Il Lucano Magazine Numero maggio-giugno 2014

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Poste Italiane Spa Spedizione in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n째 46) art. 1 comma 1, DCB PZ






SOMMARIO

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Papa Francesco sprona i politici a non rimanere con le mani incrociate

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V I G N E T TA N D O

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Quando le dimensioni contano

R E P O R TA G E

14 Papa Francesco ai politici: Create le condizioni di lavoro 16 Best practice al San Carlo 20 Conversazione con l’assessore Aldo Berlinguer 22 Matera nuovo cemento a San Giacomo 23 Il design materano al Salone del Mobile 24 Melfi rivuole il suo tribunale 26 Le conseguenze delle estrazioni petrolifere 28 I GAL, l'esempio della“Cittadella del Sapere” E P I S T E M E

Ospedale San Carlo Il bilancio sociale per rendere conto dall’umanizzazione delle cure alla medicina del territorio

28 Culture in evoluzione? E U R E K A

36 Giuseppe Marco Albano “Un giorno mi piacerebbe aprire a Bernalda il Nuovo cinema delle Vittorie”

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un piatto conviviale itinerante Intervista a Giuseppe Marco Albano Cacciata dei turchi ad Avigliano TechGarage Basilicata 2014 Moda una passione tutta da condividere I buoni e i cattivi La Faggeta di Moliterno nel Parco Appennino Woody Groove Sound Festival Caizzo Emilio - Prima Parte La letteratura oggi? Intervista a Andrea Galgano Alla scoperta di artisti nostrani: Vincenzo Viggiano Mr Reginal Green al “San Carlo” di Potenza Luigi Zanda elogia il “fare cultura” di Leonardo Sinisgalli L’arte digitale di Dolores Nicastro Virginia Grassi e la carica della nostalgia

T R A L E R I G H E

Gli allori dello sport lucano

66 Giusti di tutta la Terra 67 Medaglioni Grottolesi D O L C E

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S A L ATO

68 Il Tempo delle Ciliegie L O O K A N I A

70 Racconto di Viggiano - Seconda Parte 6



E D I T O R I A L E

IL LUCANO MAGAZINE SI RINNOVA Vito ARCASENSA

ieci anni di Lucano, più di cento numeri. Il racconto di storie e politica, attualità e reportage, personaggi e sport ha avuto, finora, uno sguardo mensile nel panorama dell’editoria lucana, con un prodotto tipografico unico per tipologia e per durata. Oggi Il Lucano Magazine cambia non soltanto nella periodicità, l’appuntamento, infatti, diventa bimestrale ma nella direzione, nella veste grafica, nell’attenzione dedicata al web. Prima di guardare avanti, come Editore e Direttore della testata, un pensiero ad Antonello Lombari che per quattro anni ha diretto con impegno e professionalità il magazine. A lui il mio grazie per i risultati raggiunti insieme. Non voglio dimenticare, inoltre, il primo direttore, Alessandro Boccia, Loredana Albano che gli è succeduta e tutti coloro che costantemente si impegnano nel fornirci articoli interessanti. Ma qual è il futuro de Il Lucano? Continueremo sempre, per tradizione, con l’edizione cartacea, distribuita in edicola in tutta la regione e in abbonamento anche oltre i confini regionali e nazionali. Il Lucano punterà sugli approfondimenti dei tanti lucani che in ogni parte d’Italia e del mondo esprimono creatività, ingegno, laboriosità. Punterà, inoltre, sull’analisi dei principali fatti e comportamenti degli attori della politica lucana. Punterà, soprattutto, sulla conoscenza di quanti credono in questa terra, sulle grandi potenzialità che essa esprime. L’aggiornamento quotidiano, invece, è affidato a Internet. Il web sarà proprio la parte in cui la nuova direzione intende soffermarsi maggiormente. I primi risultati di questa strategia ci vedono, da qualche giorno, ai vertici per numero di contatti tra le varie testate regionali. Consultate, perciò, il nostro sito http://www.lucanomagazine.it/, le nostre pagine Facebook https://www.facebook.com/illucano.basilicata e Google Plus https://plus.google.com/u/0/+LucanoMagazine/posts, il nostro account Twitter https://twitter.com/Lucano_Magazine . Anzi, ditelo al Lucano! Diventate protagonisti della rivista, suggeriteci figure, associazioni, circoli che meritano di essere conosciuti, narrati, condivisi su info@lucanomagazine.it Credo che ogni giornale, come Il Lucano, non sia solo un contenitore di informazioni e notizie ma un luogo vivo che cresce grazie alla reputazione di chi partecipa, alla stima che i lettori gli attribuiscono. Grazie per l'attenzione! Buona lettura, buon nuovo inizio al Lucano Magazine.

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Vignettando Micro o macro? Quando le dimensioni contano



IL LUCANO Editore Lucana Editoriale s.r.l. Redazione da Potenza: Albina SODO, Vito ARCASENSA

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Leonardo CLAPS, Anna MOLLICA, Margherita E. TORRIO Editing e correzione bozze: Margherita E. TORRIO dal Materano: Giovanni MARTEMUCCI

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Vignette di SOLINGA Direttore Responsabile Vito ARCASENSA

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Caporedattrice Albina SODO

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Hanno collaborato in questo numero Flavia ADAMO, Angelo BENCIVENGA, Ettore BOVE, Simona BRANCATI, Elisa CASALETTO, Arsenio D’AMATO, Marianna Gianna FERRENTI, Giovanni GALLO, Barbara GUGLIELMI, Valeria LAURENZA, Vincenzo MATASSINI, Carla MESSINA, Federico PELLEGRINO, Emanuele PESARINI, Giuseppe Antonio RINALDI, Mariassunta TELESCA Testata On Line www.lucanomagazine.it Agostino ARCASENSA Fotografie Foto: Andrea MATTIACCI, Angelo Rocco GUGLIELMI, MARTEMIX.COM Stampa Arti Grafiche Boccia s.p.a. Via Tiberio Claudio Felice, 7 Fuorni - Salerno Registrazione Tribunale di Potenza N° 312 del 02/09/2003 Pubblicità Lucana Editoriale s.r.l. Via Gallitello, 89 Potenza Tel. Fax 0971.476423 -Cell. 337.901200 E-mail: info@lucanomagazine.it Chiuso in redazione 7 Maggio 2014 Questo giornale è associato Uspi Unione stampa periodici italiani

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R E P O R TA G E

Papa Fr

Ai politici: Create e non rimanete c

Albina SODO

re giorni dopo Pasqua, poche ore prima la canonizzazione di Papa Giovanni XXIII e Papa Giovanni Paolo II, in una Piazza San Pietro che ha accolto oltre centomila credenti e non credenti, religiosi e laici, italiani e stranieri. È il contesto vissuto dalla delegazione dei giornalisti lucani, grazie all’UCSI (Unione Cattolica della Stampa Italiana) Basilicata, al suo Presidente Maria De Carlo e al vice Presidente Vito Sacco per l’organizzazione, in Udienza da Papa Francesco. Il primo incontro è con Monsignor Ennio Appignanesi, arcivescovo di Potenza dal 1993 al 2001. «La sua presenza e la sua disponibilità fin dalle 7 di mattina – ci dice la De Carlo – è stata quella di un padre che rivede dopo tanto tempo i suoi figli. E questo ci ha colmati di gioia e gratitudine. La Messa nella Cappella Ungherese ha

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infuso un particolare spirito contemplativo. Eravamo lì non per curiosità ma per confermare una scelta di fondo: dalla parte del Maestro! Noi giornalisti iscritti all’UCSI vogliamo comunicare la verità, la bontà, la bellezza. Ciò significa mettere al centro l’uomo e la sua dignità. Solo così è possibile costruire una comunità di donne e uomini che tendono all’armonia, alla pace e a un senso pieno dell’esistenza. Il Papa – prosegue – è testimone di questa comunicazione. Un parlare diretto, profondo, carico di speranza e cambiamento. Risuonano ancora le parole del Vangelo che ci ha fatto ripetere: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo?”. Ripeterle per tre volte vuol edire scavare nel proprio vissuto». Parole, dunque, quelle di Appignanesi indirizzate ai giornalisti «Siate venditori di verità, senza speculazioni o intenti distruttivi». Così come i discepoli di Emmaus hanno raccontato l’incontro con Gesù, il ruolo dei cronisti è andare alla ricerca delle fonti per comunicare e condividere, diremmo oggi, la buona novella. Parole semplici e incisive nel suo stile, quelle del Santo Padre. «Perché cercate tra i morti Colui che è vivo? Cristo è risorto, è vivo nella Chiesa, nel mondo, abita nel cuore dei credenti. Non è facile accettare la vita del Risorto in mezzo a noi. Il Vangelo ci propone diverse reazioni, quelle dell’apostolo Tommaso, di Maria di

Magdala, dei due discepoli di Emmaus. Tommaso chiede di toccare l’evidenza, Maria Maddalena piange, lo vede ma non lo riconosce, i discepoli di Emmaus giungono all’incontro accompagnando un viandante. Ciascuno cercava tra i morti Colui che è vivo. Lui sarà sempre vicino a


ancesco

le condizioni di lavoro on le mani incrociate

Al Santo Padre Francesco Angelico Padre della Chiesa, segreta nostra speranza, che, muta, dona profumo di pace: La Tua candida veste, soffusa di arcana poesia, ci dipinge di novella fede; come allo sbocciar di un fiore, nella Tua parola, palpita il nostro cuore, ed ecco brillare di dorati raggi di sole. Tra le braccia di ogni stella, riposa per Te una rosa bianca e nel sommesso sussurrar di arcani fruscii, offri a noi la ricchezza di un sorriso. Sei un dolce zeffiro di vento, che, passa e ci accarezza, nell’oasi serena dello spirito. Padre! Sei il Vangelo vivente, realtà di nuovi orizzonti, con la carezza di un Tuo sguardo, insegnaci ad amare e sarà ricca di vita e di primavera la nostra preghiera. Sei l’eco di nuovi canti, sul pentagramma della vita, la voce Tua risuona e Amor diventa; Angeli cantano al Tuo cuore, che, dolcezza sa dare. Sorridono, così, le note del mio canto: Francesco! Luce santa, sempre Tu sei e farai, dolce, come stella, tutto rischiarerai!!! Cesira Ambrosio

L’opera Mater dell’artista lucana da Patrizia Monakò donata a Papa Francesco

noi per correggere la rotta. Questa domanda ci fa superare la tentazione di guardare indietro e ci spinge in avanti verso il futuro. Non andiamo nei sepolcri che promettono la bellezza e non ci danno niente. Non cercate tra i morti Colui che è vivo».

L’Udienza termina con un appello accorato, commosso del Papa ai politici per le delicate questioni occupazionali: «Ho ricevuto un video da parte degli operai della Lucchini di Piombino. Cari operai, fratelli, i vostri volti, padri di famiglia, chiedono il diritto di lavorare per vivere

dignitosamente, per poter nutrire ed educare i vostri figli. Siete nella mia preghiera, non scoraggiatevi il Papa è accanto a voi. A tutti i responsabili non restate indifferenti, create le condizioni di lavoro, aprite gli occhi e non rimanete con le mani incrociate».

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R E P O R TA G E

Best practice al

Il bilancio sociale per render delle cure alla medicina del a primavera e' stagione di bilanci. Un impegno importante, che può avere conseguenze giuridiche e amministrative anche serie. Ma c'è anche chi, oltre a compiere questo dovere, coglie l'opportunità di accompagnare all'arida contabilità un più ampio e articolato rendiconto, il bilancio sociale, in cui si informano utenti e stakeholder dell'uso fatto dei soldi pubblici spesi, degli obiettivi realizzati, dei progetti messi in cantiere, dei punti critici da affrontare, degli impegni da assumere. E' quello che ha fatto il San Carlo, che l'anno scorso ha introdotto il bilancio sociale, spiega il direttore generale Giampiero Maruggi “Come buona pratica di customer satisfaction, ma anche perché è uno strumento utile per dare concretezza a un principio fondamentale della buona amministrazione pubblica: rendere conto”. Per il dg del San Carlo “Il processo di aziendalizzazione porta in sé una contraddizione complessa ma governabile: combinare l’esigenza di rispettare l’equilibrio di costi e ricavi tenendo i conti in ordine con la missione di erogare prestazioni che mirino a realizzare il diritto costituzionalmente garantito alla salute. E quindi siamo chiamati a rispondere ai cittadini, agli utenti, agli stakeholder di come allochiamo le risorse, delle scelte che operiamo quotidianamente per continuare a garantire al meglio, in un contesto di crescenti ristrettezze finanziarie, questo diritto”. Nel presentare il primo bilancio sociale il dg Maruggi sottolineava che “Il percorso di costruzione del bilancio sociale favorisce una maggiore consapevolezza dei risultati raggiunti ma anche di quello che manca per completare gli obiettivi che ci siamo dati. E non risulti un paradosso, parlando

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appunto di bilancio sociale, il fatto che molte delle nostre priorità per il 2013 sono di natura qualitativa: dalla centralità strategica dell’umanizzazione delle cure alla integrazione con la medicina del territorio”. Può essere utile, quindi, nel momento in cui al San Carlo si lavora alla stesura del

nuovo bilancio sociale, riprendere in mano il volume dell'anno scorso (che si riferisce ovviamente alle attività svolte nel 2012 e ai progetti messi in cantiere per il 2013) e verificare quanto dell'annunciato è stato realizzato, le novità verificatesi in corso d'opera, per poi esaminare quali sono i nuovi


San Carlo

e conto: dall’umanizzazione territorio

impegni e gli obiettivi per l'anno in corso. Un intero capitolo del “Bilancio sociale 2012” (il volume in versione pdf è scaricabile dal sito aziendale, dalla sezione “I Quaderni”, ben visibile in home page), il terzo, è dedicato ad “Azioni e progetti: 'Cantiere Aperto' per l'Innovazione. Il

primo indicatore positivo, i buoni tempi di pagamento per i fornitori, molto apprezzato in tempi di crisi di liquidità e di atteggiamenti restrittivi da parte del sistema bancario, ha registrato un ulteriore miglioramento: dai 60 giorni previsti per i 'virtuosi' che hanno aderito alla spending review, il

termine oramai si avvicinano ai trenta giorni. Anche il riconoscimento ottenuto nel 2012 dalla Ferpi, l'inserimento nella terna finalista dell'Oscar di Bilancio della Pubblica Amministrazione, ha visto una performance migliore: nel 2013 il San Carlo ha vinto l'Oscar di Bilancio per le Aziende ospedaliere. Nella motivazione del premio si fa esplicito riferimento sia al bilancio sociale, sia all'intensa campagna di divulgazione che gli è stata dedicata. Sulla gestione del rischio clinico va segnalata la realizzazione di un “percorso chirurgico” che ha combinato momenti formativi e interventi sui processi e i modelli organizzativi del gruppo operatorio. Quanto alla questione strategica dei tempi d'attesa, nel corso del 2013, sono stati conseguiti importanti risultati, riducendo a poche unità le prestazioni al di sopra dei termini previsti dalle norme nazionali e regionali. A determinare questo successo l'estensione del metodo delle classi di priorità per le prenotazioni e l'aumento dell'offerta nell'area dei servizi diagnostici. Ma a dimostrare quello che è uno dei mantra del dg Maruggi, “si può fare di più, si può fare meglio", arriva proprio nell'appena trascorso mese di aprile un'inversione di tendenza, prodotta dal cambio di modello organizzativo. Buoni risultati si sono registrati in quello che l'Azienda chiama 'pacchetto accessibilità' e cioè un insieme di servizi e di strutture (day service, sportelli dedicati, percorsi riservati a particolari categorie di utenti) che, combinati con l'incremento dell'offerta dei servizi on line, ha semplificato e migliorato il rapporto tra pazienti e amministrazione ospedaliera. Tra gli impegni presi quello che con ogni

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R E P O R TA G E probabilità ha realizzato la più significativa e completa realizzazione è quello di lavorare alla costruzione di un “Ospedale a misura di donna”. Si pensi infatti al grande pacchetto di azioni e di iniziative chiamato “Vicini dalla nascita” e che va dalla ristrutturazione delle sale parto e della terapia intensiva neonatale ai corsi preparto e ai parcheggi gratuiti, dai day service a una fidelity card che assicura sconti e benefici per le donne in attesa che aderiscono al programma, dalla banca del latte agli sportelli dedicati per evitare la fila alle casse. Anche se il nome “Codice rosa” può trarre in inganno, il percorso dedicato e l'area protetta all'interno del Pronto soccorso è rivolto a tutti i soggetti deboli vittime di violenza (con la stanza dell'ascolto dei bambini dedicata recentemente con una bella e toccante manifestazione a Elisa Claps). Il San Carlo è il primo ospedale del Sud a munirsene: un percorso che mette assieme una task force istituzionale (con prefettura, magistratura e forze dell'ordine) e una rete diffusa del mondo del volontariato e dell'associazionismo che ha già visto l'adesione e l'offerta di disponibilità di un centinaio di soggetti. Per finire due importanti realizzazioni logistiche: la costruzione del polo oncologico, con lo spostamento del reparto dal quinto al primo piano del padiglione E, nelle immediate vicinanze del day hospital e l'avanzamento dei lavori del multipiano che dovrebbe assicurare entro la fine dell'anno la messa a regime del nuovo sistema di parcheggi. Intanto, però, onorando gli impegni presi dal dg Maruggi in occasione

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delle polemiche iniziali, sono stati assicurati parcheggi riservati e gratuiti ai volontari, ai pazienti con particolari patologie (i dializzati, ad esempio), alle donne incinte. Visti i risultati raggiunti, passiamo adesso ad esaminare, in rapida successione, i “cantieri aperti” al San Carlo per questo anno: Ambiente e risparmio energetico: dopo l'impianto fotovoltaico realizzato in partenariato con la Sel, a copertura del parcheggio di fronte ai padiglioni E ed F, che abbatte di 200mila euro la bolletta del San Carlo, si parla ora, sempre in collaborazione con la Sel, di “trigenerazione”, cioè del recupero dell'energia utilizzata per produrne di nuova, una tecnologia avanzata che permette di combinare risparmio economico, minor inquinamento e produzione di energia pulita. Al benessere ecologico di pazienti e utenti è invece destinato il percorso verde che permetterà di raggiungere con un sentiero il Parco Elisa Claps. Irccs di Reumatologia: grazie alla certificazione di qualità, conseguita la scorsa estate, l'ultimo requisito che mancava, entra in fase operativa il progetto di trasformare la Reumatologia del San Carlo, una struttura di eccellenza riconosciuta a livello internazionale per la cura di alcune malattie rare, in un istituto di ricerca scientifica e cura, uno dei pochi infraospedalieri in Italia. La Regione ha approvato il progetto, inserendolo nelle misure previste nella manovra di bilancio approvata a fine aprile, quindi, ora si lavora alacremente per terminare il dossier di candidatura che dovrà essere presentato al Ministero della Salute

Polo riabilitativo di Pescopagano: l'obiettivo dichiarato è che tra un anno i primi pazienti possano accedere al nuovo centro di riabilitazione di terzo livello, dedicato alle vittime di gravi incidenti e traumi cerebrali, neurologici e alla colonna vertebrale. Un progetto finanziato dalla Regione con sette milioni di euro e che, secondo i calcoli della Direzione aziendale, dovrebbe andare a pareggio di gestione già al termine del primo anno di attività, assicurando un consistente risparmio alle casse regionali, con la riduzione dei viaggi della speranza oggi obbligatori e un minor disagio a famiglie già così duramente colpite, Atto aziendale: è lo strumento giuridico che, nel quadro delle norme nazionali e regionali, definisce la visione e la missione aziendale, le scelte strategiche e gli obiettivi da realizzare, definendo anche i modelli organizzativi e l'organigramma. Un atto di identità forte, che in questo caso, dedicherà particolare attenzione a quello che è uno dei temi forti della direzione Maruggi, il tema della centralità del paziente nel sistema ospedaliero, oltre che ad una profonda rivisitazione dell'organigramma aziendale in chiave di efficienza e di maggiori opportunità per le risorse migliori. Umanizzazione delle cure: in questa logica i percorsi e i processi di umanizzazione acquistano un rilievo prioritario. Dopo le tante cose fatte nel corso dell'anno passato, l'input che viene dalla direzione strategica riguarda due assi. Da una parte il tema della medicina e della condizione di genere, ulteriore sviluppo del discorso sull'ospedale a misura di donna. All'altra l'attenzione alle misure atte a migliorare il benessere clinico ma, al tempo stesso, anche il clima aziendale e il benessere sul lavoro. Perché un dipendente che sta meglio sul luogo di lavoro assicura certamente un servizio migliore. Infrastrutture: al miglioramento del benessere di utenti e dipendenti sono finalizzate alcune infrastrutture in corso di realizzazione, dall'asilo nido aziendale con baby parking per gli utenti e una quota sociale riservata a famiglie disagiate, al completamento del sistema dei parcheggi con la realizzazione del multipiano, alla ristrutturazione delle camere mortuarie, per assicurare riservatezza e dignità nel momento più doloroso. Fondazione San Carlo 1810: a partire dal progetto di una mostra documentaria sui primi 50 anni di storia dell'ospedale, in corso di realizzazione in partenariato con l'Archivio di Stato e altri enti pubblici, il San Carlo darà vita a una fondazione che consentirà di accedere ai finanziamenti del 5 per mille ed altre attività di fund raising, promuovere progetti sociali con le consulte aziendali del volontariato e dei primari emeriti, sviluppare iniziative culturali che favoriscano la crescita dell'integrazione e del senso di un'appartenenza condivisa tra ospedale e comunità.



R E P O R TA G E

NOTE A MARGINE

CONVERSAZIONE CON L’ASSES

ALDO BERLING Margherita E. TORRIO

e elezioni per le amministrative e per il Parlamento Europeo animano la scena politica. A Potenza che va alla elezione per il nuovo sindaco, i giochi si sono misurati anche con il doppio voto di genere, nato per garantire un ingresso maggiore delle donne nella politica, di fatto organizzato, nella maggior parte delle composizioni partitiche, in termini di gemellaggio maschio/donna, snaturando l’ambizione originaria di reale rinnovamento. Nella fase di persistenti processi di destrutturazione e scomposizione delle istituzioni e della struttura sociale ne sono investiti i partiti; ne sono investiti esperimenti come quelli delle primarie nostrane, così sostanzialmente diverse da quelle degli States, assolutamente regolate da legge e vincolate attraverso leggi statali che disegnano un orientamento generale che le sottraggono alla discrezione di partiti e di singoli, finalizzate, come sono, alla selezione e non alla elezione, anche per le massime cariche esecutive. In Italia non hanno valore legale. La esigenza di garantire una reale concreta partecipazione dei cittadini e un incentivo al voto parte da qui, da una presa di posizione chiara sul problema primarie sì/primarie no; dal fatto, inoltre, che una volta eventualmente assunta decisione positiva, siano regolamentate per legge, in tutti gli aspetti. Dirompente, fondante in termini di ricostruzione del tessuto politico, e della credibilità l’altra questione, quella delle riforme istituzionali che riguardano la legge elettorale e la riforma del Senato. Sono riforme la cui “efficienza” potrà essere misurata innanzitutto e prioritariamente in base al criterio del ripristino dell’interesse dei cittadini alle dinamiche politiche e della loro effettiva partecipazione democratica alle scelte dei propri rappresentanti. Mettere mano non su un generico concetto di stato ma sullo Stato implica molta attenzione, un coinvolgimento

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del paese che, probabilmente, solo una fase istituzionalizzata Costituente, può garantire, prevedendo la finalità e l’obiettivo di decidere, insieme, verso quale progetto di riforma si debba andare; ridando voce agli stessi cittadini, ridando loro voce nel determinare i propri rappresentanti. Sul piano della ricostruzione del tessuto sociale, e inevitabilmente economico, gli interventi previsti sul lavoro si misureranno sulla base del criterio dell’aumento duraturo del lavoro e, strettamente collegato a questo, da una rinata aspettativa di futuro e di crescita. Anche in Basilicata le cose si incrociano e si determinano vicendevolmente, a ridosso delle elezioni comunali, soprattutto nella città di Potenza, e europee. Probabilmente la consapevolezza di tali incroci ha fatto si che la previsione che il PD regionale andasse ad una conta interna sia, di fatto, venuta meno con la mancata attivazione, da parte sua, delle primarie. La lotta per la segreteria, nel partito, è rinviata a dopo le elezioni. Questo comporta, di fatto, che il riferimento del PD sia, al momento, il suo rappresentante istituzionale più elevato, quello regionale, Marcello Pittella. Per questo non resta che aspettare che anche il populismo di Renzi e quel po’ di verve soprattutto comunicativa si ridimensionino, magari proprio grazie e con il contributo importante dei più vigorosi e capaci politici lucani, per affrontare la reale esigenza di riforme (basta, possibilmente con l’idea sciatta di un riformismo di maniera), per non affossare tale esigenza ma per dare ad essa la ricchezza di una prospettiva di rinnovata e vera partecipazione democratica.

L’Assessore Prof. Aldo Berlinguer conversa con il nostro giornale sulle prospettive dei trasporti lucani, sulle iniziative imprenditoriali da cogliere e sulla ottimizzazione dei livelli di governo. In quale situazione ha trovato la Basilicata? Di quali infrastrutture ci sarebbe maggiore urgenza? E’ una terra di grande ricchezza, storica, ambientale, che potrebbe essere attraversata da grandi flussi turistici; di grandi potenzialità non tutte colte appieno. Per quanto riguarda le infrastrutture le deficienze sono gravi sia sul comparto viario che su quello ferroviario; è, soprattutto, deficitaria sul

piano aereo. Dobbiamo, quindi, fare i conti con ritardi significativi su molti versanti. Stiamo lavorando sulla Potenza – Salerno, a livello viario e ferroviario, anche se stiamo muovendo alcuni passi. Fra un paio di mesi dovremmo eliminare il problema attualmente esistente sull’incrocio Picerno, che oggi vede un cambio di carreggiata. Sul piano ferroviario, ci sono delle questioni peculiari tra Potenza ed Eboli, anche perché è un tratto ad un solo binario. Ci vorrebbero investimenti cospicui di almeno 1 miliardo e centomila euro per velocizzare di solo mezz’ora. Il gioco non vale la candela. Quindi punteremo su treni nuovi, per garantire, soprattutto, la definitiva soluzione dei ritardi inaccettabili. Per le FAL arrivano ulteriori treni a


SORE ALLE INFRASTRUTTURE

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importante, sarà in questo senso il collegamento per Foggia, interessato dalla prospettiva del raccordo Napoli-Bari già in divenire, che rappresenta il collegamento naturale con l’Adriatica. Bisogna lavorare per la elettrificazione della strada ferrata PotenzaFoggia e per il potenziamento della terza corsia per la quale sono previsti finanziamenti cospicui. Come conciliare ambiente, messa in sicurezza e bonifica? Ci sono 46 milioni di euro per la piana di Tito e Val Basento, una varietà di progetti ed un crono programma. I denari vengono dal MISE, dal MATTM. Bisogna istruire dei progetti anche per evitare che i finanziamenti vadano persi. Dobbiamo spendere per portare a casa tutte queste bonifiche e fare un tavolo di concertazione a tappe forzate. Poi altre questioni critiche, quella di Fenice (abbiamo adottato l’area) per la quale sono previsti un monitoraggio ed una sorveglianza, rifacimento, reti intercettate, meccanismi di controllo nel momento in cui i rifiuti arrivano. Lì c’è veramente tanto da lavorare, per garantire la convivenza tra Fenice cui vanno addebitati inadempimenti gravi, contenziosi etc, ed il territorio. Inizieremo la verifica.

supportare le percorrenze Potenza – Avigliano e Potenza-Altamura-Bari con un abbattimento dei tempi di percorrenza. Ora stiamo operando, pancia a terra, anche sulla ipotesi della pista Mattei che sta, però, in un progetto, imprescindibile, di bonifica del terreno. Verso quali prospettive ridisegnare lo schema dei trasporti attraverso la integrazione gomma+ ferro? Il territorio si trova in una posizione strategica sia sulla direttiva nord/sud che su quella est/ovest, quindi ancora sul versante tirrenico e su quello adriatico dove si può intervenire perché c’è la effettiva possibilità di sviluppo sull’alta velocità. Particolarmente

Quindi sul territorio lucano, si aprirebbe una possibilità di sviluppo della ricerca. Con quali possibilità di interazione tra aumento della produzione (p.e. petrolio), ricerca, nuove realtà nel Mediterraneo e prospettive occupazionali dei giovani e meno giovani lucani? Il nostro territorio é interessato da vari attività produttive, alcune delle quali, come Ila Laterizi, Fenice, Siderpotenza e soprattutto ENI, richiedono un interlocutore istituzionale all'altezza. Ciascuno dei settori interessati comporta la necessità che si sviluppino conoscenza e competenze, al fine di interloquire con le imprese su base paritaria. C'é, quindi, un gran bisogno di ricerca e di competenze, anche per consentire ai lucani di trovare opportunità di lavoro in settori ove serve forza lavoro qualificata. I lucani non possono essere coinvolti solo quando servono opere edili e parcheggi. Occorre fare di queste iniziative imprenditoriali delle occasioni di sviluppo da cogliere, non da subire. E i centri d'eccellenza da noi non mancano:

Enea, CNR, ASI, sono solo alcuni dei centri di ricerca che abbiamo e che dobbiamo coinvolgere e valorizzare. A proposito delle necessità energetiche cosa si intende per “sottostazioni di Genzano Oppido Pietragalla Avigliano per convogliare energia prodotta nella rete di distribuzione”? Il tema della rete di trasporto dell'energia é assai implicante. Terna sta migliorando la magliatura. Molti impianti saranno collegati ma i passaggi amministrativi, le aste pubbliche, le frequenti liti tra proprietari dei terreni e imprenditori non facilitano il lavoro. La Basilicata é ancora Regione deficitaria, nel senso che consuma piú energia di quanta ne produce. Il che non é necessariamente un dato negativo: significa che i consumi, specie quelli industriali, non sono del tutto crollati. Ma col collegamento dei nuovi impianti la tendenza si invertirà. Dobbiamo essere quindi pronti e saper ben soppesare tutela del paesaggio, dell'ambiente, con le opportunità di energia pulita che i nuovi impianti ci possono dare. Cosa mi dice sul progetto di “macroregione” di cui si parla? I cittadini lucani sono preoccupati perché temono che una cosa del genere possa rispondere piuttosto agli interessi di chi miri a utilizzare a suo beneficio quelle risorse della Basilicata di cui Lei parlava. Andrei oltre le categorie formali. Importante è, invece, ridurre i livelli di governo che vanno ottimizzati e ridotti mantenendo efficienza nel governo. Anziché dieci consiglieri comunali si può pensare ad un rappresentante che va ad un raggruppamento di 10 piccoli Comuni. Pochi e divisi, comporta inesorabilmente una forte penalizzazione. In questo inquadramento logico c’è da porre la questione macroregione. Il Sud presenta caratteri omogenei; anzi, soprattutto il deficit è un fattore ampiamente condiviso. Fare massa critica e scelte unitarie può portare a risultati importanti in fase di contrattazione anche con il governo. Più che di macroregioni parlerei di ottimizzazione dei livelli di governo. Anche perché il rivendicazionismo, il separatismo quello che i Baschi o gli Scozzesi o i Catalani rivendicano ha una sua storia. Bisogna fare una valutazione complessiva su cosa sono rappresentanza e regionalismi.

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R E P O R TA G E

NUOVE COLATE DI CEMENTO A

SAN GIACOMO Giovanni MARTEMUCCI

n’altra colata di cemento minaccia la zona nord di Matera già interessata da una densità abitativa elevata. A lanciare l’allarme sono gli abitanti del rione san Giacomo riuniti in un comitato denominato “Parco della Santa Famiglia”, costituitosi per preservare una delle poche zone della città di Matera, contrada Granulari, dal tentativo di una selvaggia edificazione nella zona limitrofa alla Chiesa omonima della Santa Famiglia. In più occasioni, con comunicati scritti e raccolta firme, i cittadini di “Matera Nord”, riunitisi nel suddetto Comitato, hanno espresso la loro contrarietà a progetti di edificazione urbana dell'area per preservarne il carattere di “polmone verde”. Il progetto della nuova edificazione nell’area in oggetto, come proposta in variante al PRG Comunale, si pone in netto contrasto con le destinazioni previste dal Pianificatore, l’architetto Luigi Piccinato che, con la Variante al Piano Regolatore, approvato nel 1975, a

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fronte dell’alta densità abitativa della zona, aveva calcolato ed equilibrato i volumi, dotando il quartiere di servizi annessi, parcheggi e aree verdi. Nel 1999, l’ingegner Nigro, nella successiva Variante al Piano Regolatore, non ha a sua volta definito la destinazione dell'area. Se Piccinato con la variante del 1975 aveva destinato l’area in oggetto a “polmone verde” sì da consentire un livello accettabile di vita dei residenti di Matera Nord, emerge palesemente che le Conferenze di Pianificazione indette nei mesi scorsi hanno come unico scopo la cementificazione dell’intera area. La variante, infatti, accresce il carico abitativo danneggiando e compromettendo i rapporti e gli equilibri tra abita-

zioni, servizi e verde pubblico, in un quartiere di Matera, San Giacomo, già segnato dalla presenza di numerosi fabbricati. Un quartiere ad alta densità abitativa che invece necessiterebbe di un’area verde attrezzata con doppia finalità: ludico ricreativa e polo nevralgico per la gestione delle emergenze in caso di calamità naturale. In questo senso, la Pubblica Amministrazione è tenuta ad applicare le norme contenute nella legge regionale n. 23/99 che contempla l’integrazione con i Piani di protezione Civile. Così, per superare l’empasse, il comitato ha addirittura proposto al Comune un progetto finito di risistemazione a verde dell’area a ridosso della chiesa in modo che si possa già ipotizzare un intervento concreto su questo fazzoletto di città. I parrocchiani, i cittadini materani e i residenti in contrada Granulari chiedono al Comune di stralciare dall’area ogni intenzione di edificazione, salvaguardando la destinazione dell’area a verde pubblico.


Il design materano al Salone del Mobile rande apprezzamento per il divano Made in Italy soprattutto se prodotto nel distretto del mobile imbottito di Matera. E’ stata questa una delle indicazioni più importanti giunte dalla 53esima edizione del Salone internazionale del Mobile di Milano svoltosi ad aprile. A riferire i primi dati sull’andamento di questo importante appuntamento fieristico è Piero Stano, amministratore di Ego Italiano, azienda materana tra i maggiori player italiani del settore: “Il mercato estero ma, anche quello italiano, stanno ritornando ad apprezzare la qualità delle lavorazioni artigianali del distretto materano del salotto ed il design minimale delle nostre collezioni. Abbiamo registrato in fiera una forte presenza dei nostri mercati storici Belgio e Francia, paesi dove il marchio egoitaliano è oramai consolidato da tempo come prestigiosa firma dell’arredamento di alta qualità. Ma l’incremento del mercato estero è dovuto anche al ritorno di buyer inglesi e scandinavi sempre attenti al design e dunque attratti dallo stile sobrio delle nostre proposte living”. Un rinnovato interesse per il prodotto “made in Matera” arriva anche dal mercato italiano che ritorna a preferire la qualità e la ricercatezza stilistica dei nostri divani realizzati in vera pelle. Un settore che era finito in crisi nel corso degli anni perchè influenzato e “depistato” dalle promozioni commerciali a basso prezzo e bassa qualità proposte

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quotidianamente dai media. “Registriamo dunque – continua Stano segnali generali di ripresa dopo questo lungo periodo di crisi che ha segnato profondamente le produzioni del distretto materano del mobile. Per quanto riguarda “Ego Italiano” i dati dell’export fanno registrare nel primo trimestre 2014 un aumento del 27% del fatturato. Attualmente i nostri mercati sono rappresentati per il 50% dall’Italia e per il 50% dall’estero. L’obiettivo, per la fine del 2014, è di aumentare del 10% l’estero portando il nostro export al 60% sfruttando il successo che registriamo con i mercati del Far East (Singapore, Corea, Cina, Giappone)”. Tra le novità proposte da Egoitaliano al Salone di Milano spiccano i divani rivestiti con i pellami della collezione “Nuvole” progettati in esclusiva con colori dalle tonalità terra “effetto polvere” e piedi completamenti verniciati in testa di moro, grigio e bianco perla. “Questa collezione -spiega Leo Stano, visual designer di Ego Italianonasce dall’idea di essere quanto più vicini alle tendenze, ai colori, utilizzati nel mondo della moda e proposti da “Pantone Fashion Color Report”, vera e propria bibbia dei designer. Una scelta che migliora l’appeal dei nostri prodotti sul mercato internazionale”. “Calia Italia” ha presentato le nuove proposte di divani e poltrone pensate per offrire originalità alle esigenze funzionali e

di comodità. L’azienda materana ha evidenziato il forte legame con Lucania e le sue tradizioni. Giuseppe Calia, Direttore Generale di “Calia Italia”, ha dichiarato: “Da anni siamo impegnati nella produzione e vendita di mobili imbottiti che hanno condizionato il comfort e il design di molte altre aziende nostre concorrenti. La responsabilità di ricercare costantemente il miglior rapporto tra design, innovazione e qualità, ci spinge a innovare costantemente i sistemi di produzione. È questo che il mercato ricerca, ed è questo che rende i nostri divani unici e confortevoli. Quello che rimane costante, è il nostro amore per l’Italia e per la nostra città. Ecco perché abbiamo dedicato un evento speciale e tanto spazio nello stand, alla promozione di Matera capitale europea della cultura. All’ingresso di Via Dante, nel centro di Milano, tra piazza Duomo e il Castello, chiunque ha potuto ammirare il divano “Logo Matera2019”, fotografandosi e condividendo sui Social con hashtag #porto materanel2019, la propria voglia di partecipare all’evento di “guerrilla marketing”. Migliaia di persone hanno scoperto la città e hanno condiviso le ragioni di una candidatura così prestigiosa. Un successo che ci convince sempre più sulle ragioni di una vittoria finale. Siamo certi di poter aggiungere e raggiungere obiettivi comuni. Calia Italia e Matera”. gi.ma.

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MELFI RIVUOLE IL SUO

TRIBUNALE

A breve un nuovo Referendum Marianna Gianna FERRENTI

ra il 13 settembre 2013, quando con un colpo di spugna il tribunale di Melfi, assieme ad altri 30 presidi, è stato spazzato via dall’organico giuridico italiano come ultimo atto di una diatriba dal tono muscolare tra l’Ordine degli Avvocati di Melfi, gli amministratori locali di tutto l’hinterland dei 18 comuni che gravitano intorno alla circoscrizione del Vulture-Alto Bradano, i piani istituzionali regionali e il governo centrale. Eppure, negli ultimi mesi ci sono alcuni timidi segnali che fanno pensare che il discorso tribunale non sia affatto chiuso. Il “Lucano Magazine” ha intervistato il presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Melfi, Gerardo Di Ciommo per capire quali saranno gli sviluppi della vicenda nei prossimi mesi.

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Avvocato Di Ciommo, qual è stata l’origine della diaspora sul tribunale di Melfi? L’origine è stata la legge 148/2011, la cosiddetta “manovra bis”, che ha recepito un precedente decreto legislativo, recante “misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo”, e che ha delegato il governo a ridefinire le circoscrizioni giudiziarie attra-

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verso la soppressione e l’accorpamento di tribunali e sezioni distaccate. Nel maggio 2012 esce la legge delega n. 155 che recepisce la normativa stabilita dalla legge 148 e stabilisce, in aggiunta, una riorganizzazione della “distribuzione sul territorio degli

uffici giudiziari al fine di realizzare risparmi di spesa e incremento dì efficienza”. Appena visionata, abbiamo subito preparato un dossier che abbiamo presentato al Ministero di Grazia e Giustizia. In ogni caso, Melfi era salvo, perché la legge in questione prevedeva che ciascun distretto di corte d'appello, incluse le sue sezioni distaccate, comprenda non meno di tre tribunali con relative procure della Repubblica. Se non ché è stata fatta un’operazione che la legge delega non prevedeva: l’accorpamento dei tribunali extra-regionali. Così, non è stata osservata la bozza di relazione ministeriale sulla geografia giudiziaria che considerava il tribunale di Melfi intoccabile, e Sala Consilina è stato accorpato a Lagonegro, mentre il tribunale di Melfi è saltato. Qual è stata sempre la posizione dell’Ordine degli Avvocati di Melfi? È stata un’operazione dettata da scelte politiche che la Regione ha voluto fare perché sarebbe stato molto più logico accorpare Lagonegro a Sala Consilina che aveva un organico di 15 magistrati su cui gravitavano 30 comuni. E invece, facendo l’opera-


zione inversa, si è voluto penalizzare il Vulture Melfese Alto Bradano. L’Ordine degli Avvocati di Melfi è sempre stato contrario alla chiusura, si è opposto inoltrando istanze al Tar Lazio e alla Corte Costituzionale. Siamo orientati a presentare, nei prossimi mesi, assieme agli altri 30 tribunali soppressi, un nuovo ricorso alla Commissione della Giustizia Europea. A breve torneremo alla carica con un nuovo Referendum, ne avevamo già presentato un altro che non è stato accolto. In che modo si sono mosse le amministrazioni locali e, soprattutto, c’è stata sinergia tra queste e l’Ordine degli Avvocati di Melfi? Il rapporto con l’amministrazione Valvano è stato sempre cooperativo, così come con i 110 sindaci del circondario c’è stata una intensa collaborazione che ci ha portati più volte a Roma. Io personalmente sono stato ben 60 volte nel capoluogo, ho avuto incontri con rappresentanti ministeriali, sottosegretari e parlamentari. In rappresentanza dell’Ordine degli Avvocati di Melfi ho incontrato il ministro della Giustizia Cancellieri, l’allora sottosegretario Beretta, e una serie innumerevoli di parlamentari, almeno 100, da Belisario fino ai grillini. Ho incrociato due volte Bersani, Bocchino, l’avvocato Penalista Giulia Bongiorno che ricopriva la carica di Presidente della II Commissione Giustizia e il senatore Li Gotti, componente della commissione Antimafia. Per non parlare delle decine di incontri con l’allora governatore Vito De Filippo. Sono state organizzate decine di manifestazioni, ma la risposta della politica è stata scarsa e deludente. Due mesi fa la comunità melfitana ha incontrato Marcello Pittella che ha ribadito la volontà di restituire alla città il suo tribunale, impegno preso proprio nella sala consiliare del Comune. Attendiamo sviluppi. Cosa risponde a chi vi ha accusato di ostruzionismo alla chiusura del presidio giudiziario per ragioni di campanilismo, interessi e di privilegi di casta? È una grande bugia. Questa è una riforma scellerata che non ha tenuto conto delle specificità del territorio. Il tribunale di Melfi, a differenza di altri, era molto più efficiente. Aveva tempi di risposta molto più rapidi, di circa la metà, rispetto a quello di Potenza. Cosa significa per tutto il VultureMelfese e Alto Bradano la chiusura di un presidio, garante di legalità in un crocevia strategico non solo per la microcriminalità locale, soprattutto, per quella organizzata proveniente dalle regioni limitrofe, Campania, Calabria e Puglia? Significa gravi ripercussioni non soltanto per questo territorio ma per tutta la regione. Bisogna tenere in conto che la crimina-

lità foggiana è tra le più pericolose in Italia perché spara con notevole facilità, inquina, gestisce affari illeciti. Prima c’era questo presidio che la arginava, adesso temo per la Basilicata; altro che isola felice! La funzione di sentinella del territorio e di suggello legale non potrebbe essere svolta, egualmente, dal tribunale di Potenza? Non è la stessa cosa. Un conto è avere il tribunale sul territorio, un altro invece è avere una Procura della Repubblica lontana 60-70 km. Non è solo una questione di distanza, bensì di controllo e conoscenza, di rapidità delle indagini e di efficiente sinergia con Polizia e Carabinieri sul luogo. Se a ciò si aggiunge che dall’organico dell’ex tribunale di Melfi sono andati via già quattro magistrati che hanno preferito trasferirsi in circoscrizioni più vicine alle loro residenze, si può dire che se non fosse per i Got, i magistrati onorari, la situazione sarebbe quasi paralizzata. Si vocifera che all’interno della struttura, ormai privata di ogni funzionalità, sia iniziata un’attività di manutenzione dell’impianto antincendio. La

comunità, non solo melfitana, si chiede cosa stia accadendo. I lavori di adeguamento dell’impianto antincendio sono stati realizzati sulla base di lavori appaltati molti anni prima, quando ancora non si poneva la questione della chiusura del tribunale. In ogni caso, è importante insistere sulla sicurezza dell’edificio sia che il Palazzo di Giustizia venga destinato a sede del Giudice di Pace e sia che torni il tribunale. Lei lascia aperta la possibilità che torni il tribunale? Quindi si può dire che il discorso non è affatto chiuso? Io ho la speranza che prima o poi si renderanno conto che è stata commessa un’ingiustizia. Questo pendolarismo continuo da Venosa, Montemilone, Palazzo, Maschito e tutti gli altri comuni che gravitano sulla circoscrizione di Melfi, ben 18, contribuirà a rendere più onerosi i processi, con maggiori inefficienze e tempi di risposta molto più lunghi rispetto a prima. A ciò si aggiunge la maggiore esposizione dei cittadini ai pericoli di incidenti stradali sulla Potenza-Melfi, che è sempre più una “strada della morte”. Auspico che il discorso non sia affatto chiuso e che, chi di dovere, capisca.

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R E P O R TA G E

conseguenze

Le delle estrazioni petrolifere sull’uomo e all’ambiente i chiama “AleAnna Resources LLC” la compagnia texana che nel 2006 ha avanzato un’istanza di permesso di ricerca sul territorio del Vulture – Alto Bradano e che ha intenzione di investire in pozzi di perforazione, rilievo sismico. «A suo dire – commenta la prof.ssa D’Orsogna – agirebbe con tecniche poco invasive, innovative e rispettose dell’ambiente. Ebbene, tutto ciò è impossibile e non lo dico io, lo dicono i dati statistici, gli studi, approfonditi dalle più importanti accademie, istituti ed enti di ricerca, delle più accreditate riviste specialistiche nel settore ambientale, dimostrano come le cose stiano diversamente, e non solo lo dicono gli stessi petrolieri nei loro incontri tecnici». Ma veniamo alle conseguenze che le estra-

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zioni petrolifere provocano sull’uomo e all’ambiente «i fanghi e i funghi di perforazione ad alto impatto, sprigionano nell’ambiente sostanze fortemente aggressive dalle acque di risulta come emerge da uno studio condotto dal Dipartimento di Relazione Ambiente degli Stati Uniti» nonostante la società texana, e le società in generale, voglia far intendere che «i pozzi sono cementificati e sigillati. È impossibile controllare cosa accade davvero nel sottosuolo». «Il Fondo del Barile, è un petrolio di scarsa qualità, amaro e pesante, lo stesso che viene sversato in Basilicata e, in particolare, in Val D’Agri. Questo petrolio, amaro e pesante, necessita di un processo di desolforazione, come quello che avviene nel “Centro Oli” ma, come rivela lo studio

della prof.ssa Albina Colella, esso non è in grado di eliminare tutta la componente solforea che, inevitabilmente, in una certa percentuale viene rilasciata in atmosfera, come accade a Viggiano, sulla terraferma, ma, in altre zone d’Italia, anche in mare su speciali piattaforme o navi che galleggiano». Gli effetti da esalazioni da idrogeno solforato, sull’uomo e sulla salute variano a seconda delle dosi: il rilascio in atmosfera di quantità di gran lunga superiore alla norma può portare collasso e morte, come è accaduto nelle cisterne di Molfetta (2008), Catania (2008) e di Sarroch in provincia di Cagliari, nel 2009. Esistono, inoltre, studi scientifici accreditati che dimostrano che «respirare gas di idrogeno solforato tutti i giorni può provocare problemi


cronici e danni permanenti (ansia, depressione, fatiche respiratorie, malattie bronchiali) e, l’esposizione prolungata nel tempo ad agenti genotossici può provocare danni al DNA, mutamenti genetici e comparsa di alcune forme tumorali, come quelli infantili che in Italia sono aumentati anche a causa della componente ambientale». «Questa instabilità del genoma è provocato proprio dall’idrogeno solforato continua - perfino l’istituto americano dei petrolieri, nel 1948, ha ammesso che per essere sani è necessaria una concentrazione pari allo zero di etilbenzene, una componente dell’idrogeno solforato. Perfino i petrolieri lo hanno ammesso nelle loro relazioni e studi internazionali, non c’è bisogno di fare esperimenti sulla pelle dei lucani». «In California esiste una legge sul protocollo della trasparenza dei dati, da cui è emerso che la possibilità di scoppi petroliferi non sono certo ordinari, ma neanche poco frequenti, come è accaduto in passato a Novara, senza andare troppo lontano in Basilicata, a Policoro, nel 1991, e in Messico, l’ultimo terribile scoppio in mare risale al 2010. C’è poi il rapporto di Science, una tra le riviste scientifiche più accreditate al mondo che si spinge oltre e in un rapporto recentissimo del 21 aprile 2014 attesta: “Potrebbe essere che l’attività umana abbia scatenato terremoti italiani mortali come in Emilia Romagna”». «Tenendo conto che il territorio compreso fra Barile, Ginestra, Rapolla e Ripacandida è stato dichiarato “sismico di primo livello”, gli ultimi dati rivelati non sono da sottovalutare nella prospettiva di un permesso di ricerca estrattivo nel Vulture – Alto Bradano. Un altro aspetto importantissimo

che emerge nella relazione è la subsidenza indotta, che può provocare problemi alle fogne e allagamenti a causa dell’abbassamento del terreno provocato da attività artificiale». «Anche in questo caso – rivela la docente di fisica dell’Università californiana – esiste un legame tra subsidenza indotta e aumento dei pozzi petroliferi, e anche in questo caso non lo dico io ma lo ammettono gli stessi petrolieri». Ma allora perché vogliono venire a investire in Italia e in particolare in Basilicata? «In California ci sono limiti di legge molto restrittivi – aggiunge – tranne in Messico, dove non a caso sono accaduti i peggiori incidenti nel corso della storia. In Italia, purtroppo, non ci sono controlli, le leggi sono piuttosto

blande tant’è che le stesse compagnie ammettono che il nostro paese è un buon posto per fare business». «E in più in Italia tutto ciò accade con il silenzio assenso delle istituzioni, mentre in Norvegia è lo stesso governo che pubblica sui propri siti ufficiali che le attività petrolifere provocano gravi immissioni di inquinanti nell’aria e che non è possibile operare se non utilizzando sostanze chimiche, spesso tossiche». «In Italia invece si tende a rassicurare, mentre i danni provocati e quelli che sia l’attività di estrazione petrolifera che quella di subsidenza indotta possono provocare con il tempo, sono chiari a tutti, eppure si continua a non volerli vedere». ma.gi.fe.

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R E P O R TA G E

IL'esempio GALdella

Maratea

“Cittadella del Sapere” Giovanni GALLO

GAL sono degli organismi che pianificano e attuano strategie di sviluppo rurale nella varie aree del territorio nazionale per promuoverlo da un punto di vista turistico. In Basilicata ne operano otto (Akiris, Basento-Camastra, Bradanica, Cosvel, CSR Marmo Melandro, Cittadella del Sapere, Le Macine, Sviluppo Vulture Alto Bradano), a conferma di una grande spinta verso il turismo su cui la Basilicata, aumentando la sua attrattività, vuole far leva. Nicola Timpone, energico direttore del GAL “La Cittadella del Sapere”, che opera tra Parco del Pollino e Parco Val d’Agri Lagonegrese, tra Senise e Maratea, ci ha illustrato come un GAL può migliorare l'appeal dei territori e su quali progetti punta-

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re. I GAL in prima linea anche per l'EXPO 2015, un appuntamento di spessore con cui la Basilicata misurerà le proprie ambizioni e si presenterà al mondo. Infine, dall'Austria, arriva il via libera per un progetto di cooperazione transnazionale per la condivisione di conoscenze e buone pratiche. Timpone, cos'è un GAL e di cosa si occupa? Il Gruppo di Azione Locale, meglio conosciuto con l'acronimo GAL, è il soggetto attuatore del programma comunitario LEADER, ossia un partenariato che riunisce organizzazioni del settore pubblico, privato e della società civile. Le funzioni del GAL comprendono l’individuazione, la pianificazione e l’attuazione delle strategie di sviluppo per l’area rurale nella quale opera. Il territorio del GAL “La Cittadella del Sapere” è rappresentato da 27 comuni della provincia di Potenza collocati nell’area Sud-Occidentale della Basilicata. I cittadini coinvolti nel nostro Piano di sviluppo locale sono circa 75.000. Quali sono i progetti riusciti che hanno dato una marcia in più al territorio di


competenza? In questi anni si è cercato di aumentare la competitività e l’attrattività del territorio attraverso iniziative di vario tipo. Tra i progetti più interessanti vi è quello per la realizzazione di un museo multimediale dedicato alla Monnalisa, che, tra storia e leggenda popolare, pare sia sepolta in terra lucana e, precisamente, a Lagonegro. Il progetto è sicuramente di ampio respiro e prevede, tra l’altro, il coinvolgimento delle scuole e dei giovani attraverso numerosi eventi, seminari, incontri-studio, mostre e spettacoli culturali di carattere nazionale ed internazionale. Un'altra esperienza significativa è stata l'attività di promozione delle produzioni agroalimentari tipiche dell'area di competenza del GAL, attraverso l'apertura, dal 19 dicembre 2013, della Mostra Permanente dei Prodotti Tipici realizzata dal GAL nel cuore di Roma. Un’iniziativa di grandissimo successo che ha permesso ai tantissimi visitatori della capitale di conoscere e gustare le incredibili bontà lucane. In generale, l'assunto di partenza delle nostre iniziative è che il buon cibo, oltre all'arte, alla cultura, e alla natura, siano un ottimo attrattore turistico. Quelli con cui opera un GAL sono fondi europei. Con quale meccanismo vengono ridistribuiti sul territorio? I GAL si avvalgono delle risorse FEASR (Fondo Europeo per l’Agricoltura e lo Sviluppo Rurale) le quali vengono impiegate per co-finanziare gli interventi previsti nei Piani di Sviluppo Locale. Le modalità di

San Costantino Albanese

attuazione delle varie progettualità sono tre: “bandi pubblici” aperti al territorio per la selezione dei beneficiari; operazioni “in convenzione” (nel caso in cui la specificità dell’operazione richieda l’affidamento ad un soggetto che per finalità istituzionale o per capacità scientifiche possa garantirne la corretta attuazione); ed infine le operazioni a “regia diretta” del GAL. In quest’ultimo caso il beneficiario è lo stesso gruppo di azione locale che realizza interventi che interessano il territorio nel suo complesso. Il GAL “La Cittadella del Sapere” parteciperà all'EXPO 2015 di Milano? In questa fase i principali enti locali lucani stanno lavorando sul programma sotto il coordinamento della Regione. L’EXPO rappresenta una grande opportunità per promuovere su scala internazionale la Basilicata, le specialità del nostro territorio e non ci faremo trovare impreparati. La vediamo spesso al fianco di personaggi famosi. Quanto è gratificante questo aspetto del suo lavoro? Non parlerei esattamente di gratificazione. Il punto è che la visibilità dei personaggi di rilievo pubblico è importante per accrescere il focus sul nostro territorio. In questi anni abbiamo attivato numerosi media televisivi, la stampa e il mondo delle arti (musicisti e attori in particolare) per far conoscere le nostre bellezze paesaggistiche e le nostre tradizioni enogastronomiche o culturali. L’obiettivo resta quello di incentivare la presenza turistica, in quanto driver indispensabile per lo sviluppo delle imprese

Latronico Terme

Nicola Timpone

locali e per accrescere la rinomanza e la commerciabilità dei prodotti agroalimentari ed artigianali. Quali saranno le iniziative future? Dopo anni di grande lavoro svolto in perfetta sinergia con l’APT Basilicata abbiamo finalmente ottenuto il via libera da Vienna per ospitare l’evento L.I.N.C. 2015, una manifestazione di spessore internazionale che porterà sul territorio lucano centinaia di persone da ogni angolo d’Europa, operatori dello sviluppo locale e rappresentanti delle Istituzioni UE. Una piccola divagazione. Il L.I.N.C. (Leader Inspired Network Community) è un progetto giovane, dinamico e di grande successo, lanciato nel 2009 dai Gruppi di Azione Locale austriaci in collaborazione con la “Austrian Rural Network”. L’obiettivo dell’iniziativa è quello di sostenere la cooperazione transnazionale e la condivisione di conoscenza e buone pratiche attraverso eventi annuali di straordinario impatto che si svolgono nelle regioni dei GAL aderenti al network. Le precedenti edizioni della manifestazione – Austria 2010, Germania 2011, Estonia 2012 e Finlandia 2013 - sono state incredibilmente significative, sia in termini di presenze che dal punto di vista delle ricadute economiche e d’immagine sul territorio. E’ evidente che tale progetto rappresenti un’opportunità eccezionale per gli operatori economici e le strutture ricettive della regione ospitante. Possiamo dire con orgoglio che la Basilicata sarà la prima regione italiana ad ospitare l’evento L.I.N.C., il quale si protrarrà per non meno di 5-6 giorni e garantirà ai numerosissimi partecipanti esperienze irripetibili tra escursioni, visite guidate, itinerari enogastronomici, eventi culturali e ludico-sportivi, seminari e workshop. Info: www.lacittadelladelsapere.it

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E P I S T E M E

Culture in e Leonardo CLAPS

a cultura, come ben si sa dagli studi antropologici, è un insieme complesso di idee e comportamenti ritenuti validi e vitali per il gruppo sociale che li adotta. Ogni società umana ha avuto la sua cultura ed ogni cultura è stata utile per la sopravvivenza di ciascuna società. Ma oggi le cose stanno ancora così? Oggi, dove il mondo sta subendo profonde trasformazioni, la cultura in senso antropologico può ancora essere considerata come valore indispensabile per la sopravvivenza? In poche parole, oggi si può parlare ancora di cultura? Considerando le trasformazioni attuali che sono in atto in gran parte del mondo sembra plausibile affermare che il concetto di cultura in senso antropologico dovrebbe oggi essere preso con molta cautela. Ad esempio, i proverbi, fanno ancora parte del bagaglio informativo dei diversi gruppi sociali? Inoltre, le varie usanze popolari, i costumi, l'arte culinaria, le canzoni e le antiche tradizioni fanno ancora parte del tessuto sociale dei popoli? I giovani di oggi

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conoscono l'antica saggezza conservata nei proverbi locali? Per rispondere a queste domande bisogna tener conto di alcuni studi dell'antropologia culturale. Secondo alcuni studiosi una cultura è valida e sostenibile se di fatto è utile per la sopravvivenza di un certo gruppo sociale. Ad esempio, se i proverbi contengono informazioni utili per la vita di un gruppo allora è molto probabile che si tramandino, perché rappresentano un valore essenziale per la sopravvivenza di quel gruppo. Un altro esempio: se le canzoni folk contengono valori allora è giustificabile ritenere che continueranno a circolare nel tempo. Ma oggi, in un mondo in crisi, in cui i cosiddetti valori sembrano sfumati, di che cultura si può parlare? Che senso può avere oggi parlare di proverbi se la tendenza generale è caratterizzata da una certa superficialità assiologica? In generale, sembra plausibile affermare che l'esistenza delle culture in senso antropologico non può essere messa in discussione nemmeno

dalle crisi storiche, passate o attuale, e anzi proprio a causa di queste crisi si sente il bisogno di riscoprire e rivalorizzare i valori culturali tradizionali. Per la confusione attuale dei valori sembra allora più che auspicabile la riscoperta delle culture in senso antropologico, perché proprio ora il mondo ne ha maggiore bisogno. Facciamo qualche esempio. Consideriamo il proverbio lucano nisciun' ben' senza pen' (nessun bene senza pena). Vuol dire semplicemente che il bene si ottiene con la pena, cioè con lo sforzo, l'impegno, il sacrificio. Proprio in un mondo in crisi questo semplice proverbio può fungere da forte richiamo. Perché? Per comprenderlo veramente occorre un sincero impegno culturale, cioè una dedizione particolare, una cura specifica che ne faccia emergere il senso autentico, e quest'elaborazione, senza un atteggiamento culturale, non porterebbe frutti. Ma vediamo con l'analisi. Qui “bene” è inteso indubbiamente come valore, nel senso che il bene è buono, utile, vantaggioso, conveniente. Ma il bene, dice


voluzione? il proverbio, non si può ottenere senza sforzo o impegno, perché altrimenti non sarebbe bene. Il bene è indubbiamente valore e il valore, se è davvero tale, non si può ottenere a buon mercato. Quindi, ovvia conseguenza, se una persona si sente povera di bene, si sente meschina, escludendo cause estreme, dovrebbe considerare attentamente l'impegno e lo sforzo che avrebbe dovuto impiegare per evitare la sua condizione miserevole. Il proverbio allude al fatto che le cose non ci cascano dal cielo e che ognuno dovrebbe darsi da fare per avere ciò che può sostanziarlo. Ed è perciò che senza pena si ottiene poco, e quel poco è di scarso valore. Anche se si hanno buoni talenti, buone capacità, senza impegno e senza pena non si realizzerà niente di importante. Un semplice proverbio ci fa riflettere su una questione di fondo dell'esistenza: chi si trova vuoto di valore è perché evidentemente non ha fatto nulla per conquistare il valore. Se uno si disperde solo nell'esteriorità, nell'apparenza, non può pretendere la

vera sostanza. Ed ecco che qui la cultura, intesa come cura e valorizzazione, indica una strada certa, un sentiero percorribile. In questo senso la cultura è salvezza, rimedio contro i mali del mondo e della vita, saggezza. In questo senso è evoluzione, cioè progresso, ascensione. La crisi dei valori si può superare grazie al recupero dei valori. Anche in altri prodotti culturali, come ad esempio le fiabe, le canzoni, gli antichi racconti troviamo sempre, esplicito o implicito, lo stesso motivo: l'impegno dell'uomo è decisivo. Ad esempio, una strofa della tarantella aviglianese dice: ngi stai nu m-ttor' ca semb' met' (c'è un mietitore che sempre miete). L'immagine del mietitore che instancabilmente miete rappresenta l'uomo che suda nei campi sotto il caldo sole di Luglio, un uomo forte, costante, incrollabile. Ma miete, cioè lavora per raccogliere. Miete per raccogliere il grano, per ottenere un valore. Anche i giocattoli tradizionali, quelli poveri che provengono dalla cultura popolare,

sono oggetti semplici che però richiedono una certa abilità nell'usarli. Esempio tipico è il cosiddetto gioco del cerchio. Con una bacchetta, dando piccoli colpi, il giocatore deve far rotolare il cerchio lungo un percorso spesso accidentato. Non è affatto facile. Anche qui, a livello pratico, sono necessarie pazienza, concentrazione, costanza. Da tutti questi esempi possiamo sicuramente dedurre che la cultura, quand'è veramente tale in senso antropologico, è realmente evolutiva. Il suo aspetto evolutivo consiste nella sua capacità, più o meno implicita, di mettere alla prova l'uomo. Quindi, senza cultura l'uomo sarebbe un inetto, un parassita, uno sprovveduto. Anche oggi, in questo mondo distratto, superficiale, deludente c'è bisogno di un richiamo, un richiamo che proviene dalle profondità dell'anima umana, da quell'immenso bagaglio di valori che si sono conservati attraverso i secoli. Non si deve fare altro che ricercare, quindi trovare, quindi valorizzare. Anche in questo c'è impegno. L'impegno che nutre.

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E U R E K A

UN PIATTO CONVI ITINERANTE

NEL CUORE DELLA MON

Ettore BOVE

ohn Berger, l’eclettico e prolifico vecchio artista inglese, in una breve nota di piacevole lettura, pubblicata in età giovanile, sul diverso modo di mangiare dei contadini e dei borghesi, riporta all’attenzione come il cibo segni per i primi momenti ripetitivi di dura fatica e privazioni. Se poi l’attenzione si sposta sulle tradizioni alimentari delle aree interne meridionali, l’osservazione di Berger non è nient’altro che un ritorno a un passato, non lontano, segnato dalla marcata contrapposizione tra, come osserva Vito Teti, poveri contadini costretti a mangiare “pane nero” e ben nutriti borghesi mangiatori di “pane bianco”. Questa contrapposizione esemplifica bene anche la vita di sofferenze delle famiglie contadine della montagna lucana che fino a non più di mezzo secolo fa hanno dovuto fare i conti con la penuria di cibo. Alle persone anziane, perciò, diventa impossibile capire chi oggi parla, a scopi prettamente commerciali, di improponibili modelli alimentari di quei tempi, in cui dominava la figura del maiale, dimenticando di dire che i contadini di allora erano condannati alla fame. Nelle zone appenniniche della Basilicata,

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tuttavia, il confine tra i due modelli alimentari si spinge ben oltre la diversità del colore del pane, che pure non rimane un fatto solo simbolico. Le proteine animali, infatti, risultavano accessibili solo in particolari occasioni poiché dovevano competere, data la scarsità di terre da coltivare, soprattutto con i cereali. L’olio, dati i limiti altimetrici della coltivazione dell’olivo, rimaneva un sogno per i ceti più poveri e il vino, ricavato anche aggiungendo acqua alle vinacce, ottenendo la cosiddetta “acquata”, risultava insufficiente ai consumi famigliari in quanto, quando i contadini non autonomi si trovavano a coltivare fondi altrui con filari di viti, raramente la partitanza si esercitava sul raccolto di uva. Questi fondi, spesso di modesta ampiezza e lontani anche decine di chilometri tra loro, però, nell’insieme rispondevano a un’esigenza d’integrazione fondiaria che partiva dalle zone pedemontane e si diramava fino a raggiungere, nei mesi estivi, i freschi pianori d’alta quota. Nell’ambito di questo contesto di spinta precarietà fondiaria che, appunto, vede terre, localizzate a diversa altitudine, integrarsi verticalmente tra loro, lo sguardo si posa su di un piatto del passato tipico di Paterno, il piccolo centro appenninico lucano noto per le numerose sorgenti e le tante frazioni allineate, per diversi chilometri, alla destra del fiume Agri. Fondato sulla combinazione di patate, fagioli, grasso di maiale e qualche foglia di alloro, il piatto, noto come “patate e fasuli impastati” (patate e fagioli impastati), rimane a ricordare ai paternesi i momenti di socialità e di condivisione del cibo preparato e consumato lontano da casa. Con il sorgere del sole, fin dal mese di aprile, famiglie intere lasciavano le loro modeste

L’assonza

dimore paesane, per chi poteva in compagnia di asini, per andare a “piantare le patate” nei numerosi pianori disseminati ad altitudini elevate, sui monti della Maddalena, ai confini con il Vallo di Diano. Gli itinerari seguiti erano due. Il primo, costeggiando il ricco corso d’acqua della sorgente “Capo lo scuro”, portava verso Pergola (Marsico Nuovo) e dopo alcune ore di cammino si arrivava alle umide piane di “Fontana Lunga”, sopra l’abitato di Santino. Il secondo, partendo dallo stretto sentiero del “Calancone”, conduceva nei dintorni delle


VIALE TAGNA LUCANA spettacolari sorgenti dell’Agri per poi distaccarsi in direzione delle piane di Campolongo (Montesano sulla Marcellana) e di Mandrano (Padula). La tappa più vicina, dopo quasi tre ore di cammino, erano le terre del “Cupolo”, che dopo decenni di abbandono sono tornate, in minima parte, di nuovo produttive. Per arrivare alla piana più lontana, “Terra fredda”, ai confini con Padula, era necessario proseguire per almeno un’altra ora. A spingere tanta gente verso le zone alte era, ovviamente, la fame di terra. Si andava alla ricerca di suoli da coltivare dovunque possibile. I pianori individuati si prestavano, data la loro reazione acida e l’elevata capa-

L’assonza tra vescica e guanciale

cità di ritenzione idrica, alla coltivazione, in successione, della patata e della segale. Le terre più compatte erano destinate ai ceci e alla “saragolla”, il grano duro a taglia bassa coltivato, sebbene poco produttivo, per sfuggire all’allettamento causato dal vento. Nei campi di patata venivano sparsi semi di fagiolo bianco e di granoturco in modo da realizzare una consociazione favorevole alla segale e alla diversificazione della produzione. Dopo l’interramento dei tuberi si ritornava per le operazioni di zappettatura e di raccolta, che poteva protrarsi oltre la fine di settembre. La produttività e la pezzatura dei tuberi era condizionata dalla scarsità delle piogge estive. Occorre tener presente che non si usavano fertilizzanti né, tantomeno, data l’altitudine, e i tempi, antiparassitari. Con il linguaggio d’oggi si direbbe che la consociazione realizzata e la rotazione biennale adottata portavano a modelli di agricoltura sostenibile. Ad ogni modo, l’aspetto che caratterizzava maggiormente queste produ-

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“Piatt ri caliviedd” (piatto di Calvello) con u iascungiedd (barilotto) “Piatt ri caliviedd” (piatto di Calvello)

zioni, sicuramente biologiche, riguardava la conservazione e l’uso. La segale, seminata a ottobre, dopo la mietitura a mano veniva sistemata in piccole aie e “battuta” con degli arbusti fino al distacco delle cariossidi. La farina, ritenuta di qualità inferiore a quella di grano, veniva impastata assieme a patate bollite per ottenere pagnotte, chiamate “ri sciurumani e patat”, di colore scuro. A differenza della segale, le patate solo in parte venivano trasportate a valle poiché la mancanza di spazi adeguati ad evitare la germogliazione obbligava i contadini a conservarle, per l’inverno, nei luoghi di coltivazione in apposite buche mimetizzate tra la ricca vegetazione di felci. Naturalmente, nel preparare la buca si aveva cura di accertarsi di non essere osservati. L’organizzazione produttiva, ad elevata intensità di lavoro, sempre scambiato o retribuito in natura, aveva l’obiettivo di dare stabilità a produzioni che senza l’ausilio dell’acqua sarebbero state compromesse e di ottenere combinazioni merceologiche in grado di compensare la penuria di alimenti. La pietanza di patate e fagioli, che non aveva niente a che fare con minestre o zuppe di verdure, poiché era simile alla polenta, veniva preparata utilizzando prodotti del posto. Assieme alle persone salivano pochi utensili da cucina, tra cui l’immancabile piccolo orcio (uciùcm) pieno di vino, i fagioli, il grasso di maiale e il tradizionale pane di segale e patate. Il condimento utilizzato era la cosiddetta “assonza”, il grasso di maiale perineale impastato, assieme a sale, finocchio e polvere di peperoncino, per ricavarne un ammasso da appendere e utilizzare al posto del lardo e della sugna. Una volta cotta, la minestra veniva versata in un grosso piatto di terracotta, la “zuppiera dei cafoni”, detto, per l’origine, “piatt ri caliviedd” (piatto di Calvello), e si aggiungevano, a seconda della stagione e delle disponibilità, peperoni piccanti, melanzane, salsiccia, pancetta. Seduti per terra, i contadini consumavano il pasto assieme, attingen-

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do dall’unico grande piatto. Unico era anche il contenitore del vino, un piccolo barilotto di legno, dalla capacità di circa un litro, detto “iascungiedd”, che provvisto di una cannuccia per bere girava tra i numerosi presenti. A questa pratica collettiva di consumare il cibo per terra, non mancavano di aggregarsi anche solitari pastori e qualche militare della vicina base di “Mandranello”, consolidando così l’esistenza, soprattutto in montagna, di consuetudini non gerarchiche o di esclusione sociale. Al termine della giornata di lavoro, le donne ritornavano in paese, per poi risalire la mattina, mentre gli uomini trascorrevano la notte al riparo di improvvisati ricoveri coperti di frasche (pagliari) o di baracche. In concreto, un semplice piatto di patate e fagioli condito con grasso di maiale e profumato con foglie di alloro, finiva per ritagliarsi, in un pezzo dell’Appennino lucano, il ruolo di cibo della condivisione e dell’ospitalità. Oggi, con la montagna che si è spopo-

lata, questo povero piatto contadino, dalla preparazione elementare ma dal gusto sicuramente impegnativo, almeno per i consumatori più giovani, ritorna nelle menti delle persone anziane come momento di nostalgia, quasi a rimpiangere periodi faticosi e di stenti. A ricordare i momenti di fraterna discussione che si svolgevano intorno al tradizionale piatto conviviale paternese, rimane la versione rivisitata di patate e fagioli condita con olio d’oliva e l’immancabile “assonza”, forse da non utilizzare mai, sospesa tra invitanti pezzi di “vucculari” (guanciale) e suggestive vesciche piene di salsicce. Di quella situazione non rimane altro, sebbene si tenti di farla rivivere, pur stando comodamente seduti e serviti a tavola, immaginando che le patate siano quelle di montagna e bevendo vino, questa volta non annacquato, anziché dal tradizionale “iascungiedd”, ritenuto non igienico, da brocche (uzzùl) e boccali di terracotta (zzùlidd) finemente decorati.

“Piatt ri caliviedd” (piatto di Calvello)con “uciùcm” (orcio) “uzzùl” (brocche) “zzùlidd” (boccale)



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uando il cinema incontra la musica. Il regista lucano ha da poco diretto Crisi l’ultimo videoclip dei Krikka Reggae con il frontman dei 99 Posse, Zulù. In attesa del cortometraggio Thriller, ambientato nel quartiere Tamburi di Taranto, Albano rivela a Il Lucano Magazine il sogno bernaldese, la bellezza del processo creativo del filmaker e la sua Basilicata.

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Giuseppe Marco Albano

«Un giorno mi piacerebbe aprire a Bernalda il Nuovo cinema delle Vittorie» 36

Come è nata la collaborazione con i Krikka Reggae? Un sodalizio che nasce, innanzitutto, da un'amicizia con i componenti della band e dalla passione per la loro musica. Nonostante la mia indole non sia dedicata alla direzione di videoclip musicali, il rispetto reciproco umano e professionale dà vita a questo incontro. Parlaci del video Crisi con i Krikka e i 99 Posse. Lavorare, dirigere Zulù, chiamarlo Luca sul set è stata una forte emozione. Da piccolo conoscevo a memoria le canzoni dei 99 Posse. Il brano si intitola Crisi, parla di quello che stiamo vivendo. La sceneggiatura l'ho scritta di pancia ispirandomi ad alcune serie televisive americane che mi stanno facendo impazzire. Non voglio svelarvi nulla ma abbiamo girato tra Craco e Pisticci. Scrivere per il cinema, scrivere per la musica. Quanto è importante l’arte musicale per la settima arte? Scrivere per il cinema e scrivere per la musica sono due cose differenti. Nel cinema c'è bisogno di una coerenza narrativa più tangibile, nei video musicali la parte estetica prevale. La storia del videoclip


cambia negli anni, avanza al passo delle tecnologie e delle mode, modellandosi su di esse ed è comunque un prodotto televisivo. La musica è fondamentale non solo per il cinema, ma per la vita di tutti i giorni. La musica è l'anima del mondo. È in uscita il tuo corto Thriller. Perché hai scelto Taranto e il sogno televisivo di un ragazzo di periferia? Perchè fin da bambino son rimasto affascinato dalla bellezza della città che è stata sfondo di molti episodi personali. Oggi sono riaffiorati nella mia mente e hanno determinato la voglia di raccontarla. Tua mamma è lucana, tuo papà pugliese. I pregi e i difetti delle due regioni? La Lucania è una regione che mantiene ancora la purezza, la tradizione dei suoi paesaggi preservandola, ed è forgiata da un’accoglienza unica. Purtroppo si perde tra invidie e cattiverie che non ci permettono di fare il salto di qualità. La Puglia, invece, è riuscita a sviluppare diversi poli produttivi e culturali, a volte pecca di un eccessivo campanilismo interno. Ti sei appassionato al cinema in un paese, Bernalda, senza sale cinematografiche. Cosa pensi della digitalizzazione? La digitalizzazione ha permesso a tanti filmaker e appassionati di cinema, di trasformare in audiovisivo le loro idee eliminando il rischio di far rimanere chiuse nei cassetti tante intuizioni. Beh, la mancanza di una sala cinematografica nel mio bel paese è una pecca, anche perché siamo la città che ospita uno dei miti della storia

del cinema, originario proprio di Bernaldabella, come la chiama lui, Francis Ford Coppola. Non voglio pensarci altrimenti mi metto a piangere, però se per un attimo mi fermo ed incomincio a sognare, vi svelo che mi piacerebbe un giorno aprire un cinema nel mio paese, ricordando la sala che avevamo qui a Bernalda, il Cinema delle Vittorie. Ruberò l'idea al grande maestro Peppuccio Tornatore, aprirò il Nuovo Cinema delle Vittorie. È un sogno lo so, ma io non smetto mai di sognare.

traggio sul cinema e sulle vicende del protagonista Antonio Colucci. È la storia di un regista di provincia che ha una passione per l’horror, ed ha un sogno: girare la sua prima pellicola. Ma per realizzarlo dovrà girare la Basilicata per ricercare finanziamenti. Una storia sul cinema, vero. Una storia su come sia complicato realizzare un sogno e su come sia diventato complicato fare cinema. La vicenda si mescola con elementi di vita privata, le difficoltà dei rapporti e della vita di provincia.

I tuoi riferimenti cinematografici? Tim Burton, Francois Truffaut, Takeshi Kitano, Ermanno Olmi, Giuseppe Tornatore e, ovviamente, Dio Fellini.

In Basilicata aumenta l’interesse per le tematiche legate al cinema e il numero di persone coinvolte, con quali risvolti? Sicuramente è un fermento positivo, già prima esistevano tante realtà e tanti bravi registi che animavano il settore con buone produzioni. La nascita della Lucana Film Commission è salutata da tutti con entusiasmo, non può che fare bene al settore, agli addetti ai lavori e alla Basilicata, ormai davvero terra di Cinema.

In che modo inizia il processo creativo di un filmaker? Con lo studio, la lettura e la coltivazione di ogni forma d’arte che porta all’individuazione di un'idea e allo sviluppo di un racconto. Mai smettere di leggere, di incuriosirsi, di interessarsi a qualunque cosa. Mai smettere di amare, di innamorarsi e soprattutto mai smettere di essere critici con se stessi. L'umiltà è la prima lezione di un vero artista, se smetti di essere umile, se pensi di essere arrivato ad un punto, sei tagliato fuori. Per me l'artista rappresenta, più di ogni altra categoria, l'insicurezza umana. Horror, commedia, impegno sociale: quale genere preferisci? Non preferisco generi ma le storie. Il cinema è emozione e se una storia non mi fa battere il cuore scelgo di non raccontarla. Una domenica notte è un lungome-

Hai partecipato al progetto Restartsud, come si narrano le eccellenze lucane? Con l'esempio, con il lavoro e con coraggio. Servono buone pratiche e belle storie, poi come raccontarle diventa relativo. Possiamo farlo con i nuovi media, con il cinema o con la poesia. L'importante è non smettere di ricercare. Il viaggio di Restartsud, per cui sono davvero grato al mio amico Sergio Ragone, è un modo di raccontare la Basilicata positiva che c'è e che abbiamo il dovere di conoscere e moltiplicare. al.so.

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CACCIATA DEI TURCHI AD AVIGLIANO Mariassunta TELESCA

gni anno, ad Avigliano, la sera del 14 giugno, vigilia del Patrono San Vito Martire, si rinnova la tradizione di rappresentare il corteo storico della cacciata dei turchi. L'origine è da ricercarsi nella leggenda, appresa verbalmente dagli avi e trascritta da Vincenzo Claps in uno dei suoi scritti, secondo cui il primo nucleo abitativo di Avigliano era costituito da un gruppo di marinai che, nell’Ottavo secolo, erano giunti dall'Oriente, per rifugiarsi in seguito alla perdita della propria nave in combattimento. Questi, in occasione delle feste, solevano raffigurare l’episodio della perdita della nave, simbolo sacro e caro ricordo, costruendone una al cui centro era montato un castello a cupola. Essa veniva portata in giro per le strade del paese, preceduta dal pubblico con torce e lumi, fiancheggiata da giovani vestiti all’orientale e accompagnata da musiche e spari, nonché stornelli e urla. Tale rito si è perpetuato ogni anno fino agli anni '50 del Novecento, preparato con cura dalla famiglia Sileo, che aveva in custodia la nave. La tradizione è stata poi ripristinata nel 1995, in occasione del centesimo anniversario della proclamazione di San Vito a Patrono del Comune di Avigliano; da allora viene riproposta annualmente

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dall'Associazione Culturale e Ricreativa San Vita Martire, che la allestisce in conformità del sentimento popolare. Il corteo storico, oggi, rappresenta la vittoria sui Saraceni incursori: si apre con giovani cavalieri turchi su eleganti cavalli, grazie alla partecipazione dell’Associazione “I love Horse Avigliano” e seguono centinaia di crociati, dame, nobili, ecclesiastici, alfieri, trombettieri, tamburellisti e sbandieratori di tutte le età, provenienti da diverse zone della Basilicata e dalle regioni limitrofe. Grazie all’associazione l’”Abete”, inoltre, da quattro anni, è presente anche un gruppo “di corte”, rappresentato da giovani cittadini. «Questa iniziativa nasce da un’intuizione di Patrizia Telesca, che, commentando le tradizioni aviglianesi, mi fece notare come la cittadinanza apparis-

se indifferente a tale tradizione, portata avanti solo grazie allo sforzo dell’Associazione San Vito Martire e ai gruppi provenienti da fuori comune. – spiega Carmine Ferrara, Presidente dell’Abete. Subito, allora, ci adoperammo per reperire un po’ di coppie, che nel tempo sono aumentate; poiché, però, i costumi disponibili sono in quantità limitata, abbiamo previsto, da quest’anno, anche un corso per l'uso dei tamburi imperiali, che rientra in un progetto più ampio denominato “Ragazzi in gamba” ». La corte è seguita dal “gran turco”: un grosso uomo vestito alla musulmana con una grossa pipa fumante, tra odalische danzanti, circondato da uomini armati. A chiusura si trova, invece, la nave con sopra la statua del Santo Patrono. Dal 2012, però, l’Associazione di


Promozione Sociale Terra ha deciso di dare un valore aggiunto al significato della nave all’interno del corteo: essa non è più trainata dai saraceni, bensì dal popolo aviglianese, in costume tradizionale, per rappresentare la riconquista del Santo di cui gli “infedeli” si erano impossessati. Gli uomini procedono armati di valestre e “parocc’l” , armature tipiche, mentre le donne li affiancano con le forche, cantando “E versiamo il nostro sangue che gloria non ci manca, con il sangue e il sudore noi cacciamo l’invasore, sono mori assai maldestri li affrontiamo con le valestre. Abballa abballa miezz muort Sand Vit cu lu turc, abballa balla cu la frèva amma caccià lu

saracen, balla balla cu lu cuan cu la croc semb mman” A capo della nave c’è un monaco francescano, Fra’ Andrea Lorusso, che incita il popolo a combattere e si sfida in un duello con il generale saraceno. “L’idea di inserire Fra’ Lorusso è nata in seguito alla ristrutturazione di un basso rilievo da lui realizzato nel 1934, che la famiglia ha recentemente donato alla Chiesa di San Vito, in memoria di questo grande devoto. Sul bassorilievo, oltre alla raffigurazione del Santo vi sono scolpiti i versi del canto. Noi abbiamo visto ciò come un segno, abbiamo sentito quasi un obbligo, nonché un onore, ricordarlo in quest’occasione.” – racconta Renato Zaccagnino, Presidente di APS Terra – Il prossimo obiettivo è che a trainare la

nave siano tutti i ragazzi che portano il nome Vito, per far riscoprire loro l’origine e il significato di tale nome, ma anche la devozione al Patrono. Intanto, con circa quaranta ragazzi, durante l’anno, viene svolto un laboratorio di creazione artigianale dei costumi e delle armature, in modo che possano essere coinvolti nell’evento e impegnare il proprio tempo libero in modo costruttivo. Tali ragazzi, tutti arruolati nell’esercito aviglianese o saraceno, eleggono, ogni anno, il generale turco, che l’anno seguente interpreterà il monaco, per stare poi, successivamente, a capo di tutta l’organizzazione.” Dunque un misto di tradizione, leggenda, storia e devozione, che assume sempre più valore e significato, un appuntamento a cui la popolazione aviglianese non può e non vuole sottrarsi.

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TechGarage Basilicata 2014 L’appuntamento con l’inno per gli

startupper luc

Valeria LAURENZA

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ono arrivati un paio d’ore prima dell’inizio della competizione i dieci team finalisti del TechGarage Basilicata 2014, la tappa finale della business plan competition Start Cup Basilicata, voluta da Basilicata Innovazione e Unioncamere Basilicata in collaborazione con dPixel. Un’iniziativa finalizzata a intercettare giovani aspiranti startupper del territorio e a favorire la nascita di nuove imprese ad alto contenuto innovativo. I partecipanti, un po’ emozionati, ma rapiti dal fascino della meravigliosa location, Casa Cava a Matera, si sono accomodati nell’area a loro riservata alla destra del palcoscenico e, indos-

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sando rigorosamente la t-shirt verde della manifestazione, hanno ascoltato le ultime indicazioni degli organizzatori. Intanto la sala si è rapidamente riempita di giurati (più di quaranta tra istituzioni, media, esperti del settore e potenziali investitori), famiglie, partecipanti delle passate edizioni e semplici curiosi. Poi la moderatrice Laura Gramuglia, dj e speak di Radio Capital, ha dato il via alla competizione! Un microfono, un telecomando per scorrere le slide sullo schermo e cinque minuti di tempo per convincere i giurati della fattibilità e sostenibilità del progetto. A salire sul gradino più alto del podio “Dizionario dei rifiuti”, un’app e un sito


vazione

ani

web che fornisce un efficace supporto ai cittadini per effettuare, in maniera corretta, la raccolta differenziata. L’applicazione è stata ideata da Francesco Cucari, uno studente di Rotondella in provincia di Matera che, dopo i primi entusiasmanti risultati, ha completato il suo team operativo introducendo quattro nuovi membri: Enzo Vergalito, Nicola Cucari, Stefano Mucciarella, Giovanni Cucari. Il “Dizionario dei rifiuti” è stato già adottato in 61 comuni italiani ottenendo oltre 20.000 download. Al secondo posto “Cliccaenergia”, piattaforma web, pensata da Emanuele Grilli e Luigi Camerlingo, che consentirà ai piccoli produttori di

energia fotovoltaica di vendere l’eccedenza di energia prodotta al mercato dell’ingrosso. Le trader company potranno approvvigionarsi dell’energia di cui necessitano, individuando l’offerta più adeguata alle proprie esigenze per vicinanza geografica, prezzi ed entità di energia richiesta. Terzo classificato il progetto “Sekhmed”, una piattaforma web ideata da Ezio Baratta, Manuel Molfettone e Luigi Lapolla che opera nel settore dell’ihealth e consente di notificare agli iscritti informazioni relative alla tutela della propria salute. L’utente, registrandosi, potrà ricevere via sms, mail o app, informazioni periodiche relative a controlli medici,

vaccini, disponibilità di prodotti in farmacia. A trionfare, dunque, i temi ambiente, prevenzione medica ed energie rinnovabili, ma non solo! Grazie ai premi in denaro offerti da Confidi del potentino e dalla BCC di Laurenzana e Nova Siri e ai numerosi riconoscimenti speciali - “SiamoSoci”, “Bird&Bird” e “Premio Speciale Banca per il Territorio” - sono stati premiati anche Slowfunding, un sito web per mettere in relazione i proprietari di edifici di elevato pregio con potenziali investitori privati; “Gonnadisco”, l’app per pubblicizzare e gestire gli eventi delle discoteche; “Cibiamoci”, un progetto imprenditoriale finalizzato a monitorare e ridistribuire le eccedenze alimentari, prodotte dall’industria agro-alimentare, dalla grande distribuzione e dalla ristorazione a mense, associazioni e persone in difficoltà, attraverso la digitalizzazione del processo. Un evento in crescita, la Start Cup Basilicata, che, anno dopo anno, attrae un numero sempre maggiore di giovani con la voglia di fare impresa. “È tempo di bilanci - ha detto Andrea Trevisi, direttore di Basilicata Innovazione - dopo tre anni di business plan competition abbiamo intercettato quasi 200 idee e scovato una nuova generazione di imprenditori da cui sta nascendo un vero e proprio ecosistema di startup”. Pasquale Lamorte, presidente di Unioncamere Basilicata ha aggiunto: “È con piacere che continuiamo a vedere nei ragazzi lucani la volontà e la determinazione per crescere, investendo in questa regione con un progetto d’impresa innovativo”. A tutti gli innovatori lucani, dunque, appuntamento al prossimo anno!

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Moda una passione

tutta da condividere Barbara GUGLIEMI

ssere alla moda senza spendere una fortuna non è affatto impossibile! Ce lo spiega Giusy Manzella, ventinovenne lucana dotata di forte senso estetico e buongusto, nel suo blog “Cheap and Glamour”. Sul web da settembre 2011, è seguito da più di 12.000 utenti tra i vari social.

E

Giusy come nasce la tua passione per la moda? E come arriva a trasformarsi in un blog? La passione per la moda nasce fin da bambina. Da piccola mia madre amava vestirmi con maglioni e vestitini realizzati da lei e io, crescendo, ho iniziato a perdermi fra riviste di moda, di tagli e cuci, con giochi come “Gira la moda”. Dopo aver finito il liceo, pur essendomi iscritta ad Ingegneria edilearchitettura a Potenza, ho seguito un workshop presso la NABA a Milano in Fashion design. Con il passare degli anni, la voglia di far parte del mondo della moda non è svanita, anzi. Così ho aperto un blog, uno spazio di narrazione di miei consigli, stati d’animo, viaggi, riflessioni… insomma una finestra sulla mia vita. Inoltre, il conoscere persone lontane dai posti del proprio vivere, per me significa conoscere nuovi mondi e nuovi modi di vivere. La costante voglia di ascoltare nuove storie ha fatto si che mi avvicinassi sempre più al mondo dei social. Cosa è cambiato dal 2011 ad oggi nella gestione del tuo blog? Tante cose sono cambiate, si spera in meglio. Ho aperto il blog in un momento dif-

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Info: www.cheapandglamour.com

maggio 2013 alla “Business Plan Competition” del NidiTecnofrontiere. Una competizione che mi ha formato in pochi giorni e mi ha dato la grande opportunità di trasformare una mia idea in impresa. Attualmente sono fra i Gruppi di Sviluppo incubati presso Bicube, incubatore di primo miglio di Basilicata Innovazione, dove con il mio team stiamo lavorando alla concretizzazione dell’idea. Di cosa si tratta? Una piattaforma nazionale, suddivisa per province, volta alla narrazione dei territori. Uno storytelling a più voci con storie che andranno via via a completarsi grazie a tutti gli utenti e visitatori. Posti da vedere, architetture, eventi, attività commerciali, un intenso rapporto fra territorio e la rete. Una promozione dei territori 2.0 che possiamo racchiudere nel claim “Scopri>Vivi>Condividi”.

ficile della mia vita, un momento in cui avevo bisogno di evadere. Vivevo il blog come valvola di sfogo e con il passare dei mesi ne ero diventata quasi dipendente. Successivamente ho imparato a gestirlo, a riorganizzare la mia vita con un’altra scala di priorità. Ho imparato a rispettare i miei tempi, a prendermi le pause di cui ho bisogno. Oggi riesco a gestire il blog insieme a tutti gli altri miei progetti, ne sono molto orgogliosa. Ciò che non è cambiato per me è l’importanza di arrivare ai miei lettori nel modo vero. Scrivo e mi mostro senza filtri. Qualche volta ho paura di esser fraintesa o apparire costruita, ma alla fine se si è sinceri, veri e ci si mostra per quel che si è sempre, questo non può accadere. Nella pagina introduttiva di “Cheap and Glamour” affermi che “la condivisione sia una cosa importante, crescere confrontandosi con gli altri ci fa esser persone migliori”. In cosa ti hanno migliorato il confronto e la condivisione? Sono quel che sono perché nella vita ho sempre ascoltato senza pregiudizi. Ho imparato, fin da bambina, che è un diritto di tutti poter esprimere la propria opinione ed ovviamente è un mio diritto dire la mia. Così, anche da piccola, mi son ritrovata a far valere le mie ragioni, dopo aver ascoltato gli altri, in “discorsi da adulti”. Aprirsi agli altri ci rende migliori perché ci fa oltrepassare le proprie barriere e ci permette di vedere il mondo con occhi differenti. Quanto è importante per te e per il tuo

lavoro il rapporto con il territorio? Il rapporto con il territorio è importantissimo. In Basilicata averlo non è semplicissimo. Con il passare del tempo però anche nella nostra realtà qualcosa sta cambiando. Infatti è già da tempo che io, insieme ad altre due blogger lucane, abbiamo avviato un’interessante collaborazione con la Profumeria Adriana di Potenza. Abbiamo una nostra rubrica dove recensiamo e consigliamo i lettori all’acquisto dei prodotti nella Profumeria. Parlaci dei tuoi progetti futuri. I miei cassetti un tempo erano pieni di sogni, ora di tanti progetti. Ho partecipato a

In cosa la Basilicata è glamour e in cosa potrebbe diventarlo? La Basilicata è glamour nella sua bellezza che si lascia scoprire pian piano. Nella sua varietà di paesaggi, di bontà culinarie, nella sua storia. È glamour anche nelle sue contraddizioni, nelle sue difficoltà e nella grande forza che negli anni le hanno sempre permesso di lottare. Potrebbe diventarlo ancor di più se i suoi abitanti iniziassero a pensare di esser una grande comunità. Via gli individualismi, il voler primeggiare, il voler isolare gli altri per uscirne come vincitori. Unirsi invece che dividersi. Se si hanno idee simili condividiamole, rendiamo partecipi anche gli altri. Tutti incontriamo difficoltà lungo le nostre strade, non sarebbe meglio affrontarle insieme?

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io sono LUCANO

I AM LUCANO

JE SUIS LUCANO

ICH BIN LUCANO

SOY LUCANO

Я ЛУКИ

I nser to a cura de

Storie di una Basilicata senza frontiere

我盧肯




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Da Atella a Milano con Giuseppe Lupo «Girano tanti lucani nel mondo, ma nessuno li riconosce»

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ai nostri lettori

Sempre più protagonisti

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Destinazione Potenza Il viaggio di Hamza Zirem L’Ambasciatore di Pace a vita Se il lettore è il nostro principale interlocutore, è giusto che abbia diritto ad un rapporto diretto con la rivista. Da sempre sono proprio i lettori a fornirci spunti su questioni e tematiche della vita sociale e politica della nostra regione. L’invito che vi rinnoviamo è di collaborare con la redazione segnalandoci notizie, curiosità, avvenimenti che vi hanno particolarmente colpito o, ancora, disagi e disservizi nei quali vi imbattete nel vostro quotidiano.

I nostri contatti:

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www.lucanomagazine.it info@lucanomagazine.it Tel. 0971.476423



P E R S O N A G G I O

Da Atella a Milano con

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Giuseppe Lupo «Girano tanti lucani nel mondo, ma nessuno li riconosce» Albina SODO

ucano oltre i confini della Lucania. Il personaggio dello speciale “Io sono Lucano” è docente all’Università Cattolica, scrittore di celebri romanzi e profondo conoscitore del Poeta – Ingegnere Leonardo Sinisgalli. Giuseppe Lupo ha pubblicato Viaggiatori di nuvole (Marsilio Editore), in cui il viaggio del protagonista, Zosimo, è la sola certezza per sapere chi fosse. Quel viaggio che lo stesso scrittore ha intrapreso a diciassette anni verso Milano, con il paese del Vulture come stella polare.

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Viaggiatori di nuvole racconta di personaggi inventati che ben interagiscono con personaggi storici. Ci spiega il legame tra Storia e invenzione? Il romanzo ha avuto un’ottima accoglienza da parte della critica e nasce da suggestioni storiche, intorno a personaggi vissuti nel passato (Leonardo da Vinci, Isabella d’Este, Francesco Gonzaga), ma poi va oltre la Storia. Non mi piace un romanzo storico in termini assoluti, piuttosto un romanzo dove la Storia è narrata in chiave epica e favolosa.

toria cartacea? L’editoria cartacea continuerà a vivere, non penso si fermerà. Più che parlare di crisi dell’editoria, parlerei di crisi della lettura (o dei lettori), cioè il problema non è stampare libri (se ne mandano tantissimi, troppi, in libreria), ma trovare chi li comperi e li legga. Questo dipende dalla crisi, ma anche dalla qualità dei libri. Scrivere un romanzo su uno stampatore è un atto di omaggio alla bellezza della scrittura, un atto di fede nella letteratura.

Il protagonista, Zosimo Aleppo, è uno stampatore del Rinascimento. In che modo si può superare la crisi dell’edi-

Zosimo inizia un viaggio alla ricerca delle pergamene della conoscenza. Oggi perché si viaggia?

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Si viaggia per motivi non sempre legati alla ricerca della cultura. Probabilmente un viaggio come quello di Zosimo sarebbe improponibile. Tuttavia gli uomini continuano a cercare, segno che viaggiare è nella vocazione di chi vive sulla Terra. In Viaggiatori di nuvole Pettirosso, il chierico, è di Atella. Quali sono i rapporti con il suo paese natio? Il chierico è un ragazzo di dodici anni, esile, impaurito dalla vita, però conosce il segreto dei libri, cioè sa scrivere e leggere, e condizionerà il suo destino. Nel chierico Pettirosso, alla lontana, ho voluto raccontare la mia storia di ragazzo partito a dicias-


sette anni per Milano. Atella è una specie di punto cardinale della mia esistenza, una sorta di stella polare. È Docente di “Letteratura Italiana Contemporanea” all’Università Cattolica. Lo stato dell’arte della Lingua Italiana? I dati statistici dicono che l’italiano (come lingua) si va impoverendo. Colpa di tanti fattori, di certo aveva ragione Pasolini quando affermò, ormai cinquant’anni fa, che la televisione avrebbe cambiato il nostro Paese. La magia e la Basilicata, Michelangelo Antonioni ha ritratto questo binomio in un documentario Superstizione. Spetta alla letteratura, al cinema proporre una visione fantastica della realtà? Distinguerei tra il magico (inteso come superstizione) e il fantastico. Il primo rimanda a quella cultura che in Lucania ebbe particolare importanza negli anni Cinquanta, nell’epoca del levismo, in parte favorita da un fortunato titolo di Ernesto De Martino: Sud e magia. Io non guardo in quella direzione, se non altro perché si tratta di un’esperienza logora e forse ora improponibile. A me interessa il fantastico, l’onirico, il visionario, variabili di un mondo magico, di una trasfigurazione della realtà. Per uno scrittore quanto sono importanti i Premi Letterari? Sono importanti nella misura in cui riescono a muovere copie o a far vendere. I più importanti in Italia sono lo Strega e il Campiello. Nel 2011 il mio precedente romanzo, L’ultima sposa di Palmira, si è guadagnato un posto nella cinquina dei finalisti del Campiello (in realtà, così com’è la formula di quel premio, essere nella cinquina è già un premio) e le vendite si sono di molto innalzate. Spero avvenga qualcosa del genere anche per Viaggiatori di nuvole, che concorre allo Strega. Ne L’ultima Sposa di Palmira ha ricordato il terremoto del 1980. Come è cambiata la nostra regione dopo quella data? Più volte mi sono trovato ad affermare che quell’evento, a cui ho assistito dal vivo, ha modificato completamente il volto della nostra regione, ha fatto morire un mondo e ne è cominciato un altro, non giudico se migliore o peggiore. In altre parole, è stato come voltare pagina. Per quanto riguarda me personalmente, quell’evento ha cambiato la mia vita. Ha pubblicato Sinisgalli e la cultura utopica degli anni Trenta, un pensiero sul Poeta – Ingegnere? Credo rappresenti l’intellettuale con il maggior respiro extra nazionale che la Lucania

abbia avuto. Le sue questioni, che cominciano e finiscono a quella che possiamo definire la condizione lucana, toccano altre sensibilità geografiche e un sostrato di idee assolutamente antiprovinciale. Come descriverebbe il Lucano? Con le parole di Sinisgalli, che sono più o meno queste: «Girano tanti lucani per il

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mondo, ma nessuno li riconosce. […] Il lucano è un popolo che la saggezza ha portato alla soglie dell’insensatezza.» I Lucani cui si sente più vicino? Con gli amici scrittori, con cui c’è un rapporto di fratellanza e di stima: in primis Raffaele Nigro e poi Gaetano Cappelli, Andrea Di Consoli, Mimmo Sammartino, Giuseppe Catozzella.

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Destinazione Potenza Il viaggio di

Hamza Zirem

L’Ambasciatore di Pace a vita amza Zirem è uno scrittore algerino, autore di una decina di libri. Dopo gli studi universitari di letteratura francese ha insegnato per quindici anni nelle scuole superiori. Costretto a lasciare il suo Paese ha vissuto prima in Norvegia e dal 2009 risiede a Potenza. Lavora occasionalmente come mediatore culturale e collabora con la rivista La Grande Lucania.

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A maggio riceverà il Premio Letterario Internazionale Europa 2014, il Premio del Concorso Nazionale Nuova Scrittura Attiva 2014 e sarà nominato Ambasciatore di Pace a vita dalla Universum Academy, è soddisfatto? Sono molto soddisfatto di ricevere un premio considerevole per il mio romanzo e una nomina rilevante per una causa tanto nobile. Il riconoscimento di “Ambasciatore di pace” è destinato a tutte quelle personalità che si sono distinte nella promozione dei valori della Pace, della Fratellanza Universale e del dialogo tra le varie Culture. La Universum Academy, ente promotore dell’Università della Pace della Svizzera Italiana, ha come obiettivo l’affermazione dell’attività diplomatica per la risoluzione delle controversie mondiali. Il suo romanzo Inno alla libertà di espressione è un libro sul suo esilio in Norvegia. Ci racconta quel periodo? Il mio primo esilio ha avuto luogo in Norvegia, dove ho trascorso più di un anno, un paese in cui ho vissuto esperienze indimenticabili, ma non mi sono sentito veramente a casa lassù. Sono stato accolto a Potenza nel gennaio 2009 beneficiando di una borsa di studio di un anno nell’ambito del progetto ICORN. Nel sud dell’Italia mi sento perfettamente a mio agio. Penso che la cultura e le tradizioni dei Paesi che si

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affacciano sul bacino del Mediterraneo siano molto simili tra di loro, anche se in apparenza molto diverse. Cosa significa per lei scrivere? Scrivere è un’esplorazione del mondo, dell’essere individuale e collettivo. Scrivo per lo più poesie. La poesia afferma la condizione umana manifestando elevati sentimenti. Abbiamo infinitamente bisogno delle magie della letteratura per vivere meglio. Preferisce scrivere in francese o in italiano? Prima scrivevo soltanto in francese. La storia coloniale ha fortemente marcato la letteratura nordafricana in lingua francese. Il francese è “bottino di guerra”, secondo l’espressione di Kateb Yacine. La scelta del francese come lingua di scrittura per gli scrittori maghrebini è stata, per lungo tempo, una scelta dolorosa e colpevolizzante, perché vissuta come un “dramma linguistico”. Non si distingueva fra l’ideologia della Francia e la lingua francese come mezzo di comunicazione. Questa negatività della lingua oggi è superata. Da tre anni scrivo direttamente in italiano che mi concede una più vasta libertà senza alcun peso storico. Una sua definizione di libertà? La cosa più importante nella vita è fare ciò che si vuole e sentirsi libero di farlo. La libertà è il supremo ideale dell’uomo. Nel mio libro che inizia con l’articolo 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, intendo il più ampio diritto di esprimersi liberamente senza avere problemi. Il Mediterraneo come mare nostrum. Perché si continua a viaggiare, e morire in quelle acque? I flussi migratori attraversano il mare

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nostrum dall'Africa e dall'Asia verso l'Europa. Il fenomeno dell'immigrazione per mare è aumentato con la chiusura delle frontiere degli stati europei a seguito dell'imposizione del visto d’ingresso. Il mare è allora attraversato su imbarcazioni di fortuna, spesso vecchi pescherecci. I viaggi sono organizzati da trafficanti. Quello degli sbarchi lungo le coste italiane è un problema


nazionale ma coinvolge anche tutti i Paesi europei. Alla questione complessa, l’Europa non ha saputo rispondere con provvedimenti adeguati. Per esempio la Convezione di Dublino non ha più senso. Si deve rivedere la legislazione in materia d’immigrazione, di asilo ed attivare gli strumenti efficaci di cooperazione e di solidarietà con i Paesi d’origine da dove provengono gli sbarchi affinché si riducano le tragedie. È inevitabile la malinconia dell’esule? Con il mio lavoro di mediatore culturale, facendo da interprete per i profughi di diverse nazionalità, ho avuto modo di conoscere persone che hanno perso tutto, che sono oggetto di vessazioni, umiliati e psicologicamente mutilati. Ho sentito storie di persone che combattono in silenzio le loro battaglie personali per sopravvivere e per salvaguardare ciò che hanno di più a cuore: la loro

dignità di persona. L’esiliato si trova a confrontarsi con una situazione non facile, quella dell’approccio ad una realtà socio-culturale e linguistica del tutto nuova. Cosa può dare la parola? La parola ha la forza creativa del seme: ci aiuta a crescere e a stare con gli altri. La parola è un dono che solo l’uomo possiede,

fiorisce con facilità sulla bocca di tutti. Le parole “consapevoli” sono quelle “sentite”, che vengono da dentro, da quello spazio interiore che si esprime con un’identità profonda. C’è qualcosa dentro di noi che conosce il significato creativo delle parole, la capacità che hanno di lanciare un seme in noi stessi e in coloro che ci ascoltano. La parola è un veicolo dal potenziale immenso, ha un peso e una forza, e la letteratura è il luogo in cui questa forza si intensifica al massimo. Ci spiega l’importanza dell’ICORN (International Cities of Refuge Network)? In numerosi Paesi del mondo, gli scrittori sono minacciati dal governo o da gruppi non statali. La sola via d’uscita, è l’esilio temporaneo o definitivo. Le città preoccupate d’assumere le loro responsabilità nella lotta per la libertà d’espressione si sono impegnate ad accogliere gli scrittori perseguitati, al fine di permettere loro di sfuggire alla repressione e di proseguire la loro opera. È in questo spirito che la Rete ICORN è stata creata nel 2006 in Norvegia. Si tratta di un’associazione indipendente che propone alle città candidate di adottare una carta costituzionale assumendosi di ospitare e provvedere ai bisogni di uno scrittore e della sua famiglia in esilio per una durata di uno o due anni. Oggi questa Rete conta più di quaranta città rifugio. La rete si è estesa anche fuori dall’Europa con l’adesione delle città del Messico e di Miami. In Italia, fanno parte di questa organizzazione il Comune di Potenza e la Regione Toscana. La città di Potenza aderisce al progetto ICORN dal 2007 grazie al grande impegno della Dott.ssa Rosa Maria Salvia, dirigente del servizio sociale del Comune di Potenza. Uno scrittore è al sicuro quando abita in un quartiere fra i suoi vicini, in una città tranquilla perché democratica. La Rete delle città rifugio è uno spazio esteso dell’immaginazione, mettendo in luce la tolleranza come condizione necessaria alla creazione letteraria. Appartiene a tutti i comuni dei paesi democratici di riunire le loro risorse alfine di accogliere gli scrittori perseguitati. Oggi vive a Potenza, un pensiero sulla città? A Potenza mi sono ambientato rapidamente. Ho scambiato idee ed opinioni su diversi temi tenendo conferenze e partecipando attivamente a numerosi incontri letterari presso l’Università degli Studi della Basilicata, la Biblioteca Nazionale di Potenza, il Teatro Stabile, la sala dell’Arco del Palazzo di Città di Potenza, la Cappella dei Celestini - Galleria civica e gli istituti scolastici. Mi sono sempre presentato come potentino di adozione. La città di Potenza

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m’ispira fortemente e i Potentini mi fanno veramente sentire a casa mia. Suggerimenti al futuro sindaco di Potenza? La città di Potenza ha bisogno di un ripensamento, occorre un cambiamento degli interessi comuni. Il lavoro e lo sviluppo devono essere rimessi in primo piano. Le riforme sono indispensabili per dare un futuro migliore ai giovani disoccupati. Le innovazioni sono in grado di contribuire a sollevare dalla miseria migliaia di potentini che vivono sulla soglia della povertà. La principale emergenza è la fuga in massa dei giovani, una catastrofe sociale alla quale si deve rimediare, creando occasioni di lavoro, riducendo le tasse per chi vuole aprirsi un’attività. Vorrei vivere in una città più attenta al benessere degli abitanti, che riconosca a tutti il diritto al lavoro e promuova le condizioni che lo rendano effettivo. Gradirei di più una città in cui si pratichi una democrazia partecipata, dove tutti i cittadini abbiano pari rispettabilità e siano soggetti attivi e responsabili. Le caratteristiche del lucano? Sono fortunato di vivere in Lucania, porta dell’Europa e area geografica della Magna Grecia. La Lucania è luce di cultura sul piano storico, è civiltà millenaria. Della gente lucana ho identificato lo spirito concreto di chi ha voglia di fare e non si demoralizza di fronte alle difficoltà. Ammiro la loro simpatia e la loro accoglienza, i loro rapporti si velano d’affetto e di naturalezza. Della gente lucana apprezzo il senso di appartenenza ad una piccola collettività ma smisuratamente autentica. al.so

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È QUANDO TI SENTI PICCOLO CHE SAI DI ESSERE DIVENTATO GRANDE.

A volte gli uomini riescono a creare qualcosa più grande di loro. Qualcosa che prima non c’era. È questo che noi intendiamo per innovazione ed è in questo che noi crediamo. Una visione che ci ha fatto investire nel cambiamento tecnologico sempre e solo con l’obiettivo di migliorare il valore di ogni nostra singola produzione. È questo pensiero che ci ha fatto acquistare per primi in Italia impianti come la rotativa Heidelberg M600 B24. O che oggi, per primi in Europa, ci ha fatto introdurre 2 rotative da 32 pagine Roto-Offset Komori, 64 pagine-versione duplex, così da poter soddisfare ancora più puntualmente ogni necessità di stampa di bassa, media e alta tiratura. Se crediamo nell’importanza dell’innovazione, infatti, è perché pensiamo che non ci siano piccole cose di poca importanza. L’etichetta di una lattina di pomodori pelati, quella di un cibo per gatti o quella di un’acqua minerale, un catalogo o un quotidiano, un magazine o un volantone con le offerte della settimana del supermercato, tutto va pensato in grande. È come conseguenza di questa visione che i nostri prodotti sono arrivati in 10 paesi nel mondo, che il livello di fidelizzazione dei nostri clienti è al 90% o che il nostro fatturato si è triplicato. Perché la grandezza è qualcosa che si crea guardando verso l’alto. Mai dall’alto in basso.


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I buoni e i cattivi

Le Confessioni della quinta potenza economica mondiale Elisa CASALETTO

rancesco Petrone, originario di Marsicovetere, vive a Barcellona dove coordina il seminario di Filosofia Politica della Universidad de Barcelona e sta terminando la sua tesi dottorale su Global Governance e Istituzioni Internazionali. Il suo primo libro s’intitola Quando l’onlus diventa un guadagno. Confessioni di un venditore di povertà. Solidarietà e aiuti umanitari ai tempi della crisi, invece, é il racconto di come funziona il sistema di raccolta fondi per le grandi ONG (Organizzazioni Non-governative) attraverso il marketing faccia a faccia. Analizzando i meccanismi di vendita, il giro economico che si crea e il volto cinico di chi lavora in questo mondo, esce fuori uno scenario raccapricciante. Attraverso l’esperienza diretta dell’autore e sulla base delle problematiche che ha affrontato, gli ho posto alcune domande.

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Cosa ti ha spinto a scrivere questo libro? Ho già dedicato un libro all'argomento e posso dire che il motivo praticamente è lo

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stesso: descrivere un mondo che appare in un modo ma che in realtà nasconde degli aspetti inquietanti, vale a dire il marketing selvaggio, l'avidità, il tornaconto economico alle spalle della sofferenza altrui. Allo stesso tempo, però, questo libro si differenzia dall'altro perché descrive altri aspetti, ne approfondisce certi che trattavo nel primo e cerca di offrire degli spunti di riflessione sulla base anche dell'esperienza e i dibattiti avuti negli ultimi due anni. Qual è la confessione principale che racconta il tuo volume? La confessione è qualcosa che nasce da un momento di crisi e di perdita dell'orientamento. In generale tutto il testo è una Confessione: quella di una persona che diventa consapevole, poco a poco, del fatto che l'attività che sta svolgendo non è più quella in cui credeva, ma un qualcosa di diverso, che lo porta a farsi nuove domande sulla realtà che lo circonda. Dall’immagine copertina del libro si vedono due volti: uno buono, l’altro cattivo; da cosa si può capire il lato oscuro di quello buono? Non esiste una formula per distinguere in generale ciò che è buono da ciò che non lo è, per cui non saprei rispondere di preciso. Nello specifico, la mia esperienza mi ha insegnato che nel mondo delle ONG non è “buono” creare false illusioni e arricchirsi sulla miseria altrui. Chiunque lo fa, e ovviamente non tutte le ONG lo fanno, può esser “qualificato” come “cattivo”, soprattutto da un punto di vista etico e almeno fino a quando non ripensa al modo in cui sta facendo raccolta fondi per i progetti umanitari. Nel libro citi “l’industria della solidarietà”. Per te quest’industria cosa rappresenta? L’espressione “industria della solidarietà” non è mia, l’ho ripresa dal titolo di un libro di Linda Polman, una giornalista olandese che ha viaggiato in molte zone in cui operano le ONG e ha descritto lo scenario che si può riassumere, appunto, con questa espressione. E’ quel processo tramite il quale le ONG generano dei veri e propri imperi economici derivanti dai fondi che ricevono per le missioni “umanitarie” che compiono. Tra i vari dati, aneddoti e descrizioni, Linda Polman scrive una cosa che mi pare sia emblematica per capire di cosa stiamo parlando, riferendosi all’ingente giro di soldi che c’è sotto il sistema del settore umanitario. Dice che il volume del fatturato globale delle ONG rappresenta la quinta forza economica mondiale (dopo alcol, droga, prostituzione e traffico d’armi)

Continuerai ad occuparti di queste problematiche ? Sicuramente mi interessa seguire il mondo delle Organizzazioni Non-governative e, più in generale, degli aiuti umanitari. Penso però che l’aspetto relativo a come funziona

il marketing diretto sia abbastanza chiaro, di conseguenza credo che questo specifico argomento sia ormai sufficientemente conosciuto.

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La Faggeta L di Moliterno

nel Parco Appennino Lucano 48

’itinerario si svolge all’interno del Bosco faggeto di Moliterno, un percorso lungo 2,3 km durante il quale si possono ammirare maestosi faggi, o meglio “piante patriarche” che per la loro età e per le notevoli dimensioni, sono alti più di 30 metri ed hanno una circonferenza di 4 – 5 metri. L’oasi di Bosco Faggeto è stata riconosciuta area SIC (Sito di Interesse Comunitario), si trova a ovest del comune di Moliterno a quota tra 950 e 1200 m. e si adagia sulle pendici del monte Calvarosa, che segna il confine tra la Val d’Agri e il Vallo di Diano. Con un’estensione di poco superiore a 300 ettari, la riserva riassume il biotopo forestale montano di questa zona della Basilicata. Si possono osservare esemplari di faggio che svettano fino a oltre 40 metri d’altezza. Oltre al faggio si trova anche il tiglio, il cerro, la quercia, l’acero, il leccio, il carpi-


Tipologia: camminata Distanza: 2,3 km andata

no nero ed ai margini del bosco il pioppo tremulo. Tra gli animali troviamo la volpe, la lepre, il gatto selvatico, i cinghiali, il riccio. E' stata segnalata anche la presenza del lupo. Tra la fine di maggio e l’inizio di giugno si può ammirare la fioritura di un’infinità di orchidee di incantevole bellezza. Sono state censite circa 56 taxa di orchidee, di cui 12 autoctone e il resto ibride. Proprio per questo il CEA di Moliterno (Centro di Educazione Ambientale), che si trova nei pressi dell’Oasi di Moliterno, ospita una tappa del G.I.R.O.S., il Gruppo Italiano di Ricercatori Orchidee Selvatiche, che qui ha tracciato un sentiero specifico: il sentiero delle orchidee. Lungo il sentiero della Segheria invece si vedono i ruderi di un piccolo fabbricato dove veniva effettuata la sgrossatura dei tronchi prima che fossero portati nei vari stabilimenti per essere poi trasformati.

Scarica gratuitamente il file GPS del percorso su www.innbasilicata.it 49


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WOODY GROOVE SOUND FESTIVAL L’UNICO CONTEST DI MUSICA UNDERGROUND DELLA REGIONE Simona BRANCATI

“La musica esprime ciò che non può essere detto e su cui è impossibile rimanere in silenzio.” (Victor Hugo) 50

l “Woody Groove Sound Festival” è nato nel 2011 dalla volontà del “Pipistrello Pub” di Potenza di creare un momento di unione e condivisione dei tanti gruppi musicali che sempre meno spesso hanno possibilità di esibirsi davanti ad un pubblico. In soli tre anni, però, il numero di band iscrittesi al festival è aumentato notevolmente, di pari passo sono saliti l’interesse e la partecipazione del pubblico. Visto il successo della manifestazione, di recente i giovani impegnati nell’organizzazione dell’evento, hanno deciso di costituirsi in un’associazione con l’intento di far crescere il festival guardando non solo ai gruppi lucani, ma aprendosi alle realtà musicali delle regioni limitrofe. L’obiettivo è dare vita ad un contest di musica indipendente che col tempo possa diventare punto di riferimento e motivo di aggregazione per tutti i musicisti e i

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gruppi del sud Italia che desiderino fare musica svincolati dai limiti, dalle definizioni e dai compromessi delle grandi etichette discografiche commerciali. Le iscrizioni al festival si sono aperte da poche settimane e si chiuderanno il prossimo 13 giugno. E’ possibile iscriversi attraverso l’apposita sezione presente nel sito ufficiale www.woodygroovefestival.com o recandosi di persona presso il locale “Al Pipistrello Pub” c.da Sant’Antonio la Macchia, 40 a Potenza. Ogni gruppo/singolo sarà chiamato ad eseguire i due brani inediti necessari all’iscrizione. Da questa prima fase saranno selezionati, dalla giuria del festival, i partecipanti alla fase di esibizione che si svolgerà nel mese di luglio. Ciascun partecipante avrà facoltà di gestire il proprio concerto con la massima libertà


artistica e di espressione nei limiti del rispetto del pubblico e dell’organizzazione. Da questa seconda fase saranno selezionati, dalla giuria del festival, i cinque finalisti che parteciperanno al concerto conclusivo. I finalisti si esibiranno nella serata conclusiva del Festival in un concerto nel quale ogni gruppo dovrà eseguire cinque brani (i due inediti e gli altri tre a scelta). Gli inediti verranno registrati dal vivo e inseriti nel disco Woody Groove Festival 2014. Inoltre, i video della medesima serata verranno utilizzati a scopo divulgativo e pubblicati sul sito ufficiale del festival www.woodygroovefestival.com, sul canale Youtube e sui maggiori social network e divulgati presso tutti i media interessati. Per ulteriori dettagli, contattare la segreteria organizzativa al 333 3829430, o inviare una mail a woodygroove@gmail.com.

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CAIZZO EMILIO Prima Parte Vincenzo MATASSINI

milio Caizzo1 nasce a Castelmezzano in Provincia di Potenza il 15 aprile 1920 da Domenico che faceva il muratore e da Rosa Emanuela Beneventi, donna di casa. Di capelli castani e di notevole statura per quei tempi (m. 1,72), trascorre la prima giovinezza nel paese natio frequentando la scuola fino alla 4a elementare per poi cominciare a fare lavori come operaio, manovale e fabbro; i compaesani ancora lo ricordano per la sua mitezza di carattere, per il suo notevole appetito e per essere un formidabile bevitore. Col Dott. Giovanni Paternò, Podestà del paese, Emilio Caizzo era solito giocare a bocce, dimenticando anche il lavoro, per guadagnarsi un paio di sigarette. Al compimento del 18° anno di età, invogliato dallo stesso Podestà, si arruola volontario con ferma di 2 anni ed il 1° Dicembre 1938 viene destinato al 3° Reggimento Fanteria Carristi “Bologna” in qualità di aspirante meccanico aggiustatore. Ma ammalatosi dopo pochi giorni il 15 dicembre 1938 viene ricoverato all’Ospedale Militare di Bologna, ne viene dimesso il giorno successivo ed il 18 dicembre 1938 “viene prosciolto dalla ferma volontaria e licenziato, con l’obbligo di concorrere alla leva della propria Classe del 1920”, che avviene puntualmente il 3 febbraio 1939. Richiamato alle armi il 1° febbraio 1940 e destinato al 21° Reggimento Genio per i

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comandi della 3a Compagnia Trasmettitori, è avviato per la vestizione al 90° Genio di Trani. Il 2 febbraio 1940 raggiunge il 90° Reggimento Genio e nello stesso giorno si imbarca a Napoli per raggiungere la Libia. Il 5 febbraio 1940 raggiunge Bengasi ed è aggregato al 21° Reggimento Genio fino al 13 marzo 1940 quando, sempre a Bengas,i viene ricoverato all’Ospedale Coloniale dal quale esce con una licenza di 90+10 giorni di convalescenza. Il 17 marzo 1940 si imbarca a Bengasi per l’Italia e dopo 2 giorni, il 19 marzo 1940 sbarca a Siracusa e dal Comando Truppa gli viene concessa una ulteriore licenza agricola di 15 giorni. Nel frattempo l’Italia il 10 giugno 1940 dichiara guerra all’Inghilterra. In Libia, dopo un’iniziale offensiva nel settembreottobre, le truppe italiane si spingono fino a Sidi-el-Barrani a circa 90 chilometri dalla frontiera dell’Egitto ma un successivo contrattacco inglese travolse le divisioni italiane riuscendo a riconquistare tutta la Cirenaica. Rientrato Emilio Caizzo il 14 agosto 1940 per fine licenza al Comando Truppa di Siracusa e venuto a conoscenza che si accettavano volontari alla Scuola Guastatori, il 10 settembre 1940 viene trasferito al 12° Reggimento Genio e da qui il 17 ottobre 1940 viene aggregato alla Scuola Centrale Genio di Civitavecchia per frequentare il 2° Corso di Guastatori.

Il Genio Guastatori era una specialità creata nell’agosto 1940 dal Col. Pietro Steiner; riservata ai volontari, consisteva nello strisciare sotto i reticolati nemici per farli saltare in aria utilizzando tubi di gelatina, aggredire con bombe a mano i posti nemici più avanzati, sminare il terreno, distruggere i nidi di mitragliatrici utilizzando anche i lanciafiamme, aprire dei varchi nello schieramento nemico per farvi passare la fanteria ed anche i carri armati, e quindi rientrare nelle linee senza aver riportato danni. Alla fine del Corso i prescelti, conseguito il “brevetto” dopo aver superato tutte le prove, potevano portare al braccio il fregio “bomba e pugnale”, simbolo dei Guastatori, che erano quindi gli eredi degli “arditi” della a 1 Guerra Mondale. Per tale specialità erano anche necessarie doti di coraggio e di agili-


tà, che certo ad Emilio Caizzo, tempratosi in un terreno montagnoso e scosceso, non dovevano mancare. Aggregato al 5° Battaglione Genio il 20 novembre 1940 viene assegnato alla 3a Compagnia Guastatori che il 14 Gennaio 1941 parte da Napoli per l’Africa Settentrionale e lo stesso giorno sbarca a Tripoli “in territorio dichiarato in stato di guerra”, entrando a far parte del XXXII Battaglione Guastatori. Nel frattempo in Africa, esauritasi la spinta dell’8a Armata Britannica, le operazioni belliche attraversano un periodo di stanca finchè il 24 marzo 1941 il Gen. Erwin Rommel, giunto in Africa al comando del corpo di spedizione tedesco “Africa Korps”, un’armata totalmente corazzata e meccanizzata, visto la debolezza dell’avversario, lancia un’offensiva che in due sole settima-

ne permette di riconquistare tutta la Cirenaica fino al passo dell’Halfaya e le città di Marsa el Brega, al Mechili, Derma ma si infrange contro i Bastioni della Piazzaforte di Tobruk, rimasta saldamente in mani britanniche che la difendevano con circa 30.000 uomini e che, dopo alterne vicende, è destinata a cadere soltanto il 21 giugno 1942. La Piazzaforte di Tobruk era difesa da fortificazioni costruite in precedenza dal Genio Militare Italiano ma, dopo essere stata riconquistata dall’offensiva delle truppe anglo-americane del settembre-ottobre 1940, era stata rinforzata dagli inglesi. Per l’esattezza, da “La Medaglia d’Oro Emilio Caizzo” del Gruppo Nazionale Guastatori del Genio (ANGET), con la possibilità da parte loro della consultazione di carte militari “una tripla cintura di reticolati ed una profonda fossa anticarro circondavano una serie continua di capisaldi costruiti da ridotte e da robuste casematte fortificate (i cosiddetti fortini), abilmente dissimulate sotto il livello del terreno, capaci di ospitare un plotone; attorno a questi nuclei di Ridotte (“R”), e unite con camminamenti protetti, stavano le postazioni fisse di mitragliatrici, di mortai e di cannoni anticarro. Ai capisaldi costituiti dalle Ridotte si alternavano le Fortificazioni di Sostegno (“S”) che li completavano, li appoggiavano e li proteggevano.” L’offensiva lanciata da Rommel porta in breve tempo alla conquista dei fortini situati sulle alture che dominavano i bastioni di Ras el Medauar ed il porto di Tobruk; i Guastatori italiani, al grido di “Varco” per segnalare la conquista di una postazione, annientano diversi fortini del tipo “R” piazzando cariche esplosive da 3 chili, infilando candelotti fumogeni nelle feritoie; soprattutto per l’uso dei lanciafiamme si meritano dagli avversari l’appellativo di “fire eaters”, mangiatori di fuoco. La notte del 16 maggio 1941, due plotoni della 3a Compagnia Guastatori, in unione a gruppi di assalto della fanteria della Divisione “Brescia”, cui erano stati inviati in rinforzo il giorno 11 maggio 1941, iniziano l’attacco alla piazzaforte di Tobruk. Con supremo sprezzo del pericolo e la consueta perizia, i guastatori aprono tre varchi nel reticolato sul fronte di ciascun gruppo di assalitori usando tubi di gelatina esplosiva. In questa azione il guastatore Emilio Caizzo, nonostante sia rimasto ferito ad una gamba durante un’azione precedente, ottiene di essere aggregato ad uno dei due plotoni della 3a Compagnia Guastatori; sebbene ferito nuovamente da una scheggia di granata, oltrepassa il reticolato minato con il suo compagno di coppia e piazzando la sua carica, riesce a distruggere due mitragliatrici. Nuovamente ferito, afferra la carica già accesa del suo compagno di coppia colpito

mortalmente e, freddamente, portandola ad esplodere nel Fortino nemico, annienta se stesso ed il nemico in una solo esplosione. Nei sedici giorni di combattimenti il XXXII Battaglione Guastatori, su una forza di 315 unità, perse 4 Ufficiali, 14 Sottufficiali e 41 Guastatori, fra i quali Emilio Caizzo. Soltanto il 15 agosto 1941 lo Stato Maggiore sanziona ufficialmente la costituzione del Battaglione attribuendogli la denominazione XXXII Battaglione Guastatori, con centro di mobilitazione il Deposito del 5° Reggimento Genio di Villa Vicentina (Udine). Col suo sacrificio Emilio Caizzo “dona” ai Guastatori del Genio la 1a Medaglia d’Oro al Valore Militare alla memoria concessa (Bollettino Ufficiale 1942, pag. 8.921) con la seguente motivazione: “Volontario guastatore, sebbene a riposo per la ferita riportata in precedente azione, chiedeva ed otteneva di partecipare, quale porta-carica, all’attacco di una munita ridotta nemica. Oltrepassato con un compagno il varco del reticolato, sotto intenso fuoco, sebbene colpito da scheggia di granata, riusciva a portarsi sotto l’opera fortificata ed a provocare lo scoppio della carica distruggendo due mitragliatrici nemiche. Colpito una seconda volta più gravemente e già allo stremo delle forze, visto cadere un compagno, con epico gesto gli strappava dalle mani la carica già accesa e la portava sulla piazzola nemica ove, in supremo olocausto, immolava la sua giovane vita per la Patria. (Tobruk, Africa Settentrionale, 15-16 maggio 1941).” Molto tempo dopo il fatto d’arme del 16 maggio 1941, che vide la morte di Emilio Caizzo, Don Luigi Matrone, Cappellano del XXXII Battaglione Guastatori, rinvenne la salma dei caduto e provvide alla sepoltura nel Cimitero Militare di Tobruk. Finita la guerra a Potenza, fra gli altri lavori, si dà inizio all’ampliamento del Cimitero Comunale anche sul lato ovest ed il 7 giugno 1949 il Comando del Presidio Militare di Basilicata richiede la concessione gratuita di un’area nel Cimitero Urbano di mq. 151, di cui mq. 68 edificabili, allo scopo di potervi edificare un Monumento Ossario che possa ricordare degnamente i caduti per la Patria dal 1915 al 1945. Con Delibera del 21 luglio 1949 il Comune di Potenza concede gratuitamente ed in perpetuo al Comando del Presidio Militare l’area richiesta (di mq. 151, di cui mq. 68 edificabili), nella nuova zona di ampliamento del Cimitero Urbano per la costruzione di un “Monumento Ossario” con zona di rispetto” per la destinazione richiesta. Con successiva comunicazione del 9 febbraio 1953 il Comando del Presidio Militare richiede al Comune di Potenza un’ulteriore area di 60,12 mq., alle spalle del Monumento Ossario ai Caduti di Guerra, per l’ampliamento dello stesso e costruzione di cellette per tumulare altri resti mortali di caduti in guerra; con atto del 27 febbraio

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1963 il Comune di Potenza delibera la concessione gratuita ed in perpetuo della nuova area richiesta. Su “La Domenica del Corriere” del 4 ottobre 1964 (pag. 44) per la firma di Giorgio Bensi ed il disegno di Mario Uggeri, in occasione del raduno di Salerno del 4 ottobre 1964, compare un articolo dal titolo ”Quei diavoli del Genio che giocavano con la morte” e col sottotitolo “L’epopea gloriosa di quattromila autentici eroi, i guastatori, oltre settecento dei quali pagarono con la vita l’altissimo senso del dovere, sui fronti di Albania, in Africa e nella campagna di Russia”. L’articolo parte dalla costituzione a Civitavecchia del Corpo dei Guastatori, racconta le varie fasi del corso di addestramento fra le quali la “prova dei nervi”, esplosioni nei luoghi e nei momenti più impensabili, per concludere con una lunga testimonianza sulla Medaglia d’Oro al Valore militare alla Memoria Emilio Caizzo “quell’umile contadino di Castelmezzano presso Potenza, un ragazzone di 21 anni”. Il Convegno di Salerno era stato organizzato dal Gruppo Nazionale Guastatori del Genio ed in quella occasione evidentemente il Gen. Francesco Manganaro, del 3° Reggimento Genio Pionieri d’Arresto di Udine nonché Presidente del Gruppo, lanciò l’idea di commemorare, in occasione del venticinquesimo anniversario della sua morte, Emilio Caizzo, 1a Medaglia d’Oro al valore Militare del Gruppo Guastatori, nel paese natio di Castelmezzano. Rientrato ad Udine il Gen. Francesco Manganaro ordina ad un sottoposto di rintracciare qualche parente di Emilio Caizzo a Castelmezzano (Potenza) o in qualche altro paese della Basilicata. Viene rintracciata a Potenza una Carmela Caizzo maritata Stella Brienza, che risulta essere una nipote di Emilio; successivamente, il 22 ottobre

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Comune di Castemezzano: 18 novembre 1965 - Intitolazione della Piazza pricipale ad Emilio Caizzo

1964, a nome del Gruppo Nazionale Guastatori del Genio, il Gen. Francesco Manganaro richiede al Comune di Castelmezzano che quella cittadina possa ricordare degnamente la memoria della Medaglia d’Oro Emilio Caizzo. Il Comune di Castelmezzano, con Delibera del 28 febbraio 1965, accoglie la richiesta del Gruppo Guastatori e solo dopo un anno il 18 novembre 1965 viene intitolata ad Emilio Caizzo la Piazza Principale del paese; presenti alla cerimonia la mamma di Emilio, Rosa Emanuela Beneventi ved. Caizzo con i figli Carmela e Berardino, le maggiori autorità della Provincia di Potenza fra le quali il Senatore del Collegio Avv. Domenico Schiavone, il Comandante della Zona Militare di Salerno Gen. Giovanni Lenuzza (in rappresentanza del Ministro della Difesa On. Giulio Andreotti), il Vice Prefetto di Potenza Dr. Italo Lamorgese, il Comandante del Presidio Militare di Potenza Col. Araneo,

il rappresentante Provinciale degli Invalidi di Guerra, la Medaglia d’Oro al Valore Militare Donato Sanità. Durante la cerimonia la figura di Emilio Caizzo viene rievocata dal Ten. Col. Giuseppe De Marco, già Vice Comandante della Scuola Guastatori di Civitavecchia; dal Sindaco di Castelmezzano Giuseppe Romano; da Don Luigi Matrone, già Cappellano del XXXII Battaglione Guastatori; dal Sergente Maggiore Guastatore Antonio Muro e dal Consigliere Provinciale Dr. Giovanni Beneventi, rispettivamente compagno di Corso e compagno di Scuola di Emilio. Finita la guerra Don Luigi Matrone a Pompei diviene Parroco della piccola Chiesa di Maria SS. Immacolata Concezione, divenNOTE 1) - Caizzo Emilio (Castelmezzano, Potenza 15.04.1920 - Tobruk (Ras es Sehe), Cirenaica 16.05.1941



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La letteratura oggi? Salva il volto comune di ciascun individuo Emanuele PESARINI

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’ giunto alla quarta pubblicazione ufficiale il poeta, critico letterario e docente di letteratura di origini potentine Andrea Galgano. Dopo Argini, libro di poesie con una prefazione di Davide Rondoni ed il volume “Frontiera di pagine” scritto in collaborazione con Irene Battaglini e contenente saggi e interventi di arte, letteratura e poesia, l’autore ha pubblicato il catalogo Radici di fiume che è un intenso percorso osmotico di arte e poesia. Nel novembre dello stesso anno, il

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poeta lucano ha dato alle stampe il nuovo monumentale Mosaico, testo che riunisce per la prima volta una carrellata di articoli e saggi di poesia e letteratura, da lui scritti e pubblicati tra il 2010 ed il 2013, nel ruolo di editorialista e curatore della rubrica “ Pensieri, parole, emozioni” sul periodico on line Città del Monte, diretto da Michele Giustiniano che per l’occasione, ha curato l’introduzione del volume. La pubblicazione è stato il pretesto per una chiacchierata con l’autore, incuriositi dalla


volontà di conoscere più da vicino un personaggio il cui immenso talento si accompagna ad un’umanità ed una vivacità intellettuale carica di passione e suggestioni. Tra le tue passioni vi sono la poesia e la letteratura. Oltre ad essere docente e poeta sei anche critico letterario. Quali sono i tratti distintivi di un buon critico letterario e il metodo da te adottato nel valutare la letteratura? La letteratura introduce ed educa a un’esperienza di stupore, di amicizia, di meraviglia. Rivela come coloro che entrano in un teatro ampio ed umano possano fare l’esperienza di un’avventura, di un incanto che restituisce valore e splendore alle nostre esistenze. Respirare le pagine significa accendere la sfera delle libertà, come energia che fa aderire alla vita nei suoi aspetti possibili. Si tratta anche di salvaguardare il senso profondo della parola come dialogo, come rapporto tra un soggetto e l’altro, in quanto possibilità di scoperta di qualcosa di sé. Disse il grande critico di Pirandello, Pietro Mignosi, valutando la critica letteraria che come forma di carità; è a mio avviso, un valore imprescindibile. Uno strumento di conoscenza e di autocoscienza. Josif Brodskij si soffermava sul valore della letteratura nella società attuale, affinché in gioco ci sia la possibilità di salvare “il volto comune di ciascun individuo”. Il lavoro interpretativo rassomiglia molto al rapporto di amicizia: si acquisiscono nuove conoscenze e nuove sfumature e scrivere diviene ciò che diceva Pasternak “vivere sempre sugli ascensori” abitando i diversi livelli e i diversi segni del reale. Quali sono le attività che svolgi al Polo Psicodinamiche di Prato? Insegno letteratura alla Scuola di Psicoterapia Erich Fromm, riconosciuta dal Miur, seguendo l’ottica dell’Istituto che vuole integrare gli insegnamenti di psicologia con la dimensione della letteratura e della poesia contemporanea. La mia prossima lezione sarà, ad esempio, sull’americano Cormac McCarthy e le sue variabili di ombra. Nelle attività della scuola, rientra una ricerca sul rapporto tra arte, psicoanalisi e letteratura, per rendere più interessante la dimensione creativa. Al master di alta formazione in criminologia, mi occupo di letteratura criminalistica, approfondendo autori come Dostoevskij, Chandler o Poe. Al congresso internazionale di Psichiatria Dinamica di San Pietroburgo, a maggio, porterò un lavoro sulla dinamica affettiva in Puskin. Qual è a tuo avviso l’unicum che contraddistingue un’opera letteraria rispetto ad un testo di natura filosofica, storica o di altri settori cosiddetti umanistici?

Già Platone nella Repubblica parlava di «discorso antico» nel rapporto tra filosofia ed arte poetica. Entrambe sono attività intellettuali che esplorano e mettono a fuoco la condizione umana, le relazioni e sviluppano prospettive sul reale. Vi sono vari punti d’incontro, dal valore cognitivo fino al paradosso della finzione. La bellezza della letteratura è nella tensione del suo gesto umano. La tua esperienza curriculare e professionale ti ha condotto a svolgere la professione di docente di letteratura e critico letterario al di fuori dei confini della Basilicata. Pensi che in questa regione ci siano le condizioni per affermarsi in ambito culturale o è una prerogativa di pochi? Non esistono luoghi in cui non sia possibile dire io, nonostante tutto cospiri a tacere di noi, come direbbe Rilke. La cultura non

è una sorta di entità iperuranica, appannaggio di pochi, ma un invito alla unicità e irripetibilità di ogni avventura umana. La Basilicata è un luogo di continua scoperta umana e territoriale, che ha come nemici l’avvilimento dei cuori e la malora. Cosa consiglieresti ai nostri lettori che vivono in Basilicata e non vorrebbero rinunciare ad inseguire e realizzare il proprio sogno nel cassetto? Non propongo ricette, non ne sarei capace. Il mio lavoro mi porta spesso a viaggiare e conoscere altre realtà, ma quando ritorno qui il mio compito è arricchire, secondo le mie possibilità umane, questa bellissima terra. Quali sono i tuoi progetti futuri ? Continuo la mia attività pubblicistica e, nel frattempo, scrivo poesie nuove e un saggio di letteratura italiana.

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Alla scoperta di artisti nostrani:

VINCENZO VIGGIANO

e lo spazio nel tempo nella pittura Giuseppe A. RINALDI

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a pittura trova in Vincenzo Viggiano un interprete contemporaneo di grande spessore, capace di trasformare in musicalità cromatica gli accenti del pensiero e del sentimento. L’artista nasce a Rionero, alle falde del monte Vulture, un antico Vulcano spento, dove tutt’ora vive e lavora. Fin da bambino coltiva la sua passione per il disegno, iniziando a dipingere in età precoce. Dal 1969 al 1972 è a Varese e, giunto a

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Milano, frequenta l’ambiente di Brera dove vive esperienze artistiche di rilievo e segue alcuni corsi di disegno e pittura. Ha studiato arti visive, conseguito la maturità artistica, e l’abilitazione all’insegnamento del disegno e della storia dell’arte nelle scuole. Ha seguito inoltre, i corsi di disegno e di pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Foggia e collaborato con rinomati architetti ed ingegneri, oltre ad essere disegnatore presso le Belle Arti


Tutti i diritti sono riservati; l’opera non può essere riprodotta, memorizzata o trasmessa in alcuna forma e con alcun mezzo elettronico, meccanico, in fotocopia, in disco o altro modo, senza l’autorizzazione scritta dell’autore.

della Basilicata. È proprio nella realtà in cui cresce, ricca di contrasti cromatici e luminosi, che egli vive ed osserva da sempre le sue infinite variazioni di colori, nelle contrastate bellezze, ora tragiche ora sorprendentemente liete, del suo paesaggio naturale, motivo portante della sua ricerca grafico-pittorica. Molto attento al naturalismo descrittivo, comprende e definisce questo suo sogno poetico e visivo, superando ogni banalizzazione del sentimento. D’altro canto, la pittura costituisce il nucleo linguistico vitale in cui l’uomo e il suo paesaggio, intesi nel loro significato più profondo, sperimentano il senso di un’armonia che lascia intravedere la sua essenziale quanto misteriosa presenza. “La pittura è un’arte irrazionale, dove predomina la fantasia, l’immaginazione, cioè la poesia, che si esprime attraverso il linguaggio visivo”. “La fantasia segue una linea dinamica. Nasce dal presente e si proietta verso il futuro”. Come si nota, nella sua pittura l’elemento essenziale dell’immagine è la luce che, nella struttura infinita delle sue gradazioni di colori, infonde la dimensione di autentica bellezza alle forme rappresentate. L’impulso luminoso assume le sembianze di un’organica linfa visiva che, da ogni prospettiva spaziale e temporale, nutre l’immagine e conferisce dimensione e forma alle cose. Tutto ciò che viene rappresentato, gli oggetti, le figure, la natura: tutto si rea-

lizza in atmosfere realistiche-surreali, suggerite da un sogno e da un intimo colloquio con la propria personalità. Le figure sono sempre avvolte nel silenzio e nella solitudine: “sono l’immagine di quanto resta negli occhi di chi osserva il loro assorto stare in uno spazio più lontano e tetro dell’esistere quotidiano, alla costante ricerca del vero”. Predominante nelle sue opere, è la predisposizione alla sintesi spaziale -che avviene principalmente a livello di atmosfere attraverso un tono luminoso con cui si armonizzano le varie gradazioni di luce, avvalorando così la sua ricchezza espressiva e quella dei suoi riflessi- e ad un silenzio visivo, elaborato su ritmi quasi metafisici in una composizione lineare, quasi a voler rappresentare il silenzio in sé medesimo. Per far ciò, utilizza una nitida concezione ottica di spazio, segno, luce e colore, che costituiscono gli elementi essenziali della sua ricerca. È proprio nella percezione dello spazio che emerge il suo istinto; uno spazio che comprende e accoglie le cose e le situazioni rappresentate e generate in un’organica e fantastica armonia. “Tutte le sensazioni, i sogni, le voci dell’animo, entrano in scena con la loro poetica in significative composizioni alimentate, a loro volta, da quella sensibilità che la pittura sperimenta come essenziale risorsa creativa”. Attraverso queste composizioni di “nature morte”, soltanto una goccia nel suo percorso artistico, Vincenzo Viggiano ha voluto rappresentare la forza simbolica

del vino, protagonista della nostra terra sin dall’antichità: “ Il vino rappresenta la ritualità del lavoro contadino, il suo magico esistere fra gli uomini; racconta dell’uomo, ed è vivo il ricordo del suo profumo diffuso nella cantina scavata nel tufo”. La memoria lo conduce alle vigne, all’odore dello zolfo e del rame che la mano sapiente di suo padre cospargeva sui tralci delle viti, per evitare la diffusione della peronospora. Tali ricordi ed emozioni lo hanno spinto a rappresentare, in questi suoi lavori, le radici della storia dell’uomo che proiettano lo spettatore nel presente. Con questi dipinti ha voluto intraprendere un percorso di rilettura delle origini e dipingere le sue infinite variazioni cromatiche ed il lento maturare del vino nelle botti di rovere. “Ho imparato molto da esso, senza saperlo né volerlo, respirandolo nell’aria con gli odori della campagna, del fieno, del mosto. Ho imparato il suo farsi, la lunga nascita, le cure ai filari, la vendemmia, la fermentazione, i travasi nelle botti, l’invecchiamento nel rovere e l’intero rito che accompagna le fatiche di un anno. Per i Greci il vino non era volgare, al contrario, sembrava rappresentasse sempre qualcosa di sacrale”. Ed è proprio partendo dal sacro e dalle origini, che bisogna incentrare il proprio quotidiano alla ricerca di sensazioni, emozioni e passioni che proiettino il proprio essere nello spazio e nel tempo, vivendo ogni giorno, attraverso la pittura, una gioia da condividere.

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Sopravvivere non basta

Dona la vita

Mr Reginal Green al “San Carlo” di Potenza Anna MOLLICA

l 29 settembre 1994 i coniugi Green e i figli Eleanor e Nicholas, californiani in vacanza, percorrono l’A3 Salerno-Reggio Calabria a bordo di un’auto presa a noleggio. All’improvviso sono assaliti da rapinatori nei pressi di Vibo Valenzia che sparano contro l’auto. Reginald, il papà, velocemente si allontana, si ferma dopo aver visto un’ambulanza e la polizia mentre soccorrono un incidente stradale. Solo allora si accorgono di Nicholas che giace immobile. La corsa all’ospedale. Morte cerebrale sentenziano i medici che due giorni dopo assistono impotenti alla fine del bambino. Si spegne in questo insensato modo la vita di un innocente di soli 7 anni. Ma non la sua luce che nella disperazione inizia a brillare più intensamente illuminando i cuori di Maggie e Reginald i quali decidono di donare gli organi del figlio. Sette pazienti italiani di cui quattro adolescenti tornano a vivere. La nazione commossa si stringe intorno a loro. A loro giungono lettere d’affetto, al figlio scomparso vengono intitolate strade, parchi, piazze (da noi, a Ruvo del Monte c’è

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via Nicholas Green), l’allora Presidente della Repubblica Scalfaro conferisce al papà la medaglia d’oro, la solidarietà arriva anche dal Primo Ministro e da papa Wojtyla. Tornano in California con l’aereo presidenziale accompagnati da opposti sentimenti: il dolore di una morte prematura, la pace di vite restituite e la consapevolezza che quanto accaduto avrebbe cambiato le loro esistenze per sempre. A Los Angeles (USA) creano la Fondazione “Nicholas Green” con la quale da venti anni promuovono la cultura della donazione di organi in tutto il mondo. Attraverso incontri pubblici, pubblicazioni di libri, filmati provano a sensibilizzare le persone affinché autorizzino, quando sono in vita, l’espianto sottraendo ai parenti la gravosità di questa decisione che, nell’angoscia del momento, potrebbe, come del resto è accaduto, non arrivare. Mr. Reginald Green lo ha ribadito qualche tempo fa anche a Potenza nell’ospedale “San Carlo”, in un convegno dal titolo “Sopravvivere non basta. Donare la vita” moderato dal giornalista Mario Trufelli e voluto dall’U.O.C. di Nefrologia e Dialisi guidata dal dr. Domenico Sannicandro. Pieno l’auditorium. Studenti, rappresentanti del mondo sanitario, del governo regionale, della curia, pazienti trapiantati hanno appreso le linee essenziali di ciò che ruota intorno alla donazione di organi a cui anche il “S. Carlo” aderisce afferendo, per ciò che riguarda il rene e il fegato, al policlinico

“Umberto I” di Roma. La Trapiantologia è un sistema complesso che chiama in causa l’aspetto pratico gestito dalla Medicina, e quello spirituale guidato dalla generosità di un atto gratuito ed anonimo sia per chi riceve l’organo sia per chi lo dona. E che benché abbia visto in questi due decenni l’Italia crescere nella graduatoria delle donazioni, ha ancora molta strada da fare perché sono pochi gli organi disponibili a fronte di una richiesta che resta alta. Durante il convegno è stato spiegato che al 31/12/2013, 8.828 sono i pazienti italiani in lista d’attesa e che in Basilicata, dove il centro di riferimento è l’ospedale di Matera, una persona su due è favorevole ai trapianti. L’azione dei Green cerca di minare questa resistenza. Con la loro decisione sono convinti di aver fatto anche la volontà di Nicholas, bimbo buono e generoso sempre disposto a giocare con tutti, e che da lassù guarda sorridente perché ha altri due fratelli gemelli, i responsabili dell’agguato sono stati assicurati alla giustizia e ha ridato la vita a persone che altrimenti l’avrebbero perduta. Mr. Green ha raccontato che qualche giorno prima di salire in cielo, il bambino che amava l’Italia e ne aveva visitato molti luoghi, si definì, in un gioco con il papà, un soldato dell’antica Roma tornato vincente da una dura battaglia. Ha fatto come il suo eroe, Nicholas, ha vinto la sua battaglia sconfiggendo quell’atto di violenza ma con la forza dell’amore e non della spada.


Luigi Zanda elogia il “fare cultura” di

Leonardo Sinisgalli l Mezzogiorno d’Italia è sempre stato l’anima del Paese”. Nelle parole di Luigi Zanda risuona l’ammirazione per una terra che sin dall’antichità ha alimentato ed elevato la sua Cultura incrociando popoli altri ed altre conoscenze. Una terra che ha generato intelligenze raffinate ed avvedute, pensatori inquieti attenti ad analizzare il passato, ad osservare il presente ed a coglierne i germi del futuro. La Lucania ne annovera diversi, ma uno più di altri si è distinto per il suo inedito “fare cultura”. Il senatore ha voluto dedicare a Leonardo Sinisgalli la sua ultima raccolta di scritti che, editi fuori commercio, regala agli amici per Natale. Dalla metà degli anni ’80, infatti, è solito curare opuscoli su autori o personaggi che durante l’anno lo hanno maggiormente colpito. L’edizione 2013 è intitolata Civiltà delle Macchine, chiaro omaggio alla rivista della Finmeccanica che Sinisgalli ha diretto con l’idea di far coesistere il progresso incalzante e l’umanistica di sempre. I mondi del tangibile e dell’astratto che il poeta ingegnere di Montemurro ha assimilato, assemblato ed enunciato allargandone l’analisi agli intellettuali del tempo. Tra questi ci sono Ungaretti, Gadda, Moravia, Ferrata, Tofanelli, Luraghi, Buzzati, autori delle lettere riprese da Zanda nel suo libretto, pubblicate sulla rivista tra il 195356. Sono epistole ricercate nella forma e brillanti nella sostanza, veri e propri saggi esplicativi del cambiamento dei tempi, ora auspicato ora temuto. Luigi Zanda è stato ospite, agli inizi di aprile, del Circolo “Spaventa Filippi”. Un invito nato dall’omaggio all’uomo che lo stesso Circolo ha premiato nel ‘75 con il Premio Letterario

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Basilicata. Santino Bonsera, Mario Trufelli, Gianpaolo D’Andrea, Franco Vitelli, Piero Lacorazza e Franco Sabia, nella Biblioteca Nazionale di Potenza, hanno conferito sul poeta e sulla rivista secondo le esperienze con lui vissute direttamente o indirettamente. I lucani, durante le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia, hanno scelto Sinisgalli per rappresentare la Basilicata a Roma, proprio per la sua propensione ad una modernità che non disconosce la tradizione. Tale coesistenza di vedute ha originato la formula vincente di Civiltà delle Macchine con la quale - ha spiegato Vitelli che considera il poeta suo maestro – si va alla ricerca del contrappeso che bilanci l’eccessivo entusiasmo verso la tecnologia. Sinisgalli lo chiede agli intellettuali, li spinge verso la conoscenza delle macchine che stupiscono per quel potenziale concepito dall’uomo a cui tocca comunque il controllo: con il suo animo. Solo la letteratura, l’arte, la cultura riscaldano i freddi calcoli matematici e i freddi metalli, e colgono i differenti risvolti. Zanda - ha confessato – non ha mai visto Leonardo Sinisgalli. La sua voce, il suo viso, il suo sguardo deciso gli sono stati rivelati da Mario Trufelli, storico caporedattore della RAI Basilicata, che dagli anni ‘50 ha costruito con il poeta una solida amicizia. Del poeta desidererà immortalare ogni gesto, umore e pensiero. Due interviste realizzate nel 1975 in bianco e nero, e nel 1980 a colori hanno dato l’idea del personaggio dalle indoli contrarie. Nella prima, i due sono a Montemurro davanti alla casa natia situata lungo la via che oggi porta il suo nome. E’ qui che Leonardo concepisce la poesia, sua

“dolcissima consolazione e dannazione”, dalla sua camera al piano di sopra, dove conserva la foto della madre ed osserva il monte Sirino immaginando la maestosità del Pollino. Fuori, con viso sereno, racconta al microfono di Trufelli (che in quella casa è accolto “senza sospetto” tanto è grande la stima che il poeta ha di lui) la sua volontà di far incidere su una lapide in pietra la poesia Monete rosse. Tutt’oggi è lì, sulla parete esterna. Cinque anni dopo, a Castronuovo Sant’Andrea, il giornalista quasi non lo riconosce. Ha davanti a sé un Leonardo diverso, rabbuiato, che deluso dal suo paese, legge le sue stesse poesie considerando tutto ciò “una bizzarria del mese d’agosto”. Il poeta ormai settantenne, da 3 anni dedito solo alla poesia e al disegno, ironizza sulla frase: “Tutti mi dicono che sono ringiovanito ma quando mi dicono questo è un brutto segno”. Un presagio, forse, che anticipa di 5 mesi la sua morte avvenuta a Roma il 31 gennaio 1981. L’incredulità per quell’improvvisa scomparsa si somma allo stupore per il suo l’ultimo colpo di genio. Sinisgalli ha fatto costruire il suo sepolcro nel cimitero di Montemurro, paese dell’amore eterno. Attraverso queste testimonianze Luigi Zanda ha potuto conoscere meglio Leonardo Sinisgalli del quale ha già colto la sua lungimiranza nel considerare la Cultura, in ogni sua forma, il motore del progresso e della rinascita. Come la Cultura – ha concluso il senatore - ha rimesso in piedi l’Italia e l’Europa dalle distruzioni del II° Conflitto Mondiale, così la stessa può sanare i danni della crisi economica di oggi. an.mo.

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La luce e i colori nell’arte digitale di Dolores

Nicastro

Flavia ADAMO

i eravamo conosciute qualche anno fa ad un corso di “Organizzazione e gestione d'eventi d'arte contemporanea” organizzato dall'ente Apofil di Potenza e già lo spiccato senso artistico di Dolores Nicastro emergeva con tutta la sua originalità e la sua passione tra i diversi partecipanti. Il mondo dell'arte, sopratutto in piccole realtà come la nostra, non è tanto compreso e gli artisti non hanno molto spazio per farsi conoscere e far vedere le loro opere. Essere unicamente un artista, qui, non è possibile, non può essere considerato come un lavoro ma è visto come un hobby e spesso come tale resta tra le mura domestiche. La nostra artista, invece, pian piano è riuscita, prima ad Oria in Puglia, e poi presso la Pinacoteca Provinciale di Potenza, ad esporre la prima mostra fotografica dal 5 marzo al 22 aprile. Incontriamo Dolores in una tiepida mattina di aprile per farci raccontare quella che

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è la sua esperienza mentre ci guida nel suo mondo, “Giochi di Luce”, attraverso l'esposizione di 36 fotografie. Chi è Dolores e chi è Dolores artista?

Non c'è differenza tra me artista e me nella vita quotidiana, il mio modo ottimista e positivo di affrontare la vita mi rende una persona che, nonostante le difficoltà in cui tutti possiamo trovarci, non si ferma


mai e vede sempre una luce, un miglioramento possibile in ogni situazione. Questo è ciò che emerge infatti anche nelle mie opere. Fin da piccola mi sono immersa in questo strano mondo dell'arte, dalla pittura alla musica, dal canto alla fotografia, non ho mai smesso di crederci anche quando spesso, come accadeva da bambina, non veniva riconosciuto quel disegno come mio, forse perché troppo preciso e pieno di dettagli, o forse perché a soli 6 anni non utilizzavo il rosa per colorare i visi ma creavo, giocando con i colori, il colore più vicino al colore naturale della pelle. Questa prima esposizione rappresenta un determinato periodo della tua vita? Questo primo lavoro non è legato ad un unico periodo della vita, è un insieme di sensazioni che si provano fin dalla nascita, gioia, sorpresa, sofferenza, paura, felicità. Noi siamo una sommatoria di ogni secondo che abbiamo vissuto e le fotografie racchiudono tutte le emozioni provate fino ad oggi. Quando ho lavorato su queste immagini mi sono sentita una bambina di tre anni; mi ha fatto stare bene sentirmi così, esprimermi in questo modo. Non mi sono mai fermata e ho cercato giorno dopo giorno, nonostante fossi impegnata come mamma e moglie, a ritagliare un po’ di tempo e un po' di spazio per me, per potermi sentire libera. Per una donna non è facile fare l'artista, il tempo da dedicare all'arte, alle idee, alla sperimentazione è tanto e proprio per questo le difficoltà sono maggiori rispetto ad un uomo. Da dove è nata l'idea principale che ha portato a voler rendere la luce e i colori i protagonisti di questo lavoro? Tutto ciò è nato da un'esperienza personale che forse con i prossimi lavori si capirà. Fin dalla nascita, già nell'utero materno noi siamo attratti dalla luce del sole e la ricerchiamo costantemente; è proprio la luce che, secondo me, prima di morire

cattura la nostra attenzione. La luce è quell' elemento che accomuna tutti, che ci da vita. Una notte di sei anni fa mi sono svegliata con l'idea fissa di prendere la macchina fotografica e “dipingere” in questo modo. Il digitale non sporca, non occupa spazio, nessuno vede nulla e tutto viene scaricato sul computer mentre tu inizi a creare. Una persona per poter essere felice deve potersi esprimere nel modo che ritiene più giusto per se e l'arte contemporanea è bella anche per questo, permette di soffermarti e riflettere sulle sensazioni che un'opera può trasmetterti, è libera interpretazione. Io ho utilizzato un mezzo moderno, il digitale, come un analogico senza apportare modifiche, unendo il vecchio e il nuovo senza rinnegare quello che è il passato. Da dove nasce questa particolare tecnica fotografica? È il frutto di una lunga ricerca e sperimentazione, niente avviene per caso, l'idea può nascere dal caso ma poi tocca a noi lavorarci su e sperimentare. È la sperimentazione che ci porta ad un risultato. Questa mia prima esposizione è il risultato dell'applicazione metodica della ricerca e della sperimentazione di tecniche fotografiche personali durate cinque anni per tirare fuori quello che è il concetto del mio lavoro, la luce, i colori che sono il nucleo fondamentale di qualsiasi cosa. Le fotografie digitali non sono minimamente rielaborate o modificate nei loro dettagli; è stato adottato un particolare tipo di stampa, la stampa ultravioletta su metacrilato (plexi) 40x50 cm per trasmettere meglio ciò che dall'obiettivo io stessa stavo fotografando. È una stampa particolare ed infatti l'ho fatta stampare in una tipografia a Milano. Hai già in serbo altre opere da mostrarci? Si, ho già pronta una nuova raccolta, in cui la protagonista sarà ancora una volta la luce, che però esporrò nel momento in cui questa sarà abbastanza conosciuta. Anche perchè non è stato facile poter tro-

vare una collocazione qui nella nostra città. Ringrazio la Pinacoteca e la dirigente Caricati per questa opportunità datami. Il primissimo apprezzamento delle mie opere è stato fatto fuori, senza sapere chi fossi e da dove venissi. Vedendo il mio lavoro l'organizzatore di alcuni eventi, in Puglia, ha voluto far esporre le mie foto negli ipogei della Basilica di Oria, affinché portassero luce, dessero un tocco di colore a questi sotterranei dove ho potuto esporre solo 24 fotografie su 36, collocandole in un corridoio che collegava diverse sale di questo museo. Questo lavoro, esposto dal 26 luglio all' 8 settembre, venne molto apprezzato e ricevette più di 4000 visitatori. Considerando che in quella realtà non sapevano minimamente chi fossi, è stato un onore, una grande soddisfazione. Cosa risponderesti a coloro che dicono “queste opere potevo farle anch'io”? Con ironia direi “perchè non le hai fatte”? Io ho voluto mettermi in gioco, sperimentare qualcosa di diverso per poter permettere ad ognuno dei visitatori della mostra di potersi immergere nell'arte ed estrapolare sensazioni che forse neanche loro si aspettano. Se ciò accade, allora vedremo la vera bellezza delle cose. Per me questa è la più grande soddisfazione che posso ricevere a seguito di questa esposizione.

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E U R E K A

VIRGINIA GRASSI E LA CARICA DELLA NOSTALGIA Presentato a Potenza l'ultimo libro dell'autrice trentino-lucana S dal titolo Si fa sera.Tornano i ricordi

Francesco POTENZA

i fa sera. Tornano i ricordi. Il titolo della raccolta è semplice e suggestivo insieme. Persino commovente. Mette nostalgia. Ed è facile domandarsi, leggendo i versi ed i racconti di Virginia Grassi, cosa sia la nostalgia, da dove nasca, che ruolo abbia dentro il nostro viaggio. La domanda non è banale. Se l'era posta, ad esempio, il grandissimo poeta turco Nazim Hickmet. In una sua memorabile

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poesia, che titolava, appunto, Nostalgia. “Durante tutto il viaggio – scriveva Hickmet – la nostalgia non si è separata da me./ Non dico che fosse come la mia ombra/ mi stava accanto anche nel buio. Non dico che fosse come le mie mani e i miei piedi/ Durante il sonno si perdono le mani e i piedi/ ed io non perdevo la nostalgia nemmeno durante il sonno. Era qualcosa che non può giungere a sazietà. / Non era legata alle città, alle nuvole, alle canzoni, ai ricordi./ Era in me e fuori di me. /Durante tutto il viaggio la nostalgia non si è separata da me / E del viaggio nulla mi resta se non quella nostalgia”. Ecco, rianalizzando quei versi di Hickmet, due elementi si accendono e tutto il resto rimane sullo sfondo: il viaggio e la nostalgia. L'ultima raccolta di Virginia Grassi non prescinde da questi due elementi. Il libro, unitariamente inteso, è un lungo ed intenso, talvolta coloratissimo, viaggio tra i ricordi. I ricordi che sono sapori (la polenta, la marmellata) odori, piante, animali,


ruscelli, siepi, valli, cascate, rocce, montagne e poi sagome, persone, anime, ritratti di paese, banditori, politici un po' austeri e persino buffi nella loro austerità, popolani in cerca di gloria, raccoglitori di granturco (formantàs), venditrici di ciclamini, soldati che partono e tornano dalla guerra, amanti di amori impossibili e rimpianti: in una parola, i simboli della vita di Virginia Grassi, dall'infanzia e dall'adolescenza trentina sino alla maturità lucana. Il mondo intenso dei ricordi, potremmo definirlo così, un mondo luminoso che ci accarezza e sfiora l'anima, un mondo che compone un viaggio. O meglio, che compone il viaggio. Proprio il viaggio di cui parlava Hickmet, il viaggio con l'articolo determinativo, non un viaggio qualunque. Il viaggio pieno di ricordi colorati di nostalgia, il viaggio che porta alla sera. La raccolta titola, emblematicamente, Si fa sera. C'è il senso di un cambiamento, di un divenire, c'è una donna coraggiosa che fiuta un imbrunire, un passaggio nuovo, un nuovo scacco, un altro gradino, un approdo. L'espressione “Si fa sera” rimanda a Leopardi e ad altri grandissimi autori (il Quasimodo di “Ed è subito sera”, il Levi di “S'è fatto tardi, cari”, persino lo Scotellaro di “E' fatto giorno”) ed implica una raggiunta consapevolezza. La consapevolezza dell'aria che matura e che scurisce ( Leopardi nel Sabato del Villaggio, in quel meraviglioso verso “Già tutta l'aria imbruna” coglie mirabilmente l'essenza della caducità dell'essere e delle cose terrene). Ma, è questo il messaggio straordinario che trapela dagli scritti pieni di vita di Virginia Grassi, non dobbiamo aver paura del tempo che passa, delle stagioni che cambiano, dell'imbrunire che ci coglie durante il viaggio, dell'albero che si spoglia, del cielo che sembra persino invecchiare. Perché, se gli anni passano inesorabilmente, possono salvarci i ricordi, può salvarci la nostalgia, ma può salvarci, soprattutto, il modo di vivere i ricordi. Virginia Grassi non è soltanto la persona che, come scrive correttamente il critico Michele Sessa, canta perché è bello cantare, sogna perché è bello sognare e spera perché è ancora più bello sperare. Virginia è quell'anima che, per dirla alla Ivano Fossati, sogna perché sa sognare. Saper sognare significa aver imparato la lezione della vita. Per saper sognare bisogna, ad esempio, avere imparato a fare i conti con il dolore, averlo soppesato ed averlo vinto. Ma per vincere il dolore, per sfidarlo, bisogna prima averlo conosciuto, averlo guardato negli occhi, averlo vissuto. E Virginia Grassi ce lo racconta, in questo libro, il suo dolore (quello universale della guerra, della solitudine, quello personale della perdita degli affetti più cari, del ter-

remoto e del post terremoto, lo sgomento dinanzi alla scomparsa di Elisa Claps, dinanzi allo stupro o alla lapidazione di una donna, Amina, che aveva avuto il solo “torto” di amare...) ma lo fa con un candore disarmante, con uno stupore che è proprio dei bambini, di quei bambini che la nostra autrice, da anni responsabile del Movimento per l'Infanzia di Basilicata, ama da sempre in maniera particolare. Ad esempio, dietro il racconto apparentemente divertente di Maria Caravana o della festa di Santa Lucia, si celano i problemi della fame, della miseria e degli stenti a cui le famiglie erano costrette in tempi di guerra. La piccola Virginia Grassi sognava un boccone di marmellata ed aveva improvvisato uno sciopero della fame per ottenerlo. Ma, più caparbia di lei, arrivò “Maria Caravana”, la personificazione della fame stessa, che la costrinse a desistere dal suo desiderio, tanto più innocente quanto più si pensi che nella società consumistica di oggi un boccone di marmellata non può valere un digiuno prolungato. Il viaggio di Virginia è dunque, a tratti, un percorso nel dolore, illuminato però dal suo modo insieme fanciullesco e maturo di approcciarsi e di guardare alle cose, da una religiosità forte, da un inguaribile ottimismo che suona, di questi tempi, come uno dei più dolci inni alla bellezza della vita. Un altro racconto importante della raccolta è Affari d'oro, in cui l'autrice, con altre due amichette dell'epoca, s'improvvisa venditrice di ciclamini per potersi permettere il “lusso” di un gelato. Le tre ragazze ce la mettono tutta e ad un certo punto è proprio Virginia che rassicura le altre amiche, dicendo: “Tranquille, stasera mangeremo il gelato”. Leggendo il racconto si scoprirà non solo che le tre ragazze non riusciranno a vendere un solo ciclamino e ad addentare il loro agognato gelato, ma che le stesse saranno addirittura beffate da un'automobile di turisti stranieri, che ruberà loro i fiori appena raccolti. Il racconto è dolce-amaro, lo sfondo è persino triste, però nel leggerlo è possibile cogliere un altro grande insegnamento: il traguardo non è lo scopo del viaggio. Lo scopo del viaggio è il viaggio stesso. L'emozione di andare insieme ad altre amiche a raccogliere i ciclamini non ha prezzo e vale di gran lunga di più della delusione per non averli potuti vendere. Racconti come Rocca Pagana e Cuore Italiano, sospesi tra leggenda popolare, sogno e verità, rendono inoltre la raccolta un importante documento storico, che riesce a condensare e ricucire frammenti

e squarci lucenti e significativi del tessuto e del vissuto delle comunità trentine e lucane, che, come correttamente rileva nella sua prefazione il critico Gianni Poletti, sono accomunate dall'elemento neve, ma anche dalle montagne, dal verde e da questa piccola grande donna che “sogna e sa sognare” e che, grazie alla sua intraprendenza, è stata autrice e testimonial di un importante e riuscito gemellaggio tra Trentino e Basilicata, tra le comunità di Storo e Potenza, accomunate nella sua poesia Amate terre mie. Il sogno realizzato di Virginia Grassi è stato ed è ancora oggi, attraverso i suoi scritti traboccanti d'amore, quello di ricreare tra le genti del Nord e del Sud quell'unica grande famiglia, forse povera di beni materiali ma ricca di valori umani, come la solidarietà e la fratellanza, che hanno fatto e fanno dell'Italia un Paese malgrado tutto unito, da rispettare, amare e di cui avere ancora e persino nostalgia, quando si varca il confine. I versi d'apertura della poesia Viale d'Autunno, contenuta nella raccolta dell'autrice, forse meglio d'altri sintetizzano la bellezza d'animo di Virginia Grassi. “Ho visto sul viale fiumi d'ombra/stendere tappeti di corallo/ mentre con passo lento/ io canto il tempo di quei versi/ che mi porto dentro. Ondeggiano danzando/ le ambrate foglie/ al sole dell'estate/ ricordi come fiori che restano nel cuore/ ed io non temo l'impellente/ incedere del tempo mio che vola”. Sembra di vederla, Virginia Grassi, lungo la strada dei ciclamini, a farci dono del suo tempo fitto di ricordi. Un tempo di cui, oggi con l'autrice lo sappiamo, non bisogna avere più paura.

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T R A L E R I G H E

I GIUSTI DI TUTTA LA TERRA IL ROMANZO DI FABRIZIO GENNARO ARRESTA fatti narrati in questa opera si svolgono negli anni dell’Unità d’Italia. Anni di profonde trasformazioni per la nostra penisola che a costo di grandi sacrifici e perdite umane si unifica sotto un unico regno ed un’unica bandiera. Sono questi tempi che Fabrizio Gennaro Arresta, originario di Banzi e laureato in Agraria riprende e rielabora nel suo romanzo I giusti di tutta la terra (Telemaco Edizioni) ripercorrendoli nella Basilicata degli anni ’60 dell’800 attraverso personaggi alcuni inventati altri veramente esistiti. Tra questi ultimi rivivono Giacinto Albini, Giuseppe Garibalbi, Carmine Senise, Vittorio Emanuele II di Savoia, Francesco II di Borbone, Giacomo Racioppi, Luigi Settembrini, Salvatore Castagna, Carmine Crocco uomini che hanno avuto parte attiva nel Risorgimento seppur su posizioni differenti e con differenti destini. Reali, borghesi, militari, semplici popolani che, nel mutare degli eventi, hanno deciso da che parte stare avallando o osteggiando la causa unitaria destinata a creare enfasi ma anche malcontenti. Insoddisfazioni che non si sono esauriti e con l’annessione al Regno d’Italia ma proseguirono negli anni immediatamente successivi andando ad alimentare sconcerto e paura tra la popolazione che vide le promesse di migliori condizioni di vita svanire nulla e la sua incolumità messa in pericolo. In Basilicata come nel resto del Mezzogiorno. Arresta nel suo racconto ripercorre quei duri momenti attraverso le gesta di Vito Montesaldo, personaggio di fantasia, uno dei tanti braccianti al servizio di don Alfiero Michele, ricco possidente e cospiratore contro il Regno di Napoli. Vito è un onesto lavoratore, intelligente e molto capace, per questo ammirato dal suo datore di lavoro che lo vorrebbe tra gli “uniti”, setta clandestina che annovera anche

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Come alberi produttivi, i giusti portano frutti differenti. I frutti maturano in tempi e modi diversi. Essi sono i vari tipi di progresso. I giusti affondano le radici nella fonte di sapienza. L’uomo che ha assimilato sapienza è in pace con se stesso e con gli altri, non ha nulla da rimproverarsi. Il giusto sa che ciò che compie è benefico. Fabrizio Gennaro Arresta l’Albini. Per Vito è un riconoscimento importante. Questa proposta gli può cambiare la vita, elevarlo di rango sociale ed economico allontanandolo dal duro lavoro dei campi. Eppure Vito rifiuta. Quell’allettante futuro non si concilia con i suoi ideali e i suoi valori. La libertà, la giustizia albergano nel suo cuore di cristiano che alla violenza antepone la pace sostenuta dal giovane non solo a parole. Tra il governo borbonico e i reazionari Vito sceglie di starne fuori promuovendo il dialogo come mezzo di risoluzione dei conflitti. Metodo che adotta anche in seguito quando il brigantaggio dilaga nelle terre del Sud contro il nuovo Regno che presto si rivela inefficace e sordo alle richieste del popolo stremato e povero del Meridione. In un clima di guerra civile divenuto sempre più incandescente ed oppressivo, la tenacia pacifica di Vito va avanti nell’instancabile tentativo di scongiurare le violenze e salvare vite umane.

Nel romanzo di Fabrizio Gennaro Arresta la storia del Risorgimento diviene un pretesto per raccontarne una più profonda che riguarda l’animo umano, le sue debolezze ed anche le sue grandi risorse. E’ un oculato richiamo alle responsabilità di ciascuno che di fronte agli eventi ha la possibilità di schierarsi dalla parte del giusto o dell’ingiusto anche se la prima scelta può non avere dei ritorni diretti. Nel romanzo quella di Vito è una voce fuori dal coro che senza urlare parla del rispetto degli altri e della natura, della condivisione e di altruismo, concetti che applica silenziosamente. E l’autore invita ad ascoltarla per poter concretamente costruire una società migliore, andando anche controcorrente sapendo che per questo si rischia di essere isolati o peggio perseguitati. Perché come ricorda Arresta: “L’opera del giusto è una minaccia al potere dell’ingiusto”. an.mo.


MEDAGLIONI GROTTOLESI G Q

IL LIBRO DI

IOVANNI

entotredici, tanti sono i nomi enunciati all’interno di queste pagine. Centododici uomini ed una donna che tra XV e il XX secolo hanno dato lustro, con le loro differenti attività ed indoli, a questa cittadina lucana, collocata sulle dolci pendici della collina materana. Medaglioni grottolesi è il libro che Giovanni Quaranta dedica al suo paese d’origine di cui da tempo cura e divulga, con diversi saggi, la Storia. Edito a cura dell’Amministrazione Comunale di Grottole l’opera elenca le biografie di persone che qui sono nate o che qui hanno operato pur essendo originarie di altri luoghi anche lontani. Grottolesi di origine o di adozione che in vario modo hanno lasciato il segno grazie alla loro maestria dimostrata in diversi campi del Sapere. Si tratta di medici, veterinari, ecclesiastici, avvocati, notai, insegnanti, artisti, artigiani, giornalisti, fotografi, registi, musicisti, amministratori, imprenditori, campioni sportivi, ed ancora briganti, militari, possidenti tutti scomparsi che hanno fatto grande il nome di questo suggestivo borgo in Italia e nel mondo. Di loro l’autore ricostruisce la storia attraverso sintesi biografiche dalle quali emergono parentele, titoli di studio, ceto sociale, amicizie e contatti, opere artistiche e letterarie che, come si vedrà, si esplicano anche fuori confine. E lo fa nel tentativo di preservarne la memoria. E’ un lavoro certosino quello che ha con-

sentito a Giovanni Quaranta di realizzare questa opera. Un lavoro che lo ha portato a spulciare negli archivi comunali e delle curie nonché in quelli di famiglia alla ricerca delle preziose informazioni sui personaggi citati. Il risultato sorprende per la mole di dati raccolti dai quali, oltre alla conoscenza delle singole persone, si può cogliere qualcosa in più sull’epoca a

UARANTA

C

Il testo offre la possibilità di ricordare queste persone per quanto hanno potuto realizzare. Giovanni Quaranta

loro contemporanea. Ed anche trarre ulteriori spunti di riflessione su vicende recenti o remote che stupiscono ed incuriosiscono perché è la dimostrazione che come insigni lucani hanno saputo, con la loro intelligenza, incidere anche altrove abolendo già allora il concetto di “locale” influenzando il corso degli eventi. an.mo.

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D O L C E & S A L ATO

Il Tempo delle Ciliegie Carla MESSINA

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iamo giunti alla tanto attesa primavera, tutto sembra un po’ appannato e stanco, quasi fossimo vittime di un attentato. All’indomani della presa di coscienza ci rendiamo conto che “tutto scorre”, come diceva Eraclito. Panta-rei, già tutto scorre, tutto passa, tutto ha un inizio e una fine come le stagioni, ecco perché, spesso, anche in rapporto agli anni si parla di stagioni. Tuttavia siamo sempre più confusi, sempre più convinti che tutto sia uguale a prima e identico a domani, tanto da restare completamente inebetiti quando la vita ti chiede il conto. Presi all’improvviso mettiamo sulla bilancia dell’esistenza facendo un vero e proprio minestrone di ciò che è, di ciò che poteva essere e di ciò che sarebbe stato, dimenticando che tutto ciò che siamo in realtà è l’unica possibilità che abbiamo a prescindere! Un po’ come le ciliegie, frutto quasi estivo, che arriva ti saluta e va via con una rapidità estrema riempiendoti con forza e abbondanza, si lascia afferrare, mordere, possedere. Quando credi di essere consapevole della sua pienezza ti lascia in bocca quella piacevole sensazione dell’ abbandono, proprio quando hai la bocca piena ti sfuggono. Proprio in quel momento ha inizio una nuova stagione che porta con se novità, condizioni, compromessi e l’incognito di una vita proiettata verso l’infinito inconsapevole dell’imprevisto….tutto casuale, forse no, per fare una sintesi con un vecchio detto: ”Chiusa una porta si spalanca un portone”, l’unica variante è l’inconsapevolezza, bella, brutta o così così, non ha importanza bisogna andare e guai a fermarsi. Perché le ciliegie? Perché arrivano tra maggio e giugno con uno sprint e un calore che altri frutti non hanno, perché non nascono ovunque ma ci vogliono condizioni climatiche e del terreno per coltivare e far crescere un loro albero. Pur con tutte le difficoltà possibili che i Lucani incontrano, in particolare, e soprattutto, nella zona del Pollino dove la coltivazione del ciliegio sembrava impossibile. L’ostinazione che c o n t ra d d i s t i n g u e questo popolo ha reso possibile la coltivazione di una ciliegia che invece regala tante soddisfazioni e accompagna i cittadini verso un ulteriore riconoscimento in termini di qualità. Tutto si compie in trenta giorni, tra produzione, raccolta e vendita perché il parallelo con l’esistenza umana, “quasi un fulmine a ciel sereno”!

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La ricetta... “Maiale alle Ciliegie” Ingredienti: Fettine di maiale non troppo spesse, ciliegie, ratafia, olio extra vergine d’oliva, farina doppio zero, salvia, sale e pepe qb. Procedimento: In una padella a bordo alto versate dell’olio extra vergine d’oliva e mettete sul fuoco. Passate le fettine di maiale nella farina e quando l’olio inizia a sfregolare mettetele in padella per circa un minuto. Nel mentre vi sarete preoccupati di denocciolare le ciliegie e di sminuzzarle. Proseguite girando la carne ed introducendo le ciliegie, lasciate cuocere. Sfumate con la ratafia, lasciate evaporare l’alcool, aggiustate di sale e pepe, aggiungete la salvia e qualche ciliegia intera. Servite ben caldo. Questo è un piatto che regala al palato un gusto e una pienezza fuori dal comune. Lo so, non dovrei farlo, ma se volete provare e non avete la “ratafia” potete sostituire la stessa con dello Sherry. Non è proprio la stessa cosa ma si avvicina molto. Buon Gusto a Tutti!

Le ciliegie o meglio “Le Cerase” provenienti dal Mar Nero e dal Mar Caspio erano ampiamente diffuse nella Magna Grecia; ne troviamo, infatti, descrizione su alcuni testi di Teofrasto (IV sec. a.C.). Il proconsole romano Lucullo, prima di abbandonare il porto di Keracos diede ordine ai suoi legionari di portare a Roma il frutto che subito diventò un prodotto di largo consumo, come risulta dagli scritti di Plinio il vecchio, Varrone ed Apicio. Da allora, i popoli latini le preferirono subito alle più aspre amarene e trascurarono quasi del tutto queste ultime. È nel 1500 che la ciliegia conosce il suo massimo splendore in Europa. Fino a giungere anche in Basilicata, un po’ su tutto il territorio, sulle zone impervie del Parco del Pollino, dove proprio la qualità dell’acqua e la consistenza del terreno ricco di minerali fanno sì che il prodotto finale sia unico nel suo genere. Le ciliegie hanno un largo consumo in cucina, infatti, oltre ad essere apprezzate in purezza,

sono alla base di marmellate, liquori, dolci ma anche piatti a base di carne o formaggi. Ho pensato di farvi un doppio regalo dandovi la ricetta della “Ratafia di ciliegie”, un vino liquoroso gustosissimo a base di ciliegie e, a seguire, un piatto tipico del Pollino che ha per protagonisti il nostro amato maiale, re della cucina lucana e le ciliegie. Queste ricette le ho scovate sfogliando il secondo volume dell’Atlante Valicenti, il nostro “Gastronauta Cibosofo”, il maestro tra i maestri in materia di piatti tipici Lucani. La “Ratafia di Ciliegie” è composta da vino rosso, alcool a 90°, zucchero, ciliegie denocciolate messe a macerare per circa 40 giorni in una zona soleggiata con il vino. Dopo 40 giorni filtrate il composto e fate sciogliere lo zucchero nell’alcool a 90°. Amalgamate i due composti, aspettate che prendano sapore ed imbottigliate. L’articolo è dedicato ad Antonello!

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L’ARCO NON TROVERAI Arsenio D’AMATO

h! – Esclamò - dove vai? Dov’è tua zia?". Scossi il capo. Tornammo a casa in silenzio. Lei aprì la porta e zia Maria era lì: distesa accanto al fuoco. Sembrava dormisse. Il suo viso continuava ad aleggiare davanti ai miei occhi come un profumo, ma lei più non era ed io ero un cucciolo in cerca di un padrone, una luce che ha perduto la sua stella guida. Prima che arrivasse la sua parentela, la mia famiglia, Anna mi raccontò, col suo italiano perfetto, una storia. Zia Maria soffriva col cuore e le aveva fatto giurare che, a mali estremi, io avrei dovuto sapere la sua verità. Ascoltai in trance. Mentre parlava, la odiavo, come odiavo mia zia che se n’era andata e i miei che stavano arrivando. Mi sentivo tradito, che mai avrei immaginato. Tristezza e malinconia. Astio e angoscia. Tutto si colorava di grigio, tutto si scolorava. Delusione. Sconfitta. Onta subita. Onda anomala. Via smarrita. Passavano i giorni, scorreva il tempo. Le ore centrifugavano tutto. Restavano due sentieri che portavano lontano, sempre più. La strada del tradimento e la via della slealtà. Carreggiate scomode, percorsi impervi, da percorrere in solitario. Che il tradimento porta alla tristezza e la slealtà porta al ribrezzo. Entrambi i percorsi erano stati battuti dai miei consanguinei ed io, ignaro, li avevo amati. Le monete argentate che avevo trovato nel granaio erano una sorta di

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riscatto, per il sottoscritto, che zia Maria pagava alla sorella: mia madre. Mamma che, in verità, mandando suo figlio a vivere con la zia, cercava di colmare un vuoto esistenziale da lei stessa provocato. Rosario, suo marito e mio padre, di fatti, era un corteggiatore di zia Maria. Ne era innamorato e, dopo aver fatto tutto quello che due innamorati possono fare in fase di corteggiamento, si era presentato alla sua porta per chiederla in sposa. Le fu imposta, però, la sorella maggiore. Rosario avrebbe potuto rifiutare. Avrebbe dovuto scappare con Maria e poi prenderla in

moglie per riparare, ma non ebbe il coraggio. Anche Giuseppina era un buon partito. Era meno avvenente, ma più portata a proseguire il lavoro paterno all'emporio. Maria, allora, era fuggita trovando esilio a Sanza presso una vecchia poi defunta. Rosario, qualche anno dopo, era andato fino a Sanza per comprare del carbone e per incontrare Maria. Lei ne era stata felice, ma, per rispetto di sua sorella, non volle neanche abbracciarlo. Rosario però doveva averla. Sarebbe restato a Sanza qualche giorno. Era estate e dormiva sotto una carretta poco distante dalla casa della


BALENO TRISTE MAI ARCOBALENI SE GUARDI IN BASSO

Seconda Parte

CHARLIE CHAPLIN

Le vicende e gli eventi raccontati in questa storia sono di pura fantasia ed i riferimenti a personaggi e realmente esistiti, o fatti veramente accaduti, hanno esclusiva funzione narrativa.

cognata. Era una fissazione Maria e una notte, prima di tornarsene a Viggiano, ubriaco, la seguì fin sulla montagna. Lei era ignara e, nel buio, tappandole la bocca, lui la fece sua e scappò via. Senza rendersi conto, però, che non aveva violentato Maria, ma la sua coinquilina Anna che, da allora, quando pensa a quella sera, non riesce neppure a guardare il Monte Cervati senza imprecare. Quando i miei arrivarono mio padre mi sussurrò: "È terribile!". "Sì, sì... ". Dissi a fatica. "Anche se m’imbrogliava, e se litigavamo spesso, penso che mi mancherà

moltissimo. Dopo tutto, zia Maria, era una donna molto interessante…". Una schifosa infedele, ecco cos'era! Aggiunsi con risentimento, ma solo col pensiero. Dopo il funerale fui costretto a tornare a Viggiano. Feci finta di non sapere nulla, ma non riuscivo a parlare con nessuno. Odiavo mia madre e ancor di più mio padre. Mi avevano venduto come un sacco di lavanda o un blocco di ghiaccio del Cervati. Quando alzavo lo sguardo e me li vedevo davanti mi mancava il respiro e non riuscivo a proferir parola. Ero la strofa di una canzone in cerca di musica. Il rancore mi attanagliava

e non riuscivo a perdonare nessuno. Ero in una trappola della mente. Trappola che mi era servita a nascondermi da me stesso, a dimenticarmi di un problema che mi era parso irrisolvibile, a fuggire dalla contraddizione. Tutto era falso nel mio pensiero, nelle mie emozioni, e nelle mie azioni e c’era una sola cosa che aveva senso fare: uscire dal nonsenso. Restava ancora un problema. Per uscire dalla trappola dovevo tornare alla contraddizione dalla quale ero scappato. Dovevo tornare a quello che non avevo potuto risolvere. La sofferenza, però, mi dava più possibilità del nonsenso. La sofferenza mi motivava a superarla. Intravidi il mio futuro prossimo. Mi vestii in fretta. Coprendomi di tutto ciò che avevo a disposizione. Sciarpa di un colore, cappello di un altro, cappotto preso alla rinfusa nell'armadio. A volte, ha scritto qualcuno, ci si veste per coprirsi, altre per vestirsi. Io facevo parte certamente della prima categoria, abitudine congenita, l'eleganza è di certo un valore, ma alla lunga diventa un lavoro. Salutai mio padre e mia madre, come se stessi per andare in America, ma loro reagirono come se avessi dovuto rivederli all’indomani. Corsi forte. Corsi veloce in punta di piedi. Ero sotto la Montagna di Viggiano. Se guardavo indietro, non si vedevano più le montagne da dove ero partito. Io, così, iniziai a pensare che a piedi si arriva nei posti. Veramente, passo dopo passo si arriva! Non s'incontrava

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anima viva. Solo il rumore dei passi seguitava a scandire il percorso con tale monotonia, che vi si sentiva sotto l'oppressione del silenzio. Poi qualche uccello, staccandosi dalla cima di un albero, sembrava gettare un lieve strido d'impazienza, e passava rapido nel sole. Tra podoliche e cavalli e pietre e prati non si vedeva la meta. Il sole si divincolava dalle nuvole. Il sole usciva fuori, appena in tempo per colorarmi di rosso. La salita spezzava le gambe. Un torello stava fermo sopra il cucuzzolo di una piccola collina. Ci passai sotto e lo osservai. Cosa ci faceva in quel posto? All'improvviso iniziò a correre in discesa e puntò su di me che stavo passando proprio lì sotto. Ebbi l'impressione che potesse spezzarsi le gambe su una roccia tanto di corsa l'aveva presa. Invece andava giù che era una meraviglia e frenò quando raggiunse il resto della mandria. Avevo il cuore in gola, mi era passato a meno di due metri. Il sole era tramontato. Non stavo più camminando, stavo scalando. Quando pensavo che forse sarei arrivato con il buio, da dietro un masso uscì il paese! Che non sembrava Sanza perché arrivavo dall'altra parte, dalle rocce, dai dirupi. Ansimavo come se avessi trattenuto il respiro sott’acqua. Arrivai a casa, girai il vecchio campanello della porta nella sua cornice di metallo vecchio stile, e potei udire il suo gracidare sordo all'interno, lontano. La porta si spalancò quasi immediatamente verso l'interno, e Anna era là: i capelli pettinati indietro in un’unica treccia, gli occhi vivi, come se fossi arrivato per salvarla dalla solitudine, ma non era sola. Non sembrò, tuttavia, stupita. Mi fece entrare nello scantinato e appannò la porta. Non saprei dire chi ci fosse di sopra, ma credo fosse il nevaiolo… sgattaiolarono via senza farmi capire, rimasi solo e me ne restai a dormire giù, nel seminterrato. Passarono un paio d’ore. Nemmeno il tempo di prendere sonno che tornò Anna. Mi aveva guardato, pallida, dall’uscio, e

aveva accennato un sorriso sottile, quasi timoroso, su quel suo viso infantile. Coraggiosa, ma abbastanza confusa. “Ti aspettavo sai?”- disse - Sembri un arcobaleno triste". Sul momento mi sentivo quasi offeso da questa definizione, poi gli sorrisi e gli risposi che aveva colto nel segno, e la mia biografia in fondo era rappresentata da quella breve definizione, calzante. Mi prese sottobraccio e mi portò fuori. Per compensarla di tanta attesa, acconsentii a farmi condurre in un vicolo fra due case appena fuori dal nostro vicoletto. Camminavamo in silenzio e intravedevo, in lontananza, una luce, un fuoco. Pensavo all'arcobaleno e alla sua splendida e mirabile positività di luce e colore, poi, la tristezza? No, forse un attimo di malinconia che ogni tanto sorprende tutti a tradimento senza troppe motivazioni, o assunti psicologici, è così e basta. Girato l’angolo scorsi gli organetti, le zampogne e le ciaramelle! Gli stessi invocati e cercati per tutta l’adolescenza arrivavano proprio quando avevo tirato i remi in barca. Attaccarono a suonare come mai avevo sentito fare. Era notte fonda. Loro non sapevano quello che mi era successo e si catapultavano nella strada a suon di tarantelle e pastorali. Non si dormiva più. Era appena iniziata la festa. Quella del mio rimpatrio. Ero riapparso a Sanza, ma, grazie ad Anna, stavo per tornare dai miei. Con due parole e una strana storia quella donna mi aveva fatto vedere quello che solo un artista può intravedere in un blocco di marmo. Il concetto era il perdono ed io, così, perdonai mia zia prima di tornare a casa. Quella notte Anna parlò a lungo. Mi raccontò una storia che io conosceva già. Non sapevo in che modo, ma la conoscevo. Apparteneva sia a me che a lei. Certe storie sono i nostri fiori, altre il nostro pane e companatico. Quella storia non era né fiori né pane e companatico. Era qualcos'altro, una storia impossibile. Era la nostra eredità condivisa, un'eredità

maledetta. Mi chiesi in che epoca fossero vissuti gli uomini e le donne di cui stava parlando Anna, e un istante prima che lei finisse la sua narrazione, mi resi conto che vivevano lì in quel momento. La loro esistenza era contemporanea a quella di zia Maria e Anna. Una famiglia ombra in una distesa di lavanda in fiore ombra con un blocco di ghiaccio ombra che pavimentava le loro vite e li costringeva a una coabitazione forzata. Guardavo il blocco di ghiaccio fra le mani di Anna e mi domandavo se i fiori degli altri, fiori ombra o no, fossero stati irrigati a dovere. C'erano secoli nel suolo, c'erano ricordi fra i rami, c'erano cari scomparsi e c'era un viso che continuava ad aleggiare davanti ai miei occhi come un profumo. "Addio", disse Anna. "Addio", risposi. Erano tempi, quelli, in cui nessuno t’insegnava la vita, ma non c’era nulla da inventare che “Perdonarsi è scegliere di donarsi ancora…”. [Sembri un arcobaleno triste. Potrebbe essere la strofa di una canzone in cerca di musica, di un cucciolo in cerca di un padrone, di una luce che ha perduto la sua stella guida, della pioggia che si accoppia con l'erba e le foglie come un duetto d'amore. Era giunta l’alba. Il sole usciva fuori, appena in tempo per colorare il mio trionfo cromatico. Era tornato il sole: benvenuto figliol prodigo, ti aspettavamo, non ripartire subito, ma se lo farai scrivi o sbuca dalle nuvole a riscaldaci il cuore… Di Sanza e della lavanda s’è persa ogni rimembranza. Restano solo i profumi di un tempo ormai svanito. Da anni sono tornato a Viggiano. All’ingresso del paese, oggi, il cartello recita: “Il paese di Maria”, in onore della Madonna nera che ogni anni porta centinaia di turisti nel santuario che sovrasta la valle. Ma qui il miracolo lo si aspettava un altro santo nero: l’oro che sgorga dalle viscere della terra]. O.S.T.: Lo scrittore - NOBRAINO


Lucano Anno VIII numero 5/6

GLI ALLORI DELLO SPORT LUCANO


sommario 75 Chi si dopa perde sempre A Potenza l’iniziativa della FIGC

Chi si d A Potenza sulla tutela

76 Matera, il capolavoro della promozione

Albina SODO

n progetto, Campioni senza Trucco, organizzato dalla FIGC (Federazione Italiana Giuoco Calcio), dalla sua Commissione Antidoping e dall’Unicef, quattro città italiane, Crema, Firenze, Pescara e Potenza, sei mila ragazzi delle prime classi degli Istituti Superiori per dire no al doping. La tappa lucana, con il supporto dell’Ufficio Scolastico Regionale, di Rai Basilicata, il Patrocinio del Comune, della Provincia di Potenza e della Regione Basilicata, alla presenza di istituzioni e testimonial, ha proposto un messaggio forte, sintetizzabile nella frase usata in video da Gabriel Batistuta: “Il tuo corpo non puoi buttarlo via!” Lo sport, infatti, stimola le intelligenze dei più giovani, sviluppa la loro personalità, la loro coscienza civica nel rispetto delle regole, usando le parole del Prefetto del capoluogo lucano, Rosaria Cicala. Quando un giocatore scende in campo, proseguiva il filmato con l’ex attaccante di Fiorentina e Roma, non pensa alla caviglia, al ginocchio. Vuol giocare a tutti i costi. Oggi la priorità è competere in condizioni perfette, con un lavoro quotidiano che inizia dall’alimentazione e termina con i sacrifici degli allenamenti, secondo i valori universali di qualsiasi disciplina. Gli interventi sul calcio pulito del potentino Francesco Colonnese, sulla brillantezza delle medaglie con lo schermidore Andrea Baldini, sull’impegno del campione materano di kickboxing Giuseppe Di Cuia hanno ribadito il leitmotiv della manifestazione. Possiamo e dobbiamo essere campioni senza trucco. Ma le insidie sono dietro l’angolo. Pasquale

U

78 Melfi, la cavalcata del drago Gialloverde

80 RossoBlu Potenza in serie D

82 Calcio a 5 Femminile Real Stigliano promosso in A

84 Luis Vizzino Il pescatore di talenti Lucano


opa perde sempre l’iniziativa della FIGC della salute nelle scuole

Foto di Aurelio Abbruzzese

Tamburrino e Giuseppe Capua, della Commissione FIGC Antidoping, hanno raccomandato i ragazzi su due punti: il doping esclude gli atleti dalla società; rappresentano un rischio i prodotti su Internet e nei negozi non autorizzati. Un vero e proprio programma di studio per i Licei dello Sport, con Fausto Taverniti tra i

docenti, perché la competizione, le attività ricreative, il gioco migliorano la salute del corpo e della mente, come sancisce la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza citata durante il convegno da Chiara Ricci dell’Unicef. Intanto, il Liceo Scientifico Pasolini, l’ITC Nitti - Falcone, l’Itis Einstein e l’Istituto

Professionale per l’Ambiente di Potenza realizzeranno un videoclip sul loro modo di intendere il doping, sull’etica sportiva. Ogni città sarà rappresentata da una classe. In palio una giornata da vivere con i campioni della Nazionale, il CT azzurro Cesare Prandelli e il Presidente della FIGC, Giancarlo Abete, a Coverciano.

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S P O R T- I N G

CMATERA

IL DEL

I SIAMO! ECCO APOLAVORO

Giovanni MARTEMUCCI

omenica 4 maggio 2014 con la vittoria sul Manfredonia per tre reti a zero il Matera ha conquistato la serie C in uno stadio strapieno che ha fatto registrare la presenza di 10mila tifosi. Un bel risultato che ha scritto una nuova importante pagina nella storia del calcio materano. Dopo 20 anni dall’ultimo campionato disputato in C1 e a distanza di 23 anni dall’ultima promozione sul campo il Matera calcio di patron Saverio Columella ha potuto fregiarsi in questa domenica di maggio (dal clima invernale) della promozione in Lega Pro unica grazie ai gol siglati nel primo tempo da Picci e Fernandez e nella ripresa da Letizia. Una partita sempre ben gestita dai materani quella che si è dispu-

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76 Lucano

tata allo stadio XXI Settembre-Franco Salerno davanti ad un tifo scatenato che ha incitato la squadra allenata da Vincenzo Cosco verso l’atteso traguardo della serie C. Al termine della gara è esplosa la festa biancoazzurra con i fuochi d’artificio, il giro di campo trionfale della squadra lungo tutte le gradinate ed i tifosi in giro per la città con sciarpe, striscioni e bandiere. “Sono felice – ha detto Saverio Columellaper aver raggiunto questo risultato nel giro di due anni. Abbiamo anticipato di un anno l’obiettivo temporale che ci eravamo dati per la Serie C. Ovviamente in serie C non faremo la comparsa. Dedico questa promozione al giornalista Renato Carpentieri, che ha continuato a tifare dal cielo per noi”.


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S P O R T- I N G

LA CAVALCATA DEL DRAGO

GIALLOVERDE Giuseppe A. RINALDI

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uello matematicamente raggiunto dal Melfi il 13 aprile scorso, è stato un traguardo stratosferico e di grandezza immane. Qualcosa di grandioso e di insperato malgrado i tanti scettici di inizio stagione, quando pesavano le difficoltà economiche, la mancanza di uno sponsor, e si faticava persino ad iscrivere la squadra; quando si rese necessario il contributo di tutta la comunità, per mantenere il nome della società A.S. Melfi Calcio S.r.l.

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Dopo vent’anni alla guida della sua creatura, Peppino Maglione e Company sono riusciti a bissare la promozione fra i professionisti ottenuta in quell’indimenticabile 4 maggio 2003. Dopo 9 anni di Interregionale e, a distanza di ben 11 anni consecutivi in Lega Pro, si sono ripetuti con un’altra, molto più prestigiosa, promozione, che ha portato il Melfi sul punto più alto della sua Storia: in C unica, in un torneo che, dal prossimo settembre, sostitui-


rà le attuali Lega Pro di Prima e Seconda Divisione. Ad un gradino dalla B. Fra i club più blasonati d’Italia. Un traguardo, quello della permanenza, che già assegnava al Melfi il titolo di squadra più longeva della categoria in quanto a presenze consecutive, e che è divenuto matematico contro l’Ischia, in uno strepitoso giorno di festa, conclusosi poi con la Grande Festa organizzata del 4 maggio, ancora una volta.

La storia che si ripete dunque; nel giorno del ricordo più bello, viene scritta un’altra pagina memorabile di tutto il calcio lucano, che tanto stenta a raggiungere postazioni ambite e che, fatta eccezione per il Melfi, è stato relegato da anni ormai su palcoscenici di basso fondo. La cavalcata del Drago gialloverde, è iniziata fin da subito, dalle prime giornate di calendario, con una roboante vittoria per 4-0 ai danni del Gavorrano, bissata dalla vittoria di misura sull’Aversa. Un inizio di stagione col piede sull’acceleratore, che ha portato il Melfi, già a fine settembre, in testa alla classifica. Un momento di buio e di fatica si è intravisto ed avvertito durante il primo mese del nuovo anno solare, in cui l’ambiente necessitava di una svolta chiara e di uno scossone deciso: fu allora che i gialloverdi riuscirono, con tenacia e determinazione oltre che con le competenze di tecnico, staff e dirigenza tutta- a venirne fuori, incanalando un ruolino di marcia fuori casa senza dubbio impressionante dal punto di vista dei risultati che, seppur stentavano ad arrivare fra le mura amiche, hanno reso ancora più conscio un gruppo già sicuro delle proprie forze, sempre più convinto di meritare questo tanto ambito quanto sudato traguardo: “Abbiamo avuto un momento di flessione e di sbandamento ad inizio anno, ma siamo riusciti a venirne fuori alla grande, soprattutto grazie alla forza del gruppo e di questi ragazzi che sono stati fantastici. Tutti hanno dimostrato di essere dei professionisti seri e delle ottime persone, sia dentro che fuori dal campo”- dice il presidente dei gialloverdi. È stato un campionato molto esaltante quello condotto dagli uomini alle redini di mister Bitetto: il clou lo si toccò nei mesi di marzo e aprile, con la vittoria in casa per 1-0 sul Messina, con gol di Marolda, venuta dopo il favoloso gol di Neglia a Teramo ed il 2-0 di Martina firmato TortoriDermaku; vittorie rese ancor più fondamentali dall’ottimo “neal to neal” di Caserta, quando i campani festeggiarono

la matematica promozione in un Pinto vestito a festa. Era domenica 6 aprile, e nell’animo e negli occhi di tutti, coinvolti a fine gara nei festeggiamenti casertani, c’era quella consapevolezza di essere anche loro ad un passo soltanto da quel traguardo storico che per tutta la comunità di Melfi rappresentava un sogno. Quel sogno che appariva così sfocato e lontano ad inizio stagione, ma che si è concretizzato ed assicurato, dopo tanti sforzi e sacrifici, la domenica successiva, (era il 13/04 ndr.) in casa, nell’indelebile vittoria per 1-0 contro l’Ischia, e quel colpo di testa di Dermaku, che rimarrà impresso nella memoria e nei cuori di tutti gli appassionati del Melfi. Fin da subito, in tutto l’ambiente si è venuto ad innescare un meccanismo di grande unione che, a lungo andare, si è confermata essere la reale forza di questo Melfi che ha avuto nello spogliatoio la sua arma in più: “Il nostro segreto è stata l’umiltà, lo spirito di sacrificio, gli stimoli e le motivazioni che, per centrare obbiettivi tanto importanti ed ambiti come questo, contano molto più dei grandi nomi- prosegue l’artefice di questo favoloso giocattolo-. Questa vittoria è la vittoria di tutti: di tutta la città di Melfi, che vuol farsi sentire a livello regionale e non solo, rialzando la testa nei confronti dei poteri forti e di chi vuol far morire questo paese; e di tutta la Lucania, che non ha più intenzione di restarsene lì a guardare e di soccombere dinnanzi alle ricchezze economiche di altre regioni, ma ha voglia e fiato per alzare la voce e far sentire a tutta Italia che ci siamo anche noi, e che anche noi abbiamo le risorse per riemergere”. Una bella firma, grande, a colori, è stata incisa su una pagina di Storia e di festa per il calcio melfitano e lucano. Una festa tanto desiderata e rincorsa durante tutto l’arco dei 9 mesi. Quella del Melfi è la Storia di una società sana, di un grandissimo presidente, di una comunità intera, e di quel Drago che non vuol smettere di far sognare i propri tifosi.

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RossoBlu Poten

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in serie

Federico PELLEGRINO

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a conquista del campionato di serie D deve essere necessariamente interpretata come un'ennesima opportunità per rinascere. Di rinascita, rifondazione o meglio ancora risalita se n'è già parlato a lungo gli anni scorsi con risultati mai corrispondenti alle aspettative. Il calcio a Potenza ha un'altra occasione per tornare ad essere argomento di discussione nei bar, nei negozi di barbieri, per le strade e la

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palla è in mano al Rossoblu Potenza. L'attuale società calcistica potentina sta cercando di tracciare le linee per un futuro che presenti in primis basi solide da un punto di vista societario organizzativo ed in secondo luogo a livello di direzione sportiva. Serve un tramite affidabile e navigato, che abbia contatti con società di categoria superiore in grado di poter portare a Potenza un parco under degno di tal nome ed il primo


za

tassello essenziale nella costruzione di una rosa competitiva in D è quello degli juniores. Parlando in maniera diretta, possiamo affermare che a questa squadra ne servono una decina, da gestire e scremare a campionato in corso. Altro cruccio è quello che riguarda gli over. Quanti giocatori esperti che verranno tagliati fuori dalla Lega Pro saranno liberi e disposti a scendere tra i dilettanti? Molti. La riforma dei campionati

che, lo ricordiamo, vedrà la vecchia serie C essere composta da tre gironi unici eliminando Prima e Seconda divisione. Attualmente i due giocatori più avvezzi a disputare un campionato nazionale sembrano essere Jacopo Murano, capocannoniere di quest'ultima stagione di Eccellenza, ed il capitano Peppe Lolaico. Da loro si potrebbe ripartire costruendo attorno una rosa con almeno sette barra otto elementi di categoria che possano garantire esperienza e fisicità. Un discorso fattibile che, economicamente parlando, costerebbe al sodalizio rossoblù dai cinquecento mila euro a salire. La nostra è chiaramente una stima approssimativa, soprattutto in un torneo le cui formule di iscrizione e le cui squadre costruite per vincere ancora non si conoscono. È evidente però che per imbastire una formazione che possa ben figurare il budget iniziale da predisporre può ammontare a quello sopra indicato nella speranza di non dover sbagliare le scelte e

di indovinare under in grado di fare la differenza. Basta guardare il Marcianise, matricola neopromossa che, grazie ad un lavoro certosino, alla guida tecnica con acquisti mirati e under di qualità è riuscita a tallonare Matera, Turris e Taranto per la conquista finale della Lega Pro. Un esempio lampante per chi può anche aspirare ad un campionato quotato, non sbagliando le scelte ed avendo una società che rispetti gli impegni presi. Il discorso sulla guida tecnica sembra essere legato a quello del direttore tecnico. Grignetti e Occhinegro hanno già fatto capire a più riprese che prima di aprire qualsiasi valzer attorno alla panchina rossoblù c'è da sciogliere prima il nodo legato alla direzione tecnica. Auguriamo buona fortuna ed un grosso in bocca al lupo a chi opererà per organizzare questo campionato di Interregionale targato 2014 – 2015 con l'auspicio che Potenza possa svegliarsi davvero da un torpore lungo cinque lunghi anni.

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S P O R T- I N G

Calcio a 5 Femminile

Real Stigli no promosso in Antonio CROGLIA

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uello che, calcisticamente parlando, sta andando in archivio, è stato un anno molto importante per il futsal in rosa stiglianese. Difatti la squadra cara al presidente Donatello Verre, dopo aver messo in bacheca la terza Coppa Italia di fila, con largo anticipo ha anche conquistato la massima serie nazionale. Una promozione in Serie A storica e che qualche anno fa, quando nacque l’idea di mettere su una

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squadra di calcio a 5 femminile, sembrava veramente impossibile. “Non ci crediamo ancora –ci ha detto ancora emozionato il presidente Verre- è tutto troppo bello. E’ tutto straordinario. È un sogno che si avvera”. Le stiglianesi però la storia l’avevano cominciata già a scrivere qualche anno fa, quando a Salandra battendo la Flacco Venosa (28 dicembre 2011), conquistarono la prima Coppa Italia. Fu quella una stagio-


ne importante, con Rasulo e compagne che si piazzarono al secondo posto alle spalle del Cus. Dopo un anno arrivò anche la seconda Coppa Italia, nella finale giocata a Senise, una gara molto bella e combattuta, il Real Stigliano si impose di misura sullo Sporting Venosa (5 a 4). Al termine del campionato le stiglianesi si classificarono terze alle spalle della FST Rionero e dello Sporting Venosa. Quest’anno la storia si è ripetuta a Bernalda quando, in un palazzetto gremito di tifosi, Gariuolo e compagne in rimonta hanno avuto la meglio sul Real Marsico. Gara altrettanto bella, combattuta e decisa ad un minuto dalla sirena grazie alla rete di Gariuolo. Scritta la storia, le ragazze care al presidente Verre, hanno sfiorato l’impresa durante la fase nazionale della Coppa Italia. Ad Eboli, lo Stigliano, dopo aver superato il primo turno è stato ad un passo dalla semifinale; sogno sfumato solo ad una manciata di minuti dalla fine. Le ragazze tornano ad essere protagoniste il 30 marzo, giorno in cui la Serie A diventa realtà. “Dopo tre anni ad altissimo livello abbiamo chiuso un percorso eccezionale con la promozione in Serie A - così commenta questo strepitoso percorso Verre. Ringrazio tutte coloro che hanno indossato

questa maglia, ma anche tutti i tecnici che si sono alternati in questi anni, perché ci hanno permesso di raggiungere traguardi impensabili”. L’avventura di questa squadra ebbe inizio nel 2007. Verre non parla, giustamente, delle singole perché tutte hanno dato qualcosa a questa società per raggiungere traguardi importanti; ma il vero simbolo di questa squadra è Jasmine Rasulo. È grazie a lei che a Stigliano è nata l’idea di mettere su una squadra di calcio a 5, quando Verre la vide giocare a calcio insieme a dei ragazzi in un cortile: ed è a

lei che chiediamo di raccontarci le emozioni: “Sono contenta – ci ha detto – sono emozioni indescrivibili, ed è per questo che voglio ringraziare tutti e tutte, anche se un grazie particolare va soprattutto a Donatello (Verre), che ha sempre creduto in noi e ci ha permesso di vincere tanto. E’ solo grazie a lui se questo sogno si è realizzato”. Ma la storia non è finita, ci sono altre pagine e pagine da scrivere. Sarà un campionato diverso, ma le emozioni saranno sempre le stesse.

Lucano 83


S P O R T- I N G

Luis Vizzino

Il pescatore di talenti Viaggio nel mondo dei futuri campioni del pallone

il sogno di ogni bambino: entrare in un campo di calcio con migliaia di persone che in coro dalla curva cantano il tuo nome e ti incitano. E magari giocare e vincere la Champions. È un sogno tanto bello quanto difficile, perché dei tantissimi che affollano i settori giovanili pochi diventano giocatori professionisti. Una rarità quelli che arrivano in serie A o in serie B. La selezione è spietata, il campo è giudice inappellabile e il verdetto, spesso, non all'altezza dei propri sogni. Ne sa qualcosa Luis Vizzino, agente FIFA, lucano di Viggianello che, da qualche anno al setaccio dei campi della penisola in cerca di talenti da lanciare nel calcio dei grandi, ha visto molti ragazzi di belle speranze fallire e pochi riuscire. Ecco allora che una marcia in più può arrivare dall'agente di calciatori, un professionista del calcio capace di tutelare il ragazzo, guidarne la crescita e favorire lo sviluppo dei suoi lati positivi. La figura dell'agente, come ci spiega lo stesso Vizzino, cura e promuove i rapporti fra un calciatore e una società seguendo regole manageriali e ispirandosi ai principi della trasparenza. Il moderno agente, oltre alle conoscenze giuridiche, deve possedere competenze di marketing e sponsorizzazioni e avere facilità di relazione con gli organi e gli strumenti d'informazione. Un agente però non è certo garanzia di successo, perché in questa scalata alla gloria le qualità che contano sono quelle che mette il ragazzo (correre più degli altri, grinta, non mollare mai, spirito di sacrificio e voglia di migliorarsi sempre) e quelle che madre natura gli ha donato (tecnica, intelligenza tattica, doti fisiche). In Basilicata, nonostante le buone qualità dei ragazzi appar-

È Giovanni GALLO

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tenenti ai settori giovanili, la carenza di strutture penalizza un po' l'approdo al calcio che conta. Tuttavia non mancano belle sorprese che, sulla scia di Zaza del Sassuolo e Sansone della Sampdoria, sperano un giorno di spiccare il volo. E se non succede pazienza, il calcio è anche quello che si gioca nella categorie dilettantistiche sui terreni spelacchiati di periferia, dove nulla vieta di fare un gol alla Messi bevendosi mezza squadra avversaria ed essere felici. Perché il calcio è felicità, e questa è una e non è né di serie A né di serie B. Vizzino, come si svolge il suo lavoro nel mondo del calcio? Mi occupo dell’assistenza legale dei calciatori e delle società che rappresento, mentre il gruppo Scouting capeggiato dal Dott. Biagio Vigna è presente sui campi di gioco alla ricerca di nuovi talenti. I ragazzi che consideriamo di prospettiva prendono parte a raduni che organizziamo con la nostra Agenzia, la Vi&Vi Consulting, in collaborazione con i settori giovanili di società professionistiche. Quando ha maturato l'idea di voler fare l'agente FIFA? Sin da piccolo ho avuto la passione per il calcio e sono stato sempre attratto dalle vicende di calciomercato. Ricordo che non mi fermavo mai alla lettura della notizia relativa al trasferimento di un calciatore, ma cercavo di capire, per quanto mi era possibile, tutti gli aspetti inerenti le singole trattative. Coltivavo già il sogno di diventare procuratore sportivo, era un qualcosa che mi sentivo dentro, tant’è che conseguita la laurea in Giurisprudenza e ancora prima di diventare avvocato, acquisii il titolo di Agente Fifa, esattamente nel marzo 2010. Come si scova un talento? È indispensabile visionare il ragazzo ritenu-

to interessante un bel po' di volte, cercare di individuare i suoi margini di crescita e proiettare le sue capacità tecniche nelle categorie del calcio professionistico. Inoltre, è necessario non sottovalutare mai l'aspetto caratteriale e la provenienza familiare, in quanto il più delle volte a fare la differenza sono la voglia di arrivare, l'umiltà e la dedizione al sacrificio. Sappiamo che ha preso dei giovani interessanti del Milan. Oltre al mondo rossonero, è in contatto con altre società di livello? Si sono legati al nostro gruppo due giovani promesse militanti negli Allievi dell’A.c. Milan. Si tratta di Michele Spinelli e di Federico De Piano, entrambi classe 1998. Il primo è un difensore centrale, nazionale Under 16; le sue caratteristiche migliori sono l’esplosività, la velocità e il senso della posizione. Il secondo, capitano della sua squadra, è un centrocampista moderno che gioca davanti alla difesa, dotato di grande tecnica e soprattutto di intelligenza tattica. Sono pronto a scommettere su tutti e due i ragazzi perché sono consapevole della loro grande voglia di arrivare. Paragoni? Spinelli ha i mezzi per diventare un top player assoluto, ma per scaramanzia preferisco non dire il giocatore a cui lo accomuno per tanti aspetti. De Piano, invece, è unico nel suo ruolo. È uno di quei giocatori che scarseggiano un po' nel panorama calcistico mondiale. Mi ricorda tanto Pizarro. Un giocatore molto interessante, tra l'altro già Nazionale, è Michele Ragone. Gioca nei Giovanissimi Nazionali della Sampdoria. È solo un '99, ma si tratta di un difensore centrale davvero bravo, elegante e con grandi margini di miglioramento. Ho poi rapporti con quasi tutte le società di prima fascia, ma non solo, in quanto gestisco parecchi calciatori in serie B e in Lega

Pro. É vero che il procuratore di calciatori è un amico e un consigliere? Insomma, al rapporto professionale si affianca anche quello umano? Dico sempre che il bravo procuratore deve non solo garantire un’adeguata assistenza tecnica al calciatore che rappresenta, ma anche instaurare con lui un importante rapporto umano, dimostrandogli la sua presenza soprattutto nei tanti momenti di difficoltà. Io, in genere, sento i miei ragazzi quattro o cinque volte a settimana e il mio telefono è sempre acceso, anche di notte. Ha pescato qualche talento in Basilicata? In Basilicata ci sono un bel po' di ragazzi che, con il mio staff, stiamo tenendo sotto osservazione. Dei calciatori lucani che già assisto, sono molto contento delle ottime prestazioni di due giovani portieri: Domenico Robertone, classe '95, in Eccellenza con l’AZ Picerno e Fernando Propato, classe '97, titolare della Juniores Nazionale dell’Us Francavilla (serie D). La situazione del calcio lucano. Cosa dovrebbero migliorare, a suo avviso, i nostri settori giovanili per sfornare qualche talento in più da consegnare al professionismo? I ragazzi potenzialmente validi ci sono, tuttavia devo ammettere che la mancanza di strutture adeguate e idonee per la crescita dei giovani calciatori ci penalizza tantissimo. Il problema più grande è quello di individuare dei talenti superiori da un punto di vista tecnico e fisico a quelli che le società professionistiche hanno già sul posto, e questo non è semplicissimo. Per info: www.vieviconsulting.com

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