è il colore più “allegro” della ruota dei colori: è il colore del sole, della gioia, dell’ottimismo. Ha molte delle potenzialità intrinseche del rosso, ma senza i suoi effetti collaterali: attira l’attenzione, crea energia ed esprime sensazioni positive e rassicuranti. Il giallo è il colore più amato dai giovani, e quello più utilizzato nei disegni dei bambini. Se vuoi un colore acceso e capace di incuriosire o di coinvolgere positivamente grandi e piccini, il giallo – cosi come l’arancione – è il colore che fa per te.

DO YOU?

CMYK 23%-100%-100%-19% RGB 165-28-23 CMYK 100%-88%-25%-12% RGB 37-53-09 CMYK 6%-30%-100%-0% RGB 239-182-13 CMYK 58%-0%-100%-0% RGB 124-186-50

WHAT’S NEXT: “DO YOU?”

CAP. 4


LOGO: ELEMENTI TIPOGRAFICI Galano Classic Regular 10pt The quick brown fox jumps over a lazy dog. abcdefghijklmnopqrstuvwxyz ABCDEFGHIJKLMNOPQRSTUVWXYZ 1234567890 !”§$%&/()=? @€

Galano Classic Bold 10pt The quick brown fox jumps over a lazy dog. abcdefghijklmnopqrstuvwxyz ABCDEFGHIJKLMNOPQRSTUVWXYZ 1234567890 !”§$%&/()=? @€

CAP. 4

WHAT’S NEXT: “DO YOU?”

53


4 WHAT’S NEXT: “DO YOU?” 4.1 PRESENTAZIONE 4.2

CALL TO ACTION: ISPIRAZIONE

4.2.1 LOGO: STUDIO DELLA FORMA 4.2.2 LOGO: POSITIVO–NEGATIVO 4.2.3 LOGO: STUDIO DEL COLORE ED ELEMENTI TIPOGRAFICI 4.3 INTERFACCIA 4.4

CONCLUSIONE E BIBLIOGRAFIA


INTERFACCIA

ICONA

App Store

griglia icona 10x

splash screen

icona 10x

notifica

dimensioni reali

CAP. 4

WHAT’S NEXT: “DO YOU?”

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4 WHAT’S NEXT: “DO YOU?” 4.1 PRESENTAZIONE 4.2

CALL TO ACTION: ISPIRAZIONE

4.2.1 LOGO: STUDIO DELLA FORMA 4.2.2 LOGO: POSITIVO–NEGATIVO 4.2.3 LOGO: STUDIO DEL COLORE ED ELEMENTI TIPOGRAFICI 4.3 INTERFACCIA 4.4

CONCLUSIONE E BIBLIOGRAFIA


INTERFACCIA login con Twitter

CAP. 4

WHAT’S NEXT: “DO YOU?”

SCHERMATA DI ACCESSO login con Facebook

login do You?

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4 WHAT’S NEXT: “DO YOU?” 4.1 PRESENTAZIONE 4.2

CALL TO ACTION: ISPIRAZIONE

4.2.1 LOGO: STUDIO DELLA FORMA 4.2.2 LOGO: POSITIVO–NEGATIVO 4.2.3 LOGO: STUDIO DEL COLORE ED ELEMENTI TIPOGRAFICI 4.3 INTERFACCIA 4.4

CONCLUSIONE E BIBLIOGRAFIA


INTERFACCIA casella messaggi

CAP. 4

WHAT’S NEXT: “DO YOU?”

PROFILO & BIO dati personali

premi

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4 WHAT’S NEXT: “DO YOU?” 4.1 PRESENTAZIONE 4.2

CALL TO ACTION: ISPIRAZIONE

4.2.1 LOGO: STUDIO DELLA FORMA 4.2.2 LOGO: POSITIVO–NEGATIVO 4.2.3 LOGO: STUDIO DEL COLORE ED ELEMENTI TIPOGRAFICI 4.3 INTERFACCIA 4.4

CONCLUSIONE E BIBLIOGRAFIA


INTERFACCIA menu a scomparsa

CAP. 4

WHAT’S NEXT: “DO YOU?”

HOMEPAGE / SCRIVANIA esempio di scorrimento della home

home

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4 WHAT’S NEXT: “DO YOU?” 4.1 PRESENTAZIONE 4.2

CALL TO ACTION: ISPIRAZIONE

4.2.1 LOGO: STUDIO DELLA FORMA 4.2.2 LOGO: POSITIVO–NEGATIVO 4.2.3 LOGO: STUDIO DEL COLORE ED ELEMENTI TIPOGRAFICI 4.3 INTERFACCIA 4.4

CONCLUSIONE E BIBLIOGRAFIA


INTERFACCIA ricerca geotaggata

CAP. 4

WHAT’S NEXT: “DO YOU?”

SCHERMATA ESPLORA navigazione

pagina esplora

63


4 WHAT’S NEXT: “DO YOU?” 4.1 PRESENTAZIONE 4.2

CALL TO ACTION: ISPIRAZIONE

4.2.1 LOGO: STUDIO DELLA FORMA 4.2.2 LOGO: POSITIVO–NEGATIVO 4.2.3 LOGO: STUDIO DEL COLORE ED ELEMENTI TIPOGRAFICI 4.3 INTERFACCIA 4.4

CONCLUSIONE E BIBLIOGRAFIA


INTERFACCIA esempio di “task”

CAP. 4

WHAT’S NEXT: “DO YOU?”

SCHERMATA “TASK” esempio di “task”

esempio di “task”

65


4 WHAT’S NEXT: “DO YOU?” 4.1 PRESENTAZIONE 4.2

CALL TO ACTION: ISPIRAZIONE

4.2.1 LOGO: STUDIO DELLA FORMA 4.2.2 LOGO: POSITIVO–NEGATIVO 4.2.3 LOGO: STUDIO DEL COLORE ED ELEMENTI TIPOGRAFICI 4.3 INTERFACCIA 4.4

CONCLUSIONE E BIBLIOGRAFIA


INTERFACCIA schermata di completamento

CAP. 4

WHAT’S NEXT: “DO YOU?”

LAVORO ESEGUITO E FEEDBACK composizione del feedback testuale

esempio di feedback ricevuto

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4 WHAT’S NEXT: “DO YOU?” 4.1 PRESENTAZIONE

«I giovani non hanno bisogno di sermoni, i giovani hanno bisogno di esempi di onestà, di coerenza e di altruismo.

4.2

E’ con questo animo quindi, giovani che mi rivolgo a voi: ascoltatemi vi prego: [...] armate il vostro animo.

CALL TO ACTION: ISPIRAZIONE

4.2.1 LOGO: STUDIO DELLA FORMA 4.2.2 LOGO: POSITIVO–NEGATIVO 4.2.3 LOGO: STUDIO DEL COLORE ED ELEMENTI TIPOGRAFICI 4.3 INTERFACCIA 4.4

CONCLUSIONE E BIBLIOGRAFIA

[...] armate il vostro animo di una fede vigorosa: sceglietela voi liberamente purchè la vostra scelta, presupponga il principio di libertà, se non lo presuppone voi dovete respingerla, altrimenti vi mettereste su una strada senza ritorno, una strada al cui termine starebbe la vostra morale servitù: sareste dei servitori in ginocchio, mentre io vi esorto ad essere sempre degli uomini in piedi, padroni dei vostri sentimenti e dei vostri pensieri se non volete, che la vostra vita scorra monotona, grigia e vuota, fate che essa sia illuminata dalla luce di grandi e nobili idee.» Sandro Pertini



4 WHAT’S NEXT: “DO YOU?” 4.1 PRESENTAZIONE 4.2

CALL TO ACTION: ISPIRAZIONE

4.2.1 LOGO: STUDIO DELLA FORMA 4.2.2 LOGO: POSITIVO–NEGATIVO 4.2.3 LOGO: STUDIO DEL COLORE ED ELEMENTI TIPOGRAFICI

Lanza, Robert “Biocentrism: How Life and Consciousness Are the Keys to Understanding the True Nature of the Universe” Benbella Books, 2010

Gallagher, Ann “Damien Hirst” TATE Gallery Collection London, 2012

Freud, Sigmund “Civilization and its contents” Penguin Books London 1986

Girst, Thomas “The Duchamp Dictionary” Thames & Hudson London 2008

Pario Perra, Daniele “Low cost design” Silvana Editore, 2010

Rifkin, Jeremy “La società a costo marginale zero. L’internet delle cose, l’ascesa del «commons» collaborativo e l’eclissi del capitalismo” Mondadori, 2014

Li Charlene, Bernoff Josh “Groundswell: Winning in a World Transformed by Social Technologies” Harvard Business Review, 2011

Tapscott D., Williams A.D., “Wikinomics: How Mass Collaboration Changes Everything” Portfolio, 2010

Levine R., Locke C.,Searls D., Weinberger D., McKee J., “The Cluetrain Manifesto” Basic Books, 2009

Diegoli, Gianluca “Social Commerce: modelli di ecommerce attorno al cliente” Apogeo, 2013

4.3 INTERFACCIA 4.4

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CONCLUSIONE E BIBLIOGRAFIA

WHAT’S NEXT: “DO YOU?”

CAP. 4


CAP. 4

Owen, Harrison “Open Space Technology, a user’s guide” Berrett-Koehler Publishing 2008

Kant, Immanuel “Per la Pace Perpetua” Bur - Rizzoli Milano, 2010

Derrida, Jacques “L’Ospitalità” Baldini & Castoldi Milano, 2000

Kostakis V., Bauwens, M. “Network Society and Future Scenarios for a Collaborative Economy” Palgrave Pivot, 2014

Benkler, Yochai “La ricchezza della rete. La produzione sociale trasforma il mercato e aumenta le libertà” Università Bocconi Editore, 2007

De Palma, Gabriele “Affare Bitcoin. Pagare col p2p e senza banche centrali” Informant, 2013

Minghetti, Marco “L’Intelligenza collaborativa: Verso la social organization (Nuova Cultura d’Impresa) ” Egea, 2013

Liu S., Avery M., “alibaba: The Inside Story Behind Jack MA and the Creation of the World’s Biggest Online Marketplace” HarperCollins, 2012

Rampini, Federico “Rete padrona. Amazon, Apple, Google & co. Il volto oscuro della rivoluzione digitale” Feltrinelli, 2014

Stone, Brad “Vendere tutto: Jeff Bezos e l’era di Amazon” Hoepli, 2013

Ries, Al “Positioning: The Battle for Your Mind” McGraw-Hill, 1980

Pappalardo N., Presenti S., “Professione Web Designer Freelance” Your Inspiration, 2013

Bologna S., Banfi D., “Vita da Freelance” Feltrinelli , 2011

Gawande A. “The Checklist Manifesto: How to Get Things Straight” Picador, 2011

WHAT’S NEXT: “DO YOU?”

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RINGRAZIAMENTI

Un doveroso grazie alla squadra delle Grafiche dell’Artiere, per aver stampato questo libro in tempi record. Un sentito grazie ai numerosi colleghi ed amici, che mi hanno sostenuto e incoraggiato in tutti questi anni. Ringrazio il professor Carlo Branzaglia, per il suo supporto e la sua guida sapiente.

A chi ha intrapreso questo cammino con me e mi ha aiutato a portarlo a termine, standomi sempre vicina: Veronica. A lei va tutto il mio amore e la mia gratitudine. Alle persone a me piÚ care, ovvero i miei genitori Laura e Maurizio, a cui dedico questo lavoro. Infine un particolare ringraziamento va a Stelio, senza il suo prezioso aiuto non ce l’avrei mai fatta.




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