Il Lucano Magazine Numero settembre-ottobre 2014

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Foto Andrea Mattiacci

Poste Italiane Spa Spedizione in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n째 46) art. 1 comma 1, DCB PZ






SOMMARIO

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Intervista al segretario regionale del PD Antonio Luongo

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La Basilicata secondo Matteo

R E P O R TA G E

14 Conversazione con Antonio Luongo 18 Paolo Verri racconta #portomateranel2019 20 Francesco Piero Paolicelli: Chi ha il dato ha il potere 24 Potenza: Parco della città. A che punto siamo 26 Matera. Turismo porta a porta

28 Stranezze nella cultura

E U R E K A

46 Arisa è sempre Arisa

Columella: Il matera la mina vagante di questo campionato

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E P I S T E M E

La Settimana del Cinema a Maratea Il punto di Paride Leporace

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V I G N E T TA N D O

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La scomparsa del vino proibito La settimana del Cinema di Maratea Intervista a Rocco Spagnoletta Racconti di Rocco Mentissi Sempre diversa sempre Arisa Pino Mango presenta L’amore è invisibile La voce d’autore. Danilo Amerio Rivello, Maratea e la costa tirrenica La tragedia della guerra Venosa ospita il Festival dei Cinque Continenti Personaggi potentini Per una rivoluzione culturale a Matera Le porte del silenzio e della meditazione A Policoro il Premio Heraclea 2014 Lucani illustri al Premio Torre d’Argento La fragola del metapontino: bella, buona e salutare

T R A L E R I G H E

70 Il custode del museo delle cere 71 Armento

D O L C E

E

S A L ATO

72 Lucania e che Madonne!

L O O K A N I A

74 Racconto di Lavello - Seconda Parte 6



E D I T O R I A L E

NON FATE MORIRE LA BASILICATA Vito ARCASENSA

e il testo definitivo del decreto “Sblocca Italia”, varato dal Consiglio dei Ministri venerdì 29 agosto, con le eventuali modifiche parlamentari che verranno introdotte, rimanesse quello che si dice in queste ore, saremmo rovinati e la speranza di ripresa della nostra regione svanirebbe definitivamente. Misure pensate e sostenute da Matteo Renzi, il quale afferma: «È assurdo continuare a lamentarsi del problema energetico se non tiri fuori il petrolio che hai in Basilicata e in Sicilia.» Potrebbe avere anche ragione, a mio avviso, solo che occorre garantire la massima tutela per l’ambiente, la salute delle popolazioni e che si abbia un giusto tornaconto economico per le stesse facendo lievitare le royalty almeno fino al 25%. Se il governo Renzi riuscirà a trasferire a Roma i procedimenti per l’esame delle Valutazioni di Impatto Ambientale avrà compiuto il primo passo per gestire a livello centrale tutte le decisioni su chi, come, dove e quanto si dovrà trivellare confermando, come sostiene qualcuno, che si sta svendendo la Basilicata e l’Italia alle petrolobby. Facendo uscire dal patto di stabilità le risorse derivanti dalle estrazioni, soprattutto quelle già disponibili e non ancora utilizzate, si potrebbero liquidare i crediti delle imprese nei confronti della pubblica amministrazione riavviando l’economia con la possibilità, non dico di creare nuovi posti di lavoro, ma almeno di non perderne ulteriori. Occupazione, che fino ad ora, malgrado il petrolio, non è decollata né ha portato giovamento alla Basilicata e, credo purtroppo, non lo farà per il futuro, almeno per i Lucani. Altro aspetto molto delicato e preoccupante è il fenomeno della “spoliazione” della nostra terra. Convinto dell’estinzione lucana anche Enzo Acito, presidente di Confapi Matera: «Prima la Telecom, l’Enel, l’Italgas, la Banca d’Italia in provincia di Matera, poi la Sezione distaccata di Pisticci del Tribunale, probabilmente le Province e le Camere di Commercio; a quando l’abolizione della Regione per completare la spoliazione di un territorio sempre meno rispettato?» Territorio sempre meno rispettato ma mai rappresentato come in questo momento all’interno delle istituzioni europee e nazionali: Pittella, Bubbico, De Filippo, Speranza, D’Andrea, Margiotta, Viceconte, Latronico, Maggio, Leggieri, Pedicini tanto per citare quelli che mi sono venuti in mente. Il segretario regionale del PD, Antonio Luongo, intervistato in questo numero de “Il Lucano Magazine” conferma le preoccupazioni sulla politica lucana: «La Basilicata con 600 mila abitanti non conta nulla se non fai sistema e il PD ha il compito di fare sistema a cominciare dai soggetti in campo, altrimenti la Basilicata verrà travolta, insieme al petrolio. (…) manca una classe dirigente. È il momento di capirlo.» Ma se la Basilicata dovesse scomparire chi se ne accorgerebbe? Dimenticate gli interessi di parte e le proprie ideologie, dato che in questo momento delicato le scelte che si faranno segneranno per sempre il futuro di un’intera regione. Tutti insieme condividiamo una sola strategia per salvare l’identà di un popolo millenario, unico nel meridione, è un dovere, altrimenti ci rimetterà solo la Vostra coscienza e sarete ricordati per quello che siete riusciti a fare o a non fare. Fate qualcosa, per la miseria!

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V I G N E T TA N D O

La Basilicata secondo Matteo

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IL LUCANO Editore Lucana Editoriale s.r.l. Redazione da Potenza: Albina SODO, Vito ARCASENSA

0971.476423

Leonardo CLAPS, Anna MOLLICA, Margherita E. TORRIO Editing e correzione bozze: Margherita E. TORRIO dal Materano: Antonio MUTASCI

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Caporedattrice Albina SODO

albina.sodo@gmail.com

Hanno collaborato in questo numero Flavia ADAMO, Angelo BENCIVENGA, Ettore BOVE, Simona BRANCATI, Elisa CASALETTO, Arsenio D’AMATO, Marianna Gianna FERRENTI, Giovanni GALLO, Barbara GUGLIELMI, Raffaele LAROCCA, Vincenzo MATASSINI, Carla MESSINA, Maria Carmela PADULA, Federico PELLEGRINO, Emanuele PESARINI, Giuseppe Antonio RINALDI, Mariassunta TELESCA, Danilo VIGNOLA Testata On Line www.lucanomagazine.it Agostino ARCASENSA Fotografie Foto: Andrea MATTIACCI, Angelo Rocco GUGLIELMI, Gianfranco VAGLIO Stampa Arti Grafiche Boccia s.p.a. Via Tiberio Claudio Felice, 7 Fuorni - Salerno Registrazione Tribunale di Potenza N° 312 del 02/09/2003 Pubblicità Lucana Editoriale s.r.l. Via Gallitello, 89 Potenza Tel. Fax 0971.476423 -Cell. 337.901200 E-mail: info@lucanomagazine.it Chiuso in redazione 3 Settembre 2014 Questo giornale è associato Uspi Unione stampa periodici italiani

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R E P O R TA G E

NOTE A MARGINE

CONVERSAZIONE CON

ANTONIO LU Margherita E. TORRIO

ei giovane cominciò a fare politica nella stagione delle Assemblee. Cominciai all’interno di quel movimento che visse, sulla spinta del ’68, sia in termini di civilizzazione e di diriti, quella del ’77-78. Fu una stagione molto difficile. La mia generazione dovette discutere sul terrorismo, sul senso della politica, sulla pace ottenuta con metodi non violenti; l’ultima generazione che visse il rapporto con il movimento delle donne, fucina entro cui si discuteva del rapporto uomo donna. Allora, però, cominciammo a sentire che quella spinta eccezionale si era fermata, sconfitta. Però sono cambiate tante cose da allora.

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Anche dal punto di vista della comunicazione. Siamo passati dal ciclostile a twitter. Su questo ho la mia idea. Chi fa politica deve ascoltare, intervenire non direttamente ma indirettamente. Non credo che sia attraverso quella che si crea consenso; tu sei classe dirigente non sei la piazza, credi di costruire l’appartenenza ad una cosa, in realtà ti nascondi. Invece devi dare risposte. Torniamo alla sua esperienza. Lei iniziò la carriera politica senza rottamare nessuno. Quale fu il primo passo importante? Iscritto al PDUP a 13 anni, mi iscrissi al PCI dopo il terremoto dell’‘80 che segna lo spartiacque, allora una parte della mia generazione passò dal movimento al partito inteso come struttura organizzata. Ci fu una peculiarità della vicenda lucana: mentre si era alla crisi della prima repubblica, si

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costruivano ovunque le giunte di emergenza e il PCI entrava nel vecchio centrosinistra, noi ponemmo in Basilicata, come condizione per costruire i Progressisti, che PSI, PSDI uscissero dalla giunta, per evitare di entrare in un ciclo che volgeva alla fine, segnato da un giudizio negativo. Affrontammo, poi, tangentopoli senza tangentopoli. Altrove si liquidava un sistema, noi organizzammo una costruzione più complessa e difficile, con una classe dirigente sana, non travolta da tangentopoli, fissammo nel ‘95 la regola dei due mandati. Nel centro-sinistra e con il centro- destra facemmo l’accordo, candidammo solo nomi nuovi senza furori moralistici ci facemmo promotori della riorganizzazione dei grandi partiti popolari DC e PSI. Passaggio difficile, noi in Basilicata vincemmo, come progressisti, in concomitanza con la sconfitta della gioiosa macchina da guerra occhettiano, e mettemmo insieme PCI, DC, PSI ed il sistema dei partiti della prima repubblica facendoci carico, l’anno dopo, che si desse aiuto alla riorganizzazione dei due grandi partiti popolari della DC e del PSI per una nuova cittadinanza politica. Deste la possibilità qui in Basilicata che quei partiti si salvassero. Certo con grande rispetto degli altri e con la vittoria ottenuta, senza rottamare, costruimmo con grande parte del PSI di allora un accordo straordinario, senza Rifondazione, poiché Simonetti si presentò in alternativa. Ci fu un pluralismo diverso dalle altre regioni e creammo un sistema democratico popolare. Con un partito di

area ex-comunista candidammo una persona moderata come Di Nardo e ottenemmo il 60%. Cosa sta succedendo ora in questa stagione? Come la sta vivendo in questo PD? Con serenità. Posso dire quello che percepisco. Con Renzi la rottura vera non è con la rottamazione, da sempre parte della dialettica delle classi dirigenti, ma perché si misura fuori dall’idea del partito emergenza. Il primo PD e Ulivo nacquero per rimettere


forze reali, facendo in modo che la mediazione e la necessità di stabilizzazione interna al PD non fagocitino pezzi dell’alleanza stessa.

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C’è una corsa a correre sul carro del vincitore. No. Forse si garantiscono posizioni di rendita più stando fuori. La Basilicata con 600 mila abitanti non conta nulla, se non fai sistema e il PD ha il compito di fare sistema a cominciare dai soggetti in campo, altrimenti la Basilicata verrà travolta insieme al petrolio. La sua elezione a segretario? Paradosso che bisogna spiegare. Non lo liquiderei. Significa che si è derubricato il senso della originalità del PD lucano di cui avrei dovuto essere consulente, eminenza grigia. Invece siamo a un assurdo della storia. Forse significa che c’è l’esigenza di rimettere con calma ordine. Dal punto di vista degli esiti abbiamo ancora una peculiarità, a seguire quella inaugurata nel ‘94, ‘95, ‘96. Marcello Pitella che vince le primarie rappresenta ancora una rottura del sistema di potere all’interno di quel centro sinistra. Renzi non c’entra, è una peculiarità lucana. So esattamente ciò che è successo. Pittella non rompe come avviene a livello nazionale, rinnova dentro quel ciclo politico che vuole rinnovare il sistema di forze e di gerarchie, tra Falotico, Vita, Antezza. Se è successo puoi spiegare perché io prendo il 41%. Quindi a livello nazionale il PD ed il suo segretario regionale possono avere la possibilità di incidere, di dare segni di diversità. Devo tenere un tono basso e muovermi con intelligenza. D’altra parte non dimentichiamo che Renzi ha vinto perché Bersani ha perso. In Lucania c’è questa peculiarità che va analizzata e capita. Ora si tratta di dare una mano a Marcello e dargli forza nazionale per le partite che abbiamo. Poi c’è una nuova generazione al comando del partito che va rispettata. Da dalemiano ho detto se perde Renzi perde l’Italia.

insieme le forze costituenti e traghettarle oltre l’emergenza. Ora con il PD non siamo ai partiti della vecchia tradizione democratica ma un partito movimento, leaderistico, contaminato dalla sconfitta subita per insufficienza e incapacità delle riforme. Quella di Bersani non è la sconfitta di Veltroni e Rutelli ma della idea di una centralità della vecchia dirigenza del PCI. Il PD ora è un campo di cultura, chiude l’era della costituente democratica, va verso altro, in cui sarà difficile definire l’identità. Siamo passati dal bipolarismo o bipartitismo a un mono-

partitismo con le elezioni europee. Quali nuovi rapporti con gli alleati? Non è un partito ma un campo, tanto è vero che i nostri alleati vivono una sorta di collateralismo correntizio con il PD perché è superata la fase del partito; c’è un problema di rappresentatività politico-istituzionale, il pluralismo nel nuovo scenario politico è all’ordine del giorno, il tema delle alleanze è stato derubricato. Sarà compito arduo ricostruire il sistema delle alleanze senza fagocitare gli ex alleati, partendo dai rapporti di

Non è un po’ contraddittorio sul PD, di cui da un lato ricorda una grande convergenza di consensi dall’altro che non abbia alternative a livello di leader? Non è il segno di una debolezza intrinseca? No. Però ci vuole un tempo lunghissimo per riorganizzare in caso di una sconfitta di Renzi. Persa l’occasione precedente, si metterebbe in dubbio lo stesso PD, non essendo questo partito struttura ma campo. Difficile riorganizzare anche con un centro destra che non esiste più. Abbiamo improvvisato fin troppo ora bisogna essere cauti. Tutto è magmatico, in formazione. Dalla sconfitta del renzismo cosa può venir fuori? Come ai tempi della DC che con il pentapartito prosciugando le alleanze faceva argine,

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fare tutto e subito spregiudicatamente senza guardare agli altri. Ed è così per tutto; d’altra parte c’è una sconfitta. C’era prima un sentire analogo come patrimonio politico culturale. Ma il tuo popolo stanco della sconfitta cerca un modello di leadership. Siamo stati sconfitti su questo, sulla indecisione. Siete in tanti e non decidete. Siamo venuti meno su questo.

oggi il PD fa argine alla spinta grillina che avrebbe destrutturato il sistema politico. Dove si organizza una risposta ragionevole allo scontro politica/antipolitica? Oggi nel PD. Renzi ebbe l’intuizione non so quanto consapevole; così altrettanto quando non ragiona con il sindacato ma da questi 80 euro direttamente, verifichiamo un mutamento del rapporto governanti/governati. Però il consenso a Renzi è una risposta al messaggio antipopulista, che si è voluto arginare. Non so se Letta ci sarebbe riuscito. Il ragazzo parte da questa intuizione, costruisce sull’effetto diga democratica. Quello era un governo emergenziale che vedeva lo scontro destra/sinistra; lui, invece populismo/antipopulismo. Noi prendiamo dalla destra e dalla estrema sinistra; per sostituire la legittimazione popolare e dire a Letta cambiamo passo, ha bisogno di una legittimazione cosa che ottiene con le europee. Non è una legittimazione sul percorso legge elettorale e riforma costituzionale. Siamo in assenza di una discussione di merito. Lui capisce che deve giocare a scavalcare Grillo. Non ci sono le condizioni per creare una opinione pubblica che si appassioni a queste questioni; è efficace il messaggio ridurre la classe politica. Noi sappiamo che ciò non basta. Parte da un rapporto di forze. Lui capitalizza tutto quello che abbiamo detto, la sua velocità è proporzionale alla lentezza degli anni precedenti mostrata dai partiti, che è fallita. Figuriamoci, poi, se con i problemi attuali, puoi fare un dibattito su contrappesi, sistema dei poteri. Poi è un tema comunque datato da quando caduto il muro prevale l’ordine speculativo, distruttivo, l’economia finanziaria rispetto a cui gli stati nazionali non sono capaci di prendere in mano la situazione. Se l’Europa non stabilisce una gerarchia, c’è una sproporzione tra econo-

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mia finanziaria e politica. Più si è andati avanti sulla moneta più si è indebolita. Vedo comunque l’Europa a rischio, ci sono stati errori non si costruisce la moneta prima di costruire l’unione politica. C’è una debolezza strutturale come dimostra il caso Ucraina. Renzi non è venuto a trovarci. Credo che coglierà l’occasione sul tema FIAT. Comunque venire in Basilicata non è semplice. Non è una visita pastorale. C’è il tema energia, che va affrontato tutto con saggezza e intelligenza anche tattica. Punto primo il nuovo centralismo rispetto a federalismo e regionalismo come architettura dello stato. Poi c’è il problema di una classe dirigente delegittimata per gli scandali in Italia. Questo è l’ambiente in cui vai ad aprire una trattativa stato-regione-petrolio. Ecco perché dico che l’unità del PD è costruire il sistema di relazioni, mettere insieme quanti sono disposti ad aprire una fase dialettica, con gli interlocutori che avremo e discutere sulle questioni politico-sociali. Mi dia qualche spunto sul prossimo autunno sino a dicembre. Credo di avere in testa l’agenda delle questioni. Come risolverle sarà il processo materiale a determinarlo. La prima questione è, in Basilicata, aggredire emergenza ambientale e sociale, cassa integrazione, precariato, occupazione giovanile e sviluppo,mobilità, ambiente, tra cui la SIDER. Poi il piano energia e petrolio. Come contratti il tuo destino futuro? Poi i giovani. Certo la questione PIL in Basilicata è particolarmente grave. La prima cosa è rilanciare l’edilizia che rimane ancora il vecchio motore, le attività produttive non sono qui soggetto di trascinamento. Poi il turismo ma c’è bisogno di una nuova civiltà dei lucani, noi dobbiamo fare un balzo in avanti enorme. Non è solo questione di incentivi. Da che parti? Si è persa la voglia di formare, già la classe dirigente, figurati l’impresa. Poi c’è la velocità che si confonde con la fretta… velocità è condividere democraticamente, fretta è

Sconfitta è anche non essere capaci di fare capire l’importanza di quella lentezza nei processi decisionali durante i quali non si può soffocare la democrazia. Purtroppo è prevalsa l’idea che pluralismo e democrazia siano un limite. Tra l’altro non è che non abbiamo avuto il tempo. Renzi ha capitalizzato questa esigenza di vincere. Dobbiamo fare il rapporto costo/benefici. A destra una premiership e una leadership coincidevano; ci dicevano: “Voi invece state a litigare”. In alternativa dovremmo avere altri modelli, dopo quelli che sono stati sconfitti, da proporre senza dare un segnale di restaurazione. Però voi avete la responsabilità di fare capire. Abbiamo bisogno di tempo. Comunque superare il nostro snobismo e lo status culturale che ci fa intravedere una specie di autoritarismo illuminato in queste esperienze. C’è un filo rosso in questi ultimi venti/venticinque anni. Costi quel che costi? Una sconfitta oggi ci porterebbe a qualcosa di molto peggio. Dalla seconda repubblica non ci sono più gerarchie ma vari centri di comando che si interdicono vicendevolmente, sindacati, avvocati, giornalisti, magistratura. Ricostruire una gerarchia di poteri sarà una impresa titanica. Bisognerà mettere un po’ di buon senso, preparare una nuova generazione, distinguere tra meriti e vanità perché ci sono tutte le ambizioni di questi giovani; però devono crescere e legittimarsi attraverso il loro sociale. D’altra è una generazione consapevole del fatto che i tempi di selezione delle classi dirigenti sono cambiati, la fretta deriva dal fatto che una carriera si esaurisce non più in trenta o venti anni ma in dieci. I partiti una volta amministravano il destino dei ragazzi, anche i destini personali. Oggi non è più così. Il ciclo politico di questi giovani non lo garantisce più nessuno. Incapacità dei partiti di costruire una classe politica. Ed a Potenza? Anche a Potenza. A Potenza si è realizzato un combinato efficace tra protesta radicale e scelta di un moderato. Risposta a tutte le forze politiche di cui forse c’era bisogno - e si dovrebbe fare buon viso - che lascia emergere Fratelli d’Italia, marginale a livello nazionale. Perché manca una classe dirigente. E’ il momento di capirlo.



R E P O R TA G E

PAOLO VERRI RACCONTA

#PORTOMATERANEL2019 al malleolo dello stivale giunge una domanda per dare e non per avere, fondata su una parola magica: cultura.” È quanto afferma Salvatore Adduce, sindaco di Matera, città tra le sei finaliste italiane (Siena, Cagliari, Lecce, Perugia/Assisi e Ravenna) rimaste in gara per guadagnare il titolo di “Capitale Europea della Cultura per il 2019”. Dopo aver superato il primo esame, a cui hanno partecipato complessivamente ventuno città italiane, ora il gruppo di lavoro, coordinato dal direttore generale, Paolo Verri, e dal direttore artistico, Joseph Grima, sta scrivendo la seconda parte del dossier dedicato alla programmazione culturale per il 2019, che dovrà essere consegnato alla giuria entro l’8 settembre 2014. «Il nostro obiettivo – spiega Paolo Verri – è far comprendere a livello europeo e internazionale, ma anche nazionale, come questa città possa consolidarsi quale piattaforma di sviluppo, soprattutto della produzione digitale a livello culturale, assumendo la cultura non come fine ma come strumento. La Basilicata è settimanalmente in review internazionale per i suoi luoghi di eccezionale ospitalità e qualità. Ora, pertanto, bisogna rilanciare l’industria del turismo e attrarre stabilmente talenti dal resto d’Europa e soprattutto dall’asse del Mediterraneo, usando tre grandi localizzazioni: i Sassi, le Cave e il Castello, nel tentativo di creare anche un grande campus universitario. La candidatura permette di fare un piano di medio periodo, di rafforzare gli investimenti, ma soprattutto di stringere alleanze, come nel caso del progetto “A new narrative for Europe!”: una grande occasione di rilancio del sistema europeo determinato da città di medie dimensioni, che verrà presentato l’8 settembre a Venezia, alla presenza del Presidente della Commissione Barroso. » Il comitato culturale del progetto definisce

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Mariassunta TELESCA


l'Europa come uno stato d'animo e una responsabilità morale e politica condivisa dai cittadini di tutto il continente; ci ricorda i valori comuni dell'Europa che attraggono una moltitudine di persone, lancia un appello per un rinascimento scientifico e artistico, che ha bisogno di leader coraggiosi e dell'impegno dei cittadini. “A new narrative for Europe!”, presentato a Bruxelles il 23 aprile 2013 dal Presidente Barroso, è un nuovo modo di raccontare l'Europa, affinché le nuove generazioni, che non riescono a identificarsi nell'attuale racconto, possano continuare a scrivere la storia dell'Europa, presente e futura. E Matera vuol creare una strada da cui l’Europa può ripartire, perché il sud vuole immaginare un futuro diverso. Matera è una delle città più attrattive e attraenti del mondo, come sostiene il Presidente della Regione Marcello Pittella; la Basilicata, pertanto, ha bisogno di costruire un percorso, che

diventi informazione, formazione e comunicazione, fungendo da calamita per un mondo che deve appartenerci. Matera è un mosaico in divenire capace di legare il passato a una proiezione futura. «La Basilicata è grande quanto il parco di Yellowstone – afferma Verri - ma ha la metà dei suoi turisti, poiché, grazie alle coste e alla crescita del materano, annovera circa 1.770.000 turisti l’anno. Questo dato indica che siamo vicini a un target naturalistico, ma dobbiamo e possiamo crescere molto: abbiamo bisogno di consolidare le relazioni con la Puglia, in quanto l’aeroporto di Bari è l’Air Base di Matera. Non si vogliono spendere fondi in infrastrutture pesanti bensì investire in collegamenti più rapidi e leggeri, in servizi di wi-fi e nella possibilità di avere un abbellimento di tutti i luoghi. A tal proposito, infatti, si sta pensando di istituire una open design school, che consenta di migliorare tutti i luoghi della Basilicata, cosicché tutto ciò che c’è in Basilicata sia bello.

Questo territorio inizia ad essere molto attrattivo per residenti permanenti, per questo la candidatura di Matera non mira a turisti ma ad abitanti temporanei, con una visione del turismo quale investimento sociale: chi viene da fuori deve attuare uno scambio culturale.» Matera 2019 è un’avventura partita da un gruppo di ragazzi, che nel 2009 si sono chiesti perché Matera non potesse diventare Capitale Europea della Cultura; due anni fa è diventato un progetto delle istituzioni e ora è un progetto della collettività. L’ultimo step sarà a Roma il 16 ottobre. Prima di quest’ultimo appuntamento, tra il 3 e il 10 ottobre, è prevista una visita a Matera di una rappresentanza della giuria: sarà questo il momento in cui tutta la città dovrà stringersi intorno a questa sfida, rispondendo alle domande della commissione con grande entusiasmo e convinzione. Un in bocca al lupo a Matera e alla Basilicata tutta, perché insieme si può vincere!

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R E P O R TA G E

Chi ha il dato ha il potere Albina SODO

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rancesco Piero Paolicelli è un civic hacker che utilizza gli OpenData per fini sociali. In che modo? Diffondendo, condividendo buone pratiche e iniziative dal basso, come nei casi della Mappa dei Musei Digitali o del progetto OpenStreetMap. È membro della Task Force per l'Agenda Digitale della Basilicata ed ha un sogno: creare cooperative di giovani che facciano da cerniera tra il web e le persone con bassa informatizzazione. Webmaster della Community di Matera 2019, a lui abbiamo chiesto di rivelarci i punti di forza della Candidatura a Capitale Europea per la Cultura della città lucana. Il luogo giusto per lanciare i semi del futuro, il luogo che ha saputo resistere ai cambiamenti della storia, il luogo resiliente, insomma, il luogo migliore in cui vivere.

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Piero una tua definizione di dati aperti. Nel caso degli OpenData di una Pubblica Amministrazione, sono i dati in possesso della stessa (spese correnti, qualità dell'aria, trasporti pubblici, statistiche, attività commerciali e ricettive, edifici pubblici) messi sul web a disposizione di tutti (e soprattutto di macchine che automaticamente possano elaborarli) con due vincoli: una licenza corretta che permetta a ognuno di usarli per qualsiasi scopo e con un formato apribile da qualsiasi sistema operativo. Ti occupi di OpenData per il Comune di Matera e non solo. Come nasce il progetto OpenStreetMap? Mi occupo di OpenData per diletto e profes-


ti" hanno un atteggiamento o da sudditi o da forcaioli, mentre gli "amministratori" hanno un approccio da sultano: tu non puoi sederti affianco a me e non puoi neanche pensare, perché non capisci nulla. Avvicinare le parti richiede molto lavoro. Inoltre, anche quando hai un politico illuminato, hai spesso un apparato burocratico che non vuole cedere alla diffusione dei propri dati. Chi ha il dato, ha potere... Hai partecipato alla Notte Bianca della Cultura su Twitter, offri il tuo contributo per la Mappa dei Musei Digitali. Perché è importante una cultura condivisa? Bisogna partecipare in rete, con gli altri, per creare massa critica e sensibilizzare l'opinione pubblica. Avere una mappa che mostri i luoghi delle invasioni digitali, fa capire che i bravi organizzatori (come @invasionidigita e @insopportabile) riescono a muovere una massa impressionante di persone su argomenti apparentemente di nicchia: i luoghi

sione. Seguo il Comune di Matera, il Comune di Lecce e sono membro della Task Force per l'Agenda Digitale della Basilicata. Quello che più alimenta la mia passione è far parte di gruppi, associazioni, persone che applicano il mondo "open" ad un uso sociale: siamo i civic hacker. Parlo di associazioni internazionali o semplici aggregazioni di persone con gli stessi interessi: wikimedia, spaghetti opendata, wikitalia, open knowlegde foundation. OpenStreet Map, cioè la mappa aperta mondiale, libera, aggiornabile da tutti, a disposizione di tutti, anche per scopi commerciali, conta decine di milioni di utenti che ogni giorno aggiungono una piccola informazione per il bene collettivo. Esattamente come avviene per Wikipedia. Nasce 6-7 anni fa e ora è la più dettagliata al mondo.

della cultura e la cultura, in generale, legata a cibo, letteratura, musica, arte. Da Trento a Porto Empedocle. Impressionante. Con lo stesso spirito, ci sono alcuni musei che hanno voglia di esserci e fare rete. Mi hanno chiesto di apparire su una mappa, iniziare a conoscersi, sostenersi a vicenda. Una "mappatura" dal basso, autogestita e che sia semplice da attuare. A oggi 150 musei hanno compilato un form di pochi campi e magicamente appaiono su www.piersoft.it/museidigitali. La cosa ha creato polemiche tra i big degli OpenData: ma perché non insegni loro ad usare wikipedia, openstreetmap? Qui entro in disaccordo con i miei compagni. Certo che avrei potuto (e dovuto, forse) far convogliare su sistemi già esistenti, ma l'asticella per inserire dati è ancora alta. Musei piccolini con 1-2 collaboratori non hanno tempo e forza economica per specializzarsi. Il sistema che ho creato è liberamente consultabile e il database è liberamente scaricabile. Il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo mi ha ringraziato con un tweet "famoso" dicendo che avrebbe preso i dati per aggiornare il mega database di tutti i luoghi museali. Grande orgoglio. Una cosa nata "dal basso" recepita da un'istituzione che chiude il cerchio. Sono contentissimo per i musei che si stanno aggregando e divertendo. In che modo si attenua il divario digitale? Bella domanda. Il Digital Divide può essere infrastrutturale (il paesino lucano tal dei tali piuttosto che un'area industriale non ha accesso ad Internet in larga banda) oppure culturale (il vec-

È più facile che la Pubblica Amministrazione si apra all’esterno o che i cittadini colgano la sfida culturale dell’open? OpenData è un pilastro dell'OpenGov. Non è sufficiente rilasciare dati per dire che la propria amministrazione sia open. Ci vuole collaborazione e partecipazione della società civile. Cittadini che hanno buone capacità di dialogo interagiscono con la PA per dare un loro contributo alle scelte di chi governa. Dall'altra parte una PA deve essere capace di ascolto e coinvolgimento. È un cambio di paradigma culturale. Spesso gli "amministra-

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R E P O R TA G E

Webteam Matera 2019 su Twitter Webmaster della Communty: Francesco Piero Paolicelli (@piersoft) Account istituzionali del Comitato (@matera2019 e FB): Raffaella Pontrandolfi (@raffapontra) Community Manager: Ida Leone (@ida_leone) Super "capo": Alberto Cottica (@alberto_cottica)

Opendata chi seguire Aspetti giuridici e OpenGov: Ernesto Belisario (@diritto2puntozero), Morena Ragone (@morenaragone); Aspetti tecnici: Maurizio Napolitano (@napo), Matteo Brunati (@dagoneye) Wikipedia delle mappe (@OpenStreetMap): Simone Cortesi (@simonecortesi) OpenData legati ai beni culturali: Luca Corsato (@lucacorsato)

chietto e il 40enne che non naviga in Internet non riesce neanche ad accedere alla propria posizione INPS o in un futuro prossimo al proprio fascicolo sanitario regionale). Bisogna lavorare su ambo i fronti. Il Bando per la Larga Banda è stato rilasciato dalla Regione Basilicata. Ora in parallelo occorre lavorare nelle scuole (insegnanti e alunni). Il mio sogno è creare cooperative di giovani (magari disoccupati) che facciano da cerniera tra il web e le persone con bassa informatizzazione: un po’ come i CAAF per la dichiarazione dei redditi. La conoscenza, le informazioni viaggiano sul web. Secondo me anche strumenti semplificati come Tablet e Smartphone possono aiutare. Non c'è bisogno di insegnare tutto. Basta il minimo per sopravvivere. Il resto deve essere la curiosità di investigare e di capire. La stessa curiosità e la voglia di sapere che ci spinge a leggere un libro.

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Fai parte del webteam di Matera 2019. Quali sono i punti di forza della Candidatura di Matera? Per me abbiamo già vinto la nostra sfida. Abbiamo aggiornato il software della nostra città e del territorio lucano. Sono emerse tante eccellenze che tramite il web (e il webteam) sono state linkate tra loro. Si respira una nuova aria: la speranza che tutti insieme possiamo farcela. Senza snaturare la nostra grande identità, anzi, aprendoci all'esterno, abbiamo recepito le cose belle dell'Europa e le abbiamo contaminate con i nostri valori, le nostre caratteristiche. Se vinceremo porteremo il nostro metodo in Europa e apriremo le nostre porte ancora di più. Altrimenti, comunque, si continua su questa strada. La Basilicata tutta si è dimostrata una terra meravigliosa. Capace di cambiare pur rimanendo se stessa. La Candidatura è stato un acceleratore formidabile. Spero tanto che vinca Matera. Ma la sfida è durissima. Noi del webteam facciamo da cassa di risonanza e da facilitatori a tutte le iniziative istituzionali e dal basso. Siamo tutti volontari. Poi abbiamo dei ruoli precisi: io sono il webmaster della Communty, Raffaella Pontrandolfi segue gli account istituzionali del Comitato, Ida Leone è la Community Manager e coordina il WebTeam, il nostro super "capo" Alberto Cottica ci da la bussola e le cornici in cui muoverci in prospettiva ampia e coordinata con il gruppo europeo degli EdgeRiders. La rete, anche di amici, che si è creata, non si dimentica e non si scioglie in due minuti. Il punto di forza di Matera è proprio il territorio: il luogo migliore dove lanciare i semi del futuro. Matera si è sempre riciclata, diremmo oggi, ma dovremmo dire che ha dimostrato la sua

resilienza: anche se il mondo cambiava economicamente, socialmente, morfologicamente, Matera si è rimessa in discussione e si è aggiornata per vivere nel futuro. Ha resistito allo shock dei cambiamenti nella storia. Correttamente dovrei dire "i materani". Cioè persone, non entità astratte, che hanno dimostrato capacità di adattamento e creatività. Matera è fatta dagli uomini: case, cultura, artigianato, cibo, musica. Tutto fatto in casa, mai chiuso in se stesso, contaminato da persone che ci hanno attraversato nei secoli. Questo unicum ha permesso di avere il primato mondiale di continuità abitativa dell'uomo ininterrotta. Il posto migliore per vivere è qui, anche se fino a poco tempo fa non c'erano le condizioni. Molti, tra cui io, siamo andati in altre città a studiare e a lavorare. Io mi impegno per invertire questa tendenza: arricchire il territorio affinché sia attrattivo e si venga qui a vivere e lavorare. Cosa cambierà da ottobre in poi? A ottobre viene prima la Commissione Europea a visitarci, poi a metà mese andiamo a Roma per farci interrogare sul secondo Dossier. Entro il 20 Ottobre sapremo se siamo stati più convincenti o meno delle altre 5 bellissime candidate. Confido in Joseph Grima e in tutto lo staff del Comitato. Paolo Verri è stato un bravo condottiero, Rossella Tarantino una "zia" preparata, conoscitrice dei meccanismi burocratici regionali e comunitari. Con il webteam, il Comitato e le istituzioni dietro la candidatura abbiamo espresso il meglio che si potesse mettere sul piatto. Altro non si sarebbe proprio potuto fare.

Info: www.matera-basilicata2019.it/



R E P O R TA G E

Potenza

Parco della città A che punto siamo Simona BRANCATI

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iniziato due anni e mezzo fa, l’impegno del comitato cittadino Parco della città a sostegno del progetto dello studio Wop per realizzare una grande parco nell’area della ex Cip-Zoo, sede un tempo della suinicola lucana. Il gruppo di “Parchigiani” ha avviato una serie di azioni volte a fare pressione sulle istituzioni e a tenere sempre alto e vivo l’interesse dei potentini. La raccolta firme, il coinvolgimento delle attività commerciali e uno spot realizzato dal trio comico “La Ricotta” sono stati i primi passi compiuti dal gruppo di cittadini impegnati, per dare vita al primo e più grande esperimento di democrazia partecipata che Potenza abbia mai visto. Alberi al posto del cemento, un luogo di incontro che permetta lo svago e l’attività fisica, il relax e l’organizzazione di eventi. Questo rappresenta il progetto del grande parco cittadino, polmone verde per Potenza realizzata dai giovani professionisti dello studio di progettazione Wop: Gerardo

E’

Sassano, Antonio Graziadei, Michele Scioscia, Alberto Petrone e Valentina Ungaro. Su una superficie complessiva di 87.000 metri quadri, un prato con piste da jogging e anfiteatro naturale per l’attività fisica e la realizzazione di spettacoli, un laghetto con fitodepurazione, area giochi e relax, area sport con campetti polivalenti da pallavolo e basket, orti, giardini, skatepark per gli amanti delle evoluzioni e piccole Dolomiti per l’arrampicata. Riassunto in cifre tutto ciò significa il 67,25 per cento di verde, il 30,25 per cento di aree attrezzate realizzate con materiali rigorosamente ecocompatibili, e soltanto il 2,5 per cento di spazi coperti, per lo più ottenuti da un recupero di strutture già esistenti. I dettagli sul sito www.woplab.it Il progetto porta con sé ben due rivoluzioni: in primis la riqualificazione di un vasta area che, per la prima volta, non porterebbe vantaggio a pochi, cosa che accade quando si realizza cubatura, ma l’enorme valore del


bene verrebbe trasferito all’intera collettività in termini di qualità della vita. In secondo luogo la partecipazione popolare. I risultati sono stati incredibili essendo state raccolte 11.713 firme, successivamente consegnate al sinadaco Vito Santarsiero e al presidente della Regione Vito De Filippo. Prima dello scioglimento del precedente Consiglio Regionale, i Parchigiani hanno ottenuto, con una proposta di legge che ha ottenuto le firme di 17 consiglieri, che l’area fosse svincolata e quindi potesse non essere nell’elenco dei beni vendibili per ripianare i debiti dell’ex consorzio Asi, proprietario dell’area. Il valore dell'area, spiegavano i consiglieri, la cui proprietà è della Regione Basilicata, è stimata in oltre 30 milioni di euro, riportata in "bilancio" per 13 milioni di euro. Nel senso che, per ripianare i debiti dell'ex Esab, la Regione li ha anticipati ed ha approvato una legge regionale in base alla quale, per vendere l'area, dovrebbe ricavare quella somma. Il Comune dovrebbe concordare con l'Asi la restituzione dell'intera area (comprensiva anche della Cip Zoo). Poi, dovrebbe determinarne la destinazione urbanistica, quindi chiederne l'attribuzione della proprietà alla Regione che, se d'accordo con la destinazione, potrebbe attribuirla gratuitamente, reperendo comunque i 13 milioni di euro. Il

Comune dovrebbe, in ogni caso, farsi carico dei costi relativi alla realizzazione del parco o di quant'altro. Essendo dunque fondamentale l’azione dell’amministrazione comunale, nel corso della campagna elettorale che vedeva impegnati ben cinque candidati alla carica di Sindaco della città, il gruppo di cittadini impegnati ha incontrato tutti i candidati per testare l’interesse e la volontà nei confronti del progetto. Dario De Luca tra tutti si era mostrato il più entusiasta e aveva garantito il proprio supporto. A pochi giorni dalle elezioni, il primo cittadino ha incontrato nuovamente i membri del comitato affermando che il parco rientra nella qualificazione ambientale da attuare con i finanziamenti comunitari. Il Comune

parteciperà alla redazione del Por e allora, ha sostenuto De Luca, verranno date le linee di indirizzo per attingere ai fondi europei. Parallelamente il comitato, con una fotografia simbolica, lancia la campagna “Schiavi dell’impegno civile”. Uno scatto davanti alla cancellata dell’ex suinicola lucana per ribadire l’apertura del gruppo a chiunque voglia dare un contributo e la ricerca di nuovi stimoli e nuove iniziative attraverso la partecipazione dei concittadini che credono nel progetto del parco nell’area dell’ex Cip-Zoo. Perché il grande polmone verde a servizio della città e dell’hinterland sia realizzato, è quindi necessaria un’azione sinergica dell’amministrazione e del governo regionale. Il prossimo passo fondamentale è infatti la donazione dell’area al Comune da parte della Regione Basilicata. Ed è per questo che l’ultimo atto del comitato, prima delle vacanze estive, è stato quello di presentare una mozione perché il passaggio possa avvenire. Intanto è stata avviata la bonifica dell’area dall’amianto. E’ possibile seguire l’attività del comitato sul gruppo facebook “Parco del Basento” e proporsi e tenersi informati scrivendo una mail all’indirizzo comitatoparcocitta@gmail.com Foto Gianfranco Vaglio

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R E P O R TA G E

Turismo porta a porta Il grattacapo delle guide invasive

Antonio MUTASCI

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'estate sta finendo....” recitava una famosa canzone dei Righeira. E quando l'estate sta per finire, nella città dei Sassi è tempo dei primi bilanci per la stagione turistica. Matera in questo 2014, in attesa del verdetto di ottobre sulla candidatura della città a Capitale europea della Cultura per il 2019, ha fatto registrare numeri in ascesa, anche se alcuni problemi hanno sicura-

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mente lasciato il segno. Tirando le somme della stagione turistica, aperta con il ponte pasquale, passando per il ponte del Primo maggio, attraversando la festività della Madonna della Bruna e arrivando all'apice con le ferie d'agosto, è soddisfacente. Le presenze in città sono aumentate. Resta, però, la moda del “mordi&fuggi”. Matera è una meta ambita, ma ancora oggi, in molti casi chi sceglie la


città dei Sassi lo fa per passarci una giornata. Quindi molti tour operator inseriscono la visita nella seconda città della Basilicata per numero di abitanti in un pacchetto che magari ha come base la vicina Puglia. Quindi si va al mare nel Salento o sullo Jonio, poi si prende il bus per raggiungere e visitare il patrimonio Unesco. Questo porta singole unità nella città scavata nella roccia, ma gran parte delle ric-

chezze che il turismo muove resta altrove. A tutto svantaggio di chi ha fatto del turismo la sua ragione di vita. Poi ci sono le famose “pulmanate di stranieri”: tedeschi, giapponesi, inglesi, francesi, australiani e chi più ne ha più ne metta. Tutti pronti ad immortalare quel presepe a cielo aperto che tanti registi ha ispirato. Dietro tutto questo si nascondono anche tanti piccoli, ma gravi problemi. L'estate

2014 sarà ricordata come quella delle guide invasive. Spesso si sente parlare di guide abusive, in questo caso il termine più giusto è guide invasive. Si, perché pur di accaparrarsi un gruppo con un buon numero di persone da portare a spasso tra il Barisano e il Caveoso, ci sono guide dislocate sugli accessi della città, o per le vie del centro, che si propongono per un tour nella parte antica di Matera. Quasi come una vendita porta a porta, solamente che non ci sono i citofoni a cui suonare, ci sono i turisti a spasso da fermare. Questo è il compito del “promoter”, un vero e proprio procacciatore che, in maniera autorizzata e legale, cerca clienti per una guida autorizzata. Quindi nulla di illecito, ma solo fastidioso, perché all'occhio esterno, quello del turista, questa attività è avvertita come fastidiosa. Infatti nei giorni scorsi anche il sindaco della città di Matera, Salvatore Adduce è intervenuto sul problema: «Le guide abusive non ci sono più. E’ un fenomeno che abbiamo superato, oggi la situazione si è modificata e ci sono dei promotori molto aggressivi che consegnano dei volantini alle persone, ma operano nella legalità». La situazione, che in alcuni punti risulta ancora ben visibile, non sarebbe quindi più quella di prima e soprattutto non avrebbe niente a che fare con i fenomeni di illegalità e di abusivismo che c’erano stati nel passato, anche grazie all’aumento dei controlli da parte delle forze dell’ordine ed all’introduzione di guide autorizzate. Però poi, scorrendo le varie pagine del web, si scopre che esistono commenti, su siti specializzati come Tripadvisor, di turisti che non hanno gradito l'ostinazione dei “promoter”. Certo, in percentuale, rispetto ai commenti entusiastici, la voce degli scontenti fa meno rumore quando si parla di Matera, ma altre candidate a Capitale europea della Cultura per il 2019 (vedi Ravenna) colgono immediatamente la palla al balzo per mettere in cattiva luce le concorrenti. E' appunto il caso di Ravenna che, prendendo spunto da un'inchiesta de “Il Quotidiano del Sud”, che ha evidenziato come nei Sassi, nel Convicinio di Sant'Antonio, si potevano visitare quattro chiese rupestri in una struttura che il Comune riteneva chiusa, ha colto in fallo Matera con il titolo “Matera inciampa sui Sassi”, su un pezzo di Ravenna&Dintorni.it. Strategie, colpi sferrati in una corsa, in una competizione. Però poi arriva “Vanity Fair” che con un suo servizio torna a far pendere l'ago della bilancia dalla parte di Matera. Questo è altro ancora è stata la “calda” estate di Matera. E visto che “...un anno se ne va”, sempre per citare i Righeira, non resta che attendere l'avvicinarsi della fine di questo 2014 per capire, ad ottobre, se Matera sarà oppure no la Capitale europea della Cultura per il 2019.

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E P I S T E M E

Stranezze nella cultura Leonardo CLAPS

i sono alcuni fenomeni culturali, indagati soprattutto dall'antropologia culturale, che presentano caratteristiche non proprio normali, caratteristiche che si possono definire stranezze. Perché proprio stranezze? Evidentemente perché non rientrano nella comprensione “normale” dei fenomeni e delle cose del mondo, e quindi producono meraviglia, curiosità, perplessità. Alcune usanze di popoli molto diversi dal nostro possono essere considerate stranezze, così pure come alcune credenze, alcuni comportamenti o addirittura alcuni valori. In questo senso l'antropologia culturale ci pone il classico problema del relativismo culturale, cioè l'idea che ogni cultura è relativa al gruppo etnico che l'adotta, e pertanto non si possono fare semplicistiche generalizzazioni. Nel vasto repertorio della paremiologia, disciplina che classifica, descrive e studia i proverbi, possiamo trovare alcune di queste stranezze, anche se va ricordato che molti proverbi a prima vista sembrano controintuitivi o strani, evidentemente a causa

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dello stile conciso in cui si presentano. Prendiamo alcuni esempi di questa stranezza dalla paremiologia lucana:ricch' jè chi sap' ghor', vecchi chi aviett' mor' (ricco è chi sa godere, vecchio è chi presto muore). Cosa significa? È davvero ricco, da intendersi ricco nell'anima, chi ha la capacità di godere delle cose buone e belle della vita; è vecchio chi perde presto la capacità di provare gioia per la vita. Molti altri proverbi presentano la stessa stranezza all'inizio dei tentativi di interpretazione. In particolare ne segnalo qui due che sono davvero strani e quindi meritano un'attenzione particolare. Il primo può dare adito a diverse interpretazioni: lu zuopp' p' ballà, lu cacagli p' candà (lo zoppo per ballare, il balbuziente per cantare). Ho trovato che questo proverbio si usa, con dialetto diverso, anche in altre regioni d'Italia. Cosa significa veramente? Anzi, si può ancora parlare di interpretazione dopo tanta apparente assurdità? Non è forse solo una sciocchezza della

cultura folk che vorrebbe incuriosire con le sue inevitabili attrattive pittoresche? Prima di tutto vediamo il modo giusto di tradurlo. Sia per quanto riguarda lo zoppo sia per il balbuziente “per” sta a significare “adatto per”, nel senso di convenienza, come a dire: per ballare ci vuole lo zoppo, per cantare ci vuole il balbuziente. In base a questa traduzione, che dovrebbe essere quella corretta, la stranezza del proverbio è veramente sconcertante. Le interpretazioni che son riuscito a trovare, a dir il vero poche e contraddittorie, non mi hanno affatto convinto. Quindi mi sono rivolto agli anziani del posto e ho condotto un'intervista molto attenta. Il risultato è stato davvero interessante: tutti mi hanno detto che il proverbio non nasconde nulla di particolare, solo si limita a registrare un fatto dell'esperienza che non tutti notano. Alcuni anziani mi hanno invitato ad osservare uno zoppo quando balla. Dicono che gli zoppi sono incredibilmente bravi a ballare. Un signore sulla settantina mi ha parlato di una versione di un paese della provincia di


Potenza, versione che fino a quel momento non conoscevo. Tradotta è la seguente: con lo zoppo non ballare, con il balbuziente non cantare. Perché entrambi ti faranno fare cattiva figura. Già, ma non a causa del loro handicap ti faranno sbagliare bensì a causa della loro bravura! Per i balbuzienti basti ricordare che alcuni cantanti famosi, del passato e del presente hanno avuto problemi di balbuzie. Strano ma vero. Bisogna solo informarsi. Il secondo proverbio che voglio segnalare come esempio lampante di stranezza è il seguente: ten' lu nehe e nun lu ver', ten' la furtuna e nun ngi crer' (ha il neo e non lo vede, ha la fortuna e non ci crede). Non ho trovato nessun altra versione di questo detto. Comunque, a questo proposito cosa dobbiamo dire veramente? Questo proverbio è strano o difficile? È strano o profondo? A prima vista possiamo dire tranquillamente che questo “insolito” proverbio è sicuramente strano. Infatti, di solito chi ha un neo lo vede, non ha nessu-

na difficoltà a vederlo. Perché allora il proverbio sembra non tener conto di questa ovvietà? Evidentemente si tratta di un significato metaforico, forse per dire qualcosa che a tutta prima sfugge. Ma cosa? Probabilmente, dato che si tratta di una metafora, questa prima parte del detto vuol dire che non si vede, cioè non si considera, perché ritenuta insignificante, una parte del proprio corpo. Ma nella cultura popolare il neo è segno di bellezza, di fascino, un piccolissimo punto nero che interrompe il disegno ovvio del viso o di un'altra parte del corpo. Quindi, non vedere il neo significa non considerare un piccolo dettaglio che in realtà conferisce una specie di attrazione, in quanto elemento che spezza l'ovvietà, la linearità. E, quindi, ora la seconda parte del proverbio emerge in tutta chiarezza gettando luce sulla prima: ognuno di noi ha qualche “fortuna”, qualcosa del suo carattere che può rivelarsi utile, positiva, vantaggiosa. Ma è difficile credere in questa fortuna, la si sottovaluta, non la si considera attentamente, proprio

come nel caso del neo che non viene visto, cioè non viene valorizzato adeguatamente nella sua peculiare importanza. È molto interessante il confronto tra neo e fortuna, e sicuramente non è casuale. Infatti, a volte la fortuna è come un neo, non la si vede. Non la si vede perché come il neo è un elemento di discontinuità, di non-linearità. E questa trascuratezza deriva dal fatto che di solito, normalmente la nostra vita si svolge secondo schemi razionali, ordinari. Ma la vita comporta anche un'altra dimensione, non-lineare, non schematizzabile secondo i criteri della sola razionalità. Considerando attentamente, le stranezze riscontrabili in ambito culturale ci invitano a non trascurare gli elementi non-lineari della vita. Infatti, quante cose non si possono spiegare o capire con il solo ausilio della dimensione lineare, razionale? L'argomento delle stranezze ci porta a considerare la vita in quanto fenomeno complesso, in cui anche apparenti handicap possono essere decisivi, più di quanto si possa pensare.

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E U R E K A

LA SCOMPARSA DEL

VINO PROIBITO DALLA TAVOLA DEI

CONTADINI LUCANI 30


Ettore BOVE

ra i tanti episodi biblici, quello che vede il vegliardo patriarca Noè impegnato come vignaiolo si rivela, più di altri, il principio ispiratore di progredite civiltà antiche. A testimoniarlo è un vasto patrimonio archeologico sparso nel mondo da cui la vitivinicoltura emerge come protagonista indiscussa della ritualità delle civiltà del passato. In particolare, il vino, la “bevanda divina” di omerica memoria, si ritrova caricato, forse più del pane, di valenze simboliche che lo sottraggono alla sfera del bisogno fisico quotidiano per collocarlo in spazi dominati dall’immaginario. In questo ruolo, la bevanda donata dagli dei finisce per con-

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quistare la centralità nella liturgia cattolica fino a identificarlo con il sangue del fondatore del cristianesimo. Quando, però, il frutto della vite approda a tavola come bevanda, attraverso sontuosi banchetti e fastosi simposi per pochi privilegiati, esso diviene simbolo di divisione sociale e scontri di civiltà che arrivano a toccare non soltanto il mondo terreno ma anche quello dell’aldilà in tutto il Mediterraneo. Questo multiforme linguaggio millenario del vino sembra andare per sempre in frantumi nella seconda metà dell’800 quando, con l’intensificarsi degli scambi commerciali, compare nei vigneti europei, proveniente dagli Stati Uniti, la “fillossera”, il micidiale piccolo insetto parassita che con la sua silente azione distruttrice arriva addirittura a mettere in discussione la sopravvivenza della leggendaria pianta mediterranea. L’infezione fillosserica, infatti, appare da subito devastante e non arginabile. In Basilicata, poi, il flagello si abbatte, all’inizio del ‘900, su di una viticoltura, sbarcata con i greci, già pesantemente danneggiata dalla peronospora. Le fonti statistiche di allora rivelano un consistente restringimento della superficie vitata e un significativo aumento dei prezzi dei vigneti. A risentirne, tuttavia, non sono solo i viticoltori interessati al mercato ma anche tanti piccoli contadini e braccianti sparsi sulla montagna lucana dove il vino rappresenta un vero e proprio alimento di base. Ad ogni modo, all’insieme della viticoltura lucana si pongono, come altrove, due alternative all’avanzata del terribile morbo. La prima contempla la sostituzione della mitica vite europea (Vitis vinifera) con quelle spontanee americane, gli “ibridi produttori diretti”, che, si scopre, convivono con il piccolo insetto insediatosi sulla radice senza essere danneggiate. L’operazione, tra l’altro, avrebbe il vantaggio di abbat-

tere i costi di produzione in quanto, oltre che più produttiva, fino a quattro volte, la rusticità delle specie americane le rende adattabili ad ambienti difficili e resistenti agli attacchi delle crittogame. La sostituzione, però, avrebbe l’inconveniente di ottenere uve con caratteristiche profondamente diverse da quelle fino ad allora vinificate poiché le viti selvatiche americane appartengono a specie differenti da quella europea. In concreto, da uve di ibridi produttori diretti, di cui ne è rappresentante la nota uva fragola, nata però dall’incrocio, probabilmente spontaneo, tra la specie europea e una americana, si ottengono vini a bassa gradazione alcolica, tannici, con alto contenuto di alcol metilico, dall’intenso aroma di selvatico e, nel caso di bacche rosse, dal colore che ricorda il nero dell’inchiostro. Di conseguenza, la vinificazione di uve di ibridi produttori diretti dà origine a prodotti ritenuti poco sicuri per la salute umana, difficilmente conservabili e non facilmente commerciabili. Da qui il tentativo di impedirne la diffusione attraverso interventi legislativi che ne vietano la commercializzazione. Il legislatore, tuttavia, non pone vincoli quando questa tipologia di vino è destinata al consumo famigliare. La seconda alternativa all’invasione fillosserica prevede l’innesto della vite europea sul ceppo americano. In questo modo, la radice dell’ibrido assicura la resistenza al parassita e la parte vegetativa della vite europea la bontà delle uve. Va da sé che i costi di produzione delle nuove viti (barbatelle) non sono sempre sostenibili per i piccoli contadini. Lo sono, invece, per la borghesia terriera che di fronte ai due scenari viticoli possibili si orienta a ricostruire i propri vigneti reclutando esperti innestatori pugliesi. Il risultato di questo diverso modo di operare è la comparsa in terra lucana di un vero e proprio dualismo enologico che

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E U R E K A vede contrapporsi ai ceti più abbienti, custodi delle nobili viti, masse di miserabili costretti a ripiegare sulla produzione di un pessimo, almeno sotto il profilo normativo, surrogato del classico vino. La realtà territoriale dove il dualismo appare più acuto è l’Alta Val d’Agri, la zona appenninica in cui la toponomastica è ricca di luoghi che rimandano alla vite (Vigne di Viggiano, Contrada Vigne a Paterno, le Vigne di Marsico Nuovo). In effetti, da queste parti, la risposta dei contadini alla fillossera è un lavoro di semplice sostituzione delle viti attaccate o distrutte dall’insetto con ibridi produttori diretti. Da Marsico Nuovo fino all’antica Grumentum, non lontano dalla quale doveva aver origine, secondo Plinio il Vecchio, il pregiato vino noto ai romani come “lagarina”, i piccoli contadini piantumano vitigni americani dovunque è possibile. L’attività si rivela particolarmente intensa a Paterno, dove gli ibridi, prevalentemente a bacca rossa, dai nomi fantasiosi, tra cui domina, per le macchie indelebili che lascia, il “tinturino”, sono messi a dimora in filari ai bordi dei fossi di scolo che si immettono nell’Agri, nel fondovalle, e in veri e propri vigneti, di ampiezza ridotta, nelle zone più elevate. Nella memoria delle persone anziane sono vive le fasi festose degli abbondanti raccolti e della vinificazione. La raccolta,

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che vedeva impegnate soprattutto donne, iniziava a fine agosto e non andava oltre i primi di settembre. Al fine di evitare che il gusto del vino si alterasse, si

prestava attenzione, non sempre con successo, di raccogliere l’uva fragola a parte. Era buona abitudine conservare grappoli di quest’uva appendendoli a delle travi. Non di rado, a causa della paura del maltempo, si vendemmiava anche con uve non perfettamente mature andando così a peggiorare la già bassa qualità insita nel vino di ibridi produttori diretti. Per il trasporto del prodotto dalle zone pianeggianti si utilizzavano recipienti dalla forma cilindrica con la base ristretta (cupiedd), costruiti da artigiani locali assemblando toghe di legno, caricati sugli asini. In questo modo si risparmiava tempo poiché l’impiego dei recipienti di legno consentiva una prima leggera premitura delle uve. Dai luoghi più impervi i grappoli venivano trasportati dalle donne con delle ampie ceste poste sulla testa. Quando, però, le condizioni del terreno lo consentivano, il trasporto avveniva assicurando alla barda degli asini due recipienti (cofani), sempre dalla forma cilindrica con la base meno ampia della sommità, ricavati, da mani esperte, intrecciando cortecce di castagno. Nelle attività di lavorazione delle uve, invece, erano impegnati prevalentemente gli uomini. Per tutti gli anni ’50 del secolo scorso, prima dell’avvento delle prime pigiatrici manuali, a loro era affidato il compito di calpestare, coinvolgendo anche adolescenti, i ricchi grappoli posti nei vecchi tini di legno. Alla fine dell’operazione i piedi delle persone coinvolte risultavano letteralmente colorate, con sfumature tra il nero e il granata, dalle particolari antocianine presenti nelle bucce. Dopo una ventina di giorni di fermentazione del mosto, il vino (vino ri pruduttori) era trasferito nelle botti di legno e le vinacce dapprima torchiate e poi, riposte nel tino, sommerse di acqua, per alcuni giorni, in modo da ricavarne una bevanda (acquata) leggermente alcolica e dal gusto astringente. Il torchiato e la bevanda acquosa erano i primi prodotti a com-


parire in tavola. Nel corso dell’anno non non mancava mai il mosto cotto (musticuott), utilizzato come dolcificante di sorbetti e tisane e per preparare, dopo l’aggiunta di farina e frutta secca, l’energetico biscotto “pani minisck” in questa operazione, particolarmente apprezzato era il mosto di “Tinturino”. In genere ogni famiglia, allora numerose, disponeva di 3-4 botti di legno di cui almeno una era l’immancabile “bordolese”, la botte dalla capacità di 220 litri destinata il più delle volte a completare il corredo della sposa. In relazione agli elevati consumi pro-capite, il vino, dal gusto raramente convincente per i non contadini, si incominciava ad utilizzarlo subito anche se si attendeva l’uccisione del maiale o occasioni particolari (fidanzamenti, matrimoni) per iniziare a spillarlo dalle botti. Frequenti erano anche le gesta della mamme e delle nonne che dopo aver bagnato un dito con il vino lo passavano, come augurio di buona salute, sulle labbra, annerendole, dei neonati. Quando il vino eccedeva i fabbisogni della famiglia, vigeva la consuetudine di venderlo sfuso, sebbene la legge lo proibisse, durante la fiera di San Giovanni (inizio di maggio) e la festa della Madonna del Carmine di metà luglio. La breve attività commerciale era segnalata da un ramo rigorosamente di castagno (‘a frasca) all’ingresso

dell’improvvisata cantina. Nella tradizione rientrava anche la concessione di un fiasco di vino ai giornalieri impegnati nella manutenzione dei fossi o alla zappettatura della vigna. Non mancavano, tuttavia, mercanti provenienti dal Vallo di Diano (rianisi), che con barili a dorso di muli o asini arrivavano a Paterno per acquistare, illegalmente, a prezzi di affezione, partite di discutibile vino, probabilmente destinato, per il colore, come prodotto da taglio. Al di fuori dell’ambito strettamente fami-

gliare, i luoghi di socializzazione dei paternesi erano alcune cantine e la “Taverna Lavecchia”, il piccolo complesso al centro del paese costituito da un locale per la mescita e da una stalla per i cavalli. Qui, trovavano ospitalità non solo viandanti e cavalli diretti alle fiere ma anche i numerosi pellegrini campani che, transitando per il passo di Mandrano (bocche di mandrano), s’incamminavano per raggiungere Viggiano. La somministrazione del vino di ibridi produttori diretti rimaneva solo raramente apprezzabile tanto che rientrava nella normalità correggerlo, nel rapporto di 3 a 1, con la gassosa. A ricordarlo rimane il detto popolare, noto anche tra i ragazzi d’oggi, di “tre quarti e una gassosa”. Merita di essere sottolineato che le brocche di terracotta unitamente alle tazze di alluminio ed ai piccoli bicchieri utilizzati per il vino si presentavano, anche dopo essere stati sciacquati, sporchi dopo la consumazione. Senza contare le macchie indelebili che le bevute di vino lasciavano sul vestiario degli uomini, tanto da costituire pretesti per litigi continui in famiglia.

Di tutto questo non rimane molto se non ricordi, recipienti vinari avvolti dalla ragnatela, zone in cui il richiamo alle vigne rievoca solo un nome e rigogliose viti americane che, ormai libere da condizionamenti umani, stanno, lentamente, riappropriandosi, arrampicandosi sugli alberi o contendendo lo spazio alla macchia e alle malerbe, della loro natura di piante selvatiche. In sostanza, il vino dei poveri lucani è riuscito a sopravvivere, per oltre mezzo secolo, a leggi, forse anche assurde, e pregiudizi di classe, ma nulla ha potuto di fronte agli inevitabili mutamenti del mercato e dei gusti dei consumatori.

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E U R E K A

Settimana del Cinema di Maratea

Bellezza, poesia e tante stelle Giovanni GALLO

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ette giorni intensissimi durante i quali Maratea si è letteralmente tuffata nella poesia della settima arte. Una esaltante sbornia di compiaciuti e unanimi apprezzamenti hanno decretato il successo della prima edizione della Settimana del Cinema, svoltasi nella cittadina tirrenica dal 18 al 24 agosto. L'incantevole cornice marateota, naturalmente suggestiva, è sembrata fatta apposta per ospitare il grande schermo con tutto il suo carico di magia. Maratea, perla del Tirreno, ha sempre detenuto fama di località d'ecce-

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zione, ma oggi, dopo che l'aura del cinema l'ha imbevuta di stelle consacrandola, il suo charme è volato in alto. La kermesse ha certamente avuto il merito di riannodare i fili con il grande passato cinematografico della Basilicata, ribadendo, ancora una volta, che dal set a cielo aperto dei Sassi di Matera, apprezzato in Il Vangelo secondo Matteo del 1964 di Pasolini, alle imprese più recenti di Rocco Papaleo in Basilicata Coast to Coast” poco è cambiato; e che questa è terra di cinema, da sempre e per sempre.


Una settimana ricca di appuntamenti che si sono susseguiti a ritmo serrato: dibatti, proiezioni e ospiti d'eccezione. Sul palco, dove a condurre il gioco c'era la giornalista Francesca Barra, si sono alternati tanti personaggi di spicco del mondo del cinema, che hanno dato vita a discussioni, visioni e storie. La piazza di Fiumicello, sotto l'imponenza e lo sguardo protettivo del Cristo Redentore, sempre affollata e traboccante di meraviglia, ha subìto pudica il fascino spavaldo delle telecamere. Il mare blu e cristallino ha poi cullato dolcemente i sogni di celluloide, e il sottofondo musicale dell'andirivieni delle onde, interrotto solo dal loro cadenzato frangersi sugli scogli, è stato il respiro regolare e vitale di un Poseidone anche lui ammaliato da tanta bellezza. Paride Leporace, giornalista calabrolucano, già direttore di Calabria Ora prima e del Quotidiano della Basilicata poi, attualmente direttore-regista della Lucana Film Commission, nonché uno dei promotori del festival di Maratea, ha fatto per noi un bilancio dell'evento appena concluso e tracciato le rotte per un futuro fatto di cinema. Così, abbiamo capito, il cinema può essere una delle ricette per uscire dalla crisi; per lui, uomo grondante cultura da ogni poro della pelle, raccontare e valorizzare la Basilicata attraverso l'arte cinematografica è una missione. Una missione possibile. Direttore, che festival è stato quello di Maratea 2014? Il bilancio è sicuramente positivo. Una prima edizione della Settimana del Cinema che vogliamo sicuramente replicare. Un primo passo, importante, che

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Gli ospiti della prima edizione della Settimana del Cinema di Maratea Alessandro Haber Antonio Andrisani Armand Assante Bill Emmott Claudia Gerini Domenico Fortunato Eduard de Ligne de la Tremoille Francesco Di Silvio Gabriele Muccino Giovanni Veronesi Isabella Orsini Marco Bocci Maria Grazia Cucinotta Michele Placido Mimmo Calopresti Nicola Claudio Nicola Giuliano Tonino Zangardit

Foto Lucana Film Commission

raccoglie l'esperienza delle precedenti edizioni con alcune variazioni. Maratea si è confermata, ancora una volta, località di cinema e per il cinema. Un grazie particolare va al mio collaboratore Nicola Timpone, che di questa Kermesse è stato il vero motore. Questa prima edizione è stata dedicata ad Alberto Sordi. C'è stato un lungo omaggio alla figura di Alberto Sordi, con la presenza della sua biografa ufficiale e di Igor Righetti, nipote del Maestro. Abbiamo voluto omaggiare questo grandissimo artista con video esclusivi ed un racconto della sua vita, a tratti commovente e pieno di emozioni. Una Basilicata che ce la vuole fare. Sarà la cultura, nella fattispecie il cinema, a tirar fuori i lucani dal baratro? La settima arte può essere una delle leve su cui puntare per il futuro prossimo della Basilicata. Già con il primo bando a soste-

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gno delle produzioni, il #bandoallacrisi, abbiamo dato a quasi settanta progetti l'opportunità di realizzarsi, generando quindi nuova occupazione e importanti ricadute su tutto il territorio regionale. Avere al nostro fianco il presidente Pittella certifica quanto la Regione voglia investire concretamente nell'audiovisivo come nuova frontiera di sviluppo e crescita della Basilicata. Grandi ospiti, seguiti dibattiti, numerose presenze. Soddisfatto? Molto. La piazzetta di Fiumicello, vista dal palco, era un bel colpo d'occhio. Notevole anche la qualità dei dibattiti, come quello con Nicola Giuliano, produttore de La Grande Bellezza, il direttore di Rai Cinema Nicola Claudio, e degli attori che si sono susseguiti, a conferma che la scelta fatta è stata equilibrata e di ottima qualità. Un bilancio del lavoro fatto in poco più di un anno dalla Lucana Film Commission

Siamo impegnati molto, per dare alla Basilicata una film commission che possa vincere le sfide della modernità. Il bando a sostegno delle produzioni, quello per la digitalizzazione delle sale, l'impegno quotidiano per creare una cultura cinematografica e il lavoro di relazioni nazionali ed internazionali messe in campo in questi mesi, ci danno il quadro dello stato attuale del nostro lavoro. La Lucana Film Commission gode di buona stima e di buona salute, un segnale positivo in questi tempi di crisi e di lenta ripartenza italiana. Maratea e il cinema legate dal filo conduttore della bellezza? Una grande bellezza, mi verrebbe da dire. Come il titolo del film premio Oscar, che abbiamo proiettato a Fiumicello, di notte, alla presenza del suo produttore. Maratea, come la Basilicata, ha una bellezza senza eguali. Deve essere compito nostro saperla raccontare, tutelare, valorizzare, arricchire.



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Dopo un'estate a

Manovella

Rocco Spagnoletta «Volevo fare lo scrittore, poi ho capito che con le canzoni si acchiappava di più!» Flavia ADAMO

occo Spagnoletta, Dario Vista, Antonio Gruosso, Mimmo Gruosso, Renato Pezzano, Antonello Ruggiero, Rocco Azzarino, ovvero, gli interpreti dell'estate lucana 2014 che amano coinvolgere e sentirsi tutt'uno con il loro pubblico e con le loro canzoni, fatte di verità. Sono partiti dieci anni fa, quasi per gioco pensando di non farcela, i Musicamanovella e sono arrivati ad essere i protagonisti di uno degli eventi più importanti, il “concertone” del 1° Maggio a Piazza San Giovanni di Roma.Tra giungo e luglio hanno portato la loro musica in tanti comuni della Basilicata e nel mese di agosto altre tappe in Campania, Calabria e un minitour in Sicilia. Il 31 Luglio 2010 esce il primo lavoro discografico L’Amore è Cieco o Ci Vede Poco, un album che affronta storie di vita quotidiana e con ironia tratta il tema dell'amore. Numerosi gli artisti che collaborarono tra cui Nello Giudice, Guido Foddis, Mariano Caiano, i Babalù. L’estate 2011 vede i MM protagonisti di un tour di venti date in tutta Italia, conclusosi con uno straordinario concerto alla SALA HEINEKEN di MADRID. Il 15 Maggio 2012 parte il MANICHINI-

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Pignola per studiare le nostre tradizioni musicali. In realtà i prodromi dei Musicamanovella vanno ricercati nel Gruppo Vineolae di Pignola che è stato un gruppo folk degli anni ’90 che ha vinto numerosi premi nazionali e internazionali (1° classificato in Europa su 34 nazioni). Del gruppo Vineolae facevamo parte io, Dario Vista, Antonio e Mimmo Gruosso che poi avremmo formato i MM. Naturalmente, nell’agosto 2004 affascinati da uno dei più grandi concerti che la storia della Basilicata ricordi (Capossela a Pignola), abbiamo capito che la musica avrebbe dovuto far parte della nostra vita più di quanto pensassimo e così mettemmo su una band che all’inizio faceva riferimento a Capossela. E da Vinicio abbiamo mutuato anche il nome, infatti il nostro disco preferito era Canzoni a Manovella proprio di Capossela.

TOUR 2012 che racconta con disinvoltura come solo il sentimento sia l'anima del mondo. Dopo circa un mese, il 30 Giugno 2012, esce il secondo disco della band dal titolo Te lo giuro su Vinicio Capossela. A partire dal 2013 le date delle esibizioni aumentano notevolmente con l'AVIOTOUR2013 che prevede 50 tappe in tutta Italia. Nel marzo 2014 Lo Scorpione Ubriaco vince il contest MI PIACE della trasmissione su Rai Radio 1, CITOFONARE CUCCARINI e i MM vengono ospitati durante la diretta radio. Il concertone del 1° maggio del 2014 in Piazza San Giovanni vede la band lucana pronta a coinvolgere oltre 500 mila persone. L'amore è cieco o ci vede poco, Lo scorpione ubriaco e Quello che sei le tre hit portate sul palco. Per capire a cosa è dovuto il loro successo abbiamo incontrato Rocco Spagnoletta chitarrista nonché cantautore della band. Quando nascono i Musicamanovella e da dove è nato questo nome? La storia dei MM fra poco la si studierà sui libri di storia per quanto tempo ormai è passato. Nascemmo esattamente 10 anni fa quando Vinicio Capossela venne a

Dai vari concerti seguiti ho notato che, oltre ad essere una band musicale, siete anche un gruppo di amici. Cosa vi rende così affiatati? Siamo cresciuti insieme. Antonio e Mimmo sono fratelli (ma nonostante ciò sono molto uniti), io e Dario siamo cresciuti insieme e siamo i più classici migliori amici, e tutti e quattro ci siamo conosciuti venti anni fa e non ci siamo mai più lasciati. (tra l'altro siamo anche gli uni testimoni di nozze degli altri, insomma siamo pure compari!!). Poi Renato Pezzano e Antonello Ruggiero sono entrati nel gruppo in un secondo momento ma hanno capito subito il clima che si respirava: serenità e fiducia reciproca, molto divertimento e soprattutto nessun padrone e nessun fenomeno: così sono diventati subito parte integrante della famiglia. E infine il maestro Azzarino, come si fa a non amarlo? Il segreto comunque è uno solo: ci vogliamo bene al di là della musica. Negli ultimi mesi siete i protagonisti della scena musicale lucana e non solo. A cosa è dovuto questo successo? La gente che ti ascolta ti capisce ma vedo ancora che su molti palchi in tanti non lo hanno capito. Tutti, quando vengono ai concerti, vogliono divertirsi ma vogliono soprattutto verità. Se tu sali sul palco e vuoi diventare un’altra persona o un personaggio sei out, se ti annoi sul palco si annoieranno anche sotto, se sul palco non dai tutto non hai dato niente. Le canzoni sono il pane quotidiano di tutti, se scrivi canzoni troppo complicate per dimostrare che sei bravo non arriverai mai al cuore della gente, le canzoni facili sono le più difficili da scrivere. Ricordi dove si è tenuto il vostro primo concerto e quali sono state le emozioni provate?

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vista senza il primo maggio non sarebbe esistita. Ma alla fine come eravamo il 30 aprile siamo oggi; eppure la gente ti ama di più perché ti ha visto in Tv, forse apprezza il coraggio perché ti ha visto affrontare 500 mila persone e uscirne vivo. O forse il talento ha finalmente incontrato l’occasione?

A settembre 2004 iniziammo a incontrarci per suonare alcune canzoni di Capossela, poi cazzeggiando iniziammo a suonare pezzi di Tony Tammaro, di Beppe Barra, di Iannacci. A Dicembre di quell’anno Antonio ci chiamò e ci disse che apriva un locale a Tito, il BALLARO’, e che voleva il nostro gruppo a suonare ma lui e il fratello Mimmo erano impegnati in un’altra festa. Non avevamo nemmeno il nome. Non avevamo nemmeno gli strumenti. Io e Dario ci armammo di inesperienza e accettammo la data del 7 dicembre 2004 a Tito. Ci prestarono una chitarra, un basso e una batteria. Preparammo una decina di canzoni. Dario disse provvisoriamente “Musicamanovella”. A me non piaceva nemmeno ma c’erano le locandine da stampare. Facemmo un concerto di 3 ore improvvisando per 2 ore e mezzo. Il locale era pieno un po’ per i nostri amici che vennero a sostenerci un po’ perché era l’inaugurazione. Ricordo che stavamo tra la gente e interagivamo con loro, cantavamo con loro, brindavamo e festeggiavamo quel nostro primo (e credevamo ultimo) concerto. Il clima di quella sera era esattamente come il clima dei concerti di oggi, senza barriere, nonostante il palco e le transenne. Invece, cosa ha significato per voi potervi esibire in Piazza San Giovanni? È stato uno spartiacque tra quello che volevamo fare e quello che dobbiamo fare, era arrivato il momento in cui dovevamo confrontarci con il resto del mondo. Il momento in cui la Basilicata era lontana e l’Italia, attraverso la Tv, ci guardava da vicino. E l’Italia riusciva a contarmi anche i punti neri sulla fronte per certe riprese ravvicinatissime!!! Ma mi hanno detto che ne siamo usciti abbastanza bene!!!

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Ci racconti quest'esperienza? Era nell’aria da un paio di mesi, e non sappiamo perché, quando è arrivata la telefonata io, Dario, Mimmo e Antonio eravamo insieme, forse per caso o per un qualche progetto del dio della musica. Eravamo come quattro bambini che si abbracciavano. La nostra forza è anche abbracciarsi come bambini. Poi a Roma tre giorni di musica. Con noi il nostro fidato staff di Sonora Service, le prove sono state già una grandissima emozione, organizzazione perfetta, ci hanno coccolati perché eravamo esordienti assoluti e poi alle prime note tutti i tecnici sono saliti sul palco ad ascoltarci. Lì forse ho capito che potevamo far ballare la piazza. Poi il giorno del concertone al ristorante ho fatto accendere la TV e quando ho visto la gente e il palco devo dire la verità mi sono abbastanza cacato sotto, si può dire? L’emozione indescrivibile quando eravamo pronti, schierati, e alle nostre spalle suonava Sinigallia. I boati della gente alle parole di Gildo Claps e la Sciarelli che ci hanno voluto fortemente con loro su quel palco a testimoniare che in Basilicata c’è anche del bello. Sono dei flash che non dimenticherò mai: il direttore di palco che mi dice “Sono 500 mila persone ma siamo in anticipo, parla per un minuto!” io che gli rispondo “Ma si’ pacc (sei pazzo)? E che gli dico?” “E allora avete un terzo pezzo?” (erano in scaletta solo due canzoni) “Possiamo pure suonare due ore, pure durante il TG se vuoi!!” “Vai vai vai… fate tre pezzi!!” Il palco che si muove! “Vai Antone’!!!”. Parte la batteria. L’amore è cieco, Lo scorpione Ubriaco e Quello che sei. Undici minuti che sono passati in un attimo e son sembrati un’eternità. Dopo il 1° maggio è cambiato qualcosa? Il primo maggio e la Tv ci hanno in qualche modo legittimato. Anche questa inter-

Sui concerti fuori regione? A giugno abbiamo fatto otto concerti in Basilicata sempre strapieni e molto divertenti. A Luglio siamo stati in giro per l'Italia e così ad Agosto: in Campania a Policastro e a due festival (Sassano e Fontanarosa) poi in Calabria (feste di piazze e al “Paese di Gertrude” a Cittadella del Capo in un festival per sostenere la donazione del midollo), un minitour in Sicilia tra Ragusa e Agrigento e su verso nord. Per tutte le info potete vedere la nostra pagina Facebook o il nostro sito musicamanovella.it. Parlando invece delle canzoni, da chi sono scritti i testi? Le canzoni le ho scritte io. Volevo fare lo scrittore da piccolo ma poi ho capito che con le canzoni si acchiappava di più!!! Chi o cosa ispira la vostra musica? L’amore è cieco è un disco di storie quotidiane, sono ispirate a quello che succede tutti i giorni, il quotidiano letto con una ironia un po’ dissacrante, il secondo disco (Te lo giuro su Vinicio Capossela) è più letterario, è nato dalla lettura (libri, giornali e social). La musica, invece, deriva dagli ascolti: da De Andrè ai Gogol Bordello, dai Led Zeppelin a Manu Chao. La Piccola No Global esiste davvero? Ahahaha. No, non esiste, le canzoni sono esagerazioni. Se in un momento della vita qualcuno incontra un’Ivana, noi la canzone gliela abbiamo preparata e la può usare. Piccola No Global oramai è diventata una canzone da stadio, uno sfogo del genere umano… mi piace l’urlo finale della gente, è una liberazione dallo stress del quotidiano. Avete in serbo per tutti noi qualche novità? L’anno scorso siamo stati a Polignano al Meraviglioso Modugno. Siamo andati sotto la statua di Modugno in un pellegrinaggio laico. Speravamo in un’apparizione che ci riconducesse sulla retta via della musica italiana, quella vera, quella nata qui e volata nel mondo. Così quest’anno, nel concerto, abbiamo voluto omaggiarlo rileggendo in chiave manovellica Vecchio Frac. Ne uscirà a breve una versione in studio per le radio e i digital stores che annuncerà il nostro nuovo disco per il 2015. Altro non posso dirvi ma, di sicuro, non vi libererete facilmente dei Musicamanovella.



E U R E K A

Trame: racconti di

Rocco Mentissi

per pianoforte solo Danilo VIGNOLA

e stessi, la propria intimità, non sempre si rivelano nella solitudine dei posti vuoti, lì… dove è possibile evitare la moltitudine. A volte per alcuni, spesso per pochi, può essere una ricerca che si lascia ammaliare nel vortice di un supporto fonografico che gira e suona in un lettore cd. Trame, scritto in bianco con la “emme” in rosso sulla fotografia artisticamente modificata di una lampada, è la copertina del lavoro discografico di Rocco Mentissi. Ciò che lega questo titolo all’essenza della musica incisa nel disco rimanda ad una separazione, una scissione fra le lettere e me; un gioco di parole, intimo, semplice, che allude ad un viaggio interiore attraverso quel filo che costituisce la parte trasversale del proprio mondo per raccontarsi, tessendo con le note le trame della propria esistenza, della propria testimonianza. Sotto la direzione di Pasquale Cappiello, sempre attento alla produzione artistica di qualità sul panorama internazionale, il poliedrico artista Rocco Mentissi, ci propo-

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ne un lavoro discografico di dieci brani e un preludio per pianoforte solo. Gare n. 1 è il primo componimento del disco, titolo che in francese significa stazione, non a caso; è una melodia metafora del viaggio: attraverso luminescenti galassie di armonie e costellazioni di note, il pianoforte sembra essere l’astronave che conduce in una nuova avventura musicale. Beata Solitudine è un inno alla solitudine, condizione assai cara agli artisti ispirati perché madre di serenitá e di spensieratezza, premessa necessaria per l’atto creativo. Per Delia è un brano dedicato alla sua “Musa” come ama definirla l’artista stesso, la donna della sua vita. E’ un brano serenamente gioioso, che si conclude con tanto di cadenza perfetta, dove la nota sensibile che sale di un semitono per risolversi sulla nota fondamentale del brano, ripristina la quiete, il ritorno sempiterno a casa, dalla propria amata: la sola dimora. Ciò che è capace di nutrire il cuore di forza autentica e di coraggio è l’amarsi. Altrove è un tema che si ricongiunge al tema del


viaggio, questa volta inteso come necessità creativa. La vita di provincia molto spesso opprime l’estro, la fantasia ed il confronto con i propri affini nella sua quotidianità, come è il caso del nostro artista: professore di filosofia nei licei e direttore della banda di Tolve. Valzer dell’ amore distratto è un pezzo ironico e romantico che, al tempo stesso, esprime quel bisogno ossessivo e inappagabile di essere amato; uno dei momenti più belli del disco. Dopo l'amore è una melodia preziosa e dolcissima, ispirata alla tenerezza che segue l'atto sessuale, a quei brevi attimi di pienezza che deriva dall'appagamento. Notte in Palestina è un viaggio mediorientale, immaginifico, un tema ipnotico in do frigio che pone l’attenzione su uno dei drammi epocali di questo secolo. Il brano numero nove Improvvisazione nasce in studio, pezzo in cui la scrittura ben strutturata della composizione di Mentissi lascia spazio all'improvvisazione estemporanea, rivelando la sua doppia personalitá musicale: classica e jazzistica. L’artista prose-

gue il suo racconto fra le trame dell’amore, del viaggio e della morte… con la composizione Una sera di settembre, pezzo numero dieci: brano epitaffio, è un canto funebre per il padre che visse il suo ultimo giorno di vita una sera di settembre. Un brano che lascia un interrogativo che molto probabilmente contiene già la risposta: sarà l’insostenibile necessità di fare il pari al vuoto dell’ abbandono improvviso a rendere questo smanioso estro creativo di Mentissi così autentico? Ballata dei poeti dimenticati è il brano conclusivo, un pezzo dedicato a tutti quei grandi artisti che non hanno avuto la fortuna di essere riconosciuti tali, e come spesso ricorda durante i suoi concerti Rocco Mentissi: “gli artisti vanno amati in vita”. Trame, è un disco che arriva diretto, che puoi sparare a palla dai “multiwatt” di enormi subwoofer e casse, insieme ad altri mille che affollano la stessa piazza insieme a te senza intaccare nemmeno di un attimo la sensazione che quelle note stessero suonando solo per te.

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io sono LUCANO

I AM LUCANO

JE SUIS LUCANO

ICH BIN LUCANO

SOY LUCANO

Я ЛУКИ

我盧肯

Foto Claudio Miglionico

I nser to a cura de

I linguaggi del corpo e della mente




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Il potentino Claudio Coviello Primo Ballerino alla Scala di Milano

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ai nostri lettori

Sempre più protagonisti

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Per le vie di Avigliano Gli annumate r’ aviglian ovvero i soprannomi aviglianesi Se il lettore è il nostro principale interlocutore, è giusto che abbia diritto ad un rapporto diretto con la rivista. Da sempre sono proprio i lettori a fornirci spunti su questioni e tematiche della vita sociale e politica della nostra regione. L’invito che vi rinnoviamo è di collaborare con la redazione segnalandoci notizie, curiosità, avvenimenti che vi hanno particolarmente colpito o, ancora, disagi e disservizi nei quali vi imbattete nel vostro quotidiano.

I nostri contatti:

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www.lucanomagazine.it info@lucanomagazine.it Tel. 0971.476423



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La gemma pura della danza

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Il potentino Claudio Coviello è Primo Ballerino alla Scala

di Milano Emanuele PESARINI

n incontro promosso dall’associazione musicale Tumbao, con il giovane ma già affermato ballerino lucano Claudio Coviello, nell’ambito della rassegna Gocce d’autore, giunto alla sua terza edizione. L’artista classe 91’ e originario di Potenza, è stato il protagonista di una lunga intervista, realizzata dalla giornalista Eva Bonitatibus nel piazzale del vicoletto Branca, in pieno centro storico, alla presenza di curiosi e simpatizzanti, desiderosi di conoscere più da vicino quella che è a tutti gli effetti una eccellenza lucana, recentemente nominato primo ballerino del prestigiosissimo Teatro La Scala di Milano. La conversazione pubblica è stata l’occasione per conoscere gli esordi del ballerino potentino nel mondo della danza, della sua attività e dei suoi progetti futuri. Roberto Bolle, étoile a livello internazionale, ha definito Claudio Coviello “gemma pura” della danza, mentre Carla

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Fracci ha parlato di lui come un “artista dalle grandissime qualitàˮ. Come è nata la tua passione per la danza ? Avevo cinque anni e mi piaceva danzare, ascoltando musica e partecipando a balli di gruppo al mare. Ho cominciato a studiare danza a Potenza, nella scuola Loncar. Inizialmente non ero molto appassionato alla danza classica, che trovavo per lo più noiosa. A dieci anni sono entrato alla scuola dell'Opera di Roma, ho lasciato Potenza, cambiato vita, fortunatamente supportato dalla mia famiglia, sempre pronta a fare sacrifici. Credo che un ruolo decisivo per quel che mi riguarda sia stato sempre mantenere una buona dose di umiltà nel tempo. Che ricordi hai degli “anni romaniˮ? Non fu semplice cambiare, a quell’età, amici. Vi furono dei piccoli disagi legati ai problemi di adattamento al nuovo ambiente e al nuovo stile di vita. Reputo decisivo l’incontro con Carla Fracci, che attraverso la concessione di una borsa di studio, mi ha permesso di proseguire regolarmente gli studi di danza all’ Opera di Roma, fino al conseguimento del diploma all’età di 17

anni, cui seguì un ano di perfezionamento e successivamente l’audizione alla Scala di Milano. Il mio esordio nel teatro milanese avvenne interpretando Quasimodo in NotreDame de Paris di Victor Hugo, un ruolo complesso non solo dal punto di vista tecnico ma anche interpretativo per via della postura da gobbo, a cui noi ballerini non siamo tipicamente abituati. Ricordo ancora quella sera in cui mi fu comunicato dopo aver danzato nello spettacolo pomeridiano, che avrei dovuto sostituire la sera Makhar Vaziev, nel ruolo di Albrecht in Giselle, personaggio ed esibizione che sono stati indubbiamente il mio trampolino di lancio per la nomina a primo ballerino del teatro milanese. Come affronti la preparazione agli spettacoli? Si lavora sul lato tecnico o ha un ruolo importante quello interpretativo nella danza? In sala si cura maggiormente l’aspetto tecnico, che è poi quello più difficile da conseguire, ma poi l’attenzione è focalizzata anche sull’aspetto emozionale legata al personaggio da interpretare ed alle numerose sfaccettature. Noi ballerini abbiamo sempre il pensiero rivolto al miglioramento di pose,

movimenti e posture per cercare di raggiungere o avvicinarsi alla perfezione estetica, e solitamente siamo bravi ad individuare i nostri errori o i difetti che possono e devono essere migliorati. Per noi ballerini professionisti, la danza è un vero stile di vita, in quanto ci impone delle regole e delle abitudini da rispettare. Ad un livello professionistico aumentano le esigenze di perfezionamento e le correzioni da apportare, l’impegno richiesto è maggiore. Ci vuole più rigore e rigidità mentale rispetto a quando si pratica la danza, come qualsiasi altra cosa, come hobby e non come passione che si tramuta in professione. Quale è la tua giornata tipo? Mattina lezione di danza classica, previo riscaldamento e al pomeriggio ci si dedica alle prove, da quelle costumi alle luci, passando per le scene, in base agli spettacoli da preparare ed in programma. Si lavora tante ore. Qual è il tuo artista preferito? Natalia Osipova, una delle più grandi ballerine internazionali del momento. Un invito ai giovani come te? Seguite sempre e comunque le vostre passioni, abbiate tenacia e voglia di migliorare i vostri difetti e limiti. Infine, un pensiero anche alla sua Potenza e alla Basilicata: “Peccato per l’assenza in Basilicata di spazi e strutture teatrali adeguate dove potersi far conoscere ed apprezzare.” Claudio Coviello è stato recentemente designato quale "danzatore italiano dell'anno" dalla giuria della 41° edizione del Premio “Positano premia la danza – Léonide Massine” e in precedenza ha avuto l’onore di essere insignito, premiato dalla stessa Carla Fracci, del prestigioso Premio Mosca, attribuito per la prima volta ad un ballerino italiano. Al termine della serata, per i meriti raggiunti e la brillante carriera, il presidente della Tumbao, Toni De Giorgi, ha tributato a Claudio Coviello il premio Gocce d’autore, un riconoscimento, istituito con la finalità di riconoscere il valore delle personalità che si distinguono nei vari campi della cultura ed inteso come simbolo della migliore espressività italiana d’autore. Anche il sindaco Dario De Luca ha omaggiato la star della serata, con un gagliardetto della città di Potenza ed un libro sulla storica Parata dei Turchi, da sempre evento di grande preminenza nel panorama culturale del capoluogo, “Affinché Claudio, giovane eccellenza lucana, che con il suo talento ed il suo successo riscatta una terra ed una città che non possono propriamente definirsi fortunati, non dimentichi le sue origini, ma anzi abbia modo di riscoprirle e approfondirle, essendo andato via giovanissimo dal capoluogo già una decina di anni fa.”

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Per le vie di Avigliano Gli

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annumate r’ aviglian ovvero

i soprannomi aviglianesi Mariassunta TELESCA

ialoghi e tradizioni: una macchina del tempo nell’Avigliano dei nostri avi. Da sei anni, l’Associazione di Promozione Sociale Terra racconta un aspetto di quella che è stata la vita passata tra i vicoli del centro storico della cittadina: la nascita, la morte, gli antichi mestieri, scene di vita familiare, le musiche, i giochi, l’emigrazione, la lotta per l’indipendenza… «”APS TERRA” nasce con l’intento di far rivivere i racconti degli anziani, che, a causa della modernità, sono stati quasi dimenticati; si è persa l’antica abitudine secondo la quale i nonni narrano ai nipoti la loro infanzia e giovinezza e, così, si rischia di far cadere nel dimenticatoio il nostro passato.» spiega Renato Zaccagnino, Presidente dell’Associazione. Non si può, allora, raccontare la vita del tempo senza prescindere da ciò che quest’anno è stato inscenato: gli “ANNUMÀTe”, ossia quei nomignoli o appellativi che si aggiungono a nome e cognome anagrafici per designare una persona o una famiglia. Con il passare del tempo, nel passato, infatti, fu necessario provvedere a una distinzione tra nuclei familiari molto numerosi, permettendo anche di risolvere equivoci o

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situazioni incresciose. Gli ANNUMÀTe, solitamente, si tramandano di padre in figlio, come per il cognome. Ci sono alcuni casi in cui, però, la trasmissione avviene per via femminile: quando vi è la scomparsa prematura del capofamiglia oppure quando la donna è più energica e dominante, pur conservando il cognome del padre, i figli assumono il soprannome della madre, usanza ancora oggi comune tra le nuove generazioni. Capitava anche, e capita tutt’oggi, che un piccolo particolare, un semplice evento o una data caratteristica di una persona dava e dà vita a un nuovo soprannome, il quale interrompe la tradizione e ne crea uno nuovo, ereditato dai discendenti. Diversi ricercatori, nel corso degli anni, si sono occupati di studiare la loro origine e il loro significato, ma molti di essi restano inspiegabili e sfuggono alla memoria dei successori. Gli Annumàte si possono distinguere in ben tredici categorie: soprannomi per diminutivi, accrescitivi e peggiorativi (es. Masciòttele = formetta, Busciuline = bugiardello; Caniòs = Canio grosso, Pagliòne = grossa paglia trita; Abbriànd = uomo di macchia, Marcanàglia = Marco dai molti cani.), soprannomi per il modo di mangiare, camminare, vestire (es. Ciuocchèle = mangiatore di pezzettini di carne; Lèmme = camminare lentamente o Ndòcche = camminare dando colpi;

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Capuràle = vestire da caporale.), soprannomi per distinzione fra consanguinei (es. Tumasèdde = Tommaso il piccoletto o Ucinzòje = Vincenzo grande), soprannomi per il numero cardinale (es. Trendùne = per la misura di scarpe che portava o Ciénd capìdde = uomo da cento capelli), soprannomi per unione di nomi-cognomi e unione di nomi (es. Minghemèje = Domenico mio, Colarunàte = Nicola Donato, Ziachina = zia Caterina), soprannomi per il modo di chiamare, parlare e ripetere (es. Dio Bello = intercalare nel parlare, Ciularièdde = dal chiamare il cane ciule, Malpensiere = dall’avere sempre cattivi pensieri), soprannomi per somiglianza ad animali (es. Polic = piccolo come una pulce, Glière = ghiro, Prucchiètte = avere tanti figli come piccoli pidocchi), a persone o cose (es. Angilicchie = come un angioletto, Favale = come una fava, Misciarone = numerosi come i funghi omonimi, Tabbàcche= colorito di tabacco), soprannomi per difetti fisici o caratteriali (es. Nascòne = dal naso grosso, Annamozza = Anna bassa, ), soprannomi per mestiere esercitato (es. Bianghine = imbianchino, Caprare = guardiano di capre, Fuciuliere = fuciliere), soprannomi da cognomi o nomi (es. Lìcrezie = di Lucrezia, Matalèna = Maddalena ), soprannomi per caratteristiche salienti (es. Sanducce = bigotto, Sirène = di animo sereno, Lu russe = dal colorito rosso.), soprannomi per prove-

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Foto Claudio Miglionico

nienza (es. Assisi). Ci sono anche moltissimi esempi in cui il soprannome del gruppo familiare insediatosi in un territorio viene assunto come toponimo della contrada (Canestrelle, Ciccolecchia, Giardiniera, Patacca, Spinamara, Bancone, Sassano). Molti Annumàte si trovano anche in protocolli notarili, atti e archivi, tra cui il “Registro d’Instrumenti Censuali del Reverendo Capitolo di San Leonardo della Terra di Avigliano” (es. atto di vendita di Pietro Claps alias Foglia). L’obiettivo di “APS TERRA” non è stato fare un’ulteriore ricerca etimologica e storica, bensì rendere vivi e animati i libri che, su di essi, sono stati scritti, immaginando quali sono state le situazioni in cui si sono potuti creare o usare. Sette scene, interpretate da giovani, bambini, adulti, uomini e donne, hanno, dunque, preso vita da “Gli Annumàte r’ Avigliane ovvero i soprannomi aviglianesi” di Michele Ostuni e “Gli Annumate dal 1700 in poi ovvero per le vie di Avigliano di Basilicata” di Vincenzo Claps.

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Già nella presentazione vengono fuori i primi soprannomi dati da caratteristiche caratteriali (Mbiciate = appiccicosa e seccante, Spinamara = di carattere amabile e pungente, Prèngipe = carattere principesco); segue la lettura di filastrocche ispirate proprio a soprannomi, al termine delle quali il nipote del compositore si chiede se un giorno i suoi discendenti saranno noti con l’Annumàte proprio della famiglia (Coscie) o con il soprannome attribuito a suo padre per il modo di vestire (Mussuline). “Causa per spartenza” è, invece, un chiaro esempio di come i soprannomi servivano a risolvere situazioni incresciose dovute a casi di omonimia: due Vitantonio Genovese (uno “razza ‘Ndrone” e uno “razza Sciuliedde”) hanno sposato due cugine che portano il nome della nonna, ossia Scenna: a quale Scenna Genovese spetta l’eredità? Un giudice Sirene, però, non può non chiudere la causa serenamente… Stesso problema sorge nella “Chiamata alle armi” del 1914: il colonnello convoca Bochicchio Vito, figlio di Bochiccio

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Leonardo, ma si presentano quattro giovani, omonimi ma appartenenti a famiglie diverse (Muddic, Sanducce, Uattàcce e Lemm); come distinguerli per assegnare la destinazione? Semplice, basta aggiungere su suggerimento del funzionario comunale – alias più soprannome, accanto al nome anagrafico! Oppure, durante la guerra, il soprannome poteva servire per cercare il figlio partito di cui non si avevano notizie. Mentre una donna che schiaffeggia il marito tornato a casa ubriaco è simbolo della predominanza femminile all’interno del nucleo familiare, situazione che crea un nuovo annumàte, sicuramente ereditato dai figli: la Brhatera. Il tutto si è svolto tra tanti mestieri tipo del secolo scorso, da cui hanno tratto origine molti Annumàte: Lu Crapare, La Fruttaiola, Lu Furgiare, lu Fuciliere, La Cappeddana, lu Candeniere, lu Varlicchiare, lu Mastare, accompagnati da un giovane suonatore di organetto, Vincenzo Nolè, che, a suon di “serenata aviglianese”, improvvisava ritornelli in vernacolo ispirati a soprannomi di spettatori presenti. «I soprannomi, dunque, ancor più dei cognomi, raccontano la storia dei propri padri e della propria famiglia», afferma Renato Zaccagnino; sarebbe bello, allora, se le nuove generazioni si mettessero alla ricerca del proprio Annumàte, attraverso di esso, scoprissero la propria origine. L’Annumàte è qualcosa di inscritto nel nostro patrimonio genetico, ancor prima di venire alla luce.





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SEMPRE

DIVERSA

SEMPRE Barbara GUGLIELMI

agli esordi nel 2009 ad oggi, Arisa vocalmente ed artisticamente è notevolmente cresciuta. Ad ogni nuova fase della sua carriera è sempre corrisposto un relativo cambio di look che, nel bene e nel male, ha fatto sempre molto discutere, non facendola di certo passare inosservata. Vediamoli insieme nel loro susseguirsi e cosa ci racconta lei a riguardo. Nel 2009 la cantante lucana fa la sua prima apparizione sul palco dell’Ariston, vincendo la categoria “Nuove Proposte” con il brano Sincerità. A sorprendere e conquistare il pubblico, il suo look fumettistico, contraddistinto dal trucco molto marcato e definito, il taglio di capelli a scodella anch’esso molto definito, abiti anni ’30, scarpe stringate e grandi occhiali dalla montatura nera che hanno lanciato una vera e propria tendenza. Gli esperti di moda considerano il suo stile poco adatto alle sue forme e alla sua fisicità, poiché la rendevano goffa e impacciata ma l’aria da bambina smarrita e la sua auto-ironia catturarono i consensi del pubblico.

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ARISA


Nel 2010 Rosalba si ripresenta a San Remo con il brano Malamoreno; dal punto di vista stilistico possiamo considerare questo un anno di transito tra l’Arisa degli esordi e quella successiva delle ospitate televisive. I capelli sono più lunghi, più chiari e caratterizzati da ricci ribelli; il trucco inizia ad essere meno marcato e gli occhiali hanno una montatura sempre più rotonda e sempre più ampia. I suoi abiti sono firmati Vivienne Westwood. Il suo look, anche se inizia a mutare, è ancora legato a quello che sembra un personaggio dei fumetti.

Nel 2011 e nel 2012, come giudice di XFactor, Arisa stupisce con il suo stile aggressivo, fatto tutto di pelle, zip e scollature, con abiti griffati Frankie Morello. Capelli sempre corti, usa spesso il rossetto rosso e gli smalti scuri: qui sboccia una Rosalba grintosa che afferma con forza la propria personalità, la goffa bambina del 2009 sembra già un lontano ricordo.

Per l’estate 2014 Arisa si presenta con un nuovo cambio di look che torna a far discutere: taglio di capelli cortissimo e biondo platino. Il biondo lo ha sfoggiato per la prima volta in occasione del Premio Andersen, a Sestri Levante, mentre ha accorciato il taglio per la tappa di Bari del Battiti live a fine luglio.

Ed è la biondissima Arisa, che abbiamo incontrato il 4 agosto al Parco della Grancia in occasione della sua ultima tappa lucana del Se vedo te Tour, a parlarci delle sue scelte di stile.

Dalla fine del 2010 fino al 2012 assistiamo alla vera evoluzione stilistica di Arisa: prima come ospite fisso nel programma de La7 Very Victoria poi come giudice della quinta e sesta edizione di X-Factor, il mondo della televisione rende il suo stile più pulito e lineare. Durante il Very Victoria Rosalba sperimenta un nuovo look retrò, taglia i capelli, alleggerisce il trucco e abbandona gli occhiali che fino ad allora l’avevano contraddistinta. Inizia ad affiorare una Arisa più donna e sicura di sé.

E’ il look dell’ultima edizione di San Remo a mettere tutti d’accordo: mentre Arisa trionfa con il brano Controvento, i più guardano compiaciuti il nuovo aspetto della contante lucana: alcuni chili in meno, abiti minimal e lineari marchiati Jil Sander, capelli corti con una morbida messa in piega, trucco occhi naturale e labbra colorate con rossetti dei colori del corallo, fuxia e arancio, dai toni accesi ma non troppo. Rosalba appare come una donna sicura di sé, femminile e senza fronzoli, anche se un elemento eccentrico vi è sempre e sul palco dell’Ariston indossa scarpe dai colori accesi del blu elettrico e del giallo.

I tuoi cambi di stile hanno sempre fatto parlare di te nel bene e nel male. Cosa ti spinge a cambiare look? Capita, capita. Un giorno mi capita un paio di orecchini nuovi e li metto per un mese. E poi man mano dopo gli orecchini mi cambio i capelli, e, dopo i capelli cambio le scarpe. Hai un’icona ispiratrice? A volte si. Periodi storici. Cambia di giorno in giorno non è una cosa che decido. È una cosa che avviene. Quale accessorio non manca mai nel tuo guardaroba? Le scarpe. Hai dichiarato su Sorrisi e Canzoni che ti trucchi dall’età di sette anni. Che cosa significa per te truccarti? Truccarmi, in generale, vuol dire rendermi bella per il mondo intero. Un trucco presente sempre nel tuo beauty? Il rossetto. Di quale colore lo preferisci? Rosso. Ma anche blu, o viola. Color jeans. Non lo so. Amo tutti i colori. Quale dei look di Arisa è più simile a Rosalba? Questo. E prima quello prima. E quello prima ancora.

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Pino Mango

presenta L’amore è invisibile «Amo tutti i difetti della Lucania» Marianna Gianna FERRENTI

mile e determinato, disponibile e generoso, sono queste le caratteristiche di una indole sfaccettata che rende Pino Mango un lucano DOC. Una personalità riservata, al punto giusto, ma che si sbottona dinnanzi al pubblico della sua terra. Ed è proprio quel riserbo e ritegno che caratterizza il popolo lucano che si rispecchia in un vero artista che, dopo lunghi anni di una luminosa carriera nel firmamento della grande musica italiana, ha confermato, anche a Melfi, il segreto per rimanere indenne ai vezzi dello spettacolo e dello show business: rimanere se stessi senza costruzioni retoriche. Ed è questa la vena portante dell’ultimo disco L’amore è invisibile in cui scorre la sua lucanità. Come, del resto, in tutti i lavori di Mango, lui stesso ha voluto rimarcarlo, c’è sempre una sorgente viva della sua appartenenza alla Basilicata che si respira nelle immagini, nei profumi e nei sapori che le sue canzoni evocano. L’ultimo album L’amore è invisibile è la sintesi di un percorso che da alcuni anni ha portato a una svolta la carriera artistica di Pino Mango, quella da interprete a cantautore; ma è anche il vaso sanguigno e, al contempo, incorporeo da cui sgorga, nelle diverse rigature, tutta l’essenza della sua

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anima. E’ l’ennesima rimessa in gioco di un artista che ha deciso di sperimentare, e di non limitarsi, come molti altri fanno, a rivisitare alcuni brani della musica nazionale e internazionale. Il suo intento, in L’Amore è Invisibile, come lui stesso ha tenuto a evidenziare, non è stato quello di realizzare alcune cover, ma di sfogliare alcuni brani che sono entrati nell’Olimpo della musica internazionale come Heroes, brano storico di David Bowie, ripreso nella chiave di arrangiamento di un altro mostro sacro della musica internazionale, Peter Gabriel, e quindi ripreso da Mango attraverso una riscrittura stilistica totalmente nuova in cui si riflette il soffio dell’artista lagonegrese. Un’esplorazione completamente diversa di One degli U2, Get Back dei Beatles, Amore che viene amore che vai di Fabrizio De Andrè, Una giornata uggiosa di Lucio Battisti, Fields of Gold di Sting, Scrivimi di Nino Buonocore, A me me piace o blues di Pino Daniele, e molto altro. Un afflato, quello verso il rinnovamento, che affiora ogni qual volta egli parla di se stesso, del suo rapporto con la terra nativa, un dolce amalgama tra nostalgia e volontà di cambiamento tra le striature del suo ultimo album. Una fermezza e una tenacia che, secondo Mango, dovrebbe essere nello spirito di tutti i lucani che non dovrebbero arrendersi di fronte a quel pudore che è contemporaneamente un punto di forza ma anche di debolezza. Una fragilità in potenza che può diventare energia, vigore e robustezza. “Io associo l’amore al sentimento che si prova quando si viene a contatto con l’anima - ha detto Mango - ed è quel sentimento che emerge anche quando penso alla mia terra, la Basilicata” intercalando ad ogni domanda dei giornalisti e dei cittadini che sono intervenuti risposte chiare e semplici, limpide e trasparenti. Una prima, una seconda e una terza sequenza dialettica, fra quesiti, considerazioni e riflessioni, grazie ai quali egli ha messo a nudo la sua anima, facendo conoscere molti lati della sua personalità spronato dagli interventi dell’amico Giampiero Francese che lo conosce bene, negli aspetti un po’ più privati. Così dall’artista si è passati a una conoscenza un po’ più profonda dell’uomo e non solo dell’artista. E poi, fra un intervento e l’altro, l’esibizione in acustica (unplugged) accompagnata dallo straordinario arrangiamento del chitarrista, Carlo De Bei (ex Mattia Bazar) L’amore è invisibile, il brano che dà il titolo all’album, l’altro inedito Fiore bel Fiore, metafora dell’intangibilità dell’amore, che non può essere colto altrimenti appassisce. “C’è molto della Basilicata, nei tre brani inediti - ha chiosato - ma questo non significa che la lucanità è al centro del mio mondo, significa muovere le mie dimensioni e le mie radici in un discorso di globalità” . E chiarisce “Finora mi

hanno sempre chiesto cosa significa per me essere lucano ma nessuno mi ha mai chiesto quanto non abbia contato la Lucania nel mio percorso. Il mio modo di essere lucano – ammette – sta anche nel modo di evadere. Per amarla bene devo riconoscerne anche i suoi difetti. E io amo tutti i suoi difetti”. Così Il Lucano Magazine lo ha intervistato per chiarire cosa significa per lui essere lucano ma anche cosa non significa esserlo. Pino, ci racconti in esclusiva al Lucano Magazine, in una sorta di amarcord, un tuffo nel passato un fotogramma del passato o un aneddoto d’infanzia che ricordi e che ti lega alla tua e nostra terra lucana? Di ricordi ce ne sono tanti. Ecco posso raccontarti che una volta ero in macchina con alcuni amici, e abbiamo incontrato alcuni muli; una signora mi fermò, e chiese se potevamo dare un passaggio al marito che non si sentiva bene, fino a Lagonegro. Una volta arrivati a destinazione, stavamo per andare via, e il signore ci fermò esclamando “un momento!”, con le mani tirò fuori dalle tasche cinque noci e ce le donò in segno di gratitudine. Questo è il nostro essere lucani: la riservatezza di non travalicare certi confini. La voglia di donare se stessi in uno scambio alla pari.

Cosa ti piace della nostra terra lucana e, se posso chiedertelo, cosa ti piace un po’ meno? A me piace questa voglia di libertà che si respira nell’aria in qualsiasi posto e momento. È assolutamente impareggiabile. E poi quella eccessiva modestia che ci distingue, il nostro sentirci inadeguati. Cosa non mi piace, è l’esatto contrario, la mancanza di fiducia in noi stessi, il nostro sentirci sempre inadeguati. Durante l’incontro hai parlato del rapporto tra la musica e i talent. Quale consiglio ti sentiresti di dare a un giovane che vuole seguire un sogno senza perseguire scorciatoie? Credo che i consigli non siano un fatto positivo. Dare un consiglio significherebbe rendere contorto il percorso che porta alla massima espressione della propria personalità. Ognuno di noi ha bisogno di scoprire il proprio talento ed esprimere al meglio la propria fantasia. In un percorso personale e intimo qualsiasi consiglio diventerebbe inutile e inafferrabile. Concludo ringraziandoti per la tua modestia e la tua disponibilità che ti rende un lucano DOC. Ringrazio te, è il più bel complimento che potevi farmi.

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La voce d’autore

Danilo Amerio

Barile ospita il paroliere di Raf

e Marco Masini

Emanuele PESARINI

ono pochi gli artisti in grado di accendere di emozioni il cuore della gente. Danilo Amerio è tra questi. Giovanissimo, poco più che adolescente, inizia a muovere i primi passi nel mondo della musica come autore e compositore a 14 anni, firmando un brano per Nicola Di Bari. Ed è stato subito un esordio vincente: Chi ha visto Elena, questo il titolo della canzone, resterà infatti per lungo tempo in classifica in Sud America. L’anno successivo, invece, è la volta di I look at the sun che Danilo scrive e arrangia per Morris Albert (l’autore di Feeling) vincendo il disco d'oro in Inghilterra. La straordinaria versatilità che lo contraddistingue, gli ha permesso di farsi strada nel variegato mondo delle sette note e di togliersi numerose soddisfazioni, tra cui quella di scrivere i testi di brani interpretati da altri artisti, divenute hit intramontabili della musica leggera italiana: si ricordano ad esempio, Battito Animale cantata da Raf, T’innamorerai scritta per Marco Masini, o ancora La forza dell’amore per Paolo Vallesi e Non amarmi di

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Aleandro Baldi. Nel curriculum anche diverse partecipazioni a San Remo, da solista, come nel 1995, anno della consacrazione anche come cantautore a livello nazionale con Bisogno d’Amore, che si classifica al sesto posto nella categoria Campioni, o l’Eurofestival del 98’ in cui si esibisce sul palco con Raf e Umberto Tozzi sulle note della storica Gente Di Mare. Danilo ha fatto tappa in Basilicata, esibendosi in concerto nel suggestivo paesaggio di Barile. Lo abbiamo intercettato, grazie anche alla preziosa collaborazione del suo manager Mario Bellitti, per una appassionata intervista, da cui, tra ricordi legati al passato ed anticipazioni sul futuro, emerge il profilo di una personalità umana oltre che artistica di assoluta caratura. Ciao Danilo, per cominciare come stai? Guarda, io sto benissimo, ultimamente sono in giro per promuovere con un mio carissimo amico, Danilo Ramazzotti, una serie di spettacoli in Svizzera e altri Paesi Europei, qualcosa di veramente molto carino ed interessante, con un gruppo di circensi, che si estenderà anche a Dubai e altre parti dislocate del mondo e che si affianca alla promozione dei miei tradizionali concerti. A proposito di questo particolare spettacolo cosa ci puoi dire? Lo spettacolo si chiama Circus ed ha un


taglio completamente diverso rispetto alle esibizioni tradizionali. Si fondono nello stesso momento tecnologia, musica ed arte circense, sebbene non sia stato semplice metterlo in piedi. Ora è diventata fortunatamente una realtà di cui vado molto fiero, dato che siamo riusciti a portare il circo sia nei teatri che nelle piazze. I circensi sono professionisti fantastici e insieme a loro abbiamo creato una spettacolo strutturato in modo da potersi svolgere sia all’aperto sia al chiuso. E’ un mio concerto dove presento tutte le mei canzoni, comprese quelle che ho scritto per altri, da Donna con Te a Gente di Mare, passando per Gli altri siamo noi o gli arrangiamenti di Cosa resterà degli anni 80’ di Raf. Quindi tutte quelle cose alle quali ho partecipato dagli anni ottantanovanta in poi che riusciamo a coreografare con balletti e numeri circensi. Il 16 Agosto, in occasione della festività di San Rocco, hai suonato qui in Basilicata a Barile. Cosa conosci e ti piace della Basilicata? Ho girato tutta Italia, per cui se mi chiedi cose in particolare mi è difficile risponderti, perché spesso non ricordo nemmeno le cose di casa mia. Conosco bene, in verità, solo i posti in cui sono andato per esibirmi in concerto e dove ho molti amici, ma non solo in Basilicata. Conosco molta gente ed ho tanti amici in Campania, in Puglia, in Calabria: penso ad esempio a Bari, a Lesina in Puglia. Della Basilicata conosco i posti belli e ciò che mi piace di più è sicuramente la gente lucana, le persone. Domanda a bruciapelo: ti emoziona di più ascoltare una tua canzone per radio o pensare di aver scritto canzoni che rimarranno sempre scolpite nella mente di milioni di persone? Mi emoziona ascoltare anche casualmente delle mie canzoni trasmesse da emittenti radiofoniche, ma l’idea e l’ambizione principale restano quelle di lasciare qualcosa che

rimanga così scolpito dalla pietra nel tempo, anche quando non ci sarò più. Sono molto orgoglioso di alcune cose che tuttora si sentono e continuano a viaggiare nell’etere, restando nella memoria di tutti. Tra l’altro, si continuano a sfornare sempre più voci incantevoli, senza pensare che forse si dovrebbe cominciare a formare anche nuovi autori. I nuovi autori purtroppo sono abbastanza improvvisati. Devo dirti che la vecchia scuola degli anni 80’ e 90’ di cui facevo parte con Giancarlo Bigazzi, e, in particolare, la scuola fiorentina che abbiamo tirato su con impegno e fatica aveva il predominio, sia perché un po’ tutto quello che facevamo funzionava sia perché il tutto era fatto con passione e con il cuore. I ragazzi di oggi, sto notando, cercano di fare questo mestiere più per gloria che per passione. Quando fai le cose unicamente per la gloria o comunque cerchi dei consensi che non sono prettamente artistici, ma più che altro economici, sicuramente viene a mancare quella che è l’anima di chi riesce a scrivere cose che ti arrivano in profondità e ti toccano il cuore. E’ molto difficile scrivere, pensando ora devo fare il Festival di Sanremo, oppure adesso devo la cosa che funzioni, che possa vendere o che possa rimanere. Se invece pensi a scrivere una cosa che ti possa piacere e dare l’emozione giusta, molto spesso arrivi a fare l’uno e l’altro, perché è molto più emozionante fare qualcosa che ti viene direttamente dal cuore, piuttosto che dal cervello. I ragazzi delle nuove generazioni non è che non ci sono, penso ad Amici, o X Factor, e sono anche validi, ma non hanno mediamente alle spalle la gavetta che facevamo noi, la voglia di fare musica fine a se stesso, ossia di farla perché ci emozionava. Due parole anche sulla tua musica. Sei tornato tre anni fa dopo una lunga assenza con un disco intitolato L’amore ha un altro colore. Un titolo

bellissimo, un po’ come dire C6 H12 O6 invece di zucchero?

L’amore ha un altro colore è un concetto che riassume in un certo senso quanto detto ora a proposito delle nuove leve e del modo di sentire e concepire la musica, con il quale esprimo l’idea secondo cui l’amore vero è quello che senti dentro e che ti strugge l’anima, che ti fa sognare. Oggi invece è vissuto come sentimento molto superficialmente, si fa sesso, si sta insieme spesso senza badare a i sentimenti veri. Con questo titolo cerco di dire che l’amore vero è un’altra cosa, è quello che non ti fa dormire, non ti fa mangiare, ti arriva dentro in profondità, mentre la formula C6 H12 O6 è quasi un gioco che ci siamo inventati, un modo originale di dire al proprio lui o alla propria lei che è dolcissimo/a. L’amore è anche un qualcosa di natura chimica, che paradossalmente può essere espresso da una formula come quella dello zucchero, che per natura ha la proprietà di essere dolce.

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Rivello, Maratea e la costa tirrenica

’itinerario inizia da Rivello, uno splendido paesino situato su tre colli nella Valle del Noce. Il centro fu originariamente abitato da una comunità basiliana e, per la sua strategica posizione geografica, fu per molto tempo conteso fra Longobardi e Bizantini. Nel periodo di dominio normanno, Rivello fu sotto il controllo di Lauria e nel 1268 prese attivamente parte alla rivolta ghibellina. Lasciato il paese, percorriamo un breve tratto della SS 585 in direzione Sapri. Prendiamo l’incrocio per Sapri immettendoci sulla SP 104 ex strada statale. Da questo punto l'itineario ci conduce su un suggestivo tratto in discesa, su di una stra-

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Tipologia: cicloturismo Difficoltà: facile Distanza: 50 km

Scarica gratuitamente il file GPS del percorso su www.innbasilicata.it

da completamente asfaltata e poco trafficata, lungo divertenti tornanti attraverso le montagne circostanti che di tanto in tanto ci lasciano intravedere la costa tirrenica e lo splendido golfo di Policastro. Dopo circa 16 km di rilassante discesa giungiamo a Sapri ( 11 metri s.l.m. ). Sapri, al confine con la Basilicata, è una cittadina a vocazione prevalentemente turistica, uno dei centri turistici più rinomati e frequentati del Cilento. Il prestigio e la notorietà internazionale si è avuto grazie alla poesia di Luigi Mercantini che volle raccontare in versi la tragica spedizione di Carlo Pisacane, sbarcato con i suoi uomini nel 1857, nella famosa

“Spigolatrice di Sapri” . Ogni anno la tragica spedizione viene ricordata nel mese di agosto con una rievocazione storica. Poco oltre Sapri inizia la meravigliosa costa tirrenica della Basilicata. E’ compresa in un tratto di circa 30 km tra Punta dei Crivi, poco più a nord di Acquafredda, e la Spiaggia “d'a Gnola”, a sud della Secca di Castrocucco. Lo scenario è di unica bellezza. A destra il mare aperto, a sinistra le montagne a picco. E' tra gli itinerari turistici più belli della Basilicata. L'itinerario si srotola lungo l’intera SS18, un susseguirsi di piccole insenature, promontori, isolotti, una miriade di spiaggette e grot-

te circondate da un paesaggio incontaminato. Il fondale roccioso molto profondo a pochi metri dalla costa è il luogo ideale per immersioni subacquee. E poi Maratea, caratteristico borgo medievale, ideale per fare shopping, assistere alle numerose iniziative culturali di livello internazionale quali mostre d'arte, concerti di musica classica e jazz e manifestazioni folcloristiche. Altra nota caratteristica di Maratea è la statua del Cristo Redentore, alta 21 m. che domina il monte S. Biagio, una zona panoramica la cui vista abbraccia tutta la costa. L' itinerario si conclude a Castrocucco, una bellissima spiaggia con stabilimenti balneari, campeggi e pinete circostanti.

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TRAGEDIA GUERRA Un tema antico e attuale LA DELLA

sul dolore della DONNA nelle TROIANE

DI EURIPIDE Elisa CASALETTO

a Mandragola Teatro con il patrocinio del Comune di Marsicovetere ha presentato Le Troiane di Euripide, un Saggio del Laboratorio Teatrale dell’anno accademico 2013-2014 sezione adulti, nell’Auditorium del Centro Sociale – Villa d’Agri di Marsicovetere. La Mandragola Teatro nasce sotto la direzione artistica di Giulia Gambioli, diplomata presso l’Accademia d’Arte Drammatica P. Scharoff di Roma. La Compagnia segue un suo programma d’aggiornamento e qualificazione continua dei suoi operatori, seguendo corsi, seminari e stage; in collaborazione con Enti pubblici ha attivi numerosi laboratori destinati a varie fasce d’età e

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Progetti Pilota. Attraverso questo tipo di attività, bambini, ragazzi e adulti hanno potuto partecipare ai saggi di fine anno mostrando tutto il loro talento e tutta la loro passione per il teatro. I laboratori aperti nell’anno 2013-2014 sono stati quattro. I corsi sono stati avviati a Settembre e si sono conclusi con lo spettacolo finale che è l’ultima parte del percorso. Per gli adulti il percorso è stato diviso a Gennaio in due gruppi: comico e drammatico, a seconda delle preferenze e delle capacità espressive. I saggi di Laboratorio Teatrale messi in scena quest’anno sono stati di grande importanza sociale, proprio come afferma Giulia

Gambioli prima dello spettacolo: “Non c’è cultura, se non c’è sociale e lavorare con la cultura è un’impresa quasi titanica”. Gli spettacoli sono visti e applauditi da un vasto pubblico, molti dei quali amano il teatro; altri, invece, oltre ad avere la passione per il teatro erano impazienti di vedere sul palco i loro bambini, le loro mogli o i loro mariti e i loro amici esibirsi in uno scenario del tutto emozionante. Il primo saggio messo in scena è stato “L’amore delle Tre Melarance” sezione ragazzi undici – quattordici anni, a seguire “Canale Fiaba”sezione bambini, “Finché morte non ci separi!” sezione ragazzi quattordici – vent’anni e infine gli ultimi


due saggi messi in scena dalla sezione adulti: “Le Troiane di Euripide” e “Grazie, Arcavolo!”. Le Troiane di Euripide è una grande tragedia scritta appunto da Euripide, dove si evince la brutalità della guerra. Rappresentata per la prima volta nel 415 a. C., l’opera venne messa in scena nell’ambito di una trilogia legata alla guerra di Troia. La città di Troia dopo una lunga guerra durata dieci anni, è infine caduta. In seguito la città fu cosparsa di sale per evitare di rinascere, gli uomini vennero uccisi, mentre le donne vennero portate via dai vincitori. Euripide con questo dramma porta sulla scena l’esito doloroso

della guerra di Troia ponendo in primo piano il destino degli sconfitti, il dolore e la sofferenza generati dalla guerra soprattutto tra le donne, diventate schiave senza patria, dopo aver visto i loro figli morire, senza possibilità di salvarli e la loro città ridotta ad un cumulo di macerie. Messo in scena, interpretato e vissuto dal pubblico dell’auditorium di Villa d’Agri con grande stupore e colpi di scena. Sul palcoscenico nove attori tra cui solo due uomini che hanno interpretato in modo molto convicente la crudeltà dei soldati greci. Il sipario si apre con le attrici distese a terra: le troiane affrante per il forte dolore subìto e nelle scene successive con il volto

coperto da un lungo velo bianco che arrivava fino al busto. Appare poi sulla scena un’altra donna, anzi la donna per eccellenza, causa di tante sciagure, la bellissima Elena, interpretata da Daniela Summa, con lunghi capelli mossi e un lungo vestito rosso. La regista Giulia Gambioli attraverso il lamento e il dolore straziante delle troiane dà voce a un tema antico e attuale sulla sofferenza che riguarda tutt’oggi il dramma di tante donne. Sullo scenario quindi si è riproposto un testo classico, ma sullo sfondo tutto il dramma che si vive purtroppo ancora oggi. Noi nasciamo ieri. La tragedia nacque oggi.

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La Torre del Castello di Venosa location del

na sperimentazione ben pianificata e organizzata da tempo per valorizzare alcune delle bellezze monumentali più caratteristiche della città di Venosa. Così, il Venosa Secret Show, l’evento a sorpresa organizzato dall’associazione culturale “Il Circo dell’Arte” in collaborazione con l’Artistica Management, rientrante nella programmazione del Festival dei Cinque Continenti, ha avuto un ottimo riscontro. Si è rivelata vincente l’idea di lasciare la suspance, diffondendo attraverso il tam tam la notizia che un evento segreto avrebbe allietato la serata, nel pieno centro di Venosa, lì dove ogni sera si svolge la movida notturna, suscitando la curiosità e l’interesse del pubblico e dei turisti. Il pomeriggio di martedì è stato movimentato in piazza Castello; tutti si chiedevano cosa si sarebbe svolto. L’unica notizia certa, che si è ovviamente palesata nel momento in cui si sono svolti i lavori di preparazione e di allestimento, è che l’evento si sarebbe svolto, non come solitamente accade nella piazza principale o all’interno del castello, ma sulla base della torre. Un’idea se non inaudita quanto meno originale, quella di donare nuova linfa, per una serata, e far indossare al castello Pirro del Balzo, l’abito della eleganza e della ricercatezza; un castello il cui cortile e il cui loggiato fino a parecchi decenni fa erano abitati, animati di vita. Qui si svolgeva, secoli fa, nella cornice quattrocinquecentesca, la vita sociale, cortigiana, e si dispiegavano le attività artigianali, gli antichi mestieri. Veniamo all’evento in questione: il pianista e compositore di fama internazionale Roberto Jonata, accompagnato dai Kairos Quartet, con il particolare supporto di Gilda e Chiara Urli, rispettivamente al violino e violoncello, si è esibito lì dove un tempo si apriva la visuale sul territorio, e che oggi dischiude la quotidianità della gioventù estiva. Una

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Festival dei Cinque Continenti


collaborazione con il gruppo nata nel 2012 grazie a un’idea di Michele Sguotti. L’artista vicentino Jonata, che approda nella città oraziana, su invito di Pasquale Cappiello è rimasto letteralmente stupefatto di fronte alle bellezze archeologiche e storico-monumentali che Venosa offre a chi la visita. E non ha mai avuto reticenza nel dichiararlo. Di qui l’idea già espressa alcuni anni fa, di organizzare un evento su una di quelle torri caratteristiche che lo avevano colpito. Un evento simile, però, richiede autorizzazioni, permessi burocratici da parte della Soprintendenza dei Beni Archeologici, tutti impedimenti che potrebbero scoraggiare chiunque volesse intraprendere un’iniziativa che unisca cultura e apprezzamento popolare. Il sogno finalmente si è realizzato grazie alla collaborazione tra Artistica Management, associazione culturale “Il Circo Dell’Arte”, Avis Venosa, con il patrocino dell’amministrazione comunale e con il particolare interessamento dell’assessore alla Cultura, Carmela Sinisi. Roberto Jonata si è esibito, assieme ai Kairos Quartet, con un repertorio che coniuga l’esplorazione di diversi generi musicali, la musica classica che bacia la venatura pop, jazz, incontrando le colonne sonore più importanti del cinema contemporaneo in una chiave esclusiva. “SoundTrack” che è il titolo del penultimo album dei Kairos Quartet vuol dire proprio “traccia sonora originale”. A settembre il nuovo album ”Infinity” di cui, Jonata ha promesso, ci parlerà non appena avverrà la presentazione ufficiale. Per ora, l’artista è impegnato con il tour estivo assieme al cornamusista di livello mondiale Hevia, con cui si è esibito lo scorso 2 agosto a Viggiano. Nonostante i suoi impegni, non è voluto mancare a Venosa, mantenendo una promessa che aveva fatto molto tempo fa. “L’idea di valorizzare questo splendido castello è balenata nella mente di Pasquale Cappiello ed è nata da una considerazione che abbiamo fatto proprio seduti ai tavolini dei bar qui di fronte” dice l’artista a fine concerto. “Finalmente abbiamo potuto realizzare questo sogno grazie all’appoggio dell’amministrazione comunale, e, in particolare, dell’assessore alla Cultura Sinisi. Io l’ho sempre detto, Venosa ha risorse magnifiche che meritano considerazione pur rendendomi conto delle difficoltà economiche. Per esempio, l’Incompiuta e gli scavi che la circondano sono uno stupendo scenario; anche lì si potrebbero organizzare concerti, eventi, manifestazioni” ha concluso Jonata. Chissà che non possa tornare ancora a Venosa a regalarci serate così eccezionali. ma.gi.fe.

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PERSONAGGI POTENTINI Vincenzo MATASSINI e Raffaele LAROCCA

uesto articolo nasce a doppia firma come del resto articoli di Indro Montanelli e Mario Cervi in alcuni volumi della Storia d’Italia; di Garinei e Giovannini autori delle commedie musicali “Rinaldo in campo”, “Rugantino”, “Aggiungi un posto a tavola” ed altre presentate al Teatro Sistina di Roma; di Fruttero e Lucentini autori di libri umoristici e di fantascienza; di Age e Scarpelli i maggiori sceneggiatori di film. Tutti hanno lavorato in comune per le loro produzioni; noi, fra cotanto senno, cercheremo di fare del nostro meglio. Le nostre strade di ricerca si sono incontrate per un casuale ritrovamento di due poesie in dialetto potentino e per la contemporanea rivisitazione dei loro Autori. Il primo autore è Donato Larocca.1 Abitava a Potenza in una casa che aveva ingresso in Via Rosica n. 58 ed aveva finestre che affacciavano anche su Vico del Teatro Stabile e su Vico Giordano Bruno, proprio sul sottano dove abitava un certo Camillo Mancuso (mancusiedd’) di cui diremo in seguito. Il Larocca nella vita faceva il maestro elementare. Aveva insegnato fino al 1950 a Ruoti di Potenza, dove aveva conosciuta una forestiera (una maestra proveniente da Avezzano), se ne era innamorato, ricambiato, nel 1951 convolarono a nozze. E così avvenne che si trasferì al paese della moglie dove insegnò fino al pensionamento e dove concluse la sua esistenza. Ma il nostro non fu solo un eccellente maestro, ma un fine educatore; egli si cimentava e si realizzava anche in campi non correlati all’insegnamento quali la narrativa, la

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pittura, la poesia e pubblicò molti articoli su diversi giornali. Infatti Donato Larocca nei momenti di stasi arrivò a pubblicare ben tre libri, propriamente Tizzone, ragazzo birbone, libro di svago per i ragazzi, Massimo, il più giovane difensore di Cesare, libro di rievocazione storica e La Terra Amara, che sulla scia delle cento novelle del Verga era una raccolta di trenta racconti di vario genere, alcuni autobiografici, ed altri quadretti di vita pre e post bellici. Per il suo piacere di scrivere partecipa nel 1989 con un racconto inedito “La sapienza di Maria” al Premio Nazionale “Histonium”, vincendo per la narrativa il primo premio, con una cerimonia che si tenne a Vasto. A premiarlo fu l’allora Ministro per gli Affari Sociali, la Senatrice Rosa Russo Iervolino che in tempi recenti ritroviamo quale ex Sindaco di Napoli. Cercare di ritrovare questa sua produzione in qualche libreria pubblica o privata è un’impresa quasi impossibile. La sua attività si estese soprattutto alla pittura, passione dalla quale era divorato, tant’è che non a caso è effigiato durante una delle personali che si tenne a Vasto con alle spalle i suoi quadri; si impegnò, però, anche a scrivere poesie in vernacolo potentino, una delle quali è Lu vicule de lu forn del 1949 che qui viene proposta, una pittura in versi che dà uno spaccato della tradizione pseudo religiosa che era in auge nei vicoli di Potenza in occasione della festività di S. Rocco, ed in particolar modo quella del Vicolo Giordano Bruno.

Lu vicule de lu forn Cum’era bell la sera a lu fresc, nanze l’altarin de Sant Rocche, cu li cer appicciar, li bandierine culurare, fatt cu la carta rintagliara, e li lampiuncin de cartone, verè la gent de lu vicul du lu forn illuminara da tanta lampadine! Cum’era belle verè lu vicinat cantà la canzuncina pecchè lu Sante, assai miraculose, nun te fascesse venì la ntrascia. Mancusiedd2 cu lu clarinett, accumpagnava quedda cantlena cu nati doi musicant mpò scurdar. Puruzzedda cu li figl nanz alluccava pe’ farsi sentì mieglie; Arcangela l’urtulana, cantava mpò e s’addurmia pesant; schitt Mechel, lu furnar, cu la uantiera man, cercava li ternese a chi passava pe’ putè paà la luce ca fascia parè lu vicul de lu forn cum si fosse semp mezzgiorn. Po’ a poc a poc, la gent s’addurmia, Mancusiedd nun tinia chiù fiat pe sunà e date de cantà. Gnera pure chi s’era attaccà a la fiasca de la sottapera e mò durmia cuntent. Dopp, chian chian, luce e cannele s’ammurtavene e lu vicul de’ lu forn turnava all’ascura cu la soleta lampadina de poche cannele


ca nascunnia la miseria e lu squallore de quedda povera gente ca putia sole cantà. Donato Larocca Per la Festa di S. Rocco a Potenza principalmente lungo Via Pretoria numerose erano le postazioni di altarini disseminati lungo il punti più strategici, ma soprattutto quelle poste alle testate dei vicoli; una quota delle offerte veniva trattenuta dai numerosi questuanti (riuniti quasi in cooperative) per rifarsi delle spese per luci, fregi, cera, fiori ed altro, e con quanto rimaneva si acquistava, ognuno per sé, soprattutto le leccornie così bene in vista sulle bancarelle, che contribuivano ad integrare la scarsa alimentazione dei più disagiati. A proposito degli altarini uno di questi, realizzato in Vico Giordano Bruno (ove vi era anche un forno), ha ispirato la poesia scritta da Donato Larocca che abitava in un appartamento con triaffaccio su Vico Teatro Stabile, Via Rosica e Vico Giordano Bruno, con vista da balcone e finestra che davano proprio sulla casupola abitata da Camillo Mancuso (detto mancusiedd’), per cui da osservatore privilegiato oltre ad ispirarsi, quel brillante maestro poté dall’alto essere anche un cronista attento ai minimi particolari; la poesia è un crescendo di suoni, musiche, voci, luci, persone e personaggi che in un’atmosfera festaiola vivacizzava al massimo la vita del Vicolo e cui partecipava con fervore tutto il vicinato godendo della temporanea gaiezza; ma come per un maleficio, a sera inoltrata ed a festa conclusa, l’atmosfera magica e trasognante svaniva, dissolvendosi come per incanto e tutto tornava ad essere come prima e persino l’incombente

oscurità delle tenebre andava a celare quella triste umanità che si accalcava in casupole piccole e vetuste come stambugi. Camillo Mancuso (mancusiedd’) era un uomo piccolo e sgraziato, molto intelligente che nella sua vita faceva di tutto per sbarcare il lunario: il lustrascarpe, in estate il gelataio con un carretto con blocchi di ghiaccio incorporati, riparava i piatti rotti e gli ombrelli, era promotore ed accompagnatore dei Pellegrinaggi a Monte S. Angelo per la devozione a S. Michele Arcangelo, a Fonti ed al Santuario di Novi Velia per la devozione alla Madonna. Dalla festività dell’Immacolata Concezione e fin dopo le Festività Natalizie si ingegnava a suonare il clarinetto (detto piffero) insieme a due altri zampognari, con risultati appena decenti ma pur sempre piacevoli per i bambini. Dopo aver ricordato gli altarini oggetto della poesia, è bene descrivere come si svolgeva la festa e la vita nel Borgo di S. Rocco. Prioritariamente vengono in mente i ricordi legati a quel periodo quando sotto al gigantesco e maestoso olmo (oggi al suo posto v’è la cabina Italgas) di fianco alla Chiesa, durante la festa s’insediava un venditore d’angurie e meloni ammassati a terra a mo di catasta intorno all’enorme tronco, presso il quale confluivano i visitatori che si concedevano pantagrueliche scorpacciate ed abbuffate di tali cucurbitacee, tenute al fresco sotto blocchi di ghiaccio. Caratteristico era il Borgo addossato alla Chiesa, che allora occupava tutta l’attuale superficie della strada che da Betlemme perveniva a S. Rocco, senza consentire, come ora, il transito diretto verso il Rione S. Maria; era superabitato, vi ferveva una frenetica attività, grazie alla presenza di valenti artigiani quali bastai, mugnai, maniscalchi, stagnini, fabbri, ramai, forgiatori e dove confluivano in massa con le relative cavalcature mulattieri, contadini e contadine di ogni età, per soddisfare le proprie esigenze, vendendo i prodotti derivanti dalla propria attività quali formaggi, cereali, uova nel piccolo paniere (panariedd’), legumi, fascine di legna da ardere, carbonella e col ricavato acquistare baccalà, sarache (aringhe affumicate), sale, fiammiferi, tabacco, sigari, zucchero, pasta alimentare e carburo per alimentare le lampade ad acetilene visto che nelle campagne mancava la luce elettrica. Per le cavalcature, dette “vetture”, si provvedeva a ferrarli ed a far riparare i finimenti, il tutto in un’atmosfera sì gioiosa ma ammorbata dal fastidioso ed acre puzzo delle unghie bruciate degli equini per ferrarli; erano tante le cavalcature che si arrivava a parcheggiarle persino in Via Francesco Crispi. Gli uomini approfittavano per farsi tagliare i capelli e radersi, pulire e “lucidare” le scarpe attingendo al nerofumo attaccato sotto i paioli, di modo da presentarsi in Chiesa dal Santo in modo decoroso; provvedevano anche a far macinare grano e granturco e far temprare dai fabbri gli attrezzi di

lavoro. Si ricomponevano i gruppi familiari e più di qualcuno sgattaiolava alla chetichella nell’attigua cantina di Sordetti, a bere qualche bicchiere di buon vino ristoratore; però molto spesso erano tirati fuori dalle rispettive donne per evitare una totale e molesta ubriachezza. Sulla caratteristica montagnola posta lateralmente alla Chiesa di S. Rocco sulla cui sommità tuttora si erge un antico casalino e sulle cui pendici, a mo di formicaio, intere famiglie si apprestavano ad occupare i posti migliori con al seguito vettovaglie e cibarie varie, in attesa che rientrasse la tradizionale processione annunciata dal suono a distesa e continuo della campane, dopo di che si poteva dare inizio al consumo delle famose tortiere di parmigiana a base di melanzane o zucchine, per lo più fuoriuscite dalle bocche dei vari forni cittadini. Alcuni nuclei familiari, invece, per l’occasione preferivano cibarsi di marruche (lumache) fatte spurgare per diversi giorni e poi cotte e condite col sugo reso piccante dalle ceraselle (peperoncini piccanti), una vera prelibatezza. Nei dintorni si udivano all’unisono rumorose e gagliarde surchiate per tirare fuori dal guscio quelle ignare lumache. Per dovere di cronaca il sugo residuato nelle pentole veniva completamente prosciugato con fette di pane tagliate da grosse panelle (forme di pane dal peso di diversi chili) che si accompagnava con bevute di vino contenuto in recipienti muniti di cannetto per poter bere a garganella e smorzare gli effetti del cibo piccante. La Statua di S. Rocco per una notte stazionava nella Cattedrale di S. Gerardo pagando un obolo per l’ospitalità ed il giorno successivo rientrava nella sua sede, accompagnato in processione dai fedeli; quante e quante processioni si sono susseguite negli anni con donne al seguito scalze che si battevano violentemente il petto invocando perdono o miracoli; lungo il tragitto si udivano le lamentazioni a mo di cantilena ripetitiva fino all’ossesso ed altre donne scalze portavano degli enormi ceri (dette torce) per la devozione al Santo. Solo dopo che l’enorme folla dei partecipanti alla Processione era entrata in Chiesa a “salutare” S. Rocco, poteva iniziare a dar fondo alle cibarie. Il secondo personaggio che viene alla ribalta per una sua poesia in vernacolo potentino sulla tradizionale Festa di S. Gerardo è Ninetta Larocca3 che lavorò presso la Conservatoria delle Ipoteche di Potenza, dal carattere allegro e gioviale. Tutt’ è cagnà a Putenza mia A lu temp’ mio Putenza era accuscì gnera na strara ca se chiamava Via Pretoria. A ogni vutara d’uocch’

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purtavn’ li fiasch’ mmane e ‘ndrete a lloro li piccinnin’ vesture da angiolett’ tutti chien’ d’oro. Po gnera la carrozza de Scafarell’ ca purtava sova nu vecch’ cu la barba ianca e na pippa dong’ ‘mmocca. Alluteme gnera na barca cu lu quadr’ de Sant’ Gerard’ ndrete la museca te fascia arreccià li ccarne e tutt’ chiangiann’ e cercavan’ la ‘rrazia. Pe la strara ne verive de tutt’ li culore: li signore vesture a ffesta stascienn’ nnanze li tavuline e se magnavene lu gelate. Pur’ li poveromm’ se vestienn’ a ffesta e gnera na bracciala ind’ lu vicule mie ca se chiamava Ciccirenella e purtava nu custum’ ca te fascia esce dduocch’ da fuora: era lu custum’ de Putenza e la chiamavan’ la Pacchiana. Gnera pure n’ata femmena ca se chiamava Cuncetta la furnara e la verive cu lu maccature de seta ‘ntesta e lu vantesine ‘nnanze de seta. Sova lu vicule de lu Teatre gnera pure zì Lucia, na vecchia ca vennia li tarall’ viscin’ addo gneran’ tant’ bancaredde ca veniane da tutt’ li paise ogni ann’: gneran’ nucell’, turrone, castagne e gnera pure chi friggia la carne: ‘nsomma inda quedda iurnara ern’ poveri sì ma cuntent’ e se savienn’ devert’. Osce tutt’ è cagnà cu sta giuventù muderna li viri pe la strara, te vote, li uard’ e nun se capisc’ si sò mascule o femmene. Portano li cauzone e la siaretta ‘mmane e si li uarde ‘nfaccia te fann’ ‘mpaurà cu li cavidd’ dongh’ e li ffacce giall’, pare ca so asciù da lu manicomio. Nun’ parlamm’ de li macchine, si poch’ poch’ nun’ stai attent’ te schaffan’ sott’. E’ na brevogna pe lu paise nostr’, sti frastiere cara Putenza mia t’ann’ arruvenata. Ninetta Larocca

Chiesa di San Rocco inizio del 900

verivi nu viculo o na cundana a ogni puntone de strara verivi li pezzende ca stennienn’ la mane e vulienn’ li turnese. Era lu paise de la pace basta che givi viscine a na fundana per te fa’ na bivita d’acqua fresca te sentive d’arrifrescà lumbillico. A temp’ d’estate accumenzavan’ le Prucissioni de li Santi e nun avivi che verè. Lu 30 maggie fascienne la Festa chiù mburtant’ de lu Paise, era la Festa de Sant’ Gerard’ Patrone de Putenza. Ern’ cose de straverè la sera de lu 29 pe tradizione a lu Sante facienn’ li Turchi. A la Chiazza chiù rrann’ ca se chiamava Piazza Prefettura mettienn’ l’orchestra e dà venia na grande museca ca quann’ lu maestr’ saglia de sova e dascia lu via a li musicant’ paria ca trmava tutta la Chiazza. D’oucch’ mii nun putienn’ chiù uardà tant’ ern’ fort’ li lluci ca mettienn’ alli 9 la sera.

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Speriamo che la nostra ricerca sia valsa a far riemergere autori del vernacolo potentino quasi del tutto oscuri e ignorati.

Verso Purtasalza sentivi già li tamburr’ e li cambaniedd’ e li suoni li purtavn’ li cavadd’ e sova a loro gneran’ li banome vesture da Turchi. Li vestite erano rossi e li facce tint’ de nere,

NOTE 1) Larocca Donato Giuseppe Michele (Potenza 16.03.1924 - Avezzano, L’Aquila 06.03.1990), maestro; 2) Mancuso Silvio Camillo, mancusiedd’ (Potenza 04.02.1897 - 14.07.1970), uomo tuttofare; 3) Larocca Antonietta, Ninetta (Potenza 19.09.1926 - 28.12.1997); impiegata presso la Conservatoria delle Ipoteche.



E U R E K A atera, città candidata a capitale della cultura europea 2019 perché concentrato di saperi (Peppe Rovera, 4 luglio 2014), ha ospitato, dal 29 giugno al 4 luglio scorsi, un corso di formazione ambientale per i professionisti dell’informazione, dal tema “Comunicare/Divulgare: Ambiente e Beni Culturali”, organizzato da RAI Basilicata e dall’Università degli Studi di Basilicata. A seguire il corso, patrocinato da Ministero dell’Ambiente, Ministero dei Beni e Attività Culturali, Comune di Matera, Confindustria, Ordine dei Giornalisti e FERPI, venticinque Giornalisti e Comunicatori segnalati da diverse Testate nazionali e regionali, dagli Uffici Stampa e dalle Associazioni Ambientaliste. «Abbiamo pensato di comunicare un modo di leggere l’ambiente visto dalla parte di chi lavora in questi ambiti e che ha dunque più esperienza; e Matera è sede di questi temi.» ha affermato Aurelia Sole, neo Rettore dell’Unibas. Una full immersion, dunque, nella città dei Sassi, in cui si è potuto meglio approfondire il tema dei beni culturali, in senso paesaggistico, ambientale, economico, giuridico, storico, geografico, archeologico e turistico, attraverso lezioni frontali nell’aula Sassu della sede Unibas di Matera, escursioni didattiche e una tavola rotonda conclusiva nella caratteristica cornice di Casa Cava. Ma cosa sono i Beni Culturali? Vi è un lungo elenco molto sfaccettato: dalle impronte preistoriche alle monete, dai manoscritti ai carteggi, dai corredi storici agli oggetti sacri, dai libri alle stampe, dagli spartiti musicali alle fotografie, dalle ville ai graffiti, dalle lapidi alle edicole, dagli ornamenti architettonici ai mezzi di trasporto, dalle pellicole cinematografiche agli audiovisivi. La Basilicata, come tutta l’Italia, è ricca di beni culturali di notevole importanza, quali il Castello di Monteserico a Genzano, il Castello federiciano di Melfi, Maratea, il castello di Lagopesole, il complesso monastico di Monticchio (con l'unica presenza in Europa del bruco di Bramea) e un'oasi naturale di notevole importanza, la diga di San Giuliano, il parco archeologico di Metaponto con le sue tavole palatine, il Telespazio, di cui a Matera c'é la sede di gestione e acquisizione dati, e tanto altro ancora. Oltre, però, ai beni culturali creati dall'uomo, ci sono quelli immateriali, come le tradizioni popolari, in cui si inserisce la

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Per una rivoluzione culturale aIl nuovo Matera racconto su Ambiente e Beni Culturali


Festa della Madonna della Bruna, alla quale i corsisti hanno preso parte: una lunga giornata, in cui, dopo la visita notturna al carro trionfale, per apprezzarne la cura, la maestosità e la bellezza, si è potuto prender parte alla processione religiosa, tra l’immensa folla di fedeli che accorrevano a porgere il proprio saluto alla

Vergine e al Suo Figlio, e al noto “strazzo” del carro, tra sgomento ed esaltazione. In che modo i giornalisti possono fare comunicazione sui beni culturali, qualunque essi siano? È una delle domande a cui si è cercato di rispondere durante la tavola rotonda a Casa Cava. «Oggi tre miliardi di notizie al mondo ven-

gono diffuse tra i vari network: tra queste come si fa a dare informazione sulla bellezza di Matera? – si chiede Marcello Masi, direttore del TG2 - Mel Gibson ci é riuscito, come Papaleo con “Basilicata coast to coast”. Bisogna, dunque, saper attirare con qualità e simpatia. Serve una rivoluzione culturale, che ha bisogno dell'aiuto della politica.» Una rivoluzione culturale, dunque: una migliore tutela e valorizzazione del patrimonio di cui si dispone. Compito dei giornalisti può essere rivelare l'importanza della politica di tutela come qualcosa che interessa tutti. «Il senso della tutela non é individualismo identitario, ma si rifà a un valore collettivo, a un legame di responsabilità sociale; bisogna, pertanto, essere in grado di collegare i beni culturali al vissuto e all'ambiente. La sfida é lavorare per creare nuove professionalità e nuove economie attraverso l'attuazione di laboratori e percorsi internazionali», ricorda il prof. Curti. «Oggi con internet il mondo é a portata di mano, cosicché ci vogliono idee forti affinché il mondo venga a Matera. – ha affermato Federico Fazzuoli - Bisogna che le strutture che fanno informazione abbiano la visione vera dell'informazione. C'è bisogno che ciò che Matera offre sia evidente e si inserisca nelle tendenze attuali, per non rimanere fuori dal mondo.» Manca, come ha affermato Fausto Taverniti, Direttore di RAI Basilicata, l’aspetto del marketing turistico; è necessario creare delle sinergie tra uso del territorio e politiche locali. «Le eccellenze devono essere messe a disposizione. Matera ha dimensione emotiva, struttura commerciale e lavorativa profonda e struttura universitaria con forte identità locale ma non localista, pertanto potrebbe diventare un laboratorio di progresso» sostiene il giornalista Mediaset Giuseppe Novero. Il web 2.0 e le prospettive che offre il progresso possono creare un laboratorio che dia opportunità ai giovani professionisti della cultura per un futuro concreto legato a una visione globale dei beni culturali. Dapprima, però, è necessario recuperare il giusto rapporto con la nostra terra, che é madre (terra dei nostri avi), sorella (é la terra che abitiamo e quindi bisogna volerle bene e renderla più bella) e figlia (va consegnata alle generazioni future). I turisti che giungono in Basilicata vogliono recuperare la dimensione umana, perché la cultura è anche accoglienza, pertanto, come sostiene lo scrittore Erri De Luca, in Basilicata c’è cultura! La Basilicata, quindi, presenta le caratteristiche ideali per ospitare un corso di tale respiro, realizzando una concreta e positiva sperimentazione per diffondere da qui il messaggio per un utilizzo equilibrato del territorio. ma.te.

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LE PORTE DEL SILENZIO E DELLA

MEDITAZIONE Giuseppe A. RINALDI

in da fanciullo, prima ancora di iniziare a scrivere, mi è sempre piaciuto disegnare. Con questo formidabile mezzo di espressione e di indagine delle idee, avevo l'impressione di dominare tutto e di poter fare ciò che volevo. Non avevo ostacoli; mi sentivo libero. Soltanto ad uno spirito libero è consentito di rappresentare la realtà nella sua bellezza intrinseca come misura della propria espressività"parole queste, di Vincenzo Viggiano, artista lucano da oltre quattro decadi, da riscoprire da parte delle nuove generazioni. Con lo studio delle porte, che in quest'edizione vi proponiamo, e l'inserimento di questo elemento scultoreo architettonico, l'autore cerca di rappresentare due diverse realtà, in comunicazione fra di loro. Si tratta di sculture inserite nello spazio pittorico e nel paesaggio. "La porta è un passaggio, una via, che permette di accedere da una realtà ad un'altra, a mondi e civiltà diverse. Basta varcare una porta e si riescono ad annullare le distanze spazio-temporali; ci si ritrova catapultati in un'altra dimensione, dove si può intravedere il passato, il presente ed il futuro. La porta mette in comunicazione lo spazio e la materia".

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Uno spazio destinato al ricordo ed alla meditazione, inteso come riferimento alla continua riflessione ed alla "spiritualità antica". Le porte sculture, inserite nei dipinti e nel

paesaggio, sono l'espressione del concetto di quiete e di silenzio: "Le nostre azioni, ciascun atto della nostra esistenza umana, tutto ciò che è vivo, si fonde insieme e scorre nel silenzio. La vita e la morte, come la materia, si fondono in un'unica forma: il silenzio." Per l'artista vivere significa manifestare la vita; sentire significa manifestare una sensazione: quanto più forte è la sensazione, tanto più sentita sarà l'esigenza di manifestarla. Quanto più intense, vere, essenziali, sono le sensazioni e i sentimenti, tanto più essi si estrinsecano in maniera sensibile. L'artista riesce a tenere nascosti ed inespressi i propri pensieri, ma non può dissumulare la propria esistenza, ricca di sentimenti e di emozioni particolari: il suo essere, spesso, a volte senza il suo sapere e il suo volere, è la risultante dei sensi. "Soltanto l'opera d'arte è il prodotto della sensibilità dell'artista; è unità organica, ossia principio della sensazione e della sua rappresentazione". Non in ogni momento, però, l'artista può creare: i sentimenti non sono a volontà, a piacimento, a nostra disposizione; per cui non sempre, durante la ricerca intellettua-


Tutti i diritti sono riservati; l’opera non può essere riprodotta, memorizzata o trasmessa in alcuna forma e con alcun mezzo elettronico, meccanico, in fotocopia, in disco o altro modo, senza l’autorizzazione scritta dell’autore.

le, si procede nell'attività creativa. Ogni artista, oltre all'istinto per la conoscenza, possiede l'impulso alla produzione dell'opera d'arte, che significa moltiplicazione degli interessi: dove si verifica la molteplicità di sollecitudini, si riscontra anche la presenza della rappresentazione, base astratta e materia concreta della sensibilità. Soltanto nella meditazione su sè stesso, l'artista separa i pensieri, frutta della testa, dai sentimenti, frutta dell'amore, e li rende

autonomi in sè per l'opera che pensa e sente separatamente. Ciò che è presente, può anche essere materialmente assente: l'immagine dell'oggetto, sostituisce e rappresenta l'oggetto stesso. L'occhio o la macchina fotografica rappresentano l'oggetto in maniera veritiera: alla distanza focale l'oggetto può apparire più piccolo, o più grande di quanto l'occhio dimostri. Si parte dalla constatazione che l'artista, da soggetto dei suoi sensi e

delle sue sensazioni, diviene l'ogni-sensibile, il mondo, il finito e l'infinito. Molto spesso, come veicolo per esercitare la propria attività, oltre all'immaginazione, l'artista si avvale della memoria, per mezzo della quale riesce a peregrinare da luogo in luogo, ed allargare la visione della terra in cui è nato all'universo, e può innalzare sè stesso, dal ruolo limitato di piccolo borghese, alla dignità di essere cosmopolita e insieme pieno di spirito. "La memoria non è soltanto il mezzo per guadagnare tempo e spazio; essa rappresenta lo strumento mediante il quale l'artista sfrutta il mondo a proprio vantaggio: s'impadronisce e ripropone tutte le cose già viste , metabolizzate e rielaborate, nella sua opera d'arte che, in questo modo, non rimane soltanto il prodotto del pensiero. Se la sensibilità non si sposa con l'intelletto, il libro della natura verrà interpretato in maniera traslata. Le parole o le immagini, che con la sensibilità si scrivono o si disegnano, non sono soltanto segnali vuoti o arbitrari: sono formule espressive, congruenti caratteristiche, proprie di ogni autore".

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A POLICORO IL PREMIO

HERACLEA 2014

Anna MOLLICA

Policoro anche quest’anno è tornato per la terza volta e in grande stile il “Premio Heraclea”. Sulla piazza Chonia del lungomare, lo scorso 2 agosto, con la direzione artistica di Mario Carlo Garrambone si sono accesi i riflettori su una manifestazione che, come da tradizione, premia i lucani che fuori i confini regionali si sono affermati nella società con le loro professioni. Introdotta da un video di presentazione della cittadina Jonica curato da Tonino Calvino, la serata condotta da Savino Zaba di Rai 1, quest’anno ha premiato quattro eccellenze nel campo della musica e del cinema. Grazia Doronzio nata a Tricarico, cantante lirica; Federico Ferrandina materano, compositore musicale; Marco Regina anche lui materano, creativo di importanti film d’animazione statunitensi; Claudio Santamaria originario di Senise, attore. Tutte persone di successo che, pur lavorando per la maggior parte del tempo lontano, non hanno mai reciso i legami con la

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Basilicata nella quale tornano appena gli impegni di lavoro lo consentono. Il Premio ha altresì assegnato tre “Riconoscimenti speciali Heraclea” che sono andati alla Lucania Film Commission per il particolare contributo dato all’arte del cinema lucano e per aver promosso luoghi di straordinaria bellezza trasformandoli in incantevoli set cinematografici; a Oreste Lo Pomo, caporedattore del TGR Basilicata, per aver sapientemente interpretato l’arte del giornalismo e raccontato con passione il territorio lucano e le sue straordinarie bellezze; a Leonardo Gallitelli, Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri per esser stato artefice di rilevanti operazioni per il contrasto al terrorismo e per il valore dimostrato nella tutela delle persone, della giustizia e della legalità in tutte le sue manifestazioni. Un riconoscimento è andato anche alla produttrice cinematografia Adriana Chiesa. La serata ha offerto al numeroso pubblico presente momenti di spettacolo con il cabaret di Dino Paradiso di Bernalda che in chiave comico-critica ha illustrato usi e detti di vita domestica. Con le voci e i suoni di Graziano Accinni e Caterina Pontrandolfo Quintet, che hanno regalato melodie e ritmi del folclore popolare, di Diana Winter, Ensamble dell’Orchestra Sinfonica Lucana diretta dal maestro Pasquale Menchise, e di Mario Venuti che ha chiuso la manifestazione con i suoi brani più celebri. Non sono poi mancati i cenni alla nostra tradizione enoga-

stronomica offerti da Mario De Muro e Pino Magno, e alla moda made in Basilicata proposta da I Vanità Studio e da Anna Coviello. Il poeta montemurrese Leonardo Sinisgalli in una poesia faceva riferimento alle caratteristiche dei tanti lucani in giro per il mondo che diligentemente lavorano senza farsi notare. Il Premo Heraclea ha voluto riprendere quel concetto confermandolo e premiandolo come valore aggiunto di un popolo che discretamente continua a dare prova di impegno, educazione, rispetto e qualità e che spesso riesce a raggiungere alti traguardi.


Lucani illustri al Premio Torre

d’Argento

enticinque anni. Tanto è lunga la vita di questo evento considerato ormai tra i più consolidati e longevi della Basilica. E’ il Premio Torre D’Argento di Ciirigliano che ogni anno viene conferito a lucani e lucane illustri che in Basilicata, in Italia o nel mondo si sono affermati nella letteratura, nella scienza, nella politica, nel giornalismo, nello spettacolo, nell’arte, nella musica. La manifestazione, organizzata dalla locale Pro Loco, presidente Antonio Garrambone, e dall’amministrazione comunale di Cirigliano, si è ripetuta lo scorso 10 agosto ed ha premiato Rocco Brancati ed Antonio Calbi. “Essendosi distinto in tutti questi anni per il suo attaccamento alla cultura, per la dedizione al suo lavoro e per aver dato lustro per oltre 24 anni a questa manifestazione”, con questa motivazione Rocco Brancati, potentino, giornalista del Tgr Basilicata e per 13 anni docente all’Università della Basilicata, ha ritirato commosso un premio che praticamente ha visto nascere. Convinto, come affermava Leonardo Sinisgalli, che “La cultura è onestà non furberia” ha applicato questo concetto nella sua vita umana e professionale spiegando che la cultura non si fa da un piedistallo. Al pubblico e a Mario Trufelii, suo primo caporedattore Rai e maestro, anche lui vincitore in pas-

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sato dello stesso premio, ha confessato di ritenersi un volontario della cultura. Tra i due colleghi ma soprattutto amici ha avuto luogo una breve intervista che ha ripercorso i momenti della carriera giornalistica di Brancati iniziata al “Mattino” di Napoli, e continuata nel 1979 in Rai fino ai giorni nostri. “Che si è distinto per i suoi meriti artistici, con un curriculum di tutto rispetto, un lucano con un cuore ricco di passione per la cultura e per le arti” con questa motivazione Antonio Calbi, originario di San Mauro Forte e cresciuto a Milano, ha ricevuto il Premio per la sua trentennale carriera di direttore di teatri, festival progetti. Già direttore del Settore Spettacolo del Comune di Milano e, da aprile di quest’anno, direttore del Teatro di Roma, prossimamente dirigerà, sempre nella capitale, il Teatro Argentina. “Se non si sogna non si va da nessuna parte e una terra come questa non può non far sognare”, ha affermato Calbi e in questa frase c’è tutto se stesso. C’è l’amore per il teatro, il suo sogno di bambino; quello per l’Italia, la patria del Sapere e delle arti; quello per la Basilicata terra di antichi riti, processioni e carnevali, vere e proprie messe in scena con le quali l’uomo si è sdoppiato per osservare, conoscere se stesso e che, in qualche modo,

hanno disegnato il futuro del piccolo Antonio. Tra i promotori della candidatura di Matera a Capitale della Cultura 2019, è convinto che la Basilicata sia terra di creatività, poiché essendo povera “istiga all’immaginazione”, e che può diventare luogo per sperimentare idee realizzando teatri di nuova concezione, centri polivalenti delle arti, con il supporto di moderne infrastrutture. Il Premio, intervallato dalla musica e dalla voce del quattordicenne Gabriele Acquaviva e del gruppo Graziano Accinni e Caterina Pontrandolfo Quintet, ha conferito un riconoscimento speciale anche alla A.s.d. Real Stigliano squadra femminile di Calcetto per la sua Promozione in serie A. La manifestazione, condotta da Eva Bonitatibus, si è avvalsa della collaborazione di Mario Carlo Garrambone che ha curato la regia e le scene, e di Tonino Calvino che ha realizzato le schede-video dei premiati. La serata ben riuscita, con il suo stile elegante e sobrio, si è conclusa con i fuochi pirotecnici, suggestivi nell’illuminare un borgo che ha saputo conservare con il castello medioevale e la sua torre ovale il fascino dell’antico, e sposare il presente seguendolo con occhi ammirati, orgogliosi e paterni. an.mo.

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E U R E K A

La via lucana del benessere Tappa 1. La fragola del metapontino: bella, buona e salutare Maria Carmela PADULA

l percorso tra le specie vegetali della Basilicata aventi proprietà benefiche per la salute umana, denominato “via lucana del benessere”, fa tappa sulla costa jonica, terra di origine della “fragola del metapontino”. Il frutto si coltiva da quasi 50 anni; in questi ultimi anni si è assistito all’introduzione di nuove varietà dalle caratteristiche genetiche migliori nella zona di produzione jonica e alla messa in atto di tecniche di coltivazione innovative. Questi due aspetti hanno contribuito a fare delle fragole del metapontino una vera e propria risorsa locale; se si guarda ai numeri della fragolicoltura si scopre che nelle ultime annate di produzione le superfici coltivate a fragola sono costanti, intorno ai 600 ettari, con 40 milioni di euro di reddito, 20 mila tonnellate di produzione stimata, 7 mila lavoratori per la manodopera. La varietà che ha permesso la “rinascita” della fragola nel metapontino è principalmente la Candonga, la quale rappresenta il 72% della coltivazione totale, seguita da Nabila (13%), Sabrina (11%) e altre (dati Alsia Azienda Sperimentale di Pantanello, Metaponto). Alla fragola del metapontino si guarda per la sua qualità, strettamente correlata a caratteristiche organolettiche (dolcezza, acidità, aroma), carpologiche (forma,

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dimensione, consistenza, colore) e, recentemente, sempre di più alle proprietà nutraceutiche, ossia alle funzioni benefiche sulla salute umana, esaltate da diversi studi scientifici. Il fatto che la dieta abbia un ruolo significativo nel prevenire l’insorgere di patologie è stato a lungo documentato: l’alimentazione umana si basa, oltre che su macronutrienti (carboidrati, proteine e lipidi), anche su micronutrienti, i quali includono sostanze biologicamente attive tra cui vitamine, polifenoli e minerali, presenti principalmente in frutta e verdura. Studi epidemiologici confermano l’esistenza di una relazione inversa tra il consumo di frutta e l’incidenza di patologie degenerative, cardiovascolari e proliferative. Tra i diversi tipi di frutta, la fragola, per la sua composizione chimica, costituisce un’importante fonte di fibre alimentari e composti bioattivi, soprattutto acido ascorbico (vitamina C) e polifenoli. Oltre ad essere ricca di componenti positivi per l’organismo, la fragola fornisce anche un apporto calorico basso (100 grammi di fragole contengono meno di 30 calorie). ACQUA. Costituita per il 90% di acqua, idrata le cellule ed aiuta a drenare i liquidi corporei. FIBRA. La fibra alimentare di cui è ricca costituisce un valido aiuto nell’aumentare il

senso di sazietà, nel regolarizzare l’intestino favorendo il transito intestinale e nel diminuire l’assorbimento di grassi e zuccheri. VITAMINA C. La vitamina C ha un’importante azione idrossilante, ossia consente la sintesi del collagene, principale elemento fibroso di pelle, ossa, cartilagine e denti, fondamentale per prevenire le rughe e rafforzare i capillari. Possiede proprietà antitumorali, in quanto in grado di contrastare i radicali liberi che si formano nell’organismo. La vitamina C favorisce, inoltre, l’assorbimento del ferro, utile per la formazione dei globuli rossi e per i muscoli. FENOLI. Le sostanze fenoliche sono un vasto gruppo di sostanze organiche di origine vegetale aventi un ruolo anti-ossidante, anti-infiammatorio, anti-microbico ed


anti-proliferativo. Sono attivi nella prevenzione del danno cellulare causato dall’esposizione ad elevati livelli di specie reattive dell’ossigeno (ROS, Reactive Oxygen Species), le quali sono in grado di alterare la funzione e la struttura delle cellule e risultano, di conseguenza, responsabili di diverse malattie. I fenoli si suddividono in flavonoidi e non flavonoidi. All’interno della prima classe, le antocianine, responsabili del colore rosso del frutto, rappresentano il 52%-92% del contenuto totale di flavonoidi. Tali componenti agiscono sul metabolismo abbassando i livelli di colesterolo e glicemia, sono agenti vasoprotettivi, fondamentali contro le alterazioni della fragilità e della permeabilità dei vasi sanguigni. Sopprimono la crescita in vitro di cellule tumorali ed il loro contenuto è uno dei parametri a cui si fa riferimento nel valutare il grado di maturazione delle fragole. L’antocianina maggiormente presente nelle fragole è la pelargonidina-3-glucoside, che rappresenta circa tra il 77 ed il 90% delle

antocianine. Un significativo effetto anticancro è stato altresì riconosciuto ai flavonoidi kaempferolo e quercitina, di cui le fragole sono ricche. Tra i non flavonoidi, l’acido ellagico rappresenta il polifenolo presente in maggiore concentrazione nella fragola, circa il 50% del contenuto fenolico totale, e diminuisce con la maturazione della fragola. Le sue proprietà biologiche e farmacologiche, principalmente anti-tumorali, sono dovute alla capacità di interagire con biomolecole quali proteine e DNA. Ai polifenoli estratti dalle fragole, inoltre, sono stati attribuiti effetti antimicrobici, in particolare nei confronti dei patogeni intestinali. In uno studio pubblicato recentemente sulla rivista scientifica Food Chemistry sono state analizzate le proprietà antiossidanti di 20 cultivars di fragole del metapontino. E’ stata riportata una differenza significativa nel contenuto individuale di antociani, correlato, altresì, alla variabilità genetica esistente tra i diversi genotipi. Le cultivars che

hanno mostrato il maggiore contenuto polifenolico totale corrispondono a Naiad, Candonga e Ventana. Lo studio ha confermato le proprietà health-promoting dei frutti coltivati nella nostra regione. In definitiva, le fragole sono un concentrato di proprietà fondamentali; non ci resta che sfruttare una risorsa che la nostra regione ci offre a tutto vantaggio della salute umana.

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T R A L E R I G H E

IL CUSTODE DEL MUSEO DELLE CERE

IL ROMANZO DI RAFFAELE NIGRO ari. In un caldo pomeriggio di fine estate Andrea Mola, distinto ed educato professore di lettere in pensione, decide di fare visita al museo delle cere. Di salute precaria, chiede al nipote, anche lui Andrea, di accompagnarlo. Il giovane controvoglia accetta. Il museo è collocato in un antico palazzo signorile e a dirigerlo è un vecchio amico del nonno, tale Polverini, conosciuto ai tempi della militanza politica. Due socialisti che in questo suggestivo luogo si ritrovano con i propri rimpianti e si confrontano su nuovi ideali e progetti, entrambi decisi a ridare luce al passato anche se in modo diverso. Nonno Andrea con gli scritti sul trascorso socialista, Polverini con i personaggi della storia antica e recente, resi incredibilmente reali nell’aspetto, nelle movenze, nella voce. Il custode del museo delle cere (Rizzoli Editore) è l’ultimo lavoro letterario con cui Raffaele Nigro, originario di Melfi, caporedattore Rai e famoso scrittore di lungo corso, torna a parlare del suo amore per la Basilicata e per la Storia. In questo romanzo il passato, infatti, rivive con i suoi drammi, le sue vicende, le sue passioni. Per bocca dei protagonisti si riaffaccia sul presente, stupendo i visitatori del museo che odono quelle storie dalle stesse statue divenute per pochi minuti autonome nei racconti e

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...io pensai che il tempo era simile a quel fiume: fuggiva verso un punto sconosciuto e si portava via tutto, le nostre sofferenze, le nostre storie, ciò che era stato e ciò che stava accadendo. Chissà se qualcuno le avrebbe mai raccolte, qualche scrivano desideroso di tramandare la nostra memoria. Raffaele Nigro

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perfino nei dialoghi. Meraviglia della tecnologia mista ad un ostinato istinto di eterno che permette a quei manichini di raccontare gli eventi e di raccontarsi attraverso le vicende personali. Dal Medioevo in poi le cronache si snodano tra la fine dell’Impero Romano d’Occidente, i Barbari, la dominazione spagnola, il brigantaggio, l’età contemporanea con le lotte ideologiche dei Paesi mediterranei. Attraverso personaggi noti come Cassiodoro, Federico II, Sciascia, e meno noti, la storia prende contorni diversi. Non fredde sequenze di eventi ma esperienze dirette intrise di emozioni con le quali descrivere drammi e speranze di popoli in continuo conflitto e, di contro, l’amore per l’arte, l’architettura, la poesia, la letteratura, la filosofia creata da uomini che hanno saputo parlare al cuore, elevare lo spirito e la Conoscenza. Raffaele Nigro mette insieme queste storie intercalandole con il presente, con la modernità inarrestabile e inafferrabile. Restituisce un mondo che non c’è più ma che ha deciso cosa dovevamo essere. E proprio per questo va conosciuto, compreso, rispettato. an.mo.


ARMENTO L’ANTICO MANOSCRITTO DI

NICOLA VILLONE

tramandare ai posteri la conoscenza di n manoscritto inedito della seconquesto territorio. Qui c’è tutto. La storia da metà del XIX secolo per una antica ed ecclesiastica di Armento, l’arricerca su Armento, antica città cheologia, lo studio delle monete, la topobasiliana”. In questa frase introduttiva c’è il grafia, la geologia, il clima, l’economia, lo senso di un lavoro condotto da chi quella stato finanziario, la terra amava perché meteorologia, la zoovi era nato e ci logia, la botanica, l’aaveva vissuto. E’ un l narrare il passato gricoltura, gli edifici, manoscritto di 326 demopagine che Nicola di un paese all’età presente l’andamento grafico, le condizioni Villone, classe 1806, redasse nei tre anni in cui si ebbe culla e tomba sanitarie, gli usi e costumi, i proverbi, il precedenti la sua dei nostri avi: narrare le di glossario, le canzoni morte, avvenuta nel Dalle origini 1878, e che restituicostoro gesta, l’origine, popolari. al presente, il Villone scono la visione d’ini costumi, gli usi: si sente non tralascia niente sieme del piccolo la religione paese a ridosso della pur troppo un palpito compresa professata dagli abiValle dell’Agri. ARMENTO. Origine, d’amore. […]. Accettatelo tanti fortemente devoti ai Santi Luca e etimologia, istoria, di buon grado, miei cari Vitale dei quali archeologia, numiconserva le smatica, costituzione cittadini, che dovete andar Armento spoglie e dei quali topografica e corosuperbi di avere per patria l’autore narra le grafica è il titolo di questo saggio che un’Antica Città che occupa gesta. oggi l’amministrazioLa pubblicazione non ne comunale di nella Storia una pagina si ferma qui. Si Armento ha voluto amplia grazie ai conluminosa. tribuiti dei ricercatori rendere pubblico in un corposo volume del CNR-IBAM di Tito edito dalla Dibuono Scalo (PZ) quali Edizioni. Poco si Nicola Villone Daniela Artusi storica conosce sull’identità dell’arte, Annarita dell’autore. Dai regiSannazzaro e stri parrocchiali si sa che il Stefano Del Lungo vero nome di battesimo era Nicola Maria archeologi, Maurizio Lazzari geologo, Canio figlio di Luca e Giulia Ambrosini. Nato in Sabia agronomo, ai quali si aggiungono una famiglia benestante e numerosa matuquelli di Roberto Agostini collezionista, rò la sua formazione scolastica all’interno archeologo honoris causa Roma, e di Luigi di Armento senza proseguire gli studi altroSerra ordinario in Lingua e Letteratura berve. Uomo colto, conosceva il latino e da bera dell’Università degli Studi “L’Orientale” autodidatta coltivò sempre i suoi interessi di Napoli. Le loro conoscenze hanno perappassionandosi in special modo alla storia messo una valutazione critica e settoriale e all’archeologia. Fino a mettere insieme in dei resoconti del Villone contestualizzandotarda età uno scritto che avrebbe dovuto li, spiegandone i contenuti e valutandone

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la correttezza. Completano l’esposizione fotografie di ritrovamenti e di siti archeologici, di opere d’arte, di chiese, di luoghi nonché mappe di Armento. Approcci scientifici a confutazione o conferma di quanto riportato dal Villone, che sembrano la risposta ad un invito dello stesso autore il quale, all’inizio del suo manoscritto, profeticamente, riporta la frase del poeta Orazio: “Si quid novisti rectius istis, Candidus imperti” che significa “se sei venuto a conoscenza di qualcosa di più giusto di questo, da semplice riferiscilo”. an.mo.

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D O L C E & S A L ATO

LUCANIA E CHE

MADONNE!

Carla MESSINA

itolo ambizioso, ma senza offesa, può sembrare un’imprecazione. Dio me ne guardi, mai al cospetto di tanta grazia si può rivolgere alcuna offesa. Infatti, il titolo è proprio quello che è: una favolosa affermazione! Rituali religiosi abbracciati a credenze popolari vedono le popolazioni del posto spostarsi in pellegrinaggio verso mari e monti per accompagnare le loro Madonne prima nel mese di Maggio, mese per eccellenza dedicato alla Vergine Santissima, e poi a settembre, normalmente la prima domenica, per ricondurle nella sede di partenza. Lo scenario che si palesa agli occhi dei pellegrini è quello di un fiume umano che accompagna l’altissima a destinazione. Tutti indistintamente portano con loro il peso di pensieri, sofferenze, preghiere da rivolgere alla Santa

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Madre, esempio estremo di forza e sofferenza. Ci sono Madonne in ogni parte del mondo, tutte con la loro storia, tutte con la loro fede, meta di pellegrinaggio da parte di genti provenienti da ogni angolo del mondo, tutti mossi da un sentire fatto di emozioni contrastanti che si presentano con una morsa allo stomaco da togliere il fiato. Ci sono luoghi in cui anche il più scettico degli uomini comincerebbe a vacillare e non perché dissuaso dalla fede ma perché aggredito dalla grandezza della natura che forte e maestosa si erige a quello che è il suo eterno ruolo di supremazia e grazia che gli uomini non possono eguagliare neanche con la fantasia. Spesso si tende ad andare lontano per vivere al limite della suggestione e fede, alla ricerca di quella grazia e pace


che ogni uomo desidera per se e per i suoi cari. Ci sono luoghi dove un’anima si sente piccola, inadeguata, non all’altezza della situazione, nei quali l’unica possibilità è quella di lasciarsi rapire e condurre fin dove i sensi riescono ad arrivare. In Basilicata ci sono diversi Santuari dove chi desidera può rivolgere le proprie preghiere, posti affascinanti e suggestivi, ricchi di storia, e antichi riti religiosi che hanno origine nella fede e arrivano al cuore delle persone più semplici. Nel tempo hanno saputo plasmare, raccontare e rigenerare cerimonie motivate dalla fede, realizzando e tramandando di anno in anno eventi, dai pellegrinaggi, a piedi nudi su terreni impervi, ai percorsi di chilometri e chilometri fatti trascinandosi sulle ginocchia, ognuno per avere la sua grazia, ognuno per espiare le sue colpe, ognuno per Grazia Ricevuta, ognuno con la sua storia, ognuno con la sua preghiera, ma anche ognuno col suo niente che lascia liberi anima e cuore, pronto a cogliere ogni segnale. C’è un luogo in Basilicata, dove tutto ciò è palpabile e suggestivo. Se andate nel paese di Viggiano, il paese degli estremi contrasti, una ricchezza naturale e paesaggistica che toglie il fiato, di contro il paese del Petrolio il famoso “Oro Nero”. Tanta ricchezza che va fuori dal territorio. Ma questa è un’altra storia. Qui si trova la Madonna del Sacro Monte di Viggiano, Patrona della Basilicata. Madonna bellissima e particolare, perché, in contrasto con quello che si potrebbe pensare è una Madonna Nera con origini antichissime. Infatti, i primi documenti ufficiali in merito al suo ritrovamento risalgono al XIV secolo. La leggenda narra che un fuoco celeste segnalò la presenza sul monte del Simulacro della Madonna che fu eletta protettrice della Basilicata da Papa Leone XIII nel 1890. Nel 1965 l’investitura fu ribadita da Papa Paolo IV. La bellezza dell'effige va oltre ogni comune pensare, Madonna Nera con in braccio il fanciullo, completamente vestita d’oro. Il Sacro Monte è tra i più alti della Basilicata. La Statua durante tutto l’anno si trova nella Chiesa Madre del paese per poi essere portata in pellegrinaggio, la prima Domenica di Maggio, su al monte che si trova a dodici chilometri dal paese di cui l’ultimo è caratterizzato da un percorso percorribile solo a piedi, che si inerpica direttamente sulla roccia. Certo è stato realizzato un percorso particolarissimo caratterizzato dalle 13 Stazioni della Passione di Cristo, dove delle statue sacre caratterizzano l’intera ascesa al monte. Tutto quello che troverete sarà l’immane grandezza della natura con una vista che va oltre l’immaginabile. Sembra di salire verso il cielo e, nonostante la fatica, si è mossi dalla voglia di andare oltre per scoprire fin dove la natura può arrivare. La cosa più destabilizzante e che più si sale e più si diventa consapevoli che non c’è una fine, un limite, oltre il cielo, oltre il mondo, oltre tutto. Vi assicuro che tutta quella bellezza non riesce ad entrare né

La ricetta... “Frittata “U Flosc” Ingredienti: Uova, mozzarella, formaggio grattugiato, salsiccia stagionata, sale qb. pepe qb, olio extra vergine d’oliva, pane casereccio Procedimento: In una terrina, mettete le uova e date una prima sbattuta, andate ad aggiungete del formaggio grattugiato, della mozzarella freschissima, tagliata in pezzi, della salsiccia stagionata, anche essa precedentemente privata della pelle e tagliata in rotelline. Mescolate il tutto ed aggiungete un pizzico di sale e pepe; mescolate ancora, mettete un filo d’olio extra vergine d’oliva in una padella e ponetela sul fuoco. Quando l’olio sarà caldo incorporate il composto, con l’ausilio di un cucchiaio fate in modo di espandere uniformemente nella padella le uova, fino ad ottenere una forma perfettamente rotonda. Quando le uova si saranno assestate con molta cautela e con l’ausilio di un piatto piano rigirate la frittata. Non preoccupatevi se non verrà omogenea e compatta, in quanto la presenza della mozzarella rende particolarmente difficile questa operazione. Infatti proprio per questo viene chiamata “U Flosc” in quanto si presenta normalmente disgregata, ma legata da lunghissimi fili di mozzarella. Quando sarà pronta e si sarà assestata, tagliate delle belle fette di pane casereccio e ponetela tra due di questo. Se state preparando una colazione a sacco chiudete i panini in fogli di carta stagnola.

negli occhi, né nel cuore, né nella mente, mano a mano con le nuvole, ci si sente così piccoli e comunque parte di un mondo senza fine. La realtà prende le distanze dal quotidiano, sembra di essere seduti sulla punta del mondo, e tutto è più distante; poi quella croce così povera eppure tanto suggestiva, con i suoi Rosari e Voti legati al ferro mentre più in la l’Arcangelo…pronto alla difesa. Poi la chiesetta e dentro, LEI, Bellissima, vestita di Buono, con quello sguardo rassicurante, forte e fiero e al tempo stesso pieno d’amore ed alla fine ci sei tu… che forse per salire lassù avevi un motivo, qualcosa da chiedere, una preghiera da fare, fai quello che devi fare e intanto ringrazi Dio e Lei per tanta bellezza, che vi assicuro non riesce ad entrare tutto nel bagaglio della memoria. Mentre verso l’imbrunire, stremati dalla stanchezza perché non è un percorso facile, l’unica priorità che avete è quella di trattenere nei meandri dell’essere, il più possibile, quell’emozione, così estrema, cosi forte che va oltre la Bellezza.

Normalmente quando si va in Pellegrinaggio ad un Santuario ci si muove con tutto l’occorrente e l’occorrente è spesso fatto anche da una bella colazione a sacco. Vi sembrerà strano ma anche la Madonna ha le sue tradizioni alimentari e tipiche. Normalmente, e questa è una tradizione che accomuna tutta la Basilicata, ogni singolo paese ha in uso di fare, in occasione di un pellegrinaggio, gita, o percorso di carattere Religioso delle gustosissime frittate, le quali vanno a riprendere in pieno anche la simbologia del culto; le uova sono simbolo di nascita, le verdure come simbolo della terra, i formaggi che stanno ad indicare la purezza. Insomma un insieme di simboli assemblati tra loro per rendere omaggio alla Madonna anche con il Gusto. Vi riporterò una delle frittate più gustose della Basilicata, ottima da mangiare in qualsiasi momento, dalla colazione, al pranzo, alla merenda, alla cena, insomma ogni momento è buono per sublimare il palato con gusto e pienezza.

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“L'AROMA DE UN VINO GEN COME IL FERM

Arsenio D’AMATO

ssorto in elucubrazioni agricolo-adolescenziali e col vento in faccia, non sentì arrivare un enorme trattore moderno, ma lo vide giungere come un treno in corsa. Distratto dalla sontuosità del mezzo non fece caso al successivo sopraggiungere di due persone in bicicletta. Si sentì invocare per nome: “Ciao Andrea!”. “Ciao Ersi’…” – aveva risposto spontaneo. Ersilia era in compagnia di una bambina di otto-nove anni, probabilmente sua figlia, e il silenzio che seguì la scena s’incastrò nell’aria sotto forma di carica elettrostatica. Era come se la sensibilità sopita si fosse di colpo sciolta. Come se fosse divenuta propellente liquido. Fluido infiammabile pronto ad ardere uno spazio vitale che ora appariva minimo e angusto attorno a sé. Andrea tornò a casa, prese il portatile e cedette alla tentazione, da qualche tempo elusa, di prendere contatto con Ersilia su Facebook. Ogni tanto la cercava con la mente, immaginava che fosse presente sul social network, ma mai aveva osato interpellarla. Anzi più ci pensava e più si sforzava di evitare. S’impegnò al massimo. Per lungo tempo. Immettendo tutta l'energia e la fermezza d’intenti che poté racimolare. Non le chiese l’amicizia, dunque, ma le inviò un messaggio: «Ciao Ersi'! Come va? Non ti vedevo da anni e ti avrei salutato volentie-

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ri. Sei passata come un vento: un "Girardengo" donna che pedala veloce e non scorge un vecchio amico o lo vede, lo chiama, ma scappa via. "Il bandito e il campione" è una bella canzone, grande metafora, ma io non ero lì ad aspettare il tuo passaggio e tu non eri in gara a profondere impegno agonistico. Non è un rimbrotto, non ho rimorsi e non ho rimpianti, ma è soltanto un sincero saluto. Dopo che sei passata, ti ho guardato sparire all'orizzonte ripensando alle cose che ci accomunavano. Ricordando quando correvamo felici e spensierati fra l'erba alta dei campi disegnando astratti quadri. Ripensando a quando ci rincorrevamo fra i covoni di fieno dove poi ci tuffavamo e rotolavamo fra genuine risate di gioia. Mi fermavo a guardarti: il sole del mattino si perdeva nei tuoi occhi e dava una particolare luce alla corona di pagliuzze incastonate fra i tuoi neri capelli mossi da una leggera brezza... eri la mia principessa. Poi mi afferravi per mano e mi conducevi al tuo nascondiglio segreto, dove pregni di un amore ancora acerbo i nostri occhi si fissavano a lungo e una carezza suggellava la promessa del nostro futuro amore. Poi le distanze, la vita. Percorsi inversi e opposti cammini. Io in “Altitalia” e tu in “Bassitalia”. Ho sempre, tuttavia, rispettato certe tue idee e riconosco - a distanza - la tua

Le vicende e gli eventi raccontati in questa storia sono di pura fantasia ed i riferimenti a personaggi e realmente esistiti, o fatti veramente accaduti, hanno esclusiva funzione narrativa.

coerenza, anche se solo attraverso il social network. Buoni ricordi mi legano a te. Bei momenti. Non rimorsi né rimpianti, quindi, ma solo saluti da "Sante Pollastri" a una campionessa di coerenza e vitalità che è passata veloce, sulla sua bicicletta che brillava al sole, ma non era in gara. Saluti da uno che non era lì ad aspettare il tuo passaggio, ma si è voltato e ti ha visto sparire oltre l'orizzonte. Tutto qui». La risposta non tardò ad arrivare, con tanto di richiesta di amicizia da parte di Ersilia: «Mamma mia che bel messaggio, Andrea. Innanzitutto, ti ringrazio per le parole che


EL FIENO INEBRIA COME NEROSO, DÀ LE VERTIGINI MENTO DEL MOSTO”.

Seconda Parte

MICHELE SAPONARO

mi dedichi. Anch'io ho ricordi delicatissimi di te... La bici è nuova di zecca, sai? Avevo appena "rottamato", ieri, la mountain bike e preso questa "da femmena" Indispensabile compagna delle mie scorrazzate in campagna, adoro girarci in solitaria, anche se, ogni tanto, mi accompagna mia figlia. Ci vediamo alla festa della “mietitura e trebbiatura” per due chiacchiere? Bacio, stai bene... hai sempre due occhi bellissimi e tanta gentilezza, che citi o no quello strepitoso brano di De Gregori». Andrea restò imbambolato davanti a quello che stava leggendo. In ogni parola ci trova-

va un qualcosa: di primordiale o di pacchiano, di avvenente, di grottesco o d’infinito, comunque un qualcosa che spettava al mondo della cultura letteraria e dell’universo di donna. Rispose di getto: «Amo le metafore e le colgo anche dove non ci devono essere o, semplicemente, non ci sono. Mi piace, al contempo, essere schietto ed esprimo “rammarico” per non essere fra i tuoi amici virtuali (vista la tua “richiesta” fatta solo adesso…), vedrò di accontentare la tua istanza, ma ti lascio, per punizione, in quarantena sulla mia Ellis Island personale. Non so se ci vedremo o meno alla

festa, ma poco importa. Tornerò presto e non mancherà l’occasione. Del resto, come ho già detto, non ero lì ad attendere il tuo passaggio, tu non eri in gara… e poi Facebook, credo, sia più utile di quanto si possa pensare per tenersi in contatto con certe persone, in modo sincero, senza ombre e senza stupide velleità. Grazie a te per i complimenti. L’ego ne giova sempre e il quotidiano ne beneficia. Ricordi delicati o meno è bello tenere a mente certe sfumature giovanili e custodirle in cassaforte come reliquie dei bei tempi andati. Gli occhi non cambiano e, oltre all’estetica, guardano bene: anche “al volo”. Notare una scintillante bicicletta “da fèmmena”, nuova di zecca, e il suo “conducente”, sotto il sole battente, in un attimo, consentimi, non è da tutti… La verità è che amo leggere e mi piace scrivere e, allora, ho affinato la capacità di notare particolari e sfumature di ogni piccola cosa». Un’ora dopo la replica: «Le metafore sono un modo gentile per affrontare la realtà, fai benissimo a coltivarle. Piacciono anche a me. Arriveranno occasioni per vederci e parlare, hai ragione, così come sarà bello scriversi. E accarezzare la memoria, lustrare l'ego, proiettarsi in avanti: in sintesi, è quel che la vita ci impone (praticamente) ogni giorno. Abbi cura di te, Andrea. E della

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tua non comune sensibilità». Scrivere e insegnare sono strani mestieri. Ruoli e successo sembrano dipendere da congiunzioni astrali, ma informarsi e studiare ogni singolo caso è la buona norma da seguire. Andrea si recò in paese e chiese in giro di Ersilia, di suo marito e dell’azienda agricola. Scoprì cose utili al suo articolo. Seppe che quell'azienda fu pioniera della rotoballa nella zona. Sul finire degli anni ’80 pochi la conoscevano e molti diffidavano. I vecchi modelli d’imballatrice comprimevano a partire dal centro e capitava spesso che il fienile se ne andasse in autocombustione a causa del poco scambio d'aria. A partire da quell'epoca, pertanto, le rotoballe presentano un centro morbido: accumulano il fieno in una camera sagomata che inizia a comprimere solo quando è piena. Lo strato compresso diventa più sottile ed esterno e nel centro si può comodamente infilare un braccio. Fu così che Andrea si ritrovò al via della sedicesima edizione della festa della “mietitura e trebbiatura” di Lavello, che si svolse nei primi tre giorni di luglio in piazza Mattei. L’evento, che rientrava, con i Comuni di Atella e Montemilone, nel progetto “Le vie del grano”, consisteva nella rievocazione storica della mietitura e trebbiatura attraverso la riproposizione di ambientazioni, lavorazioni e movenze tradizionali degli inizi del secolo scorso. La rappresentazione delle lavorazioni avvenne mediante l’uso di mezzi d’epoca e, durante il percorso, furono ricostruiti vari spaccati di vita contadina: dalla mietitura a mano alla colazione del mietitore, dagli antichi mestieri alle danze popolari. Nel pomeriggio di domenica 3 luglio, dopo la Santa Messa in onore della Madonna del grano, figuranti in costume tipico dell’epoca attraversarono le vie della cittadina, portando in processione il quadro della Madonna rifacentesi a quello originario del 1937, donato dai mietitori alla comunità di Lavello in occasione della “prima festa del mietitore”, documentata in un fil-

mato storico dall’Istituto Luce. Un evento importante per non dimenticare le tradizioni, per rievocare consuetudini e usanze che sembravano ormai perdute nel tempo. Quel giorno Ersilia e Andrea s’incontrarono, casualmente, fra la folla. Certi pensieri galleggiavano nell’aria come bolle di vuoto. Il silenzio che dominava la scena si conficcò nelle bolle sotto forma di carica elettrostatica. Era come se l’emotività mitigata si fosse di colpo slacciata. Come se fosse ghiaccio sciolto. "Puoi pure sorridere - disse Ersilia con tono esile - che non me la prendo, anzi se non lo fai mi offendo". Era ancora molto bella e possedeva una moderna macchina fotografica digitale al collo. "Nel ri-vederti, per fortuna, sono riuscita a tutelare la mia famiglia. Meno male che non ero sola. Altrimenti ti sarei saltata addosso. Quello col trattore era mio marito. Grazie dei pensieri sul web… Posso farti una foto?". Andrea non rispose, ma fece si con un cenno della testa. Non era un mutismo che faceva mistero, ma un silenzio attraente: un carisma di tendenza. Restò, ancora una volta, imbambolato davanti alla di lei bellezza. Ersilia era procacemente bella. Vano smentire l'evidenza. La leggerezza, poi, con cui lei si confrontava con lui, nel quadro generale, gli rammentava qualche cosa: d’innato, d’idilliaco, di seducente, di stregato, d’infinito, comunque un qualche cosa che riguardava l’amore. Sorrise pensoso. Sorrise silenzioso. Chissà se a Lavello qualcuno ricordava della loro storia giovanile. Chissà. Il marito di Ersilia, comunque, di certo non ne sapeva niente. Forse ne era al corrente solo il fieno in campagna, e questo spiegava perché si fosse sempre mostrato, in qualche modo, indulgente nei loro confronti. Sì, aveva voglia di rivederla. Aveva voglia di ridere e scherzare insieme a lei come quando, nelle campagne, avevano cercato di creare un futuro

insieme. Aveva anche voglia di stare zitto: condividendo il tacere e godendo in silenzio della reciproca disponibilità. Ammiccò alla donna e, con il cuore allegro, si avviò. Aveva recuperato un rapporto. Era riuscito ad avere notizie per il suo articolo. Aveva ritrovato quello che aveva perduto. Aveva un luogo al quale tornare. Cosa poteva desiderare di più? Lei, tuttavia, dopo avergli scattato un paio di fotografie, incalzò: “Credi ancora che la diplomazia sia noiosa e ruffiana? Se così fosse… sappi che ti stai comportando proprio con diplomazia e sottile ruffianeria.”. Touché! - rispose Andrea, tentando un’ultima, strenua, difesa al suo piccolo fienile «molto è dovere, intorno, feste d’ubriachi. / Con esse adagio la mia colpa scorre / o corre via con l’origliare dei salvati». “Capossela, vero?” – sorrise Ersilia. “No: Augusto Amabili! - replicò Andrea, abbandonando al suo destino la titubanza a forma di coda di paglia – Anch’io, comunque, sarei saltato addosso alla signora con la bicicletta che brillava al sole. Penso che la sincerità sia la cosa più importante. Chi si espone con una persona che conosce da vent’anni, come io conosco te, in parole povere, mica può farlo raccontando “balle”? Come una pallina da ping pong, il di lei pensiero rimbalzò dalla Lucania in fiore alla vegetazione dell'estate acerba, colta, pedalata dopo pedalata, sulla bici nuova di zecca. E si posò, quella notte, sul «potpourri» di sensazioni delicate che l’avevano fatta sentire benvoluta. Forse, perfino amata. Accese il computer per vedere se Andrea avesse accettato la sua richiesta di amicizia. Non lo aveva fatto, ma, a dispetto di un selfie che ostentava una felicità irreale, il suo stato diceva così: “Mai fidarsi del fieno, tutte balle…”.

O.S.T. Do you really want to hurt me – Culture Club


Anno VIII numero 9/10

IL MATERA LA MINA VAGANTE DI QUESTO CAMPIONATO

Foto tratta da www.materacalcio.it

COLUMELLA


sommario 78 Potenza Calcio: Ritorna l’entusiasmo per i Rossoblù

Potenza

Tornar i colori

80 Matera in Lega Pro Girone C

Federico PELLEGRINO

artiamo da un presupposto, di dilettantistico c'è ben poco. La Serie D, precisamente il Girone H dove militerà il Potenza darà la possibilità alla squadra del capoluogo di confrontarsi con piazze blasonate e presenti anche negli ultimi campionati di Lega Pro disputati dal leone rampante. Andria, Gallipoli, Taranto, Monopoli sono solo alcune di queste formazioni, inoltre indicate dagli addetti ai lavori come quelle più accreditate a giocarsi il campionato. Giacomarro sarà il timoniere di una nave che al suo interno ha un equipaggio di fiducia: Melis, Posillipo, Cianni, Palumbo, Bartolini, Basso, Patania, tutta gente alla prima esperienza potentina, ma non nuova al tecnico di Marsala che ha scelto loro per comporre una rosa che parte con grandi aspettative. Idee e meccanismi sono stati approfonditi nel ritiro di Chiaromonte. Ne è emerso un team con buone geometrie, tanta voglia di giocare la palla e non buttarla via ed infine tanta grinta, elemento imprescindibile per un Girone simile. La risposta della città nella sottoscrizione degli abbonamenti è stata tiepida, ma comprensibile visto che sono anni che Potenza è pervasa da dubbi, incertezze e perplessità a livello calcistico e non. Quindi piano con i facili entusiasmi anche se qualche tifoso che a colazione

P 82 A Melfi il Terzo Galà dello Sport

84 Alla scoperta del softair Lucano


Calcio

e ad accendere

Rossoblù

mangia pane e Potenza già pregusta la possiblità di un ruolo da protagonista, un ruolo di rilancio nazionale, un ruolo vincente. Il girone d'andata in questo senso sarà fondamentale nel dare già un volto a questa compagine. Si dovrà lottare per le prime posizioni o bisognerà accontentarsi di una salvezza tranquilla? Al Viviani arriveranno Francavilla, Monopoli, Andria, Brindisi e Taranto già all'andata. Mica male per vivere un inverno caldo di emozioni e utile a riempire il Viviani, ma questa è un'altra storia. Dopo Dicembre è fisiologico che in Serie D, a seconda della posizione occupata, le società tendono a liberarsi dei

contratti più onerosi. Sale solo la prima, mentre i playoff servono solamente in chiave ripescaggio e molto spesso neanche garantiscono l'ammissione in Lega Pro. Formula per la quale da dicembre in poi potrebbe iniziare un nuovo campionato ed il presidente Grignetti vorrebbe essere in cima alla classifica per sperare in un coinvolgimento anche della classe imprenditoriale cittadina. Sono discorsi prematuri ad oggi, ma partire bene e condurre un girone d'andata d'alto rango significherebbe attirare i consensi delle istituzioni e del tessuto imprenditoriale, sperando che tra questi ci sia ancora qualcuno pronto a inve-

stire nelle sport e nel Potenza. Al di là delle individualità, che pure in questo Potenza ci sono, conterà remare tutti dalla stessa parte verso un unico obiettivo: tornare ad accendersi per il rosso ed il blu. Potenza ai suoi piedi ha l'ennesima chance ghiotta. La sfrutterà? Girone H: Francavilla, Rossoblu Potenza, Pomigliano, Gelbison Vallo della Lucania, Puteolana Internapoli, Cavese, Scafatese, Real Trentinara, Arzanese, Città di Brindisi, Monospolis, Bisceglie Donuva, Taranto, San Severo, Manfredonia, Ars Et Labor Grottaglie, Gallipoli, Fidelis Andria.

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Matera: Lega Un campionato tanto

quanto bello ed emoz Antonio MUTASCI

ome far sognare una tifoseria, una città intera. Questo lo sa bene Saverio Columella, istrionico patron del Matera Calcio. Con a capo l'imprenditore altamurano, i colori biancazzurri hanno vissuto e stanno vivendo una nuova epoca. Un'epoca fatta di vittorie, di successi, di traguardi ambiziosi, ma anche di tanti sogni ancora da realizzare e obiettivi fissati che con il lavoro del patron Columella tutta la tifoseria spera di ottenere. Si è partiti due anni e mezzo fa, un po' in sordina, rilevando la società dell'Irsinese Matera, concludendo con la salvezza il campionato di Serie D. Ma Columella, vincente nello spirito e nel dna, non poteva certo fermasi alla salvezza. Così l'anno dopo cerca di essere protagonista al massimo in Serie D. Non riesce a vincere il campionato, cambia più allenatori, piazza colpi di mercato impensabili per la categoria, coltiva il sogno “Seconda Divisione” attraverso i playoff, ma non riesce nell'intento. Nel frattempo nasce un feeling eccezionale con il pubblico del “XXI Settembre – Franco Salerno” che capisce di aver trovato il suo condottiero. E allora Columella rilancia. Perché il riccioluto patron non si ferma dinanzi ad uno ostacolo. Lui l'ostacolo lo butta giù e ci passa sopra. Come un caterpillar. Quindi chiama mister Cosco e gli consegna

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una squadra a cinque stelle, perché questa volta il Matera deve vincere il campionato. La partenza è buona, ma non eccezionale. Il derby perso con il Francavilla costa la panchina al tecnico molisano. Al suo posto arriva Toma. Ma con l'ex secondo di Antonio Conte l'avventura dura poco. Così Columella richiama il tecnico per il quale la

squadra era stata allestita e non lesina di acquistare altri elementi per rinforzare la rosa: su tutti il bomber Antonio Picci. Il “Cosco-bis” è un vero e proprio successo. Una serie interminabile di vittorie porta il Matera al testa a testa con il Taranto, con la Marcianise a fare da terzo incomodo, ma alla fine è proprio la squadra di Columella


Pro gironi C

duro e difficile, zionante

Foto tratta da www.materacalcio.it

a vincere la corsa verso la Lega Pro unica. Con la vittoria sul Manfedonia il sogno si avvera: Picci, Fernandez e Letizia i marcatori per il 3-0 che manda in estasi i 12.000 spettatori che, nonostante la pioggia, non hanno voluto perdersi l'appuntamento con la storia. Il Matera di Columella è in Lega Pro, nel

terzo campionato nazionale di calcio. Ad un passo dalla Serie B. Una serie B che Columella ha provato, e sta ancora provando, ad ottenere attraverso il ripescaggio in cadetteria, anche con l'ultimo ricorso presentato. Adesso c'è da pensare al campo, al calcio giocato, che vede il Matera di Auteri prota-

gonista di un campionato che si preannuncia emozionante e dagli alti contenuti tecnici. «Tutto è iniziato in amicizia. Eravamo quattro amici al bar – racconta Columella – e da lì è partito questo grande progetto. Un primo campionato chiuso al secondo posto sul campo, poi i playoff e la possibilità di essere ripescati che ci è stata negata. Quindi con la solita caparbietà che ci contraddistingue siamo ripartiti per vincere. E abbiamo vinto uno dei campionati di Serie D più difficili degli ultimi venti anni. E non lo dico io per accrescere quanto da noi fatto, ma lo dicono tutti gli addetti ai lavori. Un campionato tra i più difficili e i più agguerriti con piazze importanti in lizza. Il risultato che abbiamo ottenuto rappresenta la nostra forza e le nostre ambizioni. I numeri parlano per noi. Il tutto – continua Saverio Columella – è stato fatto con una perfetta sinergia con la piazza. Abbiamo creato un feeling eccezionale con la città, non solo i tifosi organizzati, ma con tutta la piazza materana. Il risultato si è visto anche nella gara di esordio in Lega Pro. Un pubblico eccezionale che ha gremito il “XXI Settembre – Franco Salerno”. Sono sicuro che alla fine del campionato Matera sarà in testa alla classifica per numero di biglietti staccati per quanto riguarda l'intera Lega Pro.» Un Columella entusiasta che sa quanto lavoro c'è dietro le quinte affinché tutto il progetto possa proseguire nel migliore dei modi. «Adesso ci siamo tuffati in un campionato da brividi - spiega il patron del Matera Calcio raggiunto telefonicamente all'indomani della chiusura del mercato estivo. Un campionato che è stato già ribattezzato “B2”. Il nostro girone, il girone C, vede la partecipazione di squadre davvero importanti, un girone così forte non si vedeva da dieci anni. Piazze come Lecce, Salerno, Reggio Calabria, Messina e altre ancora rendono questo campionato davvero da brividi. Matera dimostrerà di non essere da meno. Il nostro obiettivo lo abbiamo bene in mente. Raggiungiamo quanto prima la salvezza e poi togliamoci quante più soddisfazioni possibili. Vogliamo diventare la mina vagante di questo campionato. Un campionato tanto duro e difficile, quanto bello ed emozionante. Un campionato che deve essere vissuto fino in fondo, come ci ha insegnato la gara di esordio contro la Paganese. Dobbiamo imparare a sfruttare tutte le occasioni. Il calcio toglie, ma dopo restituisce. Vedere una vittoria sfumare al 93' su autorete è una beffa, ma non tutti i mali vengono per nuocere. Abbiamo imparato la lezione e ora siamo davvero pronti per questa Lega Pro.» Come dire dal caffè allo champagne, perché se l'avventura di Columella con il Matera è iniziata con quattro amici al bar, adesso i tifosi vogliono stappare le bottiglie per brindare ai futuri successi.

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Terzo Galà dello Sport

I premiati del Centro Sportivo Italiano di Melfi a in archivio il terzo Galà dello Sport del Centro Sportivo Italiano di Melfi, patrocinato dall’Amministrazione Comunale della cittadina normanna e ricadente nel 70esimo anniversario del CSI. In una serata non tipicamente estiva per via del freddo e del vento, alla presenza degli amministratori locali, del presidente del CONI di Basilicata, Dino Desiderio, del vescovo Mons. Gianfranco Todisco, del presidente regionale del CSI, Eustachio Di Cuia, e di ospiti illustri come il Presidente Nazionale della Fikbms, Donato Milano, dell’ex Campione del Mondo, tecnico della Nazionale Italiana di Full Contact, Biagio

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Tralli, del Presidente del CSI di Taranto, Antonio Melfi, si sono avvicendati campioni e personalità delle più disparate discipline sportive a prova del grande valore dello sport lucano. La serata condotta dal giornalista Emilio Fidanzio e dal coordinatore regionale della formazione del CSI, Lorenzo Morano, ha visto su tutti la presenza di due atleti lucani che possono vantare titoli mondiali: Terryana D’Onofrio di Sant’Arcangelo campionessa italiana, europea e mondiale di Karate e il kickboxer materano Giuseppe Di Cuia, laureatosi campione del mondo lo scorso giugno; entrambi sono stati giusta-

mente insigniti del premio dedicato all’atleta lucano più rappresentativo. Il Comitato di Melfi, presieduto da Aldo Cilenti, nel corso della serata ha avuto modo di elargire numerose riconoscenze, abbracciando tutto il territorio regionale: per il Calcio è stato premiato Leonardo Bitetto, mister del Melfi Calcio promosso in Lega Pro Unica, ex calciatore Bari, Cavese, Matera, accompagnato da una nutrita schiera dei suoi calciatori. Antonio Russo, ex cestista del Bernalda e del Melfi, tecnico di livello interregionale è stato premiato per la categoria Basket, mentre il premio per il Volley è stato asse-


gnato alla Rinascita 78 Lagonegro, compagine maschile neopromossa in B1. Premio alla Carriera e Merito CSI è andato ad Anna Maria Manara, responsabile nazionale CSI “Sport & Disabili”, membro del Comitato Italiano Paraolimpico. Come ogni anno, spazio anche al mondo della Fotografia e dell’Informazione sportiva; per la prima categoria è stato premiato Giovanni Marino, fotoreporter rionerese, del quale da anni gli scatti girano su stampa nazionale ed estera, mentre per l’Informazione è stata la volta del ginestrino Lorenzo Zolfo, professore d’educazione fisica e corrispondente de “Il Quotidiano”, il

quale si occupa di sport a tuttotondo. Il melfitano Nino Bellino, ex calciatore professionista, negli anni ‘80 in forza alla Palmese, al Nola, all’Andria, alla Vigor Lamezia, si è visto attribuire il premio per la categoria Amarcord, mentre per l’Atletica sul palco è salito il corridore di Acerenza, detentore di ben 4 record regionali, Daniele Caruso, vincitore di numerose gare a livello nazionale. Per il grande maestro di scherma Giuseppe Pinto, melfitano e potentino d’adozione, guida di talenti di livello mondiale come la schermitrice Francesca Palumbo, il premio come Tecnico; mentre per la categoria

Nuoto gli onori sono andati al nuotatore paraolimpico Emilio Frisenda, tra i migliori atleti del panorama italiano. La Giocoleria Rionero, compagine di seria A di Calcio a 5 femminile, presieduta da Antonio Di Lucchio, presente con mister Angelo Viggiano, accompagnati da due atlete è stata insignita del premio relativo alla Realtà Femminile. Premiati per il Risultato Sportivo i campioni italiani di Danza Sportiva Angelo Grieco e Laura Cappiello, coniugi melfitani, vincitori anche della Coppa Italia, i quali si sono esibiti con alcuni passi di danza; Coppa Italia di Kickboxing vinta anche dai melfitani Francesco Racioppi e Luca Trimarco, premiati per la categoria Realtà Emergente. Onori per la categoria Risultato Sportivo anche per il bodybuilder melfitano Saverio Mossuca, prossimo finalista a Mister Universo in Finlandia ed ai Mondiali in India. Momento toccante è stato il ricordo del giornalista sportivo Renato Carpentieri, materano d’adozione, scomparso nei mesi scorsi; il premio speciale alla memoria è stato ritirato dalla moglie e da uno dei suoi figli, consegnato dai colleghi di Renato, Alfonso Pecoraro e Pietro Scognamiglio de “Quotidiano della Basilicata”. Pecoraro e Scognamiglio protagonisti anche per l’assegnazione del premio segnalato dalla loro testata ed attribuito all’A.I.A.C di Basilicata nella persona del Presidente, mister Gerardo Passarella, per l’importante e pioneristico progetto reintegrativo dedicato ai detenuti del carcere di Potenza, i quali hanno seguito un corso per allenatore di calcio tenutosi nella casa circondariale. Donato Sileo de “La Nuova del Sud” ha, invece, consegnato il premio segnalato dalla propria testata all’Avis Borussia Policoro, compagine di Calcio a 5 neo promossa in serie A2. Premio Speciale per il tifosissimo del Melfi Gennaro Cappiello, melfitano, ex calciatore del Potenza in serie B, che dall’Olanda raggiunge con buona frequenza la sua città per seguire le gesta dei gialloverdi. Impossibilitato a ritirare il premio, ma ricordato, l’intramontabile Luigi Maiorino, ex calciatore del Melfi promosso in serie C e fresco vincitore del campionato di Prima Categoria, nonostante abbia sulle spalle più di quattro decadi, per lui premio Evergreen. Ancora una volta il CSI di Melfi è stato capace di raccogliere in una sola serata le testimonianze delle eccellenze dello sport lucano, che ha campioni di assoluto valore; l’augurio è che questa manifestazione degna di nota possa continuare e crescere e che magari la prossima estate, possa svolgersi in una estate più clemente e consono alla stagione, in modo da godere a pieno del grande lavoro documentale del CSI di Melfi, che ogni anno mostra con video e foto le gesta dei premiati.

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Alla scoperta del Softair

Sport che replica equipaggiamenti e tattiche militari Emanuele PESARINI

nche in Basilicata sta prendendo piede una nuova e particolare disciplina sportiva chiamata “softair” praticata da alcune associazioni, come quella Sportiva Dilettantistica potentina “Ghost Soldiersˮ che opera ormai da ben dieci anni ed è la realtà più grande a livello locale. Ringraziamo pertanto il Presidente dell’associazione Aurelio Abbruzzese ed il VicePresidente Amerigo Intotero, che con molta disponibilità si sono concessi per un’intervista divulgativa ai nostri lettori su questo interessante ed innovativo sport.

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Partiamo dal principio: che cos'è il “softair”? Il “softair” è una disciplina sportiva che si propone di effettuare simulazioni di tattiche militari con "fucili" ad aria compressa ed attrezzature che replicano fedelmente gli equipaggiamenti in dotazione ai militari. Il tutto in un'attività svolta all'aperto ed in condizioni di estrema sicurezza. Ascoltando questa definizione, senza dubbio è una attività molto particolare. Sembra divertente, ma sarà pericoloso? Utilizzare armi, anche se giocattolo, non induce i praticanti alla violenza?

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Non c'è nulla di pericoloso nè tantomeno di violento in questa attività: in primis, è riconosciuta dal C.O.N.I. come "tiro tattico sportivo" e dalla legge italiana secondo la Legge Delega 88/2009, in recepimento della Direttiva Europea 2008/51/CE; in Italia il “Soft Air” è praticato da club, associazioni sportive dilettantistiche e strutture sportive che vogliano promuovere tale attività. Utilizziamo delle attrezzature definite Air Soft Guns (abbreviato, A.S.G.). fedeli riproduzioni di armi utilizzate nel mondo militare che "sparano" pallini, composti da materiale plastico e/o biodegradabile, ad

una velocità dell'ordine di 100 metri al secondo. Questi pallini sono delle sfere di sei millimetri di diametro, e ogni giocatore nel momento in cui viene raggiunto anche solo da uno di essi deve dichiarare il suo stato di 'colpito' e allontanarsi dall'area di gioco. Il Softair è uno sport leale ed onesto non aperto a esaltati o violenti. Per quanto riguarda la sicurezza, secondo i regolamenti sportivi di uso comune, è fatto divieto di partecipare alle gare senza i dispositivi di protezione individuale adeguati: nel caso specifico del nostro club, i nostri associati non possono per alcun motivo effet-


tuare le gare e gli allenamenti organizzati senza le protezioni minime come occhiali resistenti a sollecitazioni meccaniche, protezioni per la parte inferiore della testa e/o copribocca e guanti oltre a protezioni facoltative come ginocchiere e gomitiere, che suggeriamo di indossare. Queste attività sono, non solo, rivolte agli iscritti; diamo la possibilità di far provare a chiunque sia incuriosito o interessato al nostro sport. Parliamo un po’ dei “Ghost Soldiers Potenza” L'Associazione nasce ne Maggio del 2008 e ha sede a Potenza. Attualmente abbiamo una cinquantina di iscritti, comprese ragazze over 16, provenienti da Potenza come dai centri limitrofi. Ci si incontra la domenica per svolgere la nostra attività di gioco e altre complementari, come l'addestramento al tiro e al movimento di squadra. Attualmente abbiamo a disposizione quattro campi di gioco dislocati in diverse zone della regione. Le tipologie di praticanti vanno dal giovane studente all'imprenditore, passando per il lavoratore che vuole svagarsi la domenica: insomma, chi pratica tale sport non è necessariamente un giovane che passa ore davanti i videogame a tema “guerraˮ o “sparatuttoˮ. Come associazione siamo piuttosto conosciuti, vuoi per la nostra anzianità di gioco, vuoi perché in ogni evento da noi organizzato chiediamo pareri, permessi ed autorizzazioni alle autorità competenti e ciò porta le forze dell'ordine ad avere una certa fiducia nei nostri riguardi, ed infine la popolazione ci conosce anche grazie a degli stand informativi. Avete parlato di ASG e attrezzature che 'replicano' gli equipaggiamenti in dotazione ai militari che emulate. Vogliamo spiegarci meglio? Simulando tattiche militari, il realismo è una componente caratteristica. Il “Softgunner” - così è chiamato il praticante di questa attività - è abbigliato in maniera molto simile ad un militare vero: indossa una tuta mimetica, spesso tratto distintivo tra le diverse associazioni, anfibi o scarpe da trekking, protezioni obbligatorie

per il volto, ginocchiere e gomitiere, un cinturone e un giubbotto tattico, ai quali vengono agganciate tasche di varia natura, un elmetto o un copricapo. In più porta con sè una o più ASG, anche queste accessoriate a imitazione di quanto si vedrebbe su un campo di battaglia reale. Premettendo che è possibile godere di una partita di Softair possedendo anche una sola ASG e indossando le protezioni, divertente è la personalizzazione del proprio equipaggiamento. Come associazione noi diamo delle semplici direttive per mantenere una sorta di unità di squadra: la mimetica ad esempio deve essere la Vegetata italiana (utilizziamo una replica di diversa fattura, ma il disegno mimetico è quello del nostro esercito) e l'equipaggiamento deve essere di una particolare tonalità di verde. Per il resto ogni giocatore decide il proprio l'abbigliamento regolandosi sul proprio stile di gioco e sul ruolo ricoperto nella squadra. Il mercato offre la possibilità di sbizzarrirsi e si dispone di repliche di fucili e pistole, ma anche granate sonore o stordenti e a frammentazione che emettono un gran numero di pallini al momento della detonazione, mine, lanciarazzi e mortai, tutti rigorosamente costruiti in modo da non far male ad una mosca, ma che aggiungono molto all'esperienza di gioco e all'effetto di realismo e coinvolgimento nello svolgimento di questo sport. Alcune parti dell'equipaggiamento poi dipendono da quello che effettivamente bisogna fare: un incontro di Softair può durare dalle 48 fino alle 72 ore nei casi più estremi; quindi, a questo può aggiungersi anche uno zaino, carico di tutto il necessario per un lungo periodo e costruirsi un riparo per la notte, oltre a cibo, acqua e qualche busta di pallini. Anche 48 ore? Avete mai partecipato ad eventi del genere? Ci sono manifestazioni o episodi particolari che vorreste condividere con i nostri lettori? In cinque anni di attività ne abbiamo viste di tutti i colori, quindi è abbastanza difficile rispondere ad una domanda del genere. Una volta ci contattò un capitano dell'esercito per una manifestazione della Croce Rossa nel paese di San Fele, durante la

quale recitammo 8 volte di fila una scena di aperta violazione del diritto internazionale in materia di prigionieri di guerra, consistente nella cattura di quattro prigionieri, in uno degli scenari allestiti nel paese per mettere alla prova i volontari partecipanti. La simulazione prevedeva l'interrogatorio dei prigionieri da parte dell'ufficiale superiore, interpretato proprio dallo stesso capitano che ci aveva contattato per organizzare il tutto. Il secondo episodio, riguarda il nostro viaggio in Croazia nel luglio del 2012 per partecipare alla seconda edizione della manifestazione OP. TANAJA, una simulazione militare che ha coinvolto trecento giocatori, provenienti da tutta Europa. Nel giro di ventiquattro ore, sull 'isola di Zirje, noi italiani, sei in tutto, ci siamo uniti alle altre squadre dandoci sportivamente battaglia, tra comunicazioni in inglese, incontri tra interi squadroni e turni di guardia notturni alle postazioni conquistate. L'aneddoto divertente è che tra gli obiettivi da raggiungere durante la manifestazione, vi era il recupero di un ritratto della nostra Sophia Loren. Le dimensioni dell'evento purtroppo non ci hanno permesso di esplorare l'intera isola, ma in patria siamo tornati da vincitori, dato che la fazione di cui facevamo parte era riuscita a conquistare tutti gli obiettivi che la manifestazione prevedeva. Vista l'esperienza incredibile, ci siamo ripromessi di ritornare ancora in Croazia, per la bellezza dei luoghi, un'organizzazione impeccabile, per i giocatori onesti e amici sinceri conosciuti e per una accoglienza calorosissima. Racconti singolari questi. Sembra proprio che a praticare il vostro sport ci si diverta molto! Vogliamo dire qualcosa per concludere questa chiacchierata? Pratichiamo uno sport a volte bistrattato a volte encomiato, da quando ha preso piede nel nostro Paese non ha fatto altro che crescere malgrado le difficoltà sia locali che a livello nazionale. È qualcosa di coinvolgente che crea amicizie tra coloro che condividono questa passione durature negli anni. Tutti possono praticarlo con le dovute accortezze. Regala emozioni forti e adrenaliniche miste a momenti di relax e piacevole compagnia, come la grigliata di fine torneo al termine degli incontri. Certo, a volte puoi imbatterti in un highlander (nome dispregiativo dato a chi non dichiara il suo stato di colpito), in un incontro non organizzato al meglio o qualche inconveniente ma nulla a che vedere con quanto accade all'uscita degli stadi di calcio. È l'impegno a fare sempre di meglio, che ci porta a superare questi problemi e rendere il nostro sport ancora più divertente, oltre che essere da stimolo alla nascita di nuove associazioni. Siamo sicuri che come noi, anche tutti gli altri Softgunner la pensano allo stesso modo.

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