Il Lucano Magazine Numero Gennaio Febbraio 2015

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Foto Stefano Sacchi

Poste Italiane Spa Spedizione in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n째 46) art. 1 comma 1, DCB PZ






SOMMARIO

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Intervista alla giornalista lucana Francesca Barra

V I G N E T TA N D O

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I comitatini in movimento

R E P O R TA G E

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L’anno passato e l’anno che verrà È aperta la partita per il Sindaco di Matera 2019 Francesca Barra. Una lucana di successo Michele Cignarale: La Basilicata? Una grande tribù che va dritta alla meta

E P I S T E M E

22 Similes cum similibus...

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E U R E K A

24 29 36 38 40 42 46

Pino Mango Un uomo d’oro

42 Giancono Cammarano futuro su tela, in rotta di collisione

77 Potenza Calcio È qui la Festa

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La vitivinicoltura di Pietragalla L'ultimo canto di Mango I Tind’l, il carnevale aviglianese Volturino 1835 La maratona del Fondo Ambiente Italiano Le tele di Giancono Cammarano Auschwitz e Birkenau negli scatti di Gianfranco Vaglio Rossetto rosso in console Festival dei Cinque Continenti a Venosa La tradizione torna di moda “Pensieri” fatti a mano Lazazzera Rocco - Seconda Parte Un museo a Montemurro nel ricordo di Maria Padula A Potenza la mostra Per ben servire l’umanità languente La raccolta fondi della Together Onlus Gli agrumi lucani: un concentrato di salute L’Associazione Don Chisciotte Tra sogno e realtà Giornata di formazione per il francese 2014

T R A L E R I G H E

70 Feste lucane 71 Matera 21 settembre 1943 D O L C E

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S A L ATO

72 Qualcosa di familiare. Ciao Mamma! L O O K A N I A

74 Racconto di Ruvo del Monte - Seconda Parte 6



E D I T O R I A L E

RIFLESSIONI E CONSIDERAZIONI PER L'INTERESSE DEI LUCANI Vito ARCASENSA

on il Decreto Legge “Sblocca Italia” del Governo Renzi, convertito in legge dal Parlamento Italiano, all’articolo 38 lo Stato assume a se le questioni di politica energetica nazionale, comprese le concessioni petrolifere. Se fino a ieri queste erano in capo alle regioni, da oggi lo Stato dovrà regolarsi “di intesa con le regioni interessate” e potrebbe concedere i permessi per le trivellazioni con più facilità di quanto non avrebbe fatto finora. «La Basilicata è una Ferrari il cui motore deve essere messo a regime per lanciarla ad alta velocità». Fa ricorso ad una metafora sportiva nella conferenza di fine anno il Presidente Marcello Pittella, una Regione dalle tante qualità «non tutte ancora espresse». Per quando riguarda la Giunta Regionale, pare che entro fine gennaio la squadra degli assessori esterni dovrebbe cedere il posto alle nomine politiche. Vedremo se con o senza riconferme, sperando comunque in qualcosa di diverso da quello prodotto finora per migliorare la vita dei lucani. Il 4 dicembre 2014 i “quattro comitatini” di renziana citazione hanno manifestato a Potenza per una Basilicata che abbia un futuro diverso. Qualcosa sta accadendo in Basilicata. Si respira nell’aria, si legge negli occhi degli studenti, si sente nei discorsi degli attivisti e dei cittadini che cominciano a parlare di un’altra Basilicata e un’altra politica al servizio del bene comune. Sul finire del 2014 non possiamo non citare il dissesto del Comune di Potenza, l'unico caso di doppio crac in 20 anni, e l'impossibilità di approvare il bilancio che parte dal disavanzo di 14,2 milioni per il 2013 e 45 milioni per il triennio 2014-16. Il dilemma era votare e approvare il default, evitando lo scioglimento del Consiglio, o lasciare che lo dichiarasse il commissario prefettizio con il conseguente ritorno alle urne. Alla prima ipotesi in 25 dicono sì, nessuno contrario, cinque astenuti. Il Presidente Pittella sulle macro-regioni ha dichiarato: «Non sono per annessioni e fusioni, ma seguo con attenzione il dibattito». A questo proposito, faccio appello ai Politici con la “P” maiuscola di non sottovalutare la questione ma di metterla in cima alle loro attività, essendo la stessa di un'importanza vitale per l'identità lucana. Fin dagli antichi romani la nostra regione costituiva una unità omogenea di popolo e territorio. E visto che i Romani, i Goti e gli Ostrogoti non si sono sognati di cambiare nome alle regioni storiche, se ne deduce che anche i barbari avevano acume politico, certamente superiore a certi farfarielli che oziano nei corridoi dei passi perduti del potere (così come riporta Santino Bonsera su Facebook). A mio modesto avviso, visto che il Governo Centrale tenta di accentrare a se le decisioni importanti per effettuare le scelte più opportune e per meglio competere nell'era della globalizzazione, se non si vogliono desertificare ancora di più i nostri territori, ritengo che occorra aprire un dibattito sull'ipotesi di aumentare il numero delle Regioni (magari arrivare a 30) salvaguardando il più possibile le aree

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simili, con la condizione che le province vengano effettivamente e definitivamente eliminate. Alle regioni spetta la gestione delle “funzioni fondamentali”, ovvero, scuole, strade, trasporti e ambiente, sistema sanitario, centrale unica degli appalti (tema da affrontare comunque) e tutto quello che è di interesse primario e locale. In questo modo, invece, di pensare alla soppressione di poche regioni con la creazione delle cosiddette macroregioni, si potrebbe affiancare un sistema di Comuni Consorziati sul modello territoriale delle vecchie Comunità Montane per limitare in maniera drastica la spesa pubblica. Così i piccoli comuni (molti in Basilicata con neanche mille abitanti) ridurrebbero le spese a vantaggio della diminuzione delle tasse per i cittadini e di una migliore efficienza e qualità dei servizi. Tutto questo sempre se si è disposti a rinunciare ai campanilismi e agli interessi degli amanti della piccola politica paesana. Infine, una considerazione sul grido di dolore della Rettrice dell’Unibas Aurelia Sole sui tagli previsti dalla Riforma Ministeriale relativa ai trasferimenti statali per le Università. Sembra che i trasferimenti siano commisurati al numero degli studenti in regola e dato che l’ateneo lucano ha il primato dei fuori corso (circa il 53% degli iscritti) i nuovi tagli dovrebbero ammontare a 4 milioni di euro. Nonostante la rettrice abbia assicurato di essersi impegnata a ridurre il più possibile i costi e di aver migliorato la qualità dell’offerta, forse, dovrebbe prendere in considerazione l’ipotesi di concentrare in un unico campus universitario tutte le Facoltà. Magari chiudere le Facoltà che non hanno molto seguito in favore di un potenziamento qualitativo di quelle più seguite o di aprirne altre oggi non presenti. Se non ci saranno risultati concreti, nei prossimi anni c’è il rischio che la nostra Università possa chiudere definitivamente.


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I comitatini in movimento

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Hanno collaborato in questo numero Angelo BENCIVENGA, Ettore BOVE, Elisa CASALETTO, Debora COLANGELO, Maria Ilenia CRIFÒ CERAOLO, Arsenio D’AMATO, Veronica D’ANDREA, Marianna Gianna FERRENTI, Marianna FIGLIUOLO, Giovanni GALLO, Barbara GUGLIELMI, Vincenzo MATASSINI, Carla MESSINA, Maria Carmela PADULA, Emanuele PESARINI, Mariassunta TELESCA, Gianfranco VAGLIO, Danilo VIGNOLA Testata On Line www.lucanomagazine.it Agostino ARCASENSA Fotografie Foto: Andrea MATTIACCI, Angelo Rocco GUGLIELMI, Claudio MIGLIONICO, Gianfranco VAGLIO Stampa Arti Grafiche Boccia s.p.a. Via Tiberio Claudio Felice, 7 Fuorni - Salerno Registrazione Tribunale di Potenza N° 312 del 02/09/2003 Pubblicità Lucana Editoriale s.r.l. Via Gallitello, 89 Potenza Tel. Fax 0971.476423 -Cell. 337.901200 E-mail: info@lucanomagazine.it Chiuso in redazione 12 Gennaio 2015 Questo giornale è associato Uspi Unione stampa periodici italiani

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R E P O R TA G E

NOTE A MARGINE

L’ANNO PAS E L’ANNO CH Margherita E. TORRIO

hiuso un anno ci avviamo a vivere il nuovo consapevoli che al di là delle rituali e simboliche manifestazioni di fine/inizio, senza soluzione di continuità continueremo a fare i conti con una situazione che è appesantita dal retaggio lasciato da questo ulteriore anno difficile che si assomma ai tanti già subiti. A distanza di più di un mese, il saluto di fine anno del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, resta un ricordo, magari carico di dubbi e perplessità per quella contraddizione insita tra il suo auspicio a un ritorno di normalizzazione costituzionale e il sostegno alle riforme della Costituzione che di fatto la tradiscono . Perché al suo ovvio invito all’ottimismo, mentre si intensificano le tattiche per le grandi strategie use alla votazione del nuovo capo di Stato, non fanno riscontro le preoccupazioni dei cittadini italiani e di quelli lucani. Per questi restano urgenti i problemi relativi al problemi ambiente e salute e quelli relativi alla caduta costante delle possibilità lavorative. Mentre la domanda di petrolio ristagna a causa della crisi e rallentamento delle economie emergenti come la Cina e gli USA con il + 80 % di estrazioni fanno scendere il prezzo, forse per spinta Arabia Saudita, come arma per colpire Russia e Iran, la Basilicata dai 100mila barili al giorno, a fronte di concessioni a ENI e Total,

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vede salire a 150 mila barili la sua produzione con una caduta inevitabile delle entrate dalle royalty e, secondo il Decreto Sblocca Italia, vede il rischio di perdere ogni possibilità di controllo sulle estrazioni. Comitati come “I cittadini anti art.38” si richiamano alla necessità di tenere desta l’attenzione dei comuni, interagendo con partiti associazioni gruppi consiliari e singoli consiglieri perché gli impegni assunti dal Consiglio regionale vengano mantenuti, in tema di potenziamento delle strutture ospedaliera della Val d’Agri, indagine dell’impatto sull’ambiente e sulla salute, piano delle estrazioni, tavolo della trasparenza, specifica legge regionale di regolamentazione del raccordo Stato-Regione- Enti locali e Associazioni ambientaliste, registro tumori, punto zero per il monitoraggio etc. Sino ai primi di gennaio da parte del Presidente Pittella si chiedeva di rinviare ancora ogni decisione sulla impugnazione dell’art. 38. Il grave rischio è, per le opposizioni, che di fatto si stia consegnando la regione alle compagnie petrolifere. Mentre si fa passare la modifica allo sblocca Italia art. 35-36-37 e 38 + art. 1 bis ( questo su una non chiara “intesa StatoRegioni” per la predisposizione del piano delle aree su cui autorizzare le estrazioni) legge 12 settembre 2014 n. 133, si chiede coerentemente alla mozione approvata il 4

dicembre, venendo meno la riscrittura, secondo le previsioni costituzionali vigenti, che si vada alla impugnativa. Ora non si può più indugiare. Quindi le opposizioni colgono nella incostituzionalità palese la sparizione dell’1 bis ma richiamano l’attenzione sul fatto che, comunque, ogni decisione viene assunta verticisticamente dal governo come già nel decreto marzo 2013 Monti-Passera sulle strategie energetiche


SATO E VERRA’

nazionali e ri-assunte da Renzi dell’agosto 2014 con l’approvazione in senato della riforma del titolo V. Preludio alla ulteriore disgregazione territoriale regionale? Prima vengono allontanati i servizi fondamentali come Tribunale, Corte d’Appello, Polizia stradale e Penitenziaria. Ora la Lucania sarà aggregata alla Calabria? Dividerla? Accorparla? I sindacati continuano la mobilitazione come quella per la salvaguardia

dei servizi, delle funzioni e dei livelli occupazionali delle Provincie, con un presidio davanti alla sede della Regione Basilicata. Caos istituzionale, “generato da storture e contraddizioni” con un esubero di 500 persone per le quali non era prevista continuità delle funzioni né se e da chi potessero essere assunte le deleghe attestate per legge delle Provincie a partire dal 1° gennaio. Sembra un progetto teso continuati-

vamente a riportare indietro forme e modi della struttura democratica. Non è meramente suppositiva la formula espressa, in una recente intervista, da Bersani parlava di “Avvitamento tra crisi sociale e democratica meccanismo democratico non in salute”. L’ “Abbiamo fatto un po’ di casini” dichiarato dal Presidente del Consiglio dopo la pessima dimostrazione data prima di Natale sulla legge di stabilità e sul codicillo S.B. in materia fiscale forse può essere più ampiamente esteso. Il problema lavoro, per cominciare. Pur con tutto l’ottimismo possibile è difficile vedere una interconnessione tra ripresa della produttività, dei consumi con prospettive lavorative tali da ridare fiducia al mondo di chi cerca lavoro. Anzi certi segnali insiti nel jobs act, la così detta riforma del mercato del lavoro, non sembrano promettere bene. Tante le critiche. Questa volta propongo quella di Umberto Romagnoli, giusvalorista, che negli anni novanta ha fatto parte della Commissione di garanzia sugli scioperi. Dichiara che è complicata da attuare, potenzialmente incostituzionale, discriminatorio il decreto attuativo sull’art. 18, mirato a bypassare la trattativa sindacale. Il mandato in bianco ottenuto a Natale, imposto con la fiducia, permetterà alle aziende di licenziare, con dipendenti precari a vita; supera principi e regole con cui ONU in testa e organizzazioni internazionali si preoccupano di disciplinare la materia per ridurre i licenziamenti collettivi. Marchionne finisce con dare valore a quello che Landini denunciava anni fa come un progetto di svuotamento e di trasferimento altrove della FIAT. Rossella Orlandi, dirigente della Agenzia delle Entrate, dice qualcosa che pure Epifani ha dichiarato. Se in Italia c’è libertà di spostare la sede legale in Olanda e prendere la residenza fiscale a Londra seguendo i propri interessi più immediati, nessuno in Germania ha immaginato che la Mercedes possa andare via. Un’altra prospettiva allettante nel frattempo si apre, l’Albania dove i sindacati non esistono e i salari sono bassi. Il Governo già sta avviando debiti contatti Cosa cambierà con il nuovo Presidente della Repubblica? Cambierà qualcosa? Per ora si rincorrono i tatticismi, come quello giocato sul nome di Prodi. Poi c’è stato un lungo silenzio, complice il periodo delle feste natalizie. Eppure è doveroso chiederci come sia possibile che non sia uscito nemmeno un rigo di biografia su eventuali e possibili papabili alla Presidenza della Repubblica. Conferma che le decisioni si prendono tenendo accuratamente lontana la possibilità di una compartecipazione dialettica da parte dei cittadini. Tanto già sono stati tenuti accuratamente lontani da qualunque discussione sulle così dette riforme istituzionali e sul lavoro, tentando anche di disconoscere chi ne rappresenta tanta parte nel mondo del lavoro.

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R E P O R TA G E

Correnti e nodi da sciogliere E’ aperta la partita per il Sindaco di Matera 2019 Antonio MUTASCI

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hi sarà il primo cittadino nel 2019? E' questa la domanda che in questi giorni serpeggia tra le vie cittadine. Portata a casa la grande vittoria della nomina a Capitale Europea della Cultura per il 2019, adesso a Matera si è aperta un'altra partita e la vittoria in questa gara,

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per usare una metafora calcistica, vale molto più dei tre punti in palio. Il mandato da sindaco di Salvatore Adduce, il primo cittadino che ha traghettato la Città dei Sassi alla nomina a Capitale Europea della Cultura per il 2019, è in scadenza e la campagna elettorale


pare sia già iniziata. Si sta infatti sfogliando la margherita di nomi per trovare chi dovrà indossare la fascia tricolore al “sesto piano”. Naturale pensare che Adduce punti ad una sua ricandidatura, visto il lavoro svolto e il risultato ottenuto. Ma analizzando a fondo l'intero mandato ci sono anche dei passaggi a vuoto dell'attuale sindaco di Matera. Spesso in consiglio comunale ha dovuto fare i conti con le lotte intestine interne al Partito Democratico, fatto da più correnti interne che spesso hanno messo in difficoltà l'intera maggioranza, che si è retta grazie all'appoggio di chi maggioranza non lo era nel simbolo, ma che alla fine si è dimostrata maggioranza nei fatti. Avendo ben chiara questa fotografia della situazione, starà poi ai vertici del partito scegliere o no per un Adduce-bis. E potrebbe non essere una decisione indolore. Non sono da escludere delle eventuali primarie. Alla “sponda” Adduce questa opzione non sarebbe gradita, perché significherebbe andarsi a contare all'interno del partito e potrebbe essere una pericolosa arma a doppio taglio. Soprattutto in forza di una norma che impedirebbe le primarie con in campo il primo cittadino. Questa soluzione, invece, potrebbe essere gradita alle altre correnti interne al PD che scalpitano per poter ambire alla poltrona più prestigiosa in città. Ma la corsa a sinda-

co di Matera è una partita più ampia, che si gioca anche a livello regionale, quindi sarà decisivo, per decidere il nome del candidato o dei candidati, il parere del presidente della Regione, Marcello Pittella, e quello del segretario regionale del PD, Antonio Luongo. Soprattutto conteranno e non poco scelte e decisioni di carattere regionale che si andranno ad incastrare con quella del sindaco di Matera. Pittella dovrà infatti far quadrare i conti interni, tener conto del sostegno dell'area Antezza in questi ultimi mesi e fronteggiare anche la voglia di politica di primo piano di Luca Braia che è stato il suo candidato forte alla segreteria del Pd. Inoltre, da quella parte del Pd sono arrivati a Pittella i voti necessari, durante le primarie regionali, per vincere la corsa e diventare, poi, il presidente della Regione Basilicata. Su quel fronte ci saranno dei nodi da sciogliere e delle mediazioni da trovare, con la regione come scenario complessivo ma Matera più che mai in primo piano. La partita non finisce qui. Ci sono correnti minoritarie che, uscite fuori dai giochi regionali, potrebbero volersi inserire nelle “scelte su Matera” per tornare sulla cresta dell'onda. In questo senso aspirazioni potrebbero arrivare anche da quella parte del Pd vicina a Santochirico e Cotugno. Questi sono alcuni degli scenari che interessano il partito che al momento ha in mano lo scettro del comando in città. Poi c'è chi come l'imprenditore ed ex assessore regionale Nicola Benedetto ha già dichiarato di voler scendere in campo per puntare alla carica di sindaco. Un altro nome in pista sarà quasi certamente quello dell'ex presidente della Provincia di Matera, Franco Stella, già forte dell'esperienza della Lista Stella. C'è da verificare quale sarà il nome scelto dai Cinque Stelle. Per i “grillini” si possono ipotizzare delle primarie sul web, come ormai consuetudine per il movimento. Dal popolo del web si attende il nome che potrà catalizzare l'attenzione dei materani, che già in passato hanno dimostrato di prediligere questo movimento, tanto che nel 2013, alle recenti politiche, M5S è risultato il primo partito in città. A tutto questo va aggiunto un movimento di liste civiche che alle scorse elezioni comunali sono andate vicino al colpo grosso, arrivando al ballottaggio con a capo Angelo Tosto. L'imprenditore del mondo

della comunicazione, infatti, potrebbe essere nuovamente l'ago della bilancia sul panorama politico cittadino. Bisognerà solo capire su quale fronte farà convergere il suo potenziale elettorale: lista civica o un partito “classico” e poi con quale figura come istrione e trascinatore. Potrebbe nascere un grande contenitore di oppositori al fronte dell'attuale Pd a cui potrebbero concorrere forze diverse tra loro. Tra queste non è da escludersi anche Forza Italia che se dovesse correre da sola giocherebbe invece la carta dell'attuale capogruppo in Comune, Adriano Pedicini. Ma quando accadrà tutto questo? Le prossime settimane saranno decisive per la definizione degli schieramenti e per la scelta dei nomi. Ma una data che interessa o, ancora meglio, diventa fondamentale è quella del giorno delle elezioni. Stando al naturale decorso del mandato, normalmente si dovrebbe votare il 29 marzo, ma il tutto potrebbe slittare al 17 maggio per quella che potrebbe essere identificata come la data dell’Election day, per unire le prossime amministrative con le elezioni regionali. La data del voto diventa importante e fondamentale per stabilire i tempi in cui le decisioni e gli equilibri dovranno essere trovati, nei vari partiti e movimenti, per poi presentarsi alla tornata elettorale uniti e coesi. Questo lo scenario a Matera, ancora ampio e in via di definizione. Un quadro in continuo mutamento ma con una certezza: dalle Comunali 2015 uscirà il nome del sindaco della Capitale Europea della Cultura per il 2019.

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R E P O R TA G E

Francesca Barra Una lucana di successo

successo? L’entusiasmo, la curiosità, la mancanza di cattiveria e cinismo.

Giovanni GALLO Gli incontri più significativi durante il suo percorso. Qualcuno in particolare da ringraziare? Il programma radiofonico su Radio 1 Rai, i libri, il concertone del Primo Maggio. rancesca Barra, lucana doc, nata a Policoro, è il nuovo che avanza nel mondo del giornalismo e della televisione. Una mamma innanzitutto, come lei stessa si affretta a precisare. Perché prima vengono i valori e poi la professione, nella quale si eccelle se ami quello che fai. A giudicare dal successo che sta ottenendo, Francesca ama sicuramente quello che fa. Ha pubblicato libri e lavorato in radio. É sceneggiatrice e autrice. Apprezzata al concerto del Primo Maggio, ha da poco realizzato un video promozionale sulla Basilicata nel quale recita anche il figlio e che, come lei stessa ci ha confermato, rappresenta un omaggio alla sua terra, dove torna appena trova un po' di tempo libero. A novembre ha intervistato, per Matrix, il premier Matteo Renzi, con un collegamento in diretta da Palazzo Chigi, che l'ha gratificata da un punto di vista professionale. Francesca Barra è un personaggio a tutto tondo che si fa strada nel mondo della comunicazione a colpi di bravura ed entusiasmo. Poliedrica e meticolosa, è come re Mida: trasforma in oro tutto quello che tocca.

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Giornalista, scrittrice, presentatrice. Chi è Francesca Barra? Sono una mamma, di origini lucane. Che ama la sua famiglia e il suo lavoro. Qual è l'ingrediente segreto del suo

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Si intitola “Non me ne voglio andare” il video sulla Basilicata che lei ha realizzato recentemente. Semplicemente uno strumento di promozione turistica o invece è qualcosa di più profondo? È un omaggio alla mia terra, un modo per esprimere la mia gratitudine. Ma è un metodo di narrazione, un linguaggio tutto mio. Che spero possa far venire la curiosità di far conoscere la Basilicata. Ultimamente “Dagospia”, in un articolo alquanto maschilista, l'ha attaccata definendo la sua una “misteriosa ascesa”. Cosa risponde? Ho già risposto con una lettera accurata. Le biografie si leggono, ci si informa. E questo si chiama giornalismo. Il resto, polemica sterile. In bilico tra carta stampata, internet e social l'informazione ha radicalmente cambiato il modo di arrivare alle persone. È l'era del giornalista 2.0? Con il nuovo mi sento perfettamente inserita, pur qualche volta prendendone le distanze. Mi spaventa il fatto che malgrado l'opportunità di avere uno strumento così potente come il web, per comunicare, informare sia spesso strumentalizzato. Equivocato. Si manca di rispetto con troppa velocità e violenza, le opinioni sono estrapo-


Focus Giornalista professionista, nata a Policoro. Inizia a lavorare in televisione, su La7, Sky, Rai e Mediaset. Ha scritto il libro di ricette ispirato alle sue tradizioni, per Aliberti: A casa di jo. Per Rizzoli: Il quarto comandamento, Giovanni Falcone un eroe solo, e Tutta la vita in un giorno. Ha condotto su Radio1 Rai La bellezza contro le mafie, il concerto del Primo Maggio, ha collaborato con Sette, l'Unità e Pubblico. È sceneggiatrice e autrice. Oggi è mamma di due figli e vive lontano dalla sua Basilicata.

Premi e riconoscimenti 2010: 2011: 2012: 2012: 2013: 2013:

Premio Premio Premio Premio Premio Premio

Mario Francese Rocco Chinnici Siani ex aequo con Maria Falcone Paolo Borsellino Lucani nel mondo Heraclea

Anteprima Non perdete ad aprile il nuovo libro di Francesca Barra ambientato in Basilicata, fra Matera e Policoro. Verrà il vento e ti parlerà di me, edito da Garzanti, è un romanzo che racconta i tratti distintivi della nostra regione. Il dolore, le tradizioni e la gastronomia lucana. Compresa la voglia di non andare via. Una bambina sfollata dai Sassi da adulta, nonna, rivela e tramanda, attraverso le ricette, la storia della sua vita alla nipote. Proprio quando sta per lasciare la Basilicata, per trovare la sua strada. Il cibo, dunque, come elemento fondante di un territorio, come un'opportunità e un atto d'amore. late, c'è ancora molta confusione con il suo utilizzo. Tuttavia non mi arrenderò e continuerò a ritenerlo fondamentale: Il giornalista però, è tale a prescindere dalla piattaforma. Non deve perdere la capacità narrativa. La sintesi del 2.0 non sempre è un bene. Oggi tutti possono produrre notizie e raccontare storie. La figura del giornalista viene ridimensionata oppure la qualità continuerà a vincere anche in futuro? Non tutti sanno raccontare storie. La qualità della narrazione e la sua onestà, fa ancora la differenza. Il consiglio a chi intraprende oggi la strada del giornalismo. Di crederci. Di buttarsi a capofitto. E, per quanto possibile, di non cedere alla partita Iva.

Professionista affermata, moglie felice e mamma. Ha realizzato tutti i suoi sogni o nel cassetto ce n'è ancora qualcuno? Mi manca solo cantare al festival di Sanremo. Poi ho davvero realizzato i miei sogni. Lei vive a Milano, le manca il mare di Policoro? Vivo a Milano principalmente. Che per me, dopo la Basilicata e Roma, è stata un po' un trauma. Ma poi ho imparato ad apprezzarla. È un diesel. Però ogni volta che posso scappo a Policoro o al mare più vicino. Su una cartolina per i suoi conterranei lucani cosa scriverebbe? Ci vediamo presto. Preparate i falaoni che arrivo. E tanti, eh…

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R E P O R TA G E

La Ba

Una gran

che va d Albina SODO

l 24 novembre 2014 ha coordinato Go On Basilicata, la manifestazione organizzata da Wikitalia, allo scopo di promuovere la cultura digitale con 148 eventi su tutto il territorio lucano. Digital Champion del Comune di Melfi e “pericoloso ottimista”, quando incontri Michele Cignarale sai che creatività, visione e coraggio sono gli elementi indispensabili per crescere e progredire. È tra i protagonisti di quella comunità che può portare la nostra regione a giocarsela sullo stesso piano di altre realtà meno periferiche. Con una consapevolezza. Nel 21° secolo Internet e l’innovazione sono gli agevolatori del cambiamento, sono rivoluzionari più del petrolio.

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148 eventi, 131 comuni della Basilicata, 15.000 persone coinvolte. Ci parli di Go On Basilicata e dei ricordi di quel periodo? Giorni intensi. Assolutamente indimenticabili. Circa 30 giorni prima ho ricevuto una chiamata sul cellulare. Erano le 18 e stavo

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silicata? de

tribù

dritta alla meta

lavorando ad un progetto di sviluppo del territorio, facendo leva sulle logiche del societing, mentre mio figlio treenne (Antonio) mi chiedeva insistentemente di preparargli la merenda (richiesta inopportuna vista l'ora molto a ridosso della cena). Io: Pronto? L'altro: Ciao Michele sono Riccardo Luna. Io: madò, Licio fai poco il cretino, che c'è? L'altro: no, Michele, sono Riccardo Luna e ti vorrei parlare di un progetto interessante che stiamo portando avanti con Wikitalia. Si chiama Go On Basilicata e consiste nell'organizzazione di una giornata piena di momenti di trasferimento di competenze digitali. È partita così, per me, l’avventura di Go On Basilicata. Nei giorni seguenti, anzi un minuto dopo, mi sono detto: “Ho fatto la più grande cazzata della mia vita”. Un minuto dopo ero già a telefono parlando con i primi contatti da mettere in moto per creare qualcosa di speciale, intenso, unico. Giorno dopo giorno il quadro si faceva sempre più chiaro e quello che posso dire con convinzione è che la Basilicata, o

almeno la Basilicata che conosco e che stimo, è una tribù grandiosa che, condiviso un obiettivo, va dritta alla meta mettendocela tutta, al di là di qualunque difficoltà materiale o immateriale. Il 24 novembre 2014 la Basilicata è riuscita a fare rete grazie alla rete. Come pensi sia cambiata e come potrà cambiare la nostra regione con il digitale? La nostra regione è il prototipo del luogo a cui può essere applicato un vero cambio di paradigma nel campo del digitale. Siamo pochi, sembriamo poveri, abbiamo un'orografia territoriale difficile. Da qualche tempo sta crescendo una grande consapevolezza: Internet e il digitale possono essere lo strumento giusto per far fronte ai gap strutturali ed infrastrutturali che ci qualificano come territorio svantaggiato. Non basta, però, padronanza degli strumenti digitali, c'è bisogno di una mutazione genetica per cui tutti abbiamo bisogno di diventare dei “pericolosi ottimisti”. È proprio così che una

persona del vecchio establishment dell'innovazione in Basilicata mi ha definito, un pericoloso ottimista e io ne sono stato davvero lusingato (anche se non so se la sua intenzione era farmi un complimento). Quello di cui sono certo è che il nostro Paese, nel corso del 2013, ha perso circa 50 miliardi a causa della mancanza di innovazione e circa il 50% di questo danaro a causa dell’assenza di Internet. A questo devo aggiungere che la rete, la banda ultralarga non hanno alcun senso se non supportate da una reale consapevolezza e dall’attitudine al cambiamento. Per crescere e progredire c'è bisogno di tre elementi fondamentali da applicare ad ogni nostra manifestazione: creatività, visione e coraggio. Dobbiamo essere dei Braveheart, dobbiamo capire che solo facendo rete e guardando avanti in maniera convinta possiamo migliorare. L’innovazione è davvero così presente nelle nostre comunità? L’innovazione è dappertutto. Innovare è un’attitudine inarrestabile ed è curioso scoprire quanto sia radicata su un territorio come la Basilicata. Al di là di tutte le proteste, alle volte anche pretestuose e senza reali legami con la voglia di “diventare grandi”, posso affermare, senza la possibilità di essere smentito, che nel nostro tessuto sociale sta covando un’energia particolare fatta di persone che hanno voglia di cambiare il mondo in cui vivono, che hanno capito quanto la rivoluzione digitale in atto possa portarci a giocarcela sullo stesso piano di territori che all’apparenza sono più forti e offrono più possibilità. Adesso tocca a tutti chiedere non lavoro ma opportunità. Una grande e strutturata H-Farm diffusa sul territorio che possa stimolare le idee e la creatività. Dalle stampanti 3d alla sharing economy, dalla smart rurality al volontariato attivo, il tessuto sociale si dovrebbe connettere a quello politico ed imprenditoriale per restituire una realtà fatta di possibilità e futuro. Il digital divide è una condizione culturale prima che oggettiva. Lo viviamo tutti i giorni. Dalla fila alle poste al fax inviato nell'amministrazione pubblica. Dobbiamo partire con il cambiamento degli archetipi che ancora ci bloccano in un passato che ormai non ci appartiene più. 3 italiani su 10 non hanno mai usato Internet. In che modo si può affrontare il digital divide? Ti ricordi la storia del maestro Manzi? Non la sto tirando dentro perché oggi sembra vada di moda. Credo che sia l’unico modo per generare valore e cultura per la società. Immagina di prendere un ragazzo con un tablet e portarlo nel bar del paese dove fa vedere agli anziani come pagare le bollette telefoniche da casa. Immagina di parlare con i genitori dei bambini delle scuole elementari che portano sulle spalle zaini troppo pesanti. Immagina di andare in giro per

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R E P O R TA G E le aziende lucane, come un evangelizzatore del digitale, a raccontare storie di successo legate a un cambio di prospettiva e al digitale. Immagina di vedere una schiera di persone entrare dalle porte dei municipi e parlare con sindaci e amministratori per trasferire competenze e calcolare con precisione il ritorno di efficienza, economicità ed efficacia legato a una azione strutturata di digitalizzazione. Beh, non devi sforzarti più di tanto perché tutto questo sta già avvenendo e noi siamo il motore di questa rivoluzione necessaria. Dati aperti, infrastrutture, competenze. A che punto siamo nelle amministrazioni pubbliche lucane? Conosco amministratori che già da qualche anno lavorano nella direzione della digitalizzazione, della gestione dei dati e delle procedure in maniera aperta e trasparente, ne conosco altri che rimangono profondi fautori del fax. La situazione è varia e variegata ed è in continua mutazione. C’è tanto da fare ma tanto si sta facendo. A livello regionale si è riusciti a dare una bella smossa, adesso le amministrazioni locali dovranno iniziare a volare con le loro ali e lo faranno con una marcia in più, quella della rete dei Digital Champion. Riccardo Luna è il Digital Champion nominato dal Governo Italiano, tu sei il Digital Champion di Melfi. Chi è e cosa fa un campione digitale? Il Digital Champion è una carica istituita

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Condividi? L’affermazione è assolutamente condivisibile. Altri dicono che il petrolio dell’Italia è la cultura. Io dico che se questo parallelismo serve a far capire che bisogna rimboccarsi le maniche e usare gli strumenti che abbiamo a disposizione per migliorare il mondo, allora non abbiamo più neanche un minuto da attendere. Internet e la cultura sono elementi ben più rivoluzionari del petrolio. Internet e la cultura dell’innovazione sono mirabolanti agevolatori del cambiamento. Nostro compito è comprenderne le potenzialità per usarle al meglio. Io azzarderei un altro sillogismo: Internet è come l’acqua, l’acqua è un bene comune. A voi le conclusioni.

dall’Unione Europea nel 2012. È un ambasciatore dell’innovazione. Ogni Paese ne ha uno, con il compito di rendere i propri cittadini “digitali”. Il Digital Champion non è retribuito, non ha staff e non ha budget. Ma ciò nonostante in molti Paesi europei i Digital Champion stanno riuscendo a portare a segno risultati molto importanti creando reti di persone attorno a progetti di alfabetizzazione digitale. Svolgono anche un ruolo di stimolo nei confronti del Governo e di raccordo in sede europea. I Digital Champion italiani avranno tre obiettivi: 1) dovranno essere una sorta di help desk per gli amministratori pubblici sui temi del digitale; 2) dovranno muoversi come difensori del cittadino in caso di assenza di banda larga, wifi ed altri diritti negati; 3) dovranno promuovere, anche con il ricorso al crowdfunding, progetti di alfabetizzazione digitale, dai bambini ai nonni. Questa è la definizione ufficiale di quello che facciamo e dovremmo fare. L’idea di nominare 8000 Digital Champion, uno per ogni comune italiano, è stato davvero un colpo di genio perché ha consentito a noi, che sui territori già da tempo ci spendevamo per la causa dell’innovazione e del digitale, di posizionarci diversamente e di avere una copertura ufficiale. Alle volte una spilletta non fa la differenza ma ti rende più credibile agli occhi di chi cerca una conferma formale. Riccardo Luna, a Potenza per Go On Basilicata, ha dichiarato che il vero petrolio del 21° secolo è Internet.

Lavoro e tecnologia: vantaggi e svantaggi. Lavoro e tecnologia vanno di pari passo. La tecnologia sta cambiando il mondo del lavoro che non esiste più come lo conoscevamo fino a qualche anno fa, e ne stanno prendendo tutti consapevolezza. Arriverà il momento in cui il vecchio fattore di produzione non costituirà più un peso per tanti lavoratori, una forma di alienazione come nelle catene di montaggio che purtroppo ancora esistono. L’uomo nella sua bellezza e concretezza dovrà essere libero di creare, vivere una vita in cui anche la fatica fisica sarà un ricordo lontano o meglio sarà qualcosa da poter scegliere volontariamente. L’homo digital sapiens ha la possibilità e dovrà avere la forza di immaginare e realizzare un mondo in cui cultura e libertà siano accessibili a tutti, sempre. La partecipazione legata alle iniziative del Comitato Matera 2019 e di Go On Basilicata è evidente. Verso quale racconto collettivo è indirizzata ora la Basilicata? Ogni giorno che passa mi rendo conto di quanto la nostra sia una comunità unita e coesa quando ci sono obiettivi chiari e condivisibili da raggiungere. Nella prima risposta di questa intervista ti ho detto che appena ho accettato di coordinare Go On Basilicata ho pensato di aver fatto una cazzata. Un secondo dopo, lucidamente, ho realizzato di avere intorno una comunità straordinaria che si è dimostrata tale. Il prossimo racconto collettivo dovrà essere quello di una tribù che potrà qualificarsi come punto di riferimento per l’intero bacino del Mediterraneo partendo dalle esperienze di Pitagora e Orazio. A noi toccherà immaginarlo, alla politica ed alle imprese interpretarlo, agli amministratori trovare gli strumenti giusti per attivarlo. Se mi consenti vorrei chiudere con una autocitazione (senza il rischio di sembrare autoreferenziale e con la convinzione che facciamo tutti parte di una grande ed insostituibile intelligenza collettiva): “Ogni giorno un’idea si sveglia e sa che dovrà essere brillante se vorrà illuminare il futuro”.

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E P I S T E M E

Similes cum similibus... Leonardo CLAPS

alle nostre parti c'è un proverbio che in dialetto dice: lu puorc' quann' s'assogli vai mbacci a l'at' puorc, che tradotto significa: il maiale, quando viene sciolto, va dall'altro maiale. Il senso generale di questo detto è abbastanza facile da capire: ognuno frequenta chi gli assomiglia. In latino abbiamo asinum asinus fricat che tradotto vuol dire: l'asino si frega con l'altro asino. Da noi questo è rimasto in dialetto: ciucci cu ciucci s' gratt-n'. In questa stessa vena abbiamo il famoso detto: similes cum similibus facillime congregantur, che significa: i simili si aggregano fra di loro con molta facilità. Questo detto, però, aggiunge qualcosa al senso generale dei detti sopra riportati. Per ora è utile concentrare la nostra attenzione sul primo detto perché, anche se ovvio come gli altri, merita un approfondimento. Ovviamente, all'inizio dobbiamo immaginare un maiale che è legato e che dopo è sciolto. Se è legato vuol dire che il suo raggio d'azione è molto limitato, non può

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andare dove vuole, non può muoversi a piacere, non è libero. Non si può biasimare. Questo si capisce da sé. Il proverbio dice cosa accade quando il maiale viene sciolto. Allora si dovrebbe pensare che non ha più vincoli, che può muoversi come vuole, che può andare dove gli piace. Cosa accade, stando al proverbio? Accade che, nonostante la sua libertà d'azione, il maiale va dal suo simile. Strano. Infatti, potremmo pensare che una volta sciolto potrebbe esplorare l'ambiente che lo circonda, potrebbe vedere cosa c'è in giro. Potrebbe conoscere altri animali, come ad esempio le pecore, un gatto, un cane, una gallina. Invece no. Va da chi è come lui. Proprio ora che è libero! Allora, cosa significa questo proverbio? A questo punto dovrebbe esser chiaro: una natura inferiore, un maiale per l'appunto, anche se libero cerca sempre la compagnia del suo simile. Non è questione di libertà ma di condizione soggettiva. Ed è questa condizione che decide le relazioni, non i vincoli o la libertà. Il secondo detto che abbiamo riportato

all'inizio significa la stessa cosa, l'incontro fra simili, che appare intimo, dato che si parla di sfregamento. La stessa cosa vuol dire il terzo detto riportato, ma questo, come già accennato, merita un approfondimento particolare. Similes cum similibus: i simili fra loro; facillime congregantur: si aggregano con molta facilità. Qual è la particolarità di questo detto rispetto agli altri due? Il significato generale è lo stesso ma qui troviamo un'aggiunta, l'avverbio latino facillime. “Facillime” è superlativo di “facile” e quindi significa “molto facilmente”. Una volta in italiano si diceva “facilissimamente”, la traduzione letterale dell'avverbio latino. Perché questa precisazione? Perché la rilevanza decisiva di quel “facillime”? I simili si aggregano fra di loro. Va bene, questo si è capito anche dagli altri due detti. Allora perché aggiungere “molto facilmente”? É bene chiarire che questo detto, come gli altri due, ha ovviamente una portata descrittiva e non prescrittiva. Infatti tutti e tre descrivono un dato di fatto, ci dicono


che le cose stanno in un certo modo. Non sono prescrittivi, cioè non ci dicono come le cose dovrebbero stare. E noi, quindi, siamo invitati a prendere atto di questo fatto della vita. Si può intendere “i simili” in senso negativo o in senso positivo. Nel primo caso abbiamo i soggetti inferiori, più o meno rozzi, poco evoluti; nel secondo caso abbiamo i soggetti più o meno buoni, con qualità apprezzabili, abbastanza evoluti. La regola vale in tutti e due i casi: i simili si riuniscono con molta facilità. Cosa significa “facile”? Questa parola deriva dal latino “facilis”, che a sua volta deriva dal verbo “facere”, in italiano “fare”, e vuol dire: ciò che si può fare agevolmente, senza grande sforzo o abilità. Per ritornare al detto, i simili, sia in senso negativo sia in senso positivo, si aggregano fra loro agevolmente, senza grandi sforzi o abilità. Ma il detto in esame aggiunge facillime, cioè “con estrema facilità”. C'è forse qualcosa di male in questo? Vediamo. Se i simili si aggregano fra loro con estre-

ma facilità, senza sforzo, questo vuol dire che gli incontri, le relazioni sono caratterizzate da un unico e medesimo tema: la ripetizione dell'uguale. Questo comporta, è ovvio, un certo immobilismo. L'uno si ritrova nell'altro, ma l'altro, in quanto simile, non si può dire veramente altro. C'è in questo una circolarità che sicuramente non è evolutiva. La vita è nella sua essenza diversità, molteplicità, complessità. Se uno si ritrova costantemente solo in chi gli è simile allora non può che limitarsi e ridursi in una ripetizione monotona, stagnante. Dunque, le relazioni che vogliono essere significative, se davvero ambiscono ad esser tali, richiedono qualche modalità di sforzo, di impegno. Il maiale sciolto, finalmente libero non cerca l'altro ma il simile, cioè sé stesso, comportamento indice di una soggettività monca, incapace di porsi come vero io. Perché l'io è davvero sostanziale quando è capace di autentica relazione, e relazione autentica significa entrare in rapporto. Entrare in rapporto significa impegno,

anche sforzo, perché l'altro, in quanto davvero altro, si pone come una specie di resistenza. In questa resistenza l'io è costretto a mettere alla prova la sua condizione, la sua idiosincrasia, il suo limite. Deve riconoscere l'altro in quanto altro. Se riesce a fare questo allora prende coscienza di sé. Tutto ciò non è facile, soprattutto per quelle persone che sono ottusamente rannicchiate in sé stesse. Lo sforzo nell'incontro con l'altro è soprattutto uno sforzo cognitivo, che mira alla comprensione della diversità dell'altro. In un senso elevato è anche sforzo umano, rispetto della particolare diversità dell'altro, rispetto che è alla base incontro inverante. L'io che comunque ed ovunque rimane sé stesso è un io condannato ad illudersi di un'identità astratta. È questa un'identità malata, perché prevale in modo massiccio solo ed esclusivamente il sé stesso, cioè il sé che è lo stesso, identico. Qui identità significa che è sempre lo stesso sé che si perpetua. Ma l'identità concreta ed autentica è un'altra faccenda.

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E U R E K A

LA VITIVINICOLTUR TRA PASSATO E F

Ettore BOVE

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a Terra di Pietragalla – si legge nella relazione curata, nel lontano 1736, dall’avvocato fiscalista materano Gaudioso, sulle condizioni della Basilicata agli inizi della dominazione borbonica – viene abitata dal numero di 2200 cittadini quasi tutti inclinati alle fatiche della campagna nel coltivare i terreni e vigne, giacché pochi sono quelli che vivono colle industrie de’ bestiami”. E’, questa, la visione d’insie-

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me degli orientamenti produttivi che gli amministratori di Pietragalla, la già “Mons Pietrogualdo”, annotano, quando, quasi tre secoli fa, Carlo III, appena incoronato, visita, sia pure di sfuggita, la Basilicata. Nella Basilicata borbonica, dunque, la coltivazione della vite occupa una posizione di rilievo nella piccola comunità della montagna potentina. E’, perciò, verosimile che a quei tempi Pietragalla abbia rappresentato,


A DI PIETRAGALLA UTURO

in rapporto alla popolazione presente, il mercato vinicolo più importante al di fuori della tradizionale area viticola del Vulture. Ciò non deve sorprendere poiché il territorio comunale, ricadendo nella zona centrale dell’Unità paesaggistica individuata, da Boenzi e Giuralongo, come “Montagna appenninica esterna”, segna, sotto il profilo ambientale, il passaggio dalla montagna interna, che per limiti altimetrici non è pro-

prio adatta ad ospitare vigneti, alla vasta realtà collinare (Avanfossa bradanica), in cui la vite trova areali sicuramente più favorevoli. In questa zona di transizione geografica, la coltura si localizzava, ai tempi dell’inchiesta voluta dalla corona spagnola, ad Est del centro abitato, occupando, a partire dai 700 m, giù verso “Scappai” e “Scandizza”, in direzione di Acerenza e di Oppido Lucano, soprattutto le superfici lungo i pendii che

portano ai torrenti “Rosso” e “Alvo”. In effetti, ai tempi della relazione Gaudioso, la coltivazione della vite era riuscita a ritagliarsi, nel contesto agricolo locale, uno spazio non conflittuale con la nobiltà terriera, sempre di stampo feudale, interessata alla rendita granaria. Così, nelle destinazioni d’uso del suolo dell’epoca, mentre la cerealicoltura e il bosco si trovano ad occupare le superfici poste a quote elevate, la viticoltura rimane

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E U R E K A confinata alle falde del centro abitato. L’uva, trasportata da animali, saliva in paese per essere vinificata nelle grotte (rutt), le cantine, ricavate al di sotto del livello stradale, esposte a Nord del centro abitato. Un secolo dopo, il carattere della filiera vitivinicola muta profondamente, poiché sulla scarsità di terra coltivabile e di spazi abitativi si fa sentire la pressione di una popolazione crescente. Occorre sottolineare che nel periodo successivo alla presenza francese di inizio Ottocento in terra di Basilicata, Pietragalla si ritrova con oltre il doppio degli abitanti rispetto a quelli censiti al tempo dei borboni. In questo contesto demografico matura, sicuramente, l’idea di individuare spazi alternativi alle tradizionali cantine per la vinificazione delle uve. A testimoniare gli avvenimenti di quel periodo storico, rimangono gli oltre 200 “palmenti”, i suggestivi manufatti costituiti da almeno due vasche scavate nella roccia tufacea. Localizzato al di sopra della zona dei vigneti, attorno ad una quota di 800 m, questo piccolo patrimonio di archeologia vinicola, in parte attivo fino a qualche decennio addietro, si eleva a segnalare l’esistenza di un passato in cui si utilizzavano “tini ipogei” nei processi di vinificazione. Occorre tener presente che la dimensione media delle vasche di fermentazione porta a fissare in non meno di cinquemila ettolitri di vino la capacità produttiva di questo complesso di cantine interrate realizzate seguendo accorgimenti costruttivi par-

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ticolari. Terminata la fermentazione, il vino veniva trasportato più su, nel rione delle cantine, e conservato in botti, di “legno di quercia cerchiati”, confezionate da artigiani locali. La pulizia di questi vasi vinari era affidata ai bambini, spesso anche bambine, che per la loro esile corporatura riuscivano ad entrare all’interno delle botti, attraverso la piccola finestra frontale, per rimuovere il tartaro dalle toghe. Nel periodo postunitario la viticoltura pietragallese raggiunge quasi sicuramente il massimo dello sviluppo sia sotto il profilo qualitativo che quantitativo. Alla mostra enologica del 1887 organizzata a Potenza, i vini dei De Bonis, proprietari, tra l’altro, di vigneti nelle contrade di “Mancinella” e di “Fiume Rosso”, ricevono importanti riconoscimenti (Medaglia d’argento). E’ probabile che la contrada “Fiume Rosso” sia il luogo di localizzazione dei vigneti in cui, come nota Lenormant, nei suoi appunti di viaggio, si nascosero gli acheruntini accorsi in aiuto dei pietragallesi assediati dalle truppe di Borjès nell’autunno del 1861. Nell’occasione della mostra emerge che tra i vitigni coltivati nelle contrade di Pietragalla “l’Aglianico” dà il vino migliore. Per contro, l’indimenticabile vitigno autoctono “Colatamburro” risulta il più produttivo. Di rilievo rimangono le segnalazioni che riguardano un vino “Zagarase” di 14°, espressione dei terreni calcareo-argillosi di “Mancinella”, e di un moscato di 13°. Si dà


anche notizia dell’introduzione del “Malbec” e del “Pineau” e della presenza del “S. Giovese”. All’epoca della mostra enologica, le stime indicano una superficie vitata di 200 ettari e una produzione media di appena 25 ettolitri per ettaro. Con questi livelli di produttività, tuttavia, la vitivinicoltura pietragallese risultava altamente remunerativa poiché il prezzo di mercato del vino superava di ben due volte e mezzo il costo di produzione. In relazione ai dati produttivi presentati alla mostra di Potenza, l’offerta annuale di vino doveva mediamente aggirarsi sui 5 mila ettolitri, pari, grosso modo, alla capacità di lavorazione dei palmenti presenti. Non si va molto lontano dalla realtà se si sostiene, ponendo attenzione sui consumi pro-capite, che di questa produzione di vino almeno un terzo era destinata alla popolazione dei paesi vicini. Mezzo secolo dopo i lusinghieri riconoscimenti ricevuti a Potenza, la situazione della vitivinicoltura pietragallese si presenta abbastanza cambiata. Dai dati del Catasto Agrario del 1929 emerge un forte restringimento della base produttiva poiché dei 200 ettari segnalati alla fine dell’Ottocento, i rilevatori ne registrano meno della metà, di cui 2/3 in coltura specializzata e 1/3 in consociazione con l’olivo. E’ indubbio che su questo processo involutivo della filiera vitivinicola influiscono, sovrapponendosi, la fillossera e l’emigrazione. Non risultano, invece, cam-

biate le rese unitarie e i luoghi di coltivazione della vite. I dati del Catasto rilevano altresì, per la prima volta, la presenza di canneti che in termini di superficie ragguagliata dovevano occupare ben 20 ettari. Presente un po’ dappertutto nella tradizionale area viticola, questa pianta spontanea trova tuttora utilizzazione come sostegno alla vite che all’epoca dei dati catastali veniva allevata alla “latina”. Non meno importante risulta il dato che vede la presenza di oltre mille equini, corrispondente ad un capo a famiglia, gran parte dei quali utilizzati per il trasporto dell’uva ai palmenti e del vino alle cantine. Nel dopoguerra l’attività vitivinicola si mantiene sempre più lontana dai livelli raggiunti nei decenni precedenti poiché scompaiono dal panorama produttivo intere aree viticole, diversi palmenti e molte cantine. I viticoltori più anziani, tuttavia, sostengono che quelli non rappresentano anni di crisi in quanto l’apprezzamento del vino di Pietragalla da parte degli aviglianesi contribuiva a non far cadere la domanda. In effetti, è ancora vivo tra la gente il ricordo degli aviglianesi che arrivavano a Pietragalla a dorso di asino per poi ritornare con i barili pieni di vino. Di tutto questo rimane ben poco. Una trentina di anni fa sono abbandonati gli ultimi palmenti e chiuse le cantine. Resistono ai cambiamenti del mercato solo alcuni residui di vigneti in cui fa ancora bella mostra il pregiato “Colatammuro” (Colatamburro), magari quello a bacca bianca, da

molti ritenuto estinto. Comunque, di certo esistono margini per recuperare almeno un pezzo di questa particolare filiera che organizzata su tre livelli trova nei palmenti il principale punto di attrazione. La bella ricostruzione filmata, realizzata da Giovanni Lancillotti qualche anno addietro, non deve diventare un fatto episodico ma in evento da collocare in un contesto di recupero integrato non solo della vecchia attività vitivinicola, ma anche quella gastronomica che trova nella tradizionale salsiccia pietragallese un ulteriore punto di riferimento. L’interessante itinerario individuato dalla Pro-Loco, invece, andrebbe adattato ai caratteri evolutivi della filiera. In tal caso, la zona dei vigneti, che rappresenta poca cosa rispetto ai circa 6.600 ettari di superfice territoriale, diventerebbe il punto di partenza e la tortuosa strada statale 169 il tratto da percorrere per arrivare dapprima ai locali di vinificazione (palmenti) e, successivamente, proseguire verso i luoghi di conservazione del vino (cantine). Si ritiene, però, che questa proposta possa trovare una sua giustificazione solo se si affrontano prima i problemi della cartellonistica e dell’inventario dei palmenti e del censimento delle cantine. In tal caso non sarebbe male coinvolgere i ragazzi della scuola dell’obbligo in un tentativo che deve portare a dare un nome a queste vecchie, ma sempre affascinanti strutture di vinificazione.

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L'ultimo canto Prima di tutti noi avevi regalato alla canzone del Sud la piena cittadinanza mediterranea, ciao Pino [Gennaro Della Volpe, in arte “Raiz”] Arsenio D’AMATO

e montagne che, tutt’attorno, circondano la vallata, e ne caratterizzano il profilo, proteggono l’orizzonte e confezionano una sorta di catino vuoto. Da riempire di storie. Da sfruttare. Da abitare. Le risorse, però, sono così esigue che è inevitabile chiedersi se, nel bacino, valga la pena viverci. Qualche paese è arroccato in cima a una collina a ricordare tempi più prosperi. Quelli di quando c’era da difendersi da antichi invasori. Nell’odierna valle il paese capofila ha smarrito il tribunale. Un’altra illustre cittadina non ha perduto del tutto l’ospedale, ma è come se non ci fosse. In tanti hanno dissipato la speranza, le politiche locali hanno perso la faccia e tutti abbiamo perso la rotta. Recriminiamo e ci ruotiamo, un po’ asfissiati, nel famoso catino, dove un tempo

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E U R E K A ci si raccontavano molte storie. Scrivere una storia, quindi, è come salvarla, che – a raccontarla – nessuno l’ascolterebbe. Miti e leggende, favole e filastrocche, ninnenanne e canzoni: sono tanti i modi di narrare e di raccontarci. La narrazione accomuna tutti in ogni latitudine; si racconta sempre, a partire da quella che è stata la nostra giornata. Raccontare storie non è solo questione di parole, ma è anche mettere insieme immagini, musica, gesti, emozioni in una trama da cui viene fuori un tessuto che connette le persone tra loro e in cui ciascuno entra e trova il suo filo. Ho vissuto, da bambino, quelli che, nella valle-catino, chiamiamo “cunti”. Ricordo il rituale attorno ad un fuoco acceso, d’inverno, o sull’uscio di casa nelle calde sere d’estate. Ricordo la disponibilità di mio nonno fabulante che, con i suoi racconti perpetuati attraverso l’oralità, accendeva in me emozioni e fantasie. Io non possiedo tutte le doti del grande affabulatore, ma non posso non salvare – scrivendola – questa piccola grande storia che parla dell’incontro con un artista vero che, col fascino avvolgente delle sue parole e della sua musica, con la sua arte, con la sua creatività e il suo attaccamento alla Lucania mi ha sempre affascinato e mi ha fatto provare dolore per la sua definitiva uscita di scena, più di quanto chiunque, lui per primo, avrebbe immaginato. Non so perché ma, da quando ho saputo della morte di Mango, nella mente, canticchio alcune sue canzoni, mentre mi faccio la barba, mentre sto al computer e cosi per il resto della giornata. Su tutte la prima che ricordo è Lei verrà. Una canzone della mia adolescenza. Di quando Mango veniva nella valle. Di quando veniva proprio al mio paese, a Sant’Arsenio. In uno dei più piccoli paesi della valle-catino c’era un negozio di strumenti musicali che Mango frequentava. Io, a quel tempo, non l’ho mai visto, ma si diceva. Ed era vero. La valle è una zona di frontiera e buona parte dei paesi lucani di confine, isolati dal mondo, da sempre, si sono serviti delle sue pur limitate risorse.

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Non ero un suo fan accanito, ma nemmeno un detrattore, anzi. Mi piaceva la voce, meno lo stile delle pettinature, ma ero innamorato della sua semplicità e della sua lucanità. Oro e Bella d’estate fanno capolino da tutte le radio e Retequattro, stanotte, trasmette tutti i suoi passaggi televisivi. Lo guardo, lo rivedo e mi rendo conto, dalle varie mode e dalle diverse fogge e acconciature che, praticamente, me lo ricordo da sempre. Mi scopro, con meraviglia, un esperto conoscitore di molte sue canzoni. Non conosco solo i ritornelli ma, interi pezzi dei suoi testi. Non al punto da mandarli a memoria, ma abbastanza da duettare metaforicamente con lui. La sua è stata una carriera spesso sottotraccia, vissuta inseguendo una strada personale e mai scontata. Possibilmente poco battuta e pazienza se negli anni la popolarità era un po’ scesa. Resta la vocalità particolare di uno che ha sdoganato l'uso del falsetto ben prima di Thom Yorke o Chris Martin. Resta l’arte d'aver mescolato la melodia italiana con suoni di matrice anglosassone e aver creato un pop d'autore commerciale, ma non banale, anche avvalendosi di collaboratori internazionali di prima classe. È stato un grande innovatore. Io l’avevo conosciuto di persona all’apice della sua notorietà. Appena dopo l’uscita di Sirtaki il suo lavoro più bello, quello più Mediterraneo. All’epoca la mia valle-catino era ancora verde. Avevamo deputati e senatori, ospedali all’altezza e tribunali, ma soprattutto avevamo il Centro Sportivo Meridionale di Camerino di San Rufo. Una cattedrale nel deserto, un mausoleo del Partito Socialista Italiano. Ebbene a San Rufo, in un altro piccolo paese della valle-catino, in quel Centro Sportivo, c’era un palazzetto sovradimensionato per il posto ma idoneo per simulare un grosso concerto e, soprattutto, non lontano da Lagonegro. Mango lo aveva fittato per provare, nei minimi dettagli, lo spettacolo del suo nuovo tour. Nulla doveva essere lasciato al caso e così fu montato il palco, le casse e tutto quanto. All’epoca, coi miei amici, andavamo lì, sul parquet, a giocare a

calcetto una volta a settimana, ma, a causa delle prove, ci fu comunicato dalla direzione che, per un mesetto, il palazzetto era out e che tutte le prenotazioni erano, pertanto, annullate. Delusi cercammo, senza successo, un altro posto per le nostre partite. Una mattina, fortuitamente, ci arrivò la voce che le prove si svolgevano di sera tardi e fino a notte fonda. Il sito, ovviamente, era off limits. Non era possibile assistere a quelle prove, ma la nostra curiosità, mista alla genuina sfacciataggine dei nostri vent’anni, ci portò a tentare. Arrivati lì, trovammo, come si supponeva, tutto chiuso, ma le luci erano ben visibili dall’esterno e la musica assordante. Il cancello grande era chiuso, ma dai botteghini del campo sportivo sarebbe stato facile saltare. Lasciammo la mia Renault 4 nel parcheggio dello stadio di calcio, scavalcammo agilmente il muro con la rete di fianco alle biglietterie e risalimmo per il percorso sopraelevato che portava agli spalti. In pratica le gradinate del palazzetto dello sport e la grande tribuna coperta dello stadio erano a spalla a spalla ed erano divise da enormi vetrate. Da una porta, sempre aperta, di quelle invetriate entrammo furtivi. Ci sedemmo su in alto e ascoltammo quelle prove. Eravamo in tre, in un posto non illuminato e nessuno ci vide. Era bello seguire dal vivo quello strano modo di fare musica. Che stavano costruendo uno spettacolo ed era divertente ascoltare l’incipit di un pezzo per una decina di volte, prima che si mettessero d’accordo sul tipo di suono e sulle prevalenze e gli assoli di uno strumento o di un altro. Mango era un professionista preciso e metodico, suo fratello Armando un perfezionista nevrotico e Graziano Accinni, il chitarrista, un mostro mitologico. Dopo un paio d’ore, esausti e rincoglioniti dagli stessi accordi ascoltati di continuo, tornammo a casa. La notizia delle prove subito si sparse e, si sparse così bene, che la sera successiva eravamo in otto e poi, in quella dopo, addirittura in quindici. Logico che ci sgamassero e, ancor più normale, che ci vedessero. Gli accendini e i mozziconi di sigaretta accesi attirarono l’attenzione


di Armando, il fratello di Mango, che, prima bloccò tutto, poi fece accendere le luci e, in fine, ci cacciò via perché, a suo dire, davamo fastidio al regolare svolgimento delle prove. La familiarità del luogo ci proteggeva. Loro, al contrario, temevano per strumentazioni e mezzi dispiegati. Non sapevano che, nonostante fossimo nominalmente in Campania, nella valle-catino, eravamo messi male quanto a maleducazione o predisposizione alla delinquenza… eravamo più o meno, tranquilli come loro. Promettemmo di restare muti e invisibili, ma non ci fu nulla da fare. Quello si mise a urlare, attirando l’attenzione del fratello. Mango scese dal palco, risalì le gradinate e venne su a calmare le acque con la sua straordinaria sensibilità. "Ciao ragazzi! Tranquilli è tutto okay" ci disse Pino, prendendo sottobraccio suo fratello. Guardò la mia maglietta nera coi 4 Pistols, sorrise, e si allontanò di qualche passo. Poi si fermò e, voltandosi, ci fece cenno che potevamo pure avvicinarci se volevamo. Il cantante delicato ed elegante, così come appariva in televisione, ci venne in aiuto, scherzò col fratello e ci fece rimanere. Con enorme stupore, compresi che era entrato dritto dritto nel mio cuore. Non si può non voler bene a uno così. Famoso pure per giunta. Quel gesto, vissuto a vent'anni, ti segna per il resto della vita e, di fronte ad altri personaggi, più o meno famosi, tante volte mi sono trovato, in seguito, a fare paragoni. Solo una cosa: non mi piacevano i Sex Pistols, ma la maglietta faceva figo e, averla scambiata con una maglia del Liverpool mi faceva sentire internazionale. Ci voleva ben altro, tuttavia, nel catino per apparire differente. Pino Mango, oltre a farci restare, ci chiese di ascoltare bene le canzoni e magari dare un giudizio sulla trasposizione live. Da quel momento lo ritenni uno giusto. Uno di spessore. Un grande artista. Un vero uomo che non sapeva solo cantare ma sapeva anche parlare bene perché aveva bei pensieri. Il fascino stecchisce chiunque. Nessuno poteva sapere che quel tour e quel disco sareb-

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bero stati un grande successo. Le nostre serate e molte notti passarono così. Ci divertivamo e, dopo le prove, ci dedicavano pure qualche brano su richiesta. Graziano Accinni con la sua chitarra ci estasiava coi Deep Purple o i Dire Straits, ma nel cuore di Mango battevano i miti di sempre, da Aretha Franklin ai Beatles, da David Bowie e Peter Gabriel ai Led Zeppelin che lui faceva rivivere in gorgheggi ed evoluzioni canore in quelle esibizioni per pochi intimi alla fine del lavoro di prova. Peccato che, all’epoca, non ci fossero i tanti supporti digitali di oggi che avrebbero, chissà, permesso di scrivere meglio una storia come questa. But don’t lament. Vado a memoria e ricordo che, l’ultima sera, dopo lo show provato per intero, senza divagazioni, Mango ci chiese un parere. Che dire? La poesia è un'arte che si può trasformare in musica, e viceversa. Nel senso che poesia e musica sono sentimento allo stato puro, ma a noi piaceva di più il dopo-prove e lo confessammo candidamente, così come io, con faccia tosta, mista alla genuina sfacciataggine dei miei vent’anni, ammisi di non avere nessuno dei suoi dischi. Quella familiarità, avvolgendomi, confortava i miei piccoli e lenti gesti, ma non dissi il vero poiché una cassetta, nella Renault 4, l’avevo e amavo le sue vecchie canzoni da La mia ragazza è un gran caldo a Tu pioggia io mattino, da Fili d’aria a Quasi amore ed ancora da Una danza a Lei verrà, canzone bellissima. Che ancora oggi canticchio. Lui, da una sacca di pelle nera, prese un CD, lo aprì, tirò fuori il libretto dei testi, mi chiese il nome e scrisse, con una Bic blu, “X Arsenio Con simpatia. Mango”. I miei amici, stupiti, chiesero la loro copia, ma non ne aveva più e si dovettero accontentare dell’autografo su una cartolina. Graziano Accinni, mostruoso chitarrista, acclamato un’ultima volta da una decina di ventenni, ci regalò una sua personalissima versione di Smoke on the Water, che Mango ascoltò con noi. Prima di congedarsi ci offrì dello spumante e poi disse: “Scusate…”. E se ne andò, facendo ciao con la mano. Per noi fu un’uscita da applausi, ma la sua idea di “rockstar” era puramente aleatoria: un luogo comune. Mango ha, poi, realizzato canzoni molto belle e brani per nulla indimenticabili, ma non ha mai smarrito un’idea molto personale e mai tronfia di musica. E’ stato un artista molto mediterraneo e poco italiano. Ha vissuto l’apice del successo nella seconda metà degli Ottanta e nella prima dei Novanta, ma anche le sue opere più recenti raggiungevano il disco d’oro. Per uno stile alquanto unico, con quella voce sussurrata con discrezione, che emanava delicatezza e una singolare eleganza. Assai discreto, non sempre era ripagato con la stessa moneta. Dopo il Duemila, in una delle sue ricorrenti visite alla valle-catino, caso della sorte, venne a fare shopping in un centro commerciale dove io all’epoca lavoravo come dirigente aziendale. Lo vedemmo dai monitor della

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sicurezza. Era con la moglie e aveva un cappotto scuro e un pantalone verde militare infilato in grossi anfibi marroni. Non feci in tempo a osservarlo nello schermo che il collega al mio fianco, tramite il microfono degli annunci, gli aveva augurato il benvenuto e una buona sosta nell’ipermercato. Non concordavo e non mi resi complice con un sorriso di circostanza. Che figura. Come se non bastasse, il mio compagno di lavoro piombò in sala per un saluto, trascinandomi con sé, sostenendo di conoscerlo di persona. Una volta al cospetto del cantante, dopo un freddo saluto di rito, gli illustrò chi fosse e come si conoscevano. Franco, il mio collega, gli cominciò a dire che aveva vissuto a Lagonegro da bambino. Mango lo guardava con aria interrogativa. Lui, continuò dicendo che si ricordava benissimo la casa dove Mango abitava. Una casa con una scala davanti, quattro o cinque scalini al massimo, e poi un grande portone. Nel tentativo, sempre più goffo, di farsi riconoscere cominciò a nominare una serie di abitanti del paese e, in ultimo, gli disse anche di conoscere suo padre, mastro Filippo. Mango, abbastanza imbarazzato e anche dispiaciuto, gli disse che conosceva luoghi e persone in comune, ma non si ricordava per niente di lui. Era un illuso, il mio collega, un ingenuo, una vittima del desiderio di visibilità. Quell'incontro, ovviamente, non poteva che svolgersi lì, fra scatole di pomodori e pacchi di pasta, in un luogo sospeso, fuori dal tempo, come un ipermercato nella valle-catino. Per spezzare quell’impasse e sdrammatizzare gli ricordai del Centro Sportivo Meridionale, delle prove e del disco autografato. Lui sorrise. Dopo dieci anni non si rammentava probabilmente di me, ma rimarcò la tenacia, l’amore per la musica e il sacrificio di quei ragazzi che eravamo noi. Ma tanto io lo sapevo che era uno giusto. Uno di spessore. Un grande artista. Un uomo che non dimenticava situazioni e contesti. Si chiamava Giuseppe Mango, ma era conosciuto semplicemente come Mango. Era nato a Lagonegro, sull’Appennino lucano, nel novembre di

sessant’anni fa ed è morto per infarto a dicembre, il sette, sul palco di Policoro mentre teneva un concerto di beneficenza. La sua ultima esibizione resterà nel cuore di tutti, mentre cantava Oro, il suo ultimo canto, brano scritto con Mogol che tanto l’ha contraddistinto in questi anni. E’ volato via nella sua Lucania, un cantante elegante e delicato che ha attraversato, con i suoi successi, in punta di piedi, la musica leggera italiana. È morto in Basilicata, terra che tanto portava nel cuore. Nato sugli Appennini, dove peraltro ha sempre vissuto, si è spento sulle sponde joniche della Magna Grecia, sul Mediterraneo che amava e cantava. Non lo rivedremo più in questa sorta di catino sempre più vuoto, ma lo ringrazio di avermi dato modo di raccontare una storia. Di aver dimostrato, restando nella sua terra natia che, anche se le risorse sono esigue, vale sempre la pena restare. Che scrivere una storia è come salvarla, che a raccontarla nessuno l’ascolterebbe. Ivan Graziani, che in Mango ha creduto prima di altri, amava ripetere che “un chitarrista deve morire sul palco, davanti alla sua gente”. Mango l’ha fatto davvero. E adesso manca più di quanto tutti, lui per primo, avrebbero immaginato. Era seduto davanti al piano, con la sua idea di “rockstar” puramente aleatoria. Stava per cantare Oro. Affrontando, mite, il suo ultimo canto, quello meno lucente, ma il più dolente, ha detto “Scusate”, ha alzato il braccio ed è volato via. Adesso, come per incanto, il suo pubblico si è moltiplicato, ma è immerso in un silenzio irreale. Nell'aria solo l'eco di una musica lontana. Sempre più lontana. E che profuma di Mediterraneo. Qui, nella valle-catino, c'è tutta la realtà e assieme tutta la favola, ma quel folletto non tornerà più a farci visita. Goodbye Pino. Voce nella voce. Luce nella luce. Pace nella pace. “…Illudermi trascurando quel lievissimo dolore Convincermi che in fondo non si muore…” [da “Il mare calmissimo” di Mango]


Una rondine andata via Marianna Gianna FERRENTI

n angelo con la voce di usignolo, la cui anima avrebbe di sicuro voluto raccontare tanto, è andato via, come una rondine nostalgica che si allontana lasciando un vuoto difficilmente colmabile in chi lo ha amato, professionalmente e umanamente, ma che approda verso nuovi lidi, sereni, dove regna il sole. Un’anima che avrebbe voluto raccontare tanto all’Italia e, forse, al mondo intero; e tutti forse, avrebbero potuto apprezzare di più il suo talento, il suo rigore da musicista vero, da cantautore poetico e letterario. La scomparsa di Pino Mango ha sconvolto un’intera comunità lucana che, unanime, si è stretta attorno al suo artista. Si è spento in quell’amata terra che, nonostante il successo internazionale, non ha mai dimenticato. Riusciva sempre a trovare il tempo, in un intervallo tra un concerto e l’altro, per tornare nella sua amata Lagonegro per stare in famiglia, incontrare i propri cari e stare assieme ai propri amici. Mai una nota stonata contro le sue radici, sempre orgogliosamente rivendicate; le sue parole sono state sempre intrise di profonda stima nei confronti del suo popolo. I figli dell’artista, rispettivamente di 13 e 19 anni, hanno voluto esprimere un unico, sommesso commento: la volontà di proseguire l’opera intrapresa dal padre per portare avanti il messaggio autentico di vita che egli ha voluto sempre esprimere attraverso la sua musica. Si vocifera la possibile realizzazione in Basilicata di un concerto di beneficienza in suo onore, dato che il cantautore lagonegrese è sempre stato particolarmente incline a un aiuto verso i più deboli. Presenti ai funerali anche le massime istitu-

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zioni regionali tra cui, immancabile, il presidente Marcello Pittella. Ma in questo partèrre era presente soprattutto chi veramente lo ha amato; oltre naturalmente ai familiari, stretti in un intimo dolore, i suoi fan, i concittadini, gli irrinunciabili dei suoi concerti, coloro che con le sue canzoni si sono emozionati e, magari, anche innamorati, all’ascolto di un sibilo tanto robusto nella vocalità, quanto pungente nella sua sottile armoniosità. Ci ha colpito, quando lo abbiamo incontrato a Melfi, lo scorso mese di giugno, il suo entusiasmo coraggioso, l’autoironia e la spensieratezza che lo caratterizza, lo spirito di humour, la sua volontà di scherzare con tutti e di porsi con umiltà nei confronti dei suoi fan, inframezzata da una profonda vena colta che, tra una battuta e l’altra, si affacciava con preponderanza. E poi, quelle parole sagge, pronunciate nella nostra intervista, che suonano come uno sprono ai lucani a prendere coscienza delle proprie capacità e potenzialità, a non lasciarsi sopraffare dal pudore, mostrandosi per ciò che si è realmente. Un amore contraccambiato in modo profondo e viscerale, e per chi ha

fiducia nei disegni del fato, la Vita ha voluto riservargli una sorpresa che tornasse proprio qui, a riposare nel giaciglio dei suoi affetti d’origine, accanto a quel fratello, Giovanni, che ha voluto seguirlo per non lasciarlo più. Tra gli artisti presenti per l’ultimo saluto commosso l’autore Mogol, colui che lo ha apprezzato e lanciato nel panorama della musica italiana e internazionale, il compagno di numerose collaborazioni autoriali. Ci ha lasciato con un semplice “scusate”, degno della sua accorta reverenza nei confronti del pubblico, sulle note della canzone Oro, che con il suo candido e ambivalente splendore, racconta proprio l’essenza della vita, nella sua contraddittorietà. O forse sarà sempre con noi, e da lassù, nell’Olimpo divino della musica italiana, veglierà sui lucani e sugli italiani che lo hanno amato, ma com’era solito fare con la sua proverbiale e sensibile intelligenza, sorseggiando del buon vino, magari della nostra terra, con l’imperituro Fabrizio De Andrè, come presagito nel sogno raccontato, pochi istanti prima, sul palco del “Pala Ercole” di Policoro. E insieme non tramonteranno mai.

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Gli inizi e la carriera artistica ato il 6 novembre 1954 a Lagonegro, comune del potentino, vive con i suoi cinque fratelli e sorelle, in Basilicata dove muove i primi passi nella musica, intraprendendo anche gli studi di Sociologia presso l’Università di Salerno. Una passione colta e sofisticata quella per la musica che lo porterà alla scoperta di sonorità e ritmiche sempre nuove e composite che si adattassero al semi-farsetto; a un certo punto, inizia a comporre i suoi primi pezzi. Esordisce nel 1976 con l’album La mia ragazza è un gran caldo, poi il suo secondo lavoro Arlecchino e il terzo È pericoloso sporgersi; ma gli inizi sono in sordina, la strada è lunga e in salita, tant’è che a un certo punto sembra rinunciare al suo sogno per dedicarsi nuovamente agli studi accademici. Poi, quando tutto sembra finire l’evento tanto aspettato al punto da diventare inatteso quando ormai le speranze sembravano svanire nel fumo delle illusioni: l’incontro con Mogol, gli cambiò la vita. L’incontro con Mango, fu l’illuminazione, il lampo di genio, la spinta vitale per dare forma e colore alla vita. Dalla collaborazione con uno dei cantautori più prestigiosi nel panorama della musica italiana, con alle spalle una lunga esperienza con Battisti e nel cuore la volontà di trovare un suo degno erede. Nasce Oro, un singolo stupendo, che gioca sul filo di una sensualità ambivalente, feconda di spunti artistici e simbolismi che nell’immaginario collettivo potrebbero ricondurre alle virtuosità nobili dell’Art nouveau francese, sotto le note di una melodia degna della migliore tradizione italiana. Una sintesi fra tradizione e innovazione che è ben visibile nel video di Oro che si dipana tra ingenuità pura e sofisticata. La sua voce, inconfondibile, in semi-farsetto, accompagna ritmiche contaminate di sonorità estere. Comincia ad affacciarsi anche oltreoceano con la realizzazioni di collaborazioni in Australia, in America, ma vanta nel suo percorso artistico anche collaborazioni con artisti europei (in Germania, in Inghilterra), realizzando

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preziose chicche internazionali con nomi illustri nel panorama musicale mondiale quali Mel Gaynor (batterista dei Simple Minds) David Rhodes (chitarrista di Peter Gabriel) e Greg Walsh. Di qui, inizia il percorso che lo porterà a collaborazioni internazionali. Leggendo la biografia pubblicata sulla official page, sorprende, ma forse neanche troppo, quali fossero i suoi giovanili gusti musicali (Led Zeppeling, Deep Purple, Robert Plank, Aretha Franklin e Peter Gabriel), sofisticati, rock, attestanti la volontà di contaminazione di generi molto diversi fra loro ma attestanti vitalità. Tra i suoi successi, Lei verrà, Come Monna Lisa, Bella d’Estate, Nella mia città, Mediterraneo, Dove vai, Giulietta e naturalmente Oro, cantata sul palco di Policoro fino all’ultimo respiro e La rondine. Poi, l’ascesa e il riconoscimento dovuto, come citato, soprattutto grazie a Mogol, ma anche grazie a Mara Majonchi e Alberto Salerno che finalmente ne riconobbero lo speciale talento. La collaborazione con Scialpi, negli anni Settanta, ha lasciato il posto a un prezioso incontro, quello con Lucio Dalla, dalla cui fucina è scaturita la

meravigliosa Bella d’Estate da cui deriva l’Album Adesso. È l’inizio del trionfo europeo: Passa dalla partecipazione al Festival di Sanremo nel 1986, emblema del trionfo tradizionalista della Canzone Italiana, a incontri raffinati, come quello con Hierro y Fuego, pubblicando un album in spagnolo. In Italia non meno importanti sono le collaborazioni con Loretta Goggi, e l’avvicinamento alla musica partenopea. Non tutti forse hanno conosciuto il profilo del Mango poeta, introspettivo e nel contempo aperto alle più intime riflessioni da condividere con gli altri, attraverso la raccolta di 54 liriche. Fino ad arrivare all’ultimo album, L’amore è invisibile denso di arrangiamenti che ripercorrono la storia della musica italiana in una chiave di lettura musicale completamente nuova, con l’impronta della originalità che l’artista ha voluto conferire a brani nazionali e internazionali, confrontandosi con mostri sacri come, De Andrè, i Beatles, Pino Daniele, gli U2, Battisti e molti altri, in cui si erge prorompente la celebre Scrivimi di Nino Buoncore. Ed egli stava già lavorando, instancabilmente, a un nuovo album. ma.gi.fe.


Quell’occidentale imperfetto Gianpiero Francese ricorda Mango robabilmente è cosi. E’ come è già stato detto: Pino era un ponte tra oriente e occidente. Era un “occidentale imperfetto” e la sua voce ne era testimonianza. La sua figura quasi certamente si legherà a descrizioni di un mediterraneo bianco e azzurro come la sua casa sulla quale si arrampicava un glicine in fiore o ad una rosa d’inverno che diventa donna e fiore. Pino non era però solo la descrizione di un amore, ma amava perdersi nei suoi mondi. Il suo era un tentativo disperato di comunicare con l’universo che era lui stesso, con la sua voce, fatta di gioia e luce. L’artista camminava a fianco ad un uomo spigoloso e libero, sensibile, solitario e timido. Lo proteggeva da un tempo veloce e superficiale fatto di algoritmi e di pensieri sintetici e fugaci.

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Pino non era così, questo tempo non lo rappresentava. Era verticale e profondo, sorprendente e semplice, generoso e compagno. L’ho visto con la pioggia tra le labbra in un paio di esibizioni in cui, io molto più giovane di adesso, facevo l’ospite durante i suoi concerti. Si l’ospite, fui trattato benissimo. Non aprivo il suo concerto, come capitava a tutti quelli che iniziano, ma mi presentava come un artista che scrive cose belle e me le faceva eseguire con la sua band, una band di ragazzi semplici e speciali che porto sempre nel mio cuore e con la quale condivido un dolore infinito. L’ho visto non cambiare una sola tonalità ai suoi pezzi, anche quando era stanchissimo. Non l’ho mai visto fare un salto di scaletta per andare subito via. Pino era sempre il

protagonista di un concerto irripetibile e unico. Immagino la montagna di ricordi che si staglierà proprio nella sua Lagonegro che tanto ha amato. Ognuno di noi ne conserva uno in particolare, uno speciale che vorrebbe raccontare. Siamo fatti di carne e memoria. Lo so è difficile ammetterlo, ancora con grande fatica non riusciamo a staccarci da questo mondo per andare altrove, chissà dove. Resta una vita fatta di passione e amore per il proprio lavoro. Resta una vita fatta di intrecci profondi e di amicizie vere come quella che mi ha legato a lui, per tanti anni e per tanti altri ancora. Ciao Pì.

Melfi 23 dicembre 2014

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I TIND’L

IL CARNEVALE AVIGLIANESE Mariassunta TELESCA

l Carnevale, il periodo più festoso dell’anno, che va dal 17 gennaio al martedì prima delle Ceneri, definito “martedì grasso”, deve la sua origine, molto probabilmente, ai Saturalia Romani, durante i quali era sovvertito l'ordine sociale. Si rifà, però, anche ad altri riti pagani e alle manifestazioni delle Calende di Gennaio. In Basilicata il Carnevale è molto sentito e caratterizzato da una serie di riti e peculiarità famose in tutto il mondo. Anche ad Avigliano vi era l’usanza di mascherarsi, senza, però, una propria ritualità: tutto nasceva con spontaneità, tra bambini e adulti, che prendevano il nome di “Tind’l”, sinonimo dialettale di “tinti, sporchi”, perché ci si sporcava con del carbone o del tappo di sughero bruciato, rendendo il viso irriconoscibile; si indossavano indumenti dei nonni o di qualche artigiano. Oppure, spesso gli uomini si travestivano da donne e viceversa, e si girava con “prruozz” (strumento con ruota in legno molto rumoroso), chitarra e organetto. Era usanza bussare nelle case, soprattutto di amici e conoscenti, dai quali, dopo aver chiesto la licenza di poter entrare, si ricevevano uova, formag-

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gi, salsiccia, e soprattutto vino, che venivano posti in bisacce e barili, portati sul dorso da un asino. Chi non dava nulla era sopranominato “zirron’”, ossia “avaro”. Da diversi anni molte associazioni locali, quali APS Terra, Aviliart, Pro loco Avigliano, Spazio Ragazzi, Gruppo Folkloristico Aviglianese, con il patrocinio del Comune di Avigliano, sotto la guida di Renato Zaccagnino, Pietro Santarsiero, Carmelina Iannelli, Massimo De Carlo e Franco Pace, hanno dato vita a una forma al Carnevale aviglianese, con l’obiettivo di poterlo anche esportare altrove. Così, di anno in anno, esso è stato arricchito ed elaborato con nuove figure e riti, tutti ripresi dalla storia e dalle tradizioni locali, come, ad esempio, la mascherata repubblicana del 1799, quando, in occasione della liberazione furono costruiti due fantocci di paglia, simbolo del re e del principe ereditario, che furono portati in giro per le vie del paese e poi bruciati in piazza in un grande falò. Da allora divenne usanza costruire un fantoccio di paglia, simbolo del Carnevale, nella cui bocca si metteva un imbuto, per farlo ubriacare, e si versava il vino che, attraverso un tubo, finiva in una botte, creando un mix superalcolico, consumato dai partecipanti alla fine della festa. Partendo da questa consuetudine, la manifestazione, oggi, si svolge nei tre quartieri principali del paese (Basso la Terra, Dietro le rocche e Santa Lucia): ogni gruppo ha il suo fantoccio portato su una carriola, mentre si canta la tradizionale canzone “la sauzizza” («bona sera signor patron’, na vota l’ann ven stu carnivalon; s m la vuoi rà na nzè r’ sauzizza […] Carn’val mio r’ paglia osci maccarun’ a crai? foglie!»). I tre Carnevali di paglia sono stati realizzati, grazie all’ausilio del maestro Franco Pace, in un laboratorio giovanile organizzato da APS Terra: lo scheletro è composto di canne secche, poi riempito di paglia e vestito in modo particolare, come, ad esempio, da maresciallo, con un indumenti tipici delle forze dell’ordine, per prendersi gioco delle autorità militari; il fantoccio tradizionale è, però, l’ubriacone, che indossa la camicia sbottonata e sporca di vino, il cappello e una cravatta storta. Giunti tutti in Piazza Gianturco, ha inizio il rito funebre, simbolo della morte del Carnevale e l’inizio del periodo quaresimale: ogni quartiere porta in Piazza una bara, al cui interno vi è il cibo raccolto nel pomeriggio, e la Quaresima, rappresentata da un personaggio con lungo abito nero e volto bianco, insieme ad altre figure vestite allo stesso modo, comincia il lamento funebre, tratto dal documentario audiofonico storico: La spedizione in Lucania di Ernesto de Martino, del 1952. Si spengono le luci, le campane della Chiesa suonano a lutto e si battono le mani, in modo ritmico, sulle bare, poi si spara un forte botto. Alla fine si girano le bare e si mangia sopra, riprendendo ed elaborando la tradizione

artigiana, secondo la quale i falegnami costruttori di bare, per esorcizzare la morte, dopo averle costruite e prima di consegnarle alla famiglia del defunto, “ci mangiavano sopra”, come simbolo di vita contro la morte. Dopo un po’ di anni, però, la comunità chiedeva, come per tradizione, di bruciare il Carnevalone, per segnare la fine del Carnevale e l’inizio della Quaresima: la parola carnevale deriva dal latino “carnem levare”, che significa "eliminare la carne”, in preparazione al periodo di astinenza e

digiuno quaresimale. Lo scorso anno, allora, per la prima volta, durante sette ore di laboratorio, è stato costruito un fantoccio alto 4 metri, fatto, poi, bruciare in un grande falò, sotto lo sguardo ammirato di grandi e piccini. L’augurio è che, sebbene ci troviamo ormai in un tempo lontano da queste usanze e riti, il Carnevale aviglianese possa crescere sempre più ed essere noto oltre i confini locali, gemellandosi con altri luoghi con le medesime radici o anche culturalmente molto diversi.

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Volturino

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1835 Tipologia:Trekking ad anello Lunghezza: 3 km Difficoltà: facile

n piacevole itinerario di trekking alla scoperta del Volturino, una delle più alte vette (1835 metri) del Parco nazionale dell’Appennino lucano. La sua straordinaria bellezza e varietà del paesaggio consente suggestive escursioni nella natura abitata da splendidi cavalli allo stato brado e dalle mandrie di mucche podoliche. L’itinerario ad anello inizia accanto al santuario della Madonna dell’Assunta (1570 metri s.l.m.), il santuario fa parte di quegli

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itinerari spirituali molto radicati nella religiosità e cultura lucana, infatti è meta di fedeli provenienti da tutta la Basilicata. Ci inoltriamo immediatamente nella flora del Volturino costituita da faggi secolari, castagni e cerri, con la possibilità di avvistare anche le singolari specie animali presenti come la lontra, il lupo e il gatto selvatico. Dopo circa 1,3 Km raggiungiamo la vetta ad una altitudine di 1812 metri. Per cinquesei mesi l'anno le sue vette appaiono abbondantemente innevate dando la pos-

Scarica gratuitamente il file GPS del percorso su www.innbasilicata.it

sibilità al turista di praticare lo sci di fondo e lo sci alpino. Dalla vetta iniziamo la discesa lungo la parte più spoglia e rocciosa del Volturino. Da questo punto è notevole la veduta sull’intera val d’Agri e sul sottostante comune diMarsicovetere, uno dei comuni più alti della Basilicata, punto di osservarzione delle altre splendide vette della regione come i monti di Lagonegro e del Sirino. L’itinerario si chiude vicino il santuario della Madonna dell’Assunta.

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La maratona tra arte e natura del Fondo

Ambiente Italiano Emanuele PESARINI

entoventi città italiane hanno ospitato l’edizione annuale del Fai Marathon, iniziativa che si propone di valorizzare e accrescere la fruizione dei beni culturali del nostro Paese, attraverso passeggiate alla scoperta dei luoghi noti e meno noti. La manifestazione, patrocinata dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e realizzata grazie alla partnership con il Gioco del Lotto, contribuisce alla campagna di raccolta fondi FAI “Ricordati di Salvare l’Italiaˮ, si fonda sulla consapevolezza che l’ Italia è un luogo unico, in grado di stupire in ogni stagione e di coinvolgere ad ogni età, grazie anche alla riscoperta degli angoli più segreti delle città aderenti. Giunta alla terza edizione e organizzata dai volontari del FAI di Potenza e Satriano, Fai Marathon 2014 in Basilicata ha puntato quest’anno sulla scoperta, o meglio la riscoperta dell’area del Melandrino, coinvolgendo le comunità di Satriano di Lucania e di Tito, con il sostegno di associazioni locali (Orti del Melandro, Arte nella Valle, Circolo la Fonte e Petra) e delle amministrazioni comunali. Abbiamo incontrato Marica Grano, dottoranda in Scienze per la Conservazione dei Beni Culturali e volontaria del FAI Delegazione di Potenza, per approfondire la conoscenza di questa interessante realtà, esistente a livello nazionale, e le attività intraprese sul territorio locale, cercando di tracciare un primo bilancio di quanto realizzato finora e le aspettative per il futuro.

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Marica ci spieghi cosa è il FAI e quale è la mission che si prefigge con iniziative quali Fai Marathon? Il FAI – Fondo Ambiente Italiano è una fondazione no profit che dal 1975 opera per tutelare il patrimonio d’arte, natura e paesaggio e ne promuove l’educazione, la conoscenza e il godimento. Inoltre vigila sulla tutela dei beni paesaggistici e culturali, nello spirito dell’articolo 9 della Costituzione, che tutti ricordiamo grazie alla sorprendente lettura di Roberto Benigni e che il FAI così interpreta: il paesaggio italiano genera felicità! In concreto il FAI ha finora salvato e gestisce 48 siti culturali in tutta Italia, tra cui in Basilicata “Casa Noha” a Matera. Si tratta di una residenza tradizionale all’interno dei

Sassi, dove, peraltro, è possibile immergersi nella storia della città dalla preistoria al giorno d'oggi, grazie ad uno straordinario video, che descrive Matera da diverse prospettive, dall'architettura alla storia dell'arte, dall'archeologia alla storia del cinema. Tra le iniziative promosse dal FAI, Fai Marathon è un esperienza che invita ad aprire gli occhi e cambiare il nostro sguardo sulle città, in maniera divertente tale da interessare e coinvolgere tutte le generazioni. L’intento è quello di far riscoprire i sorprendenti tesori, che si nascondano fra i luoghi della vita quotidiana. Partecipare a FAI Marathon significa aiutare il FAI a salvare l’Italia: la raccolta fondi proposta tramite questo evento è finalizzata ai proget-


ti di recupero e restauro della Fondazione, che permettono di salvare luoghi d’Italia altrimenti abbandonati. Questo non tanto per conservarli “e basta”, vuoti e disabitati, quanto per aprirli al pubblico e farli vivere, proponendo esperienze positive e coinvolgenti. Come si è svolta questa terza edizione in Basilicata? Il percorso organizzato nel potentino, dai volontari di Potenza e Satriano, ha coinvolto le comunità di Satriano di Lucania e di Tito, con il sostegno di associazioni locali (Melandrino, Arte nella Valle) e delle Amministrazioni comunali. Siamo partiti dal borgo affrescato di Satriano alla scoperta dei murales, realizzati a partire dagli anni ’80 dall’associazione di artisti “Arte nella valle”, che ha sostenuto l’iniziativa. I giovanissimi apprendisti Ciceroni della scuola Media Paterno di Satriano, formati da Felice Lapertosa e da Maria Lomiento, hanno accompagnato i visitatori, alla scoperta dei murales che raccontano la vita dei Giovanni De Gregorio, famoso pittore lucano del ‘600 nato nell’antica Pietrafesa (oggi Satriano), le cui opere sono diffuse in molte chiese della Lucania. Tappa chicca della FAI Marathon è stato il sito archeologico di Satrianum (oggi nel tenimento di Tito), punto strategico per il controllo della valle del Melandro e luogo di insediamento delle popolazioni lucane fin dal VI secolo a.C. Daniela Pascale e Mary Pascale, risalendo a piedi lungo i sentieri che portano alla Torre normanna, hanno illustrato gli importanti ritrovamenti archeologici degli ultimi anni di scavi, realizzati sotto la direzione del Professore Osanna, della scuola di Specializzazione di Archeologia della Basilicata, oggi Sovrintendente di Pompei. La FAI Marathon si è conclusa nel centro storico di Tito, con una visita curata dall’archeologo Michele Laurenzana presso il Convento di Sant’Antonio (XVI secolo), con il suo chiostro che descrive i miracoli compiuti dal Santo di Padova, stupendamente affrescato dal Todisco e dal Pietrafesano, di cui a Satriano avevamo approfondito la biografia.

nale, che nelle nostre intenzioni vuole essere il vivaio per una crescita futura e per una ramificazione diffusa in tutta la regione.

Bisogna assolutamente rimediare. Quale rapporto lega sede centrale e sedi locali? Il FAI è fortemente centralizzato. Ogni iniziativa deve essere approvata dalla sede centrale di Milano. Questo implica una grande organizzazione a monte di ogni evento, con comunicazioni costanti con la segreteria e numerosi convegni nazionali utili per incontrare gli altri volontari e scambiare idee ed elaborare strategie comuni. Quanti sono i gruppi FAI operanti in Basilicata e quali sono le attività svolte sul territorio? In Basilicata l’unica delegazione strutturata è quella di Matera, esistono poi i gruppi di Tricarico e Potenza. Inoltre, in attesa di poter avviare delegazioni in ciascuna realtà territoriale, abbiamo deciso di dar vita ad un unico gruppo FAI giovani regio-

Ci parli della delegazione FAI di Potenza? Quando e grazie a chi è nata? A Potenza negli anni passati, il gruppo FAI è stato diretto da professionisti che per motivi di lavoro hanno dovuto declinare l’incarico. Da circa un anno un nuovo gruppo sta iniziando a prendere forma. Siamo tutti volontari, ed anche se il numero è ancora molto esiguo, siamo riusciti ad organizzare la scorsa giornata FAI di primavera a Grumentum, la Fai Marathon nel Melandrino, un attività di riqualificazione di un piccolo giardino nel parco di Macchia Romana ed un evento regionale al castello di Lagopesole. In tutti i casi è stata fondamentale la sinergia con altre associazioni locali, che hanno sostenuto le attività proposte dal FAI, collaborando con noi. Un particolare ringraziamento va all’associazione Melandrino che si occupa di valorizzare i prodotti tipici ed il territorio del Melandro e agli Amici del Parco di Macchia Romana a Potenza. Quali sviluppi attendono in futuro le diverse sedi e delegazioni lucane del FAI ed in particolare quella da te presieduta? Uno degli obiettivi principali del gruppo di Potenza è quello di diventare delegazione. Invito chiunque tra i vostri lettori fosse interessato a “sognare” con noi, a contattarci tramite la pagina Facebook “FAI Basilicata”, da tenere sotto controllo per essere sempre aggiornati sui nostri appuntamenti cittadini e regionali! Per quanto riguarda gli eventi nazionali, stiamo già lavorando alla progettazione delle prossime Giornate FAI di Primavera, il 21 e 22 marzo 2015, organizzate in tutta la Basilicata. Buon 2015 e arrivederci in Primavera!

Cosa ti è piaciuto maggiormente della passeggiata culturale e perché? Questa domanda è retorica! Mi è piaciuto tutto!!La passeggiata a Satriano ha coinvolto 15 volontari giovanissimi che hanno partecipato con molto entusiasmo! I ragazzi hanno offerto una visita stimolante ai maratoneti, illustrando i murales e accompagnadoli nei vicoli del paese e lungo il fiume Melandro, in una zona bellissima di Satriano. Mi ha lasciato senza parole il panorama che si osserva dalla torre. Mi sono, tuttavia, resa conto della difficile accessibilità al sito archeologico, privo di percorsi e segnaletica adeguata.

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Giancono Camm

futuro su tela, in rotta di collisione Danilo VIGNOLA

e tele di Giancono sono l’espressione autentica, nella sua forma primordiale, catartica e purificatrice. Su di esse si dissolve la chiarezza esplicativa degli oggetti, sono il teatro della metamorfosi nell’arte dei segni autonomi. E’ una pittura che rigetta le convenzionali qualità allegoriche e rivendica la sua autonomia. Intensa e tenebrosa spazialità che celebra la sua autoaffermazione. Un’esplosione improvvisa di forme e colori, pennellate elettromagnetiche che rompono gli equilibri e come onde si propagano nei cunicoli delle inquietudini umane. Una pluralità di prospettiva che si sottrae all’immediatezza descrittiva, consente solo uno sguardo frammentario sulla realtà. I quadri di Cammarano stimolano la coscienza: all’osservatore non è permessa una posizione neutrale, al di fuori del sistema osservato. Colori ad olio su tela che sembrano forgiarti per un unico principio: l’efficace contatto con la suggestione. Il giovane pittore nato a Potenza, da anni conduce studi e ricerche personali sul colore e sull’uso dei materiali. La sua linea guida, come egli stesso afferma, “è improntata sull’introspezione e sulla costante analisi dei prototipi sociali che l’artista stesso manipola sviscerandone la struttura, quasi a renderla primordiale cellula di riconoscimento. Il tutto non ha lo scopo dell’ assimilazio-

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ne, bensì ha un valore di ascensione positiva e spirituale”. Quello di Giancono Cammarano è un percorso artistico in ascesa che lo ha portato negli anni ad esporre per la galleria de Artgaudì (in Spagna) per il “Kunstart” a Bolzano (curato dalla stessa galleria iberica) passando per il bellissimo e prestigioso castello Estense di Ferrara nell’ambito di una rassegna dedicata agli artisti contemporanei. Celebri le sue mostre del 2012 tenutesi a Napoli: “Heart Attack” (Mostra monocromatica in oversize, curato dal Movimento Indipendente Artisti) e “Gulp Ke Donne” (Apertura sezione Comic off, anche questo a cura del M.I.A.). Fino a giungere a “Libero e Senza Forma” il titolo della sua personale mostra pittorica con la quale, nel 2014, l’artista lucano ha omaggiato la cittadina in cui


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vive attualmente: Silla di Sassano, allestendone con le proprie opere l’intero parco Paolo Borsellino. Mostra che ha avuto una seconda edizione a Napoli a Port’Alba. Fra i vari riconoscimenti attribuiti al pittore v’è sicuramente il prestigioso primo premio nella sezione pittura del Concorso Nazionale delle Arti “Heart Attack”… L’opera di Cammarano è una finestra sul mondo esterno, si fa portavoce di quell’ “involuzione mercificata della contemporaneità, piegata dagli egoismi, dall'indifferenza, dalle guerre private e collettive che si combattono tutti i giorni”. E’ una libera manipolazione astratta della malinconia quotidiana che si pone come espressione simbolica di uno spirito individuale ed originale. I mezzi espressivi sono immuni, affrancati da ogni peculiarità, entrano in contatto con

il loro reale scopo; con la creazione di un messaggio universale: l’ansia e l’alienazione di una società in rotta di collisione contro un futuro che sembra rovesciarsi ripiegandosi su se stesso. Nella sua “L’immage Fantastique” Caillois scrive, a proposito del fantastico, che “l’incanto non ha più senso in un mondo del tutto fuori dall’ordinario; laddove il meraviglioso è moneta corrente, lo straordinario perde tutto il suo potere”. “Si deve sempre cominciare con qualcosa. Dopo di che si può eliminare ogni traccia del reale.” Sosteneva Pablo Picasso il secolo scorso: “non tanto perché non ci sia più alcun pericolo, quanto perché, nel frattempo, l’idea delle cose ha lasciato dietro di sé un segno indelebile” . Un concetto che rinasce e risplende vivido più che mai nei dipinti di Giancono Cammarano.

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io sono LUCANO

I AM LUCANO

JE SUIS LUCANO

ICH BIN LUCANO

SOY LUCANO

Я ЛУКИ

我盧肯

I nser to a cura de

Emozioni visive da condividere




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L’arte lucana a Bologna: Valeria Turco

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ai nostri lettori

Sempre più protagonisti 8

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Istantanee dalla Basilicata con Fabio Cocchia

Se il lettore è il nostro principale interlocutore, è giusto che abbia diritto ad un rapporto diretto con la rivista. Da sempre sono proprio i lettori a fornirci spunti su questioni e tematiche della vita sociale e politica della nostra regione. L’invito che vi rinnoviamo è di collaborare con la redazione segnalandoci notizie, curiosità, avvenimenti che vi hanno particolarmente colpito o, ancora, disagi e disservizi nei quali vi imbattete nel vostro quotidiano.

I nostri contatti:

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L U C A N O

www.lucanomagazine.it info@lucanomagazine.it Tel. 0971.476423



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L’ARTE LUCANA A BOLOGNA

Il ritrattismo di VALERIA TURCO da surrealismo a iperrealismo Elisa CASALETTO

aleria Turco è nata l’8 gennaio 1990, vive a Paterno (PZ). Si è diplomata all’Istituto Tecnico per Geometri ma da sempre ha la passione per il disegno, la pittura e il modellismo. All’età di tredici anni per motivi di studio smise di coltivare questa forte passione e abbandonò completamente l’arte. Dopo una lunga pausa, durata all’incirca dieci anni, ha ripreso le matite in mano circa un anno e mezzo fa, dilettandosi a riprodurre ritratti così da far diventare quella passione la sua professione. La sua arte è stata esposta alla Galleria Farini a Bologna in una mostra collettiva internazionale di arte contemporanea (Pittura, Scultura, Fotografia) intitolata Arte a Palazzo, dove dal 29 Novembre fino al 21 dicembre 2014 è stato possibile ammirare le opere. Il Grand Vernissage del 29 Novembre scorso è stato presentato da illustri personaggi del mondo accademico come il Rettore dell'Università di Urbino, Magnifico Prof.

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Stefano Pivato e la storica dell'arte Azzurra Immediato. Valeria Turco, la giovane artista lucana ha esposto ben tre opere: Identità nascoste autoritratto; Fragile; L'inganno. Per capire meglio la sua arte e il suo talento le ho rivolto alcune domande. Com’è nata la tua passione per l’arte? E’ una passione che ho da sempre, è nata praticamente insieme a me. Ho avuto la possibilità di sperimentare diverse forme d'arte, dal modellismo alla pittura, fin quando un giorno, quasi per caso, ho fatto un ritratto, e da lì è nata la passione del ritrattismo. Da ritrattista, ho deciso di mutare questo genere in qualcosa che non fosse solo la rappresentazione di semplici volti, ma di volti surrealisti. Cos’è per te la pittura? Per me la pittura, il disegno, l'arte in tutte le sue forme, è qualcosa, o meglio, la cosa che riesce a emozionarmi di più al mondo.

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Il mio scopo è quello di riuscire non solo a emozionare me stessa, ma di trasmettere lo stesso sentimento che provo io, nel momento in cui eseguo un'opera, a colui che osserva l'opera stessa: Riuscire a emozionare non è un'impresa facile ma sono ambiziosa! Come potresti definire il tuo talento? Alcune persone, tra cui galleristi e critici d'arte, l’hanno definito un talento unico e sorprendente. Io dico semplicemente che ho una dote, una dote che deve essere ancora approfondita, da autodidatta ho ancora tanto da imparare. In quale genere collochi la tua arte e che sentimento evoca? Il genere d’arte che eseguo è un tipo di arte particolare, quasi unico nel suo genere. Come ho già detto prima eseguo ritratti del genere surreale, ma allo stesso tempo i volti assumono un'immagine iperreale, dunque è il connubio tra surrealismo

e iperrealismo, due correnti artistiche quasi opposte. Qual è la tua opera più bella e a cosa ti sei ispirata? A mio parere, l'opera più bella è Identità Nascoste l'autoritratto. Non la definisco bella sotto l'aspetto estetico o tecnico, ma per il suo significato. Molto spesso si guarda superficialmente, senza mai osservare fino in fondo. Quello che appare ai nostri occhi non è l'immagine veritiera, ma è solo ciò che la nostra mente vuole percepire, sottovalutando quello che si cela nel profondo dell'anima. Riporterò in seguito la recensione dell'opera a cura di Azzurra Immediato: “Come accade per l'opera Identità nascoste, il concetto di maschera pirandelliana e di specchio, anch'esso usata dallo scrittore è il vero soggetto di questo disegno. Il simbolismo legato alla maschera, come quella che il soggetto di Identità nascoste toglie dal volto”, che è poi parte di esso, svelando il viso di un feli-

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no, ha radici nella tradizione della civiltà umana con valenze divinatorie o il suo contrario, volte alla scoperta o al celamento d’identità. Per secoli, giungendo sino alla psicanalisi, all'idea di maschera nella letteratura, il volto ha spesso rappresentato il tramite con cui porre un limite tra ciò che si vuole far conoscere e ciò che si vuole tener nascosto, consciamente o inconsciamente, di sé. Tuttavia, prima o poi, la maschera cade, e si attua il riconoscimento della vera identità, come mostra l'opera della Turco”. Quali sono i tuoi progetti futuri? Parteciperò a Romart, un importante concorso che si terrà a Maggio a Roma. Sto prendendo parte a diverse selezioni per eventi e concorsi d'arte che si terranno nell'ambito d’importanti manifestazioni per Expo 2015. Al momento la mia aspirazione è proprio quella di far parte di un evento così importante a livello mondiale. Incrociamo le dita!

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ISTANTANEE DALLA

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Il ‘viaggio fotografico’ di Fa lucano per caso Maria Ilenia Crifò CERAOLO

o e Fabio ci siamo ‘conosciuti’casualmente. Un giorno, posto una foto sul mio account Instagram e dopo qualche minuto mi arriva una notifica: “A fotografando_basilicata piace la tua foto”. Confesso di essermi subito incuriosita, trattandosi di un contatto che non conoscevo e che quindi non seguivo. Così, ‘sbirciando’ in quel profilo, mi resi conto di essere davanti a un gran bel progetto, e cioè all’idea di fotografare tutti i 131 comuni della Basilicata e di metterne le foto sul profilo Instagram che ho citato poc’anzi, accompagnate da un commento con notizie riguardanti i luoghi immortalati. Inoltre, in quei giorni ero molto vicina alla Lucania per motivi di studio e, quindi, tale scoperta fu per me assai significativa. L’autore di queste foto è un artista napoletano di nome Fabio Cocchia, che dall’Autunno 2013 vive in Basilicata per motivi lavorativi. Già prima di trasferirsi in terra lucana però, Fabio aveva curato altri due account fotografici: uno riguardante la Campania (@fotografando_campania, tutt’ora aggiornato quando Fabio vi ritorna, essendo sua regione d’origine) e un altro riguardante invece l’Abruzzo (@fotografando_abruzzo), dove l’autore ha vissuto fino all’Estate 2013. Per cinque anni infatti, trovandosi a Pescara, Fabio Cocchia sfruttava il tempo libero per visitare le varie località abruzzesi, come lui stesso mi ha poi raccontato: «Il

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BASILICATA

progetto @fotografando_basilicata nasce in realtà in Abruzzo. In compagnia della macchina fotografica, mi recavo in luoghi, spesso poco conosciuti, in occasione di eventi (sagre, ricostruzioni storiche, mostre ecc.). Anziché tenere le foto custodite nell’ hard disk, pensai bene di creare sul social network Instagram, un account dal nome @fotografando_abruzzo, in modo da condividere le mie esperienze. Probabilmente, fu l’intuizione di accompagnare con didascalie informative le immagini pubblicate ad attirare immediato interesse e a raccogliere consensi attraverso il numero crescente di seguaci (followers)». Attualmente in effetti, i numeri dei followers di questi account toccano cifre sorprendenti: si va dai 3023 di @fotografando_campania ai 2653 di @fotografando_abruzzo, sino ai 9689 di @fotografando_basilicata (i dati sono riferiti a Dicembre 2014 e sono suscettibili di variazione). «Trasferitomi in Basilicata (una regione che peraltro conoscevo pochissimo)», prosegue ancora l’artista napoletano, «la ritenni terreno fertile per mettere in pratica l’esperienza acquisita di promotore territoriale. La prima fase del progetto era chiara: visitare tutti i 131 comuni presenti, senza distinzioni e pregiudizi. Quasi fossi un alieno sceso in terra lucana, incominciai a condividere il ‘viaggio’ attraverso il profilo di Instagram, sfruttando la crescente popolarità dell’applicazione». Nel visitare tutti i comuni della Basilicata, Fabio non segue un itinerario predefinito. Le località da visitare vengono decise in base alle opportunità del momento o ad eventi specifici che le riguardano: «generalmente», spiega in proposito, «scelto un luogo, mi attivo per studiarne le peculiarità, con l’intenzione però di non approfondire troppo, per riservarmi quell’incognita tipica del viaggiatore che affascina sempre. Sul posto trascorro minimo un’intera giornata e non mi limito a fotografare. Passo del tempo a parlare con persone incontrate per meglio entrare nello spirito del luogo. Ed è proprio questo l’aspetto più romantico della mia esperienza: i lucani non finiscono mai di sorprendermi; sono persone di una gentilezza e bontà senza limiti! Non è raro tornarmene a casa con una bottiglia di un buonissimo Aglianico donatomi solo per aver scambiato quattro chiacchiere; oppure, dopo aver acquistato una focaccia al panificio, ritrovarmi nella busta una manciata di taralli tipici della zona, così, solo per simpatia! E se la chiesetta è chiusa, ecco che l’intero paese si mobilita per trovarne le chiavi e permettermi di fotografarne l’interno… Terminato il lavoro sul posto, il materiale viene selezionato, elaborato e pubblicato nonché arricchito dalle informazioni acquisite sui testi e dai racconti diretti. A questo punto ‘l’evento’

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V I A G G I O I L diventa mondiale, con l’interazione di seguaci dal Sudamerica, dalla Germania, dal Nord Italia e dai Lucani stessi che si complimentano e mi suggeriscono nuovi eventi e nuove mete». Spesso in rete alcuni credono che @fotografando_basilicata sia un ente o comunque il frutto dell’azione coordinata di un gruppo di persone. In realtà, alla base di quest’avventura c’è ‘soltanto’ la passione e la duttilità professionale nelle arti figurative (pittura, grafica e progettazione esperto in modellazione 3D) di Fabio Cocchia; tuttavia, egli stesso afferma che «se si riuscisse ad istituire un gruppo di lavoro operante in tutte le regioni, ciò costituirebbe la naturale evoluzione del progetto». In conclusione, viene da chiedersi quali possano essere le finalità di un progetto così ambizioso: «E’ difficile brevemente rispondere riguardo alla finalità del progetto», puntualizza l’artista, «forse è molto più semplice, in questo contesto, procedere passo dopo passo in attesa di una ‘seria politica turistica’ nazionale. Una fase fondamentale del progetto consiste senza dubbio in una pubblicazione fotografica che raccolga in un unico volume tutti i comuni lucani, prodotto questo che non risulta essere presente in nessuna libreria italiana. Lo scopo è di donare ulteriore visibilità a luoghi inspiegabilmente poco conosciuti ma ricchi di storia, opere d’arte, leggende, tradizioni e paesaggi mozzafiato! Di sicuro la selezione delle foto utilizzate avverrà tramite le indicazioni degli stessi followers che quotidianamente animano il blog. Infatti, è proprio tramite votazione mondiale che mesi fa si decise quale fosse il logo (la sagoma della Basilicata inviluppa-

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ta in una chiocciola) da utilizzare per identificare il progetto @fotografando_basilicata». Da queste parole è dunque chiaro come quella di Fabio Cocchia non sia soltanto

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un’avventura, ma sia piuttosto l’impegno a fare qualcosa di buono per il Paese, oltre che un invito a scoprire, riscoprire e tutelare tutte quelle bellezze che l’Italia possiede e che spesso non ricorda di avere.



È QUANDO TI SENTI PICCOLO CHE SAI DI ESSERE DIVENTATO GRANDE.

A volte gli uomini riescono a creare qualcosa più grande di loro. Qualcosa che prima non c’era. È questo che noi intendiamo per innovazione ed è in questo che noi crediamo. Una visione che ci ha fatto investire nel cambiamento tecnologico sempre e solo con l’obiettivo di migliorare il valore di ogni nostra singola produzione. È questo pensiero che ci ha fatto acquistare per primi in Italia impianti come la rotativa Heidelberg M600 B24. O che oggi, per primi in Europa, ci ha fatto introdurre 2 rotative da 32 pagine Roto-Offset Komori, 64 pagine-versione duplex, così da poter soddisfare ancora più puntualmente ogni necessità di stampa di bassa, media e alta tiratura. Se crediamo nell’importanza dell’innovazione, infatti, è perché pensiamo che non ci siano piccole cose di poca importanza. L’etichetta di una lattina di pomodori pelati, quella di un cibo per gatti o quella di un’acqua minerale, un catalogo o un quotidiano, un magazine o un volantone con le offerte della settimana del supermercato, tutto va pensato in grande. È come conseguenza di questa visione che i nostri prodotti sono arrivati in 10 paesi nel mondo, che il livello di fidelizzazione dei nostri clienti è al 90% o che il nostro fatturato si è triplicato. Perché la grandezza è qualcosa che si crea guardando verso l’alto. Mai dall’alto in basso.



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Dovevi solo lavorare per essere libero

Auschwitz enegliBirkenau scatti di Gianfranco Vaglio 46

omincia da qui questa mia avventura. Questo viaggio verso i luoghi in cui un popolo ha visto perdere la propria indipendenza, la propria memoria, la propria libertà. Il tutto senza ragione! Noi quella memoria la vogliamo ricordare come "tragedia". Ho deciso di partire undici giorni dopo quel giorno per godere di quel "silenzio" di cui, chi ci è stato prima di me, mi parla! Lontano dalle programmazioni televisive e dalla presenza dei mass media, visitare questo posto è stato toccante. Sono rimasto solo con la memoria, solo con le vicende di quel periodo storico, solo con me stesso e il mio occhio digitale. Prevale angoscia, desolazione, vuotezza di animo. Distese immense di terra velate da un falso verde che non rappresenta affatto speranza, ma serve solo a celare quanto più di macabro possa essere avvenuto. Spazi infiniti e contrasti cromatici per uno sterminio che va ben oltre quello carnale...incide nell'anima dove nulla può arrivare.

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E U R E K A Fotografando questo luogo, mi sono reso conto che nessuna foto e nessun video possono raccontare ciò che si prova stando li. Sapendo di calpestare la stessa terra che calpestavano milioni di persone le cui vite sono state interrotte per la sola colpa di essere un ostacolo. Mentre scattavo era come ripercorrere tappe del dolore di molti. Con la consapevolezza che il mio animo per quanto turbato, grazie a Dio, non potrà mai esserlo come quello di chi era li sessanta anni fa. Un luogo la cui storia spegne tante cose. Ricordo che ad un certo punto, ero a Birkenau, (in una delle ale del campo mentre cercavo di far entrare nel campo visivo una buona parte di camini rimasti ormai senza murature esterne, per mantenerne comunque il dettaglio), mentre avvicino la macchina al mio occhio, avverto un improvviso senso di vuoto...sento le braccia cadere. Io nemmeno me ne accorsi. Ripresi la camera e continuai a fotografare. Cercavo!

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Rossetto rosso in console Barbara GUGLIELMI

ata a Potenza 27 anni fa, cresciuta accanto al papà negli studi di Radio Activity, Leanna Ciciriello da poco ha esordito nella sua città natale come dj set di musica elettronica con il nome d’arte “Augustine”. Il genere musicale che seleziona parte dalla triphop, approfondisce molto la downtempo per arrivare alla glitch e idm, tutti generi affini o evoluzioni. Augustine ha il merito di essere la prima dj set donna a Potenza. Per questo abbiamo deciso di incontrarla e conoscerla meglio.

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Com'è nata e cresciuta la tua passione per la musica? La mia passione per la musica risale a quando ero davvero piccolissima. Mio padre aveva una radio e da ragazzo suonava la batteria. E’ stato lui a trasmettermi questa passione; ho sempre ascoltato moltissima musica. Sono cresciuta con i cantautori italiani, il rock dei '70 e un 45 giri di Prince. All'età di 8 anni ho iniziato

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a prendere lezioni di pianoforte, poi sono passata per un breve periodo alla chitarra e all'età di 16 ho intrapreso lo studio del canto, mia prima passione nella musica. Da quando ti sei avvicinata al genere dell'elettronica? Il mio avvicinamento alla musica elettronica, in maniera diciamo consapevole, avviene attorno ai 15 anni, quando ho iniziato ad approfondire la discografia dei Radiohead, scoprendo Kid A, e a 16 anni è proprio nato l'amore con Bjork e il triphop. Il mio primo anno di patentato l'ho trascorso ininterrottamente con un album di Tricky in auto, da lì ho iniziato proprio il vero approfondimento del genere. Tuo fratello produce musica elettronica a Bologna. Anche tu hai intenzione di trasferirti? Mio fratello produce musica elettronica, ma è andato via per questioni di studio universitario. Ai tempi decisi di rimanere in regione, mi piacerebbe vivere un po' all'estero, ma non è nelle mie intenzioni abbandonare Potenza. Anche se un pensierino su Bologna ce lo farei. Una donna dj set a Potenza. Come è stata accolta questa novità dal pubblico lucano? La cosa mi sembra sia stata accolta abbastanza positivamente in città. In tanti si

Foto Carlo Restaino


sono congratulati, diciamo, per il "coraggio" e la selezione. Il tuo nome d'arte è "Augustine". Perché l'hai scelto? In che modo ti identifica? Augustine è il titolo di una canzone di Patrick Wolf, un artista che adoro, Augustine è una presenza sentimentale fortissima tanto da sembrare presente fisicamente. È la storia d'amore che continua anche dopo la morte. Non so se mi identifica, ma mi piace molto. In che modo può fare la differenza un dj set donna? Credo che la differenza possa essere nella proposta. Oggi il ruolo del dj sta perdendo un po' di valore, perché si scambia il dj con chi crea una playlist e la fa scorrere. Il dj innanzitutto studia e lavora molto sulla ricerca e la selezione musicale, poi durante il dj set "gioca" con i suoni, cerca di crearne di nuovi con canzoni create da altri. È un po' più complicato di quanto si

immagini. Quindi spero di selezionare e mixare con un gusto tutto femminile, che non vuol dire sia migliore, ma sicuramente è differente. Quali sono i tuoi progetti futuri? Terminare gli studi e dedicarmi alla produzione musicale, nel frattempo mi auguro di girovagare un po' facendo dj set. Potenza è la tua città, se dovessi descriverla attraverso una selezione musicale quali brani sceglieresti? Inizierei con “Ruin” di Cat Power, considerando la situazione comunale direi che è appropriata. Poi continuerei con “Hold on” di Sbtrkt che è un invito alla resistenza; in questi giorni il popolo potentino e lucano ha dimostrato di sapere resistere. E concluderei con “I can't do without you” di Caribou, perché nonostante tutto Potenza è la mia città, è il luogo in cui ci sono le persone che amo e ha contribuito a formarmi, rendendomi quella che sono.

Dicono di lei Augustine, durante le sue serate, affianca spesso Aniello Golluscio, in arte Aniel Gol, anche lui lucano, con decennale esperienza da dj set, considerato nell’ambiente “il maestro”. Data la tua consolidata esperienza in console, ci dai un parere tecnico su Augustine. Dare una valutazione al 100% a livello tecnico della dj set Augustine è ancora presto poiché in questo mondo si vivono sempre situazioni differenti e con mille difficoltà. Vista la sua giovane entrata in scena, posso dirvi che ci aspetteranno molte evoluzioni: le sue doti e la sua professionalità parleranno da sé.

Foto Gianfranco Vaglio

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Uno sguardo accogliente e mul

Festival dei Cinque a Venosa Marianna Gianna FERRENTI

i è svolta presso l’Auditorium San Domenico di Venosa, dopo una lunga rassegna di selezione iniziata nel mese di aprile e culminata a novembre, con le due serate organizzate a Salandra e a Venosa, la proclamazione dei vincitori del I Premio Cinque Continenti, organizzato dall’associazione culturale Il Circo dell’Arte nell’ambito del Festival dei Cinque Continenti. La serata è stata presentata dall’attore Stefano Vigilante che ha anche aperto la serata con un incipit dal taglio comico. Ha trionfato nella sezione “video” il cortometraggio Margerita di Alessandro Grande “per la delicatezza con cui viene trattato, attraverso una storia dall’esito inatteso, il tema del confronto e della convivenza tra culture diverse, indicando la strada dell’arte come possibile mezzo per avvicinare i popoli”. Eppure, la serata, è legata soprattutto a temi complessi, quello dell’immigrazione e dell’integrazione fra civiltà. Oltre al dialogo multietnico, filo rosso verso cui, dalla sua nascita fino ad oggi, il Festival dei Cinque Continenti si è dimostrato particolarmente sensibile, è emersa chiara l’intenzione di evidenziare

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argomenti importanti come quello dell’integrazione e dell’accoglienza; ma anche vene più introspettive come le fragilità umane rispetto al destino, all’immensità del cosmo e della natura, alle difficoltà di inserimento nella società dei soggetti più deboli, spaziando dal difficile problema della violenza contro le donne alla relazione capillare del cittadino con l’ambiente circostante, in una società che lotta nell’arena di un cosmopolitismo globale, ricercando la propria identità. Il tutto analizzato in una cornice festosa; un buon auspicio per il superamento di ogni barriera ancorata al pregiudizio e alla poca conoscenza dell’altro come riflesso di noi stessi. La serata è stata un elogio a tutti i lavori che sono stati presentati durante un lungo periodo di selezione che ha visto l’Artistica Management del direttore Pasquale Cappiello impegnarsi su tutto il

territorio di Puglia, Basilicata e Campania, alla ricerca di talenti che, partecipando ad altre importanti rassegne e festival a livello europeo, hanno portato alto il fregio di un mediterraneo ricco di fermenti ideali e di istanze espressive che rendono l’arte nobile in tutte le sue forme. Nella sezione dei cortometraggi la giuria ha attribuito un premio speciale a Teodosio Barresi come migliore attore protagonista nel corto Piccola storia di mare, per la regia di Dario Di Viesto “per aver saputo raccontare, con toccante intensità interpretativa, l’amore per il mare e il valore della vita, attraverso gli occhi fulgenti del vecchio pescatore”. Per la sezione della pittura invece è stata insignita del primo premio la pittrice napoletana Brunella D’Auria grazie all’opera Fathima “per lo spirito di denuncia che anima il dipinto e per la potenza espressi-


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Continenti

va che induce a riflettere su un tema di scottante attualità come la violenza perpetrata contro le donne in molte aree del mondo”. Così dalla letteratura, nella forma del racconto breve, fino alla pittura e al cinema, il Festival dei Cinque Continenti che da più di dieci anni si apre verso nuovi orizzonti di integrazione culturale, quest’anno ha voluto lasciare il segno con un festival che si è aperto a proiezioni di diversa natura: pittura, scrittura, filmografia unite in un unico e ricco caleidoscopio. Con menzioni speciali sono stati insigniti nella sezione “video” Acabo de tener sueño di Javier Navarro Montero “per l’abilità nell’utilizzare l’espediente onirico per narrare una storia da due diversi punti di vista, mettendo in risalto la relatività di ogni esperienza e invitando a rivalutare la propria condizione alla luce di quella altrui” e

Dalla parte del mare di Emanuele Faccilongo e Piero Russo per aver ricordato lo speciale rapporto esistente tra Lucio Dalla e il territorio del Gargano “con sguardo rispettoso e senza tradire lo spirito ironico e poetico del personaggio”. Per la sezione dedicata ai cortometraggi il Festival dei Cinque Continenti si è avvalso della collaborazione di OffiCinema, festival ideato e diretto dall’associazione culturale Liberamente, che ha ospitato la prima tappa il 9 agosto a Rocchetta Sant’Antonio (Foggia) e dell’associazione “Angeli” di Manfredonia (Foggia), che lo scorso 18 ottobre ha proiettato alcuni cortometraggi in concorso presso la “Casa dei Diritti” di Siponto. Si segnalano infine due ulteriori menzioni speciali; l’una concesso allo scrittore Emilio D’Andrea con il racconto breve La fontana delle belle donne, “per l’impe-

gno profuso nel fornire, attraverso la sua opera, un contributo alle iniziative tese a promuovere e valorizzare anche il nostro territorio”; l’altra assegnata alla pittrice Annamaria D’Andrea che con l’opera Ludica appartenenza ha unito “la sapienza tecnica ad un simbolismo che richiama l’araldica civica e si fa portavoce di un messaggio di salvaguardia delle radici di un territorio”. Durante la manifestazione gli intervalli musicali ad opera del pianista Rocco Mentissi, il quale ha eseguito dal vivo alcuni brani tratti dal suo ultimo Cd dal titolo TraMe. Il Consorzio San Domenico ha messo a disposizione degli organizzatori l’Auditorium dove, periodicamente, si svolgono incontri culturali (concerti, presentazioni di libri, esposizioni) e momenti di scambio interculturale. Questo evento è l’ennesima occasione per sottolineare l’importanza del recupero di una chiesa che è stata storicamente luogo di aggregazione sociale, oltre che religiosa. La vicepresidente del Consorzio “Recuperiamo San Domenico”, Luciana Laurano, ha ringraziato la cittadinanza per il contributo dato ai fini del miglioramento della qualità dell’accoglienza, evidenziando che tra i prossimi traguardi, vi è l’installazione dell’impianto di riscaldamento e la completa rifinitura di alcuni servizi pubblici essenziali, anche se molto è stato compiuto finora per riportare il luogo ai suoi splendori originari, cosicché potesse esprimere il meglio delle sue potenzialità. “La serata sposa perfettamente gli obiettivi del Consorzio, quali l'utilizzo di una struttura pensata come contenitore culturale a 360 gradi” ha chiosato la vicepresidente. Il direttore artistico del Festival, Pasquale Cappiello, ha ringraziato il Consorzio per la vicinanza ai temi trattati e per la location messa a disposizione durante la Serata di Gala. Inoltre, esprimendo gratitudine nei confronti dello staff organizzativo, dell’ufficio comunicazione e di tutti i partner che hanno contribuito alla buona riuscita degli eventi organizzati durante le singole tappe della rassegna festivaliera, ha così dichiarato: “Siamo estremamente soddisfatti dell’esito della prima edizione del Premio Cinque Continenti, positiva sia dal punto di vista dei contenuti artistici che da quello della ricezione da parte del pubblico. Già dalla prossima edizione contiamo di fare ancora meglio, per continuare ad unire la promozione della cultura ad un messaggio di fratellanza e unione tra i popoli”.

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LA TRADIZIONE TORNA DI MODA

“PENSIERI” FATTI A MANO Marianna FIGLIUOLO

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hi non associa il lavoro a maglia all’immagine della nonna magari seduta davanti al caminetto o alla stufa tutta intenta a sferruzzare senza sosta? La nonna era una donna che trasformava una massa informe di lana in un filo da lavorare successivamente con i ferri. Questa era un’attività antichissima, la cui origine si perde nella notte dei tempi, ed era eseguita sempre allo stesso modo e tramandata da madre in figlia. Col passare dei tempi però e il mutare delle abitudini è andata perduta per qualche tempo. Ma chi credeva che i lavori manuali, come quello ai ferri o all’uncinetto, si fossero estinti, deve fare i conti con la nuova tendenza che spopola anche tra le più giovani. I lavori ai ferri sono un’antica passione delle donne, che è ultimamente tornata molto di moda e trova sempre più seguaci anche tra le giovanissime. Questa antica arte, infatti, sta nuovamente prendendo piede. Sarà perché la soddisfazione di creare oggetti dal nulla alla fine è sempre tanta, oppure perché con il dilagare di centri commerciali che ospitano sempre le stesse marche un po’ ci si è stancati o anche perché di questi tempi risparmiare non è certo un male. Qualunque sia la ragione, il lavoro a maglia è sempre meno un’attività del passato e sempre più un rilassante hobby moderno. Ne è un esempio Rosaria Tripaldi di Picerno, premiata dalla sua comunità alla Festa Democratica 2014 con il premio “Picerno che vorrei” per la sua attività commerciale/artigianale. Rosaria una donna che, nel reinventare la propria vita lavorativa ridando dignità e valore ad un antico lavoro di artigianato, ha saputo trasformare il suo negozio in un luogo di aggregazione dove si ritrovano signore, ma anche giovani ragazze per parlare fra loro, condividere esperienze e scambiarsi consigli sul modo di eseguire i lavori a maglia o anche all’uncinetto. Una soluzione per rilassarsi e svagarsi, così come un tempo succedeva nei piccoli paesi, ci si riuniva sulla soglia di casa: seggiolina, borsa del lavoro con i ferri del mestiere a chiacchierare da comare in sottofondo. È sicuramente un modo di coinvolgere altre “socie”, creare amicizie e confezionare qualcosa di utile ed originale, attraverso cui la tecnica e la creatività di chi è già esperto si incontra con la fantasia di chi ha iniziato da poco in uno scambio proficuo di consigli. Inoltre pare che mentre si sferruzza in compagnia, si chiacchiera del più e del meno fino ad arrivare a confidarsi i propri problemi e le ansie, quasi in una sorta di terapia di gruppo. «È un’attività che rilassa molto dicono, pensavo fosse roba da vecchie, ma mi sono ricreduta perché posso dare libero sfogo alla fantasia e ho accessori originali senza spendere molto». Servono passione, tempo, volontà di fare e poi bastano pochi strumenti: ferri, uncinet-

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to e gomitoli. Poi tutti possono realizzare facilmente tante cosette; dalla lavorazione semplice o più complessa di un gomitolo di lana si possono realizzare un’infinità di simpatiche idee dalle classiche sciarpe, cappelli, maglie ed anche accessori vari come orecchini, collane, bracciali ormai di gran moda e tanti sono i giovani che vogliono imparare a realizzare tutto ciò. È qualcosa di economico, gli attrezzi costano poco e magari se cercate in soffitta li trovate pure. È facile, divertente, anti-

stress e da grandi soddisfazioni. Tra un dritto e un rovescio, tra un punto basso e uno alto, con la mente del tutto sgombra si trascorrono alcune ore piacevoli dove si mettono alla prova le proprie abilità manuali. Riscoprire tecniche antiche è quindi utile per fare capi e accessori moderni e magari fashion. Non c’è più l’antica idea che lavorare ai ferri sia solo un arte passata e “da provincia”, perché questa mania ha contagiato perfino le icone chic.

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LAZAZZERA ROCCO Seconda Parte Vincenzo MATASSINI

l 6 marzo 1936 a Val Tonquà il Ten. Rocco Lazazzera, per aver espugnato una posizione avversaria su una sommità quasi a picco, fu insignito di Medaglia d’Argento con la seguente motivazione: “Comandante di un nucleo Carabinieri e Zaptié con Colonna lanciata per vari giorni all’inseguimento del nemico, alla testa di una pattuglia aggirava per terreno quanto mai accidentato una ben difesa posizione nemica avversaria, privilegiata perché in sommità e quasi a picco, ostacolante la nostra avanzata. Raggiuntola, arditamente per primo sorprendeva alle spalle il presidio che annientava e faceva prigioniero, ne catturava le mitragliatrici ed apriva il passo alla Colonna stessa. Nella medesima giornata, sempre in testa a pattuglia di punta, fatto segno al fuoco di un nucleo avversario in agguato, lo raggiungeva ed anche minacciato all’arma bianca lo sopraffaceva. In sei giorni di combattimento fu di costante esempio ai suoi dipendenti ed alle forze della Colonna stessa nell’esser primo là dove maggiore era il pericolo, fra difficoltà di terreno e di ambiente dava continua prova di risolutezza, abnegazione ed alto senso del dovere, contribuendo efficacemente alla felice riuscita dell’operazione”. Gli Zaptié erano i membri dell’Arma dei Carabinieri reclutati fra la popolazione indigena della Libia, Eritrea e Somalia che parteciparono a numerose operazioni di guerra in Africa Orientale, meritando anche due Medaglie d’Oro alla memoria. Il 31 marzo 1936 il Negus Neghesti Hailè

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Selassiè mosse contro gli italiani con le proprie truppe; la battaglia si svolge nella conca di Mai Ceu ma, nonostante il forte intervento della sua Guardia Imperiale, le truppe di Hailè Selassiè furono costrette a ritirarsi verso Dessiè che venne occupata il 15 aprile 1936 ed il successivo 5 maggio 1936 le truppe italiane entrano in Adis Abeba che il Negus Neghesti Hailè Selassiè aveva già abbandonato per andare in esilio presso gli inglesi. Il Ten. Rocco Lazazzera fu decorato con una prima Croce di Guerra fra il 20 marzo ed il 5 maggio 1936 durante la Marcia su Gondar, nella zona del Lago Tana: “Ufficiale di alte doti militari, addetto al comando della Colonna celere A. O. con un nucleo CC.RR. e Zaptié, rendeva numerosi e delicati servizi, affrontando e risolvendo, sempre brillantemente situazioni che si presentavano incerte e rischiose”. La seconda Croce di Guerra gli fu conferita per tutto il periodo della guerra dal 3 ottobre 1935 al 31 marzo 1937: “Ufficiale dei CC.RR. che si è distinto in modo eccezionale nella Grande Guerra e nella Campagna Etiopica come combattente valoroso e di grande iniziativa. Nelle operazioni della colonna celere di Gondar, cui fu prescelto per le sue spiccate doti di capacità e di fatto, affiancò l’opera del Comandante la Colonna, con risultati molto efficaci e senza contrasto con la popolazione. Incaricato di delicate operazioni di censimento e di indemaniamento in una zona di un noto brigante e suoi favoreggiatori, svolgeva la sua attività con grande energia e rapidità e con risultati concreti. Ufficiale colto, distintissimo, di superiori doti di intelligenza e carattere”. Finita la guerra in Etiopia ai Carabinieri è destinato il compito sempre più delicato di fare opera di forza e di giustizia, di repressione, di penetrazione, di pacificazione e di tutela. Il Ten. Rocco Lazazzera ritornò in Italia ed a Trieste il 3 Aprile 1938 riceve un Encomio perché: “Dirigeva ed eseguiva personalmente diligenti e laboriose indagini pel rintraccio di un pregiudicato che, con arma da fuoco, aveva gravemente ferito un Carabiniere nell’esecuzione di un servizio e, con l’aiuto di due dipendenti, procedeva al suo arresto dopo aver sostenuto violenta colluttazione ed averlo disarmato della pistola carica che impugnava, riportando contusioni ed escoriazioni ad un mano”. Sempre come volontario il Ten. Rocco Lazazzera partecipò successivamente al corpo di spedizione (indicato poi con la sigla O.M.S., Oltre Mare Spagna) inviato dal governo italiano in appoggio del Generale Francisco Franco durante la Guerra Civile Spagnola (07 luglio 1936-28 marzo 1939); alla stessa Guerra prende parte, sempre come volontario, anche il Colonnello Gastone Gambara che fu nominato Capo di Stato Maggiore del Corpo delle Truppe Volontarie e successivamente promosso Generale di Brigata.

Zaptié della Compagnia Carabinieri d’Africa

Per l’attività svolta dal luglio 1938 al gennaio 1939 Rocco Lazazzera fu promosso Maggiore per meriti di guerra con la seguente motivazione: “Valoroso ufficiale della Grande Guerra, ferito, volontario in A.O. (Africa Orientale), più volte decorato al valore, in dieci mesi di una nuova ed aspra guerra dava costante prova di intelligenza e coraggio prodigandosi sempre nelle imprese più rischiose. In un ciclo operativo, assunto il comando di un Battaglione Arditi, con decisa azione avvolgente sventava la manovra dell’avversario e dopo tenace combattimento lo costringeva alla fuga aprendo così il passo alle Colonne operanti”. Agli inizi del 1939 la situazione della guerra volse contro i repubblicani che cominciarono ad arretrare su vai fronti e proprio in quell’anno nel territorio di Barcellona il Maggiore Rocco Lazazzera, che memore delle precedenti azioni militari aveva costituito un Battaglione di Arditi, meritò ben tre Medaglie d’Argento; la prima a Tarragona, in Catalogna il 15 gennaio 1939 fu guadagnata “sul campo” con la motivazione: “Ardito di guerra, confermava le sue brillanti doti di combattente entusiasta e pieno di fede con partecipare volontariamente ad una rischiosa azione eseguita dal Battaglione Arditi del C.T.V. (Corpo Truppe Volontarie) riuscendo con pochi uomini a catturare un forte nucleo di miliziani che tentavano una ultima e disperata resistenza”. Il Maggiore Rocco Lazazzera fu decorato con una seconda Medaglia d’Argento a Sant Celoni, sempre in Catalogna, il 31 Gennaio 1939 con la motivazione: “Inviato di collegamento con unità fortemente impegnata, volontariamente raggiungeva i reparti più avanzati impossibilitati, dalla violenta reazione avversaria, a passare un ponte di vitale importanza. Avvistati alcuni miliziani che stavano ultimando le operazioni per farlo saltare, solo, sprezzante del pericolo in motocicletta, vi si lanciava contro e li annientava a colpi di bombe a mano, rendendo possibile l’immediato afflusso delle nostre colonne, che incalzando il nemico, segnavano un grande trionfo della giornata”.

La terza Medaglia d’Argento gli fu conferita il 27 marzo 1939 a Burguillos, in Andalusia nei pressi di Siviglia, con la motivazione: “Alla testa di una pattuglia di audaci (Arditi), di notte, approfittando della vegetazione, penetrando per oltre un chilometro nella linea nemica, riusciva ad appostarsi sotto un caposaldo avversario, rimanendovi per alcune ore in vigile attesa. Al segnale d’attacco piombava sull’avversario, annientandolo a colpi di bombe a mano. Fatto segno a violento fuoco nemico lo controbatteva con le armi conquistate, manteneva l’occupazione e rendeva così possibile alla colonna attaccante di raggiungere rapidamente e con poche perdite gli obiettivi assegnati”. Finita la Guerra di Spagna il Generale Gastone Gambara, dal luglio 1939 al giugno 1940, fu nominato Dirigente della Regia Ambasciata di Madrid con credenziali di Ambasciatore e volle come suo collaboratore il Maggiore Rocco Lazazzera, per la sua perfetta conoscenza di varie lingue straniere, fra cui lo spagnolo, e delle sue doti di diplomatico. Il 28 ottobre 1940 l’Italia dichiarò guerra alla Grecia ed iniziò l’offensiva partendo dalle proprie basi che aveva in Albania, che già nel 1939 era stata annessa al Regno d’Italia. Fra i Carabinieri volontari che si ritrovano in Albania aggregati alla 54° Sezione Mista facente parte del 71° reggimento Fanteria c’era il Maggiore Rocco Lazazzera; in Albania c’era pure il Generale Gastone Gambara, il quale assume l’incarico di Comandante facente funzione dell’VIII Corpo d’Armata ed ottiene la promozione a Generale di Corpo d’Armata. Il primo novembre le truppe italiane presero Kònitsa, raggiungendo la principale linea fortificata greca ma il 9 novembre l’avanzata dovette arrestarsi per la forte resistenza dei greci che avevano spostato sul confine molte divisioni. Un altro tentativo della Divisione “Julia” degli Alpini sulle montagne del Pindo per raggiungere il passo di Métsovo, si fermò alla cittadina di Métsovo, una trentina di chilometri dal passo, ma il contrattacco greco portò alla riconquista di Kònitsa e l’intera zona di confine già occupata dagli italiani ritornò in mano ai greci. Il Maggiore Rocco Lazazzera il 15 aprile 1941, nell’ultima azione cui prese parte sul passo di Lumi Vocopoles della strada BeratClisura, a quota 731, lasciata in posizione sicura il Reparto che guidava, si portò fino a pochi passi dal nemico per rilevarne la posizione ma fu ferito gravemente e ripetutamente in tutte le parti del corpo: durante il fuoco di fucileria una bomba lo investì in pieno ferendolo gravemente alla gamba destra ed alla schiena e morì dopo il ricovero nel Centro Ospedaliero di Berat (Berati). Il Generale Gastone Gambara ricordò in seguito che il giorno prima dell’azione comunicò al Maggiore Rocco Lazazzera che

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egli era necessario al Comando e che veniva sostituito nell’azione da un Tenente Colonnello di Fanteria. Rocco Lazazzera lo chiamò al telefono e gli disse: “Se Lei mi ordina, obbedisco, ma non può infliggere al suo Lazazzera la mortificazione di essere sostituito al comando di un Reparto che ho istruito e curato e che tra poco dovrà subire la prova del fuoco”. Dopo questa telefonata, il Generale Gambara lo lasciò al comando del suo Battaglione. Quanto riportato dal Generale Gambara dimostra gli stretti rapporti esistenti con il Maggiore Rocco Lazazzera e la volontà di quest’ ultimo, anche memore dei passati trascorsi durante la 1a Guerra Mondiale, di costituire anche in Albania, come già aveva fatto in Spagna, un Reparto d’Assalto composto da Arditi. Rocco Lazazzera fu seppellito prima a nel Cimitero Militare di Berat e poi trasportato al Sacrario Militare di Capurso, Bari il 13 luglio 1961 ed alle esequie era presente la sorella. La motivazione della Medaglia d’Oro alla Memoria: “Combattente di tre guerre, più volte decorato al Valor Militare, destinato ad un comando di grande unità impegnata in aspra campagna, si prodigava diuturnamente nel servizio dell’Arma ed altri di collegamento che volontariamente assumeva con le truppe, svolgendo opera preziosa di

informazione, di incitamento e di fede. Trovatosi in prossimità di un Battaglione che aveva perduto il suo Comandante, ne assumeva spontaneamente il comando e lo conduceva brillantemente all’attacco di un forte trinceramento, che raggiungeva per primo. Contrattaccato da forze preponderanti, era l’anima della fiera resistenza e malgrado le forti perdite, manteneva il possesso della posizione. In previsione della fase controffensiva della campagna, chiedeva insistentemente ed otteneva di costituire e comandare un Battaglione d’Assalto, in cui con opera vibrante di entusiasmo patriottico e di altissimo spirito militare, formava uno strumento saldissimo di sicura vittoria. Alla vigilia dell’azione, mentre da pochi passi dalle linee nemiche studiava il terreno di attacco, colpito gravemente in più parti del corpo, cadeva da prode. Conscio della prossima fine, mentre si preoccupava di far riparare dal fuoco nemico la pattuglia che lo seguiva, suggellava con nobili ed elevate parole una fulgida esistenza tutta dedita al dovere, all’Onore Militare, alla Patria (Fronte Greco, 5 febbraio-15 aprile 1941)”. Nell’aprile 1943 nelle Caserme dei Carabinieri di Trento e Bolzano fu inaugurato un monumento al Maggiore Rocco Lazazzera mentre la città di Matera ha intitolato una Via a suo nome; inoltre al Maggiore dei Carabinieri Rocco Lazazzera è

stata intitolata a Matera la Caserma, sede del Comando Provinciale e ad Alcamo, in provincia di Trapani, la Caserma sede del Comando Compagnia. Fra le motivazioni della Croce di Guerra concessa in Africa Orientale il Maggiore Rocco Lazazzera è definito: Ufficiale colto, distintissimo, di superiori doti di intelligenza e carattere; durante la sua carriera militare ha conseguito come riconoscimenti: 1 Medaglia d’Oro al Valore Militare “alla memoria”, 5 Medaglie d’Argento di cui una “sul campo” e 2 di Bronzo, 4 Croci di Guerra, 4 Encomi solenni ed una promozione per merito di guerra. Oltre le decorazioni al Valore Militare il Maggiore Rocco Lazazzera era insignito anche: della Croce dell’Aquila Tedesca con spada, della Commenda delle Frecce Rosse, dell’Ordine di Isabella La Cattolica; era Cavaliere di Malta e Cavaliere Ufficiale della Corona d’Italia. Il 16 maggio 2014 il Maggiore Rocco Lazazzera è stato commemorato al Comune di Matera alla presenza del Sindaco Adduce, dell’Istituto del Nastro Azzurro, del Generale dei Carabinieri Vincenzo Procacci e delle Associazioni Combattentistiche e d’Arma. Nella stessa occasione si sono fatti voti perchè la salma della Medaglia d’Oro dal cimitero monumentale di Capurso trovi definitiva sistemazione nel Civico Cimitero di Matera.


Premio “Le Pieridi”

Alla scoperta di nuovi talenti letterari scirà, nei prossimi mesi, il bando per partecipare alla tredicesima edizione del concorso letterario nazionale “Le Pieridi”. Una manifestazione importante per la città di Policoro ideata con passione e dedizione dalla professoressa Maria De Michele, donna di grande spessore culturale, organizzata grazie al supporto dell’ Associazione Achernar di cui è Presidente. L’associazione rappresenta il fiore all’occhiello del salotto culturale di Policoro. Il Premio “Le Pieridi”, oltre alla narrativa, prevede sezioni di poesia in lingua italiana, religiosa e in vernacolo, e lo scorso anno ha visto la partecipazione di importanti autori, provenienti da tutto il Paese e anche dall’estero. Tutto ciò è segno della valenza del concorso, che si propone di diffondere la cultura letteraria, musicale, e artistica, ampliarne la conoscenza, attraverso contatti tra persone, Enti ed Associazioni; favorire e divulgare la cultura letteraria e avere l’opportunità di scoprire nuovi talenti. Tra i pilastri dell’organizzazione è importante sottolineare la presenza dello studioso e critico letterario professor Antonio Quarta, che più volte ha evidenziato come questa manifestazione rappresenti una vera occasione di grande interesse culturale, un importante momento di incontro in cui si ravviva lo scambio di idee ed esperienze, in quanto, per fare cultura, occorrono confronto, collaborazioni tra le varie associazioni, oltre che essere cultori di idee, di creatività e di partecipazione. Altra presenza significativa è quella del professor Rocco Campese, poeta di Tursi, che nell’edizione del premio 2014, ha sottolineato il filo logico che lega la poesia alla vita di ciascuno di noi ed è come un balsamo che dà la forza di non abbattersi mai. Nel 2014 tra i lavori che si sono aggiudicati il primo premio, nella rispettiva sezio-

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ne, non sono mancate poesie e racconti sulla Lucania e particolare emozione ha destato una composizione dedicata alle donne, declamata dall’artista Rosanna Venneri, che ha ricevuto il premio speciale “Arte e cultura 2014”. Quest’ultimo, istituito nel 2006, riconoscimento per coloro che si distinguono nel campo culturale, come promotori e autori di pregevoli opere, è assegnato annualmente dalla commissione che sceglie, tra le per-

sonalità segnalate, quella con i requisiti più adatti. Nel 2014 la giuria ha assegnato il premio alla lucana Rosanna Venneri per essersi distinta, nel panorama italiano, con le sue prestigiose mostre e presenze in salotti letterari, e ancor più per il suo lavoro artistico volto al nuovo, fatto di tracce, colori ed emozioni. La sua pittura e le sue liriche vivono il sogno dell’esistenza, cogliendo le storie dell’essere in tutte le sue diverse sfumature.

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I LUOGHI DELLA PITTRICE Un museo diffuso per Montemurro

e la Val d’Agri nel ricordo di Maria Padula Anna MOLLICA

l ricordo è sempre qualcosa di delicato. Combatte contro le nebbie del tempo nella speranza di restare ancorato nella mente di chi lo vuole conservare. Rosellina Leone questa tenacia l’ha avuta. Amante delle cose del passato e dei luoghi, osserva con interesse e curiosità i segni del cambiamento in un rimando continuo a come era stato. Il ricordo della madre scomparsa nel 1987, poi, ha un posto speciale nel suo cuore. Ogni giorno ha tessuto la tela della sua memoria riuscendo via via a coinvolgere tante persone che l’hanno arricchita di intarsi sempre nuovi. Maria Padula, infatti, a Montemurro la ricordano con affetto. Ricordano la sua tavolozza, il quadro montato sul cavalletto che posava negli angoli del paese per dipingerli tirandoli fuori dai loro nascondigli antichi. Così faceva per i paesaggi della Valle dell’Agri e per le persone di Montemurro, giovani, anziani, uomini, donne di ogni ceto sociale raccontandoli e raccontando un mondo a cui sentiva fortemente di appartenere. Montemurro era il suo paese, i montemurresi i suoi paesani, entrambi elementi dei delicati dipinti ed anche delle autobiografiche prose. La pittrice neorealista fondeva nelle tele due universi, l’intimo e l’esteriore e con essi rappresentava la realtà così come le appariva. Era una “realtà irreale” la sua, dove la materialità di persone, oggetti, luoghi si spiritualizzava mostrandosi nella loro l’essenza, rappresentata dalle tonalità pastello e dalla luce che inondava i soggetti. Ne

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dipingeva l’anima. I dipinti erano il suo dialogo con il mondo. Un dialogo fermo, deciso (le forme definite) ma anche essenziale (i contorni sfumati). Maria Padula ha parlato del suo paese e oggi è il suo paese a parlare di lei. A 100 anni dalla sua nascita, era il 12 gennaio 1915, sono quegli stessi vicoli che la “mostrano” attraverso i dipinti che si materializzano virtualmente. Avviene tramite piastrelle posizionate per terra in 14 punti di Montemurro che riportano un codice leggibile da un’applicazione che si scarica sul telefonino o tablet. Quel codice permette l’accesso ad un collegamento ipertestuale che fa apparire sul display il dipinto permettendo un confronto diretto tra come è oggi il vicolo e come lei lo ha riprodotto. Un sistema innovativo ideato da Davide Leone (nipote della pittrice) e Giuseppe Lo Bocchiaro, due architetti che hanno coniugato tradizione e modernità al fine di valorizzare i territori creando un museo diffuso all’aperto. I luoghi della pittrice è il nome di questo progetto che affida alla rete la divulgazione di Maria Padula con un sito dedicato (www.luoghidellapittrice.com) in cui troviamo la mappa delle installazioni e le interviste che hanno realizzato, con l’aiuto di Valentina Di Biase e Giusy Candia, a coloro che l’hanno cono-

sciuta. Amici, militanti di partito, persone ritratte nei quadri, allievi che hanno scavato nella loro memoria alla ricerca di ricordi ancora presenti. Testimonianze preziose che riportano inediti vissuti con la signora dell’arte intervistata, a sua volta, nel 1983 da Tonino Calvino e Antonio Sanchirico. Il progetto è stato presentato lo scorso 5 gennaio a Montemurro ed è stato il primo di diversi appuntamenti che celebreranno il centenario della nascita di Maria Padula per tutto il 2015. L’enciclopedia treccani.it ha pubblicato la sua biografia, curata da Maria Adelaide Cuozzo, docente di Storia dell’arte all’Università della Basilicata presente alla manifestazione. Un riconoscimento meritato per un’artista, insegnante, scrittrice, donna impegnata nel sociale e nella politica, madre di 4 figli, moglie dello stimatissimo maestro Giuseppe Antonello Leone, la cui opera e vita l’Associazione “Bellivergari”, che ha sostenuto il progetto, vuole far conoscere insieme a quelle dell’amata moglie. E non solo. L’Associazione, composta dalla famiglia Leone, si impegna affinché intorno ai loro genitori, si possa costruire una comunità di tante persone, anche residenti all’estero, che insieme camminano e crescono. Tutto questo è stato possibile e grazie ad un ricordo.


A POTENZA LA MOSTRA

PER BEN SERVIRE L’UMANITA’ LANGUENTE a storia dell’Ospedale “San Carlo” di Potenza è racchiusa nel suo stemma. Vi è disegnata una Torre che rappresenta quello che resta dell’antico castello appartenuto ai Guevara, nobile famiglia della città. La Torre è ancora lì, su uno dei margini estremi del punto più alto dell’abitato, a testimonianza di un passato, nobile non solo per il ceto. Era il 1621, infatti, quando la contessa di Potenza, Beatrice Guevara, concesse ai frati cappuccini di Sant’Antonio La Macchia l’utilizzo del castello affinché potessero adibirlo alla cura dei malati e degli infermi. Non la Torre che restò alla famiglia per usi privati. Ai frati fu dato anche il permesso di apportare ampliamenti e modiche. Nel 1626 il conte Carlo Guevara morì e lasciò ai religiosi 1000 ducati da utilizzare per costruire una chiesa e un monastero. I nuovi edifici furono intitolati a Carlo Borromeo, l’arcivescovo milanese canonizzato nel 1610, parente dei Guevara in quanto fratello di Geronima Borromeo, nonna materna della contessa Beatrice. L’operato del Santo a favore dei milanesi durante la peste del 1576 si conciliava bene con la protezione dei malati e il suo culto si diffuse presto nel territorio lucano. I frati esercitarono in questo luogo fino ai primi anni dell’800, poi lo abbandonarono in seguito alla laicizzazione delle Istituzioni imposta dai napoleonidi. La struttura sanitaria passò sotto il controllo ministeriale che con decreto istituì il 2 ottobre 1810 il nosocomio potentino. Anche questi eventi sono narrati in Per ben servire l’umanità languente, la mostra allestita presso il Museo Archeologico Provinciale di Potenza che ricostruisce la storia dei primi 60 anni di vita dell’Ospedale “San Carlo”, dal 1810 al 1870. Espone documenti dell’epoca, recuperati e restaurati, appartenuti per la maggior parte all’Archivio del Consiglio Generale degli Ospizi di Basilicata, la magistratura alla

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quale vennero affidati, dal 1806 al 1860, il controllo e la tutela di tutte le opere di beneficienza della Provincia, compresi gli ospedali, poi conservati nell'Archivio di Stato di Potenza. Grazie ad essi i ricercatori hanno potuto levare il velo su un pezzo di storia locale raccontando, insieme alla storia dell’Istituto, le sue tante vicende interne. Era un micro mondo popolato da infermieri, direttori, cuochi, medici, chirurghi, regolato da norme scritte che ne disciplinavano ruoli, compensi e comportamenti. Regolamenti veri e propri dai quali si evince la serietà di un’attività nient’affatto improvvisata ma studiata nell’interesse dei malati, per la maggior parte provenienti da ceti poveri, ai quali era prescritta una corretta igiene ed alimentazione, carente nelle loro famiglie. Era un mondo in verità molto simile a quello di altre realtà analoghe del Mezzogiorno che rifletteva la contemporaneità con le sue contraddizioni, credenze e discriminazioni ma anche con i suoi progressi di cui si facevano portavoce i medici grazie ai loro studi. Significativo è l’episodio che narra la volontà di alcuni di loro di finanziare con fondi propri una sala per le autopsie da allestire presso l’ospedale. L’ospedale li assumeva tramite concorsi, come provano i temi d’esame conservati. Documenti unici a cui vanno aggiunti quelli relativi alle cartelle cliniche che annotavano il nome, la famiglia, la provenienza, la malattia e la dimissione del paziente, e quelli relativi alle gare d’appalto tramite le quali l’ospedale selezionava i fornitori delle medicine, dei cibi, degli arredi. La ricerca si è poi soffermata sull’edificio del “San Carlo” e sulle sue modifiche avvenute nel tempo. Poiché l’edificio, fatta eccezione per la Torre, non esiste più, l’indagine si è basata su atti ed illustrazioni, i più antichi

risalenti al 1600 i più recenti alla metà del 1900. E ancora. Scrutando il passato sono emersi altri documenti che parlano a Potenza di diversi enti assistenziali antecedenti al “San Carlo”. Tra questi hospitales cristiani vi era quello intitolato a San Domenico esistente già nella metà del 1300, e un altro più antico sorto alla fine del XII secolo accanto alla chiesa S. Giovanni Battista. La presenza di questo ospedale è documentata da scritti cartacei e da un’epigrafe incisa su una lapide appartenente alla struttura che venne ritrovata nell’androne presso la chiesa di S. Francesco a Potenza intorno al 1930, poi conservata nel Museo Archeologico Provinciale. Questa lapide, di cui si è conservata una metà, insieme ai tanti documenti esposti, rappresentano le tappe di un lungo viaggio che, come noto, non è concluso. L’ospedale, infatti, troverà in seguito altre collocazioni con nuove e più moderne strutture. La mostra curata da Valeria Verrastro e da Angela Castronuovo curatrici anche del relativo catalogo, sarà visibile fino a giugno 2015. an.mo.

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Un sorriso costa poco La raccolta fondi della Together Onlus i è tenuta sabato 20 dicembre scorso, al Singapore Sling, il "Gala dei Sorrisi". L'evento è stato organizzato da Together Onlus, l'associazione potentina che, dal 2005, ha creato progetti per aiutare i più bisognosi, soprattutto, in Libano. Nell'elegante cornice del locale potentino, nel quartiere Macchia Romana, la serata ha visto la partecipazione di cittadini incuriositi dalle attività della Onlus e interessati a conoscere meglio i progetti già realizzati e quelli da portare a compimento nel prossimo futuro. Il Gala ha rappresentato un'occasione per raccogliere i fondi necessari a dare slancio all'attività umanitaria di Together. Infatti, dopo aver restaurato, nel mese di giugno scorso, la Chiesa salesiana di Santa Maria Ausiliatrice ad Houssoun, a trenta chilometri da Beirut, nel corso del 2015, l'obiettivo dei volontari Together è il

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restauro dell'oratorio annesso alla chiesa. In questo modo i bambini di quella località potranno tornare a giocare, dignitosamente, nell'area dove vivono e professano, tra mille difficoltà, la propria cristianità. "Un sorriso costa poco", come recita lo slogan della ultima campagna di Together Onlus e, a quelle latitudini, un sorriso sembra davvero un granello di sabbia, in un deserto di sofferenze. I salottini del Singapore Sling hanno ospitato i simboli e le tracce dell'impegno dell'associazione lucana in Libano. Nello Rega, presidente dell'associazione potentina, ha illustrato i passaggi più significativi di questa esperienza umana così intensa e prolungata nel tempo. Il giornalista Rai ha mandato in onda un video che ha mostrato, con la forza delle immagini, il senso e la filosofia che ha guidato e ispirato l'azione

della Together Onlus in quasi dieci anni di attività umanitaria. "Da allora ad oggi - ha ripetuto la voce narrante del servizio filmato - grazie al contributo di tanti benefattori, sono state portate a termine opere che hanno consentito la realizzazione di progetti ambiziosi, per affermare la cultura della pacifica convivenza, donare aiuti all'infanzia e regalare sorrisi ai più disagiati". In questi anni così intensi non sono state poche le difficoltà da superare ma, la Together Onlus, pur tra mille contrarietà, è riuscita a portare avanti i suoi progetti umanitari, "LibanItaly" e "Sorrisi per la pace". Così il segnale importante, lanciato dal Singapore Sling, è giunto chiaro e forte. E' con lo stesso spirito e la stessa tenacia mostrata finora che i volontari di Together si accingono ad affrontare la sfida del 2015, brindando, ai prossimi impegni uma-


Together Onlus Il prossimo progetto

nitari e lanciando la campagna "Un sorriso costa poco". A dare corpo alla serata, coniugando lo slancio umanitario ai sapori lucani, la presenza delle aziende lucane che hanno fornito, in beneficenza, il supporto e il sostegno al gala. Grazie alla sensibilità mostrata da Donato Vertone, gestore del ristorante Singapore Sling, all'estro creativo dello chef e all'impeccabile servizio dei collaboratori del locale, lo slancio umanitario ha incontrato la qualità dei prodotti agroalimentari lucani aderenti all'iniziativa. Così, il buffet ha dato modo ai convenuti di degustare piatti che hanno riscosso il notevole gradimento dei commensali. Meritano tutti una citazione. Cibarie Foodconsulting e Massimiliano Piancazzo, che ogni giorno si sforzano di costruire la cultura del “buon cibo”, esportando e valorizzando i sapori

lucani al cento per cento; il “Salumificio Genuino Burgentino" di Brienza; la “Latteria Tripaldi” di Avigliano, il “Pastificio Bio” di Tito Scalo, i “Vini Donofrio"; la “Pasticceria Ferdinando Piro” di Potenza. A completare, poi, il festival delle aziende lucane che hanno tenuto vivo l’orgoglio della lucanità si aggiungono, ovviamente, “La Nuova Tv" e "La Nuova del Sud, testate giornalistiche che, da alcuni mesi, hanno deciso di percorrere un cammino comune con Together Onlus diffondendo i suoi progetti umanitari e il suo sforzo per “regalare sorrisi”. A conclusione del "Gala dei Sorrisi" si è avuto il taglio della torta con il simbolo di Together Onlus, le dichiarazioni e la sentita partecipazione dei presenti hanno dato un segno tangibile del gradimento della serata.

La Together Onlus, iscritta nel Registro delle Associazioni non a scopo di lucro della Regione Basilicata, è nata nel 2005 per volontà del giornalista Nello Rega che, da allora, è anche il presidente. La prima missione ufficiale di Together è stata nel settembre 2005 con una spedizione umanitaria in Libano, durante la quale sono state, tra l’altro, effettuate molteplici operazioni: aiuto alla cittadinanza di Naqoura, aiuto all’infanzia del Comune di Alma (zona cristiana adiacente alla sciita Naqoura), gemellaggio sportivo tra la rappresentativa di calcio regionale lucano con la squadra di Jounieh (partita di calcio disputata nel campo sportivo di Jounieh) e la squadra di Tiro (partita di calcio disputata nel campo sportivo di Tiro alla presenza delle autorità di Unifil), aiuti al dispensario medico di Jounieh, aiuti alla struttura di Al Younbouh (struttura a sostegno dell’handicap nel Comune di Jounieh), protocollo di intesa con il Comune di Jounieh. Da allora, nel corso dei quasi dieci anni di vita, le missioni si sono moltiplicate e hanno interessato tutto il Libano: assistenza medica, dispensari medici, farmaci, gemellaggi culturali, corsi di lingua italiana, sostegno ad associazioni di volontariato libanesi, colonie estive per bambini disagiati e profughi. Grazie alle royalty del libro scritto da Nello Rega, con la collaborazione di Raffaele Gerardi, Diversi e divisi – Diario di una convivenza con l’Islam, Together Onlus dal 2009 può contare su nuovi contributi, oltre al consueto 5x mille e alle donazioni di benefattori in tutta Italia. Dal 2011 Together Onlus è impegnata in attività a favore del Centro Salesiano di Houssoun, 30 chilometri a Nord di Beirut. Nel 2012 e 2013 sono state effettuate colonie estive a favore di ragazzini disagiati e profughi siriani in Libano. Le colonie sono state supportate dal Progetto “Sorrisi per la pace”, di Together Onlus con la collaborazione del Panathlon International, a favore del dialogo e della ricerca della pace. Il sito web dell’associazione è www.libanitaly.com, accompagnato da quello personale di Nello Rega e Raffaele Gerardi www.diversiedivisi.it. Negli anni ha raccontato Together e i suoi progetti. Il progetto, nato all’inizio del 2014 e che si concluderà nel 2015, del restauro della Chiesa di Santa Maria Ausiliatrice ad Houssoun. E’ diviso in due parti. La prima, che si è conclusa il 29 giugno scorso, ha riguardato il restauro della Chiesa. Il secondo, che sarà portato a termine nell’estate 2015, riguarda il restauro e l’ampliamento dell’Oratorio Salesiano annesso alla chiesa.

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Gli

agrumi lucani

un concentrato di salute La via lucana del benessere Maria Carmela PADULA

d eccoci di ritorno sulla costa jonica per conoscere più da vicino gli agrumi, un prodotto tipico della zona, che non andiamo ad incontrare ed analizzare solo per la stagionalità, ma anche e soprattutto per le loro proprietà benefiche per la salute umana. Il termine agrumi, con il quale si indicano oggi tutte quelle specie e cultivar (arance, mandarini, pompelmi, limoni, lime e cedri) presenti sulle nostre tavole, deriva dal latino “agrumen” (dal sapore agro). L’area di origine e diffusione, la cui individuazione ha rappresentato un aspetto di non facile lettura, coincide con le regioni tropicali e subtropicali del Sudest asiatico, del Nordest dell’India, della Cina meridionale, della penisola indocinese e dell’arcipelago malese. La maggior parte degli agrumi oggi coltivati appartiene alla famiglia delle Rutaceae, sottofamiglia Aurantioideae, genere Citrus. In Italia la superficie destinata alla coltivazione agrumicola si attesta intorno ai 170 mila ettari, con una netta prevalenza di quella arancicola (60,1%), seguite da clementine e mandarini (22,2%), dai limoni (16,2%) e da bergamotto, pompelmo ecc (1,1%). Per quanto riguarda la coltivazione degli

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agrumi in Basilicata, cominciata con gli Arabi, inizialmente era localizzata lungo i fiumi Agri e Sinni, grazie alla disponibilità di acqua. La diffusione è stata possibile in quanto gli agricoltori lucani hanno moltiplicato molti ecotipi locali principalmente sulla costa ionica, caratterizzata da un particolare clima mite e da terreni molto fertili. In queste terre, che rappresentano ad oggi una delle zone agrumicole rilevanti della nostra penisola, gli agrumi lucani hanno riscontrato notevole entusiasmo in campo commerciale, fino ad avere oggi un commercio attivo tra i mesi di ottobre ed aprile. I principali ecotipi locali sono il Biondo o Golden di Tursi, il Biondo o Golden di Montalbano e, soprattutto, l’Arancia Staccia di Tursi e Montalbano. Si tratta di cultivars a polpa bionda e a maturazione tardiva. Per questo aspetto, in passato venivano collocate soprattutto nel

mercato campano per il consumo fresco e, quando il raccolto era abbondante, anche per la trasformazione in succhi freschi. Attualmente la parte interna o endocarpo viene consumata sia cruda sia in preparazioni quali marmellate, conserve, succhi, spremute e sciroppi. Il pericarpo o scorza è utilizzato per canditi o per la preparazione di liquori. Gli agrumi rappresentano una fonte molto importante di fitonutrienti, in quanto sono state identificate, in tutte le cultivar studiate, concentrazioni significative di numerose molecole bioattive. Queste sostanze sono prodotti del metabolismo secondario vegetale e non servono in modo diretto alla sopravvivenza della pianta. L’importanza nutrizionale degli agrumi era già conosciuta alla fine del XVIII secolo, quando sulle navi venivano imbarcate grandi quantità dei frutti per prevenire lo scorbuto, patologia causata da carenza di


Tavola di Risso et Poiteau da Histoire naturelle des orangers (1812-1822)

acido ascorbico (vitamina C). La vitamina C è essenziale per la salute umana in quanto contribuisce significativamente alla neutralizzazione di radicali liberi dell’ossigeno responsabili dello stress ossidativo, una forma di stress chimico responsabile di danni alle cellule dell’organismo e, di conseguenza, di molte patologie umane e del processo fisiologico dell’invecchiamento. Contenuto principalmente nelle arance rosse (40% in più rispetto alle arance bionde), l’acido ascorbico partecipa anche alla formazione del collageno, dell’adrenalina e riduce, a livello gastrico, la formazione di nitrosamine, particolari composti di tipo cancerogeno. La vitamina C migliora, inoltre, l’assorbimento intestinale e quindi la biodisponibilità del ferro di tipo non-eme, contenuto nei vegetali, che è inferiore a quella del ferro eme contenuto invece nei cibi di origine animale. Nella popolazione adulta si raccomanda un livello di assunzione giornaliera di acido ascorbico di 60 mg; considerando che arancia e limone contengono 50 mg/100g è possibile affermare che il fabbisogno giornaliero di vitamina C può essere soddisfatto con un consumo quotidiano di agrumi. Una fitomolecola molto abbondante negli agrumi è costituita da molecole note come terpenoidi: il monoterpene limonene e i tetraterpeni carotenoidi (beta-criptoxantina, alfa- e beta-carotene, luteina, zeaxantina e licopene). Esse sono responsabili della strategia chimica difensiva delle piante essendo prodotti principalmente in risposta all’infezione della pianta. Per quanto riguar-

da la loro attività farmacologica, i monoterpeni possiedono potere antisettico nei confronti di batteri patogeni e di alcuni funghi. Proprietà di tipo antiossidante, ipocolesterolemizzante, antivirale, e anticancerogena sono state altresì attribuite alle molecole in questione. I carotenoidi, i quali forniscono il colore arancione-rosso alla frutta e alla verdura, sono potenti antiossidanti aventi effetti terapeutici in diverse patologie tra cui le malattie cardiovascolari e l’osteoporosi, ma agiscono anche contro l’infiammazione e il cancro. Un’altra classe di molecole bioattive di cui gli agrumi sono ricchi è rappresentata dai polifenoli, in particolare i flavonoidi (esperidina, diosmina, narirutina) e anche le antocianine. Gli effetti dei flavonoidi includono principalmente l’attività antitrombotica, antischemica, antiossidante e vaso rilassante,

nonché antinfiammatoria, la quale si esplica attraverso l’inibizione della sintesi e dell’attività di mediatori proinfiammatori. Le antocianine sono pigmenti non solo dotati di capacità antiossidanti, ma anche in grado di influenzare l’espressione di proteine coinvolti nella regolazione di importanti processi infiammatori e correlati alla progressione tumorale. Recenti studi in vitro hanno anche evidenziato proprietà ipoglicemizzanti potenzialmente importanti nel controllo dell’insulinoresistenza e del diabete di tipo 2. Alla luce delle proprietà descritte appare chiaro in che misura sia salutare assumere quantità adeguate di agrumi giornalmente, in questo periodo dell’anno ancor più, dal momento che il loro consumo ne rispetta la stagionalità, aspetto che potenzia i benefici descritti.

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L’Associazione Don Tra sogno e realtà

Quando l’associazionismo si veste di inventiva Veronica D’ANDREA

il leit motiv di questa giovane associazione di Bella, che trova la sua ubicazione nel territorio di San Cataldo. Un'associazione che si propone il lodevole obiettivo di salvaguardare le tradizioni e la cultura di un tempo, ideando una manifestazione che nella sua unicità riesce a racchiudere la vita dell’intera popolazione. Parlano ai nostri lettori i giovanissimi referenti e ideatori del progetto culturale: Vito Sabato, il presidente dell’associazione e Massimo Sabato, il vicepresidente. Due laureandi, in materie umanistiche il primo e in quelle tecniche il secondo, i quali hanno sempre creduto fermamente nelle potenzialità del loro territorio e nelle capacità intriseche di valorizzarle.

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Un’associazione giovane la vostra. Quando nascete e perché la scelta di questo nome. L’associazione nasce ufficialmente nel 2012 come associazione prettamente culturale che opera sulla zona di San Cataldo, una sorta di Pro Loco territoriale che si occupa del recupero delle tradizioni e della valorizzazione della cultura locale, ancora fortunamente ben radicata. L’associazione può vantare un numero molto alto di soci che si

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aggira intorno ai 120. Lo slogan “tra sogno e realtà”. Cosa vuol dire? Il nome Don Chisciotte si rifà sostanzialmente alla figura dell’omonimo cavaliere errante, del condottiero che si batte per la legalità, una sorta di sfida, proprio perché avevamo percepito un certo scettiscismo dopo aver lanciato questa idea. Il sottotitolo inoltre esplica quello che nel piccolo abbiamo intenzione di mettere in pratica. Già il concetto di mettere insieme un numero di persone e metterle insieme non per scopo di lucro ma per uno scopo culturale. Già questo è un pensiero forte. Prima parlavate di scetticismo. Come


Chisciotte

ha risposto la comunità di San Cataldo a questa idea, visto che numericamente è abbastanza consistente. Si, siamo oltre 1000 abitanti. Inizialmente l’entusiasmo è stato generale e veramente sentito, specie far i più giovani. Col passare del tempo, i numeri su cui contare per portare avanti determinate iniziative, che richiedono impegno assiduo si sono affievoliti. Anche se una distinzione va fatta in virtù delle manifestazioni che vi si organizzano. Una manifestazione grande come quella de “Il sentiero del pane”, che tra i gestori dei vari stand e percorsi e chi produce il pane, arriva a circa 200 persone coinvolte. È una manifestazione molto sentita questa, dovuta al forte legame che la popolazione intera ha con il prodotto, ovvero con il pane e che riesce a portare a questa manifestazione finoa 3000 visitatori circa. Le istituzioni sono presenti? In che modo? Si le istituzioni sono presenti e lo sono anche i cittadini soprattutto a livello economico. Il supporto ci viene dato dallo stesso comune di Bella, come anche dalla Regione Basilicata e dalla Provincia di Potenza. Le campagne di tesseramento vanno sempre molto bene, ma poi viene a

mancare la mano reale, quella che poi ci permette la realizzazione di altre iniziative diverse dal “Sentiero del pane”. Come mai non viene recepita, secondo voi, l’importanza dell’associazione? A nostro avviso è un problema strettamente culturale, nel senso che non viene realmente recepita l’utilità anche se a breve termine. Un concetto che si può ricondurre al pragmatismo di questa frazione dove al centro di tutto vi è ancora troppo forte il concetto di lavoro come forma di sostentamento e quindi la cultura passa in secondo piano. Come è nata l’idea del sentiero del

pane? Nasce innanzitutto dal concetto di aggregazione dei giovani, questo quando abbiamo messo in piedi proprio l’associazione. Volevamo creare un punto di ritrovo diverso dal campo di calcio, dal solito bar. Si è poi pensato ad un’attività che riuscisse a coinvolgere in maniera interessante tutto il territorio. L’aspetto su cui abbiamo puntato è non solo il pane come prodotto dalle indiscusse proprietà organolettiche ma anche a tutto il ciclo di lavoro, anche perché qui almeno il 70 per cento delle famiglie produce il pane in casa. Dietro c’è l’idea di rivalutare un prodotto locale e la salvaguardia delle tradizioni da un punto di vista culturale, non solo gastronomico. Ancora oggi a San Cataldo esistono dei forni comuni, che sono peculiari e importanti nella storia della frazione. Si può constatare come all’incirca 6/7 famiglie producono il pane nello stesso forno. È un elemento questo abbastanza originale anche da un punto di vista delle dinamiche sociale attuali. Progetti futuri? Studi a livello antropologico. Studio e approfondimento con il Prof. Di Gianni con documentari che ripercorrono l’epoca passata. Amalia Signorelli, l’antropologa che ha redatto la prima tesi antropologica su San Cataldo nel 1956. Stiamo inoltre realizzando una biblioteca grazie alla donazione del Fondo Locuratolo che consiste di circa 1000 volumi tra narattiva e storia lucana. Ci organizziamo anche con eventi per il supporto alla ricerca come l’AISM, l’AISA e un Memorial dedicato ad un ciclista locale Sabato Francesco, recentemente scomparso

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Mia Lou questa

sera dormirò in trincea Giornata di formazione per il francese 2014 Debora COLANGELO

cale bianche e pareti verde chiaro. Un banchetto di libri e un’aula magna dove si rimescolano parole in francese. Sillabe che rimbalzano come proiettili nel filmato tratto da Un long dimanche de fiançailles di Jean-Pierre Jeunet e in sottofondo i versi di Guillaume Apollinaire tratti dalla poesia Ma Lou je coucherai ce soir dans les tranchées. Ecco come la Journée pour le Français 2014 accoglie tutti i partecipanti alla giornata di formazione presso l’Università degli Studi della Basilicata di Potenza. La voce degli attori in aula, tra cui quella dell’artista lucana Teri Volini, si amalgama con le immagini di guerra che scorrono sul filmato, determinandone uno straordinario impatto visivo che magnetizza gli occhi, la mente e, soprattutto, le pulsazioni del cuore. E come non ricordare i versi dell’Ungaretti che ha vissuto l’orrore delle trincee leggendo la sua Soldati! La commemorazione del centenario della Prima Guerra Mondiale prende vita nell’opera creata dall’artista Teri Volini e riprodotta sulla tessera dell’Alliance Française di Potenza 2015. I colori si legano pian piano alla contingenza, all’emozione immediata creando una “sinergia tra la poesia e la pittura”.

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Lello potresti spiegarci, brevemente, che cos’è l’Alliance Française, quando nasce e di cosa si occupa? E quali sono i suoi obiettivi? L’Alliance Française nasce in Basilicata negli anni ’50 (del 1900) grazie al prof. Giuseppe Infantino di Tricarico, fondatore del primo Liceo linguistico a Potenza e propugnatore delle nuove metodologie didattiche che venivano avanti già negli anni 70. L’Alliance concluse le sue attività negli anni ‘80 per riprenderle, attraverso una serie di prof e studenti, guidati dal prof. Carmine Vazza, nel 2009. Da allora è di nuovo presente, con dimensione regionale, in tutto il territorio lucano. L’AF si occupa della diffusione della lingua e della cultura francese, organizzando corsi di lingua, manifestazioni culturali, eventi formativi. La lingua francese è


l’elemento principale delle nostre attività. L’AF, attraverso le sue iniziative si adopera per la difesa del multilinguismo nella società italiana, propugnato dall’Unione Europea, ma di fatto abolito nelle scuole, dalle scelte degli ultimi governi italiani. Quanto sono importanti le giornate di formazione per una lingua in costante cambiamento come il francese? Gli incontri annuali sono un bel momento di dibattito, di scambio e di crescita, non solo professionale. Il francese cambia, ma cambia ancor più rapidamente la società e il suo modo di comunicare; cambiano le tecnologie e le metodologie didattiche provano a tenere il passo. Noi tentiamo di dare un servizio agli insegnanti: ad accompagnarli nel loro, tutt’altro che facile, lavoro, tra società in movimento, disattenzione colpevole delle lingue e della multiculturalità, nuove richieste e nuove metodologie (parlo della rivoluzione informatica in tutta la nostra società). Si tratta di richieste di intervento e metodologie non sempre semplici e intuitive. L’accoglienza di questa giornata formativa è stata affidata alla lettura dei Poèmes à Lou di Guillaume Apollinaire. Perché? Abbiamo pensato, insieme al gruppo che collabora alla gestione delle attività, di dare un segnale: la poesia e la bellezza debbono entrare nella nostra vita quotidiana. I Poèmes à Lou furono scritti nelle trincee, e sono di un incanto disarmante per la loro vivacità, la forza delle immagini veicolate dai versi per la potenza dell’amore che appare, non solo verso la donna amata da Apollinaire, ma verso la vita in generale. Iniziare con la poesia, ricordando gli orrori della guerra è stato il nostro modo per celebrare la Pace, per ricordare che le pagine di storia, soprattutto le più feroci, si stanno riscrivendo in Medio Oriente e nel Quarto Mondo. Non possiamo girare la testa e concentrarci biecamente solo sui nostri piccoli, meschini interessi. L’apertura alla multiculturalità e l’amore per le lingue straniere è connaturata alla cultura della Pace e dell’autodeterminazione dei popoli. Altrimenti, senza questa connotazione, si tratta di una pratica sterile e persino ridicola. Durante questa lettura ho colto, istintivamente, un collegamento tra due trincee: quella dietro la quale l’Apollinaire soldato combatteva e quella metaforica dell’Alliance Française. Ambedue mirano alla salvaguardia di qualcuno o qualcosa. L’operato di quest’associazione è significativo se si considera che, non molto tempo fa, la facoltà di Lingue ha chiuso presso l’ateneo di Potenza. Cosa ne pensi? La chiusura di Lingue ha rappresentato e

rappresenta tutt’oggi, una ferita aperta nel tessuto culturale lucano. Molti di noi si sono spesi personalmente, raccogliendo firme, contattando le istituzioni, lavorando affinché si scongiurasse una catastrofe culturale, ma nulla. Ai tagli inevitabili imposti dal governo, si è aggiunta la non volontà di vedere nel corso di Lingue, un magnete che attirava studenti dalla Basilicata, ma anche dalla Campania, di leggerlo come un’apertura culturale al mondo. Oggi, la proposta culturale umanistica in Basilicata è realmente più povera, e i numeri lo dimostrano. Come AF ci impegniamo per la difesa della lingua francese, ma in generale per il multilinguismo nella scuola e nella società. La nostra è una lotta “per” le lingue, non “contro” qualcosa. La ricchezza di un popolo si misura anche dalla sua capacità di “parlare più lingue” e quindi essere artefice del superamento delle barriere culturali, spesso solo apparenti, a causa della diversità linguistica. Ho apprezzato davvero molto l’intervento di Stéphanie Grindatto, responsabile pedagogica dell’Alliance Française di Torino: Enseigner le français avec les Tice. Cosa sono i Tice e quanto sono importanti per permettere una maggiore comprensione linguistica? Le TIC, come in italiano, sono le Tecnologie Info-Comunicative: i contenuti didattici, multimediali e non, veicolati attraverso Internet, i personal computer, i tablet … Si tratta di una moltiplicazione delle opportunità didattiche offerte agli insegnanti. Da qui TICE dove la E finale è quella di «Enseignement», insegnamento. Infatti queste tecnologie sono proposte per l’insegnamento, anche partecipato dagli alunni, nelle classi scolastiche italiane ed europee, per aprire ancora di più la scuola verso lo spazio intertestuale e partecipativo che è possibile raggiungere attraverso un uso sapiente della Rete Internet. Hai presentato un intervento dal titolo Le doublage vidéo en classe de FLE : apprendre autrement avec le multimédia. Com’è nata questa idea? Il laboratorio è nato da un’idea di intervento ludico-didattico nella scuola media. Il cinema e i media rappresentano un grosso fascino per tutte le generazioni: dare ai ragazzi la possibilità di ascoltare la propria voce prestata ad un eroe dei fumetti ci è sembrato un progetto interessante. Sono stati dello stesso avviso i ragazzi di Melfi a cui abbiamo offerto il laboratorio. Abbiamo preferito in questo caso un approccio ludico alla non facile fonetica francese, piuttosto che i metodi tradizionali. Il grado di coinvolgimento e di risposta è stato molto

alto e di questo ringrazio soprattutto la prof.ssa Sabrina Iorio di Melfi, che ha voluto con tenacia la realizzazione del progetto. I video con i ragazzi che doppiano i personaggi Disney o coetanei francesi, sono disponibili sul nostro sito e su YouTube. Invece, lei, professor Giuseppe Martoccia, docente di Lingua Francese presso l’ateneo di Potenza, ha presentato un intervento dal titolo Les enjeux du Web participatif dans les échanges scolaires : une expérience directe. Pensa che il Web occupi una larga parte del nostro tempo? Il web è diventato, senza alcun dubbio, il punto di riferimento per la ricerca di informazioni e di documenti culturali, oltre che per la comunicazione. Le potenzialità di questo spazio sono oggi una delle piattaforme principali per il rinnovamento della didattica. Per lo studio delle lingue straniere, la facilità di comunicazione attraverso lo scambio virtuale con delle Classi di coetanei europei può diventare un valore aggiunto per la didattica, che nel processo di apprendimento inserisce dei moduli di comunicazione e dei lavori di scambio interculturale. Queste idee progettuali sono state la premessa per un lavoro in Classe (le classi Prima e Seconda del Liceo Linguistico “Gesù Eucaristico” di Tricarico) che è durato un intero quadrimestre, da Gennaio a Giugno 2014, e che continua quest’anno sulla piattaforma delle scuole europee, Etwinning. Gli Alunni hanno costruito in lingua italiana e in lingua straniera i contenuti di un Blog interattivo, assieme alle Classi francesi (del Collège “Jules Ferry” di Hyères). L’uso di internet è stato finalizzato alla costruzione di uno scambio, di contenuti e di espressioni personali dei partecipanti.

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T R A L E R I G H E

FESTE LUCANE ANGELO LUCANO LAROTONDA e oltre 1300 feste lucane riportate in questo testo raccontano tanto. Rappresentano il patrimonio religioso di una terra e di un popolo che sulle sue fondamenta ha costruito, generazione dopo generazione, la sua identità. Feste Lucane è il saggio che lo riprende insieme ai fatti, agli eventi, alle credenze che in epoche lontanissime lo hanno generato. Scritto da Angelo Lucano Larotonda, docente di Antropologia Conoscere, preservare, già Culturale all’Università degli della Basilicata, docusostenere il patrimonio Studi mentarista e sceneggiatore religioso lucano vuol dire per il cinema e per la Rai, il libro edito da Edigrafema, accostarsi con rispettosa intende recuperare, spiegae divulgare queste realtà attenzione alle diversificate re che ancora oggi connotano espressioni di una cultura il nostro presente e nel quale sono fortemente senche le complesse e inevita- tite. Il saggio parla delle religiose attualmente bili vicende della storia feste celebrate in ogni paese socioeconomica hanno della Basilicata. E lo fa fornendo un’analisi dei conteprogressivamente sti storici, economici, sociapolitici entro cui tali feste modificato, li,sono nate e sviluppate. Parte da lontano Larotonda ma che continuano e si proietta in un percorso ad avere entro cui spiega le ragioni profonde della devozione il loro peso specifico per il divino, il più delle rappresentato dalla su vari aspetti volte Madre di Dio e dai Santi. della mentalità lucana. Una relazione salda che ha portato il popolo a levare gli occhi al cielo per pregaColoro innalzati a protetAngelo Lucano Larotonda re tori e benefattori contro le difficoltà e gli stenti di ogni giorno. Gente umile, non benestante e non colta che nella fede ha trovato conforto, pazienza e speranza certi dell’ausilio di Maria e dei Santi, persone che in vita hanno gioito, patito e pianto, proprio come loro. E a cui chiedere protezione e salute per la famiglia, gli animali e i campi, i soli mezzi di sussistenza. Una fede, dunque, sentita nell’animo, che oltrepassa la dottrina cristiana, del resto poco capita e per questo ritenuta lontana. Che si affida alla volontà del trascendente il quale si manifesta in sogno o con ritrova-

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menti casuali di immagini sacre dove poi erigere, su questi posti, chiese e santuari. Angelo Lucano Larotonda analizza, inoltre, la teologia dei dogmi, si inoltra nel significato di tradizioni e riti, religiosi e civili, e nei mutamenti dagli stessi subiti nel corso del tempo. Sul piano antropologico ne osserva il comune sentire, fa il raffronto tra i fedeli di ieri e di oggi soffermandosi sugli effetti che la modernità ha avuto su di essi. Per poi approdare, dopo una sezione dedicata alle fotografie di alcune delle feste più importanti della Basilicata, alla seconda parte del saggio in cui è riportato il Regesto, ossia l’elenco, paese per paese delle festività, del santo patrono, delle origini del culto e il giorno del suo festeggiamento. Il suo è un dettagliato resoconto delle diverse espressioni della pietas lucana che, nonostante tutto, continua a risiedere in comunità sempre meno popolate ma che ancora ad essa si stringono per tenere ferma ed unita la loro identità, ovunque i loro cittadini si trovino. an.mo.


MATERA

21 SETTEMBRE 1943 PINO OLIVA uello che viene raccontato in questo libro è il resoconto di una sola giornata. E’ la cronaca, ora dopo ora, del dramma vissuto da una città lucana durante il Secondo Conflitto Mondiale. MATERA. 21 settembre 1943 (Lavieri Editore) lo riprende e lo riporta grazie a Pino Oliva e Francesco Ambrico, relatori a proprio modo di una storia a cui sentono di appartenere. Entrambi materani, grafico ed illustratore il primo, appassionato di storia locale il secondo, hanno unito le rispettive passioni per un progetto realizzato in tre anni ma concepito diverso tempo prima. Venti anni di ricerche condotte su fonti di archivio italiane e straniere, e centinaia di documenti visionati hanno permesso ad Ambrico di andare a fondo ad un episodio a lui noto dai racconti degli anziani della sua città. La sua è stata una ricerca della verità da voler comunicare, raccontare a tutti attraverso Per non dimenticare tutti una forma che fosse immediata, coloro che a Matera persero accattivante, coinla vita il 21 settembre 1943. volgente. La trova in Oliva che attraverso il fumetto inizia a dare forma Pino Oliva ai personaggi proFrancesco Ambrico tagonisti loro malgrado di questi drammatici fatti. L’eccidio dei materani in quella triste giornata è proposto in due momenti. I personaggi lo raccontano in prima persona, nel momento in cui avviene e un anno dopo, quando chi è chiamato ad investigare sui crimini di guerra, convoca alcuni di loro per riferire sull’accaduto. Le scene si svolgono in contemporanea secondo una sequenza che permette al lettore di immedesimarsi negli stati d’animo dei protagonisti rivivendone angosce e paure. Oliva infatti dà loro voce, ne disegna espressioni, gesti, movimenti, riproduce gli ambienti interni ed esterni ma non li colora. Lascia che il bianco e nero ricrei quei tempi, incolori sia per come li avrebbe ripresi un’istantanea, sia per l’inquietudine che si era estesa sulla città. L’armistizio dell’8 settembre ’43 aveva creato confusione nell’esercito reale e molti furono i soldati italiani che abbandonarono i reparti per tornare a casa. Ed aveva scatenato la follia degli ufficiali tedeschi che nel precipitare degli eventi a loro sfavorevoli causarono lutti e ne subirono scontando la determinazione di una città stanca di occupazione e soprusi. Ventisette persone persero la vita, tra la caserma della milizia e la sede della società elettrica, colpevoli di essere solo materane. Imprecisato è il numero dei caduti tedeschi. La città di Matera per quegli eventi fu insignita della Medaglia

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d’Argento al Valore Militare. Accompagnano le illustrazioni le foto dei luoghi narrati e dei materani deceduti, a ricordo di un brutto passato che le generazioni a venire non dovranno mai dimenticare. Un messaggio che gli autori vogliono consegnare nel rispetto della memoria di tutte le vittime della guerra, anche nemiche, e nel rispetto delle loro famiglie distrutte dal dolore per quelle incommensurabili perdite. an.mo.

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D O L C E & S A L ATO

QUALCOSA DI FAMILIARE CIAO MAMMA!

Carla MESSINA

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n corteo di Angeli in fila alle poste per un saluto da telegrafare ed un occhiolino da spedire, il saluto al cielo, un abbraccio a Dio che come un vecchio amico ti fa un cenno con la mano ed è pronto ad aprire la sua dimora. Vecchi amici tornano con una lacrima tra le mani e tu, fermo ed alienato nel tuo silenzio, cerchi di nasconderti all’ombra di un pensiero. Passa il tempo e passano le

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persone e tu, spettatore inerme, vedi la tua vita scorrere come la pellicola di un vecchio film. Cambiano le scene ed i protagonisti. La differenza sta nell’emozione che tutto lacera e distrugge lasciando nell’anima tracce, anzi solchi d’inumana sofferenza. Ti chiedi se sia vero o possibile ed intanto un’altra scena, un’altra storia viene scritta tra le pagine di un’esistenza troppo piena da risultare vuota!


Cresciamo avendo ben in mente l’origine di un insegnamento, l’educazione che ci è stata donata, la sensibilità che ci è stata trasferita. I primi insegnanti, da sempre, sono i genitori, quelli che ti accolgono all’arrivo e che continuano a trattarti da bambino anche quando tu dovresti essere il loro sostegno. Non sono sempre gentili, anzi. Spesso, pantofole lanciate dalla sponda del letto sono un bel ricordo a cui aggrapparsi e del quale sorridere quando ti ritrovi a pensare di voler fare la stessa cosa….è allora che ti accorgi di quanto efficace possa essere il valore di un insegnamento, quella tavola imbandita pronta ad accogliere te e quanti amici avrai deciso di portare a casa. E poi la promessa di un “paliatone” al rientro da lavoro non ha eguali nella formazione di una persona, perché non sarà lo schiaffo che forse neanche prenderai ma l’idea di doverlo prendere quello che ti educa e ti induce a pensare a ciò che non si fa. “Mazz’ è panell’ fann i figl’ bell’” un vecchio detto lucano riporta in auge proprio il concetto di educazione a cui faccio riferimento. Non sempre solo le carezze fanno bene, anzi spesso è la forza di un rimprovero quello che nella vita fa la differenza. La vita è sempre più dura ed anche violenta. Dal malintenzionato che quotidianamente rischi di incontrare al politico corrotto fino ad arrivare al medico incompetente che dall’alto della sua presunzione tutto distrugge lasciando dietro di se macerie…purtroppo faccio riferimento a episodi di quotidiana follia che toccano un po’ tutti e dai quali ci si può salvare solo se mamma e papà hanno fatto bene il loro lavoro! Esiste, tuttavia, una violenza silente e traumatica che tutto distrugge. Ti arriva al cuore, coinvolge l’anima, tutto azzera. In qualsiasi modo tu ne venga fuori sei una persona diversa da te stesso, non sai quanto tu sia forte e quanto tu possa sopportare. Sai solo che nella vita la realtà è sempre più forte di qualsiasi pensiero, sogno o incubo, tu possa realizzare, ed è in questo che viene fuori la forza degli insegnamenti ricevuti dell’esempio che ti è stato dato…perché ti è stato dato, anche se non lo sai! Spesso a braccetto con un pensiero passeggi tra le gente, riconosci in alcuni volti la forza della sofferenza e ti accorgi di quanto coraggio ci vuole ad alzarsi ogni mattina ed andare a lavorare quando un lavoro non c’è: due settimane di cassa integrazione, una a lavorare, con la metà o un quarto di stipendio a fine mese; sfilare avanti a cancelli chiusi mentre i vecchi signori con la pancia piena decidono le sorti di un territorio e della sua gente, delle classi più penalizzate di operai e metalmeccanici, di quelli che sempre si trasformano in Agnello Sacrificale, si perdono lavori, si perdono vite ed intanto quegli stessi volti, i veri eroi dei nostri

La ricetta... La Pizzaiola Ingredienti: Fettine di vitello di secondo taglio, con un filo di calletto o grasso, aglio, olio extra vergine di oliva, origano, prezzemolo, sale qb, pomodori pelati. Procedimento: In una teglia versate dell’olio extravergine d’oliva, tagliate uno spicchio d’aglio a pezzettini, aggiungete una manciata di prezzemolo, incorporate dei pomodori pelati e ponete il tutto sul fuoco. Lasciate cuocere un po’ e proseguite incorporando una bella spolverata di origano, amalgamate il tutto e lasciate cuocere ancora un po’. Quando il pomodoro si sarà leggermente ridotto, incorporate le fettine di carne ed aggiustate di sale, lasciate cuocere ancora e se necessario aggiungete un goccio d’acqua. Quando la carne sarà cotta ed il pomodoro sarà abbastanza omogeneo e compatto, togliete dal fuoco e lasciate riposare un po’. Come anticipato questo è il tipico e gustosissimo piatto che sprigionerà nell’immediato dei profumi intensi ed invitanti e che continuerà a farlo anche quando, se non mangiato nell’immediato, lo si andrà a riscaldare dopo qualche ora. E' questo uno dei piatti tradizionali italiani che ogni Regione d’Italia ha fatto suo grazie a ingredienti tipici del territorio, ma che come gli operai ha una dignità intima e intensa che non ama clamori, ma che sa godere di se stesso e della sua pienezza!

giorni, continuano ad alzarsi la mattina, continuano ad indossare un sorriso e a dare sicurezza e tranquillità a quei figli che nulla sanno. C’è una classe sociale che da anni non ha un ruolo nella società e che da sempre viene considerata come carne da macello. I metalmeccanici ad ogni ordine e grado sono considerati l’anello debole della società, una società che cresce però sulle loro spalle, spalle forti che tutto sanno e tutto sopportano. Nasce qui quella che io definisco la “Filosofia Metalmeccanica”, un modo di vivere e di vedere le cose in maniera schietta, dura che non ti da illusioni ma che ti coccola ed abbraccia nella sua efficace incisività. Attenzione, però, in questo modo di vedere e di vivere c’è talmente tanto spazio per l’amore sincero, quello puro che non regala illusioni ma che ti accompagna con i fatti più che con le parole. In Basilicata c’è un’intera generazione di uomini e donne che sono cresciuti così, con papà che arrivano stanchi a casa dopo turni massacranti, non abbastanza stanchi da non portare i figli ovunque essi hanno necessità di andare; e non

ci sono mamme che dopo aver fatto anche un doppio turno non hanno la forza di riassettare casa, preparare da mangiare per il giorno dopo, accompagnare i figli a comprare le scarpe e fare la spesa. Come se una giornata di 24 ore in realtà non avesse mai fine. Intere esistenze volte al sacrificio, un sacrificio puro, netto che non chiede sconti ma che paga conti troppo alti, spesso risolti con una straordinaria dignità e presenza d’animo. La Basilicata è una terra che da sempre paga conti troppo alti ed insopportabili, ci sono piatti estremamente popolari che nascono più dall’esigenza di un pasto sicuro e genuino che dal procedimento di realizzazione. Soluzioni inventate proprio per quanti dovevano e devono assicurare pasti genuini e gustosi in tempo reale. Uno di questi è la carne alla pizzaiola, piatto tipico di tutto il territorio nazionale ma che trova un ampio uso in alcune categorie sociali perché un piatto genuino e gustoso a base di carne che può essere preparato la mattina per la sera, o la sera per il giorno dopo. Uno di quei piatti salva vita che solo una mamma sa fare!

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“I RIFERIMENT POTREBBERO LUOGHI O PE

Arsenio D’AMATO

giovedì e mi sono, praticamente perso il primo giorno di festival e non posso pensare che il concerto ci sia stato all’alba. Ci potevo essere. Guardo le foto su Facebook e mi deprimo. Se non sto attento perdo anche le cose di oggi. Maria mi ha pure mandato un sms: “Ti stai divertendo?”. Uff! Sono ubriaco. Guardo il programma per far mente locale. Dal 20 al 31 agosto Sponz Fest, musiche e letture gratis, sotto il titolo "Mi sono sognato il treno", frase che in quella parte d'Irpinia vale come "ho sognato una cosa irrealizzabile". Sponz, come in molte cose di Vinicio, è un gioco serio. Contiene sponsale, "che dura un giorno, da non confondere col matrimonio che può durare una vita" ma anche spugnarsi, imbeversi, come fa il baccalà in ammollo prima d'essere cucinato. Sul fronte nuziale, film in piazza. Non posso abbandonare, però, il mio compagno d’avventura che, intanto, guarda in alto e mi indica, con l’indice, il volo di un cazzo di falco di palude femmina. Io guardo il dito, comunque, e la mano e l’orologio d’oro e, “sulle ali dello spirito santo”, lo invito a seguirmi a Calitri. Non fa una piega, ma preso dall’emozione resta muto. Non parla fino a che non tocchiamo terra. Forse ho corso un po’ e rollio e beccheggio danno nausea. Quando prende la parola, dice: «Una volta

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a Calitri c'erano tre cinema, adesso nessuno. Erano sempre pieni e se non c’era posto ognuno si portava le sedie da casa». Saggezza o scaltrezza? Rimembrava, zi’ Peppo, o sapeva? Ci troviamo a guardare un film in piedi nella piazza perché non ci siamo portati le sedie da casa. Dopo il cinema incontriamo l’anfitrione. Sono con gli altri, ma senza una foto da farmi autografare, senza una penna, senza cappello, senza cravatta. Sono straniero fra la mia gente. La sua gente. Quelli come me. Me ne andrò, allora, col vecchio. Per sognare. Per farlo sognare quanto questa gente. Come quando, i sogni, per lui dovevano essere davvero belli. Le voci si accavallano confondendosi l’una nell’altra perché nessuno ha la pazienza di aspettare il proprio turno ed io mi ostino a non parlare, che tempo ne ho per incontrare il Deus ex machina vis a vis. La gente, poi, si dirada. Chi resta ascolta. Vinicio parla dell’idea di ambientare alcuni spettacoli nelle stazioni abbandonate della linea AvellinoRocchetta: "La linea è stata dismessa nel 2010. Gli spettacoli interesseranno nove comuni: Calitri, Aquilonia, Andretta, Cairano, Conza della Campania, Lioni, Monteverde, Morra de Sanctis, Teora. Le stazioni sono tutte in basso, a fondovalle. I paesi sono tutti lontani qualche chilometro,

su un cocuzzolo. Ecco perché sponz è anche altro: Irpinia Trekking ha studiato itinerari tra i boschi, nei campi, su sentieri e stradine che portano a grotte, a resti archeologici. Qui, se uno passa non vede niente. Se invece si ferma, cammina, mangia le cannazze, balla, suda, qualcosa di questa terra gli entra dentro e qualcosa si porta via. È una terra ribelle, che sembra divertirsi a ribaltare le opere dell'uomo. Anche col terremoto. Calitri è sempre stato un paese di contadini e il paesaggio prende i colori dei campi. Tutto verde in prima-


TI A FATTI, LUOGHI O PERSONE O ESSERE RIFERIMENTI A FATTI, ERSONE”.

Seconda Parte

CRISTIANO CAVINA - UN'ULTIMA STAGIONE DA ESORDIENTI [MARCOS Y MARCOS]

Le vicende e gli eventi raccontati in questa storia sono di pura fantasia ed i riferimenti a personaggi e realmente esistiti, o fatti veramente accaduti, hanno esclusiva funzione narrativa.

vera, tutto giallo in estate, e adesso dopo la mietitura e la bruciatura delle stoppie la terra diventerà nerastra, nera, come a lutto. È una terra che non ti trattiene ma non ti lascia, mio padre è partito a 18 anni e non s'è mai sentito a casa come qui. Gran collezionista di fotografie davanti alla macchine altrui, mio padre. Col vestito della festa, si piazzava davanti a una macchina nuova fiammante, quasi sempre una Mercedes, e si faceva fotografare. Poi, se uno gli chiedeva "ma è tua?" rispondeva no. Altrimenti stava zitto".

Vorrei scendere a valle per ascoltare i Tinariwen, ma qualcosa mi attira di più: il mio vecchio compagno di avventura vorrebbe ri-entrare a Ruvo del Monte e, stranamente, m’interessa il suo punto di vista. E, “sulle ali dello spirito santo”, rientro a Rùvë sia. Già so che i tredici chilometri 13 che ci separano dal paese saranno silenti. Zi’ Peppo odia il viaggio e non fiata. Ed è come fossi solo e penso forse ad alta voce: “E’ stata l’estate delle decapitazioni postate su Youtube e del virus Ebola immanente, della recessione tecnica e dei delitti esti-

vi sempre più insensati e atroci. La gente si spara allegramente e nessuno si fida più dei padri. E’ stata l’estate dell’estate che non è arrivata mai. Ma l’estate è anche e soprattutto una questione privata. La mia estate è cominciata con un viaggio, in una macchina che sento mia, ma non lo è, verso una terra che m’appartiene, ma non è la mia ed è proseguita con una persona che mi tratta da amico, ma non lo è…”. È la prima volta che rinuncio a seguire dal vivo un mio idolo per far compagnia a uno che nemmeno conosco, ma che mi attira infilando perle di gioia di vivere e riflessioni esistenziali. Appena giunti al paese andiamo al bar per un caffè. Dopo il primo sorso zi’ Peppo sbotta: «uaglio’, visto che ‘u cantande parla come a’ uno grùosso ti posso dire che quello che ha detto per quei paesi, per il suo paese e pe’ chi l’a stramùorto vale pure ppe’ Rùvë! Sia chiaro». Chiarissimo, epiteto ingiurioso a parte, non fa una piega e poco dopo mi tocca scoprire, incredulo, “indagando” al bar, che Peppo re Rùvë, carismatico e scattante come un grillo, ha 72 anni e adora la musica classica. E poi non riesco ad abbandonarlo da quando mi ha detto, lacrime agli occhi: “Vorrei che i miei figli guardassero questo paese con lo stupore del viaggiatore che resta incantato davanti alla sua bel-

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LOOKANIA lezza. Ho due figli, uno pressappoco della tua età e una femmina più giovane, che non mi rivolgono la parola perché, dicono, ho lasciato la madre. Il maschio vive qui, con me, ma pensa solo alla carambola. La ragazza vive fuori, non viene mai, ha tagliato completamente le radici, ma credo

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sia una brava figlia...”. Se prima ero titubante adesso sono deciso. Zi Peppo, nonostante i suoi seri problemi, mi ha fatto da chioccia, anche se non avevo bisogno e nessuno glielo aveva chiesto, mi ha inondato di poesia, ottimismo e sentimenti di progresso vari. Resto con lui. Fanculo allo

Sponz e a Cinaski, al cinema di frontiera e al resto. Se ho tempo se ne parla la settimana prossima. “Sulle ali dello spirito santo” scopro, così, che su questo scampolo di terra spopolata non c’è pietra che non abbia un nome e i toponimi sono più fitti dei numeri civici del rione di una metropoli. La mia estate è proseguita a Ruvo della Montagna. Della serie, un altro Sud meno altero è possibile. Ascoltare Vivaldi, Schumann, Chopin in mezzo ai boschi del Vulture, un’esperienza impagabile. Lì in alto il cellulare neanche prende. D’altronde farsi un selfie con un lupo sarebbe stato leggermente pericoloso. Sono stato davvero rapito da Peppo re Rùvë che, parlandomi di lupi belve e lupi mannari, in un crepuscolo montano, mi ha fatto provare pure un’emozione enorme ululando come un vero lupo da una costa di rupe soprastante il mio cammino. Una suggestione di paura, ma pur sempre un’impressione e le impressioni emozionano. Mi comporto come se non m’importasse nulla del Festival, ma devo ammettere che, nel profondo, in realtà, non me ne importa niente lo stesso. Mi ha fatto assaporare, nei boschi, il tepore del sole dei teneri raggi che, a malapena, arrivano al suolo. Mi ha fatto assaporare la brezza che fa ondeggiare le chiome degli alberi e i pascoli verdi, le stoppie pungenti e il fieno profumato di medica.

O.S.T. Dimmi Tiresia – Vinicio Capossela


Foto Andrea Mattiacci

Anno IX numero 1/2

POTENZA

É QUI LA FESTA


sommario 74 I Rossoblu tornano a far sognare il Viviani

I Ro

Torna il Vivia

78 Facce da fair play

80 ASD OPTì POBA’ Il bello del calcio a Potenza

Federico PELLEGRINO

84 Domar Matera Una realtà consolidata sotto rete Lucano


ssoblu

no a far sognare ani

n anno vissuto sempre ai vertici per il Potenza che è tornato a far gremire il Viviani come non accadeva da tempo immemore. Un anno solare che si chiude nel segno del campo amico, imbattuto sia in Eccellenza che nel corrente campionato di Serie D, dove solo Andria e Gallipoli hanno portato a casa un misero pareggio. Statistiche, numeri e dati che testimoniano il legame strettissimo che congiunge i colori rossoblù ad un feudo che da tempo era vuoto, abbandonato dal cuore pulsante del tifo e che oggi vanta numeri non inferiori

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alle duemila presenze di media. Tutto questo reso possibile grazie ai risultati ottenuti da Mimmo Giacomarro e la sua equipe di lavoro, che comprende inevitabilmente il presidente Notaristefani dopo che nel mese di ottobre ha preso in mano il Potenza per intero. Il commercialista di Martina Franca ha preso il testimone da Antonello Grignetti, timoniere della risalita del leone dall'Eccellenza. Lolaico e soci possono lottare oggi per un posto nei playoff, Andria e Bisceglie permettendo. Le due squadre pugliesi se la giocheranno fino alla fine per

la promozione diretta e sarà un duello gomito a gomito, chissà che tra le dispute e i duelli non possa inserirsi un Potenza partito sotto traccia e rivelatasi vera sorpresa dell'intero Girone H. Molti sono gli auspici dei tifosi che hanno potuto apprezzare le gesta di una squadra che ha onorato la maglia non soltanto tra le mura amiche ma anche lontano dalla Basilicata. Un girone d'andata quasi perfetto tra Campania e Puglia con un bilancio invidiabile di cinque expolit esterni (Scafatese, Pomigliano, Arzanese, San Severo, Cavese) e due pareggi sui campi di Bisceglie e Grottaglia. Uniche sconfitte stagionali alla seconda giornata di campionato con la Gelbison, sul neutro di Picerno, e allo Squitieri di Sarno per 3-1. Il Potenza più bello, più spumeggiante e più divertente non è stato visto dai propri tifosi. Non è un'assurdità, ma tutto reale. Proprio nell'ultimo match prima della pausa natalizia la squadra di Giacomarro ha conquistato il Lamberti di Cava De' Tirreni per 3-2 non potendo godere dell'incitamento dei propri supporter visto il divieto del Casms ad assistere alla gara. Un Potenza così non lo si ammirava da tanto e lo storico successo in terra metelliana è stato accolto da un bagno di folla che ha attesi i calciatori al ritorno in città. Scene di delirio sportivo e di entusiasmo che non si vedevano davvero da anni, forse proprio da quel 17 Giugno 2007 che sancì il ritorno del leone nella vecchia Serie C1. Oggi c'è un altro vento, si respira un'aria nuova e si sta dando alle nuove generazioni l'opportunità di riscoprire la potentinità attraverso lo sport ed il calcio che ultimamente è stato bistrattato dagli imprenditori e dalle istituzioni. Segnale importante dato dal presidente Notaristefani attraverso il mercato invernale con l'acquisto del difensore Schettino e del centravanti argentino Caraccio, elementi che possono dare il loro contributo in termini di esperienza ad un gruppo già di per sé competitivo.

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Facce da fair play Un calcio diverso è possibile air play. Un tema di stretta attualità e molto discusso, in particolar modo nel mondo del calcio, dove spesso trovano spazio momenti che nulla hanno a che fare con quei valori di correttezza che invece dovrebbero caratterizzare in modo esemplare il mondo dello sport. Seguitissimo da ampie fasce della popolazione e spesso cruciale per la formazione di tanti ragazzi e ragazze che saranno gli uomini e le donne di domani. La Basilicata si è resa protagonista di una manifestazione che è uno spot al fair play e al modo di vivere il calcio grazie all’iniziativa “Un calcio diverso è possibi-

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Emanuele PESARINI

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leˮ del lucano Michele Benedetto, sportivo che milita nel Castel Pantano di Potenza, compagine di seconda categoria. Non potevamo esimerci dall’approfondire una questione che ha avuto eco anche oltre i confini lucani. Chi è Michele Benedetto nello sport e nella vita di tutti i giorni? Sono un appassionato di calcio, a 37 anni continuo a divertirmi e a correre dietro a un pallone con lo spirito e la voglia di quando ne avevo 5. Nella vita di tutti i giorni, invece, lavoro con altrettanta passione presso


un’Azienda di Rovereto attiva nel settore delle Energie Rinnovabili, ricoprendo il ruolo di Origination Manager. Da calciatore hai lanciato un’iniziativa sul fair play “Un calcio diverso è possibileˮ. In cosa consiste il progetto e quali sono i tempi e le modalità di svolgimento? Avevo voglia di lanciare un messaggio positivo a favore del rispetto e della lealtà sportiva che ogni anno viene messa in discussione dai casi di violenza soprattutto ai danni della classe arbitrale. Così mi venne in mente di farmi ritrarre in una foto, ad ogni inizio gara, insieme al Capitano della squadra avversaria e all’Arbitro di turno, stringendo in mano un cartello riportante la seguente frase: “RICORDA, l’Arbitro e l’avversario sono tuoi amici, senza di loro non potresti divertirti, RISPETTALI”. Qual è l’origine alla base di tale iniziativa? Ogni anno assistiamo a casi di aggressioni ai danni di arbitri che non hanno fischiato un rigore, a tifosi che se le danno di santa ragione fuori dagli stadi. Poi, il lunedì mattina, titoloni sui vari giornali, tutti pronti a criticare, a condannare, ad esprimere solidarietà nei confronti di chi ha subito il sopruso. In tutti questi anni mai nessuno si è degnato di tirar fuori qualche idea che potesse incominciare a scuotere le coscienze e a contrastare il problema. E fu così che decisi di metterci la faccia! Come hanno risposto gli altri club? L’iniziativa ha riscosso, in pochissime settimane, davvero un enorme successo. Devo fare un elogio e ringraziare tutti i Club che settimanalmente riescono a starmi dietro, dalla Lombardia, passando per la Sardegna e via giù fino alla Sicilia si sono unite moltissime Società in questo gemellaggio ideale all’insegna del “fair-play”. Poi, il martedì successivo alle gare domenicali, riunisco e pubblico in un foto-book su FB, tutte le foto che mi pervengono dai vari campi. Il progetto è nato a livello di prime squadre, ma il vero mio obiettivo è quello di sensibilizzare al massimo i Settori Giovanili, perché una corretta educazione alla lealtà sportiva debba iniziare da qui. Questione arbitri: quanto è dura la loro professione nel calcio di oggi? Prima di ideare lo slogan che sta facendo il giro di moltissimi campi dilettantistici Italiani, sono partito proprio dalla figura dell’arbitro, immedesimandomi in uno di loro. Bisogna far capire a tutti che anche l’arbitro è li per sfogare una passione al pari di noi giocatori e tifosi. Invece, nello stereotipo dello sportivo italiano, in senso lato, è fermo il concetto che solo l’arbitro è in grado di condizionare l’esito della gara; ma non è proprio così! Un giocatore quando sbaglia un passaggio determinante o peg-

gio, quando sbaglia un gol non condiziona anch’egli l’esito finale della partita? Un noto e storico magazine sportivo il Guerin Sportivo ha dato spazio alla tua iniziativa. Inoltre il sito sportivo dedicato al Campobasso ha pubblicato un articolo che ha ricevuto oltre 47 mila visualizzazioni. Ci parli dell’interesse che hanno manifestato al riguardo? Per quanto riguarda il Guerin Sportivo, ad inizio stagione fui contattato da un ragazzo che gestisce la loro pagina Facebook il quale segnalò la mia iniziativa direttamente al Direttore Matteo Marani che dopo alcuni scambi di email mi comunicò che avrebbe dedicato attenzione all’iniziativa e così fu. In quanto al sito sportivo di I am Calcio Campobasso, in questa occasione fui contattato direttamente dalla loro Redazione. Mi fecero i complimenti perché avevano dedicato un articolo alla Società del Petacciato Calcio (CB) che la Domenica precedente aveva accettato il mio invito ad unirsi al gemellaggio fair-play mostrando lo slogan. In quell’occasione, il Petacciato fu la prima squadra molisana ad aderire all’iniziativa. Di qui, mi fecero un’intervista, stimando che l’articolo sarebbe potuto arrivare a 5000. A questa affermazione io ci credetti poco, abituato com’ero a ricevere poche decine di like sulle varie foto fairplay. Invece, nel giro di una settimana, non solo l’articolo contava più di 5000 letture, ma andò anche oltre le più rosee aspettative della stessa Redazione. Infatti dopo una settimana si arrivò ad oltre 20000 ed in meno di dieci giorni a 47000. Insomma, numeri da infarto per me! Quale è il rapporto tra calcio e fair play in una città come Potenza? Assolutamente strepitoso! Oltre la mia squadra del Barrata, anche i cugini del Cittadella, hanno accettato, senza riserve, il mio invito a portare avanti l’iniziativa fino alla fine della stagione. Sarà stato anche un caso, ma quest’anno, dopo tanti derby stracittadini disputati in passato, senza dubbio quello giocato lo scorso 29 Novembre, nello storico campo del Federale, è stato, in assoluto, il derby più corretto che io ricordi. Anche la squadra del Castel Pantano Potenza che disputa il campionato di 2^ Categoria, mi sta seguendo. Le soddisfazioni e le emozioni più belle me le hanno regalate i Settori Giovanili del Parco Tre Fontane, Potenza 1919 e Potenza Soccer, tutte e tre le Società potentine, grazie alla sensibilità dei loro tecnici e dirigenti, stanno portando avanti l’iniziativa con grande passione e singolare entusiasmo. Per concludere, vi do una piccola anticipazione, sto producendo anche un video tutto lucano sempre in chiave fair-play che molto probabilmente lancerò nel mese di Febbraio, di più non posso dirvi, sarà una sorpresa!

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S P O R T- I N G

IL BELLO DEL CALCIO

ASD OPTÌ PO Barbara GUGLIELMI

’amore per il calcio. Il credere nei valori che il mondo dello sport insegna, e cioè la disciplina, il rispetto delle regole, il gioco di squadra, la lealtà. L’idea che in un campo di calcio si è tutti uguali. Questi gli elementi alla base della nascita dell’ASD Optì Poba, unita ad una particolare sensibilità del fondatore della squadra, Francesco Giuzio, e dei collaboratori che lo affiancano ogni giorno, suoi amici e, come lui, amanti dello sport. La squadra è composta da un gruppo di rifugiati giunto a Rifreddo (Pz) da pochi mesi; accanto alla struttura deve i ragazzi alloggiano si svolge il corso per il conseguimento del patentino Uefa B che prepara gli allenatori. Francesco, allievo del corso, lì ha incontrato i giovani ragazzi. Si è fermato ad osservarli insieme al suo compagno di corso Gerardo Carella, che di lì a poco sarebbe diventato il preparatore dei portieri dell’ASD Optì Poba. I ragazzi giocavano a piedi scalzi ma sfoggiavano sorrisi spensierati mentre si divertivano a fare “due tiri” col pallone. Ed è lì che Francesco ha deciso di “prendere” quei ragazzi e farne una squadra, la Optì Poba. Nome che fino a quel momento veniva associato negativamente con connotazioni razziste poiché a luglio di quest’anno l’allora candidato alla presidenza della Figc Carlo Tavecchio lo aveva inventato per connotare un ipotetico giocatore africano che “prima mangiava banane e ora gioca nella Lazio”. Cambiare connotazione ad una spiacevole

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gaffe e dare a quei ragazzi un’evasione per tenerli impegnati, aiutarli ad integrarsi. È così che nasce la nuova squadra, attualmente impegnata in un campionato amatoriale di calcio a 11. Abbiamo incontrato Francesco Giuzio, fondatore ed allenatore dell’ASD Optì Poba, che ci ha raccontato di questa esperienza. Caso ha voluto che il corso da allenatore che stai seguendo si svolge dove alloggia un numeroso gruppo di rifugiati politici giunto a Potenza da pochi mesi. Raccontaci come è nata l’idea di fondare una squadra di calcio con questi ragazzi. L’idea nasce immediata e spontanea. La mia passione per il calcio, soprattutto come allenatore, e una rosa potenziale di 120 atleti erano un occasione troppo ghiotta per lasciarmela sfuggire. Così, insieme ad alcuni amici, tra cui il capitano della squadra del Potenza Calcio ho pensato di mettere in piedi questa squadra...ed eccoci qua! Il nome che hai scelto di dare alla squadra, “Optì Poba”, nasce da una dichiarazione reputata razzista del presidente della FIGC Tavecchio fatta la scorsa estate. Quanto ti aveva colpito quella gaffe per decidere di stravolgerne il senso e assegnarlo alla squadra che stavi fondando? Io non credo che quella sia una dichiarazione razzista, il Presidente voleva esprimere


A POTENZA

BÀ un concetto rispettabile, condivisibile o meno, ma non credo fosse razzista. E parlando con lui proprio nella scorsa settimana ho avuto conferma di questo. A maggior ragione noi abbiamo inteso cambiare il senso comune di quel nome di fantasia, Opti Pobà oggi non è solo un uscita poco fortunata, ma anche un movimento di integrazione e accoglienza. È così che vogliamo la gente intenda questo nome. Avresti mai immaginato che questa tua scelta si sarebbe trasformata in un caso esemplare del mondo dello sport – e non solo – e quali speranze hai per il futuro della tua squadra? Beh, che sia un caso esemplare è ancora presto per dirlo. Ci siamo avviati, tra mille difficoltà, ma dobbiamo ancora dimostrare tutto. Certo, se il buon giorno si vede dal mattino, possiamo dire che puntiamo a essere un esempio di integrazione. Le mie speranze per il futuro sono chiare, vorrei una squadra Opti Pobà in ogni città d’Italia, e magari provare a praticare più sport. Dalla fondazione ad oggi avete già ricevuto sostegno e solidarietà da più parti. Qual è stato il gesto che più ti ha colpito tra i tanti? I gesti più belli sono sempre quelli più spontanei. Tra tutti quello che mi ha più colpito è stata un auto-donazione. Ovvero un ragazzo che fa parte della squadra aveva due paia di scarpette e ne ha messo un paio a disposizione dei compagni. Questo fa capire quanto sia facile e gratificante fare un piccolo sacrificio che consen-

te ad altri di star meglio. Durante la partecipazione al Premio internazionale Giacinto Facchetti – “Il bello del calcio”, al quale sei stato invitato dalla Gazzetta dello Sport e Gianfelice Facchetti, hai avuto modo di incontrare, tra gli altri, proprio il presidente Tavecchio. Cosa hai provato e cosa vi siete detti? È stata una bella soddisfazione. Mi sono sentito felice, abbiamo condiviso le nostre esperienze in materia di integrazione e accoglienza per qualche minuto, nei quali ho avuto, come dicevo, l’impressione di trovarmi di fronte a una persona che era interessata e attenta a quello che dicevo. Dal canto loro, la Federazione si è impegnata nell’assistere tutte le società che si occupano di integrazione attraverso il gioco del calcio. E questo è un bene, non siamo soli e non ci siamo inventati nulla, ci sono altre società che da anni tracciano un cammino che noi ora iniziamo a seguire. In tale occasione hai conosciuto anche il premiato Francesco Totti, al quale hai regalato una maglietta della squadra. Raccontaci dell’incontro. Francesco mi è sembrato divertito, i suoi sorrisi erano sinceri. E’ stato molto gentile a concedermi una foto con lui e con la maglia della nostra squadra. La cosa che più lo ha divertito è stato il numero e il suo cognome scritti a penna sul retro della maglia, ma noi è così che giochiamo. Pensiamo che spendere soldi per stampare numeri e nomi sia uno spreco, abbiamo bisogno di cose più importanti! Come è stata accolta la squadra dalle avversarie? Si sono mai verificati casi spiacevoli nei confronti dei giocatori? No, tutte le squadre sono state davvero educate e sensibili nei nostri confronti. In campo è sempre stata gara vera, a dimostrazione ci sono le due sconfitte che abbiamo patito nelle prime due gare di campionato. Ora ci siamo risollevati e speriamo di non fermarci più. Molte squadre in trasferta ci invitano a fermarci e a prendere parte al terzo tempo in loro compagnia. Il calcio dopotutto è questo: socializzazione. Con i “tuoi” ragazzi hai instaurato un rapporto personale oltre che professionale? Ti hanno mai parlato delle loro vite? Come stanno vivendo questa esperienza? Passiamo molto tempo assieme e questo ci ha legati molto l’un l’altro. Non avrei mai pensato di poter ricordare tutti i loro nomi, invece pian piano li riconosco tutti. Ho avuto anche modo di parlare con loro del loro passato, ma soprattutto del loro futuro, di quello che sognano e di ciò che li ha spinti a compiere vere e proprie odiesee pur di arrivare nel nostro paese.

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S P O R T- I N G

Domar Matera

Una realtà consolidata sotto rete Antonio MUTASCI

a Pallavolo Matera è una realtà consolidata sotto rete. La squadra materana, infatti, è al suo terzo anno consecutivo di partecipazione alla Serie A2 maschile di volley. In questa stagione la squadra del presidente Vito Gaudiano, targata Domar, è partita con grandi ambizioni. Nel suo primo anno nella seconda serie nazionale, la Pallavolo Matera si è salvata passando per le mani di tre allenatori. All'inizio della stagione la squadra era stata affidata a Giorgio Draganov, tecnico della promozione dalla B1 alla A2; poi la palla è passata al suo secondo, Rosario Braia, materano doc; ma nel girone di ritorno è stato necessario l'arrivo di Vincenzo Nacci (oggi allenatore della Nazionale del Venezuela) per invertire la rotta e conquistare la salvezza. Nell'estate del 2013 la conduzione tecnica della squadra materana, dopo che si era evitata la non iscrizione al campionato, è stata affida a Vincenzo Mastrangelo. Il tecnico di Gioia del Colle ha aperto un ciclo all'ombra dei Sassi. Nel suo primo anno alla guida dei biancazzurri ha saputo portare la squadra alla Final Four di Coppa Italia, con un sorprendente girone d'andata, per poi chiudere la stagione con un prestigioso piazzamento playoff. Più che meritata, quindi, la riconferma del tecnico alla guida della

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Foto: Francesco Rizzi

squadra che ha vissuto anche il definitivo passaggio di consegne, a livello dirigenziale, tra Antonio Tulliani e Vito Gaudiano, attuale presidente della Pallavolo Matera e anche sostenitore economico dell'attività sportiva con la sua Openet, co-sponsor assieme alla Domar. In estate è stata allestita una buona squadra che, a parere degli addetti ai lavori, avrebbe potuto essere la vera sorpresa del campionato, alle spalle della corazzata Vibo Valentia, “nobile decaduta” dalla massima serie. L'inizio di stagione della Domar Pallavolo Matera è stato altalenante. Un calendario non proprio favorevole e un lento e graduale recupero dell'opposto spagnolo Andres Villena hanno complicato i piani ambiziosi della società. Ma con il lavoro in palestra del tecnico i risultati sono iniziati ad arrivare, con un crescendo di prestazioni e di riscontri in classifica. Adesso la Domar è in piena lotta per una posizione playoff, con la possibilità, concreta, di essere protagonista fino alla fine della stagione.

Ma racchiudere l'attività della Domar al solo aspetto sportivo sarebbe riduttivo. C'è una sfera della società che guarda anche agli aspetti sociali. Infatti già nel passato il club dei “Bulls” ha avviato un progetto con le scuole medie cittadine, portando la disciplina del volley tra i banchi, riscuotendo grande successo ed apprezzamento, tangibile anche la domenica al PalaSassi con una nutrita presenza di piccoli tifosi; un modo per costruire una fucina di giovani talenti, ma anche avere un ricambio generazionale tra gli appassionati della disciplina. Non solo. Con l'impegno di Eustachio Lapacciana, secondo palleggiatore della prima squadra, è stato attivato il progetto con “Il Sicomoro”. La società di cooperativa sociale che fa a capo a Michele Plati ha sposato le iniziative della Pallavolo Matera, diventandone anche sponsor. La sponsorizzazione non è da intendere nell'accezione classica, bensì come fattiva e attiva collaborazione tra le due realtà. Il tutto si sta traducendo con la presenza al palazzetto dei tanti rifugiati che rientrano nelle attività de

Il Sicomoro. Inoltre la squadra sarà anche ospitata nella comunità di Castelmezzano per una giornata da trascorrere con i ragazzi delle varie nazionalità che la stessa comunità ospita. Uno scambio tra mondi differenti che aiuta a crescere. A questo si deve aggiungere il lavoro con il settore giovanile che costantemente vede impegnata la società con i suoi tecnici e i suoi collaboratori. Una vera e propria “cantera” di giovani pallavolisti che un domani potranno indossare la maglia della squadra maggiore, ma che oggi osservano, imitano e tifano per i propri idoli sugli spalti. Un po' come fanno i “South Boys”, il gruppo di tifosi organizzati da sempre accanto alle squadre di pallavolo cittadine. Una altra fetta di storia del volley materano che affonda le sue radici nell'era della mitica e pluridecorata Pvf e che ancora oggi, ogni domenica trova nuovo vigore tra un canto, un tamburo e una coreografia. Questo e tanto altro ancora è la Pallavolo Matera. Una realtà consolidata sotto rete, ma anche una realtà cittadina.

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