CENTRO-SINISTRA ALL'OFFESIVA
Made in Romano La Fabbrica per palcoscenico. Internet invece dei comitati. Una squadra di under 30. Parte la corsa elettorale di Prodi di Marco Damilano Sarà una campagna elettorale giocata tra Davide contro Golia. Vedrete, la Rete sarà il nostro sasso, la Fabbrica la nostra fionda... Romano Prodi lancia la sfida. La fionda e il sasso. La Fabbrica e Internet. E un esercito di ragazzi under 30, pronti a gettarsi nella bagarre: esperti di informatica, studiosi di lingua araba, creativi. Il Professore pensa al futuro, si prepara al combattimento, alla lunga marcia che dovrà condurlo alle elezioni del 2006 e, chissà, a Palazzo Chigi. Prima tappa, le regionali di aprile: "Girerò l'Italia. Andrò nelle quattordici regioni in cui si vota, dalla prima all'ultima", annuncia il leader del centro-sinistra. Ma il tema che più lo appassiona è un altro: il rinnovamento generazionale, argomento che qualche politico quarantenne in carriera ha cercato di usare contro di lui e che ora Prodi è pronto a impugnare come la sua bandiera: "Non vogliamo rappresentare l'Italia consolidata, conosciuta. Questo paese ha bisogno di una nuova leadership, di movimento. Gente con il pensiero fresco". Arrivato a 65 anni, l'idea di tirare su una nuova classe dirigente, dinamica, europea, non anti-partito ma esterna ai partiti sì, non gli dispiace neppure un po'. Così, dopo mesi di cottura lenta, in cui nel Palazzo si sentiva evocare il leader bollito, Romano Prodi annusa di nuovo il vento dalla sua parte. Si toglie qualche soddisfazione, come quella di essere ricevuto all'Eliseo dall'amico Jacques Chirac con gli onori degni di un capo di Stato. Le beghe romane non lo impressionano più di tanto. Quanto il leader sia in sella lo dimostra il voto dei parlamentari dell'Ulivo sull'Iraq, il 15 febbraio, con il rivale Francesco Rutelli rimasto quasi isolato, intervenuto tra i rumoreggiamenti dell'assemblea e alla fine rimasto alla guida di un pugno di 32 dissidenti. "Un rametto", ha commentato feroce il Professore, che sa bene come la fronda contro di lui solo un mese fa sarebbe stata molto più ampia. A chi lo accusa di essersi appiattito su Fausto Bertinotti replica di aspettare il congresso di Rifondazione, ai primi di marzo. Prodi interverrà, al Lido di Venezia, per la prima volta al congresso della Falce e martello. E se dovessero arrivare contestazioni e qualche fischio, nessun problema, anzi, sarebbero i benvenuti. La dimostrazione che anche con l'ala più radicale della coalizione si fanno le cose sul serio. "Internet e Fabbrica sono i nostri pilastri. Ci aiutano a creare la Rete", spiega il deputato modenese Giulio Santagata, il campaign manager, l'ideatore della Fabbrica, il motore di tutta l'operazione. La Rete di Prodi: il contrario dell'organizzazione piramidale, come era l'Ulivo prima maniera che, rivela Arturo Parisi, nell'organizzazione si era ispirato a due movimenti degli anni Settanta, Lotta continua e Comunione e liberazione. Niente a che fare con la Frattocchie del Pci, ma neppure con l'Ena francese: la Fabbrica del programma è un distillato di prodismo allo stato puro. Solida, concreta, bolognacentrica, aperta al mondo ma senza vergognarsi dell'apparenza provinciale. "La fabbrica è un mondo a parte e ci vuole una lingua diversa per poterla raccontare", ha scritto l'attore teatrale Ascanio Celestini. Prodi concorda: "Quattrocentomila fabbrichette hanno costruito la ricchezza dell'Italia. Noi ne abbiamo presa una a caso per ridare speranza al paese". Al Professore piace da pazzi questo capannone anonimo di 630 metri quadri, alla periferia industriale della Corticella a Bologna, un quartiere che è l'Emilia in miniatura, le case basse tinte di rosso, la tangenziale a due passi, le strade si chiamano via Rimini, via Imola, via Lugo. Perfino un bar, unico ritrovo dove sfamarsi, con riproduzioni di Mario Schifano, il gestore che
sogna di andare in Brasile e un kitchissimo tavolino sorretto da un paio di gambe di donna che ha estasiato il Professore quando l'ha visto: "Un posto meraviglioso, che volete di più?". A vederla all'interno, più che una Fabbrica sembra un set cinematografico, lo studio di un reality-show televisivo. Pedane di legno, pareti colore arancio e verde, schermi televisivi alle pareti, microfoni, telecamere, luci. Niente simboli di partito. Una scenografia ideata da due dottorandi in architettura al Politecnico di Milano, Federico Zanfi e Filippo Poli, anni 27, laureati con una tesi sui luoghi di sosta degli immigrati in viaggio dal Maghreb all'Europa via Gibilterra: un cammino medievale adattato al Duemila. E poi pannelli gialli, Prodi in mezzo con un microfono a raccogliere e rilanciare domande, come un conduttore tv. Ma il Professore non è Maria De Filippi e alla Fabbrica non si parla di amici e amori. Temi ostici, terragni: il caro-casa con le giovani coppie, la mobilità e i trasporti con portuali e camionisti, e poi il vero pallino dell'ex presidente della Commissione Ue, il rapporto tra l'Italia e l'economia asiatica. Tutto molto poco sexy, ma è stato Prodi a volere questa formula: "Smettiamola di creare un programma dall'alto e farlo piovere sui mortali. Basta discorsi generici. Non parleremo di scuola, faremo una giornata di lavoro sulla vita degli insegnanti. Non parleremo di sanità, chiederemo agli infermieri di raccontarci le condizioni degli ospedali e come costruire le cittadelle della salute. Temi non ancora consolidati. Questioni complicate, che non entrano mai nel mulino dei media ma fanno la vita quotidiana delle persone". Nella lista degli esperti invitati tanti studiosi e pochissimi politici: molti assessori, nessun segretario di partito. All'allestimento ci pensa un manager di grandi eventi culturali, Maurizio D'Amore, che ha al suo attivo il Giubileo, le Scuderie papali, Altamoda e un'esperienza nella campagna elettorale del '96 con Prodi e Walter Veltroni. La Fabbrica, e poi la Rete. Solidità e virtualità. Gusto retrò, novecentesco, e autostrade informatiche. "Dieci anni fa, all'epoca della prima campagna elettorale, Internet in Italia era ancora un lusso per pochi intimi", ricorda Santagata. Adesso è l'arma segreta con cui i prodiani sperano di mettere in crisi il Moloch berlusconiano. Anche perché nel mondo di Prodi la televisione è inaccessibile e vagamente pericolosa ("Quattro apparizioni a Ballarò contro Cicchitto e non sei più nessuno", spiegano nello staff), meglio la radio che è uno strumento di comunicazione più caldo, meglio ancora la Rete che permette un ritorno immediato. Per la gioia dei blogger, anche il Professore mette on line il suo diario telematico, i suoi pensieri che nelle intenzioni dovrebbero creare dibattito, sul sito www.romanoprodi.it, che si aggiunge a quello già attivo (www.governareper.it) e al nuovo www.lafabbricadelprogramma.it. Ma Internet non è solo uno strumento di comunicazione: il progetto è più ambizioso, politico. Costruire una struttura agile, di pronto intervento, da affiancare ai partiti, ai Ds di Piero Fassino, alla ribollente Margherita, alla Federazione dell'Ulivo che a fine mese incoronerà Prodi come suo presidente. Nei piani c'è la trasformazione della Rete in un movimento di tipo nuovo, che sostituisce i vecchi comitati dell'Ulivo, quelli che organizzavano le tappe del pullman e poi magari litigavano per chi dovesse rappresentare il leader in periferia. Obiettivo: costruire un database con i nomi di chi si offre volontario. "Nel '96 erano centomila, bisogna raccoglierne molti di più", ha calcolato il Professore. E poi c'è la questione economica: nel sito di Prodi c'è uno spazio per raccogliere denaro on line, grazie a un accordo con la Telecom. Raccolta di fondi necessaria, dato che la cassa prodiana langue. Pensieri freschi, d'accordo, ma anche nuove risorse, necessarie per fare fronte a una campagna elettorale così lunga e difficile. Al Professore, come da accordo con i partiti alle elezioni europee, spettano 900 mila euro per il 2005, più altrettanti incassati l'anno scorso: tre miliardi e mezzo di vecchie lire in due anni, quasi nulla se si tiene conto che solo l'affitto della Fabbrica costa 4000 euro al mese e in più ci sono viaggi, segreterie, uffici a Roma e Bologna, strutture da mantenere. A dirigere il sito prodiano, redazione negli scantinati della Fabbrica, c'è un ragazzo di 28 anni, Luca Gaudiano, friulano, fino alla scorsa settimana responsabile della divisione Comunicazione di Ultima di Marialina Marcucci. Mentre a inserire i contenuti e a tenere i rapporti con il pool di esperti che collaborano con 'Governare per' (Michele Salvati, Marcello de Cecco, Massimo Livi Bacci, Paolo Onofri) ci pensa Filippo Andreatta, figlio di
Beniamino, professore di relazioni internazionali all'Università di Parma, maglione blu scuro a girocollo, che con i suoi 36 anni sembra quasi un veterano. Già, perché nella Rete di Prodi i trentenni costituiscono l'asse portante. Con qualche new entry nello staff del Professore: l'assistente Alessandro Scalpellini, per esempio, un ragazzone di 28 anni, romagnolo, un anno in Libia a studiare lingua e cultura araba, soprattutto e il trentenne Sandro Gozi, al fianco del Professore nei viaggi all'estero: qualcuno già lo descrive come il nuovo uomo ombra di Prodi. Insomma, mentre Berlusconi progetta il piano Forza Silvio, ma più in là di un raduno di piccoli fan non riesce ad andare, il Professore, senza darlo a vedere, mette in campo una squadra di pulcini. E ripete: "Voglio far nascere una nuova leadership sul campo". Beninteso, senza rinunciare alla trama di rapporti e relazioni più consolidata, interlocutori vecchi e nuovi, il presidente di Banca Intesa Giovanni Bazoli, il cardinale Achille Silvestrini, il vice-presidente di Confindustria Andrea Pininfarina, e poi gli amici di sempre, il manager delle telecomunicazioni Alessandro Ovi, il sociologo Bruno Manghi, il costituzionalista Franco Pizzetti. Una Rete partita per la nuova sfida giovedì 17 febbraio, con sprezzo della scaramanzia. Anche se qualcuno ha fatto notare al Professore che anche il governo Prodi giurò il 17 maggio, era addirittura un venerdì e le cose non andarono male. "Davvero? Non ci ho pensato. Onestamente del passato ricordo poco", finge di dimenticarsene Romano, di cui sono note la memoria da elefante, la testardaggine padana e i rancori eterni, terribili. L'Espresso 18.02.05