Il Lucano Magazine Numero Marzo Aprile 2015

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Foto dal “Il Solco della Memoria” di Domenico Possidente

Poste Italiane Spa Spedizione in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1 comma 1, DCB PZ






SOMMARIO

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La Basilicata protagonista alla Bit di Milano

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Nuove assunzioni alla Sata

R E P O R TA G E

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Temi e prospettive sugli interventi governativi Si alza il sipario della Bit di Milano La Caritas Diocesana per le famiglie 25 anni di missione di Suor Cherubina Lorusso Le chiavi di casa. Progetto di residenzialità per pazienti affetti da disagio psichiatrico 26 Le iniziative dell'Associazione Mia 28 Marialaura Garripoli. Presidente dell’Associazione “Futura” Venosa 30 Proverbi: al di là dell'apparenza E U R E K A

42 Per presentare il suo romanzo Cruel Salvo Sottile a Potenza

La Vultur vince la Coppa Italia Basilicata

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E P I S T E M E

Matera aspetta nelle sale il remake di Ben Hur

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V I G N E T TA N D O

32 Ciak, Matera come cinecittà per il Ben Hur 34 La torta più grande del mondo? Potrebbe essere proprio lucana 36 Nord Basilicata su due ruote 38 Audiovisivo e multimediale, Intervista alla prof.ssa Manuela Gieri 40 I documentario di Antonio Molfese “Foreterre” sarà presentato all’Expo 2015 42 Ballate per un Terronista 46 Il Maestro Carlo Marchione a Picerno 48 Da una terra generosa.un prodotto made in Vulture 50 Le Bande Rosse di Serra d’Alto 54 Melfi: crogiolo di culture 56 Il Seminatore 58 Il finocchietto selvatico, una risorsa spontanea 60 40 anni di archeologia in Basilicata l’ omaggio ad Antonio De Siena 61 A Trivigno è nata la Casa della Cultura 62 L'Alba è nuova con gli occhi della poesia: La Lucania che fu 64 Angrea Galgano tra Leopardi e Pascoli 66 Salvo Sottile a Potenza T R A L E R I G H E

68 L’invenzione dell’amore proibito 69 Atlante Immaginario D O L C E

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S A L ATO

70 Il Futuro è già tradizione! L O O K A N I A

74 Racconto di Ruvo del Monte - terza Parte 6



E D I T O R I A L E

LA DIGNITÀ LUCANA Vito ARCASENSA

Luisa COLANGELO

a Basilicata esiste!» Le prime battute del film del conterraneo Rocco Papaleo nel presentare all’Italia meravigliosi ed esclusivi paesaggi della nostra regione informano lo spettatore della reale presenza di questi posti. Basilicata coast to coast sottolinea un aspetto caratteristico della Lucania: la ruralità. L’immagine di questa Basilicata descritta dal film è la copertina di una regione che tra numerosissime difficoltà tenta di andare avanti mantenendo saldi i legami con le sue origini contadine. Oggi la Basilicata esiste come Matera capitale della Cultura 2019; come location di kolossal internazionali (in questi giorni nei Sassi si sta girando il remake di Ben Hur con Morgan Freeman); come storia con i resti delle civiltà greche e romane ancora evidenti nel Metapontino, con i castelli di Federico II di Svevia, con il ricordo ancora vivo dei Briganti; come acqua con le sue numerose fonti; come attrazione turistica nelle località balneari di Maratea, Metaponto e Policoro, con l’unicità dei Sassi, con il Parco Nazionale del Pollino e con il volo dell’Angelo di Castelmezzano e Pietrapertosa; come la terra natia di giuristi, politici, compositori, poeti e scrittori . La Basilicata oggi esiste anche come regione martoriata dalla disoccupazione e dalla crisi economica, costretta a far nascere un’altra Basilicata fuori dai propri confini territoriali nel tentativo di costruirsi un futuro migliore. La Basilicata oggi esiste per i tanti giovani e per le famiglie che decidono di restare pur non avendo alcuna prospettiva futura. La Basilicata oggi esiste come Lucani, come popolo fiero delle proprie origini contadine simbolo dei sacrifici e della dura vita in questo territorio. Fuori dai confini regionali, però, la Basilicata esiste esclusivamente per il suo petrolio. Per l’Italia è il “nuovo Texas” in grado di sostenere e accompagnare il Paese fuori dalla tremenda crisi economica fornendo nuovi posti di lavoro e contribuendo alla riduzione della bolletta energetica degli italiani. L'interesse economico di una intera nazione, dovrebbe tener conto della storia, della civiltà e del rispetto per l’ambiente, senza creare false illusioni per la presenza nel sottosuolo di importanti giacimenti di petrolio a discapito della qualità della vita di chi ci abita. Il Decreto Sblocca Italia e soprattutto l’articolo 38 ha confermato questa sensazione: la Basilicata esiste, è petrolio, è solo petrolio; non esiste per quella che è la sua vera risorsa, la risorsa umana: i Lucani. Il greggio - che nell’immaginario collettivo ha sostituito il gregge con la promessa di creare numerosi posti di lavoro – arroga a chiunque il diritto di accampare pretese sui giacimenti con arroganza tale da offendere il popolo lucano. Nei giorni precedenti l’approvazione dello Sblocca Italia il premier Matteo Renzi aveva definito “quattro comitatini” quei movimenti No Triv che cercavano in ogni modo di attirare l’attenzione su una realtà che non è esclusivamente petrolio. Nelle scorse settimane il professor Federico Pirro, docente di Storia dell’industria presso il Dipartimento di Filosofia, Letteratura, Storia e Scienze Sociali (FLeSS) dell’Università di Bari, sulle pagine del quotidiano nazionale Il Foglio ha trasformato i “quattro comitatini” in pecorai e morti di fame. Il tentativo del professore di propor-

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re le sue considerazioni rispetto alla trasmissione Presa Diretta, andata in onda su Rai Tre domenica 22 febbraio, incentrata sui rischi connessi alle estrazioni petrolifere in Italia è scaduto in un’offesa. La trasmissione dando voce a chi l’affare petrolio lo vive e lo subisce ogni giorno (allevatori, imprenditori, ricercatori dell’Università della Basilicata) aveva cercato di portare a conoscenza i lati più oscuri della vicenda. Aveva mostrato che nella realtà l’attività dell’Eni ha gravi ripercussioni sul territorio: l’inquinamento dell’aria e delle riserve d’acqua, l’anomala moria di pesci nell’invaso del Pertusillo che fornisce acqua potabile alle regioni limitrofe, la nascita di alcuni animali malformati negli allevamenti vicini ai pozzi, l’aumentata incidenza delle malattie tumorali tra i cittadini erano solo alcune delle tante questioni che devono essere approfondite ed analizzate prima di “liberalizzare le trivelle”. Sul Foglio, invece, la trasmissione è stata definita come “un programma finalizzato ad alimentare dubbi, riserve e perplessità verso le attività di ricerca, esplorazione ed estrazione di idrocarburi in Italia, soprattutto in Basilicata e a largo delle coste”. Secondo l’analisi del professore pro-pretolio l’incremento estrattivo si sarebbe trasformato in nuovi posti di lavoro per il popolo lucano; l’aumento dei pozzi avrebbe comportato maggiore occupazione centrando gli obiettivi del Decreto Sblocca Italia. Se l’analisi tecnica del professore può essere condivisa ciò che indigna è l’irrispettosa conclusione: «Un autorevole dirigente Eni mi ha detto che a causa dell’estremismo ecologista, l’Eni potrebbe anche andarsene dalla Basilicata, cosicchè là dove Rocco Scotellaro celebrava l’uva putanella tornerebbe finalmente i pecorari e i morti di fame». Le reazioni non si sono fatte attendere e il senso di fierezza delle proprie radici ha prevalso sulla polemica. Il popolo lucano ferito nell’orgoglio ma fiero delle sue radici e forte dei suoi valori “pecorari” - l’umiltà, l’amore per la natura, la laboriosità, l’onestà e il rispetto per l’altro inteso come essere umano ma anche come proprietà materiale– chiede il rispetto per la propria dignità. L’interesse economico non può in alcun modo calpestare la dignità dell’essere umano, pecoraro o no, che è sempre persona e mai mezzo utile al raggiungimento dei propri fini. Il professor Pirro, che ha in seguito chiesto scusa definendola una frase fuori luogo, e quanti condividono la sua posizione dovrebbero leggere e far propria una riflessione di Jacques Maritain, filosofo francese dello scorso secolo dal pensiero ancora estremamente attuale, che in Per una politica più umana (opera del 1945) scrive: La personalità umana è un grande mistero metafisico; sappiamo che una delle caratteristiche essenziali di una civiltà degna di questo nome è il senso e il rispetto per la dignità della persona umana; sappiamo che per difendere i diritti della persona umana, come per difendere la libertà, bisogna essere disposti a dare la propria vita. I Lucani sono disposti a dare la propria vita per il rispetto della dignità e del senso intrinseco ad ogni persona. Il valore della persona è inestimabile e non mero calcolo basato sulle origini o sulle risorse del territorio; il cittadino della Basilicata ha pari dignità rispetto ad un qualsiasi altro cittadino italiano. In una società in cui tanto si celebra e si rincorre il biologico la figura del pecoraio, dell’agricoltore e dell’allevatore dovrebbe essere oggetto di una precisa politica di salvaguardia e non di false illusioni. La lettera di Giuseppe Tannoia, direttore delle attività dell’ENI in Italia ed Europa, mette al centro proprio il rispetto delle persone; l’augurio è che la centralità della persona sia il cardine di ogni attività sia politica che estrattiva. I “quattro comitatini” di Renzi e i pecorari di Pirro chiedono solo rispetto delle persone e della loro dignità e l’attenzione per la qualità della vita in questa regione. Cardine di ogni intervento deve necessariamente essere la tutela del Bene Comune; in Basilicata il Bene Comune è la persona che in alcun modo può essere derisa e trattata da merce di scambio per il miglioramento della qualità della vita altrui – maggiore ricchezza – a scapito della propria – inquinamento, rifiuti e precarietà della salute. Tralasciando le offese e le pretese il discorso dovrebbe focalizzarsi su ambiente, sviluppo e salute, interrogando gli enti preposti e affidando alla ricerca il buon esito della discussione. La ricerca non è mai estremismo ma è scoperta del bene per il popolo e per l’ambiente.


V I G N E T TA N D O

Nuove assunzioni alla SATA

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IL LUCANO Editore Lucana Editoriale s.r.l. Redazione da Potenza: Marianna FIGLIULO Vito ARCASENSA

0971.476423 info@lucanomagazine.it vito@arcasensa.it

dal Materano: Antonio MUTASCI

mutasci@libero.it

Vignette di SOLINGA Direttore Responsabile Vito ARCASENSA Hanno collaborato in questo numero Angelo BENCIVENGA, Elisa CASALETTO, Debora COLANGELO, Arsenio D’AMATO, Angela D’ANDREA, Veronica D’ANDREA, Marianna Gianna FERRENTI, Giovanni GALLO, Valeria GENNARO, Vincenzo MATASSINI, Carla MESSINA, Maria Carmela PADULA, Emanuele PESARINI, Mariassunta TELESCA, Danilo VIGNOLA Testata On Line www.lucanomagazine.it Agostino ARCASENSA Fotografie Foto: Andrea MATTIACCI, Angelo Rocco GUGLIELMI Stampa Arti Grafiche Boccia s.p.a. Via Tiberio Claudio Felice, 7 Fuorni - Salerno Registrazione Tribunale di Potenza N° 312 del 02/09/2003 Pubblicità Lucana Editoriale s.r.l. Via Gallitello, 89 Potenza Tel. Fax 0971.476423 -Cell. 337.901200 E-mail: info@lucanomagazine.it Chiuso in redazione 16 Marzo 2015 Questo giornale è associato Uspi Unione stampa periodici italiani

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R E P O R TA G E

NOTE A MARGINE

TEMI E PROSP INTERVENTI G Margherita E. TORRIO

l commento sugli interventi governativi non possono che risentire della maggiore o minore adesione e convincimento sulla bontà delle stesse, oltre che risentire della difficoltà oggettiva che una qualunque previsione sugli sviluppi ulteriori sul lungo periodo di un bimestrale comporta. Mi accingo, dunque, più che a provarci, ancora una volta a ricostruire alcuni passaggi, quelli che coinvolgono più direttamente le situazioni territoriali, quindi anche, come le altre, la nostra regione. Lo faccio per l’ultima volta convinta che di tanto in tanto si debba cambiare l’ambito del nostro impegno per evitare un regresso che la ripetitività rischia di determinare. Con queste note a margine salute i miei due lettori. Il 20 febbraio il signor Renzi esultava per aver rottamato l’ articolo 18 e il “precariato”. La opposizione e interna, minoritaria, del suo partito però non si dichiarava ugualmente entusiasta anzi ribadivano la loro valutazione assolutamente contraria, alla quale si aggiungevano quelle della Boldrini, della Cgil e dal M5s. La destra espressa da ll'Ncd, attraverso Lupi, che parlava di "giornata storica" e dall'Area Popolare Ncd - Udc. “ Grave frattura e una ferita nei confronti del Parlamento", mera propaganda a fronte di una presa in giro dei precari e vero danno ai lavoratori che vengono rinviati agli anni cinquanta, secondo Stefano Fassina. Gianni Cuperlo sottolineava che il governo non aveva recepito nemmeno “ quelle raccomandazioni .. nei pareri delle commissioni parlamentari" espresse all'unanimità da maggioranza e minoranza del Pd.Cosa che la Boldrini confermava, aggiungendo che per una ripresa bisogna creare il lavoro non

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certo giocando su riforme del mercato del mercato. Molto critica la CGIL che, come già fa da mesi, paventa l’aumento inesorabile della precarietà, poiché, come sottolineava anche il PD Alfredo D’Attorre, rispetto ad un jobs act che avrebbe dovuto cancellare tutte le forme di lavoro precario e l'introduzione di unico contratto di ingresso e dell’avvio di una tutela piena, si cancella la tutela piena prevista dall'art. 18 conservando tutte le forme di lavoro precari. Per i 5stelle si continua a ignorare la mancata competitività delle aziende, l'assenza di commesse, insistendo su flessibilità in uscita e ammortizzatori. Per il governo l’importante era portare alla UE la convinzione che il jobs act così concepito, con le altre riforme, possa avere impatto di grande crescita sul PIL da qui al 2020. L’ottimismo è l’obbligo per un governo che mira a consolidar-

si, cancellando la impressione negativa che nasce da una operazione di insediamento senza il voto elettorale e dagli interventi sulla costituzione fatti con una spregiudicatezza questa sì esemplare. Dubbi ulteriori nascono sulle operazioni in economia e in genere sull’attività così detta riformatrice. Ho raccolto alcune riflessioni più competenti delle mie. Quella di Nicola Scalzini, economista e già capo dell’ufficio economico di Palazzo Chigi, si soffermava sul dibattito in atto se si sia veramente ad un passo dall’uscita dal tunnel. All’ipotesi che riavviare lo sviluppo sarebbe garantito da consistente taglio delle tasse sul lavoro e sulle imprese finanziato da una riduzione della spesa di analoghe dimensioni, sollevava il dubbio che le due azioni non siano sincroniche perché se le imposte possono essere tagliate con effetto immediato, dietro la spesa c’è


ETTIVE SUGLI OVERNATIVI

quasi sempre un salario, una pensione, un contratto da onorare. Insomma la riduzione della spesa richiede un’azione di lunga lena, a valenza pluriennale. Si potrebbe pensare, allora, ad avvicinare la struttura del nostro sistema fiscale a quella dei maggiori paesi europei, portando il carico fiscale dalla produzione ai consumi, alleggerendo la produzione e l’occupazione., visto che il nostro paese risulta al primo posto per la tassazione delle imprese, al secondo per la tassazione del lavoro e al 24° per quella dei consumi, al penultimo posto per il livello IVA. Una maggiore tassazione sui consumi, magari ai livelli europei e un contestuale e consistente sgravio sulla produzione avrebbe gli effetti di una svalutazione monetaria? Migliorerebbe la competitività di prezzo dei nostri prodotti ampliandosi la convenienza a produrre nel nostro paese, scoraggiando

le delocalizzazion?. Perché una riflessione del genere? Perché ritenere e insistere, come si va facendo, su una propaganda ottimistica che dal vertice della piramide governativa scende giù giù attraverso riunioni di partiti, di partitini, di entusiastici lettori di veline trasmesse a ritmo vorticoso (giusto per essere in linea con il dettato renziano) da ammiccanti giornalisti e telegiornali, non risolvono i problemi di fondo che il nostro paese continua a vivere. Incitano, però, almeno a cercare soluzioni diverse e più convincenti. Oltre alle critiche sul jobs act si aggiunge la preoccupazione su come superare la contraddizione innescata tra ribadire in Costituzione, che “spetta alle Regioni la podestà legislativa in materia di ...promozione dello sviluppo economico locale e organizzazione in ambito regionale, ..di istruzione e formazione professionale” e poi assegnare in maniera esclusiva allo stato le “politiche attive del lavoro” funzionali allo sviluppo economico e legate alla formazione professionale. Così Gianfranco Simoncini, assessore della Toscana al Lavoro e alle Attività produttive, che coordina la materia Lavoro per la Conferenza delle Regioni, rilevava nel corso dell’Audizione alla Camera,a febbraio, come il riordino previsto determini incertezza e il riassetto costituzionale espropriando le politiche attive, allontani questi servizi dalle esigenze del territorio. Lo stesso riordino del sistema provinciale non deve portare ad una nuova centralizzazione delle politiche attive del lavoro sul territorio garantirebbero i sistemi economici locali di cui la formazione professionale può essere parte importante. Insomma bene sarebbe

fermare quella turbina che in nome di nuovismo sta portando il paese intero a revisioni costituzionali con metodi e imposizioni per le quali è difficile esprimere condivisione. Così come quelle che fuori di ogni metafora si avviano a ridisegnare a tavolino, esclusi come oggi è prassi, i cittadini. Un segnale che merita di essere analizzato per capire se va in senso opposto o se sia solo tattico si è avuto, mentre il governo di Matteo Renzi era stato chiaro nel far trapelare che gli accorpamenti di regioni in macroregioni poteva andare bene, in nome ancora una volta della spending review, un'operazione guidata da Roberto Speranza ha permesso di bloccare gli emendamenti che testi di Nuovo centrodestra e Forza Italia proponevano e incentivavano. Regioni e territori espropriati. Lo sta sperimentando la Basilicata con la questione petrolio. Anche sull’ottimismo, per certi versi ovvio, dettato dalla previsionedell’assunzione di 1000 lavoratori a Melfi, per la produzione della Jeep Renegade, bisogna essere cauti. Le persone «verranno inizialmente inserite con contratto interinale»; «una volta stabilizzati i volumi produttivi in ragione dell'andamento della domanda», ad essi «potrà essere proposto il nuovo contratto a tutele crescenti”. E’ certo positivo anche se è previsto la cancellazione della pausa pranzo: i lavoratori turnisti quindi lavoreranno 8 ore e la retribuzione della mezz'ora sarà ordinaria. Inoltre, l'accordo prevede per i prossimi tre sabati consecutivi due turni aggiuntivi di otto ore. L'aumento dei ritmi e dei carichi di lavoro ben vale il riavvio di prospettive per il territorio e per quell’indotto che ormai stentava.

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R E P O R TA G E

SI ALZA IL SIPARIO

BIT DI MILANO La prestigiosa borsa internazionale del turismo parla lucano IT, la manifestazione regina del turismo, organizzata da 35 anni da Fiera Milano, è l’unico appuntamento italiano in grado di far incontrare in un unico luogo la domanda e l’offerta di tutti i settori di business del turismo. La partecipazione della Basilicata alla BitBorsa Internazionale del Turismo conclusasi, appunto, a Milano è stata un vero successo, e Matera capitale della cultura 2019 si è confermata la grande attrazione del Salone del Turismo. A questa prestigiosa manifestazione della fiera e del turismo di interesse internazionale, la Basilicata è stata protagonista anche quest’anno, riuscendo a conquistare sempre più l’interesse di agenzie di viaggio, tour operators e visitatori. Il successo ottenuto in Bit conferma i dati presentati in fiera secondo i quali la Basilicata ha registrato un incremento dell’8,7 per cento di arrivi nel 2014 rispetto al 2013 e un incremento del 29 per cento rispetto al 2007, grazie alla strategia di pun-

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tare sulla destagionalizzazione su Matera capitale della cultura e sul cineturismo. Ma un segnale positivo arriva anche dall’interesse registrato dagli operatori per le aree interne oltre che per le località turistiche più affermate, quindi una mobilità verso una Basilicata sempre più attrattiva. La crescita del turismo, non riguarda infatti, solo Matera, ma tocca anche la provincia di Potenza. C’è un interesse crescente soprattutto verso quegli itinerari che esulano dalle classiche mete turistiche. Lo stand lucano molto apprezzato, ha distribuito in quei giorni il “Calendario” uno strumento fondamentale da offrire ai turisti che in un volume e nell’app avranno tutti gli eventi e le destinazioni lucane, dice Perri (Direttore generale dell’Apt). Un volume, appunto, in cui sono stati descritti i migliori eventi organizzati in Basilicata e le mete da non perdere. Inoltre ai buyers è stato anche offerto un “Kit del turista” ovvero una carta prepagata con ingressi gratuiti nei musei di Matera e

sconti negli esercizi commerciali. Il turismo è un punto di forza per l’economia della nostra regione. Una realtà molto competitiva e che sta crescendo in un’ottica sistemica e creando reti di operatori. Per un turismo di qualità e per far si che la durata dei soggiorni sia più lunga è necessario diversificare le offerte e mettere a valore le diverse specificità: biodiversità, agroalimentari, culturali, paesaggistiche, architettoniche. Alla chiusura della Bit, la Basilicata esce a testa alta nel confronto con altre regioni, e cosa assai rilevante, sempre più certa che la strada del progresso tanto invocato ed atteso passi soprattutto per il turismo, uno delle maggiori risorse su cui contare e puntare. “Trasformare la Basilicata in una delle mete italiane del turismo di qualità” è la sfida lanciata dalla regione e Apt, perché << La Basilicata esiste, è un po’ come il concetto di Dio, ci credi o non ci credi >> così recitava Rocco Papaleo in Basilicata coast to coast.


Gianpiero Perri: “La bella stagione della Basilicata turistica” ’andamento turistico dell’anno appena trascorso, benchè fortemente segnato dalla gravità della crisi economica nazionale e da un’estate climaticamente penalizzata nel mese di luglio e settembre, registra dati estremamente positivi. L'indicatore principale di attrattività, costituito dagli “arrivi turistici”, dal 2013 al 2014, indica un rilevante incremento pari a +8,7%. Il flusso turistico in entrata segnala dunque un balzo in avanti, da 532mila a 579mila. In sostanza, se prendiamo a riferimento la popolazione residente in Basilicata, secondo l’ultimo dato Istat disponibile che segnala in poco più di 578mila gli abitanti al 31 dicembre 2013, possiamo ormai dire che, per la prima volta, ad ogni residente corrisponde un viaggiatore. Va ricordato che il turismo, secondo L’ISTAT, è definito come l’insieme delle attività e dei servizi riguardanti le persone che si spostano di fuori del loro “ambiente abituale” per trascorrere un periodo di tempo a fini ricreativi o per lavoro. Se si considera che nel 2007 (anno in cui si è avviata la riforma del sistema turistico) gli arrivi in Basilicata ammontavano a 448.546 l’incremento che si registra in 7 anni è pari al +29%, in termini assoluti circa 130mila arrivi in più. Altrettanto positivi sono i numeri relativi alle presenze e dunque al numero dei pernottamenti che si attestano a 2milioni e centomila. Si tratta del miglior risultato nella breve storia del turismo lucano con un incremento del 7,7% rispetto al 2013. A questi dati andrebbero aggiunti quelli non censiti, le vacanze nelle seconde case o presso case in affitto, stimate in almeno il doppio delle presenze che si registrano nelle strutture ricettive. Presenze che alimentano una variegata tipologia di spesa turistica e che ricadono beneficamente su molteplici attività economiche apportando un contributo crescente al PIL regionale. Un altro segnale estremamente positivo è costituito dalla crescita della componente estera, in sei anni più che raddoppiata. Nel 2014 siamo stati visitati da 81mila stranieri, con un incremento rispetto all’anno precedente del 15%, che hanno generato oltre

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215mila pernottamenti. Ad attrarre il turismo estero è principalmente Matera, mentre il 40% di questi flussi si distribuisce in prevalenza tra il Vulture, la Val d’Agri e Maratea. Gli ospiti stranieri, che costituiscono il 14% del turismo lucano, provengono principalmente da Francia, Stati Uniti, Germania e Regno Unito. Per quanto riguarda gli italiani che scelgono la Basilicata per le loro vacanze, accanto ai pugliesi ed ai campani, peraltro in crescita, si segnala un significativo incremento di laziali e lombardi; dati che confortano le strategie promozionali di questi anni. I risultati del 2014 sono ancor più apprezzabili se si considera che siamo in un periodo in cui in Basilicata, come nel resto d’Italia, si riscontra una riduzione dei periodi di vacanza e del numero dei pernottamenti. La permanenza media è di 3,63 mentre il tasso medio di occupazione netto passa dal 26,9% al 28,6%. La crescita del turismo riguarda tutto il territorio lucano, nessuno escluso, sia in termini di arrivi che di presenze. Torna finalmente a crescere tutta la provincia di Potenza (+ 10, 2% di arrivi) e non solo quella di Matera (+7,7%). Punta di diamante del turismo regionale, capitale europea della cultura 2019, è Matera che registra anche nel 2014 una rilevante crescita (+16,4% di arrivi; +18,5% di presenze), in numeri assoluti si tratta di 153mila turisti per 244mila pernottamenti. Ma è la Basilicata tutta ad essere più attrattiva. Questo rilevante sviluppo della mobilità verso la Basilicata, del suo appeal turistico, è evidentemente frutto di un insieme di fattori: la forza trainante di immagine generata da “Matera 2019”, i cui effetti maggiori si percepiranno nei prossimi anni; l’attenzione riservata dai grandi media per le produzioni cinematografiche nazionali ed internazionali che si vanno realizzando in Basilicata, con ricadute immediate sulla filiera di ospitalità e con la capacità, nel tempo, di dar vita a cineturismo; il numero crescente di strutture ricettive passate da 749 ad 808 nell’arco di in anno, il consolidamento dell’industria balneare, che sviluppa il 63% delle presenze turistiche

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R E P O R TA G E

Consistenza ricettiva e presenze turistiche -Gli esercizi ricettivi aumentano, tra il 2013 ed 2014, del 7.9%, passando da 749 ad 808. -Il numero dei posti letto disponibili in regione resta pressoché invariato, circa 38mila, a seguito di processi di riclassificazione e ristrutturazione del sistema dell’ospitalità. I posti letto del sistema alberghiero sono circa 23mila; nell’extralberghiero circa 15mila. -Aumenta il numero di presenze sia negli alberghi che negli esercizi extralberghieri. -In Basilicata le presenze alberghiere nel 2014 aumentano dell’8% mentre in Italia, secondo dati Eurostat, diminuiscono dell’1,8%. -Più in generale gli incrementi maggiori di presenze riguardano i villaggi turistici che registrano oltre 193mila presenze e gli hotel 3,4,5 stelle, che registrano un incremento di oltre 91mila presenze. -Per quanto concerne l’Extralberghiero gli incrementi maggiori si segnalano nei B&B, le cui presenze sono quasi raddoppiate dal 2011 ad oggi, da 24mila a 41mila, e nella tipologia di affittacamere e case vacanza che passano da 42mila del 2013 ad oltre 67mila del 2014. -Un segnale positivo viene anche dagli agriturismi le cui presenze tornano a crescere, dopo la flessione del 2012-2013, attestandosi ad oltre 56mila. -Si riducono invece i campeggi e dunque le relative presenze.

regionali, e lo sviluppo di diverse attività di svago e sportive, a partire dalla qualificata presenza dei centri velici; l’ampliarsi di un turismo rurale e delle aree interne. Sempre più tangibili sono inoltre le ricadute di una strategia pluriennale di attrazione di tour operators e di azioni volte a favorire l’incontro tra domanda ed offerta attraverso fiere e workshop, missioni di contatto e campagne promozionali nei diversi ambiti dal turismo (balneare, naturalistico, culturale, religioso, eno-gastronomico, evenemenziale). Una strategia condotta in parallelo sul web, come attesta, peraltro, l’ottimo piazzamento della pagina facebook della Basilicata turistica, la reputazione acquisita con il portale turistico www.basilicataturistica.com e le tante iniziative di sperimentazione e di innovazione in ambito digitale. Inoltre occorre considerare la buona reputazione di cui godono i nostri operatori per la qualità e la varietà dell’offerta ricettiva ed il significativo contributo al movimento clienti, nelle strutture ricettive, derivanti dalla mobilità d’affari a partire dal caso Fiat. Nuovi fattori di attrattività, dal Volo dell’Angelo a quello dell’Aquila, ai grandi spettacoli dal vivo e ai format innovativi realizzati in questi anni, a partire dal Parco della Grancia, hanno catturato l’interesse dei media e portato turismo in aree prima non interessate al fenomeno. Il turismo lucano, alimentato da una visione di lungo periodo e da un Piano che ha dimostrato la sua solidità e capacità prospettica, oltre che da significativi investimenti pubblici e privati, si avvale del concorso di molteplici attori (dai diversi

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Andamento turistico suddiviso per singole aree La crescita del turismo riguarda tutto il territorio lucano, nessuno escluso, sia in termini di arrivi che di presenze. Torna finalmente a crescere tutta la provincia di Potenza (+ 10, 2% di arrivi) e non solo quella di Matera (+7,7%). Punta di diamante del turismo regionale, capitale europea della cultura 2019, è Matera che registra anche nel 2014 una rilevante crescita (+16,4% di arrivi; +18,5% di presenze), in numeri assoluti si tratta di 153mila turisti per 244mila pernottamenti. Ma è la Basilicata tutta ad essere più attrattiva: dalla Costa Jonica a Maratea, che registrano entrambi flussi in crescita tra l’1 ed il 2%, nonostante i capricci della stagione estiva. Risultati positivi si registrano anche per il Pollino con +4,4% in più di turisti. Ma il dato più significativo è quello che si registra in Val d’Agri e nel melfese dove, alla tradizionale attrattività delle città d’arte e delle aree naturalistiche, si aggiungono le ricadute sul movimento clienti nelle strutture ricettive collegate ad alcune attività economiche tra cui principalmente l’industria estrattiva ed automobilistica. Gli incrementi sono infatti rispettivamente nell’ordine del 17% e 24% di arrivi e del 30% e 38% di presenze. Anche Potenza registra finalmente un dato positivo (+0,6% di arrivi e +4,4% di presenze) sebbene sia l’Alto Basento, dove insistono importanti “attrattori” di nuova generazione, a segnalare un concreto e sensibile incremento (+8,5% di arrivi e +25,6% di presenze); cosi come permane il trend positivo del Marmo Platano Melandro con + 11,6% di arrivi e + 25,3% di presenze. Sia l’area Bradanica che la Montagna Materana segnalano un importante incremento di presenze.


dipartimenti regionali alla Lucana Film Commission al Comitato promotore Matera 2019, dagli Enti Parco ai G.A.L., dai Parchi letterari alle tante amministrazioni locali particolarmente attive in ambito turistico, alle Pro-loco, in tanti casi unici avamposti, alle miriade di associazioni che alimentano la progettualità lucana, alle reti di impresa) e di 30mila fans che sul web insieme con l’APT promuovono la regione. Questa fiducia di cui gode il comparto merita particolari attenzioni. Molto infatti resta ancora da fare e rilevanti sono le sfide da raccogliere, prima tra tutte quella di corrispondere alle attese suscitate con Matera capitale della cultura europea 2019. Questo evento, in qualche modo epocale per le sorti del turismo lucano, che cattura attenzioni straordinarie del mercato turistico per la Basilicata tutta, sollecita istituzioni ed operatori ad un rinnovato impegno sotto il profilo della qualità, dell’efficienza, della mobilità, dell’accoglienza entro il 2019. In un anno così difficile per la regione, dal punto di vista economico e sociale, e in un tempo così problematico, il turismo dimostra di essere effettivamente in grado di generare alcune opportunità di crescita e sviluppo. Oltre che costituire un fattore di straordinaria reputazione per l’immagine regionale esso offre modo di coltivare motivi di speranza mobilitando, insieme all’industria creativa, energie, intelligenze e volontà verso settori dell’economia che si stanno rivelando particolarmente resistenti alla crisi. Gianpiero Perri Direttore Generale APT Basilicata

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R E P O R TA G E

LA CARITAS DIOCESANA

PER LE FAMIGLIE E TRA LE FAMIGLIE Mariassunta TELESCA

a Caritas Diocesana, per statuto, non è associazione, ma un organismo pastorale che ha il fine di promuovere la testimonianza della carità in forme consone ai tempi e ai bisogni, in vista dello sviluppo della giustizia sociale e della pace, con attenzione agli ultimi e con funzione pedagogica. Suo compito è collaborare con i vescovi per l’animazione del senso della carità verso persone e comunità in difficoltà, con il dovere di interventi concreti di carattere promozionale e preventivo. Si occupa anche di coordinare iniziative e opere assistenziali di stampo cristiano, interventi di emergenza in situazioni di calamità e realizzare studi e ricerche sui bisogni, per scoprirne le cause, per preparare piani di intervento curativi e preventivi e per stimolare le istituzioni civili a una adeguata azione. La parola chiave, dunque, è l’attenzione agli ultimi, che siano il nostro prossimo più vicino o che siano gli abitanti del cosiddetto Terzo Mondo. Proprio perché le opere di carità devono andare di pari passo con i tempi e con i

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bisogni, la Caritas Diocesana, in collaborazione con Caritas Italiana, sta cambiando il proprio angolo di visuale, ponendo al centro della propria opera la famiglia, organizzazione sociale che risulta essere più in crisi, a causa di una serie di circostanze, tra cui la mancanza di lavoro e, quindi, la mancanza di risorse che crea anche un dissesto morale. La famiglia è, però, la struttura portante della società. Il flash report di Caritas italiana dice che dal 2007, anno che anticipa lo scoppio della crisi, ad oggi i livelli di povertà risultano più che raddoppiati, palesando così tutte le difficoltà di un’Italia che non conosce segnali di ripresa. Il Sud sembra vivere adesso situazioni di autentico dramma sociale: oggi nel Mezzogiorno le persone che non riescono a far fronte a quelle spese base, che garantiscono una vita dignitosa, sono praticamente la metà dei poveri di tutta la nazione. Infatti, già nel 2013 sono aumentare del 47% le famiglie che hanno chiesto aiuto alle parrocchie, e di queste circa il 72% sono famiglie che vivono nell'Italia meridionale , di cui il 62,7% è per mancanza di occupazione. Solo da gennaio a giugno 2014 ben 45.819 persone si sono recate nei 531 Centri di ascolto presenti in 85 diocesi: nel centro di ascolto diocesano “A Casa di Leo”, sito a Bucaletto, ben il 90% delle famiglie che hanno chiesto aiuto sono italiane solo il 10% di immigrati; mentre nel 2006, infatti, si fornivano ausili a poche famiglie italiane, dal 2014 questo dato è stato invertito:

molte famiglie che prima avevano un reddito ora sono scivolate nella povertà. Da qui nasce la necessità di un supplemento di aiuti materiali e immateriali, cercando di mettere in campo nuove metodologie di sussidi che non siano di tipo assistenziale, ma che rendano essi attori della propria fuoriuscita dal disagio. Dal 2006, grazie al progetto 8xMille “La cittadella di Bucaletto” volto alla promozione socio-culturale delle famiglie, dei minori e delle donne nel quartiere periferico di Potenza, sono state ascoltate e accompagnate più di 2000 famiglie. Oggi circa 160 quotidianamente e 200 sporadicamente sono parte attiva di questo progetto , seguendo percorsi laboratoriali inclusivi, ma la Caritas Diocesana offre i propri servizi a ben 600 famiglie. Dato preoccupante è che queste hanno un reddito medio pari a 6000€ l'anno e il 47% di queste ha figli minori: è una povertà, dunque, che non garantisce un'infanzia protetta nella sanità e nella istruzione. Ciò ha portato, nell’anno scorso, a un preoccupante abbandono scolastico, perché non si posseggono le risorse materiali atte all’acquisto del corredo scolastico e gli ausili comunali e regionali sono tardivi rispetto a tale situazione. Anche la povertà alimentare è un dato importantissimo che caratterizza molti minori della nostra Regione: nel biennio 2013-2014 il centro diocesano ha distribuito circa 10000 pacchi alimentari ed è stato fornito un sostegno al reddito per più di 100.000,00€, attraverso il fondo anticrisi e grazie all'8xMille.


Oggi, come suggerisce Giuseppe Dardes, capo ufficio formazione di Caritas italiana, il sistema di welfare deve riprogrammare il modello di intervento, perché la maggior parte delle famiglie ha problemi di casa, lavoro e studio, fa fatica ad arrivare a fine mese, ha povertà di reti umane, finisce nella soglia di povertà per eventi un tempo naturali, ha vergogna di chiedere aiuto e non ha il fisico di reggere le avversità; madre di tutte le difficoltà è, però, la solitudine, poiché il 90% di esse non ha rapporti sociali. Vari sono, quindi, gli interventi che la Caritas sta mettendo in atto, sostituendo gradualmente l’approccio tradizionale, che prevede centri di ascolto, mense e vari servizi sociali, ma che induce l’utente a porsi in uno stato di passività e di bisogno oggettivo, con nuove forme di welfare, che prevedono formazione, costi distribuiti nel tempo e orientati alla prevenzione e promozione della famiglia, competenze di aiuto distribuite e non solo proprie dei servizi sociali e comunali, attivazione della società in rete. In questo modo, cambia la percezione della famiglia in relazione alla comunità e c'è un guadagno in termini relazionali. Si immaginano, infatti, percorsi di fraternità che valorizzano e recuperano la centralità della famiglia come insieme unitario; la famiglia non deve, dunque, essere più “da appartamento” ma “una porta sul mondo, una casa- universo”, attenta alle esigenze del proprio prossimo, per creare “Reti di famiglie” che ridisegnino una società più ricca di valori nella giusta percezione delle cose, prevenendo il disagio

e non curandolo, come afferma Marina Buoncristiano, Responsabile diocesana dell’osservatorio delle povertà e delle risorse. Un esempio sono i GAS, ossia I Gruppi di Acquisto Solidale: si tratta di gruppi di acquisto, organizzati spontaneamente, che partono da un approccio critico al consumo e che vogliono applicare i principi di equità, solidarietà e sostenibilità ai propri acquisti; è una forma di rete di famiglie che sta prendendo piede in Italia, e non solo, formato da un gruppo di persone che decidono di incontrarsi per acquistare all’ingrosso prodotti alimentari o di uso comune, da ridistribuire tra loro. Altro progetto, a cui la Nostra Diocesi ha aderito, è la campagna “Una sola famiglia umana, cibo per tutti: è compito nostro”, versione italiana dell’omonima mobilitazione “One Human Family. Food for All” lanciata a livello internazionale dal Papa e da Caritas Internationalis il 10 dicembre 2013. L’appello, lanciato da Papa Francesco a tutta l’umanità, rappresenta un impegno alla mobilitazione, che si pone l’obiettivo di promuovere consapevolezza ed impegno sugli squilibri del pianeta, avendo come aspetto centrale l’elemento educativo, adottando uno stile di vita sobrio e consapevole, riducendo lo spreco e scegliendo alternative solidali e sostenibili di consumo. La Caritas Diocesana di Potenza, Muro Lucano e Marsico Nuovo ha focalizzato la propria attenzione in primo luogo sul diritto al cibo, ritenendolo il nucleo centrale delle problematiche. Durante il periodo di Avvento e di Natale,

pertanto, tutti i gruppi parrocchiali della Diocesi, che si occupano della formazione delle nuove generazioni, sono stati invitati a svolgere delle attività ludico-educative, attraverso le quali indurre alla riflessione sulle diseguaglianze sociali per un concreto impegno solidale a partire dai più piccoli. All’interno di questa iniziativa, i bambini e i ragazzi sono stati invitati anche a scrivere la ricetta del proprio piatto preferito, i cui ingredienti sarebbero stati donati a quel bambino su tre che nella nostra Regione vive una condizione di deprivazione alimentare, mentre ogni famiglia italiana, annualmente, butta via ben 40 kg di cibo superfluo, secondo quanto affermano i dati dell’Osservatorio Waste Watcher nel 2013. Le ricette provenienti da tutte le parrocchie verranno raccolte in un opuscolo “Ricette per una sola famiglia umana” e saranno premiate le tre più originali, che vedono l’utilizzo di ingredienti sobri. La Caritas Diocesana spinge anche a forme di collaborazione con gli enti istituzionali quali la Regione ed i Comuni affinché si progetti una politica di welfare che non sia assistenzialista ma che inserisca il beneficiario in un reale e concreto percorso inclusivo. Dunque, “di fronte allo scandalo mondiale di circa un miliardo di persone che ancora oggi soffrono la fame, non possiamo girarci dall'altra parte e far finta che questo non esista. Lo scandalo per le milioni di persone che vivono la fame non deve paralizzarci ma spingerci ad agire per eliminare questa ingiustizia” (Papa Francesco)

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SUOR CHERUBINA LORUSSO 25 ANNI DI MISSIONE IN AMERICA LATINA uor Cherubina Lorusso, 67 anni, originaria di Avigliano (PZ), appartenente all’ordine delle Suore Missionarie Catechiste del Sacro Cuore, il 14 febbraio 1990 parte per l’America Latina, direzione Cile, dove ha inizio la sua missione tra i più deboli, tra i più bisognosi, tra i più dimenticati. Giunge nelle periferie di Santiago del Cile, nella zona “San Giuseppe della Stella”, tra i poveri e tra i senzatetto, che con il governo di Pinochet avevano avuto delle baracche, e lì vi rimane per 5 anni. Dopo di che – ci racconta – parte per il Brasile, in un grande centro, che si chiama “il Regno dei ragazzi”: lì è responsabile dei settore dei ragazzi da 0 a 5 anni. Nell’aprile del 2001, inizia, invece, la sua missione in Bolivia, sulle Ante Boliviane, a circa 3600 metri, nella popolazione di Vacas, a 100 km dalla città di Cochabamba, dove tutt’oggi vive. In cosa consiste la vostra missione lì? Lì la gente, sebbene cattolica, non conosceva suore, per cui, per sei anni, abbiamo evangelizzato porta a porta, nella parrocchia e nelle frazioni; non avevamo una struttura, ma stavamo in parrocchia, dove i bambini accorrevano per mangiare e noi ne approfittavamo per catechizzarli. Prima

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che arrivassimo noi, avevano assistenza religiosa saltuaria e nessun parroco voleva rimanere in quei territori, perché è una parrocchia molto povera. Da allora sono passati sei anni, e grazie agli aiuti di una parrocchia del nord Italia, San Pietro al Natisone, in provincia di Udine, abbiamo potuto formalizzare la nostra opera, costruendo un centro infantile, dove lavoriamo con i bambini da 3 mesi a 5 anni, nell’area dell’ istruzione, della salute, dell’ igiene, dell’ alimentazione, della protezione e dei lavori sociali, secondo i programmi dell’Unicef, e a fine mese diamo una relazione alla Prefettura. In pochi anni, grazie alla struttura e grazie al modo di lavorare, siamo oggi il miglior centro infantile della regione di Cochabamba, per cui ci hanno chiesto di portare la nostra pedagogia agli altri centri infantili, ma non avendo personale a sufficienza, né tempo, abbiamo chiesto di venire a fare formazione da noi. Lavoriamo, formalmente da tre anni, anche con i disabili, che sono le persone più dimenticate da tutti, perché sono “la vergogna delle famiglie” e nessuno vuole lavorare con loro, per cui soffrono fame, mancanza di medicine, indifferenza e abbandono; a tutto questo si aggiunge

la pastorale nelle parrocchie, con il catechismo, i sacramenti... In quelle terre, solo con l’evangelizzazione non raggiungi le persone, bisogna associarvi anche gli aiuti umanitari; quando facciamo catechismo, in sessantadue frazioni, perché i bambini vengano portiamo sempre qualcosa da mangiare o giocattoli usati. Molti ci tacciono di paternalismo, ma se dopo aver fatto catechismo non si portano qualcosa a casa, non sono spronati a fare tanti kilometri per venire. Noi facciamo il pane, cuciniamo, laviamo, facciamo il rapporto settimanale per ogni bambino. In quei luoghi, la violenza è ancora molto presente, per cui noi cerchiamo di educarli anche al rispetto, all’amore, alla pace, e un esempio è che quando due bambini litigano, li sproniamo ad abbracciarsi per qualche minuto, così da insegnare loro la fraternità e il perdono. Qual è la vostra giornata tipo? Da quando lavoriamo sistematicamente nel centro infantile, incominciamo alle 6.00 di mattina con la preghiera, come comunità di suore, poi, alle 7.30 usciamo con le macchine a prendere dai campi i bambini presenti nell’arco di 10 km; quan-

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mesi a un anno; questi a volte hanno costruito opere sociali che poi continuano a sostenere dalle proprie parrocchie in Italia. Generalmente, però, con il passare del tempo, questo sta diventando un turismo bello e buono, perché, rispetto al passato, sono pochissimi i giovani che si lasciano coinvolgere dai bisogni del posto. Cosa l’ha spinta a partire? Quando ero giovane, ancora novizia, ho visto il film di un missionario “Padre Damiano: l’apostolo dei lebbrosi”, e da allora non ho preso pace, non ho dormito più e ho sempre sperato che un giorno potessi vivere come lui. Capitano momenti di sconforto? Lo sconforto è solo quando vorresti poter fare di più e non puoi perché mancano le risorse necessarie, ma non ho mai pensato di ritornare in Italia, mai. do arrivano si lavano e si occupano della loro igiene, poi fanno colazione e iniziano le attività educative; alle 10.30 mangiano la frutta (in quelle zone non vi è frutta, ma solo patate, fave, avena e orzo), provenienti da altri territori della Bolivia, poi si ritorna in sala per attività ludiche, manuali, didattiche e alfabetizzazione, con cui stimoliamo le loro abilità; poi pranzano e dormono un po’, perché la mattina si alzano all’alba con i genitori per andare nei campi. Al risveglio fanno ancora attività ludiche, una piccola merenda e verso le 18.30 li accompagniamo alle loro case. Dove trovate il sostegno economico? Da tre anni siamo entrati nei programmi del Governo, che ci fornisce alimentazione secca, mentre il Municipio passa un po’ di alimentazione fresca e dei buoni alimentari per le maestre; per racimolare altri soldi facciamo dei progetti, tra cui quelli per l’alimentazione che svolgiamo in Germania e Spagna. Ci sosteniamo, però, anche grazie alle offerte provenienti dall’Italia. L’Unicef in America Latina ci dà le informazioni su come lavorare ma non aiuti economici. Quali sono i rapporti con le famiglie? La gente lì è molto primitiva, per cui non ringrazia mai, non apprezzano molto il lavoro che facciamo, perché non hanno la cultura di stimolare i bambini dalla nascita e già prima della nascita, nè di farli giocare, ma per loro devono lavorare, badare agli animali... I centri infantili a loro sono utili per sgravarsi di un po’ di lavoro. Qual è il futuro che attende i bambini, una volta usciti dal centro infantile? Quando i bambini escono dal centro infantile vanno a scuola, ma il problema è che le maestre della scuola primaria non sono

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abituate a lavorare con bambini provenienti da centri infantili, e quindi già preparati, per cui c’è il rischio che regrediscano, perché avviene una livellazione con i bambini che non hanno frequentato centri infantili. Hanno la possibilità di proseguire gli studi? Nel governo boliviano tutto sta migliorando, per cui se un ragazzo boliviano una volta finiti gli studi di base vuole proseguire, può farlo, lavorando e studiando, perché non hanno la possibilità economica di studiare solo. Alle donne, però, non è permesso. Tra i miei ex alunni del liceo, dove insegnavo etica e morale, ad esempio, si sono già formati quattro medici, una decina di infermieri e anche alcuni ingegneri. In classe mi arrabbiavo sempre, perché dicevo “perché deve venire gente da fuori a governarvi, gente a cui non interessano i vostri problemi? Datevi da fare!!!”, e ora quando salgo al Municipio e trovo i miei ex alunni, per me è una grande gioia. Quali sono i progetti futuri? Non abbiamo grandi progetti, per mancanza di risorse economiche e umane, ma speriamo di riuscire a mantenere i progetti già avviati, soprattutto ci preme che ci sia qualcuno che lavori costantemente con i disabili, perché sono molti, sono poveri e a stento riusciamo a portare avanti il progetto con loro. In quanti siete a mandare avanti il centro infantile? Nel centro siamo tre suore e sei laici, mentre abbiamo tra gli ottanta e i cento bambini ogni giorno. Nel mese di Agosto, poi, è tradizione che arrivano molti volontari italiani, che hanno benefici dal governo italiano, perché svolgono lì il servizio civile, e stanno dai tre

Con papa Francesco si è passati da una Chiesa eurocentrica a una Chiesa universale e secondo una proiezione, nel 2025, in America latina, ¾ della popolazione sarà cattolica, rispetto a ¼ del mondo occidentale. Lui viene proprio dalla terra in cui lei vive da 25 anni… cosa ha pensato nel momento della sua elezione a Pontefice? Proprio perché il Papa viene da quei territori, il suo invito verso i poveri è costante, non apre bocca senza citare i poveri. Ha scelto il nome “Francesco” proprio perché, una volta raggiunto il numero dei voti per essere eletto pontefice, il Cardinale Hummes gli disse “Non dimenticare i poveri” ed ecco l’illuminazione. Anche il suo stile, per questo, è molto diverso. Non bisogna scandalizzarsi, ma quando si vive là molte cerimonie e molta burocrazia vaticana non la si comprendono... in Bolivia non sempre ci sono sacerdoti disponibili, per cui quando ci sono emergenze sono le suore a esercitare i sacramenti. Noi, però, temiamo molto per la sua vita. Ad Avigliano, ma non solo, ha incontrato i bambini delle scuole elementari e medie: qual è stata la domanda che più l’ha colpita? I bambini sono molto curiosi, e hanno fatto tante domande, ma quella che più ha risuonato è stata: “Cosa possiamo fare noi?”. È la stessa domanda che facevano a Gesù, perché quando qualcosa suscita interesse, ci facciamo sempre la stessa domanda “Cosa possiamo fare noi?”. E mentre noi continuiamo a chiederci “Cosa possiamo fare?”, i bambini del centro infantile non mangiano senza prima ringraziare Dio e noi tutti, senza i quali non potrebbero avere quel cibo sulla tavola. ma.te.



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LE CHIAVI DI CASA Progetto di residenzialità

breve per pazienti affetti da disagio psichiatrico lieve rende il via domani, 27 febbraio, e terminerà al compimento dei diciotto mesi, il progetto "Le chiavi di casa". Un'iniziativa che nasce in uno dei quartieri storici della città, zona Don Bosco, ed è destinato a cambiare il volto della disabilità a Potenza. L'esperimento è il primo, nel genere, in Basilicata e mette in relazione le associazioni tra di loro, la struttura socio assistenziale, le famiglie, gli ospiti delle case e la città. Perché, in fondo, destinatari de "Le chiavi di casa", questo è il nome del progetto di residenzialità breve per pazienti affetti da disagio psichiatrico lieve, sono, oltre che i diretti interessati e le loro famiglie, anche i cittadini e la collettività. Due gli appartamenti individuati per ospitare le esperienze di residenzialità: uno a Potenza ed un altro a Melfi, per il quale il Comune di Melfi sta individuando i locali. I ragazzi verranno suddivisi in quattro gruppi di 3-5 persone ciascuno, per ogni appartamento, supportato da un educatore e da più volontari che accompagneranno i ragazzi nei vari momenti della giornata, interni ed esterni agli appartamenti. La "Fondazione con il Sud" ha approvato e finanziato, nell'ambito del bando sociale per il 2014, il progetto proposto dall'Aipd (Associazione Italiana Persone Down) di Basilicata, in collaborazione con le associazioni "H lettera muta", "Solarmente", "Zia

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Scheda obiettivi Il primo obiettivo è quello di rendere le famiglie più consapevoli delle capacità dei propri figli e di facilitare i processi di separazione o di allontanamento. Poi, c'è l'obiettivo di sperimentare un modello di residenzialità per favorire la sicurezza dentro e fuori lo spazio abitativo e per facilitare la gestione della vita domestica, trasferibili e riproducibili in altri contesti di natura pubblica o privata. Altro scopo importante è quello d'individuare una nuova possibile risposta alla questione del dopo di noi, e del durante noi, sulla base delle osservazioni effettuate durante l'evoluzione del progetto e dei risultati finali. Un altro obiettivo è quello di valorizzare le potenzialità delle persone con disabilità riducendo, gradualmente, gli interventi assistenziali. Per chiudere, c'è anche l'obiettivo di arricchire la formazione degli educatori o degli operatori con nuove competenze di tipo relazionale. Obiettivo specifico Lo scopo del programma è quello di sperimentare una valida alternativa all'istituzionalizzazione, attraverso la realizzazione di programmi individuali, per favorire lo sviluppo massimo, attraverso esperienze e attività interne ed esterne alla comunità, dei livelli di autonomia individuale e di socializzazione di gruppo e che, con gradualità, attenzione e senza traumi, faciliti il distacco della persona dal nucleo familiare di origine e ne continui, nel contempo, l'azione di sostegno esistenziale e le permetta di vivere in un ambiente sereno e confortevole, perfettamente integrato nella counità locale. Gli obiettivi che s'intendono, così, perseguire, nel tempo, mirano a sostenere le persone con disabilità, così da ridurre il bisogno di assistenza e, contemporaneamente, migliorare l'autonomia e la qualità di vita. Il progetto mira a rendere autenticamente protagonisti e responsabili gli utenti e i familiari del proprio percorso emancipativo e della buona conduzione e del funzionamento delle strutture. Per queste persone che abiteranno le case, adeguatamente supportate e organizzate in relazione alle loro esigenze, riteniamo che sia possibile una riduzione considerevole del bisogno di assistenza. Tra le modalità del programma è prevista, inoltre, la messa in campo di attività di sensibilizzazione sul tema della disabilità, rivolte all'intera collettività.


Il progetto

Le attività all'interno dell'appartamento

Il progetto "Le Chiavi di Casa" consiste in un articolato programma di esperienze di residenzialità breve, finalizzato ad avviare persone con disabilità verso un'autonomia abitativa il più possibile indipendente, al fine di favorire il processo di distanziamento o di separazione dalle proprie famiglie di origine. La formula sarà quella dei "week-end", ma non solo, durante i quali i giovani con disabilità, organizzati in piccoli gruppi, guidati da e educatore, imparano a pianificare tempi, spazi e risorse, per gestire la vita domestica quotidiana in una casa nuova, la "Casa Mia", diversa da quella di famiglia e in assenza di familiari. Per dare impulso a queste attività è stato predisposto un percorso formativo per gli operatori, di sensibilizzazione delle famiglie sul tema, di creazione di idonei sportelli informativi, tutti momenti finalizzati all'obiettivo della sperimentazione dei suddetti gruppi appartamento. Queste esperienze costituiscono la logica evoluzione delle attività che le associazioni aderenti alla rete hanno svolto, finora, a favore di un nutrito gruppo di persone che hanno ormai raggiunto la maggiore età. Attraverso una formazione, condotta da educatori specificamente preparati, supportati da volontari, le persone hanno acquisito conoscenze ed abilità utili nella vita sociale quotidiana, in ordine alle seguenti aree: Comunicazione: sapere chiedere, sapere dare i propri dati anagrafici, uso del telefono, di internet. Orientamento: lettura delle indicazioni stradali, individuazione di punti di riferimento, riconoscimento delle fermate di autobus, taxi, raggiungimento autonomo di luoghi nuovi. Uso dei negozi: supermercati, negozi di uso comune, riconoscimento ed individuazione dei prodotti, stesura di una lista. Uso dei servizi: uffici pubblici (semplici operazioni postali...), locali (bar, ristoranti, cinema...), mezzi di trasporto. La maggior parte di queste persone ha iniziato un'esperienza lavorativa, maturando l'esigenza di una vita indipendente.

Il nucleo centrale del progetto "Le Chiavi di Casa" consiste nella realizzazione di "week end" e non solo che, a partire da venerdì 27 febbraio e per diciotto mesi, impegneranno persone con disabilità, organizzate in piccoli gruppi, guidati da un educatore. Il soggiorno è mirato a far acquisire agli ospiti la capacità di imparare a pianificare tempi, spazi e risorse, per poi gestire la vita domestica quotidiana, in una casa nuova, appunto la nostra "Casa Mia", diversa da quella di famiglia e in assenza dei familiari. Due gli appartamenti individuati per ospitare le esperienze di residenzialità: uno a Potenza ed un altro a Melfi. I ragazzi verranno suddivisi in quattro gruppi di 4-5 persone ciascuno per ogni appartamento, supportato da un educatore e da più volontari che accompagnano i ragazzi nei vari momenti della giornata, interni ed esterni agli appartamenti. Ogni gruppo farà due esperienze di residenzialità al mese, della durata di tre giorni e due notti, una nei giorni infrasettimanali ed una comprendente il fine settimana. Si darà molta importanza all'integrazione del gruppo nella comunità locale, attraverso iniziative legate all'impiego del tempo libero. Particolare attenzione sarà rivolta all'organizzazione di tutte le attività esterne che comportino il rapporto con persone nuove, gli spostamenti con i mezzi pubblici e la partecipazione alla vita sociale della città. Questo progetto non può prescindere dalla presenza di giovani volontari che possano condividere e supportare i protagonisti delle esperienze di residenzialità, nelle varie attività della giornata. I percorsi di accompagnamento alle famiglie si svolgeranno, inizialmente, nella sede dell'Associazione capofila con questa organizzazione: incontri del gruppo genitori: uno al mese, della durata di due ore, con il coordimamento del mediatore e/o di incontri individuali e/o a piccoli gruppi con gli educatori: uno al mese; incontri individuali con lo psicologo: a richiesta degli interessati, in giorni ed ore concordati.

Lisa", "Dopo di Noi"; "Peter Pan", "Crescere insieme", "Fondazione Avisper", oltre al Comune di Potenza e al Comune di Melfi. Il progetto tende a far acquisire e sviluppare le competenze basilari che serviranno a gestire, in autonomia, la vita di tutti i giorni. In buona sostanza l'Aipd, capofila del progetto ha chiesto e ottenuto, dalle strutture sanitarie competenti, l'autorizzazione al coinvolgimento degli utenti, presso il centro diurno "La Mongolfiera" e la Casa Alloggio, gestita dalla Cooperativa

"BenEssere", per dare esecuzione al progetto stesso. Il progetto consiste in un articolato programma di esperienze di residenzialità breve, finalizzato ad avviare persone con disabilità verso un'autonomia abitativa il più possibile indipendente, al fine di favorire il processo di distanziamento o di separazione dalle proprie famiglie di origine. La formula sarà quella dei "week-end", ma non solo, durante i quali i giovani con disabilità, organizzati in piccoli gruppi, guidati

da e educatore, imparano a pianificare tempi, spazi e risorse, per gestire la vita domestica quotidiana in una casa nuova, la "Casa Mia", diversa da quella di famiglia e in assenza di familiari. Per dare impulso a queste attività è stato predisposto un percorso formativo per gli operatori, di sensibilizzazione delle famiglie sul tema, di creazione di idonei sportelli informativi, tutti momenti finalizzati all'obiettivo della sperimentazione dei suddetti gruppi appartamento.

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Un aiuto concreto alle famiglie bisognose

L'INIZIATIVA DELL'ASSOCIAZ Flavia ADAMO

idurre la spesa attraverso convenzioni locali e nazionali, incrementare l'economia regionale, strutturare reti di solidarietà tra consumatori, commercianti e associazioni per sostenere le famiglie in difficoltà sono i tre principali obiettivi presentati dall'associazione “MIA aci” in una conferenza stampa tenutasi nella Sala dell’Arco del Palazzo di città a Potenza lo scorso 15 gennaio. Nata a Potenza nel novembre 2014 MIA aci è l'Associazione nazionale di promozione sociale e di tutela dei consumatori, apartitica e senza scopo di lucro, con sede legale a Potenza in via del Seminario Maggiore n°115, che svolge attività di promozione e utilità sociale proponendosi, attraverso centinaia di esercizi partner su tutto il territorio regionale e nazionale, di assicurare agli associati risparmi concreti sulle spese quotidiane che non si possono evitare (quali alimentari, casa, carburante e medicinali). La povertà in Italia sta raggiungendo dati allarmanti, oltre il 13,6% delle famiglie italiane vivono in situazioni drammatiche. Il dato sociale che maggiormente sottolinea questa condizione viene rilevato nel Mezzogiorno dove la povertà relativa è quasi 5 volte superiore a quella del resto del paese, oltre il 23,8% rispetto al 4,9% del Nord e al 6,7% del Centro. Le più colpite sono le famiglie

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Salvatore Caliendo

Luigi Sabia

Marina Buoncristiano

IONE MIA formate da anziani, 19,6%, o le famiglie con 3 o più figli a carico in età inferiore ai 18anni dove nel Mezzogiorno la percentuale sfiora il 38,8%. L'incidenza percentuale più elevata si ha quando il capo famiglia è un operaio o in cerca di lavoro, un cassaintegrato o pensionato, in questi casi la percentuale sale fino al 49,6%. Nella scala di diffusione della povertà nelle regioni italiane la Basilicata con il 28,8% raggiunge il podio, occupando il 1° posto con la Sicilia, a seguire Campania 25,3% e Calabria 25%, l'ultimo posto è occupato dall'Emilia Romagna con il 3,9% (per un ulteriore approfondimento http://www.legaconsumatori.it/). L'associazione si è così presentata alla cittadinanza proponendo due importanti e concrete iniziative: “ ScontACI” e “MIA per il sociale”, volte al compimento di quelle che sono le finalità dell'associazione. Con la prima proposta l'Associazione Mia in collaborazione con l'Automobile Club di Matera e di Potenza ha distribuito a tutti gli automobilisti che si sono recati nei mesi di gennaio e febbraio a pagare il bollo auto nelle Delegazioni ACI della Regione Basilicata un carnet di buoni sconto del valore di 50 euro, utilizzabili negli esercizi commerciali convenzionati. Poiché sono oltre 300 gli esercizi commerciali coinvolti sul territorio regionale questa iniziativa non può che assume una importanza economica rilevante in quanto andrà a stimolare e ad indirizzare verso le attività partner un volume d'acquisti di circa 36milioni di euro, ha così spiegato Salvatore Caliendo, vice presidente dell'Associazione Mia. Lo scopo infatti è quello di ottenere una riduzione della spesa per i consumatori lucani indirizzando gli acquisti verso gli esercizi commerciali

convenzionati incrementando l'economia locale. Attraverso la seconda iniziativa l'Associazione si prefigge di raggiungere il terzo obiettivo e con il supporto della Caritas diocesana l'iniziativa “Mia per il sociale” è riuscita a canalizzare circa 12mila euro di beneficenza a favore delle famiglie in difficoltà. Sostegno all'attività dell'associazione, che ha offerto 100 carnet di buoni sconto ciascuno del valore di 50euro, è arrivata dall'Associazione Università Popolare Lucana che ha messo a disposizione dell'iniziativa 3mila euro di buoni spesa distribuiti in sessanta carnet del valore di 50euro, composto da 10 buoni Day del valore di 5euro cadauno; dalla società COMPASS S.p.a che ha fornito 100 buoni energia per un totale di 3mila euro ciascuno validi per il ritiro di una bombola di gas di 15kg presso i punti di distribuzione dell'Azienda; dal Panificio Picernese picernese Ciarly che ha destinato all'iniziativa 200 buoni per il ritiro di 1/2kg di pane e dalla Lavanderia LavaPiù che ha messo a disposizione 13 lavaggi gra-

tuiti da 7kg ciascuno. “Attraverso la contribuzione del 5x1000 all'Università Popolare Lucana contiamo di ottenere nuove risorse per organizzare corsi gratuiti di lingue ed alfabetizzazione informatica per i bambini ed i ragazzi delle famiglie più disagiate” ha dichiarato Luigi Sabia, socio fondatore di Mia aci e segretario dell'U.P.L. Perché si è ancora più poveri quando mancano gli strumenti culturali e formativi per reagire. “Non si può che lodare questa iniziativa” ha affermato Marina Buoncristiano, responsabile della Caritas diocesana di Bucaletto. “ Iniziative come questa, capaci di coinvolgere molti attori per dare un aiuto a 360°, devono diventare contagiose. Verranno privilegiate immediatamente le famiglie che hanno nel loro nucleo minori, anziani o malati e se non potremmo raggiungere tutte le famiglie bisognose- ha concluso la Buoncritiano- speriamo che questo virus solidale possa allargarsi per poter aiutare un numero sempre maggiore di famiglie”.

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Marialaura Garripoli

Presidente dell’Associazione “Futura” Venosa Marianna Gianna FERRENTI

a più di vent’anni la dialettica StatoRegioni, è stato al centro di un dibattito ormai più che ventennale sulla questione petrolifera in Basilicata. A colpi di Memorandum la terra lucana ha rivendicato la volontà di intraprendere un dialogo prolifico con le istituzioni per comprendere in un clima di concertazione quale futuro attende una regione il cui territorio non è asprigno o infertile ma ricco e fecondo di un immenso patrimonio boschivo, e soprattutto di risorse agroalimentari e vitivinicole. La legge “Sblocca Italia” e il timore che questo possa rappresentare un ampliamento delle istanze di permesso sulla ricerca di idrocarburi in aree diverse rispetto a quelle previste dalla Concessione Gorgoglione (Total e Shell Italia), Serra pizzuta (Eni) e Val D’Agri, con 11 nuovi permessi già rilasciati che si aggiungono alle attività già in atto e che comprendono i territori di Aliano, Fosso Aldienna, Montalbano, Montenegro, Pizzo Scialobone, Serra S. Bernardo, Teana, Tempa Moliano, Torrente Acqua fredda, Torrente Alvo, Torrente La vella) già esistenti e ben 17 nuove istanze (Anzi, Frusci, Grotte del Salice, Il Perito, La Bicocca, La Capriola, La Cerasa Masseria La Rocca, Monte Li Foi, Oliveto Lucano, Palazzo San Gervasio, Pignola San Fele, Satriano di

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Lucania, Tempa La Petrosa, Monte Cavallo, Muro Lucano) il cui decreto VIA (Valutazione Impatto Ambientale) è ancora in corso (Fonte tabella: Istanze di permessi di ricerca per idrocarburi in Basilicata contenuta nel dossier Legambiente “Petrolio in Val D’Agri: il dado non è tratto” dell’8 gennaio 2013). Eppure c’è chi giura che lo Sblocca Italia sia uno scrigno che racchiude nuove istanze. Una volontà costantemente smentita dalle istituzioni

regionali che convalidano fermamente l’intenzione di mantenere invariate le attività di ricerca stabilite dalla suddetta concessione la cui validità è prevista per il 2020. Tra le istanze per ora ferme al Tar vi è il permesso “Palazzo San Gervasio” che comprende un territorio molto ampio (469,9 Kmq) situato nell’Area Nord della Basilicata (Venosa, Palazzo San Gervasio, Montemilone, Ripacandida, Acerenza, Banzi, Barile, Forenza, Genzano di Lucania,


Ginestra, Maschito, Oppido Lucano, Rapolla). Tra le associazioni scese in Piazza vi è l’Associazione Futura che da tempo chiede un incontro con il governatore regionale per discutere dei temi in esame. Analizziamo assieme alla presidente dell’Associazione “Futura” Venosa, Marialaura Garripoli, quali sono le prospettive, le opportunità e le criticità della legge approvata dal governo Renzi lo scorso 11 novembre che ha suscito forti contestazioni nel popolo lucano. L’intervista alla presidente di “Futura” ripercorre le diverse tappe del percorso che ha portato all’approvazione della conversione in legge del decreto “Sblocca Italia”. La presidente non si sofferma solo sull’art.38 divenuto totem e vessillo della mobilitazione degli scorsi mesi, ma approfondisce altri articoli su cui l’attenzione dell’opinione pubblica si è soffermata poco. Presidente Garripoli, Che cosa contestate del decreto Sblocca Italia? Quali articoli nello specifico? La verità è che si è molto focalizzata l’attenzione sull’art. 38, ma si è distolta la concentrazione sugli altri articoli della Materia Energetica che sono altrettanto importanti come, ad esempio, l’art. 35, che prevede la “valorizzazione” delle attività di incenerimento del rifiuto in controtendenza con le direttive europee, poiché l’Ue ha stabilito che entro il 2020 l’incenerimento debba essere l’ultima tappa del percorso che fa il rifiuto e che invece bisogna privilegiare la raccolta differenziata. Ho letto il tanto dibattuto emendamento di modifica all’art. 38: oltre a contenere il cosiddetto “Sblocca Tempa Rossa”, che vede la strategicità anche delle opere necessarie al trasporto e allo stoccaggio del petrolio; oltre all’introduzione del “titolo concessorio unico” ed all’individuazione di un Piano delle aree interessate redatto dal Ministero dello Sviluppo Economico, una questione aperta è rappresentata dall’intesa Stato-Regione, poiché l’intesa si sposta dal piano tecnico a quello puramente politico. A questo punto la domanda è: se il Governatore lucano Pittella è così favorevole all’ideologia renziana e quest’ultima è particolarmente incline all’utilizzo delle energie fossili, potrà egli distaccarsi dall’idea governativa e fare opposizione al fine di tutelare la Basilicata? E' evidente che questa "lotta mediativa" (o, forse, mediatica) sull'art.38 dello "SbloccaItalia" non ha fatto altro che distogliere l'attenzione sulle altre dolose problematicità legate agli articoli della Legge riguardanti la materia energetica (35, 36 e 37), oltre a distrarre l'attenzione dalle ormai incancrenite "questioni lucane": Fenice-EDF, Tecnoparco Valbasento, i S.I.N. da bonificare, i fiumi e gli invasi inquinati, i pozzi di reiniezione, gli opifici e i cementifici, le false rinnovabili, etc. Che cosa pensi della Social Card? Chi

avvalora la legge Sblocca Italia sostiene che ci saranno delle ricadute di sviluppo economico e occupazionali maggiori . Cosa risponde? Personalmente non la vedo così diversa dalla carta carburante, il cosiddetto “contentino”; è chiaro che le compensazioni sono comunque dovute alla regione e ai cittadini lucani, ma il problema è che queste royalty non compensano gli irreversibili danni derivati dalle estrazioni petrolifere: la Val D’Agri ed i quasi vent’anni di estrazione ne sono un esempio. Il Governatore ha chiesto che il 3% delle royalty fossero svincolate dal Patto di Stabilità interno: ma se la Regione Basilicata non avesse avuto il petrolio, come avrebbe risolto il problema dell’inclusione sociale, delle politiche attive del lavoro e del dissesto idrogeologico? In Basilicata il PIL è sceso del 3,2% nel 2013 "portandosi sotto i livelli raggiunti nella seconda metà degli anni ’90” e la Basilicata rimane regione Obiettivo 1: ma il petrolio non doveva essere un'opportunità di sviluppo per questa regione? Il petrolio non doveva portare crescita ed occupazione? Crede che questa legge sia in linea con le direttive europee in termini di innovazione tecnologica e infrastrutturale? Ritengo che attualmente in materia energetica sono stati compiuti dei passi indietro. Mentre l’Europa punta sul rinnovabile, l’Italia continua a perseverare sul fossile. Non mi sembra che in Italia ci sia molta voglia di innovare in materia energetica e si persegue questa mancanza di volontà alle spalle di una regione con il piede già nella fossa. Si continua a intraprendere la strada dello sfruttamento di idrocarburi, tant’è che c’è chi afferma che vi sia una linea di continuità tra il Texas e la Basilicata. Con la differenza sostanziale che il paese texano è per lo più arido e desertico, mentre la terra lucana ha una vocazione agricola molto intensa. Che ne pensa? La Basilicata è ricchissima di risorse naturali, in primis l’acqua, che purtroppo viene sacrificata a vantaggio del petrolio: si veda la contaminazione biologica e chimica dell’invaso del Pertusillo, denunciata nel 2010 dal segretario dei Radicali Lucani Maurizio Bolognetti. Nel Vulture – alto Bradano abbiamo produzioni di prestigio come l’Aglianico, le colture, i vini che, al pari di qualsiasi altro prodotto della terra, potrebbero essere valorizzati rappresentando la vera identità del territorio. Non siamo “comitatini” e neppure “ambientalisti”: siamo dei cittadini che vogliono tutela-

re, difendere, la propria regione. La genuinità della terra è la vera risorsa di un territorio e ciò è stato messo nero su bianco quando il ministro Federica Guidi venne in Basilicata per ribadire che si stava chiedendo al popolo lucano un grande “sacrificio”. In quell’occasione ci fu una grande manifestazione popolare davanti alla Regione; diverse associazioni ed espressioni politiche hanno prodotto un documento in cui si scriveva qual era la vera prerogativa lucana: la valorizzazione di un territorio contro l’eccessiva e selvaggia industrializzazione. Questo documento è stato consegnato al portavoce di Pittella, il dott. Grasso, ma la risposta – purtroppo – non è mai arrivata. Quali sono i punti critici del Decreto Sblocca Italia e quali sono invece i vantaggi? Essere d’accordo con la materia energetica prevista dallo Sblocca Italia è molto difficile. Una legge che prevede trivellazioni in terra e mare ed incenerimento dei rifiuti è una legge che fossilizza l’Italia in una sottocultura, sempre troppi passi indietro rispetto agli altri paesi europei. Il caso della Basilicata dovrebbe essere un caso nazionale: vent’anni di arretramento in cui la nostra regione s’è trasformata da “terra di nessuno” a “terra di qualcuno”: coloro che dovevano tutelare il territorio, infatti, adesso sono seduti a Roma o a Bruxelles, mentre la Basilicata rischia di diventare una terra senza identità. Complice forse l’indifferenza di tanti anni or sono dei cittadini? Si potrebbe sicuramente fare molto di più, essere parte attiva, battersi per il “diritto alla conoscenza” e pretendere da se stessi la voglia di “conoscere per deliberare”, come sostiene da sempre Maurizio Bolognetti, o almeno essere curiosi di ciò accade intorno a noi. Non interessarsi alla propria terra, non gridare per la sua difesa, significa essere complici del suo assassinio.

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E P I S T E M E

Proverbi: al dell'appare Leonardo CLAPS

no studio serio dei proverbi deve tener conto che il più delle volte la saggezza popolare si esprime attraverso allusioni e metafore, detti apparentemente semplici che però nascondono significati sorprendenti ed interessanti. Alcuni esempi chiariranno questa linea interpretativa.

La vita jè n’affacciata r’ funestra. (La vita è un'affacciata di finestra).

esteso. La vita di una persona non si può riassume in poche parole, non è analizzabile in modo esauriente nemmeno con le migliori descrizioni. Ma affacciarsi ad una finestra è una cosa molto semplice, soprattutto se si considera ciò che si può vedere dalla visuale ristretta che offre una finestra. Due concetti, dunque, uno ampio, anzi molto ampio, e uno ristretto. Perché questo contrasto? Di certo la vita è un fenomeno molto complesso, ricco di elementi svariati, ma a ben vedere la vita di ognuno è poi abbastanza circoscritta, ridotta, contenuta. In fondo, può forse l’uomo fare tutta l’esperienza del mondo nell’arco limitato della sua breve esistenza terrena? Nella specifica nostra condizione umana le possibilità dell’esperienza sono, in realtà, abbastanza limitate. Non abbiamo a nostra disposizione tutti gli anni, la forza e l’energia per conoscere interamente tutti i fenomeni dell’universo. Da queste considerazioni, essenziali se si segue il proverbio nella sua valenza descrittiva, emerge quasi spontanea alla fine un’ovvia implicazione: se quel che possiamo conoscere della vita è di fatto relativo e circoscritto, allora non dovremmo essere più attenti a non sprecare in vuote distrazioni i nostri anni? Forse, sembra implicare il proverbio, dovremmo essere più gelosi del tempo e delle occasioni che sono concretamente alla nostra portata.

Il concetto di vita è veramente

Fai l’art’ ca sai, ca s’ nun t’arriccisci

U

Figna a la cchiù bella tene sett’ rfiett’. (Perfino la più bella ha sette difetti). Anche ciò che è bello in modo evidente e sembra all'apparenza perfetto, nasconde difetti ed imperfezioni. Ovviamente non si tratta solo di difetti in senso fisico ma soprattutto di difetti in senso morale e psicologico. Questo proverbio può rivelarsi molto utile ed istruttivo nella considerazione, a volte frettolosa, a volte superficiale dei beni esteriori appariscenti. È come se il suo messaggio di fondo volesse avvertirci, come se volesse portarci al di là dell’ovvio. Infatti il più delle volte, se non sempre, la bellezza troppo vistosa nasconde piccole imperfezioni, piccole disarmonie, abbaglia e copre difetti non trascurabili del carattere. Questo proverbio ci invita a superare il fascino delle attrazioni esteriori.

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molto

tir’ a cambà. (Fai l’arte che sai, perché se non ti arricchisci tiri a campare). Sembrerebbe questo un suggerimento che, nella parte finale, abbia solo intenti vagamente consolatori. Però l’essenziale, il messaggio di fondo, è racchiuso nelle parole d’inizio: fai l’arte (o il mestiere) che sai. “Sapere” qui è da intendere nel senso di “saper fare”, “essere in grado”, come quando si dice “Pietro sa suonare”, “Elena sa dipingere”, “Michele sa parlare”. Il verbo sapere qui indica perizia, abilità, competenza. Quindi il proverbio incoraggia a fare ciò che uno sa fare, a seguire le proprie inclinazioni e a mettere a frutto i propri talenti. La seconda parte è una semplice conseguenza: se uno fa ciò per cui è portato, probabilmente non s’arricchirà ma comunque vivrà essenzialmente bene. Ma l’importante allora dov’è? In realtà il proverbio racchiude una bella saggezza: l’importante è seguire, sviluppare e coltivare le proprie doti naturali. Quindi, nella scelta del lavoro, della carriera, della professione si dovrebbe dare più rilievo alle proprie capacità personali e non hai soldi. L’importante è il rispetto di sé stessi, qui nella forma dei talenti individuali.

Pov-ra an-ma ca s’ cunfess’ a lu riavl. (Povera anima che si confessa al diavolo).


di là nza grazia, prezzo ed equilibrio). Questo proverbio sembra a prima vista di evidente contenuto religioso. Infatti “anima” e “diavolo” sono due parole che ci fanno pensare subito alla dimensione spirituale. Questo può essere vero ad una prima lettura, ma i proverbi di solito nascondono estensioni di significato non facilmente intuibili dalla loro concisa presentazione letterale. In realtà questo proverbio va oltre il suo presunto significato religioso e nasconde un insegnamento sorprendente per quanto riguarda le relazioni interpersonali. Il suo senso nascosto è il seguente: se una persona si confida con chi non la comprende, non farà altro che aumentare la sua sofferenza. In questo contesto “diavolo” significa chi non solo non comprende i disagi altrui ma addirittura ne approfitta per mettere il dito nella piaga. Capita a tutti di sentir bisogno di confidarsi con qualcuno, per lenire l’ansia, per sfogarsi, o nella speranza di una risposta comprensiva. Ma se ci si confida con la persona sbagliata, ad esempio con chi è superbo, o invidioso, o maligno, il risultato sarà non solo incomprensione, e la cosa è già un’ulteriore sofferenza, ma anche disprezzo e scherno. Il problema confidato non sarà risolto e in più la desolazione sarà accresciuta.

Quann’ lu ben’ è tropp’ in vista, perd’ grazia, prezz’ e siest’. (Quando il bene è troppo in vista, perde

Anche le cose positive, se vengono messe troppo in evidenza, perdono la loro naturale attrattiva. E così, chi si compiace troppo dei propri meriti, anche se onesti, rischia di risultare ampolloso e noioso. Questo proverbio suggerisce di considerare più attentamente la sostanza delle cose.

Quann’ un’ s’ sposa, nasci e mor’. (Quando uno si sposa, nasce e muore). Il matrimonio di solito è considerato una tappa fondamentale del percorso di vita di una persona. Questo si può ben capire da sé in quanto bagaglio culturale della mentalità popolare. Ma allora perché il proverbio parla di nascita e morte in relazione a quest’evento? Diciamolo francamente, qui il significato non è affatto difficile; basta solo rifletterci un po’. Dunque: quando uno si sposa “muore”, nel senso che termina un certo stile di vita, chiude con un ciclo esistenziale che era fatto di abitudini, modi di fare, modi di pensare, di interessi, etc… “Nasce” è da intendersi nello stesso senso evolutivo, cioè nel senso dell’inizio di una nuova vita, che comporterà di conseguenza un nuovo stile di vita, nuove abitudini e una nuova mentalità.

La grazia r’ i signur’ nun dura assai. (La grazia dei signori non dura assai).

La “grazia dei signori” si riferisce all’apparente splendore che emana da uno stile di vita di benessere materiale, economico, di status. Molte persone possono rimaner abbagliate da questa specie di “grazia”. Ma, come dice il proverbio, questa grazia non dura per molto tempo. Infatti, il fascino che deriva da condizioni privilegiate, in senso materiale ed esteriore, è il più delle volte accompagnato da un falso senso di autorità e arbitrio. I “signori” di cui parla il proverbio sono caratterizzati da un senso dell’io smodato e presuntuoso, con una forma di volontà impropria, irrealisticamente soggettiva. Ed è per questo che la loro grazia non dura molto e non può durare molto se alla fin fine è solo apparenza.

Chi hadda corr’, megli ca vai chian’. (Chi deve correre, meglio che vada piano). Proverbio apparentemente paradossale. Se uno corre, come fa ad andare piano? Ma è chiaro che se si applica una lettura dilatata, aperta a possibilità metaforiche di senso, allora il significato diventa sicuramente coerente ed anche utile. Cosa vuol dire veramente questo proverbio? Vuol dire, nella sua essenza, che anche se si è costretti a muoversi con una certa rapidità è comunque preferibile che si proceda con prudenza e pazienza. Anche sotto la pressione del tempo è sempre saggio usare attenzione e accortezza.

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E U R E K A

Ciak, Matera come cinecittà per il Ben Hur

Antonio MUTASCI

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apitale Europea della Cultura per il 2019. Questo titolo non può bastare. Ecco perché la città dei Sassi torna ad aprire le sue porte alle grandi produzioni, appuntandosi al petto anche i gradi di Capitale del cinema. Dopo il grande eco mediatico arrivato dalle ripresa di Mel Gibson che ha girato a Matera “The Passion”, un altro kolossal hollywoodiano è sbarcato in Basilicata. Infatti

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in questi giorni i Rioni Sassi sono stati riservati per le riprese del remake di Ben Hur. Jack Huston, Nazanin Boniadi, Morgan Freeman e tanti altri diretti da Timur Bekmambetov. Questo e altro ancora è il Ben Hur di Matera. Ma non solo i volti noti del mondo hollywoodiano, ma anche e soprattutto tante comparse materane, della provincia lucana e della vicina Puglia. Il carrozzone del kolossal ha infatti attivato


un circuito virtuoso che ha portato in città un nuovo fermento economico su cui in molti puntano. Numeri che sono destinati a crescere grazie anche al lavoro che sta svolgendo la Lucana Film Commission, l'ente regionale diretto da Paride Leporace, che lavora proprio per agevolare l'arrivo di queste grandi, ma non solo, produzioni in Basilicata. E a Matera c'è terreno fertile. Infatti Ben Hur è solo l'ultimo film in ordine di tempo che ha scelto la Città dei Sassi come scenario. Uno scenario che silenziosamente è capace di diventare, a suo modo, anche protagonista, per esportare, ancora una volta, e far conoscere Matera. Tutto questo con una ricaduta turisticoeconomica non indifferente. Sì, perché già di per sé la presenza del cast e degli operatori in città ha riempito le strutture ricettive, quasi come una prova generale di quello che sarà il 2019. Ma di conseguenza, come un effetto domino, le riprese di Ben Hur hanno portato a Matera la stampa nazionale ed internazionale che sta creando uno spot “involontario” alla città. Un passa parola che rimbalza sulle testate di tiratura nazionale ed internazionale, e che rimbalza ulteriormente attraverso i social network, che sono ormai diventati i grandi “promotori” dell'informazione. Così un selfie con Jack Huston rubato in un locale materano diventa motivo di articoli e quindi di condivisioni sul web, per un'esposizione mediatica esponenziale della città. Il tutto comporta un ritorno economico e soprattutto di immagine. Perché sempre più si sceglie Matera come meta delle proprie vacanze culturali. E in questo frangente proprio l'industria del cinema sta fungendo da carburante per questo vortice virtuoso. Un vortice che in realtà è partito in tempi non sospetti, quando Pierpaolo Pasolini scelse proprio Matera per il suo “Il Vangelo secondo Matteo”. Ma Pasolini non è l'unica grande firma: hanno scelto Matera anche Dino Risi, Lina Wertmüller, Nanni Loy, Francesco Rosi, Giuseppe Tornatore, Michele Placido, Il legame tra Matera e il cinema, infatti, nasce da lontano. Dal documentario di Carlo Lizzani, “ Nel Mezzogiorno qualcosa è cambiato”, girato nel 1949. E' questa la pellicola “apripista” di quello che si può ribattezzare “Sassi-Cinema”. La lista è lunga e comprende anche: Le due sorelle, di Mario Volpe, 1950; La lupa, di Alberto Lattuada, 1953; Il conte di Matera, di Luigi Capuano, 1957; La nonna Sabella, di Dino Risi, 1957; Italia ’61, di Jan Lenica, 1961; Gli anni ruggenti, di Luigi Zampa, 1962; Il Demonio, di Brunello Rondi, 1963; I Basilischi, di Lina Wertmüller, 1963 10. Il Vangelo secondo Matteo, di Pier Paolo Pasolini, 1964; Made in Italy, di Nanni Loy, 1965; C’era una volta, di Francesco Rosi, 1967; Il Decamerone nero, di Piero Vivarelli, 1972; Allonsanfan, di Paolo e Vittorio Taviani, 1974; Il tempo dell’inizio, di Luigi Di Gianni, 1974; L’albero

di Guernica, di Fernando Arrabal, 1975; Anno Uno, di Roberto Rossellini, 1974; Qui comincia l’avventura, di Carlo Di Palma, 1975; Volontari per destinazione ignota, di Alberto Negrin, 1978; Cristo si è fermato a Eboli, di Francesco Rosi, 1979; Tre fratelli, di Francesco Rosi, 1981; King David, di Bruce Beresford, 1985; Il sole anche di notte, di Paolo e Vittorio Taviani, 1990; L’uomo delle stelle, di Giuseppe Tornatore, 1995; Del perduto amore, di Michele Placido, 1998; Terra bruciata, di Fabio Segatori, 1999; The Passion, di Mel Gibson, 2003; Il Rabdomante, di Fabrizio Cattani, 2005; The Omen, di John Moore, 2006; Artemisia Sanchez, di Antonio Lo Giudice, 2006; Il lato grottesco della vita, di Federica Di Giacomo, 2006; Nativity, di Catherine Hardwicke, 2006; The obscure brothers, di Linda Di Franco, 2007.

Ma non solo c'è anche una produzione “autoctona” che cresce e ha voglia di emergere. E il riferimento è a chi sceglie di lavorare sul posto, come Antonio Andrisani, oppure chi, materano, ha trovato fortuna lontano dalla Città dei Sassi, come Giancarlo Fontana e Giuseppe Stasi. Ma in questi giorni Matera è soprattutto Ben Hur. Senza dimenticare le “puntatine” non annunciate dei vari personaggi famosi. E così nel supermercato si trova tranquillamente a fare la spesa Jaden Smith, figlio di Will Smith, il quale nonostante i suoi appena 17 anni ha già alle spalle quattro grandi produzioni hollywoodiane, tra cui il film da protagonisti Karate Kid – La leggenda continua. E in attesa delle prossime produzioni e della prossima star, Matera attende di vedere nelle sale cinematografiche Ben Hur.

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La torta più grande del mondo? Potrebbe essere proprio lucana Marianna FIGLIUOLO

a un po' di tempo a questa parte è esplosa una vera e propria passione per quest'arte chiamata "Cake Design", da cui sono nate scuole e corsi a tutti i livelli, oltre a libri, reality show, laboratori e manuali per imparare a decorare i dolci. La finalità ora di tutto questo pare essere quella di entrare a far parte del Guinness World Records e per questo motivo sono state messe a confronto squadre provenienti da tutte le regioni d'Italia. L'Associazione Nazionale Cake Design, infatti, in occasione dell'Expo 2015 intende battere l'attuale Guinness World Record, con una mega torta a forma di stivale deco-

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rata con i principali monumenti e tipicità enogastronomiche delle regioni. Sono172 i cake designers, suddivisi in 32 squadre, ogni regione dovrà creare la sua torta con la sua forma caratteristica in modo da poter poi comporre quella dell'Italia. I migliori Cake Designers in Italia sono stati scelti attraverso una selezione nazionale che ha coinvolto tutte le delegazioni AncdItalia, per realizzare un mega dolce grande 120 metri quadrati, che supererà la tonnellata di peso e dalla quale saranno ricavate circa dodici mila porzioni. Lo scopo è quello di valorizzare il lavoro di decoratore dolciario. La Basilicata partecipa con due squadre: “Brigantesse Zuccherose” rappresentata da: Anna Giannotta, Enrica Ruggieri, Giulia Lamacchia, Arianna Montemurro e Valeria Armariudi, tutti di Matera e la squadra potentina “Cake Mania Lucana” formata dal capogruppo Gerardo Paciello, un vero professionista del Cake, Maria Dapoto che con la sua voglia di fare e la fantasia nel decoro è riuscita a realizzare il suo sogno e dal


2007 è proprietaria di una cioccolateria ad Abriola, Rosalia Latonico (l'autodidatta del gruppo), Donatella Ungaro titolare di una pasticceria a San Nicola di Pietragalla e Francesca Vaccaro sua giovanissima apprendista. <<L'idea di realizzare una torta con dimensioni record e la possibilità di lavorare in un team di persone che condividono la stessa passione, è motivo di orgoglio. Il periodo non è facile, la crisi morde, ma noi combattiamo le difficoltà a colpi di meringhe e di millefoglie. Il nostro obiettivo dopo aver affrontato la prima selezione è quello di competere al “cake design italian festival” di Milano. Qui parteciperemo alla realizzazione di una torta mignon da sette metri pensata esclusivamente per l'Expo, e se andrà bene rappresenteremo la Basilicata all’evento organizzato dall’associazione nazionale Cake Designers che ha ottenuto il patrocinio dall’Expo. La possibilità di confronto, la condivisione, la passione per il nostro lavoro renderà irripetibile, comunque andrà, questa esperienza>> dicono i Cake Mania Lucana.

Le due squadre sono super indaffarate, i progetti stanno prendendo forma, ma è ancora tutto top-secret. Entrambe le squadre dovranno riprodurre in scala ridotta una torta a forma della Basilicata. << Ci sarà una base di pan di spagna ricoperta di ghiaccia reale o crema di burro, spiega Teresa Grippo, giovane Cake Design e delegata regionale dell'AncdItalia, decorata poi con bellezze ambientali, storiche, culturali e culinarie della nostra amata Basilicata. E' nostra intenzione - conclude Teresa approfittare di un evento così importate a livello internazionale per promuovere la nostra terra e incentivare l'arrivo di turisti >>. Unico requisito richiesto, oltre al rispetto delle misure fornite dal regolamento, è che deve essere completamente edibile, quindi tutto ciò che verrà utilizzato per la realizzazione dovrà essere commestibile. Alla fine solo uno dei due progetti verrà selezionato per essere unito a formare la torta da Guinness, insomma il giorno 29 marzo si decreterà la squadra che capitanerà insieme ai delegati AncdItalia Regionali i Cake Designers da Guinness.

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Nord Basil su due ruote

Tipologia: cicloturismo Difficoltà: media Distanza 50 km solo andata

’itinerario ci porta a scoprire un’area ricca di interesse naturalistico, storico, culturale, enogastronomico, punto di arrivo di molti itinerari turistici in Basilicata. L’itinerario inizia dal borgo di Castel Lagopesole, luogo di caccia dell’imperatore Federico II di Svevia dove puoi ammirare uno dei suoi maestosi castelli. Lasciamo il borgo alle nostre spalle e proseguiamo attraverso una piacevole e verde vallata in direzione di Atella dove è possibile gustare l’acqua minerale che sgorga dalla fontana del paese. Proseguiamo il nostro itinerario in direzione di Rionero in Vulture, uno dei luoghi di produzione del famoso vino Aglianico del Vulture. All’incrocio proseguiamo in dire-

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zione dei Laghi di Monticchio. Da qui entriamo nel territorio del monte Vulture, un antico vulcano ormai spento le cui bocche sono riempite dai laghi, tutto il comprensorio costituisce un sito naturalistico di straordinaria bellezza e suggestione. Il monte Vulture è anche un antico luogo di pellegrinaggio, la testimonianza più importante è rappresentata dall’ Abbazia di San Michele nata da eremiti Basiliani risalenti al X secolo. Continuiamo il nostro itinerario seguendo la strada che avvolge il lago grande, giunti all’incrocio proseguiamo in direzione di Melfi attraversando località Foggiano e gli stabilimenti produttivi di un famoso marchio di acque minerali. Giungiamo a Melfi un borgo ricco di storia

e riconoscibile dalla presenza del castello normanno - Svevo irto sulla collina. Lasciata la città di Melfi proseguiamo in direzione di Rapolla. Da qui l’itinerario prosegue attraverso vasti filari di alberi di ulivo dai quali viene prodotto l’olio extravergine di oliva con marchio DOP. Da Rapolla arriviamo a Barile altro borgo di produzione del vino Aglianico del Vulture. Infine da Barile attraversando località Ginestra giungiamo nella città natale del Poeta latino Orazio, Venosa dove termina l'itinerario. Dal Castello fino agli scavi archeologici fuori del paese scoprirete uno dei borghi più suggestivi della Basilicata. l.s.


icata

Scarica gratuitamente il file GPS del percorso su www.innbasilicata.it 37


E U R E K A

Audiovisivo e nuove frontiere su cui Intervista alla prof.ssa Valeria GENNARO

on Matera Capitale Europea della Cultura 2019, e a due anni dalla fondazione della Lucana Film Commission nata per attrarre le produzioni cinematografiche in Basilicata e per valorizzare il patrimonio culturale e ambientale territoriale, non è vano parlare di interessanti prospettive future dell’Università degli Studi della Basilicata nonché di nuovi stimoli provenienti dal settore cinematografico lucano, mentre entra nel vivo anche la produzione del remake di Ben Hur, il colossal americano, che sarà girato nella Città dei Sassi, e dintorni, a partire dall’inizio di febbraio prossimo. Il Lucano Magazine ha deciso di intervistare la Prof.ssa Manuela Gieri, Docente di Storia e teoria del cinema presso l’Università degli Studi della Basilicata, da dieci anni impegnata nel far crescere gli studi di cinema sia nell’Ateneo lucano sia nella regione (ha partecipato attivamente al percorso di nascita della Lucana Film Commission, e sta contribuendo, quando possibile, al suo sviluppo). La professoressa Gieri - si ricorda - ha trascorso 23 anni in Nord America, ed in particolare 17 a Toronto: in quella città, ha insegnato sia Letteratura italiana moderna e contemporanea e teatro presso il Dipartimento di Studi Italiani, sia studi cinematografici nel Cinema Studies Program presso la University of Toronto. Nello stesso ateneo, era membro associato del Centro per le letterature comparate, e fondò e diresse per sei anni il Graduate Collaborative Program in Semiotics. È autri-

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ce di autorevoli pubblicazioni sul cinema italiano e sul cinema mondiale, su Pirandello, e sulle scrittrici italiane contemporanee. Manuela Gieri intende avviare proficue collaborazioni con altre università, in particolare, con quelle americane e russe, e sta lavorando anche a un più ampio progetto di messa in primo piano degli studi di cinema nell’Ateneo Lucano, e, più in generale, nella regione Basilicata. Prof.ssa Gieri, ci racconta come è nata la sua passione per la “settima arte”? Me l’ha donata mio padre. Era un uomo semplice che, per tante vicissitudini legate alla guerra, non aveva potuto studiare, ma amava il cinema ed era coltissimo in quel campo … ricordo che, da bambina, al pomeriggio, spesso, mi portava con se, e, dopo aver fatto gli incontri di lavoro, mi diceva: “Andiamo al cinema?”. E andavamo, tre o quattro volte la settimana. Alla domenica si vedevano anche due film! Com’è insegnare in Basilicata? Una sfida. Quando arrivai, nel 2005, si offriva solo un corso di Storia del cinema, e nella biblioteca di ateneo c’erano forse una ventina di titoli sull’argomento. Praticamente nulla. Oggi abbiamo parecchie centinaia di volumi, riviste, e presto nella stessa Biblioteca si potrà anche avere accesso alla nostra videoteca che conta diverse migliaia di titoli. Per quanto riguarda la didattica, oggi sul Campus potentino gli studi di cinema hanno un corso alla triennale, un corso alla magistrale e un Laboratorio di cinematografia che, pur essendo liberamente scelto ed essendo a frequenza obbligatoria, conta annualmente dai 55 ai 65 iscritti, e produce alcuni spot di promozione sociale che ci vengono commissionati da agenzie territoriali. Mi sembra un buon risultato, ma non sono ancora completamente soddisfatta.


multimediale, puntare in Basilicata Manuela Gieri Quali sono i punti di forza della regione e quale il tallone di Achille? Il punto di forza è il suo provincialismo. Il suo tallone d’Achille il suo provincialismo. Può sembrare una provocazione, ma è proprio così. Perché la nostra Università dovrebbe puntare sugli studi di cinema? Perché il cinema, ma più in generale l’audiovisivo e il multimediale sono le nuove frontiere su cui, mi pare, un territorio come il nostro può agevolmente puntare, contando in un ritorno importante di immagine, cominciando così a ‘svecchiare’ la rappresentazione del territorio lucano, ma anche di occupazione e di Pil. Da quest’ultimo punto di vista, mi sembra che la Regione Basilicata stia puntando fortemente sul settore, e lo ha dimostrato sia con la realizzazione della Fondazione Lucana Film Commission, sia con il Bando 2013, investendo ben oltre quanto inizialmente dichiarato, e con tanti altri investimenti che negli ultimi 12 mesi hanno fatto segnare un bilancio positivo al settore nella sua interezza. Mi sembra, poi, che l’ambito dell’audiovisivo e della multimedialità debba necessariamente far parte degli obiettivi strategici di Matera 2019. Vedremo poi se gli amministratori sapranno cogliere la sfida. So che alcuni colleghi sono già coinvolti. Sono fiduciosa che presto ci si ricorderà anche della Cattedra di Storia e Teoria del Cinema. L’Ateneo lucano c’è. Se avranno bisogno di noi, ci saremo. Come pensa di poter raggiungere questo obiettivo? Attraverso quali strumenti o iniziative? Per potenziare gli studi di cinema, da un lato, è necessario aprirsi all’esterno, attivare accordi internazionali e nazionali; dall’altro, è necessario potenziare l’offerta formativa. Per quanto concerne il primo punto, stiamo ora lavorando a sviluppare accordi con alcuni atenei stranieri (americani, canadesi e

russi). Per quanto riguarda la didattica purtroppo la legge non ci consente di immaginare percorsi nuovi all’interno del 3+2 (Triennale e Magistrale). Ecco perché sto lavorando alla proposta di un Master in Media Arts & Technology che spero trovi l’entusiasmo e il sostegno del mio Ateneo, della Regione e della Film Commission. Nelle mie intenzioni, dovrebbe essere un Master annuale rivolto a studenti italiani, con una Summer School Internazionale rivolta a studenti da tutto il mondo. Quali potranno essere le prospettive occupazionali, a partire dalla nostra regione? Mi pare evidente che un Master che crei una sinergia virtuosa tra ambiti scientifici, tecnologici e umanistici, può creare professionalità eclettiche e flessibili, seppur altamente specializzate dal punto di vista delle competenze, e dare innumerevoli possibilità di impiego in settori diversi. Non ragionerei, però solo in termini regionali, anche se sono certa che la frontiera del multimediale, dell’audiovisivo e delle nuove tecnologie sia l’unica possibile scommessa per una piccola regione come la nostra. Penso, però, che ormai anche i ragazzi lucani devono pensare al mondo non più come luogo di emigrazione, come ‘abbandono della casa’, ma solo come a un vasto bacino di possibilità. E il bilancio di due anni di attività della Film Commission Lucana? Ottimo, mi pare sul fronte della produzione. Infatti, in pochissimo tempo, la Lucana Film Commission si è guadagnata un posto di primo piano e l’attenzione di tutto il settore a livello nazionale e internazionale. Ora è doveroso attendere fiduciosi, ma estremamente vigili lo sviluppo degli altri due ambiti identificati dalla Commissione Scientifica di cui feci parte a suo tempo, e cioè la Formazione e la Conservazione. Non si può

pensare, infatti, di limitare l’attività della Film Commission di una piccola regione come la nostra al solo ambito industriale: quanti film si possono immaginare su e a Matera, Craco e così via? Dieci? Cento? Mille? E poi? Poi il vuoto. Noi questo vuoto dobbiamo riempirlo con altre iniziative che nascano da un intelligente piano di sviluppo formativo e conservativo del nostro patrimonio. Sto parlando, ovviamente, anche della Cineteca Lucana. Da tempo si sta cercando inutilmente di risolvere tale annosa questione, delegandola a enti e persone fuori regione. Sarebbe davvero giunto il tempo che la Regione Basilicata esigesse centralità in questo progetto e si facesse promotrice di un processo davvero virtuoso al riguardo. Per quanto concerne la formazione, mi pare sia giunto il tempo di immaginare un progetto di alfabetizzazione e, successivamente, di specializzazione all’audiovisivo e alle nuove tecnologie sul territorio regionale, dalle scuole all’Università e oltre, come dicevo prima. Qual è il nuovo approccio dei giovani al cinema? Laico, rizomatico, non lineare, straordinario! Sono voraci e assolutamente laici nel costruire la loro personale enciclopedia dell’audiovisivo; non rispondono più alle logiche lineari dello storicismo; si pongono di fronte al mezzo con assoluta vicinanza. Straordinari! Sono una ricchezza che saremmo stolti a non cogliere. Spero che le istituzioni lo comprendano, e non si investa solo in produzione, ma anche in formazione, dalle scuole all’università, ma anche oltre, immaginando, ad esempio, persino dei percorsi di riqualificazione del personale già attivo nelle istituzioni stesse. In poche parole, perché il cinema in Basilicata? Per tutte le ragioni che, mi pare, ho già ampiamente spiegato. Non trova?

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I documentario del medico giornalista Antonio Molfese

“Foreterre” sarà presentato all’Expo 2015 ra la vendita fuori dalla propria terra di prodotti ortofrutticoli di prima fioritura, coltivati dagli ortolani di S. Arcangelo, paese a clima più mite, nei paesi di montagna limitrofi (NOTA). La cura nella coltura faceva sì che le primizie, sia per la precocità che per l’aspetto, fossero molto apprezzate dai compratori dei paesi dove il contadino si recava a venderle solitamente al termine della primavera. Quando i prodotti degli orti erano pronti per essere venduti (pomodori,peperoni,melanzane,fagiolini e poi la frutta: pere, ciliegie, nespole, percoche) il contadino ortolano, aiutato dalla moglie e dal figlio,raccoglieva una salma(quantità di prodotto che poteva trasportare un mulo o un asino maschio) e partiva per i paesi vicini. L’ora della partenza era in relazione alla distanza da percorrere e in modo che si giungesse nel paese di destinazione alle prime luci dell’alba. Si caricava il quadrupede di tutto punto con due sportoni colmi di prodotti ed un sacco di iuta, anche esso colmo, che veniva posto al centro dell’imbasto. Mi racconta Andrea Curletane che, dopo una giornata di lavoro, la stanchezza era tanta che attaccato alla coda del mulo poteva percorrere chilometri quasi in dormiveglia. Alcune volte, quando il mulo, che

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conosceva bene la strada, entrava nel fiume, il conducente addormentato, attaccato alla coda, si svegliava solo quando era immerso fino al ginocchio e l'acqua gelida lo svegliava. Se i paesi erano molto distanti (12-15 ore di cammino), in compagnia di altri che percorrevano lo stesso tragitto ci si fermava lungo il percorso presso edifici per lo più abbandonati, dove far riposare il mulo e farlo dissetare. Il contadino scaricava del peso l’animale(aiutato dal compagno) e gli dava da mangiare l’avena, che in un piccolo sacchetto aveva portato dal paese. Vi erano paesi come Castelluccio Inferiore e Laurenzana che, oltre per la lontananza(12/14 ore di cammino), erano difficili da raggiungere per le strade impervie da percorrere. Dopo decine di ore di cammino, giungeva in questi paesi nel primo pomeriggio e, durante le poche ore di luce che residuavano, iniziava a vendere il prodotto, ma al sopravvenire delle tenebre si rifugiava nella taverna del paese, dove l’acqua e la paglia erano gratis per l’animale così come un giaciglio di paglia per il conduttore. All’animale dopo una ricca bevuta somministrava parte dei 15 Kg di biada che aveva portato dal paese ed egli stesso


NOTE Spinoso, Moliterno, Viggiano, Armento, Corleto, Stigliano, GuardiaPerticara, Gorgoglione, Laurenzana, Castelluccio Inferiore, Montemurro, Sarconi, Accettura, Craco.

mangiava quel poco di pane e qualche sandracca o sarda salata ( che all’inizio del pasto leccava solo con la lingua per farla durare di più) posti nel tascapane insiene al contenitore di legno con un pò di vino, u iascarielle; qualche volta andava alla cantina a mangiare. Quando si era giunti al termine della vendita, per anticipare il rientro, si iniziava a girare per le strada del paese a vendere il prodotto residuo ed in breve tempo si poteva così riprendere la via di ritorno verso casa. Con l’avvento della motorizzazione (furgoni a tre ruote) il quadrupede venne sostituito da questo mezzo più rapido e meno faticoso per cui si potevano raggiungere paesi anche più lontani che mai si sarebbero potuto inserire nell’ itinerario. Con l’ulteriore miglioramento delle comunicazioni molti contadini illuminati hanno iniziato ad usare le autocorriere di linea per andare a vendere i loro prodotti nei paesi vicini, fino a quando il commercio globale con prodotti provenienti da un altro capo del mondo hanno reso questo commercio non più redditizio, data la grande concorrenza. Ancora oggi però se si vogliono prodotti”nostrani”, come vengono chiamati quelli coltivati da pochi contadini, bisogna sapere a che rivolgere la richiesta.

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E U R E K A

Ballate per un Danilo VIGNOLA

l cantautore Diego Capece sancisce la sua resurrezione artistica ne “Il Terronista” con una nuova pubblicazione su supporto fonografico di quattro inediti. Il nome d’arte Jake Moody, che in passato lo ha reso popolare grazie al disco “Libertà Di Espressione” ed ai numerosi concerti dal vivo, consegna le sue ceneri alle dita di Massimo Catalano che incide la melodia di apertura nell’ E.P della sua rinascita artistica.. “Le ballate del Terronista”, infatti, affida la sua introduzione ad una “matura carnalità angelica” di armonici, scaturiti dal tumulto fra corda e plettro: antinomia emozionale che si insinua attraverso le celebri note di una colonna sonora, accennata con un’allusiva linea melodica sfumata dal tipico trillo terzinato del mandolino. Si rivela una scelta di arrangiamento efficace “The Godfather Theme” di Nino Rota, conosciuta dai più , nella sua versione strumentale, grazie a “Il Padrino” successo cinematografico del ’72 del regista conterraneo (d’origine) Coppola. Si imprime con il suono l’immagine confezionata a regola d’arte di colui che “pensa di lavorare anche se sta in piazza a chiacchierare” , un po’ “tarantellista” che “vuole la disoccupazione” come un risarcimento, perché condannato in eterno all’ impossibilità di un impiego. “Simpatico ed ospitale” ma in fondo un po’ “brigantista” . Con questi giochi di parole, scandite dal tocco del rullante preciso, dinamico e morbido di Ivan Leone, sulla tipica andatura di rumba in quattro quarti, Capece da voce al suo inno per il riscatto di un’intera generazione di conterranei. Con il tipico accento ritmico sul secondo quarto in levare, “Il Terrorista” è un brano folk condito con eccellente gusto mediterraneo dalla fisarmonica di Domenico Carabotti. Questo singolo sembra essere un personaggio di carta ed inchiostro più che una canzone, un fumetto uscito dalla penna visionaria di un disegnatore ispirato. Eroe della “Terronia” :

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“paese occupato e popolo dimezzato”. La brillante soluzione melodica di sax di Giovanni Catenacci si fa carico di condurre l’ascoltatore ai luoghi di cui questi termini inventati sembrano farsi metafora; tutto diventa più chiaro quando la progressione melodica dei fiati esplode nel ritornello di “Brigande Se More” canzone simbolo della “Terronia”. Per spiegare meglio qual è la funzione dell’ artista impegnato “basterebbe avere qui in mano una carrucola e un barattolo di veleno”: “i versi impegnati”, diceva il poeta e critico fiorentino Franco Fortini, “sono quelli che avvelenano i pozzi, attraverso le parole insinuano dubbi all’interno degli organismi sociali e culturali, al fine di scardinare equilibri precostituiti”, quelli che sono causa di un malessere generazionale. L’ ironico inizio sulle note dell’inno nazionale italiano accennato con il geniale archetto di Catalano, indica alla perfezione la rotta del secondo brano. Un “motivetto niente male” che “per alcuni sarà un atto criminale” dice la voce dall’invitante retrogusto genovese “ti credi patriota ma sei un idiota, siamo tutti figli di una patria ignota”. Gioventù dalla miserevole condizione sociale, condannata ad un avvenire negato dagli “stessi che fanno i propri interessi e gli altri

fanno la parte dei fessi”. La canzone descrive una realtà dal futuro disgraziato, compassionevole, al punto che sembra quasi “condurre al palazzo della saggezza”, a quel “Ballo Del Disoccupato” (titolo della seconda track) , che propone il suo ritornello come un inno, una melodia semplice, canzonatoria che si fa beffa di ogni furberia sociale e si pone al di sopra del mondo, in grado di diffondere un benessere assai strano di spassosa “disallegria”. Il confine tra la canzone lirica d’amore e la canzone sociale è evanescente. Nel momento stesso in cui un testo denuncia un disagio, racconta implicitamente il suo tempo e inizia così la ricerca e la spinta al cambiamento, che sia amore o scontro generazionale, è una metamorfosi, un’alterazione disorientante e, a volte perché no, etilica. Le parole, come le pulsioni d’amore sono frutto di una forza interiore e non di una decisione. Come il terzo brano del disco: “La ballata dell’ubriaco d’amore”: un assai “triste historia” che apre con un suggestivo scenario messicano. Si narra di un prode innamorato a cui “duele el corazón” per via d’una donzella conosciuta “ad un bancone mentre beveva vino” . “Ella ha preso in prestito” il suo cuore illudendolo “che se lo tenesse per poche ore” ma,


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I suoi due grandi pregi: l’insofferenza verso quei “potenti che trattavano male la gente” e l’aver imparato a leggere e scrivere durante il servizio militare, furono la sua rovina. Resosi conto di un ingannevole raggiro grazie alla sua essenziale erudizione, di notte, “il sindaco mandò in paradiso”. Divenne capo brigante, morto giovane fucilato a Montereale. L’altra storia è la collaborazione con la poliedrica artista siciliana Valeria Cimò. Percussionista e cantante di prim’ordine, è l’autrice dei testi e delle musiche del disco “Terramadonna”: opera selezionata per la candidatura al premio Tenco (2014). Suoi sono i cori in perfetto stile di brigantessa, voci che afferrano l’emozione come fa il falco sulla preda, in discesa libera dai Calanchi Lucani. E’ un patrimonio siculo il suo canto, di raffinata interpretazione, che non manca di deliziare l’ascoltatore con la recitazione finale. “Delinquente nessuno c’è nato” è l’essenza di questa collaborazione artistica sbocciata sui plachi del Dedalo Festival.. Come qualcuno scrisse: si sceglie di essere cantautori non si può decidere di scrivere poesie sociali, ciò accade spontaneamente interagendo con la realtà. Proprio per questo la canzone impegnata come la poesia d’amore è sempre esistita e ha silenziosamente inciso sulla storia della civiltà:

Sono un poeta un grido unanime sono un grumo di sogni haimè! Il mattino dopo, il suo cuore traboccante d’amore non pareva ancora aver fatto ritorno. E così, dopo l’alternarsi dei bicchieri di vino per vincere i fremiti della timidezza e poi del sole e della luna in attesa che il cuore gli fosse restituito illeso, si ritrova ubriaco di vino e di amore ma d’amor non ricambiato. E dunque, il soggetto parte e va in cerca del suo racconto il cui disegno logico è un labirinto alcolico che l’ebbrezza sa edificare anche sul più lineare dei percorsi e ragione non concede se non un disarmante “non sono altro che un ubriacone, non merito di essere amato”. L’ E.P. si conclude con “La ballata di Franco”, qui la canzone si fa strumento in grado di affermare l’identità di una società che nella modernità porta con se tutto il suo passato e nello stesso tempo diviene coscienza dell’umanità. Sotto le sinuose dinamiche del basso di Rocco Sinisgalli, clarinetto ed ukulele accompagnati da un incalzante ritmo in levare tessono melodie di emblematico calore meridionale. In questa versione si dipana più di una storia. Una è quella di Antonio Franco che per tutti era “nu bravu guaglione”, un soldato, un uomo comune che “di notte sognava l’amore e di giorno donava il cuore alla gente”.

Sono un frutto d’innumerevoli contrasti d’innesti maturato in una serra. (Giuseppe Ungaretti).

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io sono LUCANO

I AM LUCANO

JE SUIS LUCANO

ICH BIN LUCANO

SOY LUCANO

Я ЛУКИ

I nser to a cura de

Antonio Saluzzi, creatore di ciò che non esiste

我盧肯




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ai nostri lettori

Conferenza annuale: i lucani nel mondo

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Sempre più protagonisti

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L'affascinante storia di Antonio Saluzzi

Se il lettore è il nostro principale interlocutore, è giusto che abbia diritto ad un rapporto diretto con la rivista. Da sempre sono proprio i lettori a fornirci spunti su questioni e tematiche della vita sociale e politica della nostra regione. L’invito che vi rinnoviamo è di collaborare con la redazione segnalandoci notizie, curiosità, avvenimenti che vi hanno particolarmente colpito o, ancora, disagi e disservizi nei quali vi imbattete nel vostro quotidiano.

I nostri contatti:

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www.lucanomagazine.it info@lucanomagazine.it Tel. 0971.476423


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CONFERENZA ANNUALE:

I LUCANI NEL MONDO Marianna FIGLIUOLO

ono 600 mila i Lucani sparsi nel mondo; un’entità pari alla metà dell’attuale popolazione lucana e definita “l’altra Basilicata”. Seicentomila i quali, tra la fine dell’800 e la prima metà del 1900, non ebbero paura di naufragare per approdare oltre oceano, né di calarsi nelle viscere della terra per lavorare nelle miniere, convinti che tutto ciò che fosse straniero

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potesse essere migliore di quello che poteva offrire la propria terra. Uomini coraggiosi che, con il passare degli anni sono riusciti ad emergere conquistando ruoli di prestigio nella vita sociale, economica e politica, tali da essere considerati una vera e propria risorsa dalla Regione Basilicata. Cittadini del mondo che pur lontano dai confini regionali si sentono forti della pro-

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GENTE DELLA LUCANIA

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Girano tanti lucani per il mondo, ma nessuno li vede, non sono esibizionisti. Il lucano, più di ogni altro popolo, vive bene all’ombra. Dove arriva fa il nido, non mette in subbuglio il vicinato con le minacce e neppure i "mumciupì" con le rivendicazioni. E’ di poche parole. Quando cammina preferisce togliersi le scarpe, andare a piedi nudi. Quando lavora non parla, non canta. Non si capisce dove mai abbia attinto tanta pazienza, tanta sopportazione. Abituato a contentarsi del meno possibile si meraviglierà sempre dell’allegria dei vicini, dell’esuberanza dei compagni, dell’eccitazione del prossimo. Lucano si nasce e si resta. Gli emigranti che tornano dalla Colombia o dal Brasile, dall’Argentina o dall’Australia, dal Venezuela o dagli Stati Uniti, dopo quaranta anni di assenza, non raccontano mai nulla della vita che hanno trascorso da esuli. Rientrano nel giro della giornata paesana, nei tuguri o nelle grotte, si contentano di masticare un finocchio o una foglia di lattuga, di guardare una pignatta che bolle, di ascoltare il fuoco che farnetica. E di uscire all’aurora se hanno un o un servizio da compiere, uscire all’oscuro per tornare di notte. Non si tratta di una vocazione alla congiura o alla rapina ma di una istintiva diffidenza verso il sole. Dove c’è troppa luce il lucano si eclissa, dove c’è troppo rumore il lucano s’infratta. Non si fa in tempo a capire questo animale, a fare un passo di strada insieme, che già fugge alla svolta. Per andare dove? Gli amici che hanno qualche dimestichezza coi lucani hanno capito la strategia, li fanno cuocere nel loro brodo. C’è un tratto caratteristico dei lucani, un tratto sfuggito ai viaggiatori, da Norman Douglas a Carlo Levi, sfuggito ai benefattori, da Adriano Olivetti a Clara Luce, e forse agli stessi sociologi. Il lucano non si consola mai di quello che ha fatto, non gli basta mai quello che fa. Il lucano è perseguitato dal demone della insoddisfazione. Parlate con un contadino, con un pastore, con un vignaiolo, con un artigiano. Parlategli del suo lavoro. Vi risponderà che aveva in mente un’altra cosa, una cosa diversa. La farà un’altra volta. Come gli indù, come gli etruschi egli pure pensa che la perfezione non è di questo mondo. E difatti, scolari e bottai, tagliapietre e sarti, muratori e fornaciari si fanno seppellire ancora con tutti gli arnesi. Essi pensano di poter compiere l’Opera in un’altra vita. Quando avranno pace. Non trovano in terra le condizioni necessarie per poter fare il meglio che sanno fare. Strana etica. L’ultimo tocco, il tocco della grazia il lucano non lo troverà mai. Eppure nella nitidezza del disegno ti parrà di intravvedere l’opera compiuta. Manca un soffio. Questo è un popolo che la saggezza ha portato alle soglie dell’insensatezza. Come una gallina che s’impunta davanti alla riga tracciata col gesso l’intelligenza dei lucani si distoglie per un niente, si blocca appena sente volare una mosca. (Da L. SINISGALLI, Il ritratto di Scipione e altri racconti, MI, Mondadori, pp. 165-166)

pria identità e, ovunque, cercano di portare alto il nome del paese di origine. La tenacia, la determinazione, la combattività, sono peculiarità che rispecchiano il carattere dell’uomo lucano ma è anche palese la sua predilezione a fraternizzare con i conterranei, al fine di ritrovarsi in un luogo comune per costituire centri di aggregazione, dove coltivare cultura e memoria, mantenere saldo il legame con le proprie radici, unire un uguale radicamento con i luoghi di residenza. I Lucani sparsi per il mondo, sono molto più dei lucani che vivono in Basilicata. Una della comunità più corpose di lucani nel mondo è sicuramente quella canadese: in questa zona sono circa 20 mila i lucani e solo nella zona di Toronto sono 4 mila. È stata la Val d’Agri quest’anno a far da

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cornice alla riunione annuale della Commissione regionale dei Lucani nel Mondo, l’organismo che raggruppa le 15 Federazioni e 131 Associazioni di lucani presenti in quasi tutte le regioni italiane e in molti Paesi del mondo. La commissione regionale dei lucani nel mondo ha approvato all’unanimità il piano delle attività per il 2015 e per il triennio 2015-2017 nei documenti posti poi, all’attenzione del Consiglio regionale, la sintesi delle principali attività che saranno realizzate nel corso dell’anno e nel prossimo biennio. In apertura gli interventi dei rappresentati istituzionali della Regione, a seguire Nicola Benedetto (Presidente della Commissione regionale dei lucani nel mondo) il quale dopo aver rivolto il suo saluto a tutti i lucani presenti ha fatto riferimento al grande

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riconoscimento ottenuto con la designazione di Matera capitale della cultura europea 2019, dando così modo a Salvatore Adduce (sindaco di Matera) di esprimere tutto il suo orgoglio. Vito Giuzio, poi, porgendo il suo saluto all’assemblea, si è detto “onorato di far parte dell’Esecutivo di questo organismo consiliare che ha una importante obiettivo, rafforzare l’identità lucana e rinsaldare i rapporti con la terra di origine”. Al Vice Presidente della Crlm, Francesco Mollica invece, il compito di moderare i lavori e di illustrare il programma annuale e triennale a favore dei lucani nel mondo. “Expo 2015 e Matera 2019” sono i marchi identificativi dei prossimi appuntamenti cui la Basilicata non può mancare ha spiegato Mollica e che costituiranno i punti focali


Lucani immigrati a Lagopesole un museo Con il decreto del Presidente della Giunta Regionale del 5 agosto 2014, è stata decisa la Costituzione del comitato tecnico scientifico dei Lucani nel mondo “Nino Calice”. Il comitato che rientra a far parte del centro “Nino Calice” con sede nel Castello di Federico2 a Lagopesole, diviene parte operativa di una struttura che ha come obiettivo l'informazione e la documentazione riconducibili alla integrazione degli emigrati lucani nel mondo del lavoro, alla organizzazione familiare, al tenore di vita, alle esigenze maggiormente avvertite, agli effetti del fenomeno dell'emigrazione del nostro Paese, al contributo dato alla crescita degli altri Paesi. In tale ottica sorgerà nel Castello di Lagopesole il Museo dell'Emigrazione, le cui attività saranno coordinate appunto, dal Centro dei Lucani nel mondo “Nino Calice”. L'obiettivo è quello di raccontare la storia dell'emigrazione italiana, soprattutto lucana tra l'800 e il 900, attraverso immagini, progetti, affinché non vada perduta la memoria di questo fenomeno.

del programma triennale e di quello annuale. Subito dopo gli interventi dei lucani in rappresentanza delle associazioni e federazioni di appartenenza, circa 40, provenienti da Argentina, Belgio, Brasile, Canada, Cile… Dall’Italia invece: Lazio, Puglia, Piemonte, Umbria, Liguria, Toscana, tutti hanno esposto le loro diverse esigenze. Diverse invece le esigenze emerse dagli interventi dei lucani in rappresentanza delle associazioni e delle federazioni di appartenenza: un maggior coinvolgimento delle nuove generazioni, la programmazione di un’iniziativa annuale per ogni regione d’Italia, più spazio alla cultura e così via. A chiudere poi la prima parte della riunione della Commissione dei Lucani nel Mondo, il Presidente Piero Lacorazza. Nel

ricordare che il 22 maggio scorso, al termine della riunione annuale 2014, “ci si era lasciati con l’intesa di modificare la legge 16/2002 non solo per attribuire alla Commissione un titolo più appropriato ‘Lucani nel Mondo’, ma per profilare una diversa organizzazione della nostra rete” Lacorazza ha posto l’attenzione su una scelta importante, quella di prevedere la convocazione della Commissione a rotazione nei vari continenti con maggiore presenza di emigrati lucani. Si è conclusa così l’annuale assemblea dei Lucani all’estero. Con il decreto del Presidente della Giunta Regionale del 5 agosto 2014, è stata decisa la Costituzione del comitato tecnico scientifico dei Lucani nel mondo “Nino Calice”. Il comitato che rientra a far parte del centro “Nino Calice” con sede nel

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Castello di Federico2 a Lagopesole, diviene parte operativa di una struttura che ha come obiettivo l'informazione e la documentazione riconducibili alla integrazione degli emigrati lucani nel mondo del lavoro, alla organizzazione familiare, al tenore di vita, alle esigenze maggiormente avvertite, agli effetti del fenomeno dell'emigrazione del nostro Paese, al contributo dato alla crescita degli altri Paesi. In tale ottica sorgerà nel Castello di Lagopesole il Museo dell'Emigrazione, le cui attività saranno coordinate appunto, dal Centro dei Lucani nel mondo “Nino Calice”. L'obiettivo è quello di raccontare la storia dell'emigrazione italiana, soprattutto lucana tra l'800 e il 900, attraverso immagini, progetti, affinché non vada perduta la memoria di questo fenomeno.

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L'affascinante storia di

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Antonio Saluzzi Artigiano, artista

e scultore di Acerenza Giovanni GALLO

ntonio Saluzzi è un artigiano di Acerenza, dove vive e opera. Diplomato al conservatorio in basso tuba, ha scelto, andando in controtendenza, di abbandonare la musica per dedicarsi all'artigianato. Nella cittadina lucana fa il decoratore di appartamenti, finge il velluto sui muri, monta tappezzerie, cornici e realizza affreschi su volte e pareti. Ma la sua vera passione, anche se ciò di primo acchito può sembrare un accostamento azzardato, è l'arte, che ha letteralmente rapito i suoi sensi. Egli ha infatti intrapreso un incredibile percorso di scultore e fonditore. Saluzzi è posseduto dal tocco sacro dell'arte che sconquassa prima interiormente e poi, tramite le mani e pochi altri strumenti auto-costruiti, prende forma e diventa vita. E in ciò risiede la grande sorpresa: un artigiano che si trasforma in artista o un artista che all'occorrenza fa l'artigiano. Anche se lui non si sente né l'uno né l'altro. La

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sostanza, in ogni caso, non cambia: artigiano e artista sono le due facce della medaglia di Antonio Saluzzi, figura unica nel panorama italiano, che si sta imponendo senza sgomitare e con la discrezione propria di chi ha qualcosa in più ma non ha l'assillo di doverlo urlare a tutti, perché le cose vere prima o poi arrivano. E quando arrivano restano. Per sempre. Nell'epoca degli oggetti creati in serie, lui e suo fratello Mario, nell'azienda di famiglia ereditata dal padre Canio, creano il pezzo unico, nel quale il valore e l'autenticità sono dati dall'imperfezione che esso porta con sé. E l'imperfezione è il segno tangibile che ogni creazione possiede un'anima. Le sue medaglie, che parlano di sapienze antiche e inducono il presente a riflettere su se stesso, sono arrivate perfino ad Hong Kong. Ha raggiunto una certa autorevolezza nel campo della simbologia al punto che alcuni professori universitari si rivolgono a

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lui quando hanno dei dubbi. Tutto quello che sa in questo ambito lo deve a don Mario Festa, parroco ad Acerenza per quarant'anni. Ama la Basilicata nonostante tutto, convinto che alla propria terra non bisogna chiedere ma dare: solo così si può incidere sul suo tessuto culturale e cambiarne le sorti. La sua sperimentazione scultorea: come si è avvicinato e quando ha deciso di intraprendere questa strada? In verità io vengo da una famiglia di artigiani. Mio padre è il capostipite, poi c'è mio fratello Mario, anche lui scultore come me. Lavorando insieme siamo riusciti a trasformare l'attività di famiglia in un'azienda unica nel settore in Italia. In pratica noi fondiamo i materiali che utilizziamo, come già facevano i greci e i romani, con la sola terra e i carboni. Tecniche in disuso ai


nostri giorni, nei quali si pensa a produrre e non a creare. Nei quali si guarda al mercato immettendo in esso oggetti seriali e non unici. Noi ci siamo specializzati nell'arcometallurgia e studiamo, prima di lavorarli, la storia e la preistoria dei metalli. Fermiamoci un attimo: tutto ha inizio con suo padre. Cosa faceva lui nello specifico? Mio padre, Canio Saluzzi, fondò l'attuale azienda circa quarantacinque anni fa ed è stato lui che ha trasmesso a me e a mio fratello l'amore per la manualità e l'arte, permettendoci di proseguire sulla strada da lui tracciata. Lui è un ottimo pittore di quadri, specializzato negli affreschi realizzati con l'antica tecnica della calce stesa a fresco e poi dipinta con terre naturali e pigmenti ricavati dalle terre, in modo da imprimersi nell'intonaco fresco e rimanere indelebili nel tempo.

Sappiamo che fa anche la guida turistica ed è un appassionato di simbologia. Siamo a conoscenza inoltre che ha raggiunto una tale notorietà che molti professori universitari la consultano. La passione per la simbologia e per le medaglie mi è stata trasmessa da un grandissimo amico scomparso due anni fa: don Mario Festa, sacerdote di Acerenza e parroco della Cattedrale per quarant'anni. Per me è stato un grande amico ed è a lui che devo la mia formazione culturale e artistica. Abbiamo condiviso quindici anni intensi di dialoghi e confronti: è grazie ai suoi insegnamenti se ho potuto conoscere il mondo dell'arte sacra e la simbologia dei santi abbinati alla lettura delle pietre. A folgorarmi sono state soprattutto la simbologia dei santi e i segni che ci hanno lasciati i nostri antenati. Un campo nel quale don Mario,

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senza che io me ne accorgessi, mi ha dato una formazione di tipo accademico. Questo mi ha permesso di confrontarmi con i vari docenti che ho guidato ad Acerenza nel corso degli anni. Alcuni di loro mi contattano ancora ora quando hanno qualche dubbio relativo alla simbologia, dal momento che alcuni simboli non si trovano descritti sui libri ma fanno parte di quel bagaglio culturale chiamato pietà popolare, o bibbia dei poveri. Un sapere che i nostri nonni non istruiti e analfabeti conoscevano e decifravano. È stato don Mario a mostrarmi le prime medaglie di bronzo e le antiche tecniche di fonderia; sempre lui mi ha trasmesso l'amore per questo ambito. Per me è stato un vero maestro e solo ora capisco la fortuna che ho avuto nell'averlo incontrato sul mio cammino. La sua tecnica di incisione è la stessa che usavano gli antichi egizi circa

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P E R S O N A G G I O I L 3.000 anni fa. Lei va un po' in controtendenza. Era necessario un salto indietro nel tempo per creare oggetti unici e di pregio? SÏ, era essenziale, altrimenti perchÊ mai qualcuno avrebbe dovuto scegliere i miei oggetti e non quelli fatti in serie dalle macchine? Noi lavoriamo a mano e ogni pezzo è unico e irripetibile nel suo genere. E anche volendo replicarlo non potrei, perchÊ mai e poi mai mi verrebbe uguale al precedente. Quale materiale utilizza per le sue creazioni? Il bronzo, che io adoro per il suo colore e la sua patina. A proposito di patine voglio sottolineare che quelle utilizzate da noi sono le stesse di quelle utilizzate 3000 anni fa. Infatti esse contengono solfuro di potassio e un altro ingrediente da noi messo a punto. Chi si rivolge generalmente a lei? Per ora solo qualche azienda per le commemorazioni e qualche ente, ma spero di

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Lavori recentemente realizzati La Medaglia di Augusto Imperatore per il bimillenario della morte di Augusto; L'Arco Etrusco di Perugia; La Medaglia della Camera di Commercio di Potenza; Il logo del Parco Nazionale dell'Appenino Lucano Val d'Agri-Lagonegrese; Le vedute della Cattedrale di Acerenza.

avere un mercato più ampio perché noi creiamo ciò che non esiste, realizziamo la materia. Il pezzo realizzato di cui è più fiero. Tutti. Ogni pezzo è una nostra creatura che da disegno o da idea del cliente lo portiamo in materia. Ti senti più artigiano o artista? Non lo so. Io mi sento una persona che fa qualcosa che ama e non riuscirei a fare nulla di diverso da quello che faccio. Ci sono altri in Italia che lavorano utilizzando le sue tecniche? Sì, ci sono altre fonderie, ma lavorano soprattutto pezzi meccanici, non l'artistico. Nell'artistico, specie quando si devono realizzare medaglie, ci sono dei dettagli difficilissimi da lavorare, che solo con certosina pazienza e tanta passione riusciamo a realizzare. E poi, cosa che ci distingue, noi lavoriamo con strumenti che ci siamo autocostruiti, non con presse meccaniche ma con l'aiuto delle sole mani e dei pestelli di

legno. Quanto impieghi per realizzare una moneta o una scultura? Per il primo modellato ci impiego un mese, ma poi molto dipende dalla complessità del modello. Non bisogna mai dimenticare che ogni pezzo viene realizzato a mano e a dimensioni originali 1/1. In Basilicata si vive di questo lavoro? Poco e male. Ma io vivo davvero con l'arte, al contrario di chi fa altro nella vita e solo per diletto fa il pittore o lo scultore. Questi possono essere anche bravi, ma molte volte non sanno che cosa significhi pagare le tasse ed emettere fatture per le tue opere. Per me la vera sfida è proprio questa. E poi oggi con internet tutto è possibile: io faccio questa attività grazie al web. È impensabile oggi poter vendere senza internet. La più grande soddisfazione o riconoscimento avuto finora. Forse il più grande è stato quando in fiera

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a Milano un'azienda con sede a Hong Kong mi ha commissionato 50 medaglie commemorative della loro attività e per la prima volta ho fatto una consegna internazionale. A volte non ci credo nemmeno io che partendo da Acerenza le mie opere arrivano in tutto il mondo. Tutte certificate e numerate una a una. Se svolgesse questa attività in altre parti d'Italia, avendo più visibilità, avrebbe più chance di entrare nei circuiti che contano? Non lo so, ma forse no. Oggi abbiamo tutti a disposizione gli stessi mezzi, dobbiamo solo sfruttarli in maniera corretta, poi sono convinto che non sono i luoghi a fare le persone ma il contrario: sono le persone a fare il luogo e a cambiarlo. Ecco, io sono convito che bisogna cambiare la mentalità, non il territorio. Progetti per il futuro. Vorrei tanto realizzare un portone di una chiesa e con le immagini raccontare l'eucarestia.

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È QUANDO TI SENTI PICCOLO CHE SAI DI ESSERE DIVENTATO GRANDE.

A volte gli uomini riescono a creare qualcosa più grande di loro. Qualcosa che prima non c’era. È questo che noi intendiamo per innovazione ed è in questo che noi crediamo. Una visione che ci ha fatto investire nel cambiamento tecnologico sempre e solo con l’obiettivo di migliorare il valore di ogni nostra singola produzione. È questo pensiero che ci ha fatto acquistare per primi in Italia impianti come la rotativa Heidelberg M600 B24. O che oggi, per primi in Europa, ci ha fatto introdurre 2 rotative da 32 pagine Roto-Offset Komori, 64 pagine-versione duplex, così da poter soddisfare ancora più puntualmente ogni necessità di stampa di bassa, media e alta tiratura. Se crediamo nell’importanza dell’innovazione, infatti, è perché pensiamo che non ci siano piccole cose di poca importanza. L’etichetta di una lattina di pomodori pelati, quella di un cibo per gatti o quella di un’acqua minerale, un catalogo o un quotidiano, un magazine o un volantone con le offerte della settimana del supermercato, tutto va pensato in grande. È come conseguenza di questa visione che i nostri prodotti sono arrivati in 10 paesi nel mondo, che il livello di fidelizzazione dei nostri clienti è al 90% o che il nostro fatturato si è triplicato. Perché la grandezza è qualcosa che si crea guardando verso l’alto. Mai dall’alto in basso.



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Dall’Europa a Picerno con le sei corde

Il Maestro

Carlo Marchione per cinque giorni nel comune lucano per dare lezioni di perfezionamento Simona BRANCATI

a prossima estate a Picerno ci sarà una manifestazione straordinaria dal punto di vista musicale e culturale. Dal 27 al 31 Luglio, con la direzione artistica di Gianfranco Summa, presidente dell'associazione Emiolia e rappresentante degli studenti nel Consiglio Accademico del Conservatorio “Gesualdo da Venosa” di Potenza, e in collaborazio-

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ne con il Comune di Picerno, si terranno il concerto e la masterclass, lezioni di alto perfezionamento, con il Maestro Carlo Marchione, uno dei chitarristi classici italiani più rinomati al mondo. Dopo numerose tappe del suo tour che toccherà Cracovia, Mechelen, Aschaffenburg, Saragozza, Enschede, Vallendar, Vienna e Hessenpark il musicista, ormai da tempo insegnante presso il Conservatorio di Maastricht, si esibirà in un concerto pubblico e gratuito nella suggestiva torre medievale di Picerno. Nei giorni seguenti terrà la masterclass, occasione unica d’incontro e di approfondimento per tanti giovani chitarristi italiani e non. I posti disponibili per frequentare le lezioni sono limitati, così come quelli per gli uditori. E’ dunque importante iscriversi il prima possibile inviando una mail all’indirizzo emioliamusica@hotmail.it o chiamando il 340.07.90.737. I candidati saranno selezionati per bravu-


Carlo Marchione

è nato a Roma ha iniziato a prendere lezioni di chitarra da 10 anni con il Maestro L. Cauzzo, e in seguito con L. Galuzzi. Nel 1976 è entrato al Conservatorio di Santa Cecilia. Ci ha studiato con il Maestro Mario Gangi, diplomandosi con lode nel 1983. Nel corso della sua carriera ha ricevuto molti primi premi in concorsi internazionali (Ancona 1979/80, "L. Legnani" Parma 1981 "M. Giuliani" 1982 "Ville de Sablé" del 1985, Gargnano 1989, "N. Paganini "del 1991," Città di Latina "1992). E’ ospite dei più esclusivi festival in tutta Europa, appare sia come solista che con orchestra e vari di musica da camera gruppi. Durante il tour in Russia nel 1997 è stato invitato ad esibirsi nella prestigiosa Sala Grande di "Tchaikowsky Conservatorio di Mosca", così come la Filarmonica di San Pietroburgo, un onore raramente concesso a un chitarrista. Nell'ottobre del 1998 ha fatto il suo debutto nella "Berliner Philharmonie". Come altamente distinto seminario riconosciuta docente in materia di analisi musica per chitarra, è stato eletto professore a tre accademie di musica in Europa. E' docente presso l'Accademia di Musica "Ino Mirkovic" di Lovran (Croazia), professore onorario alla Hochschule für Musik und Theater "Felix Mendelssohn Bartholdy", Leipzig (Germania) ed è attualmente docente presso il Conservatorio di Maastricht (Olanda), dove ha una delle classi con più successo in Europa.

ra e per curriculum, avranno alloggi gratuiti e saranno attivate convenzioni per il vitto. Per eventuali musicisti provenienti dall’estero sarà messa a disposizione una navetta dall’aeroporto di Bari o di Napoli e verranno loro rimborsati complessivamente 500 euro del costo dei biglietti. Inoltre il Comune di Picerno con un bando, indirà il primo concorso di composizioni per chitarra ispirate al paese. Al vincitore andrà un premio in denaro di 1000 euro e la possibilità di tenere un concerto nell'edizione successiva, con l'obbligo di eseguire in anteprima la composizione vincente. Con questa iniziativa il Presidente e l’amministrazione si pongono l'obbiettivo di fare di Picerno e della Basilicata un centro di cultura e di produzione artistica di rilievo e perseguono l’ambizione di fare del comune lucano un punto di riferimento per la chitarra classica nel Sud Italia.

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Da una terra gen un prodotto made in Veronica D’ANDREA

uattro cooperative, 100 ettari di vigneti, 11 prodotti tra vini, spumanti e grappa, tutti rigorosamente made in Vulture e precisamente a Barile. Una filiera interessante che dimostra come la passione e la salvaguardia del proprio territorio possano diventare un punto di forza e di eccellenza lucana. Ci racconterà del Consorzio Viticoltori del Vulture il suo giovanissimo presidente Rocco Grimolizzi, laureando in Viticoltura ed Enologia, appassionato e studioso del settore.

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Quando nasce il Consorzio Viticoltori Associati del Vulture? Quanti consorziati conta? Il consorzio nasce nel 1977 e conta quattro cooperative, socie appunto: Cooperativa Vigne degli Avi di Pasquale (che fu il primo presidente del Consorzio) e Donato Pellegrino, Cooperativa Olearia Vitivinicola Barilese con Giuseppe Grimolizzi e Lucio Mazzeo, Cooperativa La Contrada con i fratelli Michele e Carmine De Leonardis, Cooperativa Promozione Agricola del Vulture con Nicola Grimolizzi e Rocco Franciosa. Ogni cooperativa ha i propri soci che varia da un numero di 5 a 50 per alcu-

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ne cooperative. Di che cosa si occupa il Consorzio e quali sono i pricipali campi di attività? L’attività consiste nella raccolta delle uve dei soci, nella loro trasformazione e nella vendita del prodotto finale che prende forma in vino imbottigliato, vino sfuso e spumante. Il nostro lavoro riguarda tutto l’iter produttivo, dalla sua raccolta alla vendita. Questo locale, dove è appunto ubicato il notro Consorzio, nasce come uno spumantificio sia dell’aglianico che del moscato. Ancora oggi è uno dei più grandi spumantifici della Basilicata. Conta una batteria di cisterne da 500 hl per la produzione di spumanti. Particolare rilievo assume anche la conservazione del prodotto stesso, in un’antica bottaia dove vi sono le barrique e botti da 100 e 50 hl. La particolarità è nella struttura della bottaia stessa, di 1500 metri, scavata interamente nel tufo, elemento che aiuta la conservazione naturale del vino ad una temperatura costante per tutto l’anno. Quali risultati tangibili ha raggiunto il Consorzio? I risultati ottenuti sono molto soddisfacenti.

Facendo una stima di trent’anni, ci possiamo ritenere molto soddisfatti. Questo è visibile e tangibile con la vasità dei prodotti offerti ma anche nei riconoscimenti ottenuti. L’Aglianico del Vulture contenuto nelle sue diverse forme può essere presentato con un’elencazione dei prodotti che possiamo partire dal vino principe ovvero Abbiamo il nostro vino di punta che è il Carpe Diem, vino creato come qualità, consistenza e nome in occasione del bimillenario della morte di Quinto Orazio Flacco e sul quale il consorzio ha puntato molto e dal quale ha ricevuto maggiori riconoscimenti a livello internazionale che gli hanno conferito un vero e proprio marchio del Consorzio stesso. Di seguito possiamo citare il Vetusto che è il top di gamma, l’Aglianico del Vulture doc elegante e corposo, poi vi è il Calicò ovvero l’Aglianico del Vulture IGT Basilicata. Poi sempre con le uve aglianiche vi si ottengono gli spumanti e i vini rosè. Cosa spinge oggigiorno alla passione per i vitigni autoctoni? Reale dedizione o più un interesse economico? La passione per il vino e per la sua produzione è sicuramente innata, ma anche sti-


erosa...

Vulture molata, nel senso che viene tramandata da padre in figlio. Se ci si avvicina a questo mondo è sicuramente passione che necessita ovviamente di dedizione e maturazione della stessa con corsi di perfezionamento, aggiornamento del mestiere ed anche titoli accademici. Il mondo del vino in generale è passione, che sia Aglianico o altro. La viticoltura nel Vulture è uno dei settori trainanti sia dal punto di vista economico che culturale. Che ne pensa? Sicuramente la valorizzazione territoriale e culturale ha fatto in modo che i prodotti locali e più specificatamente il vino, abbiano acquistato un valore aggiunto da tutelare e pubblicizzare nel migliore dei modi, seppure il periodo storico non è dei migliori, l’aiuto economico delle istituzioni locali e regionali ha aiutato moltissimo. Come vede la Viticoltura ed i viticoltori nel Vulture e cosa si aspetta nel e dal futuro? Abbiamo dei problemi sia con la viticoltura che con i viticoltori. I giovani non sono molto predisposti a questo lavoro, che sicuramente implica ed esige sacrificio, dedizio-

ne e sforzo, ma non si possono certo biasimare. Per questo ci lasciamo dietro numerosi terreni incolti con vigneti non curati e lavorati. Purtroppo l’agricoltura ha diversi nemici, il tempo, nel senso meteorologico del termine, le capacità del produttore che deve mediare e il mercato, che è sempre più competitivo. I nostri mercati sconfinano il nazionale, sia allargano in Europa con la Germania, la Svizzera e l’est Europa. Stiamo implementando una rete commerciale anche internazionale, partendo dal Giappone, che è già consolidata, stiamo valutando e trattando nuove realtà commerciali con la Cina e gli Stati Uniti. C’è differenza nell’Aglianico tra vino naturale, biologico e biodinamico? Se un’annata da un punto di vista climatico è ottimale, anche io sareidisposto a non utilizzare agenti chimici. Se la stagione non mi permette di ottenere un vino che sia “biodinamico” o “libero” bisogna utilizzare piccolo accorgimenti per salvaguardare la produzione nei limiti del protocollo a cui tutti devono obbligatoriamente attenersi. Chi fa lotta biologica non raccoglie sicuramente ogni anno, chi fa vino biodinamico non rac-

coglie ovviamente tutti gli anni. Potrebbe, in quattro righe, creare uno slogan in grado di conquistare i lettori e incitarli a venire a visitarvi? Il nostro motto è “Da una terra generosa, una tradizione di qualità. Aglianico del Vulture per passione”. Perché questo lavoro è passione. Passione per la nostra terra. Passione per la tradizione. Passione per la qualità . Quindi passione per il nostro prodotto. Perché bere Aglianico? Perché con l’Aglianico si beve un ottimo vino. Uno dei migliori in Italia. È difficile da apprezzare perché è un vino crudo, duro, ha bisogno di tempo e degustazioni continue per essere amato. L’Aglianico poi piace se viene accompagnato al cibo giusto. Parliamo di una gradazione che si aggira intorno ai 14° per questo vino. È uno dei migliori vini anche se commercialmente non riusciamo ad esplodere semplicemente perché non ci avviciniamo al gusto internazionale, più facile da bere, leggero. Ripeto bere Aglianico perché è autoctono, fatto con passione da una terra generosa. www.coviv.it

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Le Bande

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nizia nell’antica Lucania, da una località vicino Matera - città antichissima, riconosciuta dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità e nota in tutto i mondo come capitale europea della cultura 2019 - un aspetto culturale tra i più ancestrali, suggellato dall’archeologia internazionale: lo Stile Serra d’Alto. Durante il neolitico sorsero e si svilupparono nel materano numerosi insediamenti umani in villaggi circondati da un semplice fossato o da recinzioni lignee a protezione delle greggi - i cui reperti, risalenti alla fine dell’800, testimoniano l’introduzione dell’agricoltura e dell’allevamento a partire dal VI millennio a.C. e fanno di quest’area uno dei luoghi più importanti della Preistoria. Gli insediamenti Serra d'Alto erano caratterizzati da un insieme di capanne a pianta circolare, infossate nel terreno; le sepolture dei defunti venivano effettuate in fosse ovali, in posizione rannicchiata, a volte sotto le capanne stesse; le grotte, caratteristiche della zona, erano frequentate a scopi cultuale e/o funerario. Conosciuto finora più che altro dagli addetti ai lavori, lo Stile Serra d’Alto era presente nel 3° millennio in diversi siti preistorici della penisola: in Basilicata (Tirlecchia, Grotta dei Pipistrelli; Grotta Funeraria, Latronico, Lavello, Trasano, S.Candida), in Sicilia ( Isole Eolie - Lipari), in Calabria (Grotta della Madonna - Praia a Mare, Grotta S.Angelo - Cassano Jonio), in Campania, nelle Puglie, in Abruzzo, Lazio, fino in Toscana . I ritrovamenti mostrano una grande varietà di vasellame, funzionale alla vita quotidiana e al culto: una produzione ceramica molto raffinata, con una lavorazione

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Una tecnica ultra-millenaria Grazie alla “scoperta” del fuoco si realizzavano nel Neolitico manufatti in ceramica, indispensabili per conservare gli alimenti, e – grazie alla resistenza al calore e alla impermeabilità - contenere i liquidi e cuocere i cibi.. Era l’argilla - facilmente reperibile sul territorio - il prezioso materiale per oggetti dapprima fatti a mano, poi con l’aiuto di un tornio. Adoperata per innumerevoli millenni dai nostri progenitori, la tecnica è la sempre la stessa: ripulita dalle impurità tramite decantazione in acqua, si procede all'impasto, poi si modellano gli oggetti. Per forgiare i recipienti, si usa la tecnica a "colombino" (avvolgere a spirale l’argilla, manipolata in cordoni cilindrici). Diversi erano i tipi di lavorazione, a partire da quello più antico - tecnica “dente di cane”- con protuberanze esterne tipo conchiglie e calcare; vasi a forme semplici, decorazione “a impressione”, cioè premendo le dita, il bordo di una conchiglia o altro sulla superficie ancora fresca. Spesso i manici di vasi e anfore avevano anse sporgenti di forma zoomorfa. Venne in seguito praticata la “decorazione” graffita, realizzata intagliando direttamente le pareti del vaso con uno strumento appuntito. Si passò infine alla “decorazione” dipinta, con colori naturali quali l'ocra ed altri pigmenti, a formare complessi motivi geometrici. Gli oggetti venivano lasciati essiccare fino a perdere l'acqua dell'impasto, poi venivano cotti per garantirne durata e stabilità: dapprima in fosse, successivamente in veri e propri forni.


e di Serra d’Alto Il Museo Archeologico Nazionale “Domenico Ridola” a Matera Il più antico della Basilicata, istituito nel 1911 in seguito alla donazione allo Stato delle ricche collezioni di Ridola, il Museo espone notevoli reperti archeologici del territorio materano che permettono di fare un viaggio nella storia più antica dell’umanità Operando “con passione, rigore scientifico e umiltà, rivoluzionando le conoscenze sulle vicende storiche più antiche della città di Matera e del suo territorio”, Domenico Ridola, definito “un conservatore rivoluzionario”, condusse per sessant’anni numerose ricerche nel materano, rinvenendo, tra il 1872 e il 1932 , diversi insediamenti, tra cui Santa Candida, Setteponti (Lamia Corazza); Serra d'Alto Murgecchia - Murgia Timone-Tre Ponti; Trasano; Tirlecchia Superiore e Inferiore - Matinelle di Malvezzi, San. Martino. Alla morte di Ridola, la ricerca si ferma, per riprendere solo negli anni ‘60 e ‘70 con Felice Gino Lo Porto. Negli anni ’90, Gianfranco Lionetti ritrovò nuovi villaggi in diversi siti nel materano.

elegante, a formare contenitori dalle pareti sottili, tazze dall’orlo svasato, vasi a forma di fiasco, piccoli tegami, piccole olle sferiche e/o collo verticale; vasi tondeggianti con piede, anforette, vasi rotondi, a collo cilindrico o con la parte superiore svasata, ciotole a calotta rotonda etc. Tra gli archeologi e studiosi che si sono

interessati alla cultura di Serra d’Alto lucana, il sen. Domenico Ridola, archeologo e fondatore del Museo archeologico di Matera; il paletnologo Ugo Rellini - (Firenze 1870 - Roma 1943); L.Bernabò BreaM.Cavalier, (1910- 1999) fondatore del Museo archeologico eoliano, e numerosi altri.

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Lettura e decifrazione dei motivi e dei simboli secondo la metodica Gimbutas I motivi delle ceramiche di Serra d’Alto testimoniano una cultura molto speciale, la cui eco arriva fino a noi dalla notte dei tempi, rivelandosi agli umani del 3° millennio come portatrice una insospettata mission. Graffiti o dipinti, triangoli, scacchiere, losanghe, reticoli meandri e spirali definiscono con nettezza uno Stile presente coerentemente in tutti i luoghi dei ritrovamenti; il colore più ricorrente è il rosso scuro o l’ocra. I nostri lontanissimi avi avevano elaborato un’espressione di tipo culturale-cultuale-artistico eccezionale; con talento istintivo quanto originale, praticavano un’Arte strettamente collegata alla vita; condivisa da tutti/e, capace di esprimere un ordine simbolico universale, che hanno tramandato in tutto il suo spessore alle future generazioni. Su quei motivi dipinti con cura, possiamo leggere che l’umanità del neolitico era capace di pensiero astratto, possedeva un’elevata spiritualità, e molto probabilmente praticava una buona vita. Come possiamo affermare questo? Tutto sta nello sguardo con cui osserviamo quelle immagini e nelle basi culturali in cui si è formato il nostro, di pensiero.. Certo, è difficile farlo se aderiamo e acriticamente a una cultura convenzionale, che ha sempre tenuto in stand by la preistoria, tanto da creare nei suoi riguardi una netta separazione, o ne ha praticato l’irrisione; proclamando che la civiltà e l’Arte iniziavano con la “storia”, e che ad es. il massimo della “bellezza”era prerogativa assoluta del periodo greco classico…

Con tale squilibrato imprintig – accentuato dall’ignoramento o dalla sottovalutazione dei tempi arcaici in cui è compresa l’ineguagliabile civiltà cretese, lo splendido “neolitico” minoico - e sorvolando sul fatto che il tempo “storico” di soli 6000 anni- è preceduto da decine di millenni di civiltà misconosciuta, è automatico considerare quei motivi dipinti o graffiti semplici “decorazioni”, quasi un primo tentativo artistico dell’umanità.. Ebbene, non immaginiamo quanto sia riduttivo tale sguardo e che cosa ci sia dietro quel Rosso Segnale …

Grazie ai preziosi apporti di grandi studiosi/e indipendenti e illuminati/e, come S.Giedion, J.J.Bachofen, J. Mellaart, V.Noble, A.Leroi- Gourhan, E. Morgan, Janine D. Kimball , M. Eliade, C.G. Jung, M. Murray, E. Neumann, R.Graves , J.Campbell, C.Musès, R. Eisler, e tanti altri/e), si è oggi affermata una diversa visione della cosiddetta preistoria, un interesse acuto ed una rinnovata considerazione. Poi è arrivata Marija Gimbutas, punta di diamante della comprensione e “decifrazione” di quei tempi così ignorati e mistificati, autrice di informazioni al riguardo tanto sconvolgenti quanto preziose per noi umani del 3° millennio, impaniati nella crisi della nostra illusoria civiltà. Di origine lituana, archeologa, linguista, ricercatrice, etnologa, storica delle religioni, autrice di numerose pubblicazioni .. con i suoi ritrovamenti archeologi e la loro originale interpretazione, Gimbutas ci ha fornito le prove dell'esistenza di un'antichissima società civile, perdurata migliaia di anni, operosa, pacifica e creativa.

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"Tale cultura trasse intenso piacere dalle meraviglie naturali di questo mondo. La sua gente non produsse armi letali, né costruì fortini in luoghi inaccessibili - come avrebbero fatto i successori - neppure quando conobbe la metallurgia. Eresse invece magnifiche tombe-santuari, templi, case confortevoli in villaggi di modeste dimensioni e creò superbe ceramiche e sculture. Fu questo un periodo di notevole creatività e stabilità, un'età libera da conflitto". (Marija Gimbutas, Il Linguaggio della Dea, Longanesi - 1989) Con un immenso lavoro di ricerca - contemporaneo o successivo ai suoi ritrovamenti archeologici- Gimbutas ha “decriptato” i simboli, interpretandone il complesso e profondo significato; si è fatta “trasportatrice” di quel linguaggio segreto, permettendoci di conoscere i nostri antenati e le nostre ave più antiche, svelandoci il loro modo di vivere e pensare, i loro Valori: condivisione, creatività, ordine sociale pacifico, rispetto per il femminile e per la natura.


Arte spaziale I simboli, disegnati o incisi su rocce e nelle caverne, tessuti su tappeti e arazzi, dipinti su vasi e oggetti sacri o d'uso comune, sono il mezzo con cui ci hanno raggiunto, dalle profondità del passato, informazioni sul modo di vivere e di pensare dei nostri antenati e delle nostre antenate. L'insieme di questi elementi, è ciò che chiamiamo arte dei primordi: qualcosa di assai diverso dall'espressione artistica dei successivi tempi storici. L’arte di quei lontanissimi progenitori - da noi spesso definiti sbrigativamente e con arroganza “barbari” - era in realtà il frutto di una libera espressione creativa: invece di essere privilegio di alcuni addetti ai lavori, era vissuta da tutti, nel quotidiano. Si faceva arte impastando vasi, disegnando e colorando ciotole, piatti, coppe, fusi e attrezzi per tessitura. S’incidevano graffiti sugli utensili, sugli oggetti di culto e sulle pareti delle caverne; si scolpivano statuette a migliaia, si dipingevano affreschi raffinatissimi, s’incideva su stele, anelli e sigilli, si tessevano tappeti e arazzi… Era un’ arte magnifica, elevatissima, non badando al fatto retinico - la riproduzione della realtà naturale quanto ad esprimere una conoscenza ritenuta sacra, numinosa, immanente alla vita stessa. A ragione un grande studioso, lo storico dell’arte tedesco Sigfried Giedion, in “L’Eterno Presente”, affermava che quella del periodo paleo/neolitico - che definisce Spaziale - è in assoluto una delle espressioni artistiche più compiute mai realizzate, per bellezza, purezza e potenza. Con essa si comunicavano - con tecniche diverse, spesso tramite immagini di tipo geometrico - dei concetti di grande complessità. La forza significante, derivante dall’astrazione e dalla capacità di sintesi dei simboli può essere eccezionale. Anche la purezza di quest’arte è innegabile, non essendo asservita - come poi è stato nella “storia”- né alla celebrazione del potere politico o religioso, né alla ricchezza, né all’egocentrismo o alla glorificazione dell’ “eroismo” maschile: guerra e di uccisione, torture, conquista e dominio sugli altri esseri e sulla natura … Estrapolazione da “Il Sentiero della Luce, un percorso mito-archeologico” - Teri Volini Delta Edizioni - 2004

Altro che decorazioni! Occorrerebbe uno spazio davvero notevole per mostrare il lavoro di Gimbutas, ma ci limiteremo a qualche cenno, introduttivo di tanta complessità, fornendo un esempio di “interpretazione” di un simbolo, il Triangolo, condotta secondo la sua metodica. Il triangolo è uno dei simboli più antichi, presente fin dal Paleolitico. Ritrovamenti Neolitici in Bretagna e Irlanda, mostrano tombe costruite con grosse pietre triangolari, ed è attestata nella Vecchhia Europa l’usanza di seppellire i morti con capo sotto pietre di quella forma. Triangolare è la pianta, la forma stessa dei “santuari”: quello di Lepenski Vir, sul Danubio (Belgrado) era fatto con grossi blocchi di pietra, triangolare.Tutt’intorno alla parte sacrale (altare) erano disposte delle pietre, anch’esse triangolari, con delle sporgenze verso l’alto (∇). Su un triangolo di gesso rosso, uno scheletro, sistemato in modo che l’ombelico - considerato centro del corpo e porta della rinascita - si trovasse al centro del triangolo stesso… Insieme all’ocra rossa sempre presente, tutto attesta che la sepoltura era collegata a un rituale di Rigenerazione: la tomba era il Grembo della Madre Terra, dal quale si sarebbe rinati. Anche i pavimenti erano di gesso rosso, e la datazione li riporta a 6.000 – 8.000 anni fa. Numerosi amuleti a forma triangolare, in materiali diversi, pietra, argilla, osso, sono stati ritrovati in tombe e grotte e su pesi da telaio. (Cfr. Gimbutas Il Risveglio

della dea, Longanesi 1998) Il significato rigeneratore del triangolo è insito nel suo rappresentare il pube femminile come “P¬¬¬¬¬¬¬orta della vita” ed è presente dovunque, sia come concetto astratto generale - riferito alla Principio vitale e alla fertilità - sia come Femminile reale, riferito alla donna e alla natura. È la “Pars pro toto”, la parte che rappresenta il tutto, simboleggiando la Donna - il suo potere generativo - la Terra, la Vita stessa. La massima efficacia comunicativa dell’immagine deriva dal suo non essere “naturalistica”, ma Simbolica: intelligenza e genio creativo di quelle genti primordiali, in grado di esprimere la loro concezione della vita, della morte e del divino tramite un linguaggio visivo preciso e attinente. Capaci di inserire ogni cosa pensata e vissuta in precise categorie, corrispondenti ad altrettanti significati, riuscivano a “rappresentare” persino un Potere superiore, connesso alla Natura e al Femminile, e ad onorarlo. L’associazione del Triangolo con la Nascita, la Morte e la Rigenerazione e il rispetto del femminile e della natura è uno dei principali temi dell’Arte preistorica, che - come possiamo constatare- è incredibilmente viva e preziosa. Estrapolazione dalla ricerca “ I misteriosi Glifi dell'Ager Cuneatus nella Foresta di GallipoliCognato in Basilicata”Teri Volini - Delta Edizioni Sculture tessili su base triangolare di Teri - 1996 Volini – S.Maria di Ricadi,VV , 1999

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Melfi: crogiolo

di culture

Debora COLANGELO

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na mattina di febbraio del 2015 ho visto un castello senza tempo. Una mole maestosa in grado di sovrastare un’intera città. Ho deciso allora, mossa anche dalla curiosità travolgente di mia sorella, di scendere alla stazione di Melfi ed inerpicarmi per la salita in pietra che conduce al castello. Immerso nel suo silenzio, esso ospita, oggi, anche il Museo Nazionale del Melfese collocato in tre sale del piano terra. Conserva reperti archeologici appartenenti alle popolazioni indigene

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della preistoria, dei periodi romano, bizantino e normanno. Riassumo brevemente la sua storia dopo aver letto una ricerca interessante sul sito CittadiMelfi.it. Nel 1042 Guglielmo d’Altavilla, insediatosi a Melfi, costruisce un castello. Poi, Roberto il Guiscardo è investito dei ducati di Puglia, Calabria e Sicilia. È da sottolineare che il primo nucleo del castello è di creazione Normanna e viene edificato tra il XI e il XII secolo. Federico II di Svevia decide di ristrutturare ed ampliare il maniero scegliendolo anche come pro-


pria residenza e promulga le costituzioni melfitane nel 1231, primo testo organico di leggi che regolamentano il vivere comune. In seguito, il castello diventa la dimora di Carlo I D’Angiò che ordina la costruzione di locali adiacenti alla Sala del Trono. Altre modifiche vennero poi attuate nel 1460 da Giovanni II Caracciolo. Ciò che ci accoglie vicino all’ingresso è uno splendido sarcofago in marmo denominato “Sarcofago di Rapolla”, raffinato prodotto delle botteghe di scultori dell’Asia Minore, rinvenuto verso la metà del 1800 nelle vicinanze di Rapolla in località Albero in Piano. L’accuratezza dei dettagli cattura lo sguardo e spinge l’osservatore a girare in tondo cercando di coglierne la bellezza da più angolazioni. Una volta uscite dall’ingresso e proseguendo la nostra camminata, ci accolgono una porticina e splendide scalinate che ci conducono ad una sala dagli intarsi dorati, ospitante la collezione della famiglia Doria. Nel 1531 l’imperatore Carlo V donò il feudo di Melfi ad Andrea Doria come ricompensa dei servizi prestati in suo favore. Tra il XVI e il XVIII secolo, infatti, il castello di Melfi venne trasformato da fortezza a residenza nobiliare dei Doria. L’attenzione è tutta rivolta ai numerosi pannelli esaustivi che ricostruiscono la storia di questa famiglia e, allo stesso modo, essa verrà rapita dai colori del quadro “Cacciagione e cani”. Ciò che collega tutte le stanze del museo è la luce che dalle finestre colpisce le teche e illumina i numerosi manufatti rinvenuti nelle sepolture di un bambino nel V secolo a.C., del corredo di un eroe con la corona d’oro e degli splendidi accessori principeschi di un corredo femminile. È interessante notare come all’idea della sepoltura sia collegata anche l’idea della libagione. In particolare, una teca addolcisce la nostra visita: quella che espone un servizio in argento con il quale nel mondo greco venivano versate ai defunti offerte di latte, miele, vino e acqua. E ancora, come non perdersi nella rifinitura degli oggetti in ceramica! Ammetto di essere una profana in questo campo ma osservando attentamente i motivi decorativi, si riesce a cogliere il lavoro puntuale di un’epoca non perduta ma ritrovata. Sono, infatti, i rombi campiti da puntini, cerchi concentrici e fasci orizzontali che ci restituiscono i valori dell’arte insegnati da dotti maestri nelle botteghe ceramiche di età arcaica. Una frase di Omero conclude la nostra visita: “Urtarono gli scudi di cuoio, le lance e il furore degli uomini corazzati di bronzo; e gli scudi di bronzo rigonfi cozzarono insieme; gran fragore saliva”. Un ultimo sguardo alle teche e non hai più voglia di andare via. A volte, per trovare la bellezza, bisogna soltanto “guardare al di là del proprio naso”.

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IL SEMINA Vincenzo MATASSINI

Ritratto di donna con bambino (Foto di Luigi Giocoli, fronte e retro, 1910)

l tempo del Fascismo anche i quaderni, a righi ed a quadretti, dei ragazzi delle Scuole Elementari, riportavano sulle copertine un uomo che su un campo, con solchi già pronti e perfettamente paralleli, con un sole alle spalle, seminava perché l’Italia doveva vincere la battaglia del grano. Ma se questi erano e sono i veri seminatori, cosa dire di quegli uomini che nell’Ottocento, approfittando della loro posizione sociale, “seminavano” figli con donne il più delle volte analfabete che non erano nella condizione di poter protestare, restando con le loro creature per vedere poi, a parto avvenuto, se abbandonarli o tenerseli. E fra tante di queste storie, in maniera del tutto casuale, fra gli Atti di Nascita del 12.09.1895 compare quello di Emilia Canale, nata da Vincenzo Canale1, giardiniere e Marino Giuseppa donna di casa. Nello stesso Atto di Nascita viene riportato che con Atto del Notaio Pietro Errico del

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19.07.1913, trascritto nel Registro di Nascita del 12.09.1915, il padre Vincenzo Canale viene riconosciuto come figlio naturale da Enrico Giocoli2. Vincenzo Canale, nato a Potenza il 19.04.1864 era stato abbandonato alla nascita dalla madre nella Ruota degli Esposti, subito affidato alle cura di una balia era riuscito a sopravvivere crescendo sino a sposarsi il 04.10.1888 con Giuseppa Marino. Soltanto dopo quasi 50 anni, per un ripensamento del vero padre “seminatore” Enrico Giocoli, veniva riconosciuto ed assumeva il cognome di Giocoli. Un altro successivo Atto dello Stato Civile del 10.02.1898 attestava la nascita di Marino Potenza, da Luigi Potenza3, fotografo e da Maria Nicola Correale, donna di casa. Ma ancora più interessante è stato in seguito la citazione dell’identico Atto dello stesso Notaio Pietro Errico del 19.07.1913, sempre trascritto nel

Registro di Nascita del 12.09.1915: anche Luigi Potenza veniva riconosciuto come figlio naturale da Enrico Giocoli. Luigi Potenza era nato a Potenza il 10.03.1865, in Strada Fontana della Parrocchia di S. Gerardo, da Cristina Potenza4 che lo aveva allevato senza abbandonarlo; si era sposato il 10.12.1896 a Fisciano (Salerno) con Maria Nicola Correale. Singolare la storia di Luigi Potenza (Giocoli): anche la madre Cristina Potenza, nata a Potenza il 02.01.1829, era stata abbandonata alla nascita sulla Ruota degli Esposti e, forse per le sofferenze che aveva subito durante la crescita, aveva tenuto con se il figlio Luigi. Voglio precisare che intorno agli anni del 1860 a tutti i bambini abbandonati o senza padre riconosciuto, veniva dato il cognome di Potenza, per indicare il paese dove erano nati. Soltanto dopo 48 anni, anche lui veniva riconosciuto dal vero padre Enrico


TORE Immagine raffigurante la statua di San Rocco (Foto di Luigi Potenza, fronte e retro, 1913)

Giocoli ed assumeva il cognome di Giocoli. In un primo momento la notizia riportata nell’Atto di Nascita relativo a Luigi Potenza era passata inosservata, ma in seguito ha attratto la mia attenzione il mestiere del padre Marino Potenza: faceva il fotografo e poteva essere importante per una mia ricerca sul mondo della fotografia. Ma contemporaneamente il cognome Giocoli mi ha fatto venire in mente l’articolo “La fotografia: storia e protagonisti a Potenza” pubblicato dal Fotografo Ernesto Salinardi, figlio prediletto del Dott. Gerardo Salinardi (che mi onorava della sua amicizia), sul secondo volume della pubblicazione edita in occasione dei 200 anni di Potenza Capitale. In base alla foto del 1913 che compare nello stesso articolo e che riproduco, mi hanno fatto riflettere le seguenti considerazioni: “Nei primi anni del ‘900 opera nello studio di Luigi Giocoli il fotografo Luigi

Potenza: infatti il suo nome compare assieme a quello di Luigi Giocoli sul retro di numerose fotografie di quegli anni. Questo abbinamento, pur non consentendo di riconoscergli un particolare compito professionale o attitudine nel campo della ritrattistica, lo collocherebbe in un rapporto societario con il Giocoli”. Ma una cosa non poteva immaginare l’autore dell’articolo, il fotografo Ernesto Salinardi: che Luigi Potenza e Luigi Giocoli erano la stessa identica persona e che la ipotetica data (1913) che lui attribuisce alla foto deve spostarsi di qualche anno, perché nel 1913 ancora non era avvenuto il riconoscimento di paternità da parte di Enrico Giocoli. Da una ricerca sugli Atti di Nascita dello Stato Civile per ricerche di tutt’altro tipo, ho potuto casualmente risolvere questo piccolo rebus. Ma se come sempre si dice due indizi costituiscono una prova, mi sono chiesto se Vincenzo Canale e Luigi Potenza

erano stati gli unici riconosciuti come figli da Enrico Giocoli, o ce ne erano degli altri, e così ha voluto consultare presso l’Archivio Notarile l’Atto in data 19.07.1913 del Notaio Pietro Errico. E qui le sorprese sono cominciate, perché Enrico Giocoli aveva voluto che, soltanto dopo la sua morte, fossero legittimati tutti i figli che lui aveva procreato, con la trascrizione dell’Atto Notarile citato sui Registri di Nascita dello Stato Civile. Quindi sono comparsi altri 4 figli: Potenza Rocco5, Potenza Gaetano6 e Potenza Michele7, avuti sempre con Potenza Cristina, ed ancora Barone Giuseppe8, di madre ignota, anche se la madre dovrebbe essere sempre la stessa. Potenza Cristina, contadina e poi casalinga, abitava nel 1865 in Strada Fontana della Parrocchia di S. Gerardo (e probabilmente qui inizia la frequentazione col sacerdote Enrico Giocoli), nel ’67 alla Strada Beneficenza (attuale Via Cairoli), nel ’70 in Vico Assisi 12 ed infine al n. 13 di Vico Fratelli Bandiera. Evidentemente la “famigliola” cresceva e c’era necessità di nuovi spazi. Ed il seminatore Enrico Giocoli che ha “raccolto” sei figli, mentre altri invece hanno seminato senza mai ricredersi, chi era? Famiglia benestante essendo il padre Carlo Francesco avvocato e possidente, nasce alla Via Pretoria, sacerdote presso la Parrocchia di S. Gerardo e termina la sua vita al n. 13 di Vico Fratelli Bandiera, in Parrocchia della Trinità. E qui viene spontaneo il riferimento alla Contrada Macchia Giocoli, dove nella toponomastica viene citata la Masseria Giocoli e sul libro di Vincenzo Perretti “Toponomastica storica della Basilicata” è riportato fra l’altro che “La famiglia Giocoli verso la metà dell’800 realizzò questo fondo rustico con l’acquisizione di piccoli terreni da privati e quindi nel 1873 acquisì dal Demanio una vigna con alberi, già appartenuta al Capitolo di S. Gerardo”. Probabilmente per l’appartenenza di Enrico Giocoli presso lo stesso Capitolo. NOTE 1) Canale Vincenzo, giardiniere (Potenza 19.04.1864 - 23.08.1917); 2) Giocoli Enrico Emilio Rocco, sacerdote possidente (Potenza 03.03.1834 - 30.08.1915); 3) Potenza Luigi, fotografo (Potenza il 10.03.1865 - 31.10.1940); 4) Potenza Cristina, contadina e poi casalinga (Potenza 02.01.1829 - 12.06.1916); 5) Potenza Rocco, bracciante giornaliero (Potenza 31.08.1867 - 07.03.1949); 6) Potenza Gaetano, professore (Potenza 20.03.1870 - 04.07.1925); 7) Potenza Michele (Potenza 26.03.1877 non definita). 8) Barone Giuseppe (Potenza 27.03.1863 non definita);

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finocchietto selvatico, una risorsa spontanea Il

La via lucana del benessere vegetale è caratterizzata da un rizoma biancastro e da foglie pennatosette e di colore verde brillante che si originano in Maria Carmela PADULA autunno; in estate, compaiono piccoli fiori gialli ad ombrella solitamente con cinque o quindici raggi all’estremità di fusti eretti. I frutti, comunemente ed erroneamente chiamati “semi”, sono acheni oblunghi che si raccolgono tra agosto e fine settembre. Tutte le parti della pianta emanano un odore intenso, dovuto alla presenza di olii essenziali. a via lucana del benessere ci porta robabilmente originaria dell’Asia Minore ma oggi a scoprire una risorsa spontanea diffusa in tutta l’area del Mediterraneo, fin che cresce nella nostra dall’antichità la pianta era nota per scopi terra, il finocchietto selvaalimentari, aromatizzanti e curativi. tico. Non solo consigliata alle puerpere Il finocchio selvatico per favorire la lattazione, era (Foeniculum vulassunta dai gladiatori romani per gare Miller) è accrescere il loro vigore e una pianta coraggio. Nel Medioevo la erbacea perenmedesima proprietà era enfane che nasce tizzata dalla massima “Semen spontaneacum vino sumptum veneris mente sopratmoves actus, atque senes eius tutto nelle gustu juvenescere dicunt” (il regioni del seme del finocchio bevuMediterraneo e to col vino eccita i lungo le coste, piaceri di Venere privilegiando i luoe si dice che ghi soleggiati ed ridesti nei incolti. Il nome deriva vecchi il giodal latino foenum (fieno), vanil vigoin quanto veniva in passato utilizre). I semi zato come foraggio; il secondo del finoctermine (vulgare, ossia comune) chio erano sottolinea l’ampia diffusione della utilizzati pianta. Appartenente alla famiper aromaglia delle Ombelliferae, la specie

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tizzare piatti di maiale o conservare salumi. In epoca medievale è stato coniato il verbo “infinocchiare”, in quanto i tavernieri offrivano ai clienti il gambo di finocchio prima di servire vino di scarsa qualità. Ad oggi l’ortaggio è utilizzato soprattutto del Sud Italia; l’uso è particolarmente diffuso nella nostra r e g i o n e soprattutto nelle preparazioni a base di carne, salsiccia in primis, e pesce, meno in alcuni dolci e conserve di frutta, nonché come componente di liquori tipici. Nel cuore del Pollino ha origine, infatti, il Liquore al Finocchietto selvatico, tipico liquore artigianale lucano, preparato diluendo il finocchietto stesso con acqua, alcol e zucchero a seguito delle fasi di raccolta, selezione e macerazione. I semi di finocchio, in virtù delle loro proprietà aromatiche, sono utilizzati come spezia per insaporire carni grasse. Contengono dal 5 all’8% di olio essenziale, costituito principalmente da trans-anetolo (50-80%), il quale conferisce il tipico odore del frutto, ma anche da estragolo, fencone, pinene e limonene. I frutti contengono, inoltre, flavonoidi (prevalentemente quercetin-3-Obeta-glucuronide, isoquercitrina, rutina, quercetin-3-arabinoside), responsabili prin-


cipali dell’attività antiossidante. La spezia in questione è in grado di migliore la digestione incrementando le secrezioni biliari, oltre a costituire un valido aiuto per ripristinare una flora intestinale ottimale. Contrasta i processi fermentativi dell’intestino crasso e contribuisce all’eliminazione dell’aria che si accumula nello stomaco e nell’intestino, riducendo, di conseguenza, meteorismo e spasmi intestinali. Tali proprietà, note come carmitive, sarebbero da attribuire all’azione eccitante del fencone. Nelle affezioni bronchiali costituisce un valido rimedio quale blando espettorante secretomotorio e secretolitico, favorendo cioè l’eliminazione di muco e microrganismi. L’azione espulsiva è favorita anche dalla capacità del finocchietto di promuovere la contrazione della muscolatura liscia della trachea. Il finocchio risulta attivo nell’equilibrare i livelli degli ormoni femminili, grazie alla presenza dell’anetolo e dei suoi polimeri, dotati di probabili attività estrogeniche. È pertanto utile ed ancora oggi utilizzato nello stimolare la produzione di latte nelle puerpere, nell’alleviare i disturbi pre-ciclo mestruale nonché i sintomi della menopausa. Studi di laboratorio condotti su ratti ipertesi hanno evidenziato che somministrazioni orali dell’estratto acquoso di finocchio possiedono effetti ipotensivi nei confronti della pressione sistolica. Effetto correlato con la proprietà ipotensiva è quello diuretico, in quanto la specie favorisce la produzione di urina. L’azione detossificante fa del finocchietto un ottimo alleato della funzionalità

L’olio essenziale di finocchio è responsabile della gran parte delle proprietà della specie vegetale stessa, di seguito riportate:

epatica. Dal punto di vista nutrizionale, il finocchio è ricco di fibre e sali minerali, soprattutto potassio, calcio e fosforo; di contro è povero di grassi, pertanto particolarmente consigliato nelle diete ipocaloriche. Il contenuto vitaminico significativo costituisce un’ulteriore importante proprietà benefica dell’ortaggio: contiene, infatti, a) vitamina A, essenziale per proteggere la pelle e la vista; b) vitamina B, fondamentale per il corretto funzionamento dell’apparato cardiocircolatorio e del sistema nervoso; c) vitamina C, immunostimolante ed antiossidante.

n conclusione la nostra regione è ricca di una risorsa che cresce spontaneamente, tutta da valorizzare. Ed il finocchietto selvatico è proprio al centro di un progetto che vede la collaborazione tra l’Università di Basilicata ed il CRA-ZOE di Bella Muro, incentrato sulla biodiversità di specie lucane quale patrimonio da valorizzare e sfruttare. Ai ricercatori il compito di indagare sempre più a fondo le proprietà della specie incontrata oggi lungo la via del benessere, a noi consumatori quello di beneficiare degli effetti positivi per la salute umana di cui essa è dotata.

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40 ANNI DI ARCHEOLOGIA IN BASILICATA

L’ OMAGGIO AD ANTONIO

DE SIENA Anna MOLLICA

i sono immagini che si sovrappongono, mai uguali, atteggiamenti, espressioni, aneddoti, esperienze comuni che si sono fissate nella mente e che ritornano di continuo, anche a distanza di anni. Lo sguardo che diviene vago, pensoso, assente. Il bisogno di ascoltare in silenzio brani suonati con il flauto di canne. Il piacere di bere un bicchiere di grappa di prugne mandato dai familiari dalla Romania. Il tutto è unito sempre da un sorriso disarmante che ti accompagna anche nei momenti di un suo imprevisto rifiuto”. Antonio De Siena parla così del suo maestro in un passaggio di “Dinu Adamesteanu. L’uomo e l’archeologo” il catalogo pubblicato nel centenario dalla nascita. Lo ricorda con affetto filiale come fa da anni ogni qual volta si discute di archeologia, richiamo doveroso verso colui che ha nutrito di empirismo la scienza che ricerca il passato. Antonio De Siena lo ha ricordato ancora in occasione dei festeggiamenti che lo scorso 11 febbraio la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Basilicata, la FIDAPA sezione potentina, il Circolo Culturale “Spaventa Filippi”, il Rotary Club Potenza Torre Guevara, il Comune di Potenza hanno organizzato per lui presso il Teatro “Stabile”. Una cerimonia pubblica con la quale colleghi, amici, amministratori hanno omaggiato il dott. De Siena, dal 2009 al 2014 Soprintendente per i Beni Archeologici della

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Basilicata che da quest’anno entra in una nuova fase della sua vita. Una fase che se da un lato lo alleggerisce dagli incarichi lavorativi dall’altra non lo distoglierà certo dalla passione che lo accompagna da sempre. La stessa che lo ha portato prima a laurearsi con il massimo dei voti in Lettere Classiche presso l’Università degli Studi di Lecce con la tesi “La Val d’Agri nel periodo arcaico”, suo relatore il prof. Adamesteanu, poi a specializzarsi in Archeologia presso l’Università di Pisa. Nel 1980 inizia la sua carriera nel Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Viene assegnato alla Soprintendenza Archeologica della Basilicata come responsabile del Museo Archeologico Nazionale di Metaponto, dell’area urbana della colonia greca metapontina e di una parte del territorio della provincia di Matera. Progetta e dirige i lavori di scavo, di restauro, di valorizzazione in un territorio che non delude le attese di chi vuole riscoprire il suo antico volto e che in più occasioni si mostra o durante le continue campagne di scavo o durante la realizzazione di opere pubbliche. Fra tutte, l’oleodotto Viggiano-Taranto e del metanodotto Montesano sulla Marcellana-Brindisi, tra il 1999-2005, dei quali De Siena sovraintende i lavori di scavo archeologico preventivo nel tratto ricadente la provincia di Matera. Emergono siti databili tra il Neolitico e l’Alto Medioevo, tracce dell’antica bonifica agraria del territorio metapontino, numerose strutture rurali e relative necropoli. Ed ancora canali, strade, fattorie d’età greca e romana. E’ un mondo che diventa sempre più articolato man mano che vede la luce. Il dott. De Siena instancabilmente sonda, vaglia, studia, rende noti quei risultati tramite pubblicazioni che spiegano l’occupazione dei territori da parte delle comunità indigene, le forme di insediamento e la frequentazione

della costa jonica nell’Italia meridionale durante le fasi pre e protocoloniali, lo sviluppo urbanistico della colonia greca. Partecipa a convegni, seminari, conferenze lezioni che tiene presso Università e centri culturali italiani ed esteri dove divulga l’antico patrimonio lucano che sorprende sempre per la ricchezza di informazioni ed alimenta l’entusiasmo dell’archeologo che cresce insieme alla sua fama. Arrivano i riconoscimenti: dal 2007 è componente del comitato per la valorizzazione della cultura della Repubblica nel contesto dell’Unione Europea, nel 2008 vince il premio “Il dirupo d’oro per la cultura” a Pisticci e nel 2013 il Premio Heraclea a Policoro. Durante la serata messaggi di stima sono stati espressi da chi ha lavorato e collaborato con lui e che ha ricambiato riconoscendo il prezioso aiuto da loro ricevuto in questi anni di ricerca. Al suo ufficio, poi, a quel gruppo di lavoro sempre generoso, disponibile e sincero ha detto grazie per aver fatto cose meravigliose nonostante le difficoltà. Un video li ha mostrati insieme alle immagini della sua vita personale e professionale. Momenti di gioia e serenità condivisi soprattutto con la sua amata moglie alla quale Antonio De Siena ha rivolto il ringraziamento più grande per averlo sempre capito e sempre sostenuto.


A TRIVIGNO E’ NATA

LA CASA DELLA CULTURA ra le tortuose vie di un paese vi è narrata la sua storia. Ogni pietra calpestata, ogni muro sfiorato sono i testimoni silenti del tempo trascorso tra il vociare di tante persone che in quei piccoli labirinti hanno scandito e scandiscono la loro vita. Trivigno è un borgo dalle antichi origini. Esistente già nel XII secolo si eleva su un’altura di 735 metri s.l.m. da dove domina la valle del Basento. Oggi, come altri centri lucani, risente le conseguenze di un lento esodo che per quanto costante non svilisce la tenacia di chi è convinto che proprio nel recupero della sua storia e del suo patrimonio di conoscenze può trovare la linfa per ripartire. La neonata Casa della Cultura è il punto di inizio di questo percorso. Appassionati di storia locale da tempo si dedicano alla ricerca di tracce che parlano del loro paese in ogni suo aspetto. Fulvio Caporale, già insegnante, scrittore e cantautore, da 50 anni colleziona “indizi” su Trivigno al pari di Vito Luongo, artista laureato all’Accademia delle Belle Arti di Roma, poeta, scenografo, entrambi dediti alla ricerca dei tasselli necessari a ricomporre il mosaico del loro borgo. Oggetti, documenti, opere d’arte, personaggi storici, semplici menzioni, tutti importanti nella ricostruzione di un contesto nel quale poter leggere anche la storia della Basilicata. Oggi quella ricerca è esposta nella mostra dal titolo significativo “Trivigno non muore” allestita presso Palazzo Passarella, antico stabile un tempo sede del tribunale ed oggi diventato, grazie all’Amministrazione Comunale, la “Casa della Cultura”. La mostra inizia con la pietas popolare, con l’esposizione di immagini sacre, tra le quali i bozzetti della Madonna di Trivigno e una Bibbia in latino del XVI secolo. Da lì ci si inoltra in altre stanze dove prende forma la storia contemporanea del paese, dal periodo pre - post

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unitario fino ai giorni nostri. Un atlante borbonico ed una carta geografica del Regno delle due Sicilie datata 1854 inquadrano l’ambito geopolitico immediatamente precedente la fase di transito che definì il destino dell’Italia e quello del suo Meridione. Vi troviamo atti ufficiali emanati contro i briganti, contro chi esprimeva la delusione di un popolo, quello del Sud, a cui erano stati promessi tempi migliori. Si arriva poi alla Prima Guerra Mondiale con i suoi cimeli, le dispute circa l’intervento italiano, e alla Seconda Guerra Mondiale con le toccanti testimonianze della deportazione. Fa effetto la lettera inviata per intercessione della Croce Rossa, da una signora di Trivigno al marito trasferito ad Auschwitz. La missiva, datata 1944 e dettagliatamente compilata, tornò indietro, non fu mai consegnata. E

“La ragazza di Mauthausen” scultura dell’artista Antonio Masini scelta come logo della mostra. In parallelo ai fatti politici l’esposizione presenta la dignitosa quotidianità della gente con gli oggetti della civiltà contadina, ed anche le eccellenze trivignesi come Fabrizio Padula nato qui nel 1861 e morto a Napoli nel 1933. Medico-chirurgo, docente universitario di grande fama è presente in mostra con uno dei suoi trattati di medicina nei quali illustrava egli stesso l’anatomia degli organi interni. Uomo di grande cultura fu anche architetto avendo progettato, tra gli altri, la forma del suo palazzo a Venezia. La storia più recente, invece, restituisce menzioni di Trivigno su fumetti di tiratura nazionale, in canzoni eseguite al Festival di Sanremo ’94 come “I giardini dell’Alhambra” dei Baraonna, gruppo musicale locale, scritta da Fulvio Caporale e vincitrice del Premio della Critica. O ancora in “Napulicch”, canzone che sempre Caporale dedica al suo paese definito “Piccola Napoli” per la sua vivacità e centralità che un tempo aveva nel circondario. Interpretata da Nicola Arigliano fu incisa in 280.000 copie vendute soprattutto negli Stati Uniti. L’esposizione propone inoltre una scultura bronzea di Tommaso Campajola, quadri di Andrea Appiani, Francesco Galante, Minerva Ramirez de la Barra e di Mina Larocca trivignese come Fernanda Serra che ha donato gli antichi arredi insieme alle tante cornici che contornano i documenti. La mostra ha aperto la strada a quello che vuole diventare un museo fruibile da alunni e studenti, da studiosi per seminari o convegni, e dagli stessi trivignesi, residenti e non, che collaborando con ulteriori materiali all’ampliamento di questa roccaforte del sapere assurgono essi stessi a depositari della loro storia. an.mo.

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L'Alba è nuova Con gli occhi della poesia: La Lucania che fu Angela D'Andrea

escrivere un luogo in tutta la sua bellezza non è impresa facile. Spesso per avere una visuale migliore sulle cose è necessario allontanarsi . Così son riuscita a vedere un volto nuovo della mia terra d'origine ,la Basilicata, partendo per lavoro e venendo a conoscenza di una interessante iniziativa , ad opera di appassionati fotografi lucani. Durante il mio tragitto in treno lungo lo stivale , mentre con lo sguardo seguivo la linea nostalgica dell'orizzonte , alla mia mente sono riaffiorati dei versi del poeta lucano Stolfi (letti a proposito dell'iniziativa fotografica): “ la curva dei binari ha rivelato distanze inesplicabili, un paese straniero ti ferisce, con il nome di sillabe pungenti come cardi”. Sì mi sono sentita così, come punta da un cardo ,per aver dovuto lasciare la mia terra in cerca di opportunità ,ma orgogliosa di appartenere ad un luogo fatto di persone e posti fantastici, a molti purtroppo ancora sconosciuti. E' proprio con l' intento di far conoscere la Basilicata e rafforzare il senso di appartenenza e di identità dei lucani ( grandi e piccoli) alla loro terra ,che questi ed altri versi di scrittori lucani hanno ispirato i membri dell' ”Associazione uscite fotografiche “ nel realizzare la mostra fotografica :“Con gli occhi della poesia : la Lucania che fu “ ( esposta dal 19 ottobre al 9 novembre presso il museo archeologico provinciale di

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Potenza nell'ambito della manifestazione “Potenza vintage” organizzata dall'associazione “Io Potentino”, poi esposta dal 17 novembre al 23 Dicembre in alcune scuole secondarie di secondo potentine , in collaborazione con il CIDI Potenza; verrà in seguito esposta nel convento delle Clarisse di Montesarchio nell'ambito della manifestazione “percorsi Caudini” ) La passione per la fotografia e l'attaccamento verso la propria terra ,dal fascino quasi selvaggio, ha portato due anni fa alla nascita del gruppo Facebook “Uscite fotografiche”, grazie all'impegno di Max Di Stasio ,Michele De Bonis, Raffaele Martino e Tina Zappacosta. L'intento era quello di diffondere e far conoscere la ricchezza del territorio lucano e zone limitrofe , attraverso l'uso della fotografia , vista come buon strumento di diffusione culturale nel nostro tempo. Grazie alla crescente passione e al forte spirito di gruppo , nel febbraio 2014 i quattro amministratori del gruppo Fb sono

diventati i soci fondatori dell'”Associazione lucana uscite fotografiche” . Da allora sono nati due progetti espositivi : Tra boschi, borghi e città (esposta a Potenza nell'ambito della manifestazione “ Estate in città... estate nelle contrade”, per evidenziare l'aspetto naturalistico della regione) e “Con gli occhi della poesia : la Lucania che fu”. La mostra “Con gli occhi della poesia : la Lucania che fu “ ha dato la possibilità agli spettatori di fare un tuffo nel passato lungo i tragitti affascinanti della Basilicata di un tempo , attraverso le “ messi di sillabe” dei poeti lucani (Scotellaro, Sinisgalli, Stolfi, Scarano, Parrella, Tagliavini, Pierro, Brindisi, Riviello, Festa, Zaza) e gli scatti impregnati dell'odore di antichi ricordi. Nelle istantanee dei fotografi lucani ( Alessandra Altomonte ,Vincenzo Caputo , Rocco Casaletto, Nicola Cerroni, Francesco Cupersito, Rosaria Daquino, Angelo Daraio, Michele De Bonis , Antonio De Stefano, Antonio Di Pierro , Max di Stasio,

Giuliana Giannotti, Ambra Guarnaccio , Serena Laguardia, Antonio Laraia, Gaetano Mancino, Raffaele Martino, Simona Polese , Beatrice Rienzi, Francesco Romagnano, Canio Sabia, Amina Sansone, Pietro Tancredi, CarolinaVillani, MicheleVolini, Tina Zappacosta) si disegnano le ombre che fanno riemergere la Lucania dei nostri nonni, come su un bassorilievo ,dalle tinte a tratti scure a tratti dorate. E' giusto ora lasciare spazio alla fantasia del lettore, perché incuriosito possa immaginare la mia terra , attraverso un mix di versi, ispiratori della mostra fotografica : il silenzio è in agguato, guardingo come un lupo; le stelle sono basse sul giro dei monti e coglierle potresti ad una ad una sullo slancio di un sogno; ogni spazio è conchiglia dalle cento bocche antiche, spazio che dà fondo alle antiche nenie ,chiama a cori e rituali ; sottani vuoti,sospiri della gente ormai lontana; è gente comune, scura per il sole dei campi, quella che ti offre il pane, che ha il sapore della pioggia e della neve, neve che ricama veli da sposa; giallo d'argilla e ginestre, radici dolci e amare; vento disperato, arcobaleni infranti nel torrente; strade di ciottoli; ineguali le facciate delle case strette al monte; bruschi odori di resine e di foglie; nelle cime degli alberi si impiglia l'estremo grido rosso del tramonto; la luna indifferente scioglie vecchi enigmi, la notte si addensa nel silenzio delle botteghe ,negli antichi gesti delle donne dai rigidi corpetti; uomini avvolti nei mantelli neri sostano nelle piazze; il sole buono ha il passo lento del bue; nei sentieri non si torna indietro, lungo il perire dei tempi l'alba è nuova. L'alba è nuova … Concludo riprendendo gli ultimi versi citati, tratti dalla poesia “Sempre nuova è l'alba” di Scotellaro, come augurio di rinascita per la Lucania che fu e che sarà .

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IL LEGAME TRA L’IO E IL SI IMMERGE NEI RAPPO

ANDREA GALGA

TRA LEOPARDI E P Elisa CASALETTO

ndrea Galgano, poeta e critico letterario, ha iniziato la presentazione del suo libro “Di là delle siepi.Leopardi e Pscoli, tra memoria e nido” nella sua città d’origine Potenza, tra le mura amiche. Nella medesima città si è laureato in Lettere Moderne, con una tesi in letteratura italiana moderna e contemporanea. Attualmente al Polo Psicodinamiche di Prato è docente di letteratura presso la scuola di Psicoterapia Erich Fromm. Per immergerci in quest’appassionante viaggio che l’autore ha fatto con questo saggio, gli ho posto alcune domande.

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Com’è nato questo libro? Il libro nasce dall’elaborazione della mia tesi di laurea della specialistica in letteratura italiana moderna e contemporanea. Come ogni lavoro, racchiude un azzardo e un rischio, non solo perché si confronta con due autori studiatissimi sui quali si potrebbero consultare intere biblioteche, ma perché essi ti costringono a prendere sul serio la tua esperienza. Il saggio condensa un lavoro di sette anni ed è un viaggio nella visio poetica che non lascia mai tranquilli. Di cosa parla? Di là delle siepi procede in parallelo, dal punto di vista filologico ed ermeneutico, sulle linee di questi due autori, come trascrizioni in parallelo e attraverso la testimo-

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MONDO RTI

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ASCOLI nianza di una concezione dell’esistenza in cui il legame tra l’io e il mondo si immerge nei rapporti, con la natura e con la bellezza, con il sogno e con la vita, con la morte ed il dolore. Nella prefazione, Davide Rondoni, parla di amicizia. Essere “amico” di un poeta significa partecipare ai suoi processi interiori e comprenderne la mente e l’anima, percorrendo gli abissi e le alture del loro segreto e del loro mondo immaginale. C’è anzi nel percorso teorico e nell’esperienza poetica di Leopardi e di Pascoli un’apertura nei confronti del reale, in cui il punto di partenza è sempre l’esperienza sensoriale, attraverso la quale l’io si concepisce in azione, in rapporto con l’esterno, come scrive Irene Battaglini nel Preludio al testo: «La struttura del saggio è autoesplicativa: non si parla di vita e opera, ma di opera e vita, non si parla per dualismi, ma per correspondances, in un gioco di intersoggettività alla stregua di goethiane affinità del cuore e della mente». Quali emozioni e nozioni vuoi trasmettere con questo testo? Questo saggio rappresenta l’esito di un’esperienza e intende esplorare la dinamica di sguardo dei due autori che si afferma in una dimensione di malinconia e di vedovanza. La mancanza e l’assenza riguardano sia il rapporto tra uomo e natura sia quello tra uomo e storia. Fanno i conti con la sproporzione della realtà e la disillusione e attestano l’estremo e inesauribile desiderio di felicità. Oggi leggere a approfondire un testo di critica letteraria significa rendere chiaro e ampliare la materia di studio, come supporto valido e imperituro per comprensione di noi stessi. Verso che tipo di lettore è diretto? Verso il lettore che accetta il rischio di essere messo a nudo, scompaginando certezze e studi cristallizzati.

Nella tua esperienza poetica quale influsso hanno esercitato Pascoli e Leopardi? Sono punti di riferimento che fanno i conti con il «Misterio eterno / Dell’esser nostro». Il cuore dell’indagine poetica leopardiana è l’uomo e il suo infinito desiderio di felicità. Leopardi dedica pagine intense e commoventi alla grandezza del cuore umano e dei suoi desideri. Tutta la realtà gli appariva come un limite che quasi giunge a dissolvere questa estremità, ed è nella sublimità del sentire che egli tenta di andare oltre questo limite per cogliere, in definitiva, ciò che gli preme maggiormente. Pascoli, vertiginoso e magnetico, rappresenta icasticamente la condizione esistenziale come una vertigine, appunto, in cui la «grande aspirazione» dell’uomo radicato e proteso è «Un desiderio che non ha parole / v’urge,

tra i ceppi della terra nera / e la raggiante libertà del sole. / Voi vi torcete come chi dispera,/alberi schiavi! Dispergendo al cielo / l’ombra de’ rami lenta e prigioniera, / e movendo con vane orme lo stelo / dentro la terra, sembra che v’accori / un desiderio senza fine anelo». Chiunque scriva poesia deve confrontarsi con questo scavo, che in me diventa una sorta di strana sintesi di ricerca. Poeta, critico letterario e insegnante …cosa vorresti aggiungere alla tua carriera? Creare la gioia, come valore e tremore smisurati di fronte alle cose. La letteratura e la poesia non amano la comodità, ma accettano il rischio di entrare con prepotenza nella vita di ogni giorno, come esperienza di lingua e di dinamica interiore.

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Salvo Sottile a Potenza Per presentare il suo romanzo CRUEL 66

Emanuele PESARINI

ruel, ossia crudele è il titolo del nuovo romanzo scritto dal noto giornalista televisivo siciliano Salvo Sottile, ex conduttore di programmi di successo quali Quinta Colonna e Quarto Grado, oltre che di diverse edizioni del TG5. Attualmente è transitato nel team de La7, sulle cui frequenze conduce il programma di cronaca Linea Gialla. Sottile si forma, professionalmente parlando in Sicilia e si fa strada seguendo le dirette sui grandi processi di mafia e sulle stragi che

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portarono all'uccisione dei mai troppo rimpianti giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Grazie alla giornalista Eva Bonitatibus è stato ospite della Ubik, libreria del centro storico potentino, all'interno della rassegna Gocce d'Autore. Un'occasione davvero ghiotta per scoprire da vicino il suo nuovo lavoro, definito un thriller psicologico e conoscere da vicino non solo il giornalista e scrittore, ma anche l'uomo. Cruel è un romanzo che descrive la vita con quel giusto grado di distacco, necessario per captare l'ambigua ed insesaurible forza del male, attraverso il racconto di vicende in cui tutti i protagonisti coinvolti sono potenziali assassini. A detta dello stesso autore “ si legge nel tempo di un programma televisivo e si incentra su un'enigma che vede coinvolto Mauro Colesani, scapestrato giornalista che pure a suo tempo era stato un brillante professionista, chiamato ad indagare dalla redazione per la quale lavoroa sul caso dell'omicidio di Marta Luci. L'episodio si è verificato a Roma e sulle dinamiche dell'omicidio investigano sia la redazione di Cruel, crime magazine per il quale Colesani collabora, sia un Commissario di Polizia specializzato in omicidi ritualizzati. Come ogni buon caso di cronaca nera che si rispetti, il libro è pervaso da un'atmosfera di mistero che non si presta mai a svaporare del tutto, nemmeno quando seguendo le proprie piste interpretative si crede di essere giunti ad una risoluzione definitiva, capace di porre sul caso la parola fine ''. Il testo di Sottile è “ frutto di anni di esperienza maturata affrontando numerosi casi, quasi mai risolti e , che tuttavia, ne hanno aperti di nuovi che attendono il responso di una sentenza giudiziaria. Sembra essere la prerogativa essenziale della cronaca nera quella di reiterare nel tempo una storia rendendo la verità sfumata e passibile di nuove e molteplici letture ed interpretazioni. Ciò in virtù delle tesi e convinzioni che ciascuno di noi in qualità di lettore o spettatore televisivo elabora e manda avanti con fermezza ed ostinazione, almeno sino a quando nuovi indizi o “ piste interpretative '' smentiscono palesemente quanto creduto sino a quel momento ''. Per l'autore di Cruel “ il male si annida in ciascuno di noi, e rappresenta una forza dalla quale ci sentiamo continuamente attratti da cui allo stesso tempo cerchiamo di distaccarci per non esserne sopraffatti ''; si tratta di quello stessa negatività che accomuna i tanti casi di cronaca nera che Sottile ha avuto modo di raccontare in anni di conduzione televisiva e che ritorna, puntuale, nella trama della vicenda descritta dal giornalista in Cruel. Per Sottile “ l' assenza di una verità definitiva che emerga in maniera netta, chiara e assolutamente certa attraverso le sentenze dei processi giudiziari è legata alla concezione tipicamente italiana di intendere la giustizia, non basata sulla scientificità delle prove

ma su mutevoli indizi di natura psicologica, che rendono una stessa vicenda osservabile dalle più disparate prospettive interpretative. L'interesse nel nostro paese per le vicende giudiziarie è direttamente proporzionale alla ribalta delle cronache assunte dalle vicende di cronaca nera. Se tv e giornali non ne parlano, le stesse indagini delle forze dell'ordine non veng o n o adeguatament e approfondite, mentre accade il contrario quando sui “ casi '' si accende la luce dei riflettori ''. Cruel è un thriller psicologico, costruito attorno ad un incastro di tesi divergenti che spesso si sciolgono come neve al sole e che non sono in grado di svelare quel mistero inesauribile che avvolge le vicende di cronaca nera. Sottile ha impiegato la metafora del treno afferrato e perso, per evidenziare come la verità scivola via proprio nei momenti in cui si crede di averla afferrata solidamente. Inoltre, ha espresso disappunto contro l'imbarbarimento che i massmedia hanno prodotto nei riguardi della cronaca nera, spesso impiegata come antibiotico da adottare ogni qualvolta vi è carenza di nuove idee e si desidera non perdere importanti percentuali di ascolto. Infatti, se non trattata con maestria una vicenda di cronaca nera ha spesso effetti nefasti non solo per il suo esito giudiziario, ma di riflesso anche sulle vite di quanti risultano essere protagonisti o in qualche modo coinvolti al suo interno. “ La crudeltà spesso è nascosta dal bene e non caratterizza unicamente i delitti efferrati, ma anche quelle situazioni della vita quotidiana in cui non sono ammessi compromessi di sorta. Basti citare il caso di quell'uomo, da tutti stimato come persona buona, che precipitò sé stesso e la figlia dall'ottavo piano di una palazzina, per punire l'ex compagna, che aveva rifiutato di provare a ricomporre la precedente relazione coniugale. In quel caso l'uomo ha optato per il suicidio e l'omicidio della figlia, ritenendo questa soluzione come il castigo più grande che potesse infliggere alla ormai ex compagnia: distruggere qualsiasi cosa essi avevano condiviso e costruito insieme. La storia di Cruel, che ciascun lettore potrà, identificandosi con questo o quel personaggio, leggere secondo la propria pista

interpretativa è ambientata in una redazione giornalistica, descritta con assoluta veridicità e trasparenza, per risaltare il lavoro che vi è dietro e quella passione che spinge chi ama il proprio mestiere a cercare di arrivare prima degli altri sulla notizia o spesso un semplice dettaglio, che spesso è la chiave di lettura più adatta per risolvere i casi più emblematici ed intriganti ''. Sottile ha anche ribadito la crisi di verità che serpeggia nell'odierna società dell'informazione, che investe non solo tv e giornali a caccia di scoop sensazionalistici in grado di fare audience, ma anche la coscienza di tanti lettori e spettatori che non esigono più che chi informa verifichi accuratamente l'autenticità delle fonti e spinga alla riflessione, ponendosi e ponendo i giusti interrogativi. Cruel è un romanzo con il quale l'autore ha cercato di disintossicarsi dalle tossine di anni spesi in lavori di ricostruzione ed inchieste di cronaca nera, non negando ad esempio “ che non ho ancora capito effettivamente come sia morta Sara Scazzi, né che molte vicende non conosceranno una sentenza giudiziaria prima dei 10, 15 anni ''. Un pensiero anche sul fenomeno mafioso, che Sottile ha indagato nei primi anni di carriera “ Ai tempi delle stragi di Capaci e Via D'Amelio, si conoscevano i capi di Cosa Nostra, i loro affari e il loro modo di agire. Oggi la mafia è tornata all'antico, rinverdendo quella tendenza ad agire di nascosto e in silenzio. A non far rumore. La conseguenza è che non si conoscono i nuovi comandanti né è semplice mettersi sulle loro tracce . Un fenomeno insomma, che sta riaffiorando nella sua originaria e sottile fisionomia, non certo inferiore rispetto agli anni stragisti in ferocia e crudeltà. In una parola Cruel ''

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T R A L E R I G H E

L’INVENZIONE DELL’AMORE PROIBITO LA FIAVOLA DI ANNA TERLIMBACCO iola è una bella giovane donna che vive nel mondo di Esistenza con la sua famiglia, con i suoi sogni, le sue tante speranze. Questo è un luogo “altro” dove vivono personaggi insoliti nell’aspetto ma straordinariamente umanizzati, con indoli proprie e proprie attività. Insieme ruotano intorno alla commovente storia di Viola. La troviamo narrata ne L’invenzione dell’amore proibito (Caosfera Edizioni) l’ultimo lavoro letterario con cui Anna Terlimbacco, originaria di Miglionico (MT), propone un dolce racconto che si colora delle opposte tinte dell’amore. Amore che Viola prova per Archetto, sentimento del tutto inaspettato che la sorprende per la rapidità con cui entra nel suo cuore. Lui è un nobile ed elegante strumento musicale con cui la ragazza trova subito gli accordi nell’Orchestra che è anche quella della vita. Due innamorati che il destino mette di fronte, decisi a suonare la stessa musica che si completa ed esalta con le loro diversità. Due cuori a proprio modo increduli nel comporre giorno dopo giorno quell’unico spartito che Viola spera non finisca mai. Una fiavola, così definisce Anna Terlimbacco questa storia in cui personaggi fantastici, tradizione popolare e realtà convivono in un mosaico di elementi dove un insegnamento c’è e può celarsi anche dietro la disillusione. E’ un variopinto caleidoscopio in cui stili letterari diversi si concatenano e si rincorrono nel fluire di una narrazione originale nelle

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I suoi capelli ormai da tempo li lavava la pioggia, li asciugava il sole e li pettinava il vento. Spiava il mondo da quella feritoia sul suo cuore. Un foglio strappato in mille pezzi e oltre, e soffiato via. Ecco, così si sentiva. Anna Terlimbacco

immagini e nei contenuti. Una fusione che ad ogni modo lascia distinti i soggetti dando ampio spazio all’immaginazione in un gioco di connotazioni e rimandi. Come succede con Bianca, Vento, Febe, mamma Viola, papà Basso, personaggi presenti, insieme ad altri, nel testo con le loro caratteristiche ed esperienze. E poi ci sono i luoghi, laghi, monti, boschi che diventano anche nei nomi riproduzioni di stati d’animo dove ritrovarsi, cercare,

riflettere. L’autrice in questa sua personalissima forma di espressione proietta e sintetizza i tanti interessi artistici che da sempre coltiva. Li racchiude in questa tenera storia dove l’amore, la più bella invenzione dell’uomo, è dipinta come un’arte sublime che ci ridisegna ogni volta con il più nobile dei sentimenti, tanto forte quanto delicato, tanto aspettato quanto temuto. an.mo.


ATLANTE IMMAGINARIO

IL LIBRO DI GIUSEPPE LUPO a precisione e l’imprecisione del pensiero umano qui si completano. Scienza esatta e immaginazione si intrecciano in attente valutazioni con cui si esamina la realtà con gli occhi di chi vuole sempre guardare oltre l’apparenza. Atlante immaginario. Nomi e luoghi di una geografia fantasma (Marsilio Editore) è il saggio attraverso cui Giuseppe Lupo, docente di Letteratura Italiana Contemporanea presso l’Università Cattolica di Milano e di Brescia, si incammina per le affascinanti ed intriganti strade dell’intelletto. Lucano di Atella, autore di diversi romanzi e saggi, Quasi sempre pensiamo agli quest’ultima opera è la raccolta di atlanti come a cataloghi un’omonima rubristampati per riprodurre in ca domenicale pubblicata sul quoscala luoghi concreti […]. tidiano Avvenire In verità, dimentichiamo che tra il 2012 e il 2013. Si tratta di non sono soltanto repertori una cinquantina di scritti contenenti geografici utili a dichiarare considerazioni che com’è il mondo, ma anche l’autore fa partendo dalla cronaca, a immaginarlo, vero dalla Storia e dalla o presunto che sia, Geografia. Fatti, abitudini, tradizioa sognare orizzonti ni, eventi e luoghi che hanno stabilito o percepire un altrove quel connubio conche avrei voluto creto lungo cui si è snodato e si snoda (o vorrei ancora) conoscere. il corso di tantissiGiuseppe Lupo me vite. Ma anche fittizio che ha consentito all’uomo di supporre, immaginare, teorizzare. Di lavorare con la fantasia per ricreare paradigmi nuovi dove formare una realtà altra descritta oralmente o raffigurata su roccia e millenni dopo su fogli di carta. In questa realtà dove tutto diventa possibile l’utopia si avvera. Nuove terre diventano lo sfondo di inedite storie entro cui alternare l’incalzare degli eventi o il loro fluido scorrere, e nelle quali ripararsi dagli affanni della vita reale. Mondi dove

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le periferie diventano centro, gli umili si elevano, la natura si rimodella insidiando l’impero della onnipresente modernità che qui scricchiola. Che letteralmente vivono nei libri in un presente che ha già scritto il suo futuro e nel quale progetti e speranze si sono compiuti. “A me piace credere che la letteratura non sia cronaca e che i romanzi non certifichino il presente. A me piace l’idea che i libri siano il resoconto di luoghi sognati” dichiara l’autore per il quale i libri sono destinati a viaggiare come i messaggi inseriti in bottiglie e lanciati in mare verso destini ignoti. In questi scritti, dai toni a volte interrogativi, a volte romanticamente nostalgici, Giuseppe Lupo torna spesso ai suoi ricordi d’infanzia. A quell’età della spensieratezza dove il suo fantasticare si univa a quello degli anziani anche loro creatori di racconti e di stili. Alle sue continue riflessioni con lo sguardo rivolto alle finestre, porte d’accesso per stazioni remote a bordo di treni immaginari che toccano città note o tutte ancora da scoprire. E lui “sognatore di viaggi più che vero viaggiatore”, parte accompagnato idealmente da autori del passato o suoi contemporanei anche lucani che ugualmente hanno scritto ed ideato, andando spesso controcorrente, quella geografia parallela e quel particolare linguaggio entro cui inserire e spiegare il mistero della vita che come dice Lupo: “sceglie, per manifestare il suo trionfo, sentieri tortuosi e segni indecifrabili”. an.mo.

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D O L C E & S A L ATO

IL FUTURO È TRADIZIONE! Carla MESSINA

en trovati , il titolo di questo pezzo racchiude in se il senso di una evidente realtà in cui sempre più spesso ci imbattiamo, prendendo spunto dalla nota vicenda che ha visto coinvolto il noto chef Carlo Cracco , in tempi non sospetti con il comune di Amatrice, patria della meravigliosa amatriciana, della quale lui ha dato una personalissima interpretazione, spacciandola per tradizionale e che ha visto

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insorgere in modo furibondo l’intera comunità di Amatrice che si è vista in un attimo non solo violentata nella peculiarità della sua prelibatezza ma anche defraudata da un messaggio poco attinente al dato storico “tradizionale” della ricetta, a poco o nulla sono valsi i tentativi dello chef pluri stellato che ha motivato la sua scelta come un’iniziativa del tutto personale, dettata dal piacere più che dalla tradizione, ovviamente una gaffe di questa portata da parte di uno chef che viene visto come un ambasciatore della cucina Italiana nel mondo non può essere perdonata tanto più se l’errore, anziché essere ammesso, viene camuffato come una “scelta” personale. Certo in un’epoca in cui la cucina viene sempre più spettacolarizzata e tutti si sentono un po’ chef diventa difficile scindere l’aspetto umano dettato dal gusto dalle imposizioni che il tempo e soprattutto le tradizioni impongono, dico questo perché oggi in un momento in cui l’esasperazione

delle cucina e soprattutto del ruolo del cuoco viene vissuta come l’apice di uno status sociale diventa effimero qualsiasi tipo di pensiero o idea in merito, : “diciamo la verità infondo siamo tutti grandi chef e soprattutto siamo tutti troppo bravi per il popolino che vive il cibo come una necessità/abitudine e non come passione di vita, ed ecco quindi scatenarsi l’irrefrenabile impulso d’imporre la nostra idea, la nostra ricetta la nostra tradizione, ma da dove parte la megalomania e soprattutto dove conduce? Ci sono i cosi detti grandi chef che si arrogano il diritto di giudicare, sentenziare sul lavoro di altrettanto bravi colleghi, che sono un po’ meno telegenici e che invece di fare masterchef, o la prova del cuoco o qualsiasi altra trasmissione, li trovi a lavorare nei ristoranti o alberghi, ma che nessuno lo dica….non è li che devono stare….roba da pazzi sporcarsi le mani e cucinare, ma che lo facciano gli altri, io faccio lo ”chef”!!! Parlano di metodi di cottu-


GIÀ ra, di alimentazione sana, di cucina molecolare ed intanto impongono regole del tutto personali e fini a loro stessi e questo per naturale conseguenza, in quanto tutto è dettato dal gusto, dalla terra in cui ti trovi, dalle condizioni ambientali, avete mai parlato di alta cucina a chi a pranzo deve baciare a terra se ha un piatto di riso…non credo avrebbe grande interesse. Nell’ anno dell’ expo2015, dedicato all’alimentazione, in cui una carte mondiale sulla nutrizione e l’alimentazione verrà redatta mi auguro che si riesca realmente a regolarizzare o meglio a dare delle linee guide anche in materia di etica, ovviamente addentrarsi ulteriormente in questo campo ci porterebbe a perdere di vista la condizione di partenza, ogni tanto bisognerebbe ricordarsi che i cuochi per eccellenza sono è sempre saranno le mamme e le nonne e tutti quelli che da sempre si preoccupano di alimentare i propri cari, è li che nasce la tradizione, è li che nascono i metodi di cottura, è li che nascono le idee rivoluzionarie ed innovative della cucina, poi e soltanto poi…. ci sono i “grandi chef”. Non me ne vogliano i professionisti del settore, anzi è proprio perché conosco la loro realtà che so che in un’epoca di food blogger ed appassionati vari ed eventuali, essere un professionista serio è sempre più difficile, si parla di tradizione e non ci si accorge che spesso la tradizione la facciamo noi con consuetudini ed abitudini che rendono l’innovazione un elemento peculiare tipico e tradizionale, vi porto un esempio concreto in rapporto alla nostra Regione, la Basilicata: la così detta pasta con la mollica, piatto tradizionale, rinomato e riconosciuto ovunque, fatto spesso con pasta fatta in casa nello specifico i “ferretti”, pasta tipica dalla forma allungata e realizzati con un ferro, questa ricetta in realtà porta con se un vero è proprio bagaglio di esperienza e di necessità diverse dettate dalla condizione della popolazione, la particolarità sta nel fatto che oggi anche a noi

La ricetta... Fusilli Mollicati Ingredienti: Pane casereccio raffermo, aglio, prezzemolo, peperone rosso di Senise, peperoncino, olio extra vergine d’oliva, cacio ricotta grattugiato, fusilli fatti a mano (ferretti) sale qb Procedimento: In una padella a bordo alto incorporate dell’olio extra vergine d’oliva, mettete dell’aglio tagliato finemente ed un trito di prezzemolo, intanto a parte vi sarete preoccupati di grattare il pane, soprattutto la mollica, quando la padella inizia a sfregolare incorporate la mollica lasciandola cuocere fino a farla diventare croccante, nel mentre incorporate anche un trito di peperoni cruschi che vi sarete preoccupati di friggere prima per poi tritarli ed incorporarli alla mollica, amalgamate il tutto, aggiustate di sale e lasciate riposare un poco, nel mentre avrete posto sul fuoco una pentola con l’acqua per la pasta, una volta venuta ad ebollizione calate i “Ferretti” fusilli, i quali essendo pasta fresca non dovranno cuocere tanto, una volta cotti, scolate e versate i fusilli nella padella dove c’è la mollica, amalgamate il tutto ed irrorate con un’abbondante manciata di cacio ricotta fresco grattugiato. Buon Appetito.

Lucani di versioni di pasta con la mollica ne arrivano diverse ed ognuna è diversa dall’altra ma anche da se stessa, il dato determinante è che di qualsiasi di esse si parli, sono oggi tutte figlie della tradizione, anche quella moderna. “La ricetta storica, quella delle origini era una delle preparazioni lucane più povere, tra quelle che riguardano la pasta. Si prepara facendo soffriggere in una padella con olio extravergine d'oliva (e un poco di strutto) della cipolla tritata, bagnata con poco vino rosso. A questo fondo si aggiungerà un pomodoro a pezzi, e il tutto andrà fatto cuocere a fuoco vivo per alcuni minuti. Successivamente si aggiungerà nella padella della mollica e della corteccia sbriciolata di pane raffermo, che andrà fatta cuocere per circa quindici minuti a fuoco vivo. Si scolerà quindi la pasta già salata (solitamente ferretti) e la si salterà in padella insieme a una buona quantità di cacioricotta. Il piatto fumante andrà infine condito con altro cacioricotta fresco, e olio di peperoncino piccante, quindi portato in tavola.” In molti in questo momento avranno un sussulto, pensando : ma non è questa la

ricetta!!! Invece si!!! Il fatto è che oltre a questa la Basilicata ne vanta almeno un altro paio di versioni di pasta con la mollica che sono figlie di questa, ma che in realtà in comune con questa hanno solo la mollica del pane, questo perché l’inventiva, il gusto e soprattutto il territorio ha saputo dare diverse letture e quindi versioni di un piatto che porta lo stesso nome ma che è diverso da se stesso, tuttavia ugualmente Lucano, ugualmente tradizionale, ugualmente figlio di un territorio povero che ha fatto dei suoi prodotti il suo punto di forza, di versioni ripeto, di fusilli mollicati ne abbiamo diverse ma quella forse più conosciuta è quella che oltre al pane raffermo vede come protagonista anche il formidabile peperone rosso di Senise, il quale amalgamato con gli altri ingredienti regala un’esperienza sensoriale più unica che rara. Per tanto il mio pensiero va a quanti pensano di saperne qualcosa in più, il cibo è un’esperienza tutta da scoprire e l’unico vero maestro che delinea le linee guida di un percorso è solo il gusto: diceva un vecchio detto Lucano:” Addù gne gust’ nu gne perdenza”!!! (dove c’è il gusto non si perde nulla)…Buon Gusto a Tutti!!!

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“I RIFERIMENT POTREBBERO LUOGHI O PE

Arsenio D’AMATO

l mio soggiorno è proseguito leggendo una decina di libri in contemporanea, costume che mi tormenta da sempre, ma che mi fa sognare. Un libro sogna. Il libro è l’unico oggetto inanimato che possa avere sogni. Quando sono solo, amo leggere più di ogni altra cosa. Ora, per esempio, sono le 15:00, il sole brucia la pelle ed io me ne sto seduto con la schiena appoggiata ai vetri esterni, ad aspettare di ustionarmi. Ho sulle ginocchia un vecchio libro, trovato sulla mensola dell’ingresso. “Un libro molto intenso e triste, ben scritto. Peccato che l'autore non abbia continuato a scrivere”. Così c’è scritto a matita sul retro. Parla di minacce, intimidazioni, soprusi, ricatti, pestaggi. È ambientato negli Stati Uniti. Cerco sul web e scopro che Hunter Evan, autore de Il seme della violenza che ho fra le mani, è “lucano”. Evan Hunter, ovvero Salvatore Alberto Lombino, era originario proprio di Ruvo del Monte. Resetto. Guardo meglio su altri siti. Ho il timore che la mia sia suggestione. Ma non lo è, “sulle ali dello spirito santo”, leggo che: “Era originario di Ruvo Del Monte l’autore del film di Hitchcock fra i più terrificanti della storia del Cinema. Evan Hunter o ancora Ed McBain sono solo alcuni degli pseudonimi con i quali firmava i suoi romanzi, soprattutto polizieschi. Con questi due pseudonimi, ma non soltanto con questi, Salvatore Alberto Lombino firmò molte delle sue opere. Ma le sue origini affondano nell’Appennino lucano. I genitori partirono nel 1900 da Ruvo del

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Monte alla volta di New York City, dove lo scrittore nacque il 15 ottobre 1926. Nel 1952 aveva ottenuto l'autorizzazione a cambiare il proprio nome in Ed McBain, perché, sosteneva, “con quel nome italiano chi mai avrebbe pubblicato i suoi romanzi?” Centinaia sono i romanzi pubblicati, e molte sono le sceneggiature, firmate non solo con lo pseudonimo Evan Hunter. Quello di Ed McBain è ad esempio la firma della sua vasta produzione poliziesca. Fra gli altri pseudonimi usati figurano anche Richard Marsten, Hunt Collins, Ezra Hannon e Curt Cannon. È con Evan Hunter che ha siglato quelli che sono probabilmente i suoi romanzi di maggiore impegno: “Il seme della violenza” (The blackboard Jungle, del 1954) da cui l’omonimo film, e la sceneggiatura originale del film “Gli uccelli”. Si può dunque affermare che il film fra i più raccapriccianti di Hitchcock, e della storia del Cinema, ha un cuore dalle radici lucane”. Chiedo a zi’ Peppo e lui: «uaglio’, quisti so’ pàisi di pazzi, bevitori, mistificatori e bugiardi e qualcheduno buono ha avuto origine pure da Rùvë! Che ti credi». A Sant’Arsenio non possono capire, e nemmeno a Potenza o a Matera, perché la loro è una cultura nichilistica. Non hanno visionari come zi’ Peppo o Vinicio, ma solo analisti nei loro fottuti cervelli. Il mio soggiorno, chiaramente, continua, fra alti e bassi, alture e pianure, acuti e contrabassi. Ho la netta sensazione di essere stato buono con la vita, per quanto cattivo possa essere stata spesso verso me stesso. Sto

Le vicende e gli eventi raccontati in questa storia sono di pura fantasia ed i riferimenti a personaggi e realmente esistiti, o fatti veramente accaduti, hanno esclusiva funzione narrativa.

perdendo tutti i treni in un evento che li invoca. Mi perdo spettacoli e mi perdo Vinicio, ma non mi perdo d'animo, che nel vecchio ho una buona compagnia anche se non facciamo coppia fissa. Incontro, casualmente, anche Franco Bassi e Chicco Salimbeni. Quello del Fuori Orario, che ha lasciato dopo vent'anni con un libro e colui che quel libro, in pubblico, lo legge. Che di mestiere fa l'attore. Li ri-conosco, che li leggo su Facebook, ci scambio qualche battuta a conferma che, mentre Vinicio, fra timidezza e ragione, persevera nel suo impacciato modo di porsi - disponibile, ma scostante il giusto - io non so più se vado in


TI A FATTI, LUOGHI O PERSONE O ESSERE RIFERIMENTI A FATTI, ERSONE”.

Terza Parte

CRISTIANO CAVINA - UN'ULTIMA STAGIONE DA ESORDIENTI [MARCOS Y MARCOS]

giro appresso a lui o allo stuolo ramificato dei suoi vari complici. Ero venuto per una cosa e ne ho trovata un’altra, ma non mi lamento. Anzi. Spero solo di poter incontrare, vis a vis, Capossela. Per stringergli la mano, almeno. Per dirgli di un mio progetto e per nutrirmi, anche solo per un attimo della sua energia. Lui ha acceso le luci in un paese che, anche se più grosso di Ruvo, non ha nulla in più. Anzi ha un zi’ Peppo in meno. Si in meno, che nella notte fra il 28 e il 29 agosto, nel mentre mi dividevo fra il Gigante e il Mago, medicine man tra frontiera e burlesque, cucine d’amore e separazione, un ictus ha rapito Giuseppe Grieco, alias

Peppo re Rùvë. Stasera sono solo in una casa vuota. Apro una bottiglia di "Stringitùr". Non è male. Di andare a Calitri non se ne parla. Andrò al bar a chiedere notizie. Zi’ Peppo è grave, ma non è morto. In questa sera da lupi sento il mio mondo alla deriva come non l’ho mai sentito. Fuori il vento ulula come, per gioco, faceva il mio amico nei boschi. Bevo un altro sorso di vino e penso che sto facendo cose che non ho fatto mai. Parlo da solo, leggo ad alta voce e canto camminando nella stanza polverosa. Ho anche la netta sensazione che il vino pigramente disidrati con l’alcol i pensieri, apra le porte della percezione e renda inutile ogni delucidazione. Mi sento come Vinicio Capossela sul palco, perfettamente a mio agio. Mi metto pure un vecchio cappello che mi fa sembrare un mezzo mafioso. La bottiglia è vuota. Non canto più, ma arroto parole sempre più solenni, sono trafitto da un raggio di epos, in mezzo al niente. E al disopra di tutto sento che, a parte zi’ Peppo, non mi manca niente. Il mio secondo lavoro è scrivere, ma è fatica che non mi porta guadagno. Che sforzo, però, raccogliere parole da terra e impilarle nei racconti. Ma forse è un vizio. Che scrivo perché devo. Quasi per mestiere, che l’ho promesso ad Albina, ma sento che se non opponessi resistenza l’ebbrezza, “sulle ali dello spirito santo”, mi porterebbe pacatamente alla quiete. Ho fatto una sudata tremenda e non desidero altro che mettermi a mollo nell'acqua tiepida e lasciare che l'alcol esca fuori fino all'ultimo

residuo. Riempio la vasca. Il rumore dell'acqua che sgorga dal rubinetto comincia a ingombrarmi, come un martello, la testa, spaventandomi, come se anch'io rischiassi di scorrer via. Fanculo anche al bagno. È sabato, l’attesa è finita. Stasera canta Capossela, ma qualcuno ha tirato le cuoia, come si diceva nel vecchio west. Sono andato al bar a fare colazione e, sulla bacheca delle affissioni pubbliche, ho letto il manifesto funebre che copriva parzialmente quello di un recente concerto di Luca Carboni. “Giuseppe Grieco di anni 72. Ne danno il triste annunzio i figli, la moglie e i nipoti tutti”. Me compreso, ho pensato. All’ultimo giro per Ruvo del Monte, prima di andare a Calitri, ho visto, davanti al bar, una mezza dozzina di vecchi, rugosi, rancorosi, avvelenati, sospettosi lupi di montagna. Non dicono nulla, ma i loro occhi dicono tutto. Guardano i riflessi del sole attraverso le crepe degli sguardi. Chissà quali pensieri abissali, chissà quali storie, quali reminiscenze, quali visioni. Chissà quanti di questi saranno parenti alla lontana di Evan Hunter, ovvero Ed McBain, ovvero Salvatore Lombino, un misconosciuto orgoglio lucano. A Calitri consegno una lettera a Vinicio, ma lui mi dice che non è certo che la leggerà. Una persona meravigliosamente semplice e complicata nella sua estrema sensibilità. Per delusione o per emozione non riesco a sostenere il suo sguardo. Saluto Maria che è convinta di non avermi visto troppo in giro poiché in buona compagnia a Ruvo. E faccio

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LOOKANIA

in tempo a sentire Capossela, al New Poldo’s bar, di fronte al punto pizza, che, forse, sta rilasciando un’intervista a Gianni Mura di Repubblica: "…pare che i Capossela, pastai di professione, siano arrivati a Calitri da Caposele, dove nasce il Sele che toglie la sete alla Puglia. Mia madre è di Andretta, un paese più piccolo e arroccato. Senza scomodare Omero e l'Odissea, sono cresciuto tra Hannover e Scandiano ascoltando madri, zie, nonne evocare l'Alta Irpinia, i rituali della civiltà contadina, le canzoni e i soprannomi, le masciare e i briganti". Canterà Il treno? allo Sponz? "Forse sì. Ogni volta che la sente mio padre si commuove". Senza parentele, pure io. "Essendo materiale commovente, è una canzone da usare con precauzione". Saluto e ri-parto. In lontananza, nella breve pioggia di fine estate, guardo il posto vuoto al mio fianco e, “sulle ali dello spirito santo”, ri-trovo la mia solitudine. Mi manca chi, facendomi perdere tempo, mi ha stordito con raffiche di lamentazioni, meditazioni o proverbi sapienziali. Ormai me ne posso inebriare del solo ricordo. Pazienza. Pazienza e silenzio. Silenzio. Silenzio e dolore. Lascio l’Alta Irpinia. Le colline, la campagna, i borghi arroccati, le pale eoliche disseminate e le miriadi di stelle nei cieli notturni. Un viaggio in una R4 è ben lontano dall’essere quel malagevole e austero andare, quella scomodità spartana Ne varietur che si crede dapprima dovere affrontare. Mi compiaccio nel cambiare le quattro marce col cambio

con la caratteristica leva sul cruscotto. Torno a inserire, come a vent’anni, la terza col gomito destro. Mi allontano da questo posto, che ho afferrato, ma non trattenuto. Immagino Vinicio, sotto questo stesso cielo, a caccia del suo demone meridiano, lungo i sentieri della Cupa. Per contrasto, contrappasso e soprammercato, quasi mi vergogno dell’andamento tetro e lamentoso che i miei pensieri hanno assunto nelle ultime ore. Nella R4 bianca niente tristezza. Niente malinconia. Anche se col bianco non si scherza, che niente è più terribile di questo colore: una volta separato dal bene… Torno a casa con tanti ricordi rubati. Flashback che mi ronzano davanti e mi riportano al gusto incancellabile dei giorni passati fra lo Sponz e Ruvo del Monte, in una terra che sta all’incrocio fra tre diverse regioni, Campania, Puglia e Basilicata. E, come Chicco Salimbeni ha scritto su Facebook, vedo Vinicio, alla guida della sua auto non convenzionale, che zigzaga pigramente, al suo ritmo, sulla strada per Calitri, con al fianco Vito, suo padre. Come Chicco non li ho voluti sorpassare, malgrado la velocità da crociera che avevano, perché mi sembrava di profanare una loro intimità. Da una parte Vinicio, col cappello bianco, che si volta, spesso, verso Vito e alza il braccio per parlare, per spiegarsi, e dall’altra suo padre pressoché immobile, che occupa molto meno spazio del figlio. Ma da dietro, da quel poco che non è coperto dai sedili, l’affetto e l’intesa spiccano vividi, come il colore di

questa vecchia Mercedes, bianco pecora, che sembra stata fatta apposta per lui. Grande Vinicio, visionario senza vie di mezzo, capace di aggregare attorno a sé amici e curiosi, artisti, validi organizzatori e scopiazzatori di post che finiscono, poi, col darsi del tu... Non ho seguito il concerto apoteosi per una forma di rispetto verso chi mi ha dato gratuitamente tanto. Ma tornerò, che il risultato, è stato una primavera di pollini d’arte che si sono incontrati, tra i tempi a volte dilatati e a volte compressi degli eventi. Ho avuto la fortuna di capitarci, e ringrazio zi’ Peppo re Rùvë per avermi trascinato via da quel turbine a una periferia, che è diventata epicentro di un mondo che non ha avuto più bisogno di una centralità per fabbricarsi qualcosa attorno. Per avermi fatto orbitare, “sulle ali dello spirito santo”, attorno a un'enorme ciambella celeste senza mai toccare il freno. Chiamo Teresa per dirle che le chiavi della casetta le ho io. Il telefono è spento. Vabbe'. Riprovo. Nulla. Le mando un messaggio: “Tere’, purtroppo, il tizio che mi ha aperto le porte della percezione e quella dell'abitazione è morto. Peccato era un brav’uomo. Te ne devo parlare urgentemente. Non ci crederai, ma lo piango come un familiare”. Sono quasi a casa quando ricevo un sms. È Teresa: "tienile tu le chiavi. Me le darai al mio ritorno. Sono a Ruvo del Monte. Quel tizio era mio padre". O.S.T. Dimmi Tiresia – Vinicio Capossela


Anno IX numero 3/4

VULTUR VITTORIA DI RIGORE


sommario 76 Aniello Cozzolino Lascia il calcio giocato

78 La Vultur vince la Coppa Italia

ANIE COZZ

append al chiod Marianna FIGLIUOLO

a vita all’improvviso cambia i tuoi programmi. Giuste o sbagliate che siano, le decisioni ti mettono davanti alla consapevolezza che dal giorno dopo tutto cambierà. La stessa cosa è capitata ad Aniello Cozzolino che ha deciso di abbandonare il calcio per motivi di lavoro. In questa intervista racconta la sua storia.

L 82 Le ambizioni della Sinus Pattinomania Matera

Chi è Aniello Cozzolino oggi? Oggi Aniello è innanzitutto un marito ed un padre presente e che lavora tanto per dare il meglio di sé alla sua famiglia. A che età hai cominciato a giocare a calcio? Come è nata questa passione? Ho iniziato fin da piccolissimo, a soli cinque anni, seguendo la passione di mio padre che per anni ha giocato a Ghhenausen, cittadinanza tedesca che militava in serie C.

84 Anna Bochicchio bodybuilding e femminilità Lucano

La prima squadra in cui hai giocato? Ho mosso i primi passi nella Libertas Vesuvio Ercolano fino a raggiungere l’eccellenza con l’ercolanese. A seguire, in Campania : Villa Literno, Succivo, Acerrana, Recale. In Molise: Petacciato e Frosolone ed infine


LLO ZOLINO e gli scarpini o ho bazzicato parecchio in Basilicata, ho cominciato a Pisticci, passando poi per Ferrandina, Rionero, Pietragalla, Viaggiano ed infine sono arrivato a Picerno. Sei ritornato nel Picerno dopo un anno di assenza? Si, sono tornato a Picerno con molto entusiasmo, trovando un gruppo, molto probabilmente unico nella mia carriera, dai giocatori alla dirigenza, agli ultras, anzi colgo l’occasione per salutare tutti. Come mai allora hai deciso di lasciare la squadra e dire “addio” al calcio? Tutto è capitato all’improvviso, mi si è presentata una opportunità di lavoro irrinunciabile che mi ha costretto a lasciare il calcio, non avevo più tempo per i tanti allenamenti settimanali. Appare scontato dirlo, ma non è stato semplice prendere questa decisione, visto che il calcio è sempre stato la mia vita, mi ha fatto crescere, disperare ma anche tanto emozionare. Purtroppo bisogna fare delle scelte. Hai già una figlia ed un maschietto pare sia in arrivo, desideri che da grande intraprenda la tua stessa strada, che prenda magari proprio il tuo posto nel Picerno? Il mio posto no, perché spero prima o poi di tornare a dare il mio contributo alla squadra, qualora riuscissi a ritagliare più spazi da poter dedicare a questa grande passione e anche perché mi auguro si che lui possa seguire la mia strada, ma che lo

faccia in categorie superiori. La femminuccia invece, sembra abbia il mio stesso sinistro, ma la sogno ballerina. Ormai sei un veterano, quali sono allora, secondo te, le qualità che un buon giocatore dovrebbe avere? Quanto è importante il gioco di squadra? Deve sicuramente avere qualità tecniche e tattiche, ma non basta, in campo bisogna saper fare gruppo ed essere determinati. Il gioco di squadra è infatti il primo punto in assoluto per svolgere bene il proprio lavoro. 8) Il più grande giocatore nella storia del calcio chi è stato? Da tifoso del Napoli direi Maradona, ma devo ammettere che non è così, un buon giocatore deve essere un bravo uomo soprattutto fuori dal campo e lui forse non lo è stato. Per concludere cosa pensi del calcio italiano? Credo che il calcio italiano vada sicuramente un po’ “rivisitato”. In un periodo di crisi profonda come quello che sta attraversando l’Italia non ci si può permettere uno spreco esagerato di soldi. Per quanto queste parole dette da me (che amo il calcio) possano “suonare” strane, credo fermamente che è ingiusta una differenza così abissale tra un medico che può salvarci la vita ed un calciatore che gioca a pallone. Grazie per la disponibilità ed in bocca al lupo.

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S P O R T- I N G

Coppa Italia Basilicata

Una vittoria dal s Antonio CROGLIA

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iamo oramai giunti al 17° rigore e il punteggio, dopo lo zero a zero dei tempi supplementari, è ancora in parità, ma siamo alle ultime battute. Da centrocampo parte il giovane Giuseppe Lamorte, che al 6’ del primo tempo supplementare aveva rilevato l’infortunato Luigi Pietragalla. Un segno del destino? Forse si, perché aveva preso il posto del “C”apitano. Arriva sul dischetto, si aggiusta la palla, breve rincorsa, palla a destra e portiere a sinistra. “Purtroppo ero rimasto solo io -ci ha detto- avevo paura, ma ho fatto un sospiro e sono andato”, non sono momen-

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ti facili questi, perché l’errore può costare caro. Nella mente passano tante cose: “Ho pensato a una frase di Roberto Baggio. I rigori li sbaglia solo chi ha il coraggio di tirarli. Quindi sono andato senza timori, ho pensato come metterla dentro, ho deciso di fare un piccola finta e aspettare il movimento del portiere per poi spiazzarlo. Per fortuna cosi è stato”. La Vultur è in vantaggio, ma c’è ancora un rigore da battere. Sul dischetto ci va Domenico Montemurro, anche lui 95 come Lamorte. Di fronte c’è Gigi Della Luna. Il centrocampista pomaricano parte e indirizza il tiro verso la sinistra


apore antico del numero uno vulturino, lesto però a respingere la sfera ed a regalare alla Vultur la Coppa Italia. “E’ stato un attimo, ho indovinato il lato e sono riuscito a respingere di piede il suo tiro –così ci racconta il momento decisivo della sfida il numero uno rionerese- poi è scattata la corsa verso i miei compagni e verso il nostro pubblico. Un pubblico meraviglioso che ci da sempre le giuste motivazioni”. Per l’ex pipelet del Potenza (Rossoblu), dopo la vittoria del campionato lo scorso anno, è arrivato un altro successo importante: “Sono sempre belle emozioni –continua- ma questa l’ho

vissuta da protagonista, perché ho giocato anche quasi tutte le gare di Coppa, insomma una bella soddisfazione, anche perché questo è un grande gruppo dove nessuno si sente indispensabile e che si mette sempre a disposizione della squadra”. In chiusura la dedica: “Oltre ai cittadini e ai tifosi di Rionero, alla squadra e alla società, ma anche ai miei familiari, che mi seguono sempre”. Una vittoria che ha il sapore della storia, per una storica società, che nasce nel lontano 1° marzo 1921 e che vanta anche il maggior numero di partecipazioni al trofeo

della “Coccarda”. Difatti, nelle 24 edizioni fin qui disputate, la “gloriosa” società vulturina è quella che vanta il maggior numero di partecipazioni (22) ed un risultato così prestigioso non lo aveva mai raggiunto. “Non abbiamo giocato come sappiamo, anche se bisogna darne atto al Pomarico –ci ha invece detto mister D’Urso- ma abbiamo però portato a casa un successo importantissimo per noi e per tutta la comunità rionerese”. Ed è proprio a loro che il mister vuole dedicare questa vittoria: “Credo che sia giusto dedicarla a loro, che ci sono sempre vicini e non ci fanno mai

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S P O R T- I N G mancare il loro calore, ma anche ai miei giocatori e alla società ed ai tifosi”. La Vultur sta andando alla grande anche in campionato, ed è forse la vera sorpresa: “Non voglio essere presuntuoso –continuama io non mi meraviglio più di tanto perché conosco i miei giocatori e stiamo lavorando bene. I risultati ci danno ragione, il Picerno che ha una marcia in più e credo che difficilmente fallirà l’obiettivo, noi dobbiamo essere bravi a farci trovare con il biglietto pronto”. Dal mister al capitano della squadra, Luigi Pietragalla, che è tornato a vestire la gloriosa maglia bianco nera dopo quasi dieci anni e lo ha fatto perché il progetto che gli era stato prospettato era abbastanza serio ed era giusto sposarlo, come ha fatto, senza esitare: “Abbiamo fatto qualcosa di grande –esordisce- e queste sono sensazioni indescrivibili e che solo se le vive le puoi capire. Giocare e vincere a Rionero non è facile ed è per questo che sono orgoglioso di essere entrato, insieme ai miei compagni, nella storia di Rionero, orgoglioso anche per aver avuto l’onore, in qualità di capitano, di alzare la Coppa al cielo”. Non era al top della condizione fisica per via dell’influenza che lo aveva colpito proprio nella settimana che precedeva la delicata sfida, ma in campo non ha lesinato energie ed ha dato tutto fino in fondo: “Considerate le mie condizioni era giusto lasciare il posto a chi poteva dare di più, poi la fortuna ha voluto che segnasse il gol decisivo chi mi ha sostituito. Ma resta una grande gioia per questa importante vittoria che voglio dedicare ai nostri tifosi, ed in particolar modo ai 19 diffidati, alla squadra, allo staff tecnico ed in particolar modo a mister D’Urso, che è il vero artefice di questo successo –conclude- sono onorato che il mister mi abbia convolto nel progetto ed avermi fatto indossare la fascia di capitano”. Il Pomarico non ha affatto demeritato, ma purtroppo una era di troppo e se la sconfitta può bruciare, la gara è stata sostanzialmente equilibrata, c’è l’attenuante dei rigori, una lotteria che regala gioie e dolori.

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S P O R T- I N G

Le ambizioni della

Sinus Pattin Matera Antonio MUTASCI

ra le tante realtà della Città dei Sassi, una che è consolidata nel tempo, nel panorama sportivo cittadino e regionale, è certamente la Pattinomania Matera. La storia dell'hockey materano parte da lontano, nei primi anni Ottanta, prima con la gloriosa Rotellistica Matera e da alcuni anni con, appunto, la Pattinomania. L'hockey a Matera muove i suoi primi passi, anzi fa ruotare le sue rotelle, sulla “pista del boschetto” su iniziativa di Enzo Viti. Da una semplice passione nasce poi una squadra che negli anni scala le graduatorie e vince i campionati fino ad arrivare in serie A2. Negli anni il settore giovanile inizia a sfornare campioni che fanno le fortune, oltre che del Matera, anche di club più blasonati del nord Italia, vincendo scudetti ed essendo protagonisti con la maglia della Nazionale. Un anno che rimarrà per sempre inciso nella memoria degli hockeysti materani è sicuramente il 2011, stagione nella quale mister Michele Barbano conduce alla promozione in massima serie una squadra formata da tutti atleti materani. Da quel momento in poi è solo grande hockey. Con qualche sofferenza arrivano le salvezze nel più alto campionato nazionale, attraversando anche le varie fasi della crisi economica. Nella scorsa stagione è arrivata la salvezza

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con la guida tecnica di Pino Marzella, grande giocatore del passato (soprannominato “Maradona dell hockey”), che ha portato la Pattinomania sulla ribalta nazionale anche per aver schierato e fatto giocare nella prima volta nella storia del campionato italiano una ragazza nel torneo maschile: si tratta di Maria Teresa Mele, già giocatrice della Nazionale femminile e prima donna della storia dell'hockey italiano a “sfidare i maschi”. Ovviamente questa salvezza ha fatto meritare a Marzella la riconferma e la società di Xiloyannis ha fatto un grande sforzo facendo rientrare in squadra due materani illustri della disciplina: Valerio Antezza e Sergio Festa. Ma adesso in casa Pattinomania soffia una nuova aria, ed è un'aria ambiziosa. Infatti a cavallo tra le festività natalizie e l'inizio del nuovo anno è entrato in società Gaetano Casino, portando il marchio Sinus sulle maglie della squadra di Pino Marzella. E come cadeaux Sinus ha portato a Matera altri due giocatori Di Donato e soprattutto Massimo Tataranni, altro materano che ha fatto le fortune di molte formazioni, vincendo più volte la stecca d'oro, oltre che vincere l'Europeo, nella scorsa estate, con la Nazionale. In pratica con l'arrivo di Sinus Matera ha ricreato il trio delle meraviglie, riportando a


omania casa i “tre tenori”. Ma le ambizioni della Sinus Pattinomania Matera non si fermano qui. Con questi innesti l'asticella di questa stagione è stata alzata, puntando ad un posto nei play off, ma soprattutto si stanno gettando le basi per creare una grande formazione per il futuro. Tanto che, alla vigilia del derby (poi vinto) con il Giovinazzo, sono arrivare le riconferme anche per la prossima stagione di Antezza e Tataranni. “Non possiamo che essere soddisfatti per l’accordo raggiunto con Tataranni e Antezza che vestiranno la maglia della Sinus anche per la prossima stagione sportiva – spiega il presidente del sodalizio materano, Gaetano Casino. Le ragioni sono diverse: innanzitutto perché si tratta di due giocatori più forti nel panorama hockeystico, e poi perché Massimo e Valerio rappresentano un patrimonio di questa città. Con il loro rinnovo contrattuale comincia a prendere forma quella che sarà la Sinus dei prossimi anni: una squadra fortissima, ambiziosa e pronta a vestire i panni da protagonista, sia in Europa che in campionato dove ci siamo prefissati l’obiettivo di conquistare lo scudetto. Il rinnovo di Tataranni e Antezza – prosegue Casino - rappresenta il primo di altri colpi di mercato che molto presto metteremo a segno ed annunceremo. Stiamo parlando di giocatori provenienti dalle più

grandi squadre di hockey del mondo, con alle spalle scudetti, campionati del mondo e Coppa dei Campioni, ma di questo avremo modo di parlarne prossimamente”. E dopo queste parole non si può che attendersi fuochi d'artificio per il futuro. Una squadra che punta dritto ai play off; pubblico in aumento e rinnovata attenzione da parte degli sponsor: sono solo alcuni degli obiettivi centrati dalla Sinus Pattinomania Matera in pochi mesi, da quando cioè la storica società materana di hockey su pista ha affiancato il proprio nome a quello dell’azienda guidata dall’imprenditore Gaetano Casino. La società si è data una una organizzazione forte e rinnovata, affidata al general manager Eustachio Follia. Con la guida tecnica di Pino Marzella, la squadra sta acquisendo - partita dopo partita - sempre maggiore sicurezza nei propri mezzi. Ciò, grazie anche alla consapevolezza di poter contare su un progetto sportivo ed imprenditoriale che, mentre gestisce il presente, sta preparando un futuro che ha come obiettivo dichiarato quello di portare a Matera, Capitale Europea della Cultura 2019, alcuni tra i migliori giocatori di hockey della scena mondiale, e con essi spettacoli e titoli. Trattative in corso, dunque, per realizzare altri colpi di mercato. Dopo essersi assicurati il bomber Massimo Tataranni e Valerio Antezza anche per la prossima stagione, la Sinus sta lavorando per portare a Matera un portiere di valore: si parla di Xavier Puigbi o di Xavier Malian. Spagna e Portogallo sono le nazioni dalle quali la Sinus starebbe per attingere di più e le trattative sono serrate: circolano con insistenza i nomi di mostri sacri come Reinaldo Garcia (Barcellona) e Ricardo Barreiros (una Coppa Cers, due Eurolega) attualmente al Porto, nonché quello di Josep Lamas e Raul Marin (sempre Barcellona). Interesse anche per un argentino: si tratterebbe del talento German Nacevic, under 20 sul quale nella città dei Sassi vorrebbero investire. Solo voci, per il momento, ed è inutile chiedere conferme in società: bocche cucite sulle telefonate ed alcuni incontri che già ci sarebbero stati. Quel che è certo è che i movimenti in corso sono davvero importanti e che i primi annunci potrebbero arrivare a breve. Insomma, a Matera si pensa e si lavora in grande, non solo per allestire una squadra di assoluto livello, ma anche per mettere l’hockey al centro dell’attenzione: la Sinus Pattinomania, infatti, è l’unica squadra della Basilicata a disputare un campionato di serie A1 e la società di Gaetano Casino vorrebbe che diventasse anche lo sport più popolare. Un’agenza di comunicazione (Ideama) ha ricevuto mandato per curare una massiccia campagna di comunicazione che sconvolga completamente il volto dell’hockey. Non resta che affollare la tensostruttura per godersi questo spettacolo sportivo.

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ANNA BOC Come avere un fisico da bodybuilding senza perdere la propria femminilità l nostro è veramente il Paese dove nell’ambito sportivo il calcio fa da padrone incontrastato, lasciando a tutte le altre attività agonistiche soltanto le briciole, sia in termini di spazio sui giornali e televisioni e quindi di popolarità, sia in termini di riscontri economici. Grande merito va quindi a questi atleti che spinti da enorme passione e determinazione si dedicano al body building e quindi alla costruzione del proprio corpo, riuscendo comunque ad incuriosire la gente e ritagliare un po’ di popolarità. Per capire quali sono le molle che spingono gli uomini, ma soprattutto oggi, le donne a trasformare il proprio corpo in un “fisico bestiale” abbiamo chiesto a una che di muscoli e body building ne sa parecchio.

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Anna Bochicchio : donna, mamma, moglie in forma smagliante. Com’è nata la passione per il body building? Quando hai iniziato? Sono sempre stata un’amante dello sport, fin da piccola e ne ho praticati diversi: danza classica, arti marziali che poi ho abbandonato, per dedicarmi con mio marito al ballo, a livello agonistico ovviamente. Poi dopo la seconda gravidanza, circa quattro anni fa, mi iscrissi in palestra. All’inizio “andavo in palestra” come tanti e basta, poi spinta anche da mio marito (che si allenava già da tempo) e dai buoni risultati, decisi di continuare ad andare in palestra, ma allenandomi in maniera differente.


HICCHIO Quante ore a settimana dedichi agli allenamenti? Mi alleno quattro volte a settimana in una palestra di Potenza, in cui solitamente mi reco di mattina dopo aver accompagnato i miei figli a scuola. Oltre alla palestra, mi sveglio tutte le mattine alle sei per un’ora di ciclette in casa. Che regime alimentare adotti? Alimentazione sana tutto l’anno con pochi grassi e zuccheri ma ben bilanciata in carboidrati (ecco sfatiamo questo mito, i carboidrati li mangiamo, sono un po’ come la nostra benzina) e leggermente iperproteica, solo la domenica a pranzo mi concedo qualcosa di sfizioso. Ovviamente poi in gara, le cose cambiano, seguo una dieta molto più drastica. Quali sono state le qualità che più hanno influito per il raggiungimento dei risultati? A livello caratteriale la determinazione condita da una buona dose di testardaggine mi hanno fatto andare avanti nel tempo consapevole che a volte certe cose, le più belle, si hanno dopo molti sacrifici. Poi sicuramente la costanza sia nell’alimentazione che nell’attività fisica. Il miglioramento dell’aspetto fisico derivato dall’allenamento con i pesi è sia causa che conseguenza di autostima che aiuta a credere in se stessi e a rafforzare il carattere. I risultati non arrivano da un giorno all’altro, bisogna aspettare mesi, anni, soprattutto se non si scelgono scorciatoie ed io non le ho scelte, non prendo nulla, vado in palestra per la mia salute, non per rovinarmela. Hai partecipato a delle gare, come ti sei classificata? Si, la mia indole agonistica e la voglia di mettermi in gioco mi hanno spinta a prepararmi per alcune gare, ho partecipato a diverse, a dicembre l’ultima la Ludus Maxim, una delle più importanti gare del body building in Italia e mi sono classifica-

ta terza. Considerando che fosse la seconda gara importante a cui ho partecipato, sono stata molto soddisfatta del risultato. Ci sono molti pregiudizi sulla donna che fa body building? Si, ci sono molti preconcetti quando si pensa al body building, soprattutto nelle piccole realtà come la nostra. Una delle idee più diffuse è che allenandosi con i pesi si arrivi sistematicamente ad un eccessivo aumento dell’ipertrofia (crescita) muscolare e quindi ad una inestetica mascolarizzazione. Quando si parla di body building femminile, credo che la mente vada subito a quegli ammassi di muscoli che si vede in tv, ma questi sono pensieri infondati in quanto la donna non è in grado di costruire grosse masse muscolari. Si parla ovviamente di atelete Natural, che non fanno uso di sostanze dopanti. Che messaggio o consiglio vuoi dare a quelle donne che intendono intraprendere il tuo stesso percorso? Seguire un’alimentazione corretta, abbinata ad una buona dose di attività fisica. Gli esercizi base o fondamentali hanno un enorme importanza nello sviluppo dell’atleta Natural, essi sono la base per la costruzione di un fisico di qualità e non possono essere omessi in alcun tipo di obiettivo. Così come l’alimentazione, bisogna mangiare tutto ma bene, senza eccedere, a fare male è la quantità non il prodotto. Gli obiettivi per il 2015? Ho un po’ di gare da fare, aspetto l’uscita del calendario con le date, ma sicuramente dovrei partecipare ad un paio da tra maggio e giugno e poi tra novembre e dicembre. Anche quest’anno ovviamente prenderò parte al campionato italiano che pare dovrebbe tenersi nel Sud Italia. Grazie Anna, per la tua disponibilità e le tante delucidazioni e consigli su questo sport molto interessante, ma poco conosciuto e praticato, almeno qui da noi. ma.fi.

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