Poste Italiane Spa Spedizione in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n째 46) art. 1 comma 1, DCB PZ
SOMMARIO
Intervista all’Onorevole Vincenzo Folino
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V I G N E T TA N D O
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Potenza sull’orlo del dissesto
R E P O R TA G E
14 Conversazione con Vincenzo Folino 16 L’Unibas senza barriere alla Mostra del Cinema di Venezia 18 Kos: prevenzione, salute e benessere da trent’anni 20 La Busciolano dal Presidente Napolitano E P I S T E M E
22 Proverbi fra antropologia e filosofia
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E U R E K A
Ragazzi volate alto! La Busciolano dal Presidente Giorgio Napolitano
48 Notte Bianca della Solidarietà a Villa d’Agri con Annalisa Minetti
74 Simone Zaza goleador lucano per l’Italia
24 Il formaggio degli emigranti lucani 28 The Prince of Venusia. Il cortometraggio di Silvio Giordano 30 “Corto e mal cavat”: Avigliano la clermont-ferrand lucana 34 Aglianica Wine Festival 36 Basilicata Land off 4x4 insieme nei boschi lucani 38 La vita con stile di Andreina Serena Romano 40 Trekking dell’archeologia 42 Lucania s.p.a. (società poeticamente abbandonata) 46 Le iniziative del Comitato “Dante Alighieri” 48 Annalisa Minetti a Villa d’Agri 50 Lazazzera Rocco - Prima parte 54 L’adolescenza e i rischi connessi ai social network 56 Femminicidio e Femminilicidio 58 Nasce l’Associazione “Scuola del Graffito polistrato montemurrese” 59 I 30 anni dell’Avo di Potenza 60 I peperoni di Senise. L’oro rosso lucano T R A L E R I G H E
62 I cento libri che rendono più ricca la nostra vita 63 Giocando con le spade di legno 64 Quando si ridà significato alle parole D O L C E
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S A L ATO
72 E’ quasi Natale L O O K A N I A
74 Racconto di Ruvo del Monte - Prima Parte 6
E D I T O R I A L E
DA “VERGOGNA NAZIONALE” A CAPITALE DELLA CULTURA
LA POTENZA DEI COMITATINI
Vito ARCASENSA
atera è la Capitale Europea della Cultura 2019. La decisione è stata comunicata da Steve Green, presidente della Giuria internazionale di selezione, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, Dario Franceschini il 17 ottobre scorso. Ravenna, Cagliari, Lecce, Perugia e Siena le altre città concorrenti. Con sette voti su tredici, Matera è stata designata Capitale Europea della Cultura, titolo che tra cinque anni condividerà con Plovdiv per la Bulgaria. L’idea nata nel 2007, da un gruppo di giovani materani che sono riusciti a coinvolgere l’allora Amministrazione Buccico fino all’attuale Amministrazione Adduce, con l’impegno dell’intera città e il sostegno di tutta la Regione ha centrato l’obiettivo. I Sassi di Matera furono quasi completamente spopolati dagli abitanti, costretti a spostarsi in nuovi quartieri negli Anni Cinquanta e Sessanta, le case grotta furono dichiarate una vergogna nazionale. Dal periodo dell'esodo e dell'abbandono dei Sassi, si è passati al riscatto con l'iscrizione nella Lista Unesco del 1993, come patrimonio dell'umanità, fino al traguardo di Capitale Europea della Cultura. «Per anni abbiamo lavorato a progetti straordinari - ha commentato il Sindaco della città, Salvatore Adduce - Noi siamo il malleolo dello stivale, generalmente ritenuto una zona poco ospitale. Ma abbiamo sconfitto questa diceria. Ora possiamo essere un esempio per il sud, per l'Italia e un'offerta per l'Europa. Magari partirà da noi l'invito ad occuparsi maggiormente del meridione del continente». Con questo straordinario evento c’è la speranza che Matera e la Basilicata inventino e accolgano idee nuove, rischiose, aperte; Open Future è lo slogan scelto per lanciarsi in Europa. I Sassi con il loro magnetismo, i segreti delle chiese rupestri, i set di film di successo girati (Il Vangelo secondo Matteo di Pasolini e The Passion di Gibson fra tutti), saranno un’opportunità per creare una cultura aperta, accessibile e disponibile a tutti. A questo punto non posso evitare di fare un riferimento a quanti sostengono che il risultato raggiunto sia scaturito per ammorbidire i lucani nei confronti del governo Renzi dall’espropriazione territoriale e ambientale della Basilicata con lo Sbocca Italia appena approvato. In ogni caso resta il fatto, come dice il Sen. Tito di Maggio, che si tratta di un provvedimento drammatico perché dal petrolio c’è povertà e morte se l’Arpab si limiterà a fare solo analisi superficiali e non mirate, anche alle falde acquifere. Il rischio è diventare peggio della Terra dei Fuochi. Ancora una volta faccio appello a tutti i politici lucani affinché si facciano un'esame di coscienza. Stanno veramente facendo le scelte giuste per il bene dei lucani o si preoccupano solo della poltroncina che occupano senza contare che i danni causati dalle decisioni scellerate di questi giorni rimarranno per sempre e i loro nomi, affidati alla storia, disonereranno i loro discendenti? Mi auguro che i comitatini e tutti i lucani continuino, con impegno e determinazione, a difendere e tutelare questo nostro meraviglioso territorio.
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8 Foto Aurelio Abbruzzese
V I G N E T TA N D O
Potenza sull’orlo del dissesto
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IL LUCANO Editore Lucana Editoriale s.r.l. Redazione da Potenza: Albina SODO, Vito ARCASENSA
0971.476423
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Caporedattrice Albina SODO
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Hanno collaborato in questo numero Angelo BENCIVENGA, Ettore BOVE, Simona BRANCATI, Elisa CASALETTO, Maria Ilenia CRIFÒ CERAOLO, Arsenio D’AMATO, Marianna Gianna FERRENTI, Marianna FIGLIULO, Giovanni GALLO, Barbara GUGLIELMI, Vincenzo MATASSINI, Carla MESSINA, Maria Carmela PADULA, Emanuele PESARINI, Mariassunta TELESCA, Danilo VIGNOLA, Teri VOLINI Testata On Line www.lucanomagazine.it Agostino ARCASENSA Fotografie Foto: Andrea MATTIACCI, Angelo Rocco GUGLIELMI, Claudio MIGLIONICO, Gianfranco VAGLIO Stampa Arti Grafiche Boccia s.p.a. Via Tiberio Claudio Felice, 7 Fuorni - Salerno Registrazione Tribunale di Potenza N° 312 del 02/09/2003 Pubblicità Lucana Editoriale s.r.l. Via Gallitello, 89 Potenza Tel. Fax 0971.476423 -Cell. 337.901200 E-mail: info@lucanomagazine.it Chiuso in redazione 11 Novembre 2014 Questo giornale è associato Uspi Unione stampa periodici italiani
www.lucanomagazine.it info@lucanomagazine.it
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R E P O R TA G E
NOTE A MARGINE
CONVERSAZIONE CON
VINCENZO F Margherita E. TORRIO
uesta conversazione ha avuto luogo subito dopo la grande manifestazione in piazza San Giovanni organizzata dalla CGIL per chiedere, più che il semplice rispetto dell’art. 18, un’attenzione maggiore alle questioni del lavoro così come sono vissute dai lavoratori delle aziende che chiudono, dei lavoratori licenziati, dei giovani che non hanno prospettive di lavoro e di futuro. Più in generale, rispetto delle varie forme attraverso cui si esprimono le tante parti sociali. Qualche giorno dopo, la reazione della polizia contro i manifestanti dell’AST ha dato il senso di quanto sia delicata la situazione e come sia importante che il linguaggio della politica eviti di fomentare situazioni di per sé già difficili. Ringraziamo l’on. Folino che si è reso disponibile per questa conversazione in due momenti successivi per la pressione degli avvenimenti. I tempi della uscita de IL Lucano non potranno certo rappresentare, al momento, tutti gli ulteriori sviluppi, ai quali daremo la dovuta attenzione nel numero successivo. Questa conversazione, per motivi di spazio, sarà riprodotta integralmente sul sito.
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Ha creato un po’ di scompiglio quando si è autosospeso dal Pd. Ho deciso di autosospendermi dal Pd innanzitutto per segnalare con forza ai parlamentari, e in particolare a quelli dell’ottava Commissione, la necessità di modificare il testo del decreto Sblocca Italia, un provvedimento che, sulle attività estrattive, ha un impatto molto forte sulla Basilicata. Il presidente Renzi, abusando un po’ del suo noto piglio comunicativo, ha detto che l’Italia
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deve andare avanti e non può fare a meno del petrolio che c'è nel sottosuolo della Basilicata e della Sicilia. La Basilicata, invece, offre da molto tempo il suo contributo al bilancio energetico del Paese, con una produzione di circa 85 mila barili al giorno che, in ragione degli accordi sottoscritti, potrà aumentare fino a 154 mila barili al giorno. Questa sua posizione è servita a qualcosa? La questione essenziale, che poi ha determinato la mia astensione nel voto finale sul provvedimento, riguarda invece la scelta di sottrarre alle Regioni ogni competenza (in contrasto con l’art. 117 della Costituzione) in materia autorizzativa per la coltivazione e la ricerca di idrocarburi, con una sorta di automatismo e una semplificazione rispetto a tutte le istanze per la ricerca e la coltivazione degli idrocarburi che sono all’attenzione dell’Unmig, senza alcun intervento della Regione e delle comunità locali interessate. Iniziative che porterebbero complessivamente ad interessare quasi l’80 per cento del territorio lucano (oggi siamo a circa il 30), come abbiamo sottolineato in un ordine del giorno, fatto proprio dal governo, in cui abbiamo chiesto di non superare il livello massimo di estrazioni, previsto dagli accordi già stipulati, cioè 154 mila barili al giorno. Da qui quali fondi saranno previsti? Rispetto alle altre regioni sono previste risorse per interventi di sviluppo economico, per i quali si dovranno fare i decreti attuativi con le Regioni, e questo discorso riguar-
da anche la Basilicata. Poi le modifiche all’art. 16 del Cresci Italia, in base al quale il 30% di quanto incassato dell’IRES dalle estrazioni andranno in un fondo da utilizzare per iniziative infrastrutturali nelle Regioni in cui si effettuano le estrazioni. Bisogna anche valutare l’ipotesi di prevedere anticipazioni della cassa Depositi e Prestiti e della Bei da recuperare nei venti anni. Ha letto il testo della lettera inviata da Pittella? Un suo commento? Ho letto la lettera in cui Pittella cerca di suscitare il protagonismo dei Comuni, che in Basilicata sono essenziali per promuovere la coesione sociale dei territori. Credo che dal-
OLINO
Crede che sarà facile? La vicenda politica del Pd e del nostro paese, in questo momento, non mi sembra affatto semplice. Oggi non posso che prendere atto che la sinistra ha perso tempo, non ha ottenuto i consensi che si attendeva, non ha vinto nel 2006 e nel 2013, per i ritardi nella innovazione culturale e politica e nella soluzione dei problemi. Con l’elezione diretta del segretario si è determinata una situazione particolare, cambia il segretario, cambia la classe dirigente, Renzi da’ un piglio pragmatico al Pd. Serve invece un partito che sappia affrontare con metodo scientifico, oltre che sul piano programmatico e valoriale il suo necessario rinnovamento che dia il senso di un cambiamento produttivo. La sinistra ha però commesso troppi errori ed è stata, oggi, sconfitta. Che la sinistra italiana si sia meritata negli ultimi venti anni molte sconfitte, non elimina il bisogno di sinistra in politica e, soprattutto, la necessità di rappresentare politicamente interessi sociali consistenti, a cominciare da quelli del mondo del lavoro. Aveva aperto la strada ad alcuni giovani della Basilicata che si sono avviati in politica. Su quali crede la regione possa maggiormente contare? In questi anni ho promosso un rinnovamento profondo dei gruppi dirigenti, che ha fatto registrare il protagonismo di diverse persone nuove che hanno portato idee, competenze e un approccio a volte diverso ai problemi. Alcune persone, come Roberto Speranza che ha assunto un ruolo nazionale e Piero Lacorazza, oggi alle prese con la funzione istituzionale di presidente del Consiglio regionale, si sono affermati; altre personalità emergeranno e stanno già emergendo.
l’ascolto e dal confronto con le comunità locali possa venire un contributo importante per le sfide difficili che attendono la Basilicata.
annunciate (e in parte passate al Senato) non prevedono la selezione dei candidati ci espone a rischi anche per la stessa tenuta democratica del Paese.
A proposito dell’autosospensione dal Pd, ci ha ripensato o ci sono altre questioni in campo? Ci sono le questioni politiche. Francamente colgo la positività delle azioni e della visione di Renzi ma non sottovaluto le criticità, emerse in tutta la loro evidenza nell’ultimo periodo, perché le stesse cose si potrebbero fare con maggiore condivisione dei soggetti sociali, che vanno ascoltati e con cui bisogna discutere. Il fatto che le riforme
Cosa farà in Parlamento? Mi sono astenuto sul provvedimento perché vorrei, come credo voglia una vasta parte della opinione pubblica, che le attività petrolifere venissero svolte con la massima attenzione alla sicurezza, attraverso meccanismi di controllo da cui non siano escluse le comunità locali, gli enti locali, la stessa Regione. Io mi impegnerò per la tutela degli interessi della Basilicata e per la tutela della legalità.
Cosa succede nel nostro paese? Ed in Basilicata? I giovani vanno via, la regione è sotto i 600 mila abitanti. Come riattivare la produttività? Manca in Renzi un discorso chiaro su come moltiplicare il reddito in particolare lì dove c’è la tendenza a chiudere le fabbriche ed il lavoro è volatile. Cosa fare per creare impresa, per riaprire i negozi, per fare tornare i giovani, per ridar loro la speranza di mettere su famiglia? Renzi cerca di imprimere una traiettoria forte e decisa alla propria azione, utilizzando attrezzi come gli 80 euro o la legge di stabilità; cose necessarie ma non sufficienti perché i consumi sono contratti e perché manca la fiducia. Quelli usciti dalla produzione per i quali non sappiamo se ci saranno le provvidenze, i pensionati, i giovani che hanno titoli di studio ma non il lavoro, precari o sottopagati non possono creare consumi.
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R E P O R TA G E
L’Unibas senza
barriere alla Mostra del Cinema di Venezia Mariassunta TELESCA
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’Università degli Studi della Basilicata e la Mostra del Cinema di Venezia: due mondi apparentemente molto lontani e divergenti, ma che lo scorso 3 settembre si sono incontrati e uniti per raggiungere il medesimo obiettivo, ossia raccontare un viaggio "nell'anima di un ateneo che cerca di rendere normale la diversità". Non è retorica ma la storia di un successo. L'Università della Basilicata, infatti, è la prima, in Italia, per il numero e la tipologia di apparecchiature per facilitare i percorsi di studio dei disabili, con aule attrezzate, un servizio di tutoraggio personale "modellato" sulle scel-
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te didattiche dello studente, e varie forme di sostegno economico. I dati e le attività del Servizio Disabili sono stati illustrati in due prodotti video: «Uno spot promozionale della durata di un minuto e trenta, dove si mette in risalto l’esistenza di un aula accessibile, che è stata creata all’interno dell’ateneo, e un prodotto molto più ampio e strutturato della durata di circa mezz’ora che vuole raccontare, attraverso le emozioni dei ragazzi e dei tutor, il concetto dell’annullamento della diversità e del termine di normalità quando si trovano a convivere in un ambiente facilitante, che mette le persone
sullo stesso piano.», spiega il regista Fabio Bavusi. “UNIBAS ALL INCLUSIVE” è lo slogan scelto per raccontare quattro storie di successo di studenti lucani tipo, che, grazie all’impegno, all’amore e alla costanza di tanti, ma non troppi, hanno potuto vivere la carriera universitaria senza barriere; e sono loro stessi a raccontarlo, con i loro tutor, ormai amici, e grazie alla narrazione dell'attore e doppiatore Ennio Coltorti (''voce'' degli attori Usa Ben Kingsley, Willem Dafoe e Patrick Stewart). Tutti possono farcela, e tutte le barriere sono abbattibili, non solo nelle aule, ma fuori dal campus. Giuseppe, laureato all’Unibas, dopo il timore iniziale di non trovare una struttura che facesse al suo caso di disabilità motoria, è oggi iscritto al master in Genetica forense; Franco, matricola di economia aziendale, ogni giorno si imbatte in barriere architettoniche e umane, ma grazie alla tutor Antonella, al “Giardino della Speranza” e alla Cooperativa Betania, vede il suo percorso normalizzato; Filomena, non vedente, si è laureata in Lingue, e ora punta a viaggiare nel mondo. Molti disabili hanno partecipato anche alle attività extracurricolari dell'Ateneo, come un concerto nel campus di Potenza: sul palco c'era Vincenzo, rappresentante degli studenti disabili dell'Unibas, che ha suonato le percussioni. E' sordo dalla nascita, ma durante le prove ha detto: "Ho sentito i tamburi". Una frase normale per tutti, che oggi è normale anche per lui; questa frase e i tamburi, allora, simbolo di un traguardo raggiunto, oltre i confini didattici, hanno fatto da colonna sonora all’intero video, grazie al contributo di Pietro Cirillo e i Taranta Lucania. «L’idea di realizzare tale video - racconta la responsabile del Servizio Disabilità Filomena Lapenna - è nata non in quest’anno accademico ma già precedentemente per consentire una modalità di orientamento che fosse molto più vicina alle esigenze dei giovani e potesse diffondere un messaggio di possibilità e integrazione in maniera più semplice e diretta. Il video realizzato è la continuazione del progetto iniziato due anni fa e va oltre quella che è la semplice narrazione delle opportunità e dei servizi offerti ai ragazzi disabili». Grazie al sostegno della Lucana Film Commission, nella persona del presidente Paride Leporace, che ha creduto molto nel laboratorio audiovisivo, il video "Unibas All Inclusive" è stato proiettato alla 71/a Mostra del Cinema di Venezia, nell'ambito della rassegna "CinemaDamare", diretta dal giornalista Franco Rina. La serata, interamente dedicata al dibattito e alla riflessione sulla disabilità nella scuola, ha visto la presenza dell’associazione “Tutti a scuola”, di Parlamentari che si occupano della disabilità, e del giornalista Rai Vincenzo Mollica. «Grande interesse ha suscitato la visione dello spot da parte del pubblico che già aveva condiviso l'emozione della visione del documentario a cura della redazione di Blob
sulla condizione delle persone con disabilità nelle scuole di Napoli e Roma - ha raccontato Filomena Lapenna; per questo ringraziamo la Lucana Film Commission e CinemaDamare per la collaborazione e l'importante vetrina che ci hanno concesso». Un messaggio di speranza e di eccellenza, quello mostrato dall’ateneo lucano, presente alla proiezione con una delegazione, in un’Italia indifferente ai bisogni e ai diritti dei più deboli. Fabio Bavusi, soddisfatto, racconta che durante la proiezione, oltre ad aver ricevuto dei feedback positivi da parte delle personalità presenti, si è capito che anche nel nostro piccolo si riescono a realizzare dei prodotti di qualità che sanno emozionare. Venezia ha rappresentato, dunque, una cornice particolarmente importante, «Una cornice – racconta la Prof.ssa Paola D’Antonio, Referente S.A.F.E. per la Disabilità – che ci ha dato la possibilità di mostrare qui a Venezia quanta sensibilità tutto il servizio e gli operatori direttamente interessati pongono nel seguire e nell’affiancarsi ai ragazzi disabili.» L’esperienza veneziana non si è conclusa sull’Isola del Cinema: è stata un’occasione per poter incontrare e per poter confrontarsi anche con un ateneo storico e importan-
te, qual è l’Università Cà’ Foscari. I rappresentanti dell’Ufficio Disabilità dei due atenei hanno relazionato in merito ai percorsi realizzati, ai successi ottenuti, alle difficoltà incontrate, al modo di rapportarsi con gli studenti disabili. Questo ha permesso di capire quali sono i punti di forza dell’ateneo lucano e quali possono essere gli obiettivi e i traguardi futuri. «La verifica con i colleghi della Cà’ Foscari – afferma Filomena Lapenna - ci ha dimostrato che il percorso iniziato e i progetti messi in campo sono sulla strada giusta. Quindi Venezia è un punto di partenza, l’importante è avere una struttura che supporti le persone che lavorano in questo settore; per cui credo che nel prossimo periodo, anche nell’immediato, l’amministrazione dell’Università degli studi della Basilicata debba attenzionare il lavoro svolto all’interno di questo settore affinchè diventi centro di riferimento territoriale, come gli enti istituzionali in questo momento chiedono». Un punto di partenza e non un punto di arrivo, dunque, affinché i valori cardini in cui l’ateneo lucano crede e su cui investe possano rappresentare la “normalità” in tutte le scuole d’Italia, di ogni ordine e grado e si possa crescere insieme affinchè “lo studio sia un diritto…un diritto per tutti!”
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Prevenzione, salute e benessere da trent’anni Albina SODO
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’incontro Salute al Kos ha ripercorso la storia e la cultura sanitaria del centro potentino nato come struttura di diagnostica e prevenzione. Oggi, secondo Angelo Rosella, la sfida in risorse tecnologiche e professionali è indirizzata verso un servizio efficiente e rapido che mostri attenzione alla psicologia del paziente. Una pratica medica, dunque, sempre più personaliz-
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zata. Dottor Rosella da pochi mesi ha acquisito il Centro Kos. Qual è il motivo della sua scelta? È stata una scelta fondata sulla volontà di potenziare una struttura con una storia gloriosa ma che necessitava di un piano strategico innovativo, di un remake che abbiamo
paziente e coinvolgerlo nelle scelte che li si prospettano. In altre parole deve assicurargli una situazione relazionale quanto più prossima alle esigenze di umanizzazione e personalizzazione della pratica medica. È questo l’intento primario che si propone e persegue il Kos.
affrontato tramite investimenti in tecnologia e personale medico di primissimo piano capace di dare risposte chiare alle richieste del cittadino. L’utente Kos è fruitore di servizi che spaziano dalla diagnostica alla prevenzione, sino alla salute intesa come forma di benessere psicofisico. Una sfida nel mondo della sanità privata, una sfida che è anche culturale. Quali sono i cambiamenti più evidenti dell’organizzazione? Il mio Kos ha cercato di carpire i bisogni e le necessità dell'utente e di spingere il rinnovamento in quelle direzioni rafforzando, nello stesso momento, lo zoccolo duro di una struttura abituata a fare diagnostica e prevenzione. Ci siamo spinti su investimenti strumentali volti a una rapida ed efficiente diagnostica nel campo dell'endoscopia digestiva, nella diagnosi basata su criteri scientifici delle intolleranze alimentari, nel campo del benessere fisico e psichico con risorse sui Laser dedicati alla dermatologia, alla medicina estetica e vascolare. Stiamo, inoltre, osservando l'applicazione dei Laser in ginecologia intesa non solo come applicazione puramente terapeutica ma rivolta al benessere delle donne non più in giovane età.
pubblico e privato è antica, oggi risulta superata. Interrogarsi se sia meglio ricorrere ad una struttura pubblica o privata è una domanda sbagliata perché le eccellenze sono presenti da ambo le parti. La differenza, nella nuova visione, è che ciascuno dei due settori è complementare all’altro. Certo il privato, rispetto al pubblico che è condizionato da fenomeni esterni al bisogno dei pazienti, deve essere efficiente e rapido, deve mostrare attenzione alla psicologia del
Nei numeri per quali prestazioni i pazienti si rivolgono al Centro Kos? Il Kos rappresenta un riferimento importante nell'area della diagnostica strumentale in cardiologia e flebologia, dal Test da sforzo nelle cardiopatie ischemiche per la risoluzione del problema delle vene varicose grazie alla presenza del Prof. Frullini, tra i maggiori esperti in questo ambito. I nostri utenti hanno iniziato ad apprezzare la diagnostica delle vie digestive tramite un servizio di gastroscopia e colonscopia che ha sfatato l'immagine dell’endoscopia digestiva fastidiosa e dolorosa, ora praticata in pochi minuti tramite un servizio di anestesia che rende l'esame non fastidioso. Esiste una grossa richiesta di benessere, con l’uso dei Laser, per eliminare piccoli inestetismi che possono provocare grandi disagi. Un parterre vasto, senza dimenticare Ecografie, Radiologia, le visite specialistiche, tra le quali Reumatologia, Urologia, Dietologia e Oculistica. Salute, prevenzione, benessere. È difficile perseguirle? In ordine direi: prevenzione, salute, benessere. Una sequenza che è espressione della cultura sanitaria. Oggi prevenzione significa non ammalarsi, non avere peggioramenti in una malattia cronica, non morire di cancro. Di qui l’adozione di uno stile di vita corretto e di diagnosi precoce possono, senza dubbio, contribuire a migliorare la situazione. Cosa prevede e cosa si augura per il futuro del Centro Kos? La previsione e l’augurio per il futuro del Kos coincidono nella certezza che il nuovo modello organizzativo, le nuove tecnologie e le ottime professionalità in campo diano risposte concrete e puntuali, rafforzino il gradimento dei nostri utenti, innalzino ulteriormente il livello qualitativo della struttura e, quindi, il legame con i cittadini.
Salute al Kos ha celebrato i trent’anni del centro medico. Il suo pensiero su questo incontro. L’incontro è da ritenersi molto positivo stando alla partecipazione dei cittadini accorsi perché legati al Kos, radicato in questa regione da trent’anni e motivato dalle novità proposte, dalla presenza di medici di chiara fama e da due ospiti d’eccezione come Michela Mirabella e Maurizio Mannoni. Il primo ha spesso interrotto i relatori con domande specifiche affinché rendessero le spiegazioni il più comprensibile possibile. Un momento di riflessione e di festa che ha premiato il nostro sforzo organizzativo. Cosa differenzia la sanità pubblica dalla sanità privata? Nel campo sanitario la contrapposizione tra
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Ragazzi volate alto! La Busciolano di Potenza dal Presidente
Giorgio Napolitano remila ragazzi nel cortile d’onore del Quirinale a Roma per l’inizio del nuovo anno scolastico. È questo lo scenario in cui si sono ritrovati sei alunni dell’Istituto Comprensivo “A. Busciolano” del capoluogo lucano e sei alunni dell’Istituto Comprensivo di Marconia, in rappresentanza di tutti gli studenti lucani. Un messaggio, quello del Presidente della Repubblica, incentrato sulle modalità per uscire dalla crisi economica e sociale dell’Italia: «Della crisi si discute ogni giorno nelle scuole, nei suoi stadi più avanzati di studio e di formazione, nelle famiglie. Ebbene, sia chiaro che per farcela ci si deve non chiudere in vecchi recinti nazionali ma stringerci in uno sforzo comune. Giovani ha proseguito Napolitano - cogliete con entusiasmo ogni opportunità di percorrere, scoprire, conoscere l'Europa, il luogo del vostro futuro, il centro ideale dei valori di modernità e di progresso in cui credere». Cosa è rimasto oggi di quel discorso? Lo abbiamo domandato alla Prof.ssa Summa dell’I.C. Busciolano: «Ricordo positivamente come il Presidente abbia considerato l'istruzione, a tutti i livelli, uno dei pilastri e degli assi portanti della nostra società. Napolitano
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Gli alunni a Roma con le professoresse Summa e Guglielmi
non ha sottaciuto il momento di crisi, di ristrettezze, anche per la scuola, che sta attraversando il Paese ed ha invitato tutti a fare la propria parte per favorirne il miglioramento. Ho apprezzato, inoltre, l'invito a premiare il merito e, rivolto agli insegnanti, a condividerlo». Una scuola lucana che,
risolti i problemi strutturali e di sicurezza, deve impegnarsi nella formazione completa della persona, a partire dalle conoscenze, ovunque spendibili, fino alle competenze degli studenti provenienti dalla passione per sport, musica, viaggi, arte. Una scuola più aperta e innovativa.
Insegnanti Plesso Piano San Nicola Scuola Primaria Cardillo Sara Zaccaro Dina Gerardi Beatrice Scardaccione Anna Fuggetta Emilio Lupo Marianna Carbonaro Rosina Totaro Rosa Bochicchio Angiolina
Scuola dell'Infanzia Lauria Erminia Barbieri Francesca Tancredi Rosanna Rubino Marianna
rande momento di festa è stata la giornata di accoglienza della scuola primaria e dell’infanzia dell’Istituto Comprensivo “A. Busciolano” a San Nicola. I bambini, accompagnati dalle famiglie, seguendo delle frecce indicative, si sono riuniti all’ingresso della palestra dove li attendevano due personaggi: un pescatore e una turista. Il pescatore ha consegnato un biglietto d’ingresso a forma di pesciolino con su scritto “Voglio nuotare in un mare di pace!” La turista ha guidato i bambini sulla “spiaggia” e in “riva al mare” per liberare i pesci e pescare messaggi di pace in alcune bottigliette. Le classi e le sezioni hanno poi realizzato delle barche con la tecnica degli origami. «L’ingresso degli alunni nella scuola – sostengono i docenti – è una tappa fondamentale del processo di crescita personale. Le modalità con cui le prime esperienze sono realizzate e vissute risultano significative sia per l’aspetto emotivo - relazionale sia per l’apprendimento. Occorrerà promuovere situazioni che puntino sull’interazione affettiva e sulla collaborazione con le famiglie». I maestri per l’occasione si sono trasformati in cantanti, animatori, navigatori per sostenere gli alunni nel primo giorno di scuola e introdurre in forma ludica la tematica del macroprogetto d’Istituto: la pace come forma di educazione per le nuove generazioni. Insegnanti e studenti avranno modo di conoscere se stessi e gli altri immaginando, durante tutto l’anno scolastico, le storie narrate da chi viene dal mare.
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E P I S T E M E
Proverbi fra antropolo e filosofia Leonardo CLAPS
d un primo livello, semplice e non impegnativo, i proverbi possono interessare per pura curiosità. A questo livello quasi banale si può far ricorso a semplici raccolte, come ad esempio le varie raccolte popolari o gli almanacchi locali. Su questo piano si pone la paremiologia in quanto raccolta e descrizione dei proverbi. Ma questo è un livello, ribadiamolo, semplice ed elementare poiché si tratta solo di elencare e descrivere brevemente i vari proverbi delle diverse culture. Fin qui non c'è e non ci può essere nulla di significativo, nulla di profondo. Una raccolta non è altro che un insieme di dati registrati in alcuni documenti. Anche se questa raccolta dovesse presentare una qualche forma di spiegazione bisogna sempre tenere a mente che questo tipo di spiegazione rientra nell'economia generale di una semplice classificazione. Invece, se consideriamo i proverbi dal punto di vista dell'antropologia culturale allora essi ci appariranno sicuramente un po' più interessanti. Perché? Per il semplice motivo che l'antropologia li considera come prodotti culturali, come insieme di idee, credenze, valori che sono o possono essere utili, che
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hanno o possono avere un valore adattivo. In questo senso essi sono interessanti perché sono utili per la sopravvivenza dei gruppi sociali che li adottano, hanno valore adattivo perché consentono la riuscita saggia nella vita. Questa lettura antropologica dei proverbi va molto al di là della semplice classificazione e descrizione che può offrire la sola paremiologia, ci spinge a riflettere seriamente, a capire i significati reconditi di ogni proverbio, perché tali significati hanno valore culturale, cioè rientrano nel vasto sistema di credenze e valori che sono necessari per la vita concreta dei popoli. Prendiamo ad esempio un proverbio tratto dalla paremiologia lucana: na capa bona val' chiù r' ciend frazz' (una testa buona vale più di cento braccia). Il suo significato è abbastanza evidente: l'intelligenza è più importante della sola forza bruta. Ma da un punto di vista antropologico perché questo detto dovrebbe essere preso in seria considerazione? Evidentemente perché è un prodotto culturale, e se è un prodotto culturale allora contiene informazioni utili per l'adattamento e la sopravvivenza. Ma in questo caso ci sono informazioni culturali utili?
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Certamente perché la semplice forza fisica se non è diretta da nessun cervello risulta un pericolo serio, energia che si spreca senza direttive, azioni insensate. La “testa buona” è l'intelligenza che sa come fare, come programmare, come affrontare e risolvere i problemi. Si capisce da sé che l'intelligenza è necessaria per affrontare la vita, quindi utile ed indispensabile come importante fattore adattivo. Si potrebbero portare tantissimi altri esempi presi dalla paremiologia ma l'essenziale rimane sempre in primo piano per tutti: la vita necessita di cultura, idee e credenze, che svolgono un importante ruolo adattivo. Questo ora è chiaro e questa è l'utilità di una lettura antropologica dei proverbi. Ma la filosofia? Cosa può mai dire? È davvero possibile un'interpretazione filosofica dei proverbi. Nei testi sui proverbi lucani che ho scritto e pubblicato ho mostrato che quest'interpretazione è non solo possibile ma anche e addirittura utilissima. Ma perché? Non è già sufficiente la lettura antropologica? Perché andare oltre? Cos'altro c'è ancora da capire? È chiaro che una interpretazione filosofica dei proverbi deve far leva sui metodi specifici propri della filosofia. Allora in primo luogo considereremo la caratteristica essenziale della filosofia, il pensiero critico. Il pensiero critico riguarda la capacità di superare le apparenze, di vedere oltre la superficie delle cose, di andare al di là della loro manifestazione fenomenica. In questo senso la metodologia tipica della filosofia ci fa riflettere con attenzione, getta luce nuova sui fenomeni, supera i pregiudizi, gli stereotipi, le ingenue semplificazioni. Grazie al pensie-
ro critico formato nella filosofia possiamo renderci conto che il più delle volte i proverbi nascondono possibilità di estensioni semantiche sorprendenti. Ad esempio, quello appena citato ci dice, secondo l'antropologia, che l'intelligenza è un fattore cruciale per la sopravvivenza. Ma un'interpretazione filosofica cosa può aggiungere? Dovremmo, come già detto, andare oltre. In questo caso il significato ulteriore che emerge riguarda l'intelligenza come controllo, la razionalità come misura, disciplina, regola. La vita priva di razionalità è una vita senza regole, senza misura, quindi sciocca, stupida, insensata. Un'interpretazione filosofica dei proverbi ci conduce a considerare il loro messaggio essenziale, la tematica di fondo che implicita in ognuno di loro. Esiste una tematica di fondo nei proverbi? È lecito per essi parlare di messaggio essenziale? Tutti i proverbi hanno qualcosa in comune? È possibile rintracciare un motivo ricorrente? Dalle analisi che ho svolto finora la risposta è decisamente positiva. E allora, qual è questo motivo ricorrente? Dall'analisi di migliaia di proverbi, analisi non solo antropologica ma anche filosofica, è emerso che tale motivo riguarda il controllo della formazione di credenze illusorie. In questo senso i proverbi sono si veritieri ma soprattutto concreti, realistici, poiché rispecchiano il carattere essenzialmente duro della realtà. In questo senso il loro spessore filosofico risiede nel contrastare la formazione di idee fantasiose, bizzarre, presuntuose. Quasi tutti i proverbi sono in linea con il carattere essenziale della realtà, la durezza (come evidenziato dallo psichiatra e filosofo E. Minkowski), ed in questo senso impediscono la formazione di inferenze frettolose, non sufficientemente sostenute dai dati reali, impediscono e condannano severamente le presunzioni dell'io, come ad esempio la superbia, la vanità, l'orgoglio facile ma infondato, l'autostima illusoria, le convinzioni di comodo. Grazie all'applicazione della metodologia filosofica si è potuto recuperare un messaggio importante, un monito essenziale che giaceva nel fondo di questi prodotti culturali apparentemente umili.
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IL FORMAGGI DEGLI EMIGRANTI Ettore BOVE
ll’indomani dell’unificazione, con la fine del brigantaggio, ai poveri lavoratori agricoli lucani non rimase altro che scegliere tra continuare a sopportare la miseria, aggravata dalla crisi economica e dalla durezza dei rapporti nelle campagne, o emigrare. Sulla rassegnazione a vivere in condizioni di estrema indigenza, prevalse la voglia di fuga dai luoghi di origine, tanto che masse di braccianti e artigiani, stremati dalla fame e dalle vessazioni dei signorotti locali, si riversarono, dopo essersi indebitati con profittatori e usurai per pagarsi il viaggio, sul molo Beverello di Napoli per salpare verso le Americhe. Gli storici di questo imponente esodo dicono che la traversata
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transoceanica rappresentò, non per tutti, la realizzazione del sogno di migliorare le proprie condizioni di vita poiché tra i più disperati alcuni si ridussero a lavorare come schiavi nelle piantagioni brasiliane di caffè. Col cominciare del secolo scorso, il processo migratorio lucano assunse caratteristiche talmente preoccupanti da portare l’allora Sindaco di Moliterno ad accogliere il Presidente Giuseppe Zanardelli, nella storica visita in terra lucana del 1902, affermando che lo salutava in nome degli ottomila compaesani tremila dei quali erano emigrati in America e cinquemila si apprestavano a seguirli. Nel dare il sarcastico benvenuto al primo Presidente dell’Italia unita che varcava i confini della Basilicata, transitando da
Montesano sulla Marcellana, dopo ben quaranta anni dalla nascita dello Stato unitario, il Sindaco di Moliterno aveva certamente in mente l’immagine dei numerosi conoscenti diretti al porto di Napoli per imbarcarsi verso le terre del Nuovo Mondo. Tra la folla in attesa di imbarcarsi, i moliternesi non passavano inosservati, tanto che la banchina napoletana era soprannominata “molo Moliterno”. Tra i tratti caratteristici di quell’ininterrotto esodo, spesso doloroso e non senza imprecazioni, visto le parole di amara ironia del Sindaco di Moliterno, vi era la consapevolezza che chi partiva difficilmente poteva non sentirsi nostalgico anche dello scarso
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LUCANI cibo perduto. Per chi abbandonava la terra lucana, infatti, la possibilità di placare la nostalgia per le poche cose lasciate era rappresentata da qualche pagnotta di pane, non sempre di solo grano, e dall’immancabile forma di formaggio stagionato, normalmente ovi-caprino, da portare come emblema della Basilicata nei luoghi di arrivo. Era consuetudine affermare, anche quando proveniva da altre zone, che si trattava di prodotto moliternese (u casi ri Mulitiern). Del resto, quando, all’inizio dell’Ottocento, l’Inchiesta murattiana si sofferma sulle produzioni tipiche della Basilicata, Moliterno viene menzionato soprattutto per la presenza di “caci”…. “che si vendono a caro prezzo facendosene esteso commercio infino con Napoli”. Alcuni decenni dopo, il cartografo Benedetto Marzolla, nel predisporre la mappa delle produzioni agroalimentari del Regno di Napoli, appone su Moliterno l’icona del “cacio”. Passano quaranta anni dalla pubblicazione dell’impegnativa mappa alimentare del Mezzogiorno, che la Rivista uscita in occasione Illustrata, dell’Esposizione Internazionale di Milano
come numero unico sulla Basilicata, riporta la notizia della presenza alla mostra collettiva del pecorino della Basilicata o di Moliterno. Nello stesso numero della rivista, si sottolinea che tra gli espositori di prodotti “riconosciuti eccellenti” è presente il cav. Francesco Padula di Moliterno che produce annualmente mille quintali di formaggio. Si tratta di un tipo di cacio, a pasta cruda, pre-
parato con “latte misto di pecora e di capra, in proporzioni varie, ma sempre con esuberanza di latte pecorino”. Si dice che sia di facile preparazione e “le forme nelle quali è compresso sono di giunchi, a similitudine di canestre rotonde”. Le abbondanti salature lo rendono “poco soggetto a guasti “ e la produzione, “assai remunerativa”, è rilevante tanto da essere in “notevole quantità esportata nelle Americhe”. Che parte della produzione di formaggio originario del centro dell’Alto Agri fosse esportata a quei tempi in America è attestata dalla presenza a New York nel 1888 del“Nicola l’emigrante moliternese Mastrangelo & Son”, impegnato a importare il “Genuine Moliterno Cheese” direttamente da Moliterno. Nel considerare la notorietà internazionale del formaggio stagionato lucano, occorre tener presente pure che fino a qualche anno fa arrivava al mercato, dalla Sardegna, un analogo prodotto ottenuto da latte di pecora sul cui logo campeggiava, in bella evidenza, per trarre in inganno i consumatori, soprattutto i discendenti dei primi emigrati lucani, la dicitura “Moliterno”. Che il nome di Moliterno richiami a luoghi dove si producono formaggi è testimoniato anche dalla presenza in eleganti botteghe alimentari del nord di una costosa ricotta piccante di “Moliterno” o “ fatta come a Moliterno”. In realtà, quando si parla di formaggio di Moliterno, è necessario soffermarsi su almeno tre questioni. La prima riguarda l’origine del nome. Sebbene esso abbia a che fare con il luogo dove si fa il latte (dal latino mulctrum), almeno nell’interpretazione più comune che ne dà il noto storico Racioppi, le considerazioni locali riportano a posti in cui si curano i formaggi. E’ noto, infatti, che i moliternesi partivano, nei primi mesi dell’anno, a dorso di muli, ad acquistare formaggi nelle zone malariche della costa ionica per poi stagionarli in locali particolari. E’, però, quantomeno riduttivo pensare a Moliterno semplicemente come luogo di stagionatura di formaggi. La produzione locale, infatti, doveva sicuramente attestarsi nel passato su quantitativi ragguardevoli, poiché dalle statistiche dell’epoca fascista emerge che tra gli utilizzatori dei cinquemi-
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E U R E K A la ettari di superfici e allora censiti come pascoli, il 40% del territorio comunale, figuravano quasi novemila ovini e oltre tremila caprini. Con il graduale abbandono delle superfici pascolive più disagiate, il patrimonio ovi-caprino moliternese si è ridotto oggi ad appena un terzo rispetto a quello esistente all’incirca un secolo fa. Merita di essere sottolineato che la denominazione locale dei luoghi di frequentazione delle greggi sembra richiamare le differenti caratteristiche vegetazionali dei pascoli. A testimoniare questa diversità, rimane il ricordo dei pastori anziani che riconoscono nei pascoli di “Ricotta fetente” il luogo da cui si ottengono i formaggi più “forti di Moliterno”, intendendo con questa espressione prodotti dal sapore marcatamente piccante, o comunque differenti da quelli originari di altre contrade dove, tra l’altro, come verso Lauria (Panno, Fornitelle), nella fascia altimetrica al di sopra dei 900 m s.l.m., si rinvengono allevamenti di una certa dimensione. Si ritiene che i pascoli migliori per composizione floristica siano quelli localizzati alle pendici del Sirino. La seconda questione ha a che fare con la produzione e la stagionatura. Il tradizionale formaggio di Moliterno, impropriamente conosciuto come pecorino, è un prodotto
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ottenuto miscelando latte di capra e di pecora nel rapporto, grosso modo, di uno a cinque, ed utilizzando esclusivamente caglio di capretto. E’ interessante sottolineare che nelle campagne di Moliterno il rapporto delle due tipologie di latte rispecchia abbastanza la composizione degli allevamenti. Purtuttavia, parte del latte di capra segue altre destinazioni come nel caso della produzione del “casieddu”, l’altro tipico formaggio moliternese. La modellazione delle forme è riconducibile alla tradizionale pressatura manuale della cagliata in cestelli di giunco (Juncus effusus) chiamati dalle genti del posto “fuscelle” e altrove, nell’Alta Val d’Agri, “fusciedde”. I luoghi tradizionali della stagionatura del prodotto rimangono i “fondaci”, gli ambienti interrati in cui la circolazione dell’aria e la costanza del tasso di umidità sono garantite da particolari accorgimenti costruttivi. La terza questione attiene la commercializzazione del prodotto. I formaggi, una volta completata la stagionatura, arrivavano alle fiere e ai mercati, anche lontani, semplicemente come “casi ri Mulitiern” che, poi, era sinonimo di prodotto della Basilicata. In queste occasioni i commercianti moliternesi si preoccupavano di dare consigli ai potenziali acquirenti, molto spesso rappresentati da nuclei famigliari emigrati, sul tipo di formaggio da acquistare e magari regalare. Tra questi mercanti, rimangono ancora vive le figure di “Minicucci” e “Giacchini”, i due commercianti moliternesi ai quali la gente si rivolgeva
per avere indicazioni sul grado di stagionatura e sul modo migliore di utilizzare il formaggio acquistato. L’attività divulgativa sulle qualità del formaggio locale è oggi continuata, con successo e passione, da discendenti dei due maestri moliternesi nei tradizionali mercati e da veri esperti caseari nelle poche ma qualificate aziende che allevano il bestiame e trasformano il latte. Con il riconoscimento comunitario dell’Indicazione Geografica Protetta (IGP), ottenuto nel 2010, si è recuperato il più rispondente nome di “canestrato” poiché, come si è sottolineato, l’appellativo riporta al contenitore di giunco. Non meno importante è da ritenersi il recupero del luogo di stagionatura, il “fondaco”, come ulteriore strumento di demarcazione della specificità dell’arte casearia moliternese. E’ indubbio che ciò rappresenti un rilevante passo in avanti per valorizzare un prodotto che è stato compagno di viaggio per tanti lucani sparsi nel mondo. Naturalmente, la conquista del prestigioso riconoscimento comunitario deve costituire l’avvio di un percorso che porti al centro della filiera il territorio moliternese, con le sue diversità e specificità orografiche, storiche e ambientali. In questo modo sarà possibile trasferire nel “Canestrato di Moliterno” valenze immateriali che possono contribuire a conseguire margini di miglioramento rispetto alle attuali quotazioni di 16-17 euro a kg e a spingere la produzione oltre i settemila kg di prodotto certificato l’anno passato. Si ritiene, infatti, che nel solo territorio di Moliterno la produzione di canestrato possa andare ben oltre i cinquantamila kg, pari a un valore di mercato superiore al milione di euro. Le valutazioni dei produttori e dei commercianti portano a stabilire che di questo formaggio una buona metà è collocata in ambito regionale mentre il resto si distribuisce, in quote pressoché uguali, tra mercato interno ed estero. E’ bene non sottovalutare che nei sessanta comuni che delimitano l’area di produzione del prestigioso formaggio circola troppo prodotto non marchiato ma comunque etichettato come di Moliterno. La cosa grave è che questi “caci” arrivano sui mercati extraregionali, spesso in accattivanti confezioni, associandoli tuttora al paese del Sindaco che un secolo fa si rivolgeva a Zanardelli con parole di amaro sarcasmo. E’ del tutto evidente che per uno straniero di origine lucana di terza o quarta generazione diventa difficile capire l’inganno. Questa, dei falsi, è, però, una situazione che accumuna una buona parte della produzione agroalimentare tipica lucana.
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The Prince of Venusia il cortometraggio di
Silvio Giordano
sull’esistenza tormentata di
Gesualdo Da Venosa Simona BRANCATI
ilvio Giordano è un artista potentino poliedrico e fuori dagli schemi. La sua produzione spazia dalla video arte, alla fotografia, alla scultura; i temi su cui è incentrata sono le previsioni catastrofiche dovute all’idea di morte, la bellezza, la diversità dell’Io, la malattia, l’ambiente e la trasformazione genetica. Il suo ultimo progetto The Prince of Venusia, un cortometraggio sugl’incubi di Gesualdo da Venosa, si è classificato primo nella graduatoria del “Bando alla crisi” della Lucana Film Commission con finanziamenti della Comunità Europea. Il bando prevedeva un finanziamento di tre milioni di euro per promuovere sul territorio diciannove produzioni e patrocinare diciassette start up. Si è stimato che consentirà a cinquatasei imprese di operare in Basilicata, le quali daranno lavoro a oltre seicento lucani.
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Perché Gesualdo da Venosa?
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La figura di Gesualdo da Venosa mi ha sempre affascinato perché si parla di un artista incredibile, di fama mondiale e allo stesso tempo di un uomo fragile e tormentato. Iniziai ad appassionarmi al personaggio nel corso delle celebrazioni gesualdiane dello scorso anno, in onore del quarto centenario dalla scomparsa del musicista. In quell’occasione Tonia Bruno ebbe l’incarico di realizzare due performance che parlassero del processo e dei tormenti di Gesualdo. Girai allora un video sugli incubi che lo accompagnarono fino alla morte. Quando è uscito il bando per il cinema ho subito pensato che potesse essere l’occasione per realizzare un’opera più intensa e particolare sull’artista lucano. Qualcosa inizia a muoversi nella direzione dell’incentivo e dell’investimento sulla creatività e sul cinema in particolare. L’idea e la sceneggiatura devono essere piaciuti particolarmente alla commissione giudicante visto che ho ottenuto il punteggio più alto tra i professionisti. Sono molto contento che abbiano valutato positivamente un progetto innovativo e sperimentale, vuol dire che finalmente anche in Basilicata i tempi stanno maturando.
un documentario su Gesualdo, Igor Stravinsky lo ha definito un genio e ha continuato la produzione dei suoi madrigali e infine Franco Battiato ha scritto un brano che porta il suo nome, contenuto nell'album “L'ombrello e la macchina da cucire” del 1995. Trattare la sua vicenda in chiave sperimentale e onirica è il valore aggiunto che vorrei dare. A che punto sei del lavoro? Abbiamo da poco terminato la sceneggiatura. Ora si parte con il casting degli attori e delle comparse, almeno una quindicina in tutto, la scelta della troupe, delle locations e la realizzazione dei costumi. Insomma siamo soltanto all’inizio.
Puoi darci qualche anticipazione sull’opera? Il cortometraggio sarà girato interamente in regione con attori e maestranze lucane e sarà un lavoro non convenzionale caratterizzato da immagini subliminali e imperniato sull’introspezione del protagonista. Gesualdo ha vissuto una vita d’inferno, costellata di lutti e segnata da un duplice omicidio. E’ per questo che viene ricordato come il musicista assassino. Si tratta di un lavoro di avanguardia, venendo io dalla video art e dall’arte contemporanea. Sarà la rappresentazione degli incubi nella testa di Gesualdo da Venosa.
Bruno e Fabio Pappacena, l’attore che interpreterà Gesualdo nel cortometraggio. Alcuni effetti speciali saranno curati dallo studio Effenove di Michele Scioscia e Sara Lorusso, neonata start up finanziata dal medesimo bando. La scelta non è stata casuale, ma con l’intento di dare vita a collaborazioni con le nuove realtà nate in Basilicata grazie alla volontà e alle capacità di giovani e validi professionisti.
Qual è il taglio? Vorrei che venissero le motivazioni che lo spinsero ad uccidere la moglie e l’amante e soprattutto lo strazio ormai insopportabile che lo portò a compiere il gesto estremo. Intendo rivalutare il punto di vista di chi arriva ad un’azione così forte. Non per giustificarlo, ma per comprenderlo. Oggi, poi, un uomo che compisse il massacro operato da Gesualdo, probabilmente si toglierebbe la vita a sua volta, ma il suicidio non era contemplato dalla rigida educazione gesuita che gli era stata impartita. Per cui il tormento e il rimorso l’hanno accompagnato fino alla morte.
Come ti sei preparato per scrivere una storia che possa mostrare sì un punto di vista diverso, ma che rimanga fedele a quella conosciuta come ufficiale? La sceneggiatura originaria è stata modificata e arricchita di elementi che meglio raccontassero le sofferenze di Gesualdo. Per fare questo era necessario comprendere l’ambiente, la formazione e la condizione psicologica nelle quali erano maturati e si alimentavano. Per ciò ho studiato gli esercizi spirituali dei Gesuiti, l’educazione spagnola sull’onore e i Madrigali, le composizioni musicali che lo hanno reso famoso in tutto il mondo.
E’ un tuo progetto ma c’è qualcuno che ti sta aiutando nella realizzazione? Inizialmente la storia è stata scritta con Ester Vigilante, la sceneggiatura con Tonia
Già altri hanno tributato omaggi al grande compositore. Hai studiato anche quelli? Certamente. Werner Herzog ha realizzato
Che tempi prevedi? Il programma è di cominciare le riprese tra Gennaio e Febbraio 2015 e di terminarle nell’arco di circa tre mesi. Passiamo alla questione pratica. Quanto costa un progetto simile e come viene finanziato? Ho stimato un budget di 35.000 euro, 20.000 è il finanziamento che avrò grazie al bando, il resto della somma è da reperire. L’ideale sarebbe avere uno o due finanziatori privati locali che abbiano la possibilità e la voglia di investire in un progetto artistico innovativo, ma fortemente legato al territorio, che potrà sicuramente rappresentare una vetrina internazionale. Di cosa parliamo in particolare? Oltre al web e al contributo alla diffusione che sicuramente verrà dato dalla film commission, il cortometraggio avrà spazio in gallerie, musei e fondazioni in Italia e all’estero. Luoghi dove in passato ho già esposto e presentato diverse mie opere e performance. Sto parlando di Milano, Venezia, Roma, Bologna, Napoli e Taranto e di Atene, Clermont Ferrand in Francia, della Corea, della galleria Lattuada di New York e dell’Istituto italiano di Cultura a Los Angeles.
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E U R E K A n gruppetto di “giovani sognatori”, come amano definirsi, di una cittadella lucana, Avigliano, appartenenti all’associazione “Colacatascia”, ignari delle fatiche che li attendevano, qualche anno fa decisero di creare un evento cinematografico, oggi di respiro nazionale e internazionale. “Corto e mal cavat” (italianizzazione del detto locale con cui si usava indicare una persona di bassa statura ma furba e peperina, per similitudine ai cavatelli corti e “cavati” male, quindi di difficile cottura e non facilmente digeribili) è il nome proprio di questa manifestazione che ha per oggetto il cortometraggio: uno short film, appunto, il cui nome deriva dalla lunghezza della pellicola, definita "metraggio” nel linguaggio cinematografico. «L'idea di questo concorso nasce nel 2004 per dare ai giovani registi una vetrina», afferma Roberto Ranaldi, presidente dell’associazione, il cui nome è il termine dialettale che indica la “lucciola”, un animale che vive nei posti meno inquinati e brilla nel buio, proprio come le iniziative proposte, mirate a mettere in luce svariati aspetti della vita sociale. “Corto e mal cavat”, nelle prime edizioni aveva interessato soprattutto gli amanti del cinema locale e regionale, rappresentava un modo per giovani artisti e dilettanti locali di mettersi in gioco e riflettere su diversi temi, con ironia e sarcasmo; il grande successo ottenuto ha spinto ad ambire a qualcosa di più.Così dal 2012 si è creato un vero e proprio contest indirizzato a tutti i film maker italiani e stranieri che avessero realizzato un prodotto video non superiore a 20 minuti, con tema libero. La risposta è stata eccelsa e la giuria, composta da esperti lucani. Tra questi ricordiamo Nostos per la regia di SAanta De Santis e Alessandro D’Ambrosi, decretato vincitore della terza edizione, “per aver saputo raccontare una storia, allo stesso tempo particolare e universale, dell'uomo di ieri, di oggi e di domani, in bilico tra un forte realismo e un magico onirismo, riuscendo a parlare al cuore”; esso narra del ritorno verso casa di un giovane soldato italiano durante l’armistizio del 1943, durante il quale il “disertore” ripercorre l’arco dell’esistenza. Secondo posto spettò, invece, a Pizzangrillo con la regia di Marco Gianfreda “per aver saputo raccontare, con uno stile di grande impatto poetico, l’umanità delle persone semplici e molto spesso dimenticate, mettendo a nudo la dignità del dolore e la bellezza e il mistero dei rapporti umani.” In fondo a destra di Valerio Groppa, interpre-
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“CORTO E AVIGLIANO
LA CLERMO
LUCANA
tato dagli attori Gabriele Pignotta e Sergio Fiorentini, guadagnò, invece, il terzo premio, “una storia di neorealismo contemporaneo, affrontato con originalità e un pizzico di ironia, un dramma serio e scottante come quello della solitudine delle persone anziane”. Oltre ai buoni risultati raggiunti nella promozione della cultura, della fotografia e cinematografia fuori dai confini regionali, l’associazione non ha tralasciato la valorizzazione del proprio territorio, degli artisti e
degli esperti locali, conferendo un Premio alla Menzione a Come le lucciole del regista lucano Giovanni Lancellotti “per aver saputo raccontare la Lucania con sincerità, amore e cura dei dettagli, scegliendo una storia dal grande impatto emotivo”. Tale successo si è rinnovato nelle due edizioni successive, che hanno visto location diverse, per abbinare il cinema alla valorizzazione del territorio, ma anche un rinnovamento della giuria, che si è arricchita del
MAL CAVAT”:
NT-FERRAND
contributo dei registi vincitori del primo premio e del premio alla menzione, oltre a un crescendo di prodotti da esaminare. Così nell’edizione successiva si è deciso di coinvolgere più attivamente il pubblico, che dopo la proiezione dei corti selezionati, è stato invitato a decretare il vincitore del Premio del Pubblico, conferito a Smile di Matteo Pianezzi, già classificatosi secondo per la giuria tecnica: la storia di un clown mimo, dietro la cui maschera si nasconde
l’amore infinito di un padre per il figlio, narrata attraverso la bellezza dei gesti, in un silenzio che giunge dritto al cuore. Primo posto è spettato, invece, a Oltreluomo di Nicola Ragone, che ha raccontato gli ultimi momenti di vita di un picconiere e un caruso, rimasti intrappolati nella miniera di zolfo di Gessolungo, a Caltanissetta, in seguito all’esplosione avvenuta il 12 novembre 1881, da cui non c’è via di uscita; i loro ultimi gesti inducono a riflettere sulla condizione che li ha ingabbiati e sulla loro fine, con una tomba che non avrà mai un nome, ma l’aldilà, qualunque cosa sia, si manifesta con una luce accogliente e rarefatta, non terrena. Temi vari, dunque, diversi spunti di riflessioni, di un tempo passato, di storie senza tempo e di un tempo presente, come quello narrato da Pre Carità, con la regia di Flavio Costa, terzo classificato: una sorta di Commedia all’italiana dell’Italia vera, quella abbruttita dalla politica, logorata dalle raccomandazioni in ogni dove, quella che ti fa vergognare di essere italiano, una foto di oggi, in technicolor, come l’ha definito la giuria. Ma l’ambientazione dei cortometraggi non è solo l’Italia, in Memorial di Francesco Filippi, Premio Menzione della Giuria, ci troviamo a New York, con la Statua della Libertà sullo sfondo, presso un memoriale di guerra, dove una bambina incontra un misterioso vecchio, che sembra un soldato fantasma, il quale non riesce a ricordare il nome del suo migliore amico, morto in battaglia: un’inquietante storia di rimorso, di una colpa impossibile da espiare, di un dolore insanabile e della ricerca di un amico perduto e mai più ritrovato, perso tra infiniti nomi. Spunti sull’Italia contemporanea sono stati
offerti anche nella quinta edizione di “Corto e mal cavat”, dove il podio è spettato a due diversi racconti dell’odierna società: A questo punto, di Antonio Losito, con Pietro De Silva e Patrizia Loreti, primo classificato, è una commedia dall’umorismo nero, che vuole esorcizzare il periodo di crisi che stiamo vivendo, facendo emergere un costume nostrano e un’attitudine all'imbroglio e al malaffare, che rende noti gli italiani, e Thriller, per la regia di Giuseppe Marco Albano, il quale, partendo dalle problematiche legate all’Ilva di Taranto, ha utilizzato il sogno di un adolescente, che vive a suo modo questa situazione, per mostrare le due facce della medaglia di una realtà così complessa, ossia la necessità di creare e conservare posti di lavoro, che però conducono alla morte, e, quindi, i lavoratori a essere un po’ come gli zombie di thriller, volendo fare un analogia con la passione di Michele per Michael Jackson. “Corto e mal cavat”, dunque, è un’occasione importante per gli amanti del cinema e non solo, offrendo un target qualitativo molto elevato, senza tralasciare le eccellenze regionali, che cerca di far nascere delle competenze e aumentare la cultura cinematografica nel nostro territorio, cosicché le lucciole possano moltiplicarsi. L’augurio dell’Associazione è che Avigliano possa diventare la città del cinema e dell’arte figurativa, suscitando l’interesse dei registi e degli artisti italiani, i quali potrebbero utilizzare questo territorio come soggetto per le loro opere… d’altronde anche Clermont - Ferrand partì con un gruppo di studenti e oggi il suo Festival rappresenta la più grande manifestazione al mondo dedicata ai cortometraggi. ma.te.
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Aglianica Wine F L’evento più importante a sud nella tradizione del vino
Marianna Gianna FERRENTI
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onostante la pioggia battente non abbia quasi dato tregua Aglianica si conferma come l’evento più importante nella tradizione del vino del sud Italia, in un’annata molto particolare per il settore vitivinicolo e agroalimentare, una stagione segnata dai continui cambiamenti climatici e dal rischio che bombe d’acqua, all’improvviso, scatenino la loro furia per devastare le migliori colture. Eppure, in questo balenare di emozioni, altisonanti, l’alta qualità di una kermesse che ha visto, come sempre, la partecipazione di punte di diamante del giornalismo specialistico di settore, e la pre-
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senza di altrettante prestigiose riviste internazionali, si riconferma più che mai come un gigante titanico sfidante una forza ancor più grande della crisi socio-economica che connota già da qualche anno il comparto: il maltempo. Quel maltempo che come hanno raccontano i produttori, intervistati per “Il Lucano Magazine”, a prescindere da Aglianica, è stato il colpo di frusta per un’agricoltura che tanto avrebbe voluto vivere l’anno di riscatto, dopo gli ultimi tempi di magra. Eppure, gli organizzatori dell’Aglianica Wine festival, tenaci, come sempre, non si sono lasciati intimorire, non
estival hanno demorso e, nonostante tutto, hanno portato a termine la programmazione nel migliore dei modi in una location, il castello di Venosa che, con il suo cortile e il suo loggiato è stato, da sempre, stato l’ambiente più gradito dai suoi visitatori e che dà onore alle aziende partecipanti. Un popolo di irriducibili del vino che, nonostante infraciditi dalla pioggia, non sono voluti mancare, seppure con una media inferiore agli altri anni, a causa delle condizioni atmosferiche ballerine. Come tradizione vuole, la serata del sabato è stata quella che ha raccolto maggiormente l’attenzione delle comitive di degustatori che si sono avvicinati ai numerosi stand, alle botteghe e ai workshop per assaporare i profumi e i sapori della terra lucana, e non solo. L’aspetto più importante da evidenziare è il supporto che Aglianica ha voluto riservare alla candidatura di Matera come Capitale della Cultura 2019, una partnership che ha cementificato il tessuto di relazione tra Venosa e Matera e di cui sia gli organizzatori del Festival, l’intero staff e i membri dell’Associazione Vulcanica si sono voluti rendere promotori e intermediari poiché “la candidatura di Matera è una candidatura di tutta la Basilicata”. Il presidente dell’Aglianica Wine Festival, Donato Rondinella, ha voluto sottolineare l’importanza di quello che è molto più di un gemellaggio poiché “Aglianica – dice Rondinella ha chiesto al sindaco Adduce di aderire entrando a far parte, a tutti gli effetti, della programmazione prevista tra quattro anni. Un momento bello per compattarci attorno a questo evento è stata la consegna della targa che sancisce una collaborazione importante. Fondamentale la presenza del Go-Wine che gestisce ad Aglianica la vetrina della degustazione vinicola, più in generale, come associazione si occupa, tra gli altri
progetti, della creazione di una mappa enoturistica basata sulla valorizzazione dei singoli territori produttori di vino dell’Accademia lucana della Gastronomia, che si è occupata della ristorazione allietando i visitatori e degustatori con i piatti tipici della tradizione lucana. La testimonianza di Andrea Biscardi, giornalista accreditato dalla rivista internazionale e specialistica Dott. Wine, il cui direttore è Daniele Cernilli, ha valorizzato tutte le iniziative promosse durante il festival di vino, quegli eventi che ogni anno sono immancabilmente presenti, raccontando la sua esperienza nel mondo vitivinicolo e il suo legame con i singoli territori, che rappresentano il vessillo di una identità dialogica e integrante fra tradizioni, cultura e abitudini culinarie. Particolarmente importante l’evento dedicato al confronto tra i tre rosati provenienti dal nord, dal centro e dal sud Italia, proposta dall’Associazione Sommelier Italiani, oltre al wine bar e alle botteghe dedicate alla ristorazione in cui alcuni dei più importanti chef a livello nazionale si dedicato ai turisti del gusto per far assaporare loro i sapori tipici del mediterraneo. Particolare attenzione anche ai prodotti lucani, fregiati dei migliori marchi di qualità, con parecchie aziende, consorzi e cooperative giovani che rappresentano la new entry in un mercato agroa-
limentare e vitivinicolo che attende nuova linfa per un decollo che stenta ad arrivare. E ancora il mercatino dei sapori, vetrina di interrelazione importante tra aziende e consumatori, il Festival della Cucina, lo spettacolo dello show cooking con la presenza dei più importanti chef che insieme hanno realizzato un piatto identificativo della propria terra. La serata di sabato è stata allietata da alcune importanti band musicali, oltre che dai laboratori work in progress di Radio Vulcanica, fra cui è risaltata l’esibizione della “Mister Grant”, accompagnata dalla voce sassofonista di Cristiana Polegri nota per la sua collaborazione con l’artista jazz internazionale Mario Biondi. Da sottolineare anche la proposta turistica, con la visita del borgo antico di Venosa, e il coinvolgimento, quest’anno ancor di più degli altri anni, di alcune location del centro storico tra cui la Chiesa di San Domenico che ha ospitato nella serata di venerdì alcuni laboratori degustativi. Da segnalare la II edizione della Gara dei Botti ricca di una profonda storia, proposta in molte città settentrionali ma, prima d’ora, mai nel sud Italia. La I edizione si era svolta nel 2012 proprio a Venosa, inserita sempre nella programmazione di Aglianica. «La manifestazione si è svolta nonostante la pioggia – ha chiosato Donato Rondinella – la serata di sabato è stata un po’ più affollata. Gli operatori, nonostante tutto, sono contenti. Lo zoccolo duro rimane l’Associazione Italiana Sommelier. Quest’anno abbiamo aperto la manifestazione anche alle location del centro storico. Come abbiamo già iniziato nell’ultima edizione di Aglianica a Venosa, anche la Chiesa di San Domenico ha aperto alle degustazioni». E ancora, nonostante il maltempo abbia osteggiato lo svolgersi pieno di tutti gli eventi in programma, da sottolineare anche la partecipazione degli Artisti Di Strada e la lotteria “Vinci la Cantina ideale” con la consegna di una bottiglia per ogni cantina presente al festival. ma.gi.fe.
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NORMODOTATI E PORTATORI DI HANDICAP INSIEME NEI BOSCHI
LUCANI PER SUPERARE TUTTE LE“BARRIERE”
al 5 al 7 settembre scorso si è svolta Basilicata Land off 4x4, la spedizione alla scoperta e riscoperta nei parchi lucani a bordo di fuoristrada. Un'avventura vissuta insieme da piloti normodotati e copiloti con disabilità del Cip Basilicata e disabili a seguito di infortuni sui luoghi di lavoro segnalati dalla sede regionale Inail di Basilicata. Il progetto è stato realizzato in collaborazione con l’Associazione Onlus Dinamica One di Potenza e l’Azienda di Promozione Turistica di Basilicata. La carovana, formata da 10 fuoristrada e un quad. I partecipanti si sono cimentati nella difficile guida su terreni sterrati, sabbiosi e roc-
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ciosi, aiutandosi con il gps, sempre seguiti e scortati dai volontari dei Centri di Educazione Ambientale per la Sostenibilità (Ceas) dei parchi della regione che hanno visitato e dal corpo forestale dello Stato. La carovana, composta da dieci mezzi, è partita da Potenza la mattina di venerdi 5 settembre dal piazzale antistante la Regione Basilicata alla presenza del Sindaco Dario De Luca, del direttore, vicedirettore vicario e dirigenti dell’Inail ed è stata benedetta dal Vescovo Agostino Superbo. Un percorso affascinante, ma tutt’altro che semplice, che partiva dal parco di Gallipoli Cognato - Piccole Dolomiti Lucane, attra-
verso i calanchi e la Murgia materana per terminare nell’oasi di Policoro. Scopo della spedizione è stato dimostrare che disabili e normodotati, convivendo e condividendo disagi e difficoltà, possono trovare l’uno nell’altro un compagno di viaggio affidabile e un sostegno morale e psicologico; ma soprattutto abbattere le barriere culturali e superare quelle naturali. Allo stesso tempo la spedizione mirava a tracciare una mappatura delle strutture ricettive presenti nei parchi lucani, sperimentandone l’adeguatezza alle esigenze dei visitatori con disabilità. Il viaggio è durato tre giorni con accampamento di due notti all’interno dello spetta-
colare scenario naturale delle aree boschive protette della regione che ha portato gli equipaggi alla scoperta della vera essenza del patrimonio naturalistico della Basilicata ed a comprendere il senso profondo del confronto e della condivisione nell’avventura. Per apprezzare il territorio e per dimostrare che in condizioni adeguate, e con il giusto supporto, esso è accessibile anche alle persone con difficoltà motorie. Durante il viaggio avventuroso, il gruppo ha dovuto affrontare percorsi accidentati e difficoltà dovute alla pioggia. Gli autisti sono riusciti abilmente a cavarsela guidando su ogni tipo di terreno.
Dopo il pernottamento nel bosco avventura di Cirigliano, la carovana si è mossa verso i calanchi nei comuni di Aliano, Montescaglioso e Craco. La prima tappa ha portato il gruppo da Potenza al bosco di Cirigliano, area scelta per il primo accampamento notturno, e a Castelmezzano e Pietrapertosa all’interno del parco Gallipoli Cognato - Piccole Dolomiti Lucane. La spedizione è stata in costante contatto con gli assistenti sociali dell’Inail ed è stata accompagnata dai volontari del Ceas di Montescaglioso. Sempre presente, inoltre, il corpo forestale dello Stato, che pur con mezzi meno attrezzati rispetto ai fuoristrada della carovana, li ha affiancati in ogni momento del percorso, in qualsiasi condizione di clima e di terreno mostrando grande professionalità e senso del dovere. Durante la seconda giornata i partecipanti hanno potuto contemplare lo spettacolo naturale dei calanchi, visitare Aliano e la pinacoteca dedicata a Carlo Levi. Muovendo successivamente verso Montalbano jonico alla volta della Murgia materana e infine dello jazzo Gattini che li ha ospitati per la seconda notte. Durante l’ultima giornata il gruppo ha attraversato la Murgia ammirando lo spettacolo di Matera di notte dal belvedere ed è poi partito per Montescaglioso e il Cea di Policoro. Nel corso dell’ultima tappa il gruppo ha visitato il Ceas e l’abbazia di Montescaglioso ed è stato accolto da Pier Francesco Pellecchia, presidente del parco della Murgia Materana, muovendo poi verso il centro di recupero provinciale dell’oasi dove Gianluca Cirelli, biologo marino, Erica Ottone responsabile medico veterinario e Antonio Colucci, responsabile dell’oasi, li hanno guidati alla scoperta delle tartarughe caretta caretta. La spedizione è stata un successo su tutta la linea ed ha ottenuto un grande risultato: accomunare nel viaggio partecipanti con handicap insieme a normodotati alla scoperta delle meraviglie naturalistiche della Basilicata, ma soprattutto dell’importanza e della forza dell’integrazione e della condivisione di un percorso che più che seguendo le mappe, è da fare dentro se stessi per il superamento di pregiudizi e barriere culturali. Il bilancio dell’iniziativa è decisamente positivo. Pur tra imprevisti e difficoltà, il gruppo si è cementato attraverso entusiasmo, condivisione e collaborazione. All’inizio di novembre sono stati presentati pubblicamente i risultati della manifestazione, riassunti in un video racconto dell’esperienza e arricchito da brevi pillole girate per documentare l’accessibilità turistica della Basilicata ai diversamente abili; mettendo in evidenza le strutture adeguate e segnalando quelle che necessitano di essere migliorate. si.bra.
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Come affrontare la
ANDREINA SERENA ROMANO
mi piace, perché può rendere ogni persone la protagonista della propria quotidianità.
Barbara GUGLIELMI
n’economista amante dell’Europa e del fashion. Si occupa di vari settori, di politica, di vita sociale, è blogger di moda, racconta le storie di chi ha deciso di investire in Basilicata. Insomma, una donna polivalente e dal carattere deciso che ama rapportarsi al territorio. Una risorsa giovane per la nostra regione. Conosciamo meglio la determinazione della potentina Andreina Serena Romano.
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Ti occupi di economia e di marketing ma da sempre sei legata al mondo della moda e del fashion, come nasce questa passione e come la porti avanti nella tua quotidianità? Vorrei sottolineare che il sistema moda è un sistema economico a tutti gli effetti. Anzi, probabilmente, è uno tra i primi a dettare ciò che il mercato sceglie e cerca. È totalmente autonomo da qualsiasi dinamica di mercato esterna, perché è lui stesso a fare e scegliere ciò che è giusto in un determinato momento. La moda è bella perché non è solo mercato ma è spesso passione; è un modo di essere, uno strumento per presentarsi e un mezzo per esprimersi. Per questo
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Sul tuo sito internet ti presenti così “Economista , marketer e fashionista. Amante dell’Europa con sangue italiano. Mi piace parlare di politica, di vita pubblica e sociale, sempre con un tocco di stile”. Qual è il tuo tocco di stile personale col quale affronti gli argomenti di cui ti occupi? Prima di tutto c'è lo stile, che non è solo il modo di vestire ma anche il modo di porsi e di affrontare ogni situazione. Mediare, parlare e sapersi presentare è importante soprattutto quando hai a che fare costantemente con clienti provenienti da ogni luogo. Questo è prima di tutto lo stile per me: sapere come affrontare ogni situazione. Seguendoti sui social è evidente quanto sia importante per te parlare delle realtà con le quali vieni in contatto e quanto questo ti appassioni. Da dove nasce questo bisogno? E’ importante mostrare e far parlare quello che ci sta attorno, spiegandolo dal nostro punto di vista. Non sempre tutto é visibile per tutti, serve quell'occhio in più che non sempre è presente: a volte è quello critico, altre è quello romantico. Sempre propositivo mai distruttivo. Adesso serve crescere e appassionare. Dopo il percorso di studi ed esperienze che hai fatto in giro per l’Italia e per
VITA con STILE l’Europa, hai deciso di tornare, con la valigia carica di tante esperienze e conoscenze, nella tua città natìa, Potenza. Cosa ti ha spinto a prendere questa decisione? E quanto è difficile, se lo è, credere in questa scelta? Una difficoltà iniziale c'è stata, non lo nego. Forse perché la nostra regione e la mia città è ancora avulsa alle dinamiche di mercato. Sentivo però che il mio posto era questo: sento di essere parte attiva di un cambiamento che inizia a sentirsi rumorosamente anche qui da noi. E indubbiamente, la mia esperienza fuori è non solo un qualcosa in più per me ma anche qualcosa che posso offrire alla mia comunità. Come hai trovato la Basilicata al tuo rientro? Cinque anni fa era ancora ferma: ricordava una donna anziana persa nei suoi ricordi. Con gli anni è cambiato qualcosa: i giovani si sono riposizionati, hanno iniziato a parlare, la tecnologia ha reso la società più connessa e adesso sono tante le sfide che possiamo portare avanti. A testa alta. Spero che sia questa la Basilicata che lasceremo alla prossima generazione. Ti sei schierata in prima linea a sostegno di Matera Capitale della Cultura 2019. Oggi che questo è una realtà, come credi la Basilicata debba sfruttare questa grande opportunità? Matera 2019 è stata una grande sfida. È una grande opportunità per Matera, per la Basilicata, per il mezzogiorno ma anche per tutto il Mediterraneo. Questa capitale europea della cultura è il giusto strumento per veicolare da un lato il mondo della cultura nella regione ma anche per dare coesione e collaborazione alle tante imprese esistente a livello locale. Quali sono i tuoi progetti futuri? Questa è una domanda molto visionaria. Sono tanti i progetti per il futuro che non saprei come elencarli. Tendo a portare avanti ogni cosa che mi entusiasma, ogni progetto che possa essere importante. Credo che sia questa la chiave di svolta: appassionarsi sempre di ogni cosa che si fa. Se dovessi paragonare la Basilicata ad uno stile, a quale lo assoceresti e perché? Mi viene in mente Donna Karan: multibrand, multigenerazione, sicuramente innovativa ma probabilmente troppo scontata.
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Trekking dell
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’archeologia Tipologia: trekking Partenza: Torre di Satriano Arrivo: Serra Lustrante Distanza: 89 km Difficoltà: escursionistico Fondo: sterrato, asfalto, bosco
Scarica gratuitamente il file GPS del percorso su www.innbasilicata.it
unto iniziale del percorso è Torre di Satriano da cui è visibile un’antica torre normanna dell’XI secolo d.C. Il sito fu occupato sin dal VII-VI secolo a.C.da popolazioni di cultura nord-lucana identificabili con i Peuketiantes. Nel corso del V secolo a.C., con i Lucani, popolo di stirpe oscosabellico, Torre di Satriano diventa il polo centrale di quest’area. In età romana, diventa municipium di Potentia e il suo territorio è occupato da ville e fattorie in uso fino al IV secolo d.C. Attraverso i suggestivi borghi di Sasso di Castalda e Marsico Nuovo si giunge alla Villa di Barricelle situata in contrada Barricelle di Marsicovetere, non distante dall’antica colonia di Grumentum e dall’asse viario della Via Herculea*. La villa è un vasto complesso edilizio con funzionalità produttive e residenziali il cui primo impianto è databile tra il I a.C e il Isecolo d.C. L’importanza del rinvenimento è riconducibile all’attribuzione della proprietà fondiaria alla potente famiglia dei
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Bruttii Praesentes che ha dato i natali a Bruttia Crispina, moglie dell’imperatore Commodo. Dalla villa di Barricelle, seguendo la direzione del fiume Agri, si prosegue per Grumentum situata lungo la via Herculea. E' un' antica città romana, fondata tra il IV- III secolo a.C., teatro di vari episodi bellici. Alle porte della città si consumò lo scontro tra l’esercitoromano e quello cartaginese comandato da Annibale; durante la guerra sociale subì gravi devastazioni. Tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C., la città fu ricostruita e dotata di edifici pubblici di cui restano parti delle strutture architettoniche. Nel 2000 è stato creato il Parco Archeologico di Grumentum in cui è possibile visitare i resti della gloriosa città romana: il teatro di età augustea, i resti di due piccoli templi di epoca imperiale, una domus con pavimenti a mosaico del IV secolo d.C., nel foro, invece, il Capitolium, il Cesareum, i resti di una basilica, l’anfiteatro e il complesso termale.
Punto di arrivo dell’itinerario è il Santuario di Serra Lustrante ad Armento: sito archeologico noto per la scoperta di reperti di straordinario valore come la corona aurea di Critonio e il satiro bronzeo oggi conservati presso l’Antikensammlungen di Monaco di Baviera. L’area archeologica di Serra Lustrante fin dal IV secolo a.C. fu luogo sacro e importante sede di riunione e di aggregazione delle aristocrazie locali dei centri indigeni della media valle, all’interno dell’organizzazione territoriale lucana. *La via Herculea è un'antica strada romana che collegava il Sannio alla Lucania. Realizzata alla fine del III secolo per volere di Diocleziano, deve il suo nome a Massimiano Erculio il quale ne curò il completamento. La via Herculea si staccava dalla via Traiana nel Sannio meridionale per procedere in direzione sud, verso il cuore della Lucania, qui toccava i centri di Venusia, dove incrociava la via Appia, Potentia e Grumentum.
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Lucania s.p.a.
(società poeticamente abbandonata) Danilo VIGNOLA
on c’è niente, toccando il quale, tu possa dire “il mio cuore è pieno” L’uomo è un abisso che chiama l’abisso si narra nella Bibbia. Scrivere versi, come afferma lo scrittore e poeta contemporaneo Davide Rondoni conduce inevitabilmente a vivere questa esperienza; ed il fatto che sembra non esserci nulla che possa compiere il proprio cuore si trasforma immediatamente in una tentazione del nulla. Chi non sente questa tentazione “non può scrivere poesie” sentenzia il poeta e, non solo; non può vivere adeguatamente: “un uomo che dicesse di non aver provato questa sensazione sarebbe falso come un manichino”. Scrivere vuol dire accettare continuamente questo livello del gioco e quindi anche questa tentazione. Quel niente incapace di soddisfare il cuore di una persona è come la distanza fra la parola ed il suo significato: nessuna parola è soddisfatta, mai si compie realmente nel suo significato, chi lavora con le lettere, proprio come chi resta a vivere a sud, lavora con una materia strana che è l’insoddisfazione. Il fatto che ci sia questa sensazione è paradossalmente il segno che qualcosa deve esserci e l’inappagamento può diventare il più grande motore per la ricerca di qualcosa oppure il baratro in cui lasciarsi cadere. Questa è una decisione; nell’uno o nell’altro senso, una scelta consapevole, non un automatismo inevitabile. Con l’andare del tempo però, si è verifica-
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to un fenomeno assai paradossale che sembra portare gli uomini ad introiettare un sentimento che porta ad agire in modo indipendente dalla propria volontà: vittime di quel benessere che provoca una “società in cui v’è poco merito nella virtù ed altrettanto ben poca colpa nell’errore” (ricordando un’intervista a De Andrè). Un’ indulgenza con se stessi questa, del tipo: “quando le cose vanno male non è colpa tua”, che porta a vivere meglio e più serenamente distratti nei confronti della propria società. Antonio Polito, Giornalista e Scrittore, individua l’agente patogeno nelle grandi ideologie del novecento che sembrano aver ridotto il principio di responsabilità nell’individuo. Il secolo scorso, infatti, Freud, con la sua psicanalisi, dimostrava che i comportamenti spesso sono frutto di una lotta di cui non vi è una piena consapevolezza, bensì sono codici interiori e spesso indipendenti dalla volontà, regolamentati dalle tre istanze intrapsichiche dell' “es”, dell' “io” e del “superio”. “E’ l’essere sociale che determina la coscienza” sosteneva Marx togliendo così la responsabilità dall’individuo e accollandola al contesto comunitario in cui il soggetto è inserito. Darwin, intanto, focalizzava nella componente biologica le conseguenti caratteristiche fisico – attitudinali e comportamentali di un individuo. Una decisione o un automatismo, dunque
… nell’uno o nell’altro senso… qual è il meccanismo che illumina la ragione del “vado via dalla Lucania perché non ci sono opportunità, perché non c’è futuro” contrapposto invece alla scelta di non partire, di restare a sud? Forse nell’una le parole si compiono nel proprio significato e nell’altra ragione no? E’ il reale che si contrappone all’insoddisfazione, alla poesia? Dove e di chi è la colpa? Mentre, sempre più, i cartelli “vendesi”, la maggior parte appesi obliqui con le lettere in rosso, unitamente ai meno dolorosi “affittasi”, concedono l’ultima, remota possibilità alle casine ed alle palazzine vissute fino all’ultimo respiro dai nonni che non ci sono più. E’ proprio vero che chi resta ha fallito e solo chi se ne va è bravo davvero?” Ironizzava con amarezza recentemente lo scrittore Saviano su certi cambiamenti di veduta dei meridionali riguardo l’emigrazione: un tempo un fallimento, oggi un vanto. Modificare l’ accento e cucirsi addosso il proprio successo esibendo vestiti alternativi o di gran classe quando si ritorna nei brevi giorni di festa a sud… resta davvero una delle poche possibilità per realizzarsi? Tormento generazionale della gioventù lucana questo, che, con un po’ di fantasia, sembra confondere perfino la poesia in questo caso. Come se, a questo punto, si venisse a creare un duro contraccolpo ripensando ad alcuni ideali della poesia
moderna e di quella più antica: secondo la prima, quella russa di Mandelstein ad esempio, bisogna “amare l’esistenza delle cose più della cosa in se” secondo l’altra, invece, quella che risale al tempo dei trovatori, della Francia di Jaufré Rudel : “l’uomo si nobilita amando un qualcosa che non possiede”. Da che parte volgere il capo? Verso il cambiamento, la modernità? O ricalcare l’antico, le ragioni di sempre? Restare, resistere nell’insoddisfazione di non vedersi compiere. Vivere nella propria regione per la sua esistenza in se, al di la di quello che è. Affrontare distratti la propria condizione immaginando nuove opportunità o andar via, come da un secolo ormai; con l’inevitabile “amor de lonh” sentimento della poesia antica, che si fa bagaglio del cuore di chi lascia i propri ricordi e la propria terra: dama inaccessibile, causa dell’allontanamento. E’ un paesaggio suggestivo che fa da sfondo a concetti metafisici e surrealisti questa Lucania nostra? Magari no; chissà! Di certo la Lucania è una società poeticamente abbandonata, da chi parte indubbiamente, ma forse anche dal vivere serenamente distratto di chi resiste… mentre:
“…altro tempo frastorna la memoria; … e io non so chi va e chi resta”. (tratto da “La casa dei doganieri” E. Montale).
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io sono LUCANO
I AM LUCANO
JE SUIS LUCANO
ICH BIN LUCANO
SOY LUCANO
Я ЛУКИ
我盧肯
I nser to a cura de
Racconti di vite lucane
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Giovanni Lancellotti presenta Pietragalla 365: il documentario collettivo made in Basilicata
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ai nostri lettori
Sempre più protagonisti
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Isabella di Morra e la Lucania Un’analisi comparata dall’esterno
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Due lucani a Lugano. Luca Caricato e Massimo Basile
Se il lettore è il nostro principale interlocutore, è giusto che abbia diritto ad un rapporto diretto con la rivista. Da sempre sono proprio i lettori a fornirci spunti su questioni e tematiche della vita sociale e politica della nostra regione. L’invito che vi rinnoviamo è di collaborare con la redazione segnalandoci notizie, curiosità, avvenimenti che vi hanno particolarmente colpito o, ancora, disagi e disservizi nei quali vi imbattete nel vostro quotidiano.
I nostri contatti:
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www.lucanomagazine.it info@lucanomagazine.it Tel. 0971.476423
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PIETRAGAL IL DOCUMENTARIO
MADE IN BASILICATA Mariassunta TELESCA
i ha provato per primo Ridley Scott con Life in a day, la vita dell’intera umanità in un giorno, poi Gabriele Salvatores con Italy in a day, l’Italia in un giorno, e ora a provarci è Giovanni Lancellotti con Pietragalla 365, cosicché anche la Basilicata avrà il suo documentario collettivo: tre imprese di diversa dimensione e con diverso target. Giovanni, “cantastorie” pietragallese di 35 anni, dopo aver inviato il suo contributo per la realizzazione dell’opera di Salvatores, girata dagli italiani il 26 ottobre 2013 e presentata il 27 settembre 2014, ha deciso di pren-
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dere la palla al balzo e realizzare, da documentarista e filmmaker, Pietragalla 365: «Mi sento italiano, mi sento lucano, ma sono prima di tutto italiano – spiega - e raccontando storie della mia terra mi è venuto naturale partecipare a Italy in a day; quello che ho raccontato è quello che
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ho visto il 26 ottobre: un mio amico la mattina andava a lavorare in una ferriera, una signora nella vigna che vendemmiava. Ho raccontato la storia di Rocco, che è uno dei pochi banditori rimasti in Basilicata, che dice il bando ogni mattina, rappresentando uno spaccato sulla difficoltà del lavoro, poi-
LA 365 COLLETTIVO
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ché non guadagna tantissimo ma sorride. E Salvatores ci ha creduto anche lui, come me. Allora ho proposto ai miei paesani di raccontare in video, la loro vita, quello che davvero fanno in un paesino di 3000 abitanti, nell’arco dell’anno 2014, da Gennaio a Dicembre, perchè in un paese non puoi
pretendere di avere tanti video in un giorno.» Al progetto, in collaborazione con la Pro Loco, possono partecipare tutti coloro i quali hanno un filo comune con Pietragalla: chi la vive ogni giorno, chi per lavoro o per studio è emigrato, o chi è un semplice turista. Basta prendere una videocamera, un telefono, anche vecchio, come suggeriscono i testimonial del video promo, per riprendere qualunque momento della comunità e fissare la propria quotidianità, tutti i giorni, tutto l’anno, in tutte le stagioni, così da raccontare Pietragalla, far sapere che c’è, come si vive, lati positivi e negativi, ciò che è nascosto, quelle che sono le tradizioni. Oggi con uno smartphone lo strumento video é alla portata di tutti, permettendo di ottenere anche buoni risultati, eppure si ha un calo di contenuti, sembra non esserci nulla da raccontare, oppure si ha paura di esprimere le proprie opinioni. Giovanni a questa riflessione risponde dicendo che fino a venti anni fa non c’erano tante macchine fotografiche e la tecnologia non era sviluppata, eppure ci sono arrivate testimonianze video-fotgrafiche, custodite gelosamente, di quella che era la vita di quegli
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anni; oggi, invece, nonostante la tecnologia, non ci sono tantissime foto che raccontano, perché le foto e i video fatte per strada con gli amici, i selfie non sono racconti: raccontare attraverso una foto o un video è riportare la vita con intensità e con passione, a prescindere dal mezzo, che serve per migliorare l’immagine, e quindi la sensazione di quello che si vuol dire. Oggi è molto usata la parola reportage, che significa “riportare” ciò che è successo, come nel documentario. Fare un documentario o un reportage su un piccolo paese o un piccolo centro, così come sulla nostra Regione, però, non deve per forza significare mostrare le bellezze paesaggistiche e architettoniche, o l’aria fina, il vino buono e il buon cibo, ma neanche dare necessariamente un’immagine negativa, bensì cercare un’altra chiave di lettura, ricercare. Proprio dal desiderio di Giovanni di lasciare un segno, un documento, un suo pensiero, nasce la sua attività di filmmaker. Chiedendogli perché ha scelto di intraprendere questa carriera, risponde: «Cosa mi ha spinto a fare il filmmaker? I racconti di mio nonno, semplicemente quello: perché lasciare nella mia testa i racconti della gente? Perché sognare e basta?! I sogni sono tutto quello che noi abbiamo, no? Sembra una frase fatta, ma è la verità! E fare un video è rivedere quello che si immagina o quello che ti raccontano, è un riportare.» In Italy in a day tante persone hanno parlato a una telecamera raccontandosi: è quello che spera per Pietragalla 365: non ricevere solo compleanni, feste o eventi allegri, ma storie comuni di vita reale, della gente lucana, che gioisce, soffre, sogna, spera. «Spero che qualcuno esca con un telefonino e racconti anche le sue piccole storie - dice - perché alle persone interessano anche le piccole storie, non per forza le storie fantastiche e fantascientifiche; non mi aspetto per forza che lo facciano domani, ma mi aspetto anche che il lavoro del fimlmaker, del documentario, del video sia recepito in modo più vero, più bello».
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Isabella di Morra
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e la Lucania
Un’analisi comparata dall’esterno Maria Ilenia Crifò Ceraolo
ino a un anno e mezzo fa conoscevo molto poco la poetessa Isabella di Morra. Tutt’al più ricordavo vagamente di aver letto il suo nome fra quello delle petrarchiste cinquecentesche, ma non avevo la più pallida idea di quale fosse la sua storia, e sconoscevo persino quale fosse la sua provenienza. Forse è stato il caso che me l’ha fatta incontrare, quando ho deciso di scegliere Letterature Comparate come materia della mia tesi di laurea specialistica in Filologia Moderna presso l’Università degli Studi di Messina. In quell’occasione infatti, mentre cercavo un parallelo fra la poesia femminile cinquecentesca italiana e quella francese, il mio relatore prof. Carlo Donà mi suggerì il nome di Isabella. Da quel momento è partito un lungo lavoro di ricerca che in buona parte l’ha riguardata e che ha avuto la sua vera e propria concretizzazione nella mia laurea, conseguita a Luglio 2014 con una tesi dal titolo Isabella di Morra e Pernette du Guillet: percorsi di versi nel Cinquecento (votazione 110/110). Nella mia tesi ho svolto un’analisi comparata fra l’opera di Isabella di Morra (un canzoniere composto da quattordici poesie) e quella della poetessa francese Pernette du
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Guillet (Rymes de gentille et vertueuse dame Pernette Lyonnaise), individuandone i punti di contatto e le peculiarità, nonché le modalità con le quali Isabella e Pernette agirono sul modello letterario di riferimento, costituito dal Canzoniere di Francesco Petrarca. Inoltre, mi sono soffermata anche sull’analisi del contesto geografico e socio-culturale nel quale le due poetesse trascorsero la loro breve vita. Lo scopo del mio lavoro di ricerca è stato in particolare, sia quello di mettere in luce l’originalità con cui le due petrarchiste del Cinquecento rielaborarono gli stilemi petrarcheschi, differenziandosi l’una dall’altra, sia di dimostrare come tale diversità di approcci venne in gran parte influenzata dalla loro vicenda biografica, oltre che dall’humus culturale di entrambe, cioè a dire quello di Valsinni per Isabella di Morra e quello di Lione per Pernette du Guillet. Nel caso specifico di Isabella di Morra, il suo esile corpus poetico è stato un fondamentale tramite che mi ha permesso di conoscerne la personalità e i luoghi da lei vissuti, poiché fortemente autobiografico. All’interno di esso, infatti, si ritrovano ampi riferimenti alla sua infelice esistenza (stroncata in giovanissima età dai fratelli, pare
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per i suoi rapporti con il castellano Diego Sandoval De Castro) e alla Lucania (leggendo il canzoniere ho conosciuto il fiume Sinni, il Monte Coppola, Valsinni, Senise, a tal punto da riuscire a immaginarli e a farli diventare quasi reali), per la quale la poetessa provava simultaneamente un sentimento di amore e odio. Rispetto alla poetessa lionese Pernette du Guillet, a lei contemporanea, la condizione esistenziale di Isabella, si diceva, non fu certamente rosea, tanto più che quest’ultima poté nemmeno far conoscere il proprio talento finché rimase in vita, non soltanto per la difficile accessibilità del luogo in cui si trovava il suo castello, ma soprattutto perché il suo status di donna la rendeva
svantaggiata agli occhi di una mentalità locale ancora non particolarmente aperta. In ragione di ciò, il tracciato che viene dato della parte di Lucania che ella abitava, non è in tutta verità sempre lusinghiero, mentre le ampie descrizioni paesaggistiche spesso si soffermano sugli aspetti più ‘aspri’ della natura. Nonostante tutto però, in più di un caso traspare un profondo legame fra la poetessa lucana e la propria terra, le cui radici si evidenziano nella passionalità emotiva trasmessa dalla sua poesia, fin’anche in quella a carattere religioso, se si guarda ad esempio alle canzoni (l’una rifacimento dell’altra) “Signor, che insino a qui, tua gran mercede e Signor, ch’insino a qui, tua gran
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mercede”. Credo che la Basilicata sia una terra preziosa, forse poco conosciuta, e che debba essere fiera di annoverare fra i suoi talenti una donna come Isabella di Morra, con la quale fu a suo tempo probabilmente un po’ ingiusta e sicuramente poco generosa. Tuttavia, è pur vero che parte dell’ispirazione poetica morriana la si deve proprio a quell’ambiente geografico e socio-culturale a tratti ‘aspro’ e ‘chiuso’, ma che contorna meravigliosamente i versi della poetessa lucana. Versi che ti fanno desiderare di vederli un giorno quei luoghi, di respirarli e di cercare nel mormorio delle acque del fiume Sinni il sussurro dolce delle poesie di Isabella.
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DUE LUCANI A LUGANO LineS for Stars da Leonardo ingegnere e artista a Maxtin e alle automobili più moderne Elisa CASALETTO
uca Caricato nasce a Potenza nel 1975, cresce coltivando la passione per il disegno, la pittura, la regia cinematografica, i cartoni animati e la scrittura. Nell’Ottobre del 2007 pubblica una monografia su Leonardo da Vinci: Scibile, Invisibile, Proibito che è frutto di una sua rivisitazione della sua tesi di laurea discussa nel 2006 presso l’Università degli Studi della Basilicata. Grazie appunto alle sue tesi su Leonardo da Vinci è stato ospite in diverse trasmissioni televisive. Massimo Basile, in arte Maxtin, nasce a Torino nel 1975, ma ben presto si trasferisce in terra lucana, dove trascorre la sua giovinezza. Il suo animo cosmopolita lo spinge fuori dall’Italia e lo porta in
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Inghilterra, in Francia e in Spagna che influenzano la sua arte autodidatta. Marxtin ama racchiudere e definire le caratteristiche della sua arte in GeomArt. Attualmente vive in Svizzera, dove è possibile visionare le sue opere in esposizione permanente. Questi due uomini oltre ad avere entrambi origine lucane ed essere nati entrambi nello stesso anno, hanno in comune una forte passione per l’arte che li ha visti protagonisti a Lugano per l’evento LineS for Stars Mercedes- Benz e Maxtin che si è tenuto nello Show-Room Mercedes-Benz. Luca Caricato attraverso un video e la sua voce che recitava alcune frasi di Leonardo da Vinci ha introdotto la sua teoria anche se non è entrato troppo in merito nonostante
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fosse stato sollecitato a parlarne. In base al suo lavoro ha descritto il concetto di linea che altro non è che un insieme di punti o meglio per dirlo alla da Vinci è un punto in movimento. Leonardo da Vinci voleva trovare un metodo generale per stabilire le aree di superfici circondate da curve, così cerca di definire il punto, la linea, la superficie ed il solido, in maniera differente da Euclide. Il punto è quello nel quale nessuna cosa può essere minore...la linea è fatta dal moto del punto...mentre la superficie a sua volta è data da una linea in movimento. Ed è sulla superficie che Leonardo rende visibili le sue opere d'arte. Lo fa seguendo quelle linee; linee invisibili in grado di suggerire le proporzioni, la prospettiva e le armonie dell'opera. La linea esoterica è la linea invisibile, sul quale asse ruotano e si fondono le immagini diritte e speculari dei più misteriosi dipinti. Attraverso questa linea Leonardo ci restituisce delle immagini invisibili, cariche di messaggi che sono destinati ad arrivare lontano...lì, verso altre linee che disegnano macchine, ricche di tecnica e d’innovazione, di design ed eleganza... Linee che si rivolgono al futuro, alle stelle... LineS for Stars. Nel 1478 Leonardo inventa quella che può essere considerata a tutti gli effetti la madre della moderna automobile (il carro semovente). Luca ha spiegato che le opere di Leonardo da Vinci sono ricche di linee invisibili, come la linea esoterica che è quella paventata nei suoi studi, così ha tracciato una linea tra Leonardo pittore e scienziato. Maxtin, l’artista presentato da Luca Caricato, è l’ideatore di opere che si distinguono per geometrie lineari e brillanti per le forme solide e tridimensionali che sembrano trasformare le tele, i quadri in Opere Scultoree e che rendono il suo stile unico, inconfondibile e semplicemente inequivocabile. Allo Show – Room Mercedes – Benz Maxtin ha presentato ben cinque opere concepite e ispirate esclusivamente per il marchio Mercedes- Benz. Oltre a queste opere ha esposto ben sei quadri della sua GeomArt. Il quadro della serata e' stato Universe Mercedes-Benz, un quadro 100x60 realizzato con 3000 original swarovsky inseriti a mano uno a uno per un effetto visivo straordinario. Non è mancata all’appello nemmeno la sua linea di Bottiglie Maxtin Wine Art, la limited Edition da 100 Esemplari e la Constellation con i segni zodiacali. Le sue opere s’ispirano alla gioia di vivere… i colori sono vivi, le forme sono solari, piacevoli, la tecnica è pulita e precisa. Vederli illumina, danno serenità... e come puntualizza Maxtin: «quando vedo una persona che guarda un mio quadro e sorride allora per me la mia arte ha fatto centro».
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La lingua e la cultura italiana nelle iniziative del Comitato
“Dante Alighieri” Montemilone-Venosa ’inaugurazione ufficiale della sede venosina del Comitato Dante Alighieri Montemilone-Venosa può essere per la comunità venosina l’occasione giusta per iniziare a guardare al proprio patrimonio con una cura particolare al fine di migliorare, con le loro iniziative e proposte, la conoscenza del territorio, di riuscire a leggerne nelle pieghe e a captare con un occhio critico e inusuale, risorse, capacità, potenzialità. Tra le occasioni per proporsi alla comunità locale, e per cementificare il gruppo di lavoro che aderisce alle iniziative è previsto «il prossimo 7 dicembre in un
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ristorante di Venosa il pranzo degli auguri di Natale a cui sono invitati tutti i soci e famiglie e simpatizzanti. Tra i nuovi progetti – dice il presidente Giuseppe Pellegrino – ho lanciato l'idea di creare nella nostro Comitato un gruppo di lavoro per verificare come e cosa fare per promuovere a livello nazionale, attraverso l'UNESCO, il riconoscimento delle Catacombe Ebraiche di Venosa come patrimonio mondiale dell'umanità, utilizzando una vetrina internazionale come la Società Dante Alighieri come Comitato Siamo a disposizione di chiunque vuole il bene di Venosa (autorità
e associazioni), collegandoci a Matera quale Capitale Europea della Cultura» ha concluso Pellegrino. «Lo scopo della Società Dante Alighieri è diffondere la lingua e la cultura italiana nel mondo. Nel nostro caso, quello del comitato locale, di promuovere il nostro territorio. Perciò abbiamo organizzato un viaggio presso il Parco della Grancia, per conoscerci, ma anche per portare le nostre attività al di fuori della nostra realtà, per relazionarci con la comunità. Tutto ciò che è cultura da noi è benvenuto, come siamo lieti di accogliere chi ha voglia di costruire insie-
me a noi. È stato indetto un bando di concorso dedicato ai componimenti lirici inediti ispirati al proprio luogo nativo, un bando che scadeva a fine luglio ma che è stato prorogato da settembre fino al 30 novembre con successiva premiazione. Il viaggio presso la Grancia - ha aggiunto la vicepresidente Angela Ianniello - si è svolto lo scorso 6 settembre. Siamo riusciti nell’intento di portare 40 persone con un pulman, siamo arrivati nel primo pomeriggio, giusto in tempo per visitare lo spettacolo della Falconeria, proseguendo con le degustazioni di prodotti tipici, con gli altri momenti di attrattiva. In serata, abbiamo potuto assistere al grande Cinespettacolo della “Storia Bandita”, racconto storico dedicato a Carmine Crocco e ambientato negli anni del Brigantaggio». Tra le iniziative già realizzate, nel corso di quest’anno vi è stato l’incontro “Foscolo, il primo poeta moderno” organizzato lo scorso mese d’aprile con il professore Renzo Scarabello, studioso e intellettuale, vicepresidente del comitato Dante Alighieri di Foggia che, da poco, è venuto a mancare, colpendo nel dolore profondo sia il comitato locale foggiano sia il comitato Montemilone-Venosa si è stretto con rammarico intorno a questa perdita importante. Il Comitato svolge un’attività abbastanza capillare già dal mese di febbraio, allo scopo di creare un ponte di relazione tra due realtà limitrofe, Venosa e Montemilone, accomunate da culture e tradizioni, per taluni aspetti analoghe, per tali altri profondamente diverse. Vi è anche l’intento di aprire gli orizzonti, condurre per mano i cittadini di un’intera comunità, il Vulture-Melfese e l’Alto
Bradano, a comprendere il valore di un patrimonio culturale che appartiene non solo ai cultori delle tradizioni italianistiche, ma indistintamente a tutti, nel pieno rispetto delle diversità di appartenenza. Portare alla luce del mondo le viscere della propria lingua e delle proprie tradizioni è una traccia unica e indelebile. Le origini linguistiche sono la testimonianza socioculturale e antropologica di una autenticità identitaria; un vestigio avvallato dal desiderio di appartenenza a un territorio che, pur con le sue difficoltà, può divenire prova di verità. Il Comitato lucano fa parte della Società Nazionale “Dante Alighieri” che si ramifica sul territorio nazionale con comitati, da nord a sud, e si prefigge il fine di promuovere con diversi progetti non solo la lingua ma anche la cultura italiana tout court. Per chi volesse conoscerli, nel dettaglio, potrà collegarsi al sito ladante.it dove potrà visitare i diversi moduli: “Insegnare l’Italiano”, “Imparare l’Italiano”, “Certificazione internazionale Plida (Progetto di lingua Italiana
Dante Alighieri)” e la sezione “Arte e cultura” con tutte le iniziative e i progetti promossi dal portale ArtWireless “La cultura viaggia senza fili. Portale di informazione dell’arte” In particolare il Plida è un progetto che permetterà a formatori, esaminatori e aspiranti insegnanti di conseguire un certificato ufficiale, valido a livello internazionale, e attestante la conoscenza e competenza della lingua italiana come lingua straniera, secondo i livelli proposti dal quadro normativo europeo. Invece per avere novità circa le iniziative territoriali lucane è sufficiente iscriversi alla pagina facebook www.facebook.com/pages/ComitatoDante-Alighieri-Montemilone-Venosa/ dove l’utente troverà le notizie riferite alle iniziative che svolgeranno in loco, sul territorio vulture-melfese ed, eventualmente, decidere di impegnarsi nel comitato. Tra le altre iniziative previste per il 2015, ci sarà anche una serata, a sorpresa, dedicata alla presentazione di un libro di un noto autore lucano. ma.gi.fe.
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Notte Bianca de a Villa d’Agri Annalisa Minetti
riempie la piazza con la sua bellissima voce Elisa CASALETTO
e strade di Villa d’Agri si sono vestite di festa per ben dodici ore di spettacolo. Animate da artisti di strada, zumba, dj, giochi, show…animazioni e prestigitazione, esibizioni di danza e ben quattro postazioni di musica che ospitavano varie band tra cui la postazione centrale in piazza Zacchettin dove si è esibita l’ospite d’onore Annalisa Minetti. La Notte Bianca della Solidarietà è stata organizzata dal Comitato Festa, dall’ANT e dalla parrocchia B.V. Addolorata in occasione del Decimo Anniversario in Val d’Agri dell’ANT. La fondazione ANT Italia Onlus, nata nel 1978 per iniziativa dell’Oncologo Franco
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Solidarietà
Pannuti, è il più grande ospedale gratuito a domicilio in Italia, che fornisce assistenza ai malati di tumore e organizza attività di prevenzione oncologica. La sua missione s’ispira all’EUBIOSIA (dal greco, “la buona vita”) perché la dignità della vita va preservata anche durante la malattia e fino all’ultimo istante di vita. La dottoressa Faustini ha parlato degli obiettivi futuri dell’ANT Val d’Agri che riguardano l’ampliamento della rete dei volontari e, soprattutto, l’assistenza con il supporto oltre dei volontari anche di altri operatori sanitari. L’ANT sceglie di curare le persone a casa per far in modo che il malato oncologico possa stare a contatto con i suoi cari e rimanere nel proprio ambiente quale la casa, con i parenti e gli affetti in modo da poter accompagnare durante il percorso della malattia il paziente e non fargli vivere il disagio di essere malato. Vicino la sede ANT Villa d’Agri il gruppo Happy Time Animazione che collabora già da tempo con l’ANT di Villa d’Agri e si muove con loro per fare questo tipo di giornate di beneficenza in giro per tutta la
Valle. La gente che si affollava tra le varie strade di Villa d’Agri giunge in piazza Zacchettin per l’esibizione della vincitrice del Festival di Sanremo 1998 Annalisa Minetti, con la canzone Senza te o con te. Proprio con questa canzone Annalisa chiude il concerto a Villa d’Agri e subito dopo l’ho raggiunta sul palco per una breve intervista. Annalisa cosa ti ha spinto a partecipare alla “Notte Bianca della Solidarietà”? Io sono una persona che in qualche modo rappresenta la solidarietà, sono una persona che spinge le persone a donarsi perché chi dona qualcosa, poi quello che dona rimarrà suo per sempre. Quali sono per te i valori più importanti della vita? La determinazione, il coraggio, la volontà e tanto impegno. Oltre a essere una bravissima cantante, sei anche una scrittrice; infatti, il
22 Ottobre è uscito il tuo libro Iride (Veloce come il vento). Di cosa parla? E’ una biografia della mia vita, voler raccontare attraverso la mia vita delle cose importanti e che nella vita c’è la si può sempre fare. Ritornerai al Festival di Sanremo? Assolutamente si...è nei miei progetti, ma non ora. Vorrei tantissimo impegnarmi per questo progetto atletico che mi vedrà protagonista a Rio e poi dopo di che tornerò a tutto spiano sulla musica. Finalista di Miss Italia, cantante vincitrice del Festival di Sanremo, campionessa olimpica, moglie e madre; quale altro traguardo ti sei proposta? Mi piacerebbe essere in qualche modo sempre la regina del sociale, mi piacerebbe poter spingere attraverso tutti i mezzi di comunicazione che utilizzo che sia musica, sport o tanto altro, a poter in qualche modo coinvolgere l’arte, la mia arte, perché la gente possa ricordarsi che la vita è un grande dono è va sostenuta.
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LAZAZZERA ROCCO Prima Parte
Vincenzo MATASSINI
azazzera Rocco Michele1 nasce a Calatafimi il 1° aprile 1898 da Luigi, Commissario di Pubblica Sicurezza e da Anna Carania, genitori entrambi nativi di Matera. Trascorre gli anni della giovinezza a Matera dove completa gli studi al Liceo Ginnasio “Emanuele Duni” e, conseguita la Licenza Liceale, si iscrive alla Facoltà di Legge presso l’Università di Napoli. Dopo la rotta di Caporetto del 24|26 ottobre 1917, l’esercito italiano è arretrato sulla linea del Piave e grande è la mobilitazione generale per difendere la Patria. Nel 1917 parte volontario per prendere parte alla 1a Guerra Mondiale; viene arruolato in Fanteria e frequenta un Corso per Allievi Sotto Ufficiali di Complemento, terminato il quale successivamente si offre volontario per entrare a far parte del corpo speciale d’assalto degli Arditi della 1a Armata (era prevista una Compagnia di 150 uomini per ogni Reggimento), che agivano in piccole unità
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ed erano dotati di petardi “Thevenot, bombe a mano, pugnali e moschetto (usato raramente), da utilizzare negli assalti alle trincee nemiche, che venivano conquistate ed occupate fino all’arrivo dei rincalzi di Fanteria. Il 23 maggio 1918 il Ten. di Fanteria Rocco Lazazzera, Comandante di un Plotone di Arditi, si guadagna la 1a Croce di Guerra con la seguente motivazione: “Comandante di plotone d’assalto lanciavasi arditamente all’attacco di forte posizione nemica. Fatto segno a nutrito fuoco di mitragliatrici e lancio di bombe a mano, che procurava ai suoi uomini gravi perdite, tenacemente persisteva, non ritirandosi che dietro ordine tassativo, Zugna Torta”. La località di Zugna Torta (m. 1257) si trova a metà costa sul monte Coni Zugna (m. 1856), sopra la frazione Albaredo del Comune di Vallarsa, nei pressi di Rovereto. Proprio in questo settore nel maggio 1916 durante la “Strafexpedition” l’eser-
cito italiano riuscì a contenere, grazie ad una serie di sbarramenti difensivi, l’avanzata delle truppe austro ungariche e successivamente il 23 maggio 1918 gli Arditi, comandati da Rocco Lazazzera, provarono con azione isolata, a prendere possesso della così detta Trincea Gialla, ma senza grossi risultati. Rocco Lazazzera nel successivo luglio 1918 merita una 2a Croce di Guerra con la seguente motivazione: “Nel comando di pattuglia di ricognizione diede belle prove di intelligenza, cosciente audacia e valore, Monte Giovo”. La località Passo (m. 2094) e Punta (m. 2480) di Monte Giovo si trovano nel gruppo montuoso delle Alpi Retiche Orientali, sulla strada che porta a Vipiteno. Agli inizi della 1a Guerra Mondiale gli austriaci avevano fortificato, sulle pendici nord del Monte Altissimo la posizione Dosso Alto di Nago a Quota 703 (sovrastante il Lago di Garda e sulla strada per Rovereto) che cadde in mano italiana il 30 dicembre 1915; riconquistata dagli austriaci il 15 giugno 1918 in concomitanza nella fase iniziale della Battaglia del Solstizio, venne da questi perduta definitivamente il 3 agosto 1918 quando il 29° Reparto d’Assalto degli Alpini, composto in massima parte da Arditi, del quale faceva parte Rocco Lazazzera, con un’azione di sorpresa, riuscì a strappare la Quota 703 di Dosso d’Alto. E proprio il 3 agosto 1918 il Ten. Rocco Lazazzera viene decorato di Medaglia d’Argento al Valore Militare con la seguente motivazione: “Eludendo con grande perizia la vigilanza avversaria, portava i suoi uomini ad appostarsi sotto le postazioni nemiche ed ivi rimaneva per 11 ore consecutive in vigile attesa. Al segnale dell’assalto scattava con impeto alla testa del suo piccolo plotone e, incurante del tiro della fucileria e delle mitragliatrici nemiche, lo trascinava alla conquista della posizione. Dava quindi sotto l’infuriare delle artiglierie avversarie la sua opera infaticabile ad apprestare a difesa il caposaldo espugnato. Esempio di audacia, di abnegazione e di valore, Dosso Alto”. Per tutta la guerra il Ten. Rocco Lazazzera con i suoi Arditi opera in provincia di Trento, nel settore fra Vipiteno e Rovereto, ed il 2 novembre 1918 a Serravalle all’Adige, frazione del Comune di Ala, sulle strada per Rovereto, venne ferito da una pallottola che gli perforò il polmone destro. Gli fu riconosciuta la 1a Medaglia di Bronzo al Valore Militare con la seguente motivazione: “Comandante di una grossa pattuglia d’assalto, attaccò arditamente le ben difese e ben munite linee avversarie, sotto il tiro violento di sbarramento di mitragliatrici. Ferito gravemente non
ebbe che parole di fede nelle buona riuscita dell’operazione. Bello esempio di alto sentimento del dovere”. Il 3 novembre 1918 il 4° Gruppo ed il 29° Reparto d’Assalto Alpino composto esclusivamente da Arditi e comandato dal Maggiore Gastone Gambara2 (che ricomparirà in seguito ) del XXIX Corpo d’Armata, occupano ed entrano per primi in Rovereto e successivamente nello stesso giorno occupano Trento. Probabilmente dopo la fine della guerra il Ten. Rocco Lazazzera completa i suoi studi laureandosi in legge e, rimessosi completamente in salute, chiede di entrare nell’Arma dei Carabinieri ed il 12 dicembre 1920 viene ammesso con il grado di Tenente in servizio permanente effettivo. Intanto dopo la fine della 1a Guerra Mondiale i sentimenti nazionali erano rivolti alla difficile situazione del Carnaro e della Città di Fiume, visto che non era compresa fra gli accordi di pace la sua annessione all’Italia, per cui tutti ritenevano che “la gloria di Vittorio Veneto stava affogando nella vergogna” e che l’Italia, vittoriosa sui campi di battaglia, usciva sconfitta dai Trattati Internazionali. La situazione diede origine all’Avventura di Fiume iniziata il 12 settembre 1919 quando, con il ritiro delle truppe internazionali di interposizione (italiani compresi) avvenne la sollevazione dei fiumani, integrati con l’arrivo di Legionari con a capo Gabriele D’Annunzio che assunse la carica di Reggente della “Repubblica del Carnaro”, rivendicando l’italianità della Città di Fiume. La situazione si protrasse fino al 25 dicembre 1920 (il cosiddetto Natale di sangue) quando, dopo l’approvazione anche da parte dell’Italia del Trattato di Rapallo e per evitare un inutile spargimento di sangue, visto che erano anche arrivate le truppe regolari dell’esercito italiano guidate dal Generale Enrico Caviglia, Gabriele D’Annunzio decise di porre fine all’Avventura di Fiume. Con l’esercito italiano arrivarono a Fiume anche i Carabinieri. Fra questi si registra la presenza del Ten. Rocco Lazazzera che per la sua opera merita il seguente Encomio: “Comandato a delicata missione in Fiume assolveva il suo compito con vera abnegazione, con altissimo sentimento del dovere e spirito di disciplina, Agosto-Novembre 1921”. L’anno dopo, sempre come responsabile a Bari dell’ordine pubblico, riceve un altro Encomio: “In occasione di gravi tumulti in conseguenza di sciopero generale, concorse efficacemente alla tutela dell’ordine pubblico, dirigendo con perizia i propri dipendenti dando prova di zelo, ardimento ed alto sentimento del dovere, 2-3 Agosto 1922”. Riprende anche la sua attività di studioso, con molte traduzioni in materia giuridica
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sociale ed economica da riviste tedesche, spagnole e francesi e nel 1924 pubblica “La Nuvola Porpora”, traduzione del romanzo di fantascienza pubblicato nel 1901 “The Purple Cloud” di Matthew Phipps Shiel, avente per soggetto un viaggio al Polo Nord e la quasi estinzione dell’umanità a causa di una nube venefica. Sempre come volontario, il Ten. Rocco Lazazzera dal febbraio 1924 al 1925 partecipa col Regio Corpo Truppe Coloniali alla rioccupazione della parte interna della Libia, visto che in precedenza gli italiani si erano preoccupati di prendere possesso soltanto di tutta la fascia costiera, senza penetrare di molto nell’interno. Rientrato in Italia presta servizio nelle Legioni Carabinieri di Palermo, Trento e Roma e nel 1925 pubblica “Fiamme d’assalto”, un libro sugli Arditi e in Italia o forse in Libia sempre nel 1925, prendendo spunto dal trasferimento in Libia del 29° Reparto d’Assalto Alpini del quale aveva fatto parte, scrive un romanzo di ambiente coloniale “Kaddugia”, raccontando la storia dello stesso Reparto, a partire dalla Grande Guerra 1915-18 e fino alle ultime operazioni in Libia. Nel 1931 pubblica “Finn Malmgren, l’Eroe Polare”, biografia dello scienziato svedese che partecipò alla spedizione Nobile al Polo Nord (senza la nube venefica) col Dirigibile Italia, ricca di documentazione attinta direttamente in Svezia e molto apprezzata in quella nazione. In una delle poche copie di quest’ultimo libro attualmente ancora in circolazione c’è la seguente dedica: “a Salvatore Lastella, con fraterna amicizia sorta nei banchi di scuola, Roma 30 gennaio 1932”. Ma dopo la parentesi letteraria il Ten. Rocco Lazazzera, che ormai abita stabilmente a Roma, trova anche il tempo il 25 febbraio 1933 di unirsi in matrimonio con Brunshacsen Denise (Dionigia), cognome che sembra evocare origini svedesi collegate alla biografia su Finn Malmgren. Dopo la precedente sfortunata campa-
gna d’Africa che portò alla disfatta di Adua del 1° marzo 1896, il fascismo, ormai saldamente al potere, il 3 ottobre 1935 decide di intraprendere la conquista dell’Etiopia per “dare una lezione” all’Imperatore Hailè Salassiè e “vendicare” la precedente sconfitta. Centomila soldati italiani ed un considerevole numero di ascari (truppe coloniali somali), al comando del Maresciallo d’Italia Emilio De Bono, iniziano ad avanzare in Eritrea dalle loro basi in Somalia. Questa volta l’intervento italiano avviene con un corpo di spedizione di quasi cinquecentomila uomini e con l’appoggio dell’Arma Aerea. Il Ten. Rocco Lazazzera partecipa come volontario ed alla stessa guerra prende parte anche il Maggiore Gastone Gambara, già Comandante durante la Grande Guerra del 29° Reparto d’Assalto Alpino, che in Africa Orientale si guadagna la promozione a Colonnello. Il 5 ottobre tre Corpi d’Armata occupano Adigrat, il 6 ottobre occupano Adua ed il 15 ottobre viene conquistata Axum, la capitale religiosa dell’Etiopia, famosa per i suoi obelischi. Macallè viene occupata l’8 novembre ed il 28 novembre De Bono, ritenuto da Mussolini troppo cauto nell’avanzata, viene sostituito dal Maresciallo Pietro Badoglio che proprio a Macallè stabilisce il suo quartiere generale. Gli abissini, al comando di Ras Immirù, il 14 dicembre contrattaccano e, superato il fiume Tacazzè, impegnano gli italiani riuscendo a rioccupare tutto lo Scirè; contemporaneamente le truppe di Ras Cassa e Ras Sejum attaccano gli italiani che si erano spinti fino a Macallè, costringendoli a ritirarsi sulle posizioni fortificate del Passo Uarieu, che sbarra l’accesso alla piana di Macallè. Ed il 27 Dicembre 1935 in Africa Orientale il Ten. Rocco Lazazzera, che come sempre è partito volontario, merita un Encomio: “Addetto ad un comando Carabinieri Reali di una grande unità mobilitata in Africa Orientale presiedeva con particolare abilità, con tenacia di propositi e con rapida azione conclusiva
ad una lunga serie di servizi disposti nella zona confinante col nemico riuscendo così ad assicurare alla giustizia numerosi emissari nemici organizzati in grave attività delittuosa di spionaggio a nostra danno e provocando in loro confronto, con gli elementi raccolti, esemplari condanne”. Il 20 gennaio 1936 il Maresciallo Badoglio, per evitare che la postazione di Passo Uarieu possa cadere e che gli abissini possano dilagare sulla piana di Macallè, contrattacca e dopo alterne vicende rompe l’assedio che gli abissini avevano posto al Passo Uarieu ed il 24 gennaio termina la 1a Battaglia del Tembien. Ed il 20 gennaio 1936, nella stessa Battaglia del Tembien a Mai Mechenò, il Ten. Rocco Lazazzera sventa un attacco di sorpresa manifestatosi al fianco del Comando Tattico del Corpo d’Armata e viene decorato con Medaglia di Bronzo: “Comandante di due sezioni Carabinieri Reali di scorta al Comando del Corpo d’Armata Eritreo, durante un combattimento nel quale lo stesso Stato Maggiore del Comando veniva attaccato, con ardita azione personale sventava la tenace pressione avversaria. Conduceva quindi all’attacco delle posizioni nemiche che conquistava, concludendo così vittoriosamente lo scontro”. A fine febbraio 1936 gli italiani attaccano le truppe di Ras Immirù che aveva occupato lo Scirè e mentre queste si ritirano per attraversare il fiume Tacazzè, vengono decimate dall’intervento aereo e Ras Immirù poté salvarsi rifugiandosi sulle montagne, lasciando in mano agli italiani tutti i centri più importanti della regione, quali Gondar e Socotà.
NOTE 1) LAZAZZERA Rocco Michele (Calatafimi, Trapani 01.04.1898 - Fronte Greco, Centro Ospedaliero di Berat, 15.04.1941). 2) GAMBARA Gastone (Imola 10.11.1890 Roma 27.02.1962), Generale
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L’ADOLESCENZA e i rischi connessi all’uso dei social network: dal
bullismo cibernetico alla pedopornografia Emanuele PESARINI
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i è tenuta dal 28 Settembre al 4 Ottobre 2014 la Settimana del Benessere Psicologico, manifestazione ideata e curata dall’Ordine degli Psicologi della Basilicata e giunta alla seconda edizione. L’iniziativa, nata allo scopo di promuovere oltre al ruolo e alla figura professionale dello psicologo nella società odierna, anche la cultura del benessere psico-fisico individuale e sociale, si fonda su un concetto di salute che si configura in primo luogo come prevenzione dei disagi legati alle problematiche della vita quotidiana, specie nei periodi particolarmente stressanti. L’edizione 2014 ha goduto del patrocinio di ben trentuno Comuni della Basilicata, ventotto dei quali interessati alla realizzazione di oltre cinquanta convegni su tematiche di natura psicologica. Tanti i temi che sono stati discussi durante la settimana, dalla relazione di aiuto nei casi di malattia oncologica al benessere psicologico negli anziani, dal come gestire le varie forme di ansia (attacchi di panico, fobie) ai suggerimenti su come liberarsi dall’obesità o quelli relativi alla capacità di comunicare le emozioni. Ma spazio anche ai modi per imparare a conoscere ed affrontare lo stress e alle dipendenze dalle nuove droghe, come ad esempio il gioco d’azzardo patologico. Nell’ambito della manifestazione regionale, che si distingue da due anni anche per le numerose consulenze psicologiche offerte gratuitamente dagli specialisti iscritti all’Ordine, abbiamo seguito da vicino un seminario, a cura del dott. Antonio Lorusso, responsabile del Dipartimento di Psicologia del Cad (Centro di Ascolto del Disagio) “Potenza Capoluogoˮ, incentrato sui rischi per gli adolescenti che fanno un uso indiscriminato dei social network. L’incontro, tenutosi ad Avigliano presso la Sala Consiliare del Palazzo Comunale, e organizzato in collaborazione con il Cad Potenza Capoluogo ed il Corecom di Basilicata, mirava ad informare il pubblico presente, ed in particolar modo gli adolescenti, sui rischi e i disagi cui è possibile andare incontro quando si impiegano senza consapevolezza le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione. In Italia - ha spiegato lo psicologo “il 57% dei ragazzi/e ha un profilo su un social network. Ne dispone di uno anche il 26 % dei bambini tra i 9 e i 10 anni, il 49% degli 11-12enni ed il 73% di quelli di età compresa tra i 13 e i 14 anniˮ. Partendo da queste statistiche, sono state illustrate durante la relazione i meccanismi psicologici dei pedofili, che impiegano i social network ma anche chat e video-chat per adescare ragazzi/e in base ai propri gusti ed esigenze. In molti casi essi mentono sulla loro età anagrafica, e selezionano le potenziali vittime sulla base di informazioni, ricavabili dai profili individuali e spesso pubblici, quali età, sesso e vicinanza geografica. Molto diffuso nell’ambito della
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pedopornografia, e quindi della pornografia raffigurante soggetti in età pre-puberale, il fenomeno del grooming, ossia l’insieme di quei comportamenti volti ad accattivare la simpatia del minore con l’intento di abbassarne le difese e renderlo una preda più facile. Non è raro il ricorso a tattiche infime, fondate sul ricatto per raggirare e abusare il minore. Tramite slides è stato anche esposto un decalogo riassuntivo delle buone norme da seguire per prevenire disagi nell’uso dei social media: tra queste il non accettare amicizie di persone che non si è sicuri di conoscere, non mostrare parti nude in webcam, non inserire sui social network dati personali come nome, cognome, data e luogo di nascita e soprattutto per i minori non iscriversi ai social network prima del raggiungimento dell’età minima necessaria, ossia 13 anni. L’avv. Giuditta Lamorte, Presidente del Corecom di Basilicata si è invece soffermata sul fenomeno e le forme del bullismo giovanile e sull’attuale normativa legislativa in materia: “il bullismo è un’azione vessatoria rivolta a persone della stessa fascia di età del soggetto intimidatore. Nei bambini e nei ragazzi è un fenomeno che si sviluppa solitamente tra i 7 ed i 14 anni in senso orizzontale, ossia con un accentuato squilibrio di potere tra chi compie l’azione e chi invece la subisce, pur presupponendo per entrambi i soggetti la condivisione del medesimo contesto deviante. Negli episodi di bullismo solitamente viene posto in essere uno schema che prevede il coinvolgimento di almeno 4 individui: il bullo, la vittima, l’aiutante, l’esterno e, in rari casi un difensore, che è l’unico a cercare di contrastare le azioni vessatorie contro la vittima. Le molestie fisiche, psicologiche o verbali si affiancano al cyber-bullismo, ossia la molestia compiuta tramite le moderne tecnologie informatiche. Si va dai messaggi molesti inviati tramite chat alle foto e video che riprendono un soggetto
allo scopo di molestarlo, diffamarlo o infastidirlo successivamente anche tramite la condivisone pubblica con le altre utenze di quelle stesse immagini. Il fenomeno del bullismo non è attualmente codificato da un punto di vista giuridico, per cui non esiste come reato nel codice penale, essendovi delle forme tipizzate per le quali sono già impiegate norme penalmente rilevanti: è il caso ad esempio degli ex articoli 594 e 595 del codice penale relativi rispettivamente al reato di ingiuria e a quello di diffamazione. Non va dimenticato poi come, tra le possibili conseguenze degli atti di bullismo, vi sia il suicidio della figura che ne risulta vittima. Le forme di bullismo indiretto come la violenza psicologica sul minore, sono perseguibili penalmente ai sensi dell’articolo 560 relativo al reato di istigazione al suicidioˮ. La dr.ssa Maria Teresa Muscillo, Presidente del Cad Potenza Capoluogo, psicologa clinica, sessuologa, e psicoterapeuta sistemico-relazionale si è, infine, soffermata sull’ambivalenza strutturale che spesso caratterizza la personalità adolescenziale, sospesa tra il bisogno di appartenenza e quell’istinto di separazione, che si manifesta in relazione alla famiglia e alla percezione del proprio sé. Spesso questa condizione è ravvisabile da un punto di vista sintomatologico nell’acquisizione di dipendenze patologiche, che risultano un tentativo disperato di sostituire una dipendenza sana venuta a mancare, quella della guida di una figura paterna autenticamente genitoriale. Un’assenza che si traduce quindi in presenza spesso sfumata e priva della giusta autorità e senso di responsabilità da parte della figura paterna. Non pochi i casi di tanti adolescenti che finiscono con il sostituirsi nelle famiglie a quel ruolo di guida che invece dovrebbe competere al proprio genitore. Come soluzione più adatta in questi casi è consigliabile indubbiamente la terapia familiare.
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Femminicidio e Molto più di un gioco verbale causa del reiterarsi di atti di violenza sulle donne - dai maltrattamenti, allo stalking, allo stupro, fino all’uccisione è stato coniato un termine forte, femminicidio, neologismo di origine inglese che identifica la violenza estrema come “delitto di genere” in quanto commesso contro la donna “in quanto donna”, secondo la definizione dell’antropologa M. Lagarde. Il termine ha sottolineato e sancito la gravità della violazione dei diritti delle donne, facendolo riconoscere nel diritto umanitario internazionale; focalizzando anche linguisticamente l’attenzione sul problema, ha favorito il passaggio dalla denuncia sociale al riconoscimento giuridico. La violenza diversificata sulle donne e il femminicidio sono fenomeni tragicamente estesi a livello planetario. Solo in Europa si contano migliaia di casi, e così in Italia, dove nell’ultimo decennio la media delle uccisioni è stata molto alta. Ciò che rende il fenomeno ancor più raccapricciante è il suo verificarsi in un contesto familiare o affettivo, e l’età delle donne, tra i 25 e i 54 anni. L’omicida è spesso un familiare stretto, coniuge, partner o ex partner, che agisce alla fine di un rapporto sentimentale, o in tempi di poco successivi. E se di estrema gravità è la situazione femminile in culture “lontane”, accomunate da fanatismi politici e religiosi, regimi dittatoriali, rigore autoritario, dove la padronanza dell’uomo sulla donna è assoluta e il diritto di vita o di morte è addirittura sancito dalla legge - non possiamo poi non sbalordire di fronte al paradosso di un Occidente in cui la persistenza del problema risulta ancora più grave e preoccupante, proprio per il contrasto tra il preteso livello culturale e civile e la triste realtà ... Essì, perchè il fenomeno è esteso a paesi della cui “civiltà” non dovremmo dubitare, come Francia, Regno Unito, Germania, Italia e .. Stati Uniti d’America!
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Teri VOLINI
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Basilicata Purtroppo la nostra regione non è esente dalla violenza di genere: vanta anzi un triste primato, quello dell’ampia nomea di alcune delle vicende più tragiche, come quella di Elisa Claps, nota a livello internazionale. La studentessa 16enne scomparve nel ‘93, e solo 17 anni dopo se ne scoprirono i resti nel sottotetto di una chiesa a Potenza. Per l'omicidio è stato condannato a 30 anni di reclusione Danilo Restivo, ma le indagini conti- Elisa nuano, per i dubbi degli inve- Claps stigatori su presunti silenzi nell'ambiente ecclesiastico locale. Il caso più datato e irrisolto è quello di Ottavia De Luise, una bambina di 12 anni, sparita nel nulla nel ‘75 a Montemurro. A quel tempo Ottazia non vennero attivate neppure De Luise delle vere indagini, e si parlò addirittura della piccola come di “una poco di buono”. Nessuno fu indagato, nessun magistrato si occupò della scomparsa, fino all'archiviazione del caso. C’è poi un delitto annunciato ma non impedito. Anna Rosa Anna Rosa Fontana, 38 anni, materana, Fontana già assalita dal “suo uomo” nel 2005, sopravvissuta a 15 coltellate, non venne protetta da un secondo attacco dell’exconvivente, che, rilasciato dopo soli due anni - seguiti da molestie, minacce, vane denunce - la uccise nel 2010. Nemmeno la legge sullo Grazia stalking riuscì a fermare la Gioviale mano assassina dell’uomo, condannato poi a 30 anni. Nel 2009, fu una ragazza di 18 anni di Potenza, Grazia Gioviale, ad essere trucidata durante un litigio per motivi di gelosia dall’uomo con cui aveva una relazione, che in seguito si suicidò.
Femminilicidio®: Un tragico presente, un passato esemplare
Alla ricerca di soluzioni
Se “la storia” c’insegna che la guerra e la violenza sono esistite da sempre, che sono connaturate al genere umano, che possiamo fare? La gravità della situazione ci porta a chiederci se ciò sia vero, o se non siano esistiti modi di vivere meno deleteri, che possano essere d’esempio per un mondo in cui la pace, il rispetto e la cura della vita siano predominanti, offrendo una speranza a noi umani di oggi. Proviamo a dare uno sguardo al passato più remoto, pre-istorico, poco o niente segnalato dalla storia ufficiale! Scopriremo che nell’Antica Europa, all’incirca tra il 7000 a.c e il 3-2500 a.c, la società era organizzata sulla base di valori egualitari tra uomini e donne (gilania), e solo in un secondo tempo – si parla di molti millenni - una serie di ondate migratorie proveniente dal sud della Russia, ad opera di popoli indoeuropei chiamati Kurgan, imposero un modello androcratico e autoritario (il patriarcato). L’antica civiltà minoica, una cultura della pace Fu la meritoria studiosa e dell’armonia Marija Gimbutas a scoprire con i suoi ritrovamenti archeologici le prove concrete di una modalità pacifica alle origini dell’umanità: "Tale cultura trasse intenso piacere dalle meraviglie naturali di questo mondo. La sua gente non produsse armi letali, né costruì forti in luoghi inaccessibili come avrebbero fatto i successori - neppure quando conobbe la metallurgia. Eresse invece magnifiche tombe-santuari, templi, case confortevoli in villaggi di modeste dimensioni e creò superbe ceramiche e sculture. Fu questo un periodo di notevole creatività e stabilità, un'età libera da conflitto". 1) La sua rivoluzionaria scoperta distrugge la tesi dell’esistenza ab origine della guerra e della violenza come connaturate all’essere umano. Anche la civiltà minoica possedeva tali caratteristiche, ed in tutte le più antiche e misconosciute civiltà matrilineari le donne erano rispettate e divinizzate, proprio perché incarnavano quel principio della Vita che permetteva al genere umano di perpetuarsi: ed era il neolitico! “Nelle splendide immagini degli affreschi della civiltà cretese sopravvissuti ai cataclismi che ne determinarono la scomparsa, è possibile vedere chiaramente quanto elevata fosse la considerazione delle donne: sacerdotesse, tessitrici, creatrici di alta moda, alla guida di carri e capaci persino di toreare insieme ai maschi, in modo incruento, nel gioco della taurocapsia … Oggetto di rispetto come rappresentanti in terra della divinità, esse potevano andare in giro in topless, mostrando il loro seno e l’ombelico come segni di bellezza e fecondità, e come tali, intoccabili da violenza e sopraffazione, dal momento che il loro corpo era considerato sacro”. 2) Di fronte alle prove dell’esistenza di civiltà che si espandevano in bellezza e pace, come nei ritrovamenti dell’Antica Europa e nelle immagini mitologiche di Creta, c’è il riconoscimento del Principio della vita, del Valore femminile e della nostra unità con la Terra: tutto ciò a cui dobbiamo fare ritorno per la sopravvivenza ecologica e dell’umanità, e per cancellare definitivamente dal nostro vocabolario termini come femminicidio e femminilicidio.
Si invocano leggi più severe, provvedimenti atti a proteggere la donna, codici rosa …Tutto questo è indispensabile, almeno per affrontare la situazione presente, per arginare la piena dell’orrore: tuttavia, nulla di tutto ciò è sufficiente per una soluzione definitiva, e neanche delle leggi molto più punitive riuscirebbero a risolvere un problema di planetaria tragicità. Ci dobbiamo rendere conto che occorre un mutamento culturale, un cambio radicale della mentalità comune! Proviamo a partire da una breve riflessione sulle motivazioni che “portano” al femminicidio. Cosa c’è alla base di quest’odio, di questa violenza, se non il desiderio - da parte di un maschile profondamente malato - di avere il possesso, il controllo sulla donna? In verità, ciò è avvenuto in tutto il tempo storico, ed ancor oggi una cultura non sufficientemente equilibrata produce uomini facili alla paranoia, non disposti a dare rispetto né protezione, né a capire il vero significato dell’Amore, che mai può essere potere, costrizione, uso della forza, desiderio di annientamento di un altro essere.. compresi se stessi e gli stessi figli, spesso coinvolti nella follia distruttiva. Ma c’è di peggio: ci rendiamo conto che la violenza non si dirige “solo” contro la donna, ma è sempre più un attacco generalizzato contro il Principio della Vita, di cui il femminile è portatore! Invece di onorare il Valore che ciascuna creatura femminile condivide, e da cui dipende il futuro di ogni specie vivente, nel 3° millennio si abusa della donna e del suo corpo con la stessa feroce noncuranza con cui di abusa dell’habitat. Lo stupro della donna e quello della terra avvengono in contemporanea. Queste considerazioni mi hanno spinto a coniare un termine ancora più complesso rispetto a femminicidio, inclusivo di quella terribile doppia violenza: il FEMMINILICIDIO®: esso ci fa capire che è in gioco la sopravvivenza stessa del genere umano e del pianeta vivente. Non si tratta di un gioco linguistico, dal momento che il termine dichiara l’attentato di una parte insana del genere umano a sé stesso: distruggendo la femmina che porta nel suo ventre le generazioni, le nutre e se ne prende cura da secoli; distruggendo l’ambiente in cui vive e che gli permette di vivere, di respirare, dissetarsi, nutrirsi, e di godere della bellezza, se lasciato intatto e incontaminato. Paradossalmente, quello stesso principio necrofilo, basato sulla pratica costante e mitizzata della guerra e della violenza, dopo aver dominato per i circa 6.000 anni storici, oggi sembra essersi concentrato in una sorta di mostruosa cristallizzazione - continuando a generare ancora guerre, corruzione politica e sociale, un’economia malata, e l’agghiacciante distruzione del pianeta.
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Nasce l’Associazione Scuola del Graffito polistrato montemurrese
Dedicata a Carlo Sellitto l’edizione 2014 della Scuola che tramanda l’arte di Antonello Leone Anna MOLLICA
iccole betoniere, cazzuole, secchi, carriole, spatole. Con questi attrezzi si impastano le sabbie che, miscelate ai colori, formano i cementi. Con matite e righelli invece si disegnano i bozzetti che dal foglio vengono trasferiti sul piano solidificato che l’artista modella graffiandone la parete. Un cantiere. Così si presenta la Scuola del Graffito Polistrato, il laboratorio che da più di dieci anni anima le giornate dell’agosto montemurrese. Anche quest’anno si è ripetuta l’esperienza artistica, unica in Basilicata, voluta da Giuseppe Antonello Leone che a questo paese ha legato la sua esistenza. Amato e stimato artista di fama internazionale, originario della Campania, Leone ha voluto imprimere la sua firma su un progetto nato forse come scommessa. La sua è una tecnica tanto affascinante quanto antica. Richiama le incisioni trovate in grotte sulle cui pareti gli uomini preistorici hanno impresso i segni del loro vissuto (animali, figure antropomorfe, scene di vita) lasciando ai posteri la testimonianza “scritta” e perenne della loro civiltà. In quella proto arte il maestro Leone ha letto l’essen-
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za della vita. La consapevolezza cioè che l’uomo ha avuto, ad un certo punto, di sé e del suo essere al mondo che ha poi inciso consacrando, di fatto, l’arte messaggera degli eventi e soprattutto dello spirito. Leone rielabora quella tecnica realizzando, negli anni ’60 e dopo varie sperimentazioni, un grande graffito composto da 10 strati policromi. Negli anni 2000, con l’amico Mimmo Longobardi, concepisce l’idea del museo a cielo aperto: nascono così le prime opere dedicate a Leonardo Sinisgalli. Da allora la Scuola è andata avanti, ogni anno con un tema diverso. “ Ombra e luce” è il titolo dell’edizione 2014 dedicata al pittore Carlo Sellitto (in origine Infantino) di cui ricorrono i 400 anni dalla morte. Nato a Napoli nel 1581, figlio del montemurrese Sebastiano famoso indoratore e pittore, Carlo diede alla sua arte l’impronta caravaggesca connotandola del contrasto dei chiaroscuri. E proprio al gioco di luci ed ombre si sono ispirati i professionisti lucani, nazionali ed internazionali Silvio Cattani, Anna Lorenzetti, Rossano Liberatore, Gerardo de Castillo, Maya Pacifico, Paolo Bini, nonché
gli allievi, tutti montemurresi, Carmen Candia, Giusy Candia, Lorenzo Chiavone, Valentina Di Biase, Maria Donata Lobosco, Rossella Lobosco. Dal 20 al 30 agosto ognuno di loro, sotto la vigile guida di Ermonde Leone, fratello minore di Antonello, hanno visto emergere graffio dopo graffio il loro disegno dagli strati sovrapposti delle malte ottenute da sabbie del territorio montemurrese. Anche i loro graffiti saranno affissi sui muri del paese andando così ad ampliare il “museo” che ad oggi conta una sessantina di opere, tutte esposte. A distanza di un decennio, dunque, l’esperienza artistica continua e si è ampliata grazie ai graffiti realizzati dalle scuole locali e del circondario e ad una pubblicazione dedicata. Recentemente ha ottenuto il riconoscimento di progetto di interesse regionale da parte della Regione Basilicata. Ed ora che è diventata Associazione Scuola del Graffito Polistrato di Montemurro, presidente Giuliano Leone, spera in cooperazioni con accademie ed università italiane. L’Amministrazione Comunale ha appoggiato sin da subito questo percorso che si avvale anche della collaborazione della locale pro loco. A Montemurro dunque il solco è stato tracciato e sta attirando l’interesse di molti giovani che già operano nelle diverse fasi di realizzazione dei graffiti. Un buon auspicio per questo paese che vuole guardare avanti con gli occhi di una tradizione che, grazie alla tenacia e lungimiranza di alcuni, non potrà scomparire mai.
I 30 ANNI
AVO
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DI POTENZA ei loro visi c’è una grande serenità. Nei loro occhi una luce di gioia. Nella loro voce la rassicurante dolcezza. Le donne e gli uomini dell’ A.V.O. (Associazione Volontari Ospedalieri) possiedono tutto questo insieme alla serietà verso un impegno che portano avanti con fermezza. L’AVO di Potenza esiste da 30 anni. Nasce nel 1984 grazie ad un ristretto gruppo di persone che, guidati da Maria Antonietta Romano, da suor Lucia Intiso e da padre Rosario Messina, ufficializzano una realtà che già da quattro anni aiutava gratuitamente i ricoverati dell’ospedale “San Carlo” di Potenza. Quaranta volontari dotati di una buona preparazione avevano scelto, infatti, di seguire le orme tracciate da Erminio Longhini, primario dell’ospedale di Sesto San Giovanni (MI) che nel 1975 aveva fondato questa Associazione al fine di aiutare i degenti nelle operazioni più semplici come mangiare, bere, vestirsi, lavarsi. Una decisione che nasceva dopo aver constatato l’oggettiva difficoltà che avevano alcuni di loro a provvedere alle necessità anche elementari a causa della malattia. E quindi alla domanda: “A chi tocca aiutarli?” egli si rispose: “A tutti”. Il prof. Longhini diede vita al volontariato ospedaliero che presto ebbe proseliti nel resto d’Italia. Oggi l’AVO
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conta 30.000 volontari suddivisi in 246 sedi sul territorio nazionale. Tra queste c’è l’AVO di Potenza che nel corso degli anni ha ampliato le energie man mano che si veniva a conoscenza del suo operato. Persone che spontaneamente hanno deciso di donare parte del loro tempo libero ai malati degli istituti di cura per portare sollievo, un sorriso, dare loro una mano ma senza sostituirsi ai medici e al personale infermieristico i soli titolati a svolgere le cure medico-sanitarie. La loro è un’attività di supporto che si esplica dopo un’adeguata preparazione alla gestione del paziente verso il quale l’approccio non deve mai essere improvvisato. L’AVO potentina in questi 30 anni ha raccolto una buona dose di esperienza che ha comunicato nelle piazze e nell’università riuscendo ad ottenere l’approvazione anche di tanti giovani. Giovani che hanno dato vita all’A.G. (Avo Giovani) e nel 2013 all’A.G. Basilicata. Oggi Potenza conta 120 volontari che vanno ad unirsi a quelli delle AVO di altri ospedali regionali: Lagonegro, Rionero, Melfi, Venosa. Questo piccolo “esercito” dal 2013 è unito nell’AVO Basilicata presieduto da Natalina Lucia che è anche l’attuale presidente dell’AVO Potenza. Anche loro hanno partecipato alla ricorrenza lo scorso 11 ottobre presso
l’auditorium del “San Carlo” per raccontare insieme ai colleghi potentini, e alla presenza del presidente Federavo nazionale Claudio Lodoli, volontario a sua volta, la loro esperienza. Hanno ricordato momenti, eventi, l’impegno che ogni giorno li conduce nelle corsie degli ospedali dove entrano con il sorriso, la cortesia, la discrezione e a volte anche con la paura, soprattutto quando ci si avvicina al malato per la prima volta. Cercano, per quanto loro possibile, di lenire per un momento la sofferenza, portando avanti una missione che hanno abbracciato da tempo e non hanno mai abbandonato. Dopo una settimana dal convegno l’AVO, presso la palazzina degli uffici dello stesso nosocomio, ha inaugurato la mostra “Color…Avo” composta da 50 opere d’arte, tra fotografie e dipinti, donate da artisti che l’Associazione provvederà a sistemare nei reparti dell’ospedale. Tra la sofferenza entrerà dunque la bellezza ad arricchire questa storia d’amore e di solidarietà che non cura la malattia, ma umilmente l’uomo. an.mo. L’AVO è presso l’Azienda Ospedaliera “San Carlo” di Potenza, padiglione A (1° piano). Tel. 0971/612263 www.avopotenza.altervista.org e-mail: avopotenza@hotmail.it
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I peperoni di Senise
L’oro rosso lucano
La via lucana del benessere Maria Carmela PADULA
a via lucana del benessere ci porta alla scoperta dei Peperoni “cruschi”, peperoni dolci essiccati coltivati nelle campagne di Senise e dei paesi limitrofi (Francavilla Sul Sinni, Chiaromonte, Valsinni, Colobraro, Tursi, Noepoli, San Giorgio Lucano; e sull'Agri: Sant'Arcangelo, Roccanova, Tursi, Montalbano Jonico e Craco). Sono i frutti del Capsicum annuum, un gruppo di varietà botaniche appartenente alla famiglia delle Solanacee. Seminato tra febbraio e marzo e trapiantato a maggio, l’ortaggio si raccoglie nella prima quindicina di agosto. La coltivazione di peperoni dalle caratteristiche simili a quelli di Senise si fa risalire attorno al XV - XVI ai tempi della dominazione spagnola. Essi provenivano infatti dalle Antille, si diffusero nel territorio lucano fino alla selezione dell’attuale varietà, passando dall’uso domestico alla vera e propria diffusione commerciale, conclamatasi grazie al riconoscimento IGP (Indicazione Geografica Protetta) risalente al 1996. Denominati “Oro rosso lucano”, i peperoni senisesi sono diventati così una buona fonte di reddito per i produttori locali, che ogni anno aumentano la produzione di un prodotto la cui disponibilità sul mercato rimane, tuttavia, ancora abbastanza limitata.
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La denominazione IGP è riservata a tre tipi di piccole dimensioni: appuntito, a tronco ed a uncino, i quali devono possedere specifiche caratteristiche all’atto dell’immissione al consumo fresco in termini di colorazione, forma e lunghezza della bacca, spessore della polpa ecc, regolamentate dal “Disciplinare di Produzione dei Peperoni di Senise”. Sebbene leggermente diversi tra loro, i tre ecotipi sono caratterizzati dall’essere dolci e poco carnosi, dall’avere spessore sottile e dal basso contenuto in acqua, per cui può essere facilmente essiccato, esponendolo ai raggi solari. Il picciolo non si separa dalla bacca neanche a essiccazione avvenuta, motivo per il quale è possibile realizzare le cosiddette “nzerte”, ovvero collane di peperoni legati tra loro dalla lunghezza di 1,5-2m con le bacche rosso vinaccia disposte tra loro a spirale angolata. I peperoni cruschi sono pronti quando il loro contenuto in acqua si attesta sul 1012% del peso. I Peperoni di Senise, oltre ad essere utilizzati interi, freschi o essiccati, vengono anche ridotti in una polvere fine molto usata nella gastronomia lucana e nella conciatura dei salumi locali, cui conferiscono colore e gusto caratteristici. Oltre al valore organolettico, all’ortaggio senisese è stato attribuito un valore nutrizionale ottimale
per la presenza di composti ad attività antiossidante, nonché di vitamine e di microelementi. Di particolare rilievo risulta essere l’elevato contenuto di vitamina C, che si attesta intorno al 30% in più rispetto agli altri tipi di peperone. Tale vitamina ha molteplici effetti benefici sulla salute, grazie al suo effetto protettivo e preventivo nei confronti di tumori e malattie cardiovascolari, nonché al suo effetto anti-invecchiamento. Le fibre abbondanti rendono l’ortaggio molto interessante dal punto di vista dietetico; il beneficio per la gestione del peso è correlato anche alla presenza di alcuni particolari composti noti come capsaicinoidi, composti cui è stato attribuito, in diversi studi, un aumento significativo del metabolismo basale, dell’ossidazione lipidica e nella regolazione del senso di appetito. La principale rappresentante di queste molecole
bioattive è la capsaicina, presente in particolare nei peperoni piccanti, ma anche in quelli dolci come quello di Senise, se pur in misura minore. La sostanza possiede proprietà analgesiche per cui viene usata come principio attivo in preparati contro i dolori muscolari e reumatici. La capsaicina ha inoltre azione vasodilatatrice, fondamentale per il controllo della pressione arteriosa e del rischio cardiovascolare. Possiede altresì proprietà decongestionanti e stimolanti in particolare a livello cutaneo e trova, di conseguenza, impiego per contrastare la caduta dei capelli. Non ci resta che prendere coscienza delle proprietà dell’ortaggio “Made in Basilicata” per un suo consumo consapevole che abbia il doppio vantaggio di valorizzare una risorsa locale e di trarre da questa un beneficio in termini di salute.
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T R A L E R I G H E
I CENTO LIBRI
CHE RENDONO PIU’ RICCA LA NOSTRA VITA
IL L LIBRO DI PIERO DORFLES
n realtà sono 101 i titoli dei libri riportati in questo testo. Opere entrate nell’immaginario letterario collettivo o perché lette o perché se ne è sentito parlare, rese immortali dai racconti narrati, dai personaggi che li hanno interpretati, dai modi di dire e frasi coniate da autori la cui genialità, fantasia, intelletto e sensibilità li cristallizzati nella storia della Dobbiamo riuscire ha letteratura. I cento libri che a vivere la lettura come rendono più ricca la nostra vita (Garzanti Editore) è il testo con un’avventura cui Piero Dorfles, giornalista, letterario, curatore per la dello spirito, critico Rai di diversi programmi e televisivi, consaun’esperienza della vita, radiofonici cra quelli che, a suo dire, sono un passaggio i più significativi del panorama letterario mondiale. Romanzi e di maturazione. fiabe scritti tra la fine del e la prima metà del Ogni libro può esserlo. Settecento Novecento da uomini e donne Ma dobbiamo essere che hanno descritto una contemporaneità rivelatasi, poi, disponibili ad accettarlo eterna. Dalla loro fantasia sono mondi dove amori, pascome tale. emersi sioni, emozioni e desideri hanno tessuto le vite di poliedrici personaggi e le loro sinPiero Dorfles golari esperienze, debolezze e pregi. Storie che hanno intersecato quelle di altri nonché i tempi che ne hanno inesorabilmente condizionato i destini. I viaggi di Gulliver, Guerra e pace, Cristo si è fermato a Eboli, Se questo è un uomo, Ventimila leghe sotto i mari, Il conte di Montecristo, Moby Dick, Alice nel Paese delle Meraviglie, Cime tempestose, Le avventure di Pinocchio sono alcuni dei libri che Dorfles ha ripreso suddividendoli in tematiche. Di ciascuno ha anticipato l’elemento comune (avventura, per-
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corsi sociali, la solitudine della vita contemporanea), di ciascuno ha raccontato la trama. Si è inoltrato nell’analisi di situazioni e personalità spiegandone i risvolti e gli insegnamenti che da loro si possono trarre. Ci ha restituito “quel letto tra le righe” che è la linfa del libro, l’essenza che ha mosso l’autore a scriverlo e cosa con esso ha voluto comunicare. Spunti di riflessione, dunque, culminati poi ne La Metamorfosi di Franz Kafka con la quale Dorfles ha chiuso il libro. Contro quella che è la metafora per eccellenza della condizione umana di chi, non conformandosi ai canoni sociali, resta sempre più escluso e solo, l’autore ha contrapposto l’importanza della diversità che si acquisisce con il pensiero critico e l’apertura mentale. Piero Dorfles con questo suo ultimo lavoro letterario ha riaffermato il valore della lettura come parte essenziale della crescita spirituale e razionale dell’uomo, come motore di società libere e democratiche. Dice infatti: “Forse esagero, ma penso che senza lettura sia difficile comprendere quanto ci arricchisce il rapporto con chi è diverso da noi; che senza lettura non si abbia lo stimolo a pensare su come potrebbe essere migliorato il mondo in cui viviamo; che senza lettura è improbabile che si riesca a pensare al futuro come qualcosa il cui andamento dipende da noi. Non ne ho la certezza ma, in definitiva, spero almeno che quante più persone leggono e capiscono Kafka, tanto più difficile sarà che siano insensibili ai problemi degli altri. E al destino dell’uomo”. an.mo
GIOCANDO CON LE SPADE DI LEGNO
IL LIBRO DI DI CAPUA
DONATO
in cuor suo non accetta. Ne asseconda i “La vita, complice il destino, crea degli ritmi pur sperando in cambiamenti che leniincontri che segnano l’esistenza di una molscano i patimenti di tanti giusti soverchiati titudine di persone, incastri che influenzano da un destino che ha deciso altro per loro, i destini di tanta gente ignota”. La riflessioprivandoli di libertà e di mezzi. Sorretto dalla ne è di Donato Di Capua nato a Pietragalla fede in Dio e dall’amore dei genitori va nel 1830. Figlio unico di contadini, è lui il avanti. Lavora assiduamente e con scrupolo protagonista e voce narrante di questo determinato a mantenere vivi gli ideali di romanzo che intreccia realtà e fantasia al libertà che presto condivide con colui che fine di raccontare un trentennio di storia diventerà il simbolo della lotta contro i lucana e nazionale, dai moti insurrezionali, soprusi e suo amico all’Unità d’Italia, al fraterno: Carmine brigantaggio. Attraverso la sua vita Quelle spade di legno si Crocco. Donato e il lupo e il ripercorre questa incrociavano e si battevano Carmine, serpente, due anime transizione, voluta da alcuni, temuta da cruente e veloci, così come inquiete in un mondo che vogliono più altri, poco capita da il loro tocco rappresentava equo, lanciati verso tanti. Giocando con futuro che li vedrà le spade di legno per noi concordia. un uniti, divisi, ancora (Edizioni Kimerik) è il titolo che l’autore, lo Incrociando le spade e uniti ed ancora divisi, un alternarsi di stesso Donato Di alzandole al cielo in situazioni non semCapua, originario di Pietragalla (Potenza) gridavamo libertà,…. pre piacevoli. Due giovani dall’indole dà al suo secondo semplice che, però, lavoro letterario. avverse Tramite il suo alter Donato Di Capua circostanze catapultano nella ego ottocentesco, ferocia di guerre l’autore descrive la insensate dove la società del suo paese lotta per la sopravvivissuta da una moltivenza diventa unica ragione di vita. Due spitudine di braccianti e artigiani alle dipendenriti liberi che il caso mette alla prova spinze della signoria locale e sotto il Regno di gendoli verso scelte dalle quali dipenderà, Napoli. E’ una società che riflette quella di per ciascuno, un diverso corso degli eventi altri paesini dove troppa gente vive di stene che consegneranno Carmine a futura ti piegata al potere di chi, nobile di origini, memoria. ha ampi possedimenti e denaro. Donato Su questo intersecarsi di fatti e persone si abita in questo mondo di ineguaglianze che
staglia la Natura, pacifica testimone di vicende a volte belle a volte brutte, meravigliosa con le sue forme e i suoi colori, sorprendente con i suoi suoni sempre intonati. Radiosa nel diffondere luci intense o sfumate, suggestiva nell’imprimere ombre. Lei magnifica sia in terra che in cielo, docilmente placa cuori indomiti osservando tutti attraverso la luna, i suoi luminosi occhi. Donato di Capua con questo romanzo parla ai cuori. Innalza il valore dei buoni sentimenti, quale l’amore, e quello dei sani principi quali l’altruismo, l’amicizia, la pace, la libertà, l’uguaglianza. Rimarca il rispetto verso gli altri come presupposto necessario per una società più giusta, e verso l’ambiente come condizione indispensabile per la vita sul pianeta. L’autore verserà parte del ricavato della vendita del libro all’Associazione “Il Pozzo della Farfalla” Onlus di Potenza. an.mo.
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T R A L E R I G H E
STORIE DI SOCIALISMO
QUANDO SI SIGNIFICATO PAROLE l PD è entrato nel PSE europeo proponendosi di mutarne struttura e senso, forte del fatto che abbia ricevuto, tra i partiti di sinistra, un consenso maggiore che in altri paesi dell’Europa. Se si dovesse dare credito alla ipotesi di un partito univoce, capace di rappresentare nella sua liquidità tutto e tutti, sarebbe una provocazione insistere sulla storia antica di un socialismo d’altri tempi, pieno di vecchi contrasti e di scissioni. Sarebbe fuori luogo ritornare a porre la questione dell’appartenenza, se alla destra o alla sinistra, e se questa distinzione, al di là della collocazione tradizionale sugli scanni del parlamento, conservi i fondamenti che resero importante. non superata né superabile la riflessione di Bobbio. Tra l’altro di un socialismo che è stato rottamato, il cui pensiero fondante è stato destrutturato e contaminato con i termini del nuovismo e del rinnovismo. Su cui è stata posta la pietra tombale della damnatio memoriae. Eppure di tanto si è parlato in un recente incontro, organizzato per rievocare la storia di un gruppo di socialisti fuoriusciti del PSI nel lontano 1964 per dare vita al PSIUP. Introdotto da Silvano Miceli si è svolto presso il Museo Provinciale di Potenza, nella sala “Lacava”, per presentare il libro di Aldo Agosti, Il partito provvisorio, Storia del PSIUP nel lungo sessantotto italiano, ed Laterza, 2013 pag. 296. Hanno dato il loro contributo al dibattito Giacomo Schettini, Notarangelo, Ivo Persichella. Moderatore il giornalista RAI, Rocco Brancati. Nessuna velleità politica, né il tentativo di
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rivalutare un periodo trascorso o enfatizzare la storia di un partito socialista la cui breve storia coincise con una sconfitta, come ha sottolineato Miceli. Eppure, mettere in mostra come fosse nata l’esperienza del PSIUP e della sua rapida esistenza, simile ad una meteora, come si costruisse e veicolasse un messaggio politico attraverso strumenti di comunicazione, (il Bollettino, prima, fatto con il ciclostile, poi Unità Proletaria, Alternativa sino alla fine della esperienza), sottolineare il portato ed il segno di elaborazione e condivisione, in quella manciata di anni, dal ’64 al ’71, non certo come lo “stai sereno” di oggi, sembra andare al di là della semplice ricostruzione storica di una fase e di un dibattito. Coinvolgente il libro di Agosti, che descrive a distanza, fotografando uomini e donne che fecero quella esperienza, assunsero responsabilità, non scelsero solo per obbedienza ai “fatti oggettivi”, anzi in contrasto sfidando le difficoltà che venivano dal lavoro in fabbrica sulle cui lotte diedero ispirazione e trovarono motivo di rinnovamento, scontrandosi con le logiche di adattamento che il collocamento clientelare lucano garantiva. Il tragico moderno determinato dal fato quasi “colpa”, fattore di quella politica che si pone fra le cose più alte delle attività umane. Nati, a sancire l’ennesima scissione nel PSI, ma anche a sottolineare una “continuità storica” con quella che i fondatori ricordavano come l’esperienza esaltante del PSI del 1943-47. Si riconobbero come quella sinistra del PSI costretta a misurarsi come componente minore ma
RIDA’ ALLE attiva della sinistra e, come tale, ad uscire da un partito che la condannava ad essere “liquidata come corrente”, come accolita di “velleitari impotenti”. La componente di sinistra è stata sempre presente nel PSI, rinsaldata già allo scoppio della prima guerra mondiale, confermata all’epoca della riunione con Turati e Treves, poi con Nenni. Un “massimalismo”, che era stato costretto ad essere tale quando l’avvento del fascismo aveva reso inattuale il riformismo gradualistico costringendo a prendere posizione contro. Entrato in crisi in termini di adesioni e successo elettorale segnato dalle scissioni di Palazzo Barberini, poi dalla lista unica con il PCI, fu il gruppo di Morandi a riattivarlo e a dargli poi struttura e organicità. Spinse verso la formazione del nuovo partito, il primo centro-sinistra pur essendo, in quel momento, le intenzioni di Lombardi e Giolitti quasi un tentativo di rivoluzione passiva e un avanzare verso l’occidente che anche Togliatti considerò un terreno più avanzato di lotta. Poi ci fu una torsione verticistica, un trasformismo povero, per evitare l’impero del consumismo (anche Nenni lo affermò; il consumismo viaggiava sulle am-lire). Nel ’66 si abbozzò una resistenza contro la dimensione subalterna del mondo operaio pensando ad un nuovo modello di sviluppo che si costruisse su una industria non paracadutata dall’alto e sull’agricoltura. Il confronto con l’oggi è impietoso: lavoratori non occupati contro lavoratori occupati, o giovani contro vecchi, o, ancora, l’idea, quasi, che il rapporto uomo tecnica debba
essere rovesciato con il rischio che si vada all’idea che la tecnica faccia uso dell’umanità, quasi a riempire un vuoto di idee. L’autore, Aldo Agosti ha parlato di una stagione importantissima, ricordando quella damnatio memoriae del PSI, del PSIUP e del socialismo. La sua ricerca si è basata sugli archivi delle federazioni, soprattutto periferiche, che conservarono una documentazione ricchissima da cui esce fuori una forte tradizione del socialismo e della sua coscienza di sinistra. Dopo il ‘68- ‘69 –‘70 ed il grande fermento nelle università e nelle fabbriche che Trentin definì secondo biennio rosso, la decadenza fu dovuta ad un disamoramento che l’ambiguità nei confronti della repressione a Praga acuì alienando la simpatia di tanti; ci fu poi l’unificazione PSI-PSDI e la nuova scissione del’69 nel PSI che divenne più partito di lotta. Tra tanta storia resa il quesito. C’è bisogno di socialismo? Di un socialismo che sia radicale nelle sue ambizioni di sinistra? Mentre si liquida la storia stessa di riforme che hanno inciso profondamente sul tessuto sociale del nostro paese, si torna a sentire viva quella storia e la necessità che ci sia una propulsione in un paese che si è standardizzato su un concetto di politica inteso come proiezione univoca del leader tele presentabile e addirittura ventriloqua per ridurre anche le residue forze contrattuali delle classi meno agiate e di quella una volta media. E’ il messaggio lasciato al pubblico, meritevole di una attenta riflessione. ma.to.
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D O L C E & S A L ATO
E’ QUASI NATALE Carla MESSINA
artire per un lungo viaggio che vi porterà lontano non solo fisicamente, ma soprattutto con il cuore e con la mente in territori sconosciuti. Vi sentirete soli. Sarà proprio allora che scoprirete l’infinito che avete dentro e le possibilità che la vita può donarvi. Se solo vi renderete disponibili, non sempre sarà piacevole ma qualunque sia il viaggio sarà bene andare, perché tutto farà parte di voi e tutto troverete dentro di voi. Il bagaglio a mano del percorso sarà la vostra esperienza, solo lei vi darà un appiglio per andare oltre. Capita a volte che la vita prenda di sorpresa, rendendoci schiavi di noi stessi con limiti virtuali eretti a difesa dell'“Io”, ma c’è un modo per guardare oltre, per saltare l’ostacolo, per evitare di anteporre la propria condizione a vantaggio di una crescita collettiva. Credo che ci sia una sola via, un solo percorso, il limite non è nella direzione ma nel coraggio di intraprendere quella strada. La storia ci suggerisce storie fatte di uomini e di dati oggettivi, non ci fornisce elementi sulla condizione emotiva delle persone. Vi siete mai chiesti qual è il viaggio dell’anima, se un’anima c’è? Nonostante tutto arriverà Natale, poi Pasqua e Ferragosto, così da sempre e per sempre. Intanto sarete in viaggio prima fanciulli, poi adulti ed infine con l’argento tra i capelli, racconterete agli altri di voi e lascerete per strada qualcosa con la mancata voglia di tornare indietro. Si susseguiranno le stagioni, farà freddo, poi caldo, poi fred-
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Foto Andrea Mattiacci
do ancora. Ci saranno l’uva, le castagne, il buon vino e faremo il maiale, seguiremo le tradizioni rispettandole e a volte le rivedremo. Il percorso si modificherà da solo senza chiedere, noi saremo un estremo baluardo a difesa dei nostri “mulini a vento”. Ricordo che da bambina, tra la fine di Novembre e per tutto Dicembre l’unico pensiero per i più piccoli erano il Natale e la Befana, con i loro regali, quel qualcosa da chiedere e da fare. Oggi, per me è ancora così, sono cambiati i desideri ma penso sempre che a Natale tutto sia possibile, Sono proprio i sogni dei bambini quello che può salvarci ed è dai bambini che bisogna ripartire, dalla loro tenera forza che tutto conquista e non fa danni. Sono anni che non nevica eppure il ricordo delle strade imbiancate, quando tutto tace, anche il silenzio, restano indelebili nella memoria di Nonna Gerardina: “Era la vigilia di Natale ed io tutta infreddolita con un cappotto marrone di lana pesante uscivo da casa di alcuni parenti alla fine di via Pretoria, nei pressi della caserma dei Carabinieri. Dovevo passare per la Piazzetta del pesce a ritirare anguille e seppie da mettere nel sugo e un po’ di frittura. Con quel tempo e tutta quella neve chissà se è arrivato, magari trovo un po’ di baccala da fare con la pastella e con i peperoni crusc’ o anche (a ciauredda), la zuppa con un pomodorino fresco fresco. La tradizione vuole che si mangi un po’ di pesce, speriamo di riuscire, con tutta questa neve. Anche camminare a piedi è un’avventura. All’altezza di vico Bonaventura trovo Lucietta, la direzione è la stessa, il fine anche. Durante il tragitto altre donne, tutte con lo stesso obiettivo, nell’ordine: il pane di Natale, il pesce, la frutta, qualche galletto per il giorno di Santo Stefano, gli ingredienti per la verdura maritata del giorno di Natale, un panettone. No, quello non è importante, abbiamo fatto casatelle e scruppedd’ con il miele, qualche panzerottino con le castagne e il cioccolato, quel buon vino dolce bianco che ha portato cumba Nicola da Guardia. No, non mi serve il panettone, ed intanto raggiungo la piazzetta….mamma mia che fila e vabbè mi tocca aspettare, quanta neve, non si vede da qua a là, finalmente ho preso tutto, e adesso si va a casa se no non faccio in tempo, mamma mia come nevica vabbè le buste mi faranno da contrappeso speriamo di non scivolare non si vede niente. Eccomi a Porta Salza e adesso arriva il difficile, il ponte di Monte Reale. Mi fermo un attimo, sarà bene alzare il bavero del cappotto e stringere il fazzoletto in testa. Non c’è una macchina. Meglio così cammino “mezz’alla vianov,… tirano i sett’ vent’”, finalmente a casa e adesso chi vole fà ca fà (che vuole fare che fa). Arriveranno le mie figlie con i mariti e le figlie, devo muovermi tra un po’ non si capirà più niente… (e intanto mancavano almeno 10/12 ore dalla cena della Vigilia).” Questa una storia comune, una storia di
La ricetta... Seppie Ripiene Ingredienti: Seppie abbastanza grandi, mollica di pane, sale, pepe, aglio, prezzemolo, uova, per il sugo, olio extra vergine d’oliva, cipolla, salsa di pomodoro sale qb. Procedimento: In una pentola a bordo alto, versate dell’olio extra vergine d’oliva e tagliate finemente della cipolla. Ponete sul fuoco e lasciate soffriggere leggermente. Quando l’olio inizierà a sfregolare incorporate della salsa di pomodoro e, se necessario, aggiungete un po’ d’acqua. Lasciate cuocere a fuoco lento, nel mentre prendete le seppie, ripulitele per bene e privatele della spina portante facendo rimanere in realtà una sorta di sacca. Pulitele ben bene fino a renderle di un bianco brillante, in una terrina mettete della mollica ed aggiungete a questa dell’aglio tagliato in piccolissimi pezzettini; aggiungete un trito di prezzemolo, un bel po’ di pepe e sale qb. Incorporate delle uova affinché si vada ad ottenere un impasto omogeneo e compatto, proseguite, prendendo le seppie e con l’ausilio di un cucchiaio vi preoccuperete di riempire le stesse con l’impasto realizzato. Una volta fatta questa operazione, proseguite con il chiudere la parte aperta delle seppie o con degli stuzzicadenti. Ancora meglio, se ne avete la possibilità, cucitela. Fatta questa operazione incorporate le seppie nel sugo che, nel mentre, avrà raggiunto una buona consistenza. Lasciate cuocere il tutto e, se volete seguire la tradizione, aggiungete anche dei pezzi di anguilla ben pulita. Mentre il tutto continua a cuocere, ponete sul fuoco una pentola d’acqua e quando verrà a bollire, calate dei vermicelli o degli spaghetti i quali una volta cotti verranno conditi con il sugo di base delle seppie, mentre le stesse poste in un piatto di portata, verranno sporzionate e servite a seguire, questo è un piatto gustosissimo e ricco, bello da vedere perché ben definito e compatto. Accompagnate il tutto con del pane casereccio e godrete di un piacere che calza a pennello per la Vigilia di Natale.
tante famiglie di un Natale di almeno 35 anni fa o anche di più. Potenza una città montana dove il pesce è un illusione. Si fa quello che si può e forse è proprio questo il vantaggio. Normalmente per la Vigilia di Natale le donne Potentine avevano in uso di fare un sugo a base di pesce proprio come fosse un sugo con della carne; per tanto anche gli ingredienti per garantire il risultato finale dovevano avvicinarsi ad un gusto pieno ed intenso che somigliasse alla carne, anche perché non si era per niente abituati a mangiare pesce, anzi, se vogliamo dirla tutta, a volte neanche piaceva. Quindi in molte famiglie il sugo che veniva
fatto era a base di anguille e seppie che tra l’altro venivano fatte ripiene. Ed ecco che il risultato finale era un sugo con il quale condire vermicelli o spaghetti; e un secondo a base di pesce molto gustoso e particolare che in realtà era solo l’inizio di tutta una sequenza di altri piatti. Ad ogni modo a distanza di anni in molte famiglie Potentine è ancora così, si rispetta la tradizione realizzando dei piatti ricchi e gustosi ma soprattutto estremamente tradizionali, dove il tempo non ha segnato il suo passaggio e le ricette vengono riprese così come sono senza grandi stravolgimenti, rendendo unico quello che nasce dall’incoscienza.
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“I RIFERIMENT POTREBBERO LUOGHI O PE
Arsenio D’AMATO
uello che oggi mi ha salvato dalla tristezza è stato tornare nel mio elemento naturale: guidare una R4. Immergermi in un habitat quasi liquido, in una simbiosi perfetta fra una macchina e l’uomo. C’era una volta la Renault 4, anzi c’è ancora, anche se non è la mia. Un mio amico, che abita in America, ne possiede una bianca. L’aveva acquistata qualche anno fa per portarsela negli States e farsela “tagliare”, a uso cabriolet, da un carrozziere che quel che tocca trasforma in oro, ma poi non se n’è fatto più nulla. A Luglio è stato in Italia e, nei pochi giorni trascorsi al paese, mi ha chiesto di metterla un po’ in moto e di farla girare un po’. Non potevo non accettare e, siccome sono in ferie nell’ultima decade di Agosto, ho deciso di farle percorrere qualche chilometro usandola per andare in villeggiatura. Ho preparato la Renault per bene e, per bene, ho seguito tutte le questioni logistiche, organizzative ed economiche. Ho levato l'ancora da Sant’Arsenio per raggiungere Ruvo del Monte. Da qui, ogni giorno, per dieci dì, sono partito e ho attraversato, “sulle ali dello spirito santo”, la valle dell'Ofanto e la zona Nord-Occidentale della Basilicata, ai confini con la Campania Felix, facendo sempre tappa in Irpinia per poi innestarmi, nuovamente, sulle terre lucane, dove le sugge-
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stioni della storia si mescolano alle tradizioni, il folklore s’intona alla buona cucina e all’ambiente, in un paesaggio che regala immagini da cartolina durante ogni stagione dell’anno. La Lucania, quindi, l’Alta Irpinia e le rive del fiume Ofanto. E alla fine sono arrivato al traguardo nel leggendario Sponz Fest a bordo di una macchina a scrocco. Quello che oggi mi ha salvato dalla malinconia è stato tornare nella mia condizione più congeniale: la solitudine. A Ruvo della Montagna, così si chiamava prima, sono arrivato da solo e sono stato sempre da solo. Una mia collega, Teresa, ha lontane origini in questo posto e mi ha permesso di soggiornare in una vecchia casa in disuso ereditata da uno zio. Qui la solidità della solitudine e il rovescio di quella stessa medaglia hanno il volto di Giuseppe Grieco: un anziano signore che, avvertito dalla mia collega, mi apre la porta e mi da le chiavi di casa. Di quella che sarà la mia dimora per l’ultima decade di Agosto. Sull’uscio, senza entrare, osservo da vicino questa persona che ha lo sguardo bonario e dolce di un sognatore, il viso marcato del divo dello schermo e l'eleganza dell'uomo d'affari. Giuseppe mi da pure qualche dritta: «qualsiasi problema tieni in giro fai il mio nome, Peppo re Rùvë, e non bere il vino stipato in questa casa che, anche se vecchio, è semb’
"Stringitùr"». Sorrido, ma lui guarda in alto e mi indica, con l’indice, il volo di un falco di palude femmina. Io guardo il dito, però, e la mano e l’orologio d’oro e, “sulle ali dello spirito santo”, lo congedo con la scusa che devo andare in bagno. Non faccio che tre passi e sento bussare alla porta. È sempre Peppo re Rùvë. «La macchina – dice – la puoi lasciare anche aperta, che qui non tocca niente nessuno e, poi, che se ne vogliono fare di una vecchia R4. Nessuno più coltiva le vigne…». Effettivamente è inutile se poi il vino è sconsigliato, "Stringitùr"
TI A FATTI, LUOGHI O PERSONE O ESSERE RIFERIMENTI A FATTI, ERSONE”.
Prima Parte
CRISTIANO CAVINA - UN'ULTIMA STAGIONE DA ESORDIENTI [MARCOS Y MARCOS]
Le vicende e gli eventi raccontati in questa storia sono di pura fantasia ed i riferimenti a personaggi e realmente esistiti, o fatti veramente accaduti, hanno esclusiva funzione narrativa.
o meno che sia. Macchina a scrocco prima e alloggio a scrocco poi, dovrei preoccuparmi solo del vitto, ma si vedrà. Quella che, in toto, mi ha salvato è la musica. Lei ha i suoi interpreti e i suoi compositori e uno, che è l’uno e l’altro, è il mio messia. Il salvatore. Sono qui per sussurrarglielo, anche se lui non mi sentirà, che lo so. Vorrei dirglielo, però. Dirgli, in faccia: “mi hai salvato”. Che non è quella frase che si dice quando la campanella ti salva da un’interrogazione. No. Non quella citazione. Non quel tipo di frase perché lui mi ha salvato
davvero. Mi ha salvato dalle mie macerie, da quello che sarei potuto diventare se non l’avessi incontrato dopo il terremoto della mia tarda adolescenza. E se proprio non vogliamo chiamarlo salvatore, definiamolo colmatore di vuoti. Che si balla una volta sola. Il resto è ginnastica. Sono le dodici in punto ed ho fame. Mi chiudo la porta alle spalle e, “sulle ali dello spirito santo”, plano sulla vallata che culla la mia meta agognata: Calitri il paese di Vinicio Capossela e del suo Sponz Festival. Tredici chilometri 13 e sono lì. Parcheggiata la R4, proprio di fronte la Casa
dell’Eco, chiamo Maria di Milia. Una signora conosciuta l’anno scorso a un concerto di Capossela a Salerno. Nell’attesa cerco un bar e noto un punto pizza. Io amo la pizza e attraverso la strada, lasciandomi alle spalle il bar. Mangio due pizzette e faccio due chiacchiere con l’anziano e gentile signore che me le ha servite. In verità parla solo lui. Già sa che sono qui per il festival e che amo Vinicio, ma va oltre: «Hai una bella macchina – dice – un tempo qui ne giravano molte. Erano comode per lavorare. Erano d’altronde nate apposta. Anche Vinicio gira con una macchina vecchia e con una giubba uguale a quella che hai sulle spalle. La sua macchina è pure bianca, ma è una Mercedes e, se ti trattieni, fra un po’ lo vedrai arrivare, parcheggiare davanti al bar di fronte, e portarsi avanti con gli aperitivi…». Il culto dei santi, qui, sarà pure politeismo puro, ma Vinicio è il loro dio. Arriva Maria, con tanto di t-shirt dello Sponz e mi porta in sede. Nel cuore organizzativo del Festival. Capisco subito che c’è agitazione. Il gruppo che doveva aprire la serata non verrà. Mi sento di troppo. Questa è la vera anima dell’evento. Non solo una sala d'attesa con un via vai di facce, sguardi, suoni, respiri, perimetri e passi indefiniti. Maria, poi, da Cicerone esperto, mi porta in giro per il paese mostrandomi tutte le antiche ricchez-
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LOOKANIA ze della sua Calitri e anche tutto il suo orgoglio, dote che in condizioni normali, senza lo Sponz Fest, costituisce un grande pregio. Mi mostra la Posta e la strada che ri-sale al centro storico e si congeda: «per qualsiasi difficoltà o esigenza chiamami che in seisette minuti sono da te. In questi giorni qui è tutto un sogno, ma dietro c’è un enorme lavoro e, noi della macchina organizzativa, dobbiamo cantare e portare la croce». Ringrazio e torno, per le scalette, alla Casa dell’Eco, in pratica sul retro della sede. Squilla il cellulare ed è Maria: «appena arriva Vinicio io ti chiamo, ma sono sicura che lo incontrerai prima di me…». Ben profetato. Una Mercedes bianca targata Roma è parcheggiata muso a muso con la R4. La festa è iniziata all’alba del 20 agosto è terminerà al tramonto del 31: tempo ne ho per incontrare il Deus ex machina e rientro, “sulle ali dello spirito santo”, a Rùvë. Prima di partire rammento di non aver pagato il conto. Torno dal signore del punto pizza. Lui è dietro il banco che parla, a una bella ragazza dal sorriso lieve, di una delle prime volte che Vinicio è apparso in televi-
sione, da Pippo Baudo, sbandierando origini di Andretta. Mi guarda e sorride pacato: «sapevo che saresti tornato e che tornerai ancora… per qualsiasi cosa, qui la porta è sempre aperta per quel che possiamo ovviamente e senza dimenticanze». Dopo il mezzo e l’alloggio senza fitto, penso, stavo per scroccare anche il vitto. Arrivederci e grazie. La R4, in un giorno d’estate, è il miglior antidoto alla tristezza e alla malinconia. È una macchina che, “sulle ali dello spirito santo”, non cammina, ma naviga come una barca. Sei in alto mare, con tanto di rollio e beccheggio, ma navighi su una lingua di bitume. Senza navigatore e confort moderni la guida spartana ti chiude in una scatola, dove lievitano pensieri nuovi e inauditi. Benvenuti a Ruvo del Monte. L’aria non è afosa e si sta bene. Presa confidenza con la strada attorno posso riposarmi un po’. La casa è piccola e le poche cose in giro la rendono pure scarna, ma è una manna poter stare qui. In questo cantuccio verde e fresco di un altro tipo di sud. Stavolta davvero mi serve il bagno e corro. Che belle le tovaglie antiche che non solo fanno mostra di se
stesse, ma sono proprio quelle che dovrei usare come asciugamani. Dormo un po’ che nella serata devo ri-tornare allo Sponz. Hanno dato buca i Los Lobos per la sera d'apertura? Niente paura, aprirà qualcun altro che viene, sicuramente, da un'enorme ciambella divina piuttosto che da un tradizionale mondo a forma di sfera. Da più lontano ancora arriverà Dan Fante per parlare di suo padre John, uno degli amori letterari di Vinicio Capossela, che m’appare sempre più un colmatore di vuoti. Dormo. Sogno. Buongiorno. È mattino. Una fresca brezza preme contro la mia faccia. Ho dormito, “sulle ali dello spirito santo”, con la finestra aperta. Cazzo. Mi sono perso Dan Fante e la serata di apertura. Cazzo. Almeno sono ancora vestito. Magari, se vado, lo becco per una foto. Ma zi’ Peppo re Rùvë mi sequestra: «uaglio’, visto che non sei andato a Calitri ‘sera, potevi venire a mangiare da me, tengo ‘u vino buono…». Così, per educazione o per suggestione, mi trovo in commistione col vecchio e la nostra mescidanza, dopo un giro, di grande interesse architettonico, al Castello risalente al sedicesimo secolo, finisce a tarallucci e vino. Pochi taralli e tanto vino. L'edificio è affiancato da una torre di epoca angioina che conserva ancora le originali merlature. Presso il Castello è situata la "Fontana Vecchia", la più antica del paese con due abbeveratoi e una scritta: DIVIETO di LAVAGGIO AUTOVEICOLI. «Quindi – faccio io - posso lavarmi i piedi?». «Ti ci puoi lavare sano-sano – risponde zi’ Peppo». Ho troppi comparti stagni che impediscono ai miei pensieri di collegarsi con le emozioni, ma mi lascio andare. Quest'uomo ha qualcosa di familiare, mi ricorda qualcheduno. Forse mio nonno. Mi piace la sua voce. I suoi occhi sono quelli di qualchedun altro. È suggestione, lo so, ma è davvero una scoperta e poi sta scardinando le porte del mio bunker di tristezza e malinconia.
O.S.T. Dimmi Tiresia – Vinicio Capossela
Anno VIII numero 11/12
SIMONE ZAZA
GOLEADOR LUCANO PER L’ITALIA
sommario 74 Simone Zaza Orgoglio lucano
Sim
Orgog
Nel segno con un so 78 L’AZ Picerno volta pagina Giovanni GALLO
80 L’Associazione Calcio e Vita
84 Basket: Olimpia Bawer Matera Lucano
una parabola luminosa quella di Simone Zaza, partito dal Sud undicenne con un borsone pieno di sogni per poi scoprire, circa dieci anni dopo, che i sacrifici e la passione ripagano. Sempre. Ragazzo umile, lavoratore, educato e con la voglia di non fermarsi, ha stupito tutti diventando una pedina importante del Sassuolo Calcio. Da quando i riflettori si sono accesi su di lui è arrivata anche la chiamata di Conte, che lo ha fatto esordire in maglia azzurra. E lui non ci ha messo molto a convincere il partito dei dubbiosi della bontà della scelta del CT: gol alla prima gara di qualificazione a Euro 2016 e tutti d'accordo. Predestinato. Non è facile per uno che inizia bambino a inseguire il grande calcio sui campi spelacchiati di questa regione, nella quale le vette più alte del professionismo vennero toccate dal glorioso Potenza di Boninsegna negli anni Sessanta che giocò la B sfiorando la promozione in A. Dopo il nulla, o
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one Zaza
lio lucano
di Van Basten ogno Mondiale
quasi. Fino a Zaza, appunto. In Basilicata, come nel resto d'Italia, il calcio è pane quotidiano, verbo da diffondere, religione da professare. Ma qui, diversamente che altrove, la situazione di partenza è difficile: mancanza di strutture, organizzazione non impeccabile dei settori giovanili, tessuto imprenditoriale ridotto ai minimi termini che investe sempre meno nello sport. A questo va aggiunta la mancanza di visibilità con cui il calcio lucano deve fare i conti. Tradotto: i giovani locali fanno fatica a emergere e non sono in grado di competere con i pari età più fortunati sparsi su e giù per lo Stivale. Fino a Zaza, appunto. Simone da Policoro ha però ricordato a tutti che le doti te le dà sì madre natura, ma che il resto ce lo metti tu; ed è riuscito nonostante tutte le difficoltà, sorretto da una mamma e un papà eccezionali che hanno creduto, prima ancora che lo facessero gli addetti ai lavori, nel proprio figlio.
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S P O R T- I N G Zaza è un ragazzo con i piedi ben piantati per terra. Sa bene che il gol alla Juve e quello in Nazionale non sono la sua legittimazione di calciatore, la sua consacrazione definitiva. Sa che le parabole prima o poi discendono e per questo oggi non glassa d'oro i suoi primi successi, ma pensa ai prossimi traguardi da centrare, con il desiderio immutato di farcela e l'abnegazione di sempre. Senza paura. Ma un dato di fatto inoppugnabile c'è: Zaza ha riscritto la storia del calcio lucano e cambiato il paradigma inesorabile del fallimento cui tanti giovani nostrani sono andati incontro. La sua storia segna la linea di demarcazione tra la sconfitta e il successo, tra la sensazione d'inferiorità e la voglia di riscatto. È la speranza. Ecco perché da oggi per tutti i lucani ci sarà il calcio prima e dopo Zaza. Ed è chiaro che qui dopo l'avvento di Zaza questo sport non potrà più essere lo stesso. L'intervista che segue è l'esempio che il Dio del calcio, un po' distratto e tendenzialmente propenso a fermarsi ad Eboli, deve pescare più spesso in Basilicata, dove il suo occhio raramente si è posato. Fino a Zaza, appunto. Simone, gol alla Juve, gol alla prima gara ufficiale in Nazionale. I gol più importanti della tua carriera? Sì, sono stati gol pesanti anche se, come ho già detto in passato, i gol più importanti sono quelli che verranno. Spero di farne ancora tanti sia in Nazionale che con il
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Sassuolo. Sei partito dai campi polverosi della Basilicata; quanto è stata dura arrivare dove sei ora? È stata molto dura ma ho avuto la fortuna di vivere e crescere in una famiglia che mi ha sempre seguito ed aiutato molto. Ho capito che ci vuole anche tanta fortuna e sono davvero contento di essere arrivato fin qui. Quindi la tua famiglia ha avuto un peso specifico importante nella tua affermazione professionale? Certo, la mia famiglia è stata molto importante e rimane tuttora il mio punto di riferimento. Essendo figlio unico, i miei genitori hanno avuto la possibilità di seguirmi e starmi vicino in tutti i passi della mia carriera e questo è stato determinante per me. L'allenatore più determinante per la tua crescita calcistica. Ho avuto tanti allenatori, tutti mi hanno lasciato qualcosa. Fra i più determinanti citerei Stefano Cuoghi che mi ha rilanciato quando andai in C al Viareggio e Eusebio Di Francesco, e non lo dico perché è il mio attuale allenatore. Mister Di Francesco mi ha insegnato davvero tanto, non solo sul piano sportivo ma anche su quello umano e comportamentale, soprattutto fuori dal campo. Quanti gol deve fare Zaza per permet-
tere al Sassuolo di raggiungere la salvezza? Il Sassuolo quest’anno sta dimostrando di essere una squadra valida, non c’è solo Zaza. Io spero di arrivare in doppia cifra, di fare gol che portino punti e dare il mio contributo alla causa neroverde, sono fiducioso. L'idolo calcistico di quando eri bambino. Se devo fare un nome dico Marco Van Basten. Un consiglio a un ragazzo lucano che inizia a giocare a calcio e sogna un giorno di emularti sui campi di serie A. Il consiglio che posso dare è quello di non perdersi mai d’animo, soprattutto quando le cose sembrano non andare per il verso giusto. Anche io ho vissuto momenti difficili, ho subito le mie brave “sconfitte” ma non mi sono mai arreso e sono sempre riuscito a rialzarmi. Fare sempre il massimo per raggiungere i propri obiettivi! Una persona che ti senti di ringraziare. Sempre e comunque la mia famiglia e tutte le persone che mi vogliono bene. Due aggettivi nei quali ti riconosci e grazie ai quali ti sei affermato nel mondo del calcio. Direi caparbio e affamato.
Parla Christian Maifredi, procuratore di Zaza Abbiamo fatto un po' di domande a Christian Maifredi, colui che professionalmente gestisce Zaza. Il punto di vista del procuratore bresciano è illuminante, ci svela qualcosa in più sull'universo complesso del calcio e completa il quadro sul calciatore.
Foto: www.sassuolocalcio.it (Foto Vignoli)
Dei ragazzini terribili della Stella Azzurra Bernalda, società che ti ha svezzato, senti ancora qualcuno? Sì, molti sono ancora a Bernalda, sono miei amici, li conosco un po’ tutti. Matera capitale europea della cultura 2019. Insieme a Zaza è la Basilicata che vince? Sì, è una bella soddisfazione. Sono molto contento perché la Basilicata è una regione ancora poco conosciuta ma che merita di essere vissuta e visitata. Sia con me, ma anche con altri personaggi lucani, si sta mettendo in luce e questo non può che farmi piacere. Matera 2019 è la ciliegina sulla torta, un motivo d’orgoglio per tutti i lucani. Cosa ti manca di più di Metaponto? Mi mancano il mio mare e i miei amici. Il tuo sogno nel cassetto. Il mio sogno è vincere il Mondiale con la maglia della Nazionale. Un saluto ai tuoi conterranei che ti guardano con ammirazione. Li saluto tutti, con tanto affetto, lo stesso che loro fanno sentire a me ogni volta che ne hanno l’occasione. So di essere un motivo di soddisfazione per loro, li ringrazio, li abbraccio e spero di fare bene in questi anni per essere ricordato con orgoglio da tutti i lucani.
Dove ha scovato Zaza e quando ha capito che ce l'avrebbe fatta? Nei primi lavori di scouting all'inizio della mia professione, circa 10 anni fa. Ero nella zona di Bergamo, lui giocava per l'Atalanta, e una mattina, in uno dei campi che passavo in rassegna, vidi Simone quindicenne disputare una gara del campionato allievi. Mi colpì subito e dopo un po' di informazioni sono arrivato ad avere un contatto e poi un incontro con lui. Così è nata la nostra relazione professionale che nel tempo si è evoluta. Il giocatore ha poi fatto degli step anzitempo: contratto a 16 a anni e mezzo, esordio in serie A prima dei 17. Da lì sono iniziate delle operazione di trasferimenti che hanno portato il ragazzo dove è ora. In cosa secondo lei deve ancora migliorare? Sostanzialmente è un anno e mezzo che fa la serie A, quindi sono tante le cose che deve ancora migliorare. Penso che quando si vedono Del Piero e Totti che ancora lavorano sui fondamentali, oppure Stankovic e Zanetti che dicono che oltre i trent'anni devono migliorare nelle varie fasi di gioco, vuol dire che c'è sempre da imparare. Simone ha un ottimo sinistro, ma credo che sul destro debba sforzarsi ancora un po'. Altri aspetti migliorabili sono la posizione, il colpo di testa e i movimenti. Cose su cui, comunque, devono allenarsi tutti calciatori. Lui deve stare tranquillo, sfruttare bene le sue caratteristiche e metterle a disposizione della squadra. Il procuratore è anche un amico, una figura di riferimento per il calciatore. Quali sono i consigli che generalmente dà a Simone? Il nostro è un rapporto di lunga data e, come spesso dice Simone, non sono solo il suo procuratore ma anche un amico. La cosa migliore da fare con un giocatore è quella di cercare di abbassare toni esasperati e la pressione mediatica della serie A mantenendo un certo grado di serenità. Altri consigli sono quelli di lavorare molto e avere una cura del corpo molto attenta. Perché solo così si possono raggiungere i migliori risultati in campo. Lei ha un cognome importante, figlio di quel Gigi Maifredi allenatore della Juventus di Baggio. Ha mai pensato di intraprendere la carriera da giocatore anziché quella d'agente FIFA ? È il sogno di ogni bambino. Però per giocare a calcio bisogna avere della caratteristiche che o te le dà il Signore o sennò niente. Mi sono avvicinato a 13 anni a questo sport, poiché, grazie al lavoro di mio padre, potevo accedere alle aree riservate, quindi vedere dal vivo, conoscere, respirare il profumo vero del calcio e da lì mi sono innamorato. E non potendolo praticare è nata questa professione, la quale mi ha portato fortunatamente a investire in un giocatore importante come Simone. Dove vede Zaza fra 5 anni? Spero in Nazionale e spero che abbia già avuto la possibilità di giocare un grosso torneo internazionale e parecchie gare di Champions. Spero che sia felice e si diverta e sia cresciuto come giocatore. E poi ovviamente il top club lo sognano tutti: Italia, Spagna o Inghilterra non fa differenza.
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L’AZ PICERNO
VOLTA PAGINA Il mister De Pascale: “Quest’anno abbiamo tutti i presupposti per vincere” Marianna FIGLIUOLO
opo la cavalcata nello scorso campionato di Eccellenza, secondo solo alla corazzata Rossoblu Potenza, il Picerno è la seconda forza del campionato lucano. Certo ha visto sfumare il sogno della serie D con uno sfortunato pareggio play off con la Sarnese, ma ben poco le si può rimproverare, ha comunque regalato un grande calcio. Quest’anno però l’AZ Picerno volta pagina e archivia alla gestione tecnica di mister Catalano. Il suo successore già al timone della nave, è il giovane ed intraprendente Maurizio De Pascale. Il forte esperto, ex difensore di Eboli ha accompagnato il Picerno nella stagione conclusa, dopo la proposta della società non ha esitato ad appendere gli scarpini al chiodo e trasferire la sua esperienza ed il suo carisma dal campo alla panchina.
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Da giocatore del Picerno ad allenatore, cosa è cambiato? È nata come un’idea da parte della società e ho impiegato pochissimo tempo ad accettare. La mia voglia di mettermi in discussione assieme alla voglia di raggiungere i traguardi importanti della società, che sono anche i miei, hanno fatto sì che questa unione andasse a buon fine.
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È cambiato tanto, tantissimo, da giocatore mi sono sempre divertito giocando bene e basta, ora sento di avere molte più responsabilità, tanto da passare anche qualche notte in bianco. Le impressioni sullo scorso campionato, sicuramente un buon risultato, ma cosa è mancato per salire in serie D? L’allenatore (risponde scherzando). Abbiamo fatto un ottimo campionato, è andata più che bene, abbiamo trovato davanti una signora squadra:il Potenza, che ha sicuramente fatto meno passi falsi di noi, la differenza l’ha fatta nelle partite in casa e fuori casa. Noi fuori casa abbiamo fatto poco, rispetto al ruolo che abbiamo avuto in casa (tutte vittorie ed un pareggio). Se dobbiamo appellarci a qualcosa, bhe sicuramente le trasferte sono state la nostra pecca, ci hanno penalizzato e non poco. Manca ancora qualcosa, sul piano tecnico per migliorare la squadra? No no, c’è tutto ciò che avevo chiesto. La società ha fatto un grande sacrificio per assecondare le mie richieste … poi il gioco che viene fuori è sotto gli occhi di tutti e ne sono fiero.
Ci sono new entry? Cosa chiede ai suoi ragazzi? Tante, sono stati confermati sei, forse sette del gruppo scorso: BacioTerracino, Esposito, Serritella, Scavone, Pistone e Santopietro. Per quel che riguarda i nuovi acquisti abbiamo Lattanzi, portiere proveniente da Bitonto, sicuro nelle uscite basse, altrettanto in quelle alte. Oltre a lui ci sono il centrocampista Perna (ex Viggiano) Cozzolino, Sangiacomo, tanto per fare qualche nome. Ai miei ragazzi chiedo tanto, chiedo di divertirsi innanzitutto e mettere in pratica ciò che facciamo durante la settimana, cioè giocare sempre palla e non buttarla mai via. Io ho un credo e cerco di trasmetterlo a loro, fino ad oggi sono stati bravi a riportarlo in campo e se continuiamo così possiamo toglierci grosse soddisfazioni. Quindi condivide quella corrente di pensiero che postula l’aspetto psicologico superiore a qualsiasi altro aspetto, fisico o tattico che sia, nella preparazione di una squadra di calcio? L’aspetto psicologico è importantissimo, deve essere allenato assieme alla parte
tecnica-tattica e fisica. Motivare il giocatore, spingerlo a dare il massimo su ogni esercizio, richiamarlo quando serve cercando di correggerlo negli errori, sono capacità che un mister al giorno d’oggi deve avere per poter contribuire alla crescita mentale del ragazzo/giocatore. Un’ultima domanda,forse scontata, quali obiettivi si pone per questa stagione? Tra i miei obiettivi personali, c’è sicuramente quello di confermarmi nel mio ruolo di allenatore e crescere con i miei ragazzi,perché come ripeto sempre a loro io non sono un allenatore, ma voglio diventarlo. Così come quando giocavo a calcio, cercavo sempre di fare di più per migliorarmi e magari salire di categoria. Mi riterrò completamente soddisfatto quando i miei ragazzi avranno “dato tutto per la maglia” e a fine campionato non avranno rimpianti,ma saranno sicuri di aver sparato tutte le cartucce per il bene della squadra. Sono convinto che se avranno la determinazione e la voglia di migliorarsi con me, avremmo molte possibilità di raggiungere l’obiettivo prefissato. Concludo, grazie per la disponibilità, un grosso in bocca al lupo a lei e tutta la sua squadra. La parola al presidente: Rocco Venetucci. Sono sicuramente contento del percorso appena iniziato. La novità di quest’anno è appunto, il nuovo mister, una scommessa da parte nostra in quanto per lui è la prima esperienza su una panchina. Maurizio, oltre che essere un grande giocatore, allenatore, è anche un grande uomo, a lui mi lega un rapporto di stima ed affetto. Abbiamo creato, penso, anche un buon gruppo di ragazzi,sulla base di quelli rimasti con degli inneschi sicuramente importanti, per fare bene questo campionato. Io mi aspetto grandi risultati, perché, è così, inutile nasconderlo…quest’anno il Picerno sarà sicuramente la squadra da battere. Noi ci proviamo a giocare bene, a fare un buon campionato e a vincerlo, come proveremo anche a vincere la Coppa Italia esattamente come abbiamo fatto l’anno scorso. Le parole di mister De Pascale e poi di seguito quelle del presidente Venetucci sottolineano quanto il campionato di Eccellenza lucana 2014-2015 rappresenta per l’AZ Picerno e per tutta la comunità locale il banco di prova al superamento ed avvicinamento sul campo, verso realtà calcistiche più importanti, posto che il Picerno è una delle massime pretendenti al salto di categoria.
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Campioni di Vita La proposta dell’associazione potentina per costruire una comunità dal calcio Albina SODO
onato Stasi, Leonardo Giuzio, Giuseppe Catalano e Gianluca Caporaso da tempo volevano realizzare a Potenza qualcosa che riguardasse il calcio. Da questa intuizione nasce l’Associazione Calcio e Vita, una scuola di avviamento al calcio per i bimbi dai 4 ai 10 anni. «Più che un percorso tecnico e motorio, comunque indispensabile e curato dai tecnici Giuzio e Catalano, il nostro è un approccio innovativo – afferma Donato Stasi. – Vogliamo dare la possibilità ai bambini di crescere a livello umano e relazionale». Il pallone, dunque, come mezzo attraverso cui formare. Ma quali sono i valori a cui si ispira l’Associazione? «Educazione, rispetto reciproco e rispetto delle regole. – prosegue Stasi – Vedere i genitori che incitano i ragazzini a infierire
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contro l’arbitro o gli altri giocatori è inaccettabile. Perciò abbiamo pensato a un percorso di socialità con le famiglie, i primi insegnanti dei figli». Giochi, attività motorie e non allenamenti. «I bambini a cui ci rivolgiamo sono in una fase egocentrica, sono loro al centro. – sottolinea Leonardo Giuzio – Oggi i più piccoli hanno difficoltà a entrare in contatto con i coetanei, perché preferiscono il computer o la televisione. Lo scopo non è creare campioni ma uomini. Le nostre esperienze personali dimostrano che pur non avendo calcato palcoscenici sportivi rilevanti siamo qui, siamo riusciti a costruire delle relazioni umane importanti». Scelte quindi. Come quella di non partecipare ai campionati agonistici, come quella di puntare sul rispetto dell’avversario,
della vittoria e della sconfitta, come quella del ricorso a una scheda personale, per ogni iscritto, nella quale annotare problemi e miglioramenti. Per l’Associazione Calcio e Vita, il calcio è un luogo che può parlare con altri luoghi, che può intercettare esperienze non solo ludico-sportive, che può contribuire alla nascita di una comunità più matura grazie al coinvolgimento delle altre associazioni potentine. «In questo percorso cresciamo tutti, anche noi. – mette in evidenza Gianluca Caporaso – Nella percezione quotidiana del calcio l’obiettivo è vincere, fare carriera. Il calcio non è lontano dagli altri contesti della vita, dominati da un individualismo spinto. Secondo la nostra logica, il calcio è un elemento che consente l’acquisizione di determinate com-
petenze di socializzazione. Quelle che un bambino, un adulto si porterà in tutte le fasi della vita. Ragionare sul senso del noi è prioritario sul senso dell’io anche sotto il profilo del comportamento del cittadino. L’Associazione Calcio e Vita dirà al bambino che esistono il teatro, i laboratori creativi, le attività solidali. Il calcio non può essere una ragione di vita, può essere uno strumento per scoprire le tante ragioni di vita». I corsi dell’Associazione Calcio e Vita si svolgono a Potenza, presso la Tendostruttura di Macchia Giocoli, martedì e giovedì dalle ore 17.00 alle 18.30. Per conoscere il palinsesto degli incontri sportivi e culturali consultate la pagina Facebook: ASD Calcio&Vita Potenza.
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Olimpia Bawer
Non saremo forse i più ma sicuramente saremo Antonio MUTASCI
quadra nuova, vecchie ambizioni. L'Olimpia Bawer Matera è ripartita in questa stagione di basket nel campionato di A2 Silver con l'obiettivo di centrare la salvezza che, alla luce del regolamento e della riforma dei campionati messa in atto dalla Federazione Italiana Pallacanestro, vale il passaggio nel prossimo campionato unico di Serie A2. Una sorta di promozione attraverso una salvezza tranquilla da conquistare sul campo, partita dopo partita. E per fare questo la società del presidente Pasquale Lorusso e del presidente onorario Michele Vizziello si è affidata ad un gruppo tutto nuovo. A partire dall'allenatore. Infatti in questa stagione ci si è affidati a coach Giampaolo Di Lorenzo, uno che la categoria la conosce bene per averla affrontata da capo allenatore con diverse squadre. Una delle quali Forlì, città a cui è legato molto affettivamente. Quel Forlì che nella lunga e calda estate dell'Olimpia Matera ha conteso l'A2 Gold alla squadra della Città dei Sassi. Una lunga storia fatta di richieste di ripescaggio da parte del Matera e di carte bollate, ricorsi e contro-ricorsi. Il tutto si è chiuso su un cavillo procedurale che ha dato la possibilità alla Fip e alla Lega di non decidere, decretando, di fatto, un nulla di fatto. E allora Di Lorenzo e i suoi ragazzi si sono potuti concentrare, al meglio, sulla stagione che è ormai entrata nel vivo. Un anno non facile, in seguito al quale l'Olimpia Bawer
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Matera
forti, i più simpatici
Matera ha deciso di rifondare, puntando su un roster totalmente rinnovato e molto più giovane rispetto al passato. Con l'obiettivo di mettersi alle spalle tre squadre per guadagnare quanto prima la salvezza, il direttore sportivo Dino Viggiano è andato a pescare negli Stati Uniti due giocatori giovani e di prospettiva come il playguardia Josh Greene e il pivot Jordan Richard. Il primo è alla sua prima esperienza lontano dagli States, mentre il lungo, che gioca con la maglia numero 10, ha già giocato in Israele. Sono loro gli uomini cardine della nuova squadra. La loro innata propensione per la pallacanestro, un po' come per il calcio per gli italiani, dovrà essere l'arma in più per la Bawer. Nel parco degli “over” c'è tutta l'esperienza di Daniele Bonessio che lo scorso anno ha giocato a Casalpusterlengo. Al giocatore romano sono stati affida i gradi di capitano di questa Bawer. Completano il parco over il lungo argentino Manuel Caceres e il tiratore Valerio Circosta. Folta invece la truppa dei giovani di belle speranze che fanno parte della rosa materana. Si parte da Lorenzo Baldasso, forte del suo passato con il Torino, avversario proprio della Bawer Matera nella finale playoff di due stagioni fa. Con lui il playmaker ex Firenze, Marco Cucco e il campione europeo under 20 Matteo Fallucca. Altro giovane elemento nel pacchetto dei lunghi è Gabriele Giarelli. Completano la rosa biancazzurra i materani doc Stefano Miriello e Giovanni Sacco. In questa avventura la Bawer, dal punto di vista economico e di sponsor, ha trovato un nuovo partner, ovvero la Sinus di Gaetano Casino. Un supporto importante che, con gli innesti di Francesco Longobardi oltre che di Eustachio Follia con Ideama a curare gli aspetti della comunicazione, fanno di questa stagione della Bawer Olimpia un'annata particolare. Infatti sin dalla presentazione si è inteso come la “nuova gestione” ha voluto dare una sferzata all'immagine della nuova squadra. “Non saremo forse i più forti, ma sicuramente saremo i più simpatici”. Il motto è partito dalla presentazione che si è svolta in un nuovo locale cittadino, l'Area 8. Una presentazione, infatti, non solita. Video amatoriali, in un vero e proprio stile social, che hanno presentato ognuno dei giocatori. E poi quella canzone degli Eiffel 65, I am blue, che risuona come un tormentone, tanto da diventare l'hashtag di riferimento #iamblue. Questa è solo una delle tante iniziative messe in campo dalla squadra guidata da Alberto Acito. E i primi frutti si stanno vedendo. Anche al PalaSassi riecheggiano queste note che sono diventate la colonna sonora di questa stagione. Adesso non resta che passare la palla al campo. Da lì arriverà il verdetto. La Bawer Olimpia Matera vuole essere protagonista conquistando la salvezza nel difficile campionato di A2 Silver.
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