Rivista febb mar 17

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AccA edizioni Roma Srl Anno 9° - Febbraio / Marzo 2017 68° Bi mest rale di Arte & cult ura - € 3,50

S peciale:

Manet e la Parigi Moderna di Silvana Gatti

GIOVANNA

FRA Giorgio Morandi e Tacita Dean Sem plice com e tutta la m ia vita La mia infanzia è semplice come tutta la mia vita, informata da un gran desiderio di star solo e di non essere seccato da nessuno… G iorgio M orandi

al Museo Civico di Palazzo Te


Paola Romano

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AccA eDIZIONI ROMA S.r.l. Partita I.V.A. 11328921009 Sede Sociale: 00171 Roma - Via Alatri, 14 centralino + 39 06 20 140 41 - Fax 06 20 18 113 Telefoni mobili 329 46 81 684 www.accainarte.it - acca@ accainarte.it Acca edizioni Sede Amministrativa: 00133 Roma - Via G. B. Scozza, 50 Tel. 06 20 140 41 - Tel. mob: 329 46 81 684 www.accainarte.it - acca@ accainarte.it roberto.sparaci@ alice.it Ufficio redazionale e deposito 00133 Roma - Via Giovanni Battista Scozza, 50 Amministratore Unico capo Redattore: Roberto Sparaci

FeBBRAIO - MARZO 2017

Direttore Responsabile Sezione editoriale: claudio Alicandri Direttore Artistico; AlimbertoTorri

copertina: Ideazione Grafica AccA eDIZIONI - ROMA S.r.l. Fotocomposizione: a cura della Redazione AccA eDIZIONI - ROMA S.r.l. Stampa: Pacini editore Srl Via Gherardesca 56121 Ospedaletto (Pisa) Tel. +39 050 313011 - Fax +39 050 31 30 302 www.pacinieditore,it - info@pacinieditore.it

SOMMARIO

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Distribuzione a cura di: AccA eDIZIONI ROMA S.r.l. Pubblicazioni: ANNUARIO D’ARTe MODeRNA “artisti contemporanei” RIVISTA: BIMeSTRALe Art& trA

Giorgio Morandi e Tacita Dean Ufficio stampa Delos Manet e la Parigi Moderna di Silvana Gatti Daniele Papuli - L’era della carta a cura della Galleria colossi “Tra&arT” - Dalla pubblicità all’Arte a cura di Alimberto Torri “Il dada è tratto” - Il tempo del sogno nella pittorica.... a cura di Pierpaolo Pracca “Alfabeta” 1979 1988 - Prove d’artista a cura di Francesca Mora “7” Arte ed esoterismo di Piercarlo Bormida Le Mostre in Italia e Fuori confine a cura di Silvana Gatti “Nel segno...”-Ritratti d’artista- intervista a Sergio Zanni. di Marilena Spataro “Libri d’arte in vetrina” Sammlung - collezione Kreuzer di Fulvio Vicentini “Le grandi Mostre” Art Decò di Marilena Spataro

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Registrazione: Tribunale di Roma Iscrizione camera di commercio di Roma n. 1294817

2ª di copertina: Paola Romano courtesy: Acca edizioni 3ª di copertina: X esempio courtesy: X esempio Organizzazione eventi 4ª di copertina Giovanna Fra courtesy: Giovanna Fra copyright © 2013 AccA edizioni Roma S.r.l. riproduzione vietata

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camille & Rodin “La passione che diventa arte di Valentina D’Ignazi Le catacombe cristiane a cura di Francesco Buttarelli La 20a edizione di Arte Forlì contemporanea a cura dell’ente Fiera di Forlì “Kuzma Kovačič” - La scultura nel segno del sacro. di Svjetlana Lipanovic


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Giorgio MORANDI e Tacita DeAN. “Semplice come tutta la mia vita” La mia infanzia è semplice come tutta la mia vita, informata da un gran desiderio di star solo e di non essere seccato da nessuno… G iorgio M orandi

Giorgio Morandi Natura morta, 1938 Olio su tela, cm 30,2 x 45,3 Milano, FAI-Fondo Ambiente Italiano, Villa Necchi Campiglio, collezione Claudia Gian Ferrari Foto Alberto Bortoluzzi

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l Centro Internazionale d’Arte e di Cultura di Palazzo Te a Mantova, dal 12 marzo al 4 giugno, presenta un’esposizione in cui le opere di Giorgio Morandi - uno dei maestri della pittura europea del Novecento - dialogano con le opere di Tacita Dean - una delle più importanti e riconosciute artiste della scena mondiale contemporanea. La mostra Giorgio Morandi e Tacita Dean. “Semplice come tutta la mia vita” mette a confronto due film, Day for Night e Still life, che Tacita Dean ha realizzato nel 2009 nello studio bolognese del pittore - ricostruito a grandezza naturale in apertura del percorso

espositivo a Palazzo Te - e una raccolta di circa cinquanta opere di Giorgio Morandi, dipinti, disegni, acquarelli e grafiche concessi da importanti musei e collezioni private, che illustrano la sua ricerca relativa alla natura morta nel periodo dal 1915 al 1963. La mostra propone una riflessione sul profondo legame che si istituisce tra i due artisti, un legame che da un lato racconta la linfa che alimenta il lavoro di Tacita Dean e dall’altro fa splendere la contemporaneità del lavoro di ricerca sviluppato per tutta la vita - con pazienza, attenzione e sensibilità - da Giorgio Morandi.

Tacita Dean si sofferma sugli oggetti dell’universo poetico di Morandi e sulle tracce lasciate su un piano dalle basi degli oggetti stessi, tracce composte dalla matita del pittore che calcolava, centrava, affiancava, spostava, ricollocava, aggregava, insisteva, con una attenzione matematica, sperimentale, priva di casualità plausibilmente in rapporto con le ore del giorno, le luci, i colori dell’aria. “Nel fare questo - scrive Stefano Baia Curioni, presidente del Centro di Palazzo Te - Tacita Dean mette in opera una rapina gentile che, nell’appro-


Giorgio Morandi Natura morta, 1948 Olio su tela, cm 37,5 x 45 Milano, Museo del Novecento Foto Ranzani

Tacita Dean Still Life, 2009 16mm black and white film, mute, 5 1/2 minutes Courtesy of the artist, Marian Goodman Gallery Paris and New York and Frith Street Gallery, London Photo Poelzl

priarsi delle condizioni del lavoro di un altro artista, apre lo spiraglio di una rivelazione: Morandi non è il passato, è vivo nel lavoro del presente. Un lavoro intimo che la mostra propone ad ogni spettatore”.

non è un documentario: non antologizza Morandi, non analizza il suo contesto e il suo tempo, ma lo guarda con semplicità e permette allo spettatore di sperimentare come il suo lavoro sia ben vivo nel presente.

Partendo dagli oggetti cari a Morandi bottiglie, lumi, caffettiere, tazze, porcellane e vetri -, il processo di creazione artistica attivato dall’osservazione e dalla meditazione sulle cose è il punto di incontro dei lavori dei due artisti. I film di Tacita Dean esprimono l’intuizione della necessità di guardare alle cose e alle tracce involontarie del processo della pittura. La sua opera

L’esposizione, curata da Massimo Mininni e Augusto Morari con il supporto di Cristiana Collu, è promossa dal Comune di Mantova, dal Centro Internazionale d’Arte e di Cultura di Palazzo Te e dal Museo Civico di Palazzo Te, in collaborazione con la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, l’Istituzione Bologna Musei | Museo Morandi e gli Amici di

Palazzo Te e dei Musei Mantovani e con il sostegno di Fondazione Banca Agricola Mantovana. Le nature morte di Giorgio Morandi esposte nello spazio delle Fruttiere mostrano come l’elaborazione del colore nelle sue composizioni si sia arricchita sino a raggiungere gli ultimi raffinatissimi accordi dei toni più alti. Forme, colori, valori spaziali sono associate a una musica di luce: la luce e l’ombra, presenti nelle stanze abitate dal pittore, sono appunto alla base della sua espressione grafica e coloristica. Lo studio dell’artista in via Fondazza e la sua vita “piana e tranquilla” sono


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Giorgio Morandi Natura morta, 1959 Olio su tela, cm 18 x 30 Firenze, Fondazione Spadolini Nuova Antologia

Tacita Dean Day for Night, 2009 16mm colour film, mute, 10 minutes - Location shot Courtesy of the artist, Marian Goodman Gallery Paris and New York and Frith Street Gallery, London

elementi imprescindibili per capire l’arte di Morandi. Tacita Dean ci restituisce con chiarezza nei suoi lavori le atmosfere e gli ambienti morandiani: la luce investe lo spettatore con calma e le ombre delle bottiglie, dei vasi appaiono in una pallida penombra. I film raccontano un mondo limitato, polveroso, dimesso e domestico, dove cose umili affiorano in una luce fioca e rendono magiche le stanze, il carattere del luogo e l’arte di Morandi. Si avverte che l’artista si è soffermata a indagarle, cercando di scoprire la rigorosa ricerca di quel mondo plastico, di quel vedere e sen-

tire per volumi e parallele, di quel comporre con chiarezza l’ordine con il quale Morandi procedeva nel misurare e disporre gli oggetti, qualità sostanziali nelle nature morte che metteva in scena. Nel proporre insieme le opere di Giorgio Morandi e Tacita Dean, la mostra apre alcune domande: cosa accade quando un’artista guarda e incorpora nel proprio il lavoro di un altro artista, magari distante da sé nello spazio e nel tempo? Che opportunità viene offerta a noi, al pubblico, ai cosiddetti “astanti” dell’arte, quando questa inclusione si

fa a sua volta opera d’arte? GIORGIO MORANDI nasce a Bologna il 20 luglio 1890 in una famiglia della piccola borghesia cittadina. I suoi riferimenti artistici sono Cézanne, Henri Rousseau, Picasso e André Derain. Subito sviluppa un grande interesse per l'arte italiana del passato: Giotto, Masaccio e Paolo Uccello. Dopo avere insegnato per molti anni nelle scuole comunali di disegno, nel febbraio del 1930 ottiene per "chiara fama" e "senza concorso" la cattedra di Incisione presso l'Accademia di Belle Arti di Bologna, dove rimarrà fino al


Giorgio Morandi Natura morta con bottiglia e brocca, 1915 Incisione all’acquaforte da matrice di rame, cm 15,3 x 12,7 Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea

1956. Rilevante è la sua presenza alle Biennali veneziane, ma ancor più quella alle Quadriennali romane: nel 1930 e nel 1935 Morandi fa parte della commissione di accettazione ed è presente anche come pittore con opere significative; nel 1939 ottiene un'intera sala personale, con 42 olii, 2 disegni e 12 acqueforti. Nell'estate del 1943 l’artista, sfollato, si ritira sugli Appennini dove sviluppa lavori dedicati ai paesaggi. Nella Biennale del 1948 riceve il primo premio: Morandi è ormai considerato uno dei maestri più importanti del secolo. Anche i più esclusivi ambienti internazionali s’interessano a lui

Tacita Dean Day for Night, 2009 16mm colour film, mute, 10 minutes Location shot Courtesy of the artist, Marian Goodman Gallery Paris and New York and Frith Street Gallery, London

e alcune sue opere sono ospitate in prestigiose rassegne del Nord Europa e negli Stati Uniti. Dopo una lunga malattia, Morandi si spegne a Bologna il 18 giugno 1964. L'elenco delle esposizioni all'estero sarà lunghissimo, anche dopo la sua morte. Le sue opere sono presenti in numerosi musei Italiani e internazionali. TACITA DEAN nasce in Inghilterra, a Canterbury, nel 1965. Artista, fotografa e regista, Tacita Dean ha mostrato fin dagli esordi una predilezione per i formati espressivi usati nel cinema. La sua pratica del disegno ha assunto la forma di storyboard, un formato narra-

tivo utilizzato nella progettazione dei film. Il gusto per la narrazione che si ritrova in molte delle sue opere è spesso innescato da incontri casuali. Nei suoi lavori la finzione e la storia si muovono su uno stesso piano, sottolineando il loro potere evocativo. Le sue opere giocano poeticamente sul tema della ricerca, nonché sulle identità sfocate di persone o di cose misteriose. I suoi film sono spesso narrazioni minime impregnate di un senso di fallimento umano e aspettative derivanti da azioni che sono curiosamente sia eroiche che consuete. Alcune delle ultime opere di Dean ricordano il lavoro di


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Giorgio Morandi Natura morta, 1947 Olio su tela, cm 28 x 35 Collezione privata

Tacita Dean Still Life, 2009 16mm black and white film, mute, 5 1/2 minutes Courtesy of the artist, Marian Goodman Gallery Paris and New York and Frith Street Gallery, London Photo Poelzl

Bernd e Hilla Becher nella loro attenzione ai luoghi abbandonati, ma dotati di storia potente. Il suo lavoro è stato esposto in molte esposizioni internazionali quali la Biennale di Venezia, la Biennale di Sydney, la Biennale di San Paolo. Ha inoltre partecipato a DOCUMENTA(13) e ha avuto numerose mostre personali nei maggiori musei internazionali. È stata finalista per il Premio 1998 Turner Prize nel 1998 e ha ricevuto lo Hugo Boss Prize nel 2006 ed il Premio Kurt Schwitters nel 2009.

INFO: www.centropalazzote.it Biglietteria Museo Civico di Palazzo Te: +39 0376 323266 ORARI Fino a sabato 25 marzo: lunedì 13.00 - 18.30 da martedì a domenica 9.00 - 18.30 (ultimo ingresso 17.30) A partire da domenica 26 marzo: lunedì 13.00 - 19.30 da martedì a domenica 9.00 - 19.30 (ultimo ingresso 18.30) INGRESSO Intero €12,00 Ridotto € 8,00 Ridotto studenti € 4,00 (visitatori tra i 12 e i 18 anni, studenti universitari) CATALOGO Skira

Ufficio stampa Delos – Servizi per la Cultura di Annalisa Fattori e Paola Nobile T +39 02 8052151 | delos@delosrp.it Centro Internazionale d’Arte e di Cultura di Palazzo Te, Federica Leoni T +39 0376 369198 ufficiostampa@centropalazzote.it



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MANET E LA PARIGI MODERNA Dall’8 marzo fino al 2 luglio Milano - Palazzo Reale “Traeva elementi da tutti, ma che meraviglia la maestria pittorica con la quale riusciva a fare qualcosa di nuovo! ” (Edgar Degas) di Silvana Gatti

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opo il Salone del Libro, anche la mostra di Manet non si tiene all’ombra della Mole, come previsto inizialmente dalla giunta Fassino, ma approda a Palazzo Reale di Milano. La mostra era programmata a Torino, prodotta da Skira con il Musée d’Orsay. Successivamente, con l’arrivo della giunta pentastellata guidata da Chiara Appendino, differenti e discutibili strategie hanno portato la mostra nella città del Duomo. Grazie all’interesse di Skira ed al tempo stringente che non giocava a favore dei tentennamenti torinesi, Milano ha preso la palla al balzo visto anche il mandato, in scadenza a marzo, del presidente del Musée d’Orsay, Guy Cogeval, con cui erano stati presi gli accordi per portare a termine la mostra di chiusura di un ciclo dedicato ai grandi impressionisti. Nel capoluogo lombardo Manet diventa il fulcro di una mostra ad ampio spettro, che allarga lo sguardo sulla città di Parigi, con una cinquantina di tele: metà, circa, di Manet e le altre di artisti come Renoir e Degas che, come lui, avevano lavorato in quel periodo interpretando e raccontando la trasformazione della capitale francese.

La mostra Manet e la Parigi moderna che apre l’8 marzo a Milano al piano nobile di Palazzo Reale – fino al 2 luglio – documenta il percorso artistico del grande artista (18321883) che, in poco più di due decenni di intensa attività, ha prodotto 430 dipinti, due terzi dei quali copie, schizzi, opere minori o incompiute. Un percorso che si intreccia a quello di altri celebri artisti, molti tra loro compagni di vita e di lavoro di Manet, frequentatori assieme a lui, di caffè, studi, residenze estive, teatri. Le opere presenti in mostra arrivano dalla prestigiosa collezione del Musée d’Orsay di Parigi: un centinaio di opere, tra cui 55 dipinti – di cui 17 capolavori di Manet e 40 altre splen-

Edouard Manet Il Pifferaio, 1866 Olio su tela, 160,5 x 97 cm Parigi, Musée d’Orsay


Edouard Manet Emile Zola, 1868 Olio su tela, 146 x 114 cm Parigi, Musée d’Orsay

dide opere di grandi maestri coevi, tra cui Boldini, Cézanne, Degas, FantinLatour, Gauguin, Monet, Berthe Morisot, Renoir, Signac, Tissot. Alle opere su tela si aggiungono 10 tra disegni e acquarelli di Manet, una ventina di disegni degli altri artisti e sette tra maquettes e sculture. Promossa e prodotta da Comune di Milano-Cultura, Palazzo Reale e MondoMostre Skira, curata da Guy Cogeval, storico presidente del Musée d’Orsay e dell’Orangerie di Parigi con Caroline Mathieu, conservatore generale onorario e Isolde Pludermacher, conservatore del dipartimento di pittura, l’esposizione celebra il ruolo centrale di Manet nella pittura moderna, attraverso i vari generi cui l’artista si dedicò: il ritratto, la natura morta, il paesaggio, le donne, Parigi, sua città amatissima, rivoluzionata a metà ‘800 dal nuovo assetto urbanistico voluto da Napoleone III e attuato dal barone

Edouard Manet Berthe Morisot con un mazzo di violette, 1872 Olio su tela, 55,5 x 40,5 cm Parigi, Musée d’Orsay

Haussmann e caratterizzata da un nuovo stile di vita nelle strade, nelle stazioni, nelle esposizioni universali, nella miriadi di nuovi edifici che ne cambiano il volto e l’anima. Oggi, come ieri, mercanti, galleristi e amanti dell’arte tendono ad etichettare gli artisti identificandoli con una serie dei loro dipinti o con un determinato stile. E’ il concetto della “riconoscibilità”, che permette di identificare Monet con le ninfee, Degas con le ballerine, Renoir coi nudi sensuali di belle donne formose, Cézanne con le nature morte, Fontana con i tagli nelle tele, e via di questo passo, sino ai nostri contemporanei, indirizzati dai galleristi a produrre in serie infinite campi da golf, cieli azzurri con nuvole stilizzate, paesaggi con un chierichetto onnipresente, isole improbabili, opere che diventano loghi, etichette, marchi di fabbrica. Ma fortunatamente non tutti gli artisti si incanalano in questi argini stereotipati,

lasciando libera la loro creatività di esprimersi giorno dopo giorno a seconda dell’estro. Primo fra tutti, Manet, che ancora oggi disorienta pubblico e critica con la sua pittura ricca di metamorfosi e traboccante di vita, una pittura il cui stile è ad ampio raggio, con una pennellata a volte energica ed altre volte leggera e poetica, che suscita nell’osservatore impressioni disomogenee. Mentre alcuni artisti cambiano il proprio linguaggio pittorico per stare al passo con l’ultima tendenza o come evoluzione e crescita personale, l’incongruenza di Manet si pone su un piano differente, in quanto sembra scegliere un approccio diverso per ogni dipinto a dispetto di regole prevedibili. Il romanticismo o l’erotismo, che Cézanne aveva sempre trattato con discrezione, vengono affrontati da Manet dapprima con riserva e successivamente con l’audacia de “L’Olympia” e del “Déjeuner sur l’herbe”, opere pur-


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Edouard Manet - La cameriera della birreria, 1878-1879 - Olio su tela, 77 x 64,5 cm Parigi, Musée d’Orsay

troppo assenti in mostra. Per dirla con le parole di Françoise Cachin, prima direttrice del Musée d’Orsay e curatrice della vasta retrospettiva allestita a Parigi e a New York nel 1983, in occasione del centenario della morte del pittore: “L’affascinante, brillante Manet resta ancora uno degli artisti più misteriosi, più inclassificabili della storia della pittura.” Personaggio fuori dalle righe, carismatico e coraggioso, unisce alla grandezza della pittura classica la libertà dell’arte moderna, senza tuttavia assoggettarsi ai dettami del movimento impressionista. Non partecipa infatti alle otto mostre impressioniste tenutesi tra il 1874 e il 1886, preferendo esporre al Salon nonostante la possibilità di esser rifiutato. La sua ambizione mira all’innovazione, a portare l’arte nel solco della modernità, obiettivo che centra pienamente tramite una pittura magnifica, ricca di virtuosismo e invenzioni, energica nell’uso dei colori e nel taglio compositivo, e la sua ascesa si fermerà solo con la sua fine precoce. Studiando le opere di Manet si va dal realismo degli esordi con “Il signore e

la signora Manet” (1860, Parigi, Musée d’Orsay) ai numerosi rimandi e citazioni dei maestri del passato: Velázquez, Goya e Tiziano. Dall’esotismo delle tele di eco spagnoleggiante al romanticismo che evoca le poesie di Baudelaire con “La cantante di strada” (1862 circa, Boston, Museum of Fine Arts). Si passa poi all’erotismo provocante dei nudi di Victorine Meurent in “Le déjeuner sur l’herbe” o in “Olympia”. Come non ricordare anche i ritratti femminili dalla frivola freschezza associata ad un’eleganza ornamentale, come quelli raffiguranti Berthe Morisot, presenti in mostra. Esempio perfetto dello stile impressionista sono i paesaggi en plein air straripanti di luce come “Argenteuil” (1874, Tournai, Musée des BeauxArts); le allusioni riconducibili al simbolismo di Mallarmé delle “Rondini” o delle illustrazioni per il “Corvo” e il “Pomeriggio di un fauno”. Singolari le scene di intimità ambientate in luoghi di villeggiatura come “La colazione: Interno ad Arcachon” (1871, Williamstown, The Sterling and Francine Clark Art Institute; “Sulla spiaggia” (1873,

Parigi, Musée d’Orsay). Non da meno una serie di opere ricche d’umorismo e dall’aspetto giapponesizzante, come gli studi e le incisioni di gatti e le nature morte dalla bellezza tranquilla e rassicurante, dagli accenti tradizionali, e che ebbero subito una buona accoglienza. E infine, i dipinti che documentano l’interesse dell’artista per l’atmosfera convulsa della notte immersa nelle luci artificiali come “Il bar delle Folies-Bergère” (1881-1882, Londra, The Courtauld Gallery). E’ interessante notare come, nelle opere destinate al Salon, Manet studia minuziosamente la composizione, mentre nelle altre lavora in totale libertà, in un gioco di tocchi e colori che partendo da opere che ricordano il fauvismo giunge ad altre opere fuori da ogni schema che ricordano l’arte naïf. I soggetti, come le tecniche pittoriche, si intrecciano dando corpo alla sua opera così peculiare, in perenne contraddizione, ma priva di discrepanze insanabili. Questa impressione di evoluzione permanente, o meglio la constatazione che la sua pittura non lasci un’impressione solida e immutabile, costituisce il fulcro del-


Edouard Manet Il balcone, 1868-1869 Olio su tela, 170 x 125 cm Parigi, Musée d’Orsay

l’arte di Manet. La mostra prevede due macro sezioni: Manet e la nuova pittura e Manet e la Parigi moderna, a loro volta divise in dieci sottosezioni tematiche: Manet e la sua cerchia, Ispanismo, Nature morte, Sulle rive, Parigi, la città moderna, Il lato nascosto di Parigi. L’Opéra – Dipinti, disegni, sculture, maquettes, Parigi in festa, In bianco: l’universo femminile e gli spazi intimi, In nero: le passanti e i loro misteri. “La vita parigina è piena di soggetti poetici e meravigliosi. Il meraviglioso ci circonda e ci impregna come l’aria, eppure noi non lo vediamo.” È il 1846 e Charles Baudelaire invita gli artisti a scoprire la bellezza della vita moderna e a realizzare opere che rispecchino lo spirito dei tempi. Édouard Manet condivide con il poeta l’amore per la città di Parigi che si trasforma di giorno in giorno sotto i suoi occhi. La Gare Saint-Lazare rappresenta per lui, come per Monet e in seguito per Caillebotte, il simbolo del progresso industriale. L’artista osserva gli interventi urbanistici che l’imperatore Napoleone III insieme al prefetto della Senna, il barone

Eugène Haussmann, hanno pianificato con l’intenzione di rendere Parigi la “capitale delle capitali”. Come Baudelaire, anche Manet sostiene che “bisogna stare al passo con i tempi, rappresentare ciò che si vede senza preoccuparsi delle mode”. A destare l’interesse di Manet non sono però solo i luoghi e le bellezze architettoniche, ma soprattutto i personaggi di una Parigi in trasformazione. Una città protagonista di uno sdoppiamento tra la città residenziale, riservata alla borghesia, e la città industriale decentrata, destinata agli operai. E’ la nuova cultura dei divertimenti che consente a volte a questi due universi di incontrarsi, nei caffè, caffè-concerto, brasserie, sale da ballo, circhi, teatri dell’opera e di prosa, parchi e giardini pubblici, ippodromi. Luoghi che offrono agli artisti un vasto repertorio di personaggi da cui trarre ispirazione. Tra i capolavori di Manet sono in mostra Lola de Valence (1862), Ramo di peonie bianche e cesoie (1864), La lettura (1848-1883), Il pifferaio (1866), Ritratto di Emile Zola (1868) Il balcone (1868-1869), Berthe Morisot con

un mazzo di violette (1872), Ritratto di Berthe Morisot con il ventaglio (1874), Stéphane Mallarmé (1876), La cameriera della birreria (1878-1879). Tra le opere più importanti degli artisti coevi: Ritratto di Henri Rochefort (1882 circa) e Scena di festa (1889 circa) di Giovanni Boldini, Pastorale (1870) di Paul Cézanne, Argenteuil (1872) e Le Tuileries (1875) di Claude Monet, Il Ballo (1878) e Le due sorelle (1863) di James Tissot, Il foyer della danza al teatro dell’Opéra in rue Le Peletier (1872) di Edgar Degas, Vaso di fiori (1873) e Garofani (1877) di Henri Fantin-Latour, Il ballo dell’Opéra (1886) di Henry Gervex, Giovane donna in tenuta da ballo (1879) di Berthe Morisot, Il bagno (1873-74) di Alfred Stevens, La Senna al ponte Iéna. Tempo nevoso (1875) di Paul Gauguin, Strada di Gennevilliers (1883) di Paul Signac, Madame Darras (1868 circa) e Giovane donna con veletta (1875 circa) di Auguste Renoir. Il catalogo della mostra è edito da Skira.


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www.tornabuoniarte.it

“Dinamica gialla� - 2005 - lam elle in pvc e acrilico su tavola - cm .170 x 100

A lberto Biasi Firenze 50125 - Lungarno B envenuto C ellini, 3 T el.+39 055 6812697 / 6813360 - info@ tornabuoniarte.it Firenze 50125 - V ia M aggio, 58/r - T el. +39 055-2289297 - contem porary@ tornabuoniarte.it M ilano 20121 - V ia Fatebenefratelli, 34/36 - T el. +39 02 6554841 - m ilano@ tornabuoniarte.it Forte dei M arm i55042 - Piazza M arconi, 2 - T el +39 0584 787030 - fortedeim arm i@ tornabuoniarte.it Firenze 50125 - A ntichitĂ - V ia M aggio, 40/r - T el. +39 055 2670260 - antichita@ tornabuoniarte.it


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ANTONIO MURGIA

“Mare caldo” - tecnica mista su tela e applicazioni- cm 100 x 100


“Specchio” - tecnica mista su tela e applicazioni- cm 50 x 50

Galleria Ess&rrE Via Alatri, 14 - 00171 Roma Telefax +39 06 20140141 - cell. +39 329 4681684 www.accainarte.it - acca@accainarte.it




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Claudio Rolfi


Claudio Rolfi


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St ud io cl aSil

“Black and Red ” 2016 - tecnica personalizzata con nastri in seta su telaio cm. 70 x 50

A cca Edizioni V ia A latri,14 - 00171 R om a Tel.+39 06 2014041 - +39 329 4681684 w w w .accainarte.it - acca@ accainarte.it


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Daniele Papuli L’era della carta f orme e visi oni dall’11 marzo al 14 maggio 2017

colossi Arte contemporanea, Brescia

Cartangoli 6M e 7M

S

ovvertire le regole. Quelle che fanno della scultura qualcosa di immobile e statico. Ci sono riusciti in passato Calder, Melotti e Giacometti, regalando leggerezza e movimento al solido e pesante. Quelle che pensano alla scultura solo come a qualcosa da girarci intorno, non a uno spazio mentale infinito, che si allarga per stanze, come nel procedere della luce plotiniana. Quelle che fanno della carta qualcosa di leggero ed effimero. Indifesa ed esposta agli

umori di luce, di acque e polvere. Daniele Papuli ci prova e ci riesce, modulando la sua materia, solo carta, replicando questa modularità in variazioni verso l’infinito e in questo rendendola forte e inattaccabile dal tempo (forse, che la natura farà comunque e come dev’essere il suo corso)… Exegi monumentum aere perennius, non omnis moriar… Ho innalzato un monumento più duraturo del bronzo, non morirò del tutto, scriveva Orazio (Odi III, 30) alludendo alla forza della parola nella poesia. Qui c’è la carta, sola, muta,

senza parola alcuna e la poesia la fa la forma con cui è toccata, il colore non dato ma ad essa sostanziale e per cui è scelta, e poc’altro ancora. Stupisce come queste strutture dalla nitidezza compositiva emanino un’amorevole forza e quella serena autorevolezza che solo la scultura vera possiede: per intenderci, quella che riesce ad essere nel tempo, contemporanea a passato e a futuro, senza limite, aliena eppure complice alle costanti variazioni terrene dell’essere. Non sono molti ad avere usato e amato la carta in questo senso.


Intondo blu 3OP

Qualche antecedente può essere comunque trovato, per quanto io abbia sempre sostenuto che in caso di verosimiglianza estetica, la differenza la faccia il processo mentale utilizzato e la base teorica di costruzione del lavoro. Possiamo forse ricordare Jiří Kolář, l’atto di fede che egli fece nella poesia maneggiando la carta che la vestiva, ma la sua ricomposizione surreale dell’oggetto non interessa a Papuli, che opera invece nell’ambito dell’astrattismo puro, senza nessuna velleità di mimesi e senza compiacimento alcuno del monocro-

mo, e se talvolta la sua carta ha parole sulla propria pelle esse vengono usate non da poeta visivo, ma per regalare alla composizione ombre che non vengano dal pennello. Sicuramente più volte Daniele Papuli sarà stato accostato a Stefano Arienti, ma la carta di Arienti è qualcos’altro: sporcata dalla stampa, è un puzzle meccanico, un origami pop che nulla ha a che fare con queste opere. E poi ci sono i Nouveaux Réalistes, con gli strappi di Rotella o con le manie di accumulo. Penso piuttosto a Pavlos e mentre ci penso

mi sovviene che ad amare la carta sono forse gli artisti di quelle “culture” povere o oppresse in grado di apprezzare l’indicibile ricchezza del poco. Ecco forse Pavlos è il riferimento più esatto per quanto concerne la metodologia del lavoro, ma l’artista greco rimane nell’oggettuale e gioca con il trompe l’oeil in una personale ricostruzione della realtà libera e per alcuni versi favolistica e naif. Insomma per quanto si cerchino antecedenti, siamo davanti ad un unicum estetico non solo per gli esiti formali, ma anche perché as-


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Centrica 2B

Intondo lux

solutamente privo di quei compiacimenti di cui abbiamo detto, se non l’amore per il circolare, per la possibilità che ci viene offerta come uomini di riprendere sempre il discorso, di essere nelle linee ininterrotte delle sue carte parte del tempo che scorre e della natura. Ma qual è il tempo considerato da Papuli? Non è certo il Καιρός (Kairòs), l’attesa del provvidenziale o dell’inaspettato, che nulla egli attende nelle sue opere, né gli interessa χρόνος (chronos), il correre lineare verso il disfacimento: che il tempo terreno depositi pure la polvere tra le pieghe delle sue

Aura 3P

Turso 7 RN

carte… Non è infatti un caso che l’artista lasci l’opera libera nello spazio, senza alcuna cornice o teca che ne limiti l’orizzonte, certo che nulla possa scalfirne la pulizia del pensiero. A Papuli interessa solo l’αἰών (aion), il tempo circolare, quello dell’eterno ritorno, che offre la naturale certezza – non ultraterrena per carità! - del continuare ad essere. Quello che viene raffigurato come il serpente che si morde la coda o come la conchiglia a spirale che sfida la vita, atavico dna non ancora scoperto… Immagino che nel taglio pulito e preciso della carta Papuli compia un lento rituale di purificazione, ossessivo e compulsivo alla ricerca della cesura perfetta, quella che unisce anima e corpo, commovente come lo sguardo di un bambino o lacerante come lama di samurai. Poco importa

però allo spettatore in quali meandri del pensiero si sia perso l’artista. Se cerchi il sole, il cielo o tronchi di albero cui legare paure, zavorrando le incertezze dell’uomo perché non ne seguano più il cammino. Interessa invece come il proprio occhio vada ad accarezzare le volute, si insinui nelle fessure, legga chiari apparenti e scuri sotterranei. E poi tocca stupito, e la fragilità aspettata della carta è ora fissa e dura. Destinata al per sempre. Sovvertendo le regole. Raffaella A. Caruso


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“Ancora fiori per Alice� - 2016 - matita su tavola - diam. 130 cm

O m ar G alliani Firenze 50125 - Lungarno B envenuto C ellini, 3 T el.+39 055 6812697 / 6813360 - info@ tornabuoniarte.it Firenze 50125 - V ia M aggio, 58/r - T el. +39 055-2289297 - contem porary@ tornabuoniarte.it M ilano 20121 - V ia Fatebenefratelli, 34/36 - T el. +39 02 6554841 - m ilano@ tornabuoniarte.it Forte dei M arm i55042 - Piazza M arconi, 2 - T el +39 0584 787030 - fortedeim arm i@ tornabuoniarte.it Firenze 50125 - A ntichitĂ - V ia M aggio, 40/r - T el. +39 055-2670260 - antichita@ tornabuoniarte.it


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“Tra&arT”

di Alimberto Torri

Dalla pubblicità all'arte

www.angoloart.it

C

i sono artisti che, in alcuni campi, rimangono quasi sconosciuti, e questo avviene, a volte, pur essendo molto apprezzati e pagati. Oggi vi vorrei parlare brevemente di Franco Trinchinetti, fotografo milanese e scopritore di volti e personaggi. Ricordate la sosia della regina d'Inghilterra? O Cicciolina? Certo che li ricordate. Fotografo di moda e pubblicità, tra i più apprezzati e conosciuti nell'ambiente. Le sue foto furono le più viste al mondo a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso. Nato a Milano, vive meneghino. Ancora oggi alla soglia degli ottant'anni lavora e produce. Infaticabile, tutto casa e lavoro. La casa dista solo cento passi dal suo ottocentesco studio. Ottocentesco mica perchè dell'Ottocento, piuttosto perchè si estende per una superficie di ben ottocento metri quadri. Più che uno studio è quasi da considerarsi un museo. Vecchie macchine fotografiche, flash, ca-

Autoritratto


valletti ma, soprattutto, arredamenti degli anni Settanta, tra poltrone gonfiabili e sgabelletti stilizzati dove modelle e modelli attendono pazientemente la conclusione del lavoro dei truccatori. Anno 1980, tempo in cui Franco Trinchinetti raggiunge quell'agiatezza economica che gli permetterà di affrancarsi dal lavoro su commissione e dare libero sfogo alla propria creatività. Una creatività che ha segnato il suo percorso lavorativo e determinato il suo successo. Non penso di sbagliarmi se dico che le qualità più evidenti in Trinchinetti sono la capacità di osservare e sintetizzare. E saranno proprio queste capacità che lo porteranno a pro-

durre i suoi primi lavori pitto-fotografici. Osservando personalmente il processo di stampa tipografica, non sfugge alla sua attenzione che la gigantografia, appena sfornata dalla stampatrice, mantiene ancora umidi, e dunque lavorabili, i colori. E'in quell'istante che la mente vivace del nostro autore formula un'ipotesi di intervento: mettere letteralmente mano sulla carta stampata di fresco e mischiare le carte. Nasce così la prima “gigantografopittura”: opere su carta tipografica di grandi dimensioni, rese uniche dall'intervento diretto dell'autore. L'iperrealismo americano ha spinto la tecnica pittorica a tale perfezione, da rendere quadri ad olio su

tela copie perfette di fotografie. Trinchinetti, in queste sue opere, ha trasfigurato la fredda perfezione della fotografia, in un'opera carica di suggestioni pittoriche. Il calore, l'anima e l'unicità di questi lavori proviene dunque da quell'operazione frutto di intuito, spirito d'iniziativa e tempestività dell'esecuzione. Così come per l'affresco bisognava essere rapidi nel porre il colore, prima che il supporto murale si asciugasse, così bisogna essere rapidi nell'intervento sulla gigantografia, prima che su questa, i colori, si raffreddino e si fissino irreversibilmente sulla carta. Data la parentela sulla base dei tempi celeri d'esecuzione, potremmo definire queste particolari opere di Trin-


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chinetti “Affreschi fotografici”. Dopo la prima opera, in cui la mano era il pennello che stirava il colore, allungando e curvando forme, mischiando e spostando tonalità, ne seguirono altre in cui l'apporto materico e l'intervento manuale si faranno più urgenti, sino ad arrivare a lasciare attaccato

alla carta fotografica, cosa che ricorda alcune tele di Arman con i suoi pennelli, il guanto di plastica usato per la lavorazione. Il segno è preciso e dinamico, veloce ma ponderato. I modelli delle fotografie acquistano, attraverso l'intervento a fresco, un carattere ed una personalità che altrimenti

non avrebbero. C'è qualcosa di sognante in certe immagini così lavorate, quasi fosse un desiderio inconscio di dare vita e anima propria ad un'immagine che verrà stampata in migliaia di copie. Quasi un processo di salvazione dalla molteplicità meccanica della produzione in serie. Uno su mille, il designato, il prescelto, il diverso, l'unico. Uscita, fuga, forse ritorno. I popoli che conobbero la fotografia portata dagli esploratori, pensavano che questa potesse rubare l'anima; sembra quasi che questo lavoro di Trinchinetti sia volto a restituirla. Dopo aver trascorso la vita lavo-


rando per blasonati marchi come Vonclif, Cartier, Versace, aver collaborato con artisti come Fellini, aver pubblicato foto sulle maggiori riviste internazionali, viaggiato per mezzo mondo, oggi, a distanza di trent'anni dalla prima gigantografopittura,

ecco ritrovato un tesoro che, come perla custodita nelle profonditĂ oceaniche, viene riportato alla luce grazie alla sollecitazione di attenti critici e galleristi.


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Giovanni MANZO

“New York” - 2015 - Olio su tela - cm. 60 x 80

Galleria ess&rre Via Alatri, 14 - 00171 Roma Tel. 06 2014041 - cell. 329 4681684 www.accainarte.it - acca@accainarte.it


MOSTRA “LE DONNE NELL'ARTE” DAL 6 AL 15 MARZO 2017

M ILEN A BISSO N ITREV I-FERN A N D A C ERRIN A -A N TO N ELLA TO M EI-SU SA N N A TRAVA N I TesticriticidiM onia M alinpensa

M ILEN A BISSO N ITREV I

“A rm onie digruppo” tecnica m ista -70 x 100 -2015

“Si evidenzia nell’opera dell’artista Milena Bissoni Trevi un immediato tracciato informale che ci offre un ritmo compositivo di notevole modulazione segnica e di vera identità pittorica. L’impianto tecnico- formale, di abile e precisa stesura, genera un grande valore contenutistico nell’opera, al punto da creare costantemente effetti di responsabile contemporaneità. La spazialità del colore, l’armonia compositiva e l’evoluzione della materia offrono allo spettatore un risultato maturo ed una pienezza espressiva mai fine a se stessa. L’accostamento dei colori con la scansione costruttiva si espande sulla tela in un equilibrio pregnante di studio e di evidente sensibilità tanto da diventare parte integrante dell’opera”.

A N TO N ELLA TO M EI “L’artista Antonella Tomei, con una propria autonomia di linguaggio, crea opere pittoriche assolutamente originali ed incisive in cui l’abile stesura tecnica e la vena contenutistica sono parte integrante della sua interpretazione e si riconoscono appieno. L’impianto cromatico-formale, altamente scenografico e suggestivo, si accentua di innovazioni straordinarie ed evidenzia sensazioni ed emozioni ricorrenti. Ella, servendosi dello smalto su polistirene per realizzare i suoi soggetti, produce effetti magistrali di colore, luce e movimento in cui il tessuto materico si fonde con una sensibilità non comune. La tematica delle “ rane”, di originale elaborazione, segna uno stile inconfondibile ed una creatività del tutto evidente piena di sentimento”. “Le rane deldardo velenoso-la rana verde” sm alto su polistirene 60 x 125 -2015

FERN A N D A C ERRIN A “L’importanza della percezione interiore è per l’artista Fernanda Cerrina un concetto profondamente sentito e vissuto nel suo iter che vive di libertà d’espressione. La nascita di immagini oniriche altamente simboliche nell’opera, create da sogni e visioni, rappresentano un percorso pittorico stimolante ricco di contenuti, di immediata sensibilità e di rispetto per la vita e per l’umanità. Gli effetti compositivi e l’uso sug- gestivo del colore si sviluppano in un’unica via che è quella emozionale. Pittura estremamente libera caratte“Scalpore infinito” olio su tavola rizzata dalla passione e 100 x 90 -2016 dal sentimento che arriva dritta dentro ognuno di noi. L’uso dell’ olio su tavola, affrontato con validità dei mezzi, forma una consapevolezza visivo-tecnica di originale stesura facilmente fruibile dall’osservatore”.

SU SA N N A TRAVA N I “Opere di particolare unicità e di impatto visivo, quelle dell’artista Susanna Travani, la sua ricerca astratta ci racconta un percorso di evidente capacità tecnica e di energia compositiva. E’ una narrativa di notevole identità pittorica ottenuta mediante una propria creazione di studio e di padro“Ragginelturchino” olio su tela -60 x 60 -2015 nanza, per un’arte che si nutre costantemente di fantasia, valore simbolico e stati d’animo che ci conquistano. L’atmosfera luminosa, i colori caldi e raffinati e l’equilibrio strutturale documentano una precisa interpretativa pienamente sostenuta da una vitalità di immagine e da un’ autentica conoscenza dei mezzi”.

REFERENZE E QUOTAZIONI PRESSO LA GALLERIA D’ARTE La Telaccia by Malinpensa - Via Pietro Santarosa 1 - 10122 Torino Tel/Fax +39.011.5628220 +39.347.2500814 - +39.347.2257267 www.latelaccia.it - info@latelaccia.it O R A R IO G A LLER IA :D A L LU N ED I A L SA BAT O D A LLE 15,00 A LLE 19.00


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www.tornabuoniarte.it

“Senza titolo ( rane )� - 1983 - tecnica mista su carta - cm 100 x 70

A lighiero Boetti Firenze 50125 - Lungarno B envenuto C ellini, 3 T el.+39 055 6812697 / 6813360 - info@ tornabuoniarte.it Firenze 50125 - V ia M aggio, 58/r - T el. +39 055-2289297 - contem porary@ tornabuoniarte.it M ilano 20121 - V ia Fatebenefratelli, 34/36 - T el. +39 02 6554841 - m ilano@ tornabuoniarte.it Forte dei M arm i55042 - Piazza M arconi, 2 - T el +39 0584 787030 - fortedeim arm i@ tornabuoniarte.it Firenze 50125 - A ntichitĂ - V ia M aggio, 40/r - T el. +39 055 2670260 - antichita@ tornabuoniarte.it


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“Il dada è tratto”

Il tempo del sogno nella pittorica di carlo Piterà

di Pierpaolo Pracca

grifonepierre@gmail.com

N

ei dipinti di Carlo Piterà, il mondo così come lo vediamo o siamo abituati a guardalo, viene trasfigurato in un universo inquietante, fantomatico e notturno. Qui il continuo gioco con l’inconscio ed il dialogo con le sue figure archetipiche costituiscono l’imaginario per eccellenza, una visione religiosa e mitica che mescola razionale ed irrazionale con il continuo sconfinare nel quotidiano di un passato mitico-remoto al di là di ogni principio di realtà, un’immanenza del mito nel tempo storico che viene a sua volta trasformato in un tempo sospeso. Avviene così che la modernità, tempio delle merci e della tecnica, trasfiguri in una surrealtà nella quale gli abitanti sembrano trovare quale unica via di salvezza il mito che diventa la cifra, il tessuto connettivo delle sue opere. Nei suoi quadri, le rappresentazioni mitiche sono presentate come proiezioni di vissuti psicologici. In questo modo il mito sembrerebbe ispirare le

vicende umane permeando di sé il tempo e lo spazio della modernità che vengono superate in un ur-zeit o in un non tempo che è quello del sogno. É

questa la grande suggestione della sua pittura, la speranza o minaccia (a seconda dei punti di vista) di un comune sostrato tra l’al di là e l’al di


qua. E’ in fondo il sogno infantile che ignora la delimitazione tra realtà e sogno e sa trasformare la piattezza uniforme dell’una e i magmatici contenuti del secondo con la sua potente immaginazione, grazie alla quale vengono aboliti, confusi i due mondi con i loro uomini e presenze fantasmatiche. L’immaginario di cui parla Piterà è quello del bambino mitico che sarebbe l’essere umano se rinunciasse alla sua posa adulta. I suoi quadri sono istanza di ritorno a questa infanzia nella quale si ha il coraggio di osservare il mondo attraverso la lanterna magica della fantasia. La via della fantasia consiste nel continuo dialogo tra universi: in questo processo narrativo la mente razionale non è più l’organo unico e finale della conoscenza, ma è il termine medio tra il dentro e il fuori, capace di creare quello spazio di con-fusione che costituisce i suoi scenari privilegiati. Ed è in questo spazio di confusione che Piterà costruisce e ri-costruisce un nuovo universo con una sua integrità e coerenza. Un’alchimia dove l’immaginazione è l’alambicco nella quale si condensa e si purifica la materia bruta del reale che, raffinata, attraverso il mito diventa creazione, impressione metafisica. In questo desiderio di confondere i piani narrativi c’è forse l’attrazione nei confronti del grande seno della madre, il fascino esercitato dall’incoscienza o, se preferiamo, dalla coscienza pre-natale che ha a che fare, come sosteneva Lacan, con il motivo fusionale dell’individuo con il tutto. Nei quadri di Piterà salta il principio aristotelico di non contraddizione e come nel sogno si verificano convergenze tra mondi, saltano i confini, si aprono varchi che permettono a universi altrimenti lontani di comunicare tra loro creando cornici semantiche comuni. La pittura fantastica Come Möbius con il suo nastro, Piterà, con i suoi quadri, produce una

curvatura sulla superficie della coscienza creando continuità tra conscio e inconscio, tra reale e irreale, tra razionalità e mito; ciò è reso possibile dalla sua forza evocativa capace di risvegliare gli archetipi quali forze attivanti della nostra immaginazione. E forse non a caso una decina di anni fa il suo lavoro si è dedicato al dipinto dei Tarocchi (2004) un’opera ciclopica che lo ha visto prima appassionato studioso del Wirth e poi interprete su tela della sua arte divinatoria. Ma la cosa che più colpisce nei quadri di Piterà è il sovvertimento dell’ordine spazio temporale, la costante e ridondante sottolineatura secondo la

quale l’arte non deve temere i rigori della ragione; un sovvertimento dell’ordine razionale che provoca nello spettatore un senso di meravigliata sorpresa. Un gioco di luoghi, tempi e forme che non può che rimandarci alle suggestioni della grande pittura fantastica di Hieronymus Bosch o a quelle più notturne di Füssli. Ecco allora il comparire di un angelo con sullo sfondo i grattacieli di New York come in Sepolcri (2000) o l’irrompere solenne e maestoso di animali selvatici nel più recente e apocalittico Elefante (2014) dove, il ritorno allo stato di natura, sembra un destino senza appello, mentre in Estate del 1992 l’elemento fantastico appare quasi an-


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nullato dalla sua stessa discrezione come se la sua presenza si potesse mettere in dubbio. In questo caso l’espressione del dio-ragazzo sfugge ad ogni rigidità statuaria come se venisse contagiato dalla natura circostante e dalla vitalità pubescente delle tre ragazze presenti che gli stanno alle spalle. La statua in questo caso prende vita e parla il linguaggio dei vivi muovendo l’animo di chi guarda ad una profonda rêverie nella quale non ci sarà alcunché di strano in quanto l’elemento fantastico si mescola con il reale. E’ in questa paradossale serenità che risiede il prodigio. L’epifania del dio suscita stupore in chi osserva e rende materiale ciò che sembrerebbe impossibile per eccellenza. La disinvoltura del dio ci fa scordare momentaneamente la sua natura non umana. E poi che dire delle sue figure femminili? Mille particolari rapiscono lo spettatore in un caleidoscopio di mistero e sensualità. La donna, femmina e strega, gioca con i propri sensi, domina sul

mondo come in Falena del 1999 aprendo, di fatto, la via al grande arcano della dea madre nelle sue declinazioni più ctonie come in Madre Terra (2012). In un complesso mondo mitologico la figura femminile è l’incarnazione del mistero, signora di ogni forma vivente. Ora presenza tenebrosa, ora amorosa e sensuale è il prototipo della dea della mitologia classica. E’ a questo complesso mondo che Piterà attinge e sviluppa la sua ricerca pittorica: ricerca che muove dal crepuscolo della preistoria, passa attraverso l’immagine della donna ammaliatrice fino ad arrivare all’archetipo cristiano della donna madre per finire alla donna strega mito sensuale e sessuale dei giorni nostri. La terra di “O” I suoi universi meravigliosi ci parlano di unicorni, fauni, figure fiabesche e misteriose incastrate in un reale che non li avverte come minaccia. Avvicinandoci ai suoi quadri, superato lo

scandalo iniziale, accettiamo questa contiguità e questi incastri tra mondi come un ordine naturale o forse diventa a noi più facile familiarizzare con l’idea che esista la completa assenza di un ordine delle cose. Esattamente come avviene nel sogno, in quel mare magnum che Bion definiva la terra di “O”, i mondi di Piterà parlano la lingua del fantastico che s’impone come antidoto al determinismo scientifico basato sulla rigida concatenazione delle cause e degli effetti. La ragione non fornisce alcuna garanzia ed il suo sonno apre ai prodigi e alle apparizioni che non riguardano i luoghi convenzionali del fantastico. Non siamo portati a Brocéliande o nel Paese delle Meraviglie, ma, al contrario, come in Colazione sul prato (1998), queste si manifestano all’interno di giardini pubblici, appartamenti, ma possono anche essere teatri, negozi o officine vicino a casa. Il mondo diventa così un complesso macchinario, una fantasmagoria psicologica mossa dal genio visionario di


questo singolare pittore che sembra volerci dire che i prodigi ai quali dà vita non sono altro che il calco, il negativo del nostro mondo iper-razionale stabilendo un rapporto osmotico tra piani di realtà diverse. In questo senso, i suoi quadri, ci spiegano che l’aereo non ha eclissato il sogno del tappeto volante o quello del cavallo alato, né le magnifiche sorti e progressive vanificato l’intervento di presenze oscure ed oniriche perché dal mondo di “O” sono sempre pronti a levarsi in volo creature sconfinanti in un al di qua solo apparentemente addomesticato. Ed è esattamente questo il tema di Naufragio (2002) nel quale si assiste ad un’inversione dei domini del reale; qui improvvisamente il mare-sogno entra all’interno dell’abitacolo della nave sostituendosi alla schiacciante solidità della materia-coscienza in un vero e proprio reflusso dell’inconscio.

sce e ciò che vorrebbe conoscere. Le immagini e i soggetti traggono linfa da quel tessuto di mondi immaginari che caratterizzano le trame narrative dei suoi quadri svelando un intreccio indistricabile tra mistero, silenzi notturni, epifanie soprannaturali. Si tratta di storie dipinte all’interno delle quali siamo portati con maestria in un sapiente gioco illusionistico grazie al quale facciamo conoscenza del deposito di fantasmi che animano la mente dell’artista. La ricerca di un contatto tra reale e immaginario, tra sogno e veglia

Il gioco delizioso della fantasia Se percorriamo il labirinto di allegorie e metafore costituito dal corpus pittorico di questo artista cogliamo la struttura che connette il filo rosso che lega tra loro queste narrazioni: il sogno! Il mondo onirico che crea Piterà è complementare alla realtà assolvendone le fisiologiche mancanze. Le sue narrazioni parlano della fragilità del reale, che malgrado i progressi della scienza e della tecnica si trova a convivere con una vertigine data dall’incombenza di un inconscio che straripa da ogni dove. Come nei racconti di Dino Buzzati nessuno può dirsi al riparo dai suoi riflussi; essi permeano e nutrono la vita quotidiana. Le creature fantastiche che abitano i suoi quadri rivelano la tensione tra ciò che l’uomo può e ciò che vorrebbe potere, tra ciò che cono-

è per Piterà la conquista di una “nuova realtà” vissuta all’insegna del possibile superamento delle antinomie. E’ l’affermarsi di un universo “altro” creativo e libero che configura i propri oggetti in una dimensione sollevata dalle co strizioni e dalle convenzioni del razionale. Nell’eterno miraggio di un mondo magico, quello di Piterà è un onirismo desiderante e pulsionale, dove tutto può dipendere dal potere del-

l’immaginazione e dove si alternano, mistero e tentazione di poterci affrancare dallo spazio, dal tempo e dalla causalità. In questi nuovi universi la vita appare imperitura, al riparo dalle peggiori ingiurie quasi godesse di una contaminazione con un altrove che si fa presente. Quello di Piterà è l’universo magico di Giordano Bruno dove l’immagine inventata ha una sua verità e può diventare vera.


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BIANCA SALLUSTIO MOSTRA PERSONALE ALLA GALLERIA D’ARTE LA TELACCIA BY MALINPENSA

DAL 16 AL 25 MARZO 2017 “OPERE ILLUMINATE DAL SENTIMENTO E DA UNA PROFONDA ESPRESSIVITA'”

“Il ballerino R usso” - 2016 - O lio su tela - cm . 70 x 70

“La ginnasta” - 2016 - O lio su tela - cm . 70 x 70

“Una nuova interpretazione invade lo spazio pittorico; è una storia che induce lo spettatore alla meditazione e ad uno stato di entusiasmo continuo. Il sentimento fa irradiare, come una luce interiore, le iguane: è questa la testimonianza che l’artista Bianca Sallustio fa con le sue opere autentiche ed altamente scenografiche. La stesura del colorismo brillante e lo sfondo chiaroscurale originale identificano il segno con la luce in un evidente rapporto stilistico molto suggestivo di notevole costruzione. Ne risulta una dialettica contemporanea assolutamente personale che si sviluppa in una ricerca figurativa di qualità estetica e di talento. Attendibili nella descrizione le sue iguane protagoniste, che si rinnovano di ampie assonanze stilistiche e di un linguaggio originalissimo, si animano di straordinari effetti grafici, luminosi e cromatici in un gioco realistico di prospettiva e struttura disegnativa attenta e concreta. Questo è il principio di cui l’artista Sallustio è interprete delle sue creazioni; è un’espressione pittorica di concezione fantasiosa ma con una seria e riflessiva figurazione diretta alla rispettabilità umana e spirituale. Lo svolgimento discorsivo diventa una narrazione equilibrata e psicologicamente intensa che mette in viaggio una serie di sensazioni ed emozioni ricorrenti. Le sue opere, che producono una fantasia illimitata carica di un’energia universale, acquistano un’esplosione di sentimenti visivi ed istantanei, in una continuità di vibrazioni luminose ed armoniose. Si riconosce nel suo iter il senso positivo della realtà ed il valore profondo per la vita comunicando così allo spettatore il proprio sentire e lo stato d’animo”. Monia Malinpensa

MOSTRA, DEPLIANT E PRESENTAZIONE CRITICA A CURA DI MONIA MALINPENSA REFERENZE E QUOTAZIONI PRESSO LA GALLERIA D’ARTE LA TELACCIA BY MALINPENSA La Telaccia by Malinpensa - Via Pietro Santarosa 1 - 10122 Torino Tel/Fax +39.011.5628220 +39.347.2500814 - +39.347.2257267 www.latelaccia.it - info@latelaccia.it O R A R IO G A LLER IA :D A L LU N ED I A L SA BAT O D A LLE 15,00 A LLE 19.00


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Alfabeta

1979-1988 a cura di Francesca Mora

Prove d'artista nella collezione della Galleria civica di Modena dal 25 marzo al 7 Maggio 2017

Em ilio Isgro?, Particolare per A lfabeta,1983, collage su cartone,397 x 260 m m .,

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C ollezione G alleria civica diM odena

abato 25 marzo alle 18.30 inaugura nelle Sale superiori di Palazzo Santa Margherita la mostra Alfabeta 1979-1988. Prove d'artista nella collezione della Galleria Civica di Modena. L'esposizione, realizzata anche grazie alla collaborazione di Fondazione Mudima, Milano, è dedicata alle 66 Prove d'artista realizzate da 49 autori per la storica rivista di informazione culturale "Alfabeta" tra il 1983 e il 1988. Il nucleo di opere su carta (composto da disegni, collage, grafiche e fotografie), tra i primi ad entrare a far parte della collezione della Galleria Civica di Modena sul fi-

nire degli anni Ottanta, in seguito alla chiusura del mensile, si presenta come un prezioso e raro spaccato di quello che è stato un fenomeno culturale importante, mosso dallo spirito della neoavanguardia. Pubblicata a Milano dal 1979 al 1988, su iniziativa del comitato di redazione composto da Nanni Balestrini, Maria Corti, Gino Di


Luca Patella - D em & D uch D is-Enam eled!

C ollezione G alleria civica diM odena.

Maggio, Umberto Eco, Francesco Leonetti, Antonio Porta, Pier Aldo Rovatti, Gianni Sassi, Mario Spinella e Paolo Volponi, "Alfabeta" era l'espressione di un gruppo di intellettuali diversi per formazione e interessi personali, accomunati dall'attiva partecipazione al discorso culturale, sociale e politico degli anni Sessanta e Settanta, e successivamente uniti nella riflessione sul come poter svolgere il proprio ruolo nella società "ideologicamente confusa" dei primi anni Ottanta. La prove d'artista iniziano a comparire sul mensile a partire dal numero 44, del gennaio 1983, con un disegno di Fausto Melotti, ideato per l'occasione. Gli oltre sessanta interventi artistici successivi co-

G ianfranco Baruchello -Senza titolo (Bozzetto per annuncio) Festivaldi poesia D i-versiin versi” -R om a,14-16 Febbraio 1986)- 1986 -inchiostro

1986 -collage -377 x 260 m m

su fotocopia - 420 x 297 m m -C ollezione G alleria civica diM odena

stituiranno via via una vera e propria rubrica, affidata al lavoro di artisti, scrittori e poeti, anche molto diversi tra loro per generazione (autori storici, nati a partire dall’inizio del Novecento, fino ai più giovani nati negli anni Cinquanta), per stile (dall'Arte povera all'Informale, dalla Op-art alla poesia visiva) e linguaggio: artisti differenti votati alla scultura, all'installazione, al disegno, alla grafica o al design come Enrico Baj, Alighiero Boetti, Eugenio Carmi, Emilio Isgrò, Ugo La Pietra, Alessandro Mendini, Claudio Olivieri, Concetto Pozzati, Toti Scialoja, William Xerra, tra gli altri, insieme a esponenti del Gruppo 63 come Luigi Malerba o Gianfranco Baruchello.

In mostra, oltre ai disegni pubblicati, saranno esposte anche le Prove inedite, insieme a video-testimonianze di alcuni dei protagonisti di quel momento e a numeri della rivista consultabili in formato digitale. I 66 lavori acquisiti dalla Galleria Civica nel 1989, grazie al sostegno del CME Consorzio Modenese Edili ora CME Consorzio Imprenditori Edili Soc. Coop., fanno parte della Raccolta del disegno avviata nel 1988 da Flaminio Gualdoni, allora direttore dell'Istituto. Un patrimonio che, tra acquisizioni e comodati, conta oggi oltre 4000 fogli di autori contemporanei a testimonianza della cultura disegnativa italiana del XX secolo.


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Enzo M ari-D ialogo tra Fidia,G alileo,D u-

G razia V arisco -Enigm a -1985

A lessandro M endini-Senza titolo -1986 -china

cham p,iSette N ani,L'Idiota (Progetto diuna

pennarello su carta -420 x 296 m m

e tem pera su carta colorata -418 x 296 m m

scena realizzata alla Biennale diV enezia del

C ollezione G alleria civica diM odena

C ollezione G alleria civica diM odena

1986)-1986 -C ollezione G alleria civica diM odena

In m ostra opere di: Rina Aprile, Enrico Baj, Paolo Baratella, Gianfranco Baruchello, Alighiero Boetti, Anna Valeria Borsari, Eugenio Carmi, Giovanni Carta, Tommaso Cascella, Loriana Castano, Pietro Coletta, Giovanni D'Agostino, Dadamaino, Sergio Dangelo, Piero Del Giudice, Lucio Del Pezzo, Giuseppe Devalle, Piero Dorazio, Gillo Dorfles, Pablo Echaurren, Omar Galliani, Piero Gilardi, Gianpaolo Guerini, Emilio Isgrò, Ugo La Pietra, Alberto Magnaghi, Luigi Malerba, Enzo Mari, Giuliano Mauri, Fausto Melotti, Alessandro Mendini, Aldo Mondino, Claudio Olivieri, Giulio Paolini, Gianfranco Pardi, Goffredo Parise, Claudio Parmiggiani, Luca

Patella, Concetto Pozzati, Carlo Ramous, Liberio Reggiani, Marco Nereo Rotelli, Toti Scialoja, Lorenzo Sguanci, Giuseppe Spagnulo, Aldo Spoldi, Emilio Tadini, Grazia Varisco, William Xerra.

A lfabeta 1979-1988. Prove d'artista nella collezione della Galleria Civica di Modena 25 m arzo -7 M aggio 2017, Palazzo Santa Margherita, sale superiori Corso Canalgrande 103, Modena G alleria civica diM odena, Fondazione C assa diR isparm io di M odena

O rari:mercoledì-venerdì 10.30-13.00 e 16.00-19.30; sabato, domenica e festivi 10.30-19.30. Lunedì e martedì chiuso. ingresso gratuito U fficio stam pa:Pomilio Blumm Irene Guzman tel. +39 349 1250956, email: irene.guzman@comune.modena.it Inform azioni:Galleria civica di Modena, corso Canalgrande 103, 41121 Modena tel. +39 059 2032911/2032940 - fax +39 059 2032932 www.galleriacivicadimodena.it Museo Associato AMACI



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“7” ARTe eD eSOTeRISMO

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crittura automatica, entità ultraterrene che sapientemente canalizzate parlano attraverso l’uomo, voci da un altro mondo: ma se non si limitassero a questo, ma avessero velleità artistiche e persino disegnassero? Allora apparirebbero i segni inconfondibili di Austin Osman Spare. Nato allo scoccare della mezzanotte del 30 dicembre del 1886 a Snow Hill (viene subito alla mente il capolavoro Silent Hill, uno tra i videogiochi più spaventosi), sotto gli auspici di una stella bisbetica. Cresciuto in una famiglia della piccola borghesia inglese (è figlio di un agente di polizia), mostra sin da piccolo la fascinazione per l’arte. Dopo aver frequentato la scuola serale di Lamberth tenta la via dell’apprendistato presso un vetraio: è in questi anni che, adolescente vorace e curioso, rimane attratto irrimediabilmente dall’esoterismo. Il mondo dell’occulto esplode dirompente durante la selezione per la Royal Academy del 1904, quando uno dei suoi disegni viene selezionato e pone le basi per il futuro apprezzamento degli eccentrici e degli intellettuali dell’epoca (quasi sempre le due categorie coincidono, ma non sempre!). Descritto da Aleister Crowley (il

mago inglese autoproclamatosi “La Grande Bestia 666” noto per essere stato definito da un giudice l'uomo più perverso del mondo) come il suo “fratello nero” non esita a crearsi una notorietà di un certo rilievo, partecipando a pieno titolo al milieu culturale del tempo con mostre e pubblicazioni su riviste amate dalla critica e dalle suffragette. Per Crowley realizzerà quattro piccoli disegni su "the Equinox", pur non entrando

Austin Osman Spare.

mai effettivamente nel suo ordine (Astrum Argenteum). Il suo disprezzo per la magia cerimoniale e per la forma delineano il suo stile in campo magico, grazie anche ad un innovativo uso dei sigilli. I rituali della magia, estenuanti e ripetitivi non fanno per lui. E’ un esploratore, un medium forse, ma attento e creativo, non un semplice channeler né tantomeno una marionetta. Ama raccontare di aver appreso le sue tecniche da una vecchia discendente delle streghe di Salem, la signora Paterson, che collaborerà a The Focus of Life con un disegno a matita. Una seconda madre per lui dalla grazia attraente, misteriosa quanto psichicamente dotata, la maestra che lo libera dagli schemi di una magia vecchia e stantìa per catapultarlo nel mondo di altrove, abitato da fantasmatiche creature anarcoidi che saranno sue ispiratrici tutta la vita (“…gli diede le chiavi attraverso le quali egli ottenne l'accesso ai Sabbath, il genuino evento extraterrestre del quale la versione popolare è solo una degradata e grottesca parodia”). Con lo scoppio del primo conflitto mondiale non cessa di dedicarsi all’illustrazione: viene ‘arruolato’ come artista di guerra nel 1919 al punto da veder acquisite


alcune sue opere nel Museo Imperiale della Guerra. Il suo talento è evidente. Finita la carneficina, la bohème socialista lo trascina in un vortice di chiacchere, ammirazione, stupore, timore e reverenza sino al 1927: esce Anatema di Zos, “dettato da Satana in persona” (così dice lui stesso), con il quale Austin si scaglia in qualità di autore letterario contro la classe borghese contemporanea con la virulenza del genio in escandescenza. Atteggiamento che gli costerà il disprezzo dei suoi antichi ammiratori. Si butta nella composizione di scritti molto complessi (chiamata da lui stesso magia simbolica), codici e formule occulte che unite ad una condotta di vita bizzarra e dissoluta lo farà precipitare nell’angolo più buio, lontano da tutti. Spare, con i suoi penetranti occhi azzurri, spavaldo ed impavido non si abbatte. Anzi, cavalca la tigre (nel suo caso, forse, una pantera nera) ambientandosi nei più degradati quartieri a sud di Londra facendosi nuovi amici fra alcolizzati e prostitute. Racconta di uno spirito guida, Black Eagle, che appare sotto le spoglie di un nativo americano: lui, almeno, non lo abbandona. In compagnia dei suoi gatti attraversa la seconda guerra mondiale nel suo studio, centrato in pieno da un blitz tedesco, dopo aver sbeffeggiato un certo Adolf Hitler, arriva a perdere temporaneamente l’uso delle mani. Nel dopoguerra continua la sua attività di disegnatore su periodici e di pittore

esponendo le sue creazioni in pub e birrerie, ormai vendute a cifre irrisorie. Ma egli non dipinge posseduto pedestremente in modalità automatica, egli entra magicamente in connessione con intelligenze sovraumane. Lavora intensamente ultimando i suoi disegni in pochi minuti, ragione per cui non vuole mai (e mai lo farà) alzare il prezzo dei suoi quadri. La povertà sarà sua compagna fedele sino alla morte, che lo coglierà il 15 maggio del 1956 abbandonato da tutti, tranne che dai suoi numi tutelari dell’altrove, i suoi tanti ed amati gatti. Cercando di penetrare nel suo immaginario, cosa ci ha lasciato l’arte di Austin Osman Spare? Anche se tecnicamente è molto dotato, sono i soggetti a far parlare di lui: figure zoomorfe ibride, demoni, donne possedute e lascive, glifi apparentemente indecifrabili che nuotano intorno a uomini deformi e freaks adoratori di Pan, mostri sensuali e conturbanti anche se dannatamente inquietanti. Cose che solo il buon H. R. Giger (creatore di Alien ma anche pittore, scultore, designer d'ispirazione surrealista e simbolica, artista nel campo degli effetti speciali cinematografici) ha saputo forse elaborare psicologicamente e “superare” magicamente diversi anni dopo. Guardando la sua opera bal-

zano alle orecchie ascolti precisi, gruppi musicali underground che vorremmo Spare avesse conosciuto nel corso del suo culto di Zos-Kia (è l’amico Kenneth Grant a suggerire questo nome al suo tipo di magia): Genesis P-Orridge e i Throbbing Gristle/Psychic Tv su tutti. Quel Genesis che sicuramente invece conosce il nostro Spare, tanto da superare i confini della natura trasformandosi in una donna pur essendo nato nel corpo di un uomo, apparentemente il tipico inglese dei sobborghi di Manchester. Anch’egli è affascinato dall’occulto al punto da creare nei lontani anni ’80 del secolo scorso Thee Temple ov Psychick Youth – TOPY (ovvero Tempio della gioventù psichica), un network basato su concetti magici deprivati del loro lato mistico e del culto delle divinità. I rituali di affiliazione prevedevano la pratica per 23 mesi consecutivi di un’opera di magia auto-sessuale, detta Sigillo, che consisteva nel masturbarsi nudi il giorno 23 alle ore 23 deponendo su un foglio di carta tre liquidi del proprio corpo (saliva, sangue e OV – sperma o secrezione femminile). E di sperimentare il mondo delle droghe, come Evola, come tanti, e come Spare.


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La propensione ad un satanismo acido ante-litteram non è fuori luogo se accostato al nostro Austin: egli è convinto che una precisa attività sessuale (in ambito magico-rituale, ben inteso) coadiuvata da uno stato alterato di coscienza e condotta con freaks, donne di bassa lega ed ermafroditi possa catapultare l’adepto nel “Chaos dell’Inferno del normale”, sulla via della mano Sinistra, preparandolo ad affrontare i demoni e le creature sconosciute dell’abisso: è la Magia Sexualis, attraverso la quale l’orgasmo ci porta al contatto con le entità superiori cui tendiamo. Solo il più impavido dei maghi osa tanto, tanto da rischiare la propria vita, come in un sogno di Lovecraft: pena la follia, in caso di fallimento. E’ il ribaltamento della sessualità tesa alla bellezza, la sovversione impura del vero atto d’amore (A-Mor direbbe Miguel Serrano, senza Morte). Dalle vette luminose dei cavalieri ariosofici del Graal veniamo catapultati brutalmente alle orde ctonie degli oscuri cannibali omofagi.

Artista unico e scandaloso, Austin volto, la sublimazione della belOsman Spare è un anticipatore ca- lezza del tratto attraverso la rappace di influenzare i futuri visio- presentazione di animali a metà nari, i maghi neri che si nas- che cavalcano la mitologia senza condono in grotte nascoste agli paura, che ci guardano in faccia. occhi della gente, i sacerdoti che Sprezzanti e fieri della loro precelebrano rituali stellari all’ombra senza: non hanno paura, loro. di querce millenarie in compagnia E noi? di spettri visibili solo agli iniziati della mente estesa, a telepati illuminati da riminescenze Bibliografia essenziale: egizie: le donne, il sesso, la vita e la morte convivono in disegni dai quali emergono A ustin O sm an Spare seni procaci, glutei carnosi in (con introduzione di Dario Spada), pose libidinose, creature mi- il libro del piacere, Edizioni librarie tologiche in attesa di chissà Franco Spinardi di Torino, in 666 esemquali padroni interdimensio- plari nel 1913 ristampato del 1993 nali da adorare. Le proiezioni degli alieni del professor Cor- Phil Baker,Austin Osman Spare: The rado Malanga prendono vita Life & Legend of London's Lost Artist, sulla carta di Spare, ignari del Strange Attractor, London, 2010 tempo trascorso: la meticolosità calligrafica del tracciare M assim o Introvigne,Il cappello del sigilli sconosciuti evoca nei mago. I nuovi movimenti magici dallo suoi disegni l’attenzione degli spiritismo al satanismo. SugarCo, Miamanuensi medievali, sotto la lano, 1990 supervisione di eruditi signori della lussuria e della perdi- Law rence Sutin,Fai ciò che vuoi. Vita e zione, succubi di John Dee. opere di Aleister Crowley, Castelvecchi, L’ossessione per i caratteri del Roma, 2006


SARA PEZZONI MOSTRA PERSONALE ALLA GALLERIA D’ARTE LA TELACCIA BY MALINPENSA

DAL 27 MARZO AL 7 APRILE 2017

“E’ una ricerca, quella dell’artista Sara Pezzoni, di notevole qualità sia per la penetrazione psicologica dei suoi personaggi che per l’impianto compositivo di originale caratterizzazione. I soggetti femminili svelano un’indipendenza pittorica ed uno studio preparatorio intenso ed attento dal quale emerge una grande determinazione. Il cromatismo vivace, il tratto deciso e vigoroso e la forza creativa conferiscono alla figura una decorazione piena di vita e di sentimento testimoniando grande impegno in un’atmosfera suggestiva, intrisa di personalità. Ogni simbolo nell’opera è di particolare bellezza e contemplazione che lasciano trasparire sensibilità d’animo e spontaneità, evocando sensazioni continue al fruitore. L’abilità sorprendente nel cogliere i particolari e le sfumature, ricche di elementi formali, trasforma la materia in una testimonianza intima e in un’esistenza molto passionale e romantica. La tecnica da lei usata dell’acrilico e mista su tela, di evidente padronanza ed evoluzione artistica, raggiunge un obbiettivo di successo e di enfasi espressiva in notevole crescita. La rappresentazione del nudo, concepito da parte della Pezzoni con gioia ed allegria, viene sempre realizzata con un progetto rispettoso verso la donna in uno schema coerente ed autonomo. E’ un ciclo di opere estrose e giocose dall’illustrazione fantasiosa che simboleggia una vitalità artistica ed una dimensione stimolata dalla ricerca tecnica e cromatica e dal gusto compositivo.” Monia Malinpensa

MOSTRA, DEPLIANT E PRESENTAZIONE CRITICA A CURA DI MONIA MALINPENSA REFERENZE E QUOTAZIONI PRESSO LA GALLERIA D’ARTE LA TELACCIA BY MALINPENSA La Telaccia by Malinpensa - Via Pietro Santarosa 1 - 10122 Torino Tel/Fax +39.011.5628220 +39.347.2500814 - +39.347.2257267 www.latelaccia.it - info@latelaccia.it O R A R IO G A LLER IA :D A L LU N ED I A L SA BAT O D A LLE 15,00 A LLE 19.00

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Di, a, da, in, con, su, per, tra… Fra.

“ritratto di Toni Thorimbert”

F

ra. Nome già di per sé anomalo, troppo breve, equivalente di un appellativo religioso tronco, o di una preposizione propria, la conclusiva fra quelle che da bambini in via di grammaticazione, forse non più di questi tempi, imparavamo tutte assieme a memoria, ammaliati più dalla successione dei suoni che dal loro senso, come in una formula magica: “di, a, da, in,

con, su per, tra, fra”. Stigma, quel nome, di una probabile diversità, promessa di una condizione che potrebbe anche esulare dall'ordinario. Non ci inganna. Giovanna Fra dipinge sospensioni, momenti di isolamento dal contingente, assorti, incantati. Attimi, infiniti, di distacco dalla dimensione più greve e opprimente del materiale, in grado di farci immergere in un altro oceano, sconfinato, indefinibile, alle

rive del trascendentale. Riflesssioni zen tradotte in pittura, che ambiscono al raggiungimento della meta suprema, l'assenza, troppo elevata per essere conseguita stabilmente. In questo senso, le opere della Fra sono percorsi inevitabilmente imperfetti, frammentati, nella direzione obbligata dell'assoluto. Tracce informali di vita, come dettate da impalpabili accostamenti di corpi e oggetti al supporto adottato, che lasciano segni imprecisi, anche quando netti, ideogrammi di scritture ancora in attesa di codificazione, vaporosi, tendenti all'essudato, decantandosi progressivamente fino a sfiorare, talvolta, il limite della sparizione, come piccole sindoni di eventi qualsiasi. Macchie di Rorschach sui ge-


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neris che non hanno la presunzione di rivelare nulla, se non il nulla nirvanico come motore di ogni legittima aspirazione spirituale, nella sua meraviglia infinita, nella sua attrazione irresistibile. Colori di coinvolgente neutralità, evanescenti, cangianti, a interrompere l'uniformità del fondo in modo sempre variato e imprevedibile, che si offrono come alternanze di cadenze musicali, apparentemente casuali, minimali, potenzialmente inesauribili. Filastrocche zoppe, appena sussurrate in punta di lingua, all'orecchio, melliflue, come quelle che declamavamo nell'infanzia, divertiti, non preoccupandoci affatto di quello che dicevamo, perché il senso, lo capiamo adesso, era qualunque senso volessimo riconoscere a quel gioco fatato, anche la sua negazione. “Di, a, da, in, con, su per, tra…”. Fra. Vittorio Sgarbi

Bio: Giovanna Fra si è diploma in pittura all’Accademia di Belle Arti di Brera, preparando una tesi su John Cage ed il rapporto tra arte e musica nel ‘900 nel contempo studia restauro conservativo tra Milano e Venezia. La sua visione creativa ha privilegiato la fisicità dinamica del colore in relazione alle diverse consistenze della materia, fissando nell’immediatezza del gesto attimi di sospensione e rarefazione. Ha iniziato ad esporre nel 1991. Tra le recenti mostre in sedi pubbliche e private si segnalano: Il rumore bianco del gesto, Chiesa dei S. Ambrogio e Bellino di Vicenza. Fugaci cromie, Palazzo del Broletto di Pavia. Arte aniconica, Casa del Mantegna. Tempus-time, Musei Civici di Pavia. Carte italiane, Istituto Borges, Buenos Aires. Dialogo

tra generazioni, dal Futurismo ai giorni nostri, Ambasciata Italiana, Il Cairo. Quattro volti, Istituto Italiano di Bruxelles. Michelangelo oggi, Westend Galerie, Francoforte. Texture, Mondadori Store Duomo, Milano. Fil Rouge, V.I.U. Isola di San Servolo, Biennale di Architettura, Venezia. Nothing is real, M.A.O (Museo d’Arte Orientale) Torino. Artefiera di Pavia con Galleria Allegrini, Brescia. Opere su carta, Galleria Sabiana Paoli Art Gallery, Singapore. Hotel Mariott, Isola delle Rose, Venezia. Forte Village, Sardegna, Galleria Mazzoleni. David Bowie the real face, Mondadori Store Duomo, Milano. Lo Do La Fra, Palazzo Coveri, Firenze. Paesaggi sonori, Galleria Rotta Farinelli, Genova


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“due minuti di arte” IN DUe MINUTI VI RAccONTO LA STORIA DeLLA MALINcONIcA TAMARA De LeMPIcKA di Marco Lovisco www.dueminutidiarte.com

Donna con guanti

Bellissime, fredde, irraggiungibili. Le donne ritratte da Tamara de Lempicka vivono in un mondo distante, dove l’essenza fisica lascia lo spazio ad un animo malinconico, tormentato e romantico. Vestite di verde o alla guida di auto fiammanti, le donne di Tamara sono all’apparenza diverse tra loro ma scavando nel cuore di ognuna di loro troveremo sempre il ritratto della stessa donna: Tamara. In ognuna di loro c’è un pezzo dell’autrice, come frammenti di una biografia dipinta su tela. Il fascino, il successo e il talento non sono bastati a proteggerla da un’acuta forma di depressione che l’ha costretta a vivere fuggendo, a guardare sempre più lontano, come fanno le donne dei suoi quadri, con quegli occhi malinconici che sembrano scrutare un orizzonte distante, forse sereno.

1. Tamara de Lempicka (1898-1980), pittrice di origini polacche, è stata una figura fondamentale nell’arte del Novecento e un’esponente di spicco dell’Art Déco.

Ma chi era Tamara de Lempicka? Provo a raccontarlo in due minuti.

2. Il suo nome all’anagrafe era Tamara Rosalia Gurwik-Górska, figlia di una donna

polacca e di un ricco ebreo russo. Suo padre abbandonò la famiglia quando lei era ancora bambina. Secondo alcuni pare che l’uomo si fosse suicidato, ma Tamara sostenne sempre che fosse sparito dopo il divorzio da sua madre. 3. Grazie alla nonna Clementine che si


Bugatti verde

prese cura di lei, Tamara frequentò prestigiosi istituti scolastici, come il collegio Polacco di Rydzyna o la scuola Villa Claire di Losanna, in Svizzera. 4. Alla morte della nonna, Tamara si trasferì a San Pietroburgo per sposare a diciotto anni l’avvocato Tadeusz Łempicki, conteso dalle più belle donne di San Pietroburgo. Con la Rivoluzione le cose cambiarono tragicamente: la polizia russa arrestò Tadeusz e Tamara dovette ricorrere all’aiuto di alcuni conoscenti influenti per farlo liberare e poi fuggire con lui a Parigi. 5. Nella capitale francese i due frequentarono l’alta società dell’epoca e Tamara ebbe l’opportunità di mettere in mostra il suo talento artistico ritraendo le più celebri donne di Parigi. All’attività artistica faceva da contorno un’intensa vita mondana: amanti, feste, cocaina, ritmi di lavoro forsennati e dipinti realizzati a tarda

notte ascoltando musica di Wagner. Il 1926 segnò la fine del matrimonio tra l’artista e Tadeusz. 6. Tamara de Lempicka amava viaggiare, e più volte ebbe occasione di visitare l’Italia. In uno di questi venne ospitata al Vittoriale da Gabriele D’Annunzio che provò a sedurla con insistenza ma senza successo. 7. Gli anni Trenta furono molto intensi per la de Lempicka. Il suo talento, ormai ampiamente riconosciuto portava in dote mostre, corteggiatori, amanti (uomini e donne), vita mondana e viaggi lussuosi. Ciò nonostante un’intensa forma di depressione cominciò ad affliggere l’artista, offuscando quello che sarebbero dovuti essere i giorni più lieti della sua vita. 8. Nel 1943 fu costretta a lasciare l’Europa invasa dai nazisti per trasferirsi negli Stati Uniti insieme al nuovo marito, il

La bele Rafaela

ricchissimo barone Raoul Kuffner de Diószegh, di origini ebraiche. Negli Stati Uniti diventò famosa, oltre che per le sue opere d’arte, per il suo stile di vita mondano e le grandiose feste nelle sue ville. 9. Le opere di Tamara de Lempicka si caratterizzano per l’uso di un esiguo numero di colori che sulla tela appaiono luminosi, forti e decisi, così come le linee nette e precise che disegnano donne fredde, malinconiche, irraggiungibili. 10. Oggi alcune delle più note star americane collezionano opere di Tamara de Lempicka: Jack Nicholson, Barbra Streisand ma soprattutto Madonna, che spesso le cede ai musei per organizzare mostre.



camille & Rodin :

la Passione che diventa ARTe. “Le ho insegnato a scoprire l’oro dentro la materia, ma l’oro era dentro di Lei…” di Valentina D'Ignazi

L’

Amore è passione, trasporto, è vendere l’Anima all’inferno per conoscere anche solo per un istante il paradiso. L’Amore è sensi, fantasia, creazione … Arte allo stato puro. Nascono da questo sentimento le più incantevoli creazioni di Camille Claudel ed Auguste Rodin, due tormentati amanti e scultori di fama internazionale. Camille Claudel nasce nel 1864 a Villeneuve sur Fère, sorella del noto scrittore Paul Claudel, scopre la sua vocazione per la scultura fin da bambina, quando iniziò a modellare diverse figure di argilla. Lo scultore Alfred Boucher ne rimase affascinato e, qualche anno dopo, raccomandò il suo talento ad Auguste Rodin che le affidò nel suo atelier le mansioni di modella e sbozzatrice.

“Ha una natura profondamente personale, che attira per la grazia ma respinge per il temperamento selvaggio…” Rodin nasce a Parigi nel 1840 e sposò Rose Beuret,una donna di bell’aspetto ,ma di scarsa cultura che fu però la

sua compagna di vita. Quest’ultimo trovò in Camille una passione travolgente, una inspiegabile affinità elettiva, una notevole e reciproca complicità artistica nonostante i loro ventitré anni di differenza. Da studentessa, infatti, divenne ben presto la sua musa ispiratrice, la sua collaboratrice e la sua amante affidandole anche la creazione di mani e piedi nelle sue grandi opere. Da questo amore travolgente l’arte prende forma e nascono così i loro grandi capolavori scultorei. Sono di questo periodo opere come “l’Abbandono”, ispirata ad una antica leggenda indiana che vede come protagonisti Dushyanta e Sakuntala e la loro storia d’amore con la notevole carica erotica che li legava. Questa opera


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viene per la prima volta esposta al Salon des Artistes a Parigi e ricevette anche la menzione d’onore. Con questa che oso definire una vera e propria “autobiografia scultorea” i due artisti danno vita all’animo umano immortalando la passione, il sentimento, i languori dell’ amore… un riflesso della loro storia apparentemente felice. Camille rimase incinta ed interruppe subito la gravidanza, da questo episodio nacquero una serie di problematiche e di incomprensioni che cominciarono ad inclinare la loro

quotidianità inebriata dall’arte e da quell’amore incondizionato che scolpiva i giorni di pura poesia. Camille non aveva mai perso la speranza di sposare Auguste, nonostante lui appartenesse già da tempo ad un’ altra donna. Era stanca di viverlo nell’ombra, di aver paura di creare scandalo, arrabbiata per quella troppa complicità artistica e morale tenuta nascosta, da quel sentimento troppo intenso per viverlo a metà. Rodin, pur amandola alla follia ebbe paura di sconvolgere la sua vita oramai pianificata dai troppi doveri e decise dunque di non sposarla. “Ah! L’Amavo veramente, e in più con un ardore triste poiché sentivo,

da segni evidenti, che mai Lei avrebbe fatto certi passi che impegnano tutta un’anima e che sempre si manteneva inviolabile a ogni sondaggio sulla solidità del suo cuore! Ora resta da sapere se Lei contenesse tutto ciò che io cercavo! E se ciò non fosse il nulla. Malgrado tutto, piango sulla scomparsa del sogno di questo sogno!” I legami artistici fra i due inizialmente si allentarono senza interrompersi del tutto e Camille fuggì da questa relazione distrutta, affrontando in seguito notevoli difficoltà economiche. Uno dei più noti capolavori di Camille fu “l’Eta’ Matura” dove fa trasparire il suo dolore per la perdita di Rodin ritraendo una donna in ginocchio con le braccia protese in direzione dell’uomo che si allontana da lei volgendole le spalle. Quando il silenzio fra i due cominciò a prendere il sopravvento Camille incontrò un noto compositore: Claude Debussy e con lui ebbe una fugace


avventura, ma la sua Anima ed il suo cuore ancora erano legati al ricordo di Rodin e questo le impedì di essere se stessa e di vivere il rapporto con totale abbandono. Nel bronzo “La Valse” infatti, del 1891, sintetizza tutto questo insieme di sentimenti in un valzer dove traspare senza indugio la passione amorosa, mostrando anche una forte capacità di trovare equilibrio tra movimento e staticità, soprattutto nella figura femminile slanciata verso l’alto, ma con il panneggio dell’abito quasi incollato al terreno che sta a rappresentare il forte senso di legame con la realtà. “C’è sempre qualcosa d’assente che

mi tormenta…” Cominciò così a soffrire di ossessioni temendo che Auguste le rubasse le idee a tal punto di impossessarsi delle sue opere, distruggendone così molte con l’aiuto di un martello. Entrò in uno stato di notevole depressione e andò a vivere sola con i suoi gatti dopo che anche la sua famiglia e suo fratello Paul non mostrarono nessuna comprensione per la sua instabilità mentale, definendola una peccatrice, una donna che aveva infranto le leggi del cristianesimo. Nel 1913, dopo la morte di suo padre venne internata in manicomio dove rimase rinchiusa per 30 anni fino alla sua morte avvenuta nel 1943. “Mia Sorella Camille aveva una bellezza straordinaria ed inoltre un’energia, un’immaginazione, una volontà del tutto eccezionali. E tutti questi doni superbi non sono serviti a nulla; dopo una vita estremamente dolorosa, è pervenuta al fallimento completo.” Di Camille Claudel si conoscono una settantina di sculture, con una serie di disegni che vengono affiancati accanto alle opere di Auguste Rodin per sottolineare la diversità stilistica e la esplicita affinità arti-

stica che li legava. Questo amore, questa convivenza di passione e di creazione fa di questi due amanti un esempio di quanto l’arte possa immortalare in una scultura quell’amore che non hanno vissuto e che hanno lasciato al mondo per renderlo semplicemente un sogno immortale.

“L'artista deve creare una scintilla prima di poter accendere il fuoco e prima che l'arte nasca; l'artista deve essere pronto ad essere consumato dal fuoco della propria creazione...”


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Silvio Sparaci

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Desidero ricevere le copie della rivista al seguente indirizzo: Nome_______________________ Cognome____________________ Cap.________Città___________ Indirizzo____________________________________________ Tel_________________e-mail___________________________

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Se ne è andato via in silenzio, con quella classe e dignità che lo ha sempre distinto in ogni momento della vita. Silvio è stato un grande artista, unico, ma soprattutto un amico, originale, dotato di una personalità pregnante, possedeva un coraggio intellettuale che gli consentiva ovunque e con chiunque di affermare sempre le proprie convinzioni artistiche e morali. Uomo forte, aveva superato dolorosi percorsi che l’imponderabile temporalità della vita propone a tutti gli uomini, senza per questo mai mutare il suo comportamento fatto di squisita gentilezza, affabilità, comprensione ed altruismo. Di recente, aveva dato vita ad una nuova corrente di ricerca artistica: il Coriandolismo. Sono fiero ed orgoglioso di essere stato tra coloro che hanno trattato di lui in quella occasione; ricordo ancora le sue parole al telefono per ringraziarmi di ciò che avevo scritto. Sembrerà a tutti strano non trovarlo più al suo tavolo di lavoro, sommerso da articoli, cataloghi e quadri; avvolto dalla magia dell’arte, fiero della sua rivista, un fiore all’occhiello a cui aveva dedicato la vita. Amava dipingere la figura umana, ma anche nature morte, i volti da lui ritratti recavano i segni dell’esistenza, percepiti solo da chi la vita ha dovuto e saputo viverla ed apprezarla. Possedeva un intuito cromatico che faceva distinguere i suoi lavori per originalità e ricerca. Non parlava mai di se stesso, tipico delle grandi personalità di ogni tempo. Recarsi nella sede di Arte e Arte in Tor Bella Monaca significava tuffarsi nella pittura, nella poesia, nel giornalismo ed in tutti gli aspetti della vita che Silvio, insieme all’immancabile caffè, tratteggiava sempre sorridendo. Quando comprese la gravità del male che lo aveva aggredito, non cambiò Modus Vivendi; continuò fino all’ultimo a lavorare e parlare di progetti e di futuro. Non cercò la facile pietà, la comprensione. Rimase in piedi come un antico Legionario di Roma ed io voglio pensarlo in una galassia luminosa, sempre alle prese con colori, pennelli, articoli e poesie, sorridente ed affabile con Cesare, il suo cane stupendo sempre accanto a lui. Grazie Silvio per quello che ci hai dato e per quello che mi hai insegnato. Francesco Buttarelli

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M O S T R E D ’A R T E i n i T A cura di Silvana Gatti

FO LIG N O

FO R LI

G EN O V A

CIAC

MUS EI SA N DOMEN CO

PALAZZO DELLA MERIDIANA

Fin o al 16 giugno 2017

Fino al: 4 giugno 2017

dal: 25 marzo al 9 luglio 2017

HERMANN NITSCH O.M.T ORGIEN MYSTERIEN THEATRE (TEATRO DELLE ORGE E DEI MISTERI) COLORE DAL RITO

L’ART DÉCO – GLI ANNI RUGGENTI

SINIBALDO SCORZA (1589 –1631). Favole e natura all’alba del Barocco

Una mostra sull’esponente dell’Azionismo viennese, a cura di Italo Tomassoni e Giuseppe Morra. Esposto 18b.malaktion, grandi tele dominate da un drammatico rosso, e 108.lehration, con elementi teatrali. E 130.aktion installazione di relitti, con grandi teli bianchi e camici macchiati di sangue, barelle, attrezzi chirurgici, che rimandano al corpo e ai suoi umori, zollette di zucchero e fazzoletti di carta allineati che suggeriscono sensazioni di freschezza. Nelle stampe su tela di timbro religioso è il rituale ad essere studiato. Con Tavole di colore, Nitsch si rapporta direttamente al colore. Nei lavori creati per il Museo Nitsch di Napoli nel 2010, si ritrovano gli oggetti utilizzati nei Relitti. In mostra nove litografie del ciclo The Architecture of the O.M. Theatre, dove ogni quadro è parte di una scenografia più grande in cui Nitsch esprime la sua teoria sull’Architettura, un cosmo sotterraneo, un castello interiore. Infine, i volumi scritti da Nitsch che documentano la sua vasta attività teorica..

L’Art Déco, periodo del lusso e della gioia di vivere, caratterizzò l’arte italiana ed europea negli anni Venti. La rivoluzione industriale contrapponeva al mito della natura lo spirito della macchina coi suoi ingranaggi. Uno stile che influenzando le arti decorative si riflette nei movimenti di avanguardia con artisti quali Picasso e Matisse. Nel decennio 1919-1929 l’alta produzione artigianale e proto industriale portò alla nascita del design e del “Made in Italy”. Un mercato nostalgico dell'artigianato italiano portava alla produzione di oggetti decorativi: dalle illuminazioni di Martinuzzi, di Venini e della Fontana Arte di Pietro Chiesa, alle ceramiche di Gio Ponti, Andlovitz, dalle sculture di Wildt, Martini e Andreotti, alle statuine Lenci o alle sculture di Tofanari, dalle oreficerie di Ravasco agli argenti dei Finzi, dagli arredi di Buzzi, Ponti, Lancia, Portaluppi alle sete di Ravasi, Ratti e Fortuny, agli arazzi di Depero. Importanti le opere di Galileo Chini; le invenzioni di Depero, Mazzotti; i dipinti di Severini, Casorati, Martini, Cagnaccio di San Pietro, Bocchi, Bonazza, Bucci, Marchig, Oppi, Metlicovitz. Ne risentono il cinema, il teatro, la letteratura, le riviste, la moda, la musica, dalla Scala a Hollywood.

A Genova, una retrospettiva di Sinibaldo Scorza, a cura di Anna Orlando. L’artista fu apprezzato da Caterina di Svezia, Carlo Emanuele I di Savoia, dal poeta Giovanni Battista Marino. Animalista, narra i miti di Circe, Orfeo o Didone come fiabe ambientate nella campagna ligure-piemontese ritratta dal vero, con cieli e monti azzurri presi a prestito dai nordici. Sinibaldo Scorza (Voltaggio, 1589 – Genova, 1631) lavora con matita e penna. Più di rado dipinge su tavolette, tondini di legno, piccoli rami, e piccole tele. La sua attività si svolge nel paese natale, poi a Genova dal 1604; a Torino è pittore di corte per Carlo Emanuele I di Savoia dal 1619 al 1625; in esilio per sospetto tradimento negli anni della guerra tra Genova e i Savoia nel 1625-1627, va a Massa e a Roma; nuovamente a Genova dal 1627 fino alla morte. Esposti prestiti come “Piazza del Pasquino” e “Adamo ed Eva”. La mostra è divisa in 5 sezioni: “Gli esordi di un pittore aristocratico” “ Dal vero al sacro” “ Favole e miti”, “ La scena di genere fiammingo-genovese” “Paesi incantati”. In mostra i dipinti con le favole di Orfeo e di Circe, realizzati da Scorza e altri artisti fiamminghi e genovesi del Seicento. Spettacolare la sala affollata di animali, e l’ultima, con paesaggi innevati. Infine, una vetrina col presepe realizzato da Scorza con sagome miniate su carta a tempera e acquerello


A l i A E f u O R i c O nf inE

LA SPEZ IA

M AM IANO DA TRAVERSETOLO

M ILA N O

MUSEO CIVICO “AMEDEO LIA”

FONDAZIONE MAGNANI ROCCA - PR

MUDEC

Dal 24 marzo al 25 giugno 2017 L’ELOGIO DELLA BELLEZZA. 20 CAPOLAVORI, 20 MUSEI, PER I 20 ANNI DEL LIA

Dal 18 marzo al 2 luglio 2017

Dal 15 marzo al 9 luglio 2017

DEPERO il Mago

VASILJ KANDINSKIJ IL CAVALIER ERRANTE

Una mostra su Fortunato Depero (Fondo 1892 – Rovereto 1960), con un centinaio di opere, celebrano l’artefice di un’estetica innovativa. La mostra è curata da Nicoletta Boschiero e Stefano Roffi. La rassegna inizia coi primi passi dell’artista in Irredentismo e futurismo, dagli esordi roveretani fino a quando, nel 1915, firma con Giacomo Balla il manifesto Ricostruzione futurista dell’universo. Il teatro magico inizia col balletto Chant du rossignol commissionato nel 1916 a Depero da Sergei Diaghilev, e prosegue coi Balli plastici, in collaborazione con Gilbert Clavel. Il movimento sulla scena dell’automa è meccanico e rigido, le marionette riportano al mondo magico dell’infanzia. A Rovereto, nel 1919, Depero apre una casa d’arte futurista, specializzata nel settore della grafica pubblicitaria, dell’arredo e delle arti applicate e, in particolare, in quello degli arazzi. Dal 1921 la casa d’arte, lavora a pieno ritmo. Nel 1928, Depero e Rosetta si trasferiscono a New York per due anni, dove apre la Depero’s Futurist House. Incontra dopo dieci anni Leonide Massine direttore artistico del Roxy Theatre che lo coinvolge come scenografo. Negli anni cinquanta realizza, grazie al Comune di Rovereto, il primo museo futurista, consacrazione della sua opera.

Kandinskij, moscovita di nascita, ha i geni russi e tedeschi dei genitori, e quelli degli avi, provenienti dalla Siberia Orientale. Nato in una famiglia colta, segue studi classici e prende lezioni di piano, violoncello e disegno. In seguito frequenta giurisprudenza, ma è interessato all'etnografia. Nel 1889, a Vologda, nel Nord della Russia, studia le credenze e il diritto penale dei komi, e il popolo degli ziriani. In quei luoghi ha una rivelazione: «Nelle loro risbe mi sono imbattuto per la prima volta in questo miracolo, che in seguito divenne uno degli elementi del mio lavoro. Qui ho imparato a non guardare al quadro generale dall'esterno, ma a ruotare intorno a esso, vivere in esso. Quando sono entrato nella stanza, la pittura mi ha circondato, e sono entrato in essa». La mostra accosta sue opere a esempi della cultura popolare, documentando la formazione dell’immaginario visivo dell’artista, fino al 1921, quando si trasferì definitivamente in Germania. I visitatori, con l'ausilio di strumenti multimediali, possono comprendere l’origine e lo sviluppo del codice simbolico di Kandinskij, entrare nei suoi dipinti astratti e percorrerli. Piazza D ella Scala, 6

Vent’anni fa nasceva il Museo Civico “Amedeo Lia”. Per il ventennale, La Spezia onora la memoria di Amedeo Lia con venti capolavori aggiuntivi, giunti da musei che hanno collaborato con il Museo Lia. Opere di Dosso Dossi, Neri di Bicci, Giovanni da Modena, Annibale Carracci, El Greco, Bramantino, Chardin, Panfilo Nuvolone, Matteo Civitali, Jacopo Bassano, Beato Angelico, Gian Lorenzo Bernini, Giulio Cesare Procaccini, Bergognone, Pontormo, Guercino, Ludovico Carracci. Ma anche reperti archeologici o di arti applicate ed opere dal periodo classico, al tardo antico, al Medioevo e al XVIII secolo. Dipinti, miniature, sculture in bronzo, rame, avorio, legno, vetri, maioliche. Non mancano i “primitivi”, con tavole di Pietro Lorenzetti, Bernardo Daddi, Lippo Memmi, Lippo di Benivieni, Lorenzo di Bicci, Barnaba da Modena, Paolo di Giovanni Fei, il Sassetta; tempere e tele di Vincenzo Foppa, Antonio Vivarini, il Bergognone, un probabile Raffaello giovane, Pontormo, Tiziano, Tintoretto, Sebastiano del Piombo, Giovanni Cariani, Gentile e Giovanni Bellini, Bellotto e Canaletto. V ia Prione,234 Tel.0187.731100


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M O S T R E D ’A R T E i n i T

N A PO LI

PIA C EN Z A

RO M A

MUSEO CAPODIMONTE

MUSEO DI ROMA PALAZZO BRASCHI

Dal 10 aprile al 10 luglio 2017

CATTEDRALE DI PIACENZA (PIAZZA DUOMO) MUSEI DI PALAZZO FARNESE (PIAZZA CITTADELLA 29)

PICASSO-PARADE NAPOLI 2017

Dal 4 marzo al 4 giugno 2017

Una importante mostra su Pablo Picasso si terrà ad Aprile 2017 nel museo di Capodimonte a Napoli. Lo ha annunciato il direttore del museo Sylvain Bellenger. Dal Centro nazionale d’arte e di cultura Georges Pompidou di Parigi, il famoso Beaubourg, arriverà a Napoli anche “Il sipario per “Parade” di Pablo Picasso. Sembra che Picasso per il “sipario” fu ispirato proprio da un viaggio a Napoli fatto assieme a Stravinsky in cui visitò Napoli e Pompei. Il quadro fu dipinto nel 1917 durante un periodo in cui si trasferì a Roma e rappresenta un circo con pagliacci, ballerine ed animali. Il quadro, di grandi dimensioni (10,60 x 17,25 metri) sarà esposto nella Sala da Ballo della pinacoteca, assieme ad altre 68 opere di Picasso, tra disegni, pitture e sculture. Il progetto espositivo comprende 68 opere tra sculture, pitture su Pulcinella e disegni. I disegni dei costumi dello spettacolo saranno invece in mostra negli scavi di Pompei, dove, nel Teatro grande, sarà messo in scena Parade, che nel 1917 chiude il Cubismo nato nel 1907 con Les demoiselles d'Avignon, che sarà in mostra a Pompei. L'incontro col sipario di Parade e con il balletto negli scavi di Pompei sarà un evento di alto livello e di grande impatto.

Fino: al 7 maggio 2017

GUERCINO

ARTEMISIA GENTILESCHI E IL SUO TEMPO.

Guercino (Cento, FE, 1591 – Bologna, 1666), che a Piacenza ha lasciato importanti testimonianze, è celebrato con una iniziativa che unisce in un unico percorso il Duomo e Palazzo Farnese. Fulcro della manifestazione è la Cattedrale, la cui cupola ospita il ciclo di affreschi realizzato da Guercino tra il 1626 e il 1627 e che si presenta in tutta la sua bellezza con una nuova illuminazione realizzata da Davide Groppi. Eccezionalmente, durante l’evento, i visitatori hanno la possibilità, quasi unica e irripetibile, di accedere all’interno della cupola del Duomo di Piacenza, per ammirare i sei scomparti affrescati con le immagini dei profeti Aggeo, Osea, Zaccaria, Ezechiele, Michea, Geremia, le lunette in cui si alternano episodi dell’infanzia di Gesù - Annuncio ai Pastori, Adorazione dei pastori, Presentazione al Tempio e Fuga in Egitto - a otto affascinanti Sibille e il fregio del tamburo. Contemporaneamente, la Cappella ducale di Palazzo Farnese accoglie una mostra che presenta una selezione di 20 capolavori del Guercino, in grado di restituire la lunga parabola che lo ha portato a essere uno degli artisti del Seicento italiano più amati a livello internazionale.

Una mostra su una pittrice di prim’ordine che non si limitava a dipingere, ma che seppe declinare la sua abilità tecnica secondo le esigenze dei diversi committenti. La parabola umana e professionale di Artemisia Gentileschi (15931653) può essere considerata come un’anticipazionedell’affermazionedeltalentofemminile, dotata di un carattere e una volontà unici. Un talento che le consentì, prima del suo genere, di entrare all’Accademia delle Arti e del Disegno di Firenze; che le fece imparare, già grande, a leggere e scrivere, a suonare il liuto, a frequentare il mondo culturale in senso lato; una volontà che le consentì di superare le violenze familiari, le difficoltà economiche; una libertà la sua che le permise di scrivere lettere appassionate al suo amante Francesco Maria Maringhi, nobile raffinato quanto tenero e fedele compagno di una vita. La mostra ripercorre vita e opere dell’artista: circa 100 opere in un confronto serrato tra l’artista e i suoi colleghi, frequentati, a Roma, come a Firenze, ancora a Roma e infine a Napoli, con quel passaggio veneziano di cui molto è da indagare, così come la breve intensa parentesi londinese.


A l i A E f u O R i c O nf inE

RO M A

T O R IN O

T R EV ISO

PALAZZO DELLE ESPOSIZIONI

MUSEO NAZIONALE DELLA MONTAGNA

MUSEO NAZIONALE COLLEZIONE SALCE

Fino: al 17 aprile 2017

Dal 9 aprile al 2 luglio 2017

FEDERICO COLLINO TRA MUSICA E PITTURA

LA BELLE EPOQUE.

A Federico Collino (Pinerolo, 1869 - Torino 1942), musicista compositore, esecutore e direttore d'orchestra, ma anche valente pittore, il Museo della Montagna, in collaborazione con la Società Storica delle Valli di Lanzo, dedica questa mostra antologica. Esposte circa 60 opere per lo più dedicate ai paesaggi delle Valli di Lanzo, selezionate all'interno di un corpus di trecento tra disegni, pastelli e olii, realizzati da Collino a partire dal 1896, da «Interno di borgata» alla luminosa tavola «Nel prato». In mostra rasserenanti disegni, pastelli e quadri come «Piazza San Carlo di notte» e «Usseglio, prima della processione». Quest’ultimo, è pubblicato sulla copertina del 133° volume della Società Storica delle Valli di Lanzo accompagna la mostra con le sue 334 illustrazioni. Presente alle rassegne del Circolo degli Artisti, Collino ha descritto il paesaggio di Usseglio. Tra le opere, «La vecchia parrocchiale di Usseglio» e il «Ponte del Diavolo», le vedute del Cervino, del Lago di Malciaussia e dei prati verso Lemie, le strade innevate e fiori, nature morte e il delicato ritratto della moglie Tilde.

Illustri persuasioni. Capolavori pubblicitari dalla Collezione Salce. Il progetto inaugurale del Museo nazionale Collezione Salce propone una selezione della raccolta, articolata in tre momenti espositivi: 1. La Belle Epoque, 2. Tra le due guerre, 3. Dal secondo dopoguerra al 1962. Il primo evento, La Belle Epoque, rinnova i fasti di un’epoca che fu l’age d’or del cartellonismo, con le immagini che tappezzarono i muri delle città, dalla Parigi dei café fino alla Treviso di Nando Salce. In mostra le pattinatrici di Jules Chéret, le ballerine di Leonetto Cappiello, le figure di Alfonse Mucha, le dame alla moda di Terzi, di Villa, di Mazza. Sarà illustrato anche il cartellonismo italiano dove i decori floreali e i linearismi convivono con figure accademiche. Presente anche il linguaggio germanico, coi capolavori della Secessione Viennese, da Kolo Moser ad Alfred Roller, e con le declinazioni italiane di Magrini, Anichini, Bonazza. Esposti anche calendari, locandine, latte serigrafate, e una selezione di foto storiche

Dal 4 marzo al 18 giugno 2017

GEORG BASELITZ. EROI

La mostra, a cura di Max Hollein e Daniela Lancioni, documenta un periodo dell’attività di Georg Baselitz, celebre artista europeo. Nato in Sassonia nel 1938 e formatosi nella ex Repubblica Democratica Tedesca, si trasferì nella ex Repubblica Federale Tedesca nel 1958, dove tra il 1965 e il 1966 realizzò la serie degli Eroi. Sono combattenti, partigiani, vittime della guerra, in cui la figura dell’eroe perde l’immagine positiva lasciando il posto alla fragilità, precarietà, contraddittorietà, persino fallimento. Colossi in divise lacere si ergono frontali, su uno sfondo di macerie, feriti e vulnerabili. Il loro aspetto è marziale e nel contempo delicato. Alla metà degli anni Sessanta, ignorando l’avanguardia che bandiva l’espressione pittorica, Baselitz ha indagato il tema della dissoluzione dell’ordine che nel passato si era pensato governasse sia la sfera ideologica e politica, sia quella estetica. Con i suoi Eroi, l’artista ha svelato la natura del presente, dando immagine alla tragicità, scardinando i miti del passato e compromettendo l’ottimismo del miracolo economico postbellico. “Negli Eroi”, scrive Max Hollein nel catalogo, “risiedono il simbolo dell’adolescenza e le tematiche del dolore, della consapevolezza della propria colpa, della ribellione e della speranza in un mondo concepito come estraneo, sbagliato o mutilato”.


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M O S T R E D ’A R T E i n i T

V EN EZ IA

V ER BA N IA

FR A N C IA - PA R IG I

PALAZZO DUCALE – APPARTAMENTO DEL DOGE

MUSEO DEL PAESAGGIO

MUSEO D’ORSAY

Dal 25 marzo al: 1 ottobre 2017

Dal 14 marzo al: 25 giugno 2017

JHERONIMUS BOSCH

I VOLTI E IL CUORE La figura femminile da Ranzoni a Sironi e Martini

AL DI LA’ DELLE STELLE – IL PAESAGGIO MISTICO

A Venezia una mostra su Bosch, pittore enigmatico, vissuto fra il 1450 circa e il 1516. Per il cinquecentenario della sua morte, è stato ricordato con due mostre monografiche, nella città natale di Boscoducale e a Madrid (Prado). Punto focale dell’esposizione veneziana sono due trittici e quattro tavole, conservati a Venezia (Gallerie dell’Accademia). Queste tavole sono state sottoposte ad intervento di conservazione e restauro, che non solo ha restituito leggibilità alle opere, ma ha evidenziato nuovi indizi che sono fondamentali per riguardare e ripensare le questioni relative alle origini ed al significato. E’ fondamentale, in questa prospettiva, la testimonianza di Marcantonio Michiel, che cita tre opere del Bosch nella collezione del Cardinale Domenico Grimani definendole opere con mostriciattoli, incendi e visioni oniriche. Sono queste le caratteristiche apprezzate dai collezionisti veneziani e (Nord) italiani, come documentano alcuni dipinti di stretti seguaci del Bosch tuttora presenti nelle collezioni veneziane, presenti in mostra. Inoltre, verrà presentato un contesto del collezionismo veneziano di opere di Bosch “e dintorni” nella Venezia del primo Cinquecento, con una attenzione speciale per la figura di Domenico Grimani.

Curata da Elena Pontiggia, la mostra comprende circa ottanta opere ed analizza, attraverso le collezioni del Museo del Paesaggio di Verbania, affiancate ad opere di Mario Sironi della raccolta Isolabella e di Cristina Sironi, sorella dell’artista, il ruolo e la presenza della donna nella pittura e nella scultura dalla fine dell’Ottocento alla prima metà del Novecento. Il percorso espositivo inizia dai ritratti femminili “dipinti col fiato” di Daniele Ranzoni, maestro della Scapigliatura, di cui il Museo del Paesaggio possiede diversi ritratti femminili, cui seguono sei sezioni iconografiche: I LUOGHI DELLA VITA: la casa, il giardino, la via, la stalla; GLI AFFETTI: l’amore e la maternità; FIGURE DELLA STORIA, LA RELIGIONE, IL LAVORO, IL NUDO. La mostra prosegue con una sezione dedicata a due artiste, la simbolista Sophie Browne e Adriana Bisi Fabbri, protagonista nel 1914 del gruppo futurista "Nuove tendenze”. Seguono tre sezioni dedicate a tre maestri: Arturo Martini, Mario Tozzi e Mario Sironi. Un percorso di grande fascino, tra figure femminili dipinte o scolpite che hanno segnato il passaggio tra la fine dell’Ottocento e la metà del Novecento..

ll misticismo ha interessato, nel corso dei secoli, artisti e pittori del calibro di Monet e Kandinsky. Al misticismo sono legati temi quali la luce e la notte. Il Musée d’Orsay di Parigi riunisce in questa rassegna le opere legate a queste tematiche. Esposte le opere di Gauguin, Denis, Monet, Hodler, Klimt, Munch, Van Gogh, tutti artisti che hanno cercato di rendere visibile le credenze e le superstizioni mistiche. Opere con le quali immergersi in una dimensione che va al di là delle apparenze, superando la realtà materiale per giungere al mistero dell’esistenza, sperimentando l’oblio dal proprio corpo per unirsi alla perfezione del cosmo . Tutti concetti che caratterizzano il misticismo, fenomeno spirituale comune a tutte le religioni, su tutti i continenti. Questa mostra riconosce la presenza del fenomeno nelle opere d’arte del simbolismo occidentale del XIX secolo, eleggendo gli artisti al ruolo di asceta.

Fino al 4 giugno 2017


A l i A E f u O R i c O nf inE

SV IZ Z ER A – C H IA SSO

IN G H ILT ER R A – LO N D R A

SPA G N A -M A D R ID

M.A.X.

N ATI ON AL MA RI TI ME MUS EUM

MUSEO THYSSEN-BORNEMISZA

Fino al 7 maggio 2017

Fino al 17 aprile 2017

Fino al 28 maggio 2017

J OHA NN JOACHIM WINCKELMANN (1717–1768)

Em ma H amilton : Sed uction and Celebrity - National Maritime Museum

Capolavori di Budapest. Dal Rinascimento all’Avanguardia

Il M.A.X. museo di Chiasso celebra, a trecento anni dalla nascita, Johann Joachim Winckelmann (1717–1768), grande studioso della cultura classica, teorico e padre della disciplina della storia dell’arte. Il percorso espositivo ruota attorno a un’opera fondamentale di Winckelmann: Monumenti antichi inediti (1767), in cui l’autore affianca alle descrizioni dei “Monumenti” le immagini grafiche degli stessi. Si tratta di 208 splendide tavole incise, tutte siglate, affidate ad artisti di chiara fama che Winckelmann sceglie e paga di tasca propria. La mostra presenta tutte le 208 tavole incise contenute nell’editio princeps del 1767 in due volumi e nei relativi manoscritti preparatori. In più, 20 matrici in rame, 14 prove di stampa, ritratti di Winckelmann, dipinti e tre reperti archeologici provenienti dal Museo Archeologico di Napoli, tra cui un lacerto di una pittura romana di Pompei. Con i “Monumenti antichi inediti” si assiste all’avvio di un nuovo metodo di studio, in cui narrazione e illustrazione godono di un rapporto del tutto paritario.

A Londra una mostra dedicata a Emily Lyon, nota come Emma, Lady Hamilton (1765–1815), un'avventuriera inglese nota come amante dell'ammiraglio Horatio Nelson. Viene documenta la sto-

La pinacoteca della capitale spagnola presenta, durante la primavera del 2017, una selezione di oltre 60 opere provenienti dalla collezione perma-

ria di questa donna, influente anche

nente del Museo delle Belle Arti di Bu-

politicamente, soprattutto a Napoli,

dapest, con veri e propri gioielli d'arte.

in quanto confidente della regina Maria

Esposti dipinti di artisti come Dürer e

Carolina. In un'epoca in cui le barriere

gli italiani Raffaello e Leonardo da

sociali erano rigidissime, la Hamilton

Vinci, per la gioia di visitatori sia spa-

ha abbattuto barriere sociali, culturali

gnoli che stranieri. Grazie al fatto che

e politiche. Oltre 200 opere ripercor-

il museo ungherese sarà chiuso fino al

rono la vita della donna, dalla nascita

marzo 2018 per ristrutturazione, il

nei sobborghi poveri della periferia in-

Thyssen ospita i pezzi più importanti

glese, ai fasti della corte reale di Napoli, fino alla morte, in solitudine e povertà a Calais. Esposti straordinari oggetti d'arte: oggetti

di antiquariato, co-

stumi, vestiti, gioielli, parrucche, lettere indirizzate a Nelson e a William

del Szépművészeti Múzeum, fondato nel XIX secolo. In questo istituto sono presenti opere di pittura antica e moderna, opere su carta e sculture. A Madrid potremo ammirarne alcune di vari

Hamilton, quadri e caricature che la

artisti, tra cui Hans Memling, Annibale

ritraggono e che mostrano l’influenza

Carracci, Nicolas Poussin, e il grandis-

che la Hamilton ebbe sulla moda e

simo Giovanni Battista Tiepolo.

suoi costumi del tempo.


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Mario Esposito

I

l mondo di Mario Esposito è un gioco di immaginazione continua, che mette alla prova il nostro senso creativo, stimolandone di volta in volta le capacità di associazione, introspezione, condivisione. C’è, nella volontà dell’artista, la capacità del narratore che, originando un mondo irreale e suggestivo, conduce sulle porte del sogno per poi lasciare liberi gli os-

servatori di decidere quale sia la direzione da scegliere al bivio. È così che nascono i suoi Piccolini, frammenti di storie vissute o immaginate, tessere da ricomporre in base alla propria esperienza emotiva. Cresciuto a stretto contatto con gli ambienti romani legati all'astrattismo geometrico prima e alla fase più intimistica della pop art italiana poi, Mario Esposito riverbera nella propria ricerca formale la lezione

teatrale del più fine Perilli segnico, di cui amplifica la plasticità mediante la scomposizione in formelle narrative, puntuali e delicate. Architetture e figurazioni, rigorose e surreali al contempo, danno volto a un'indagine strutturale che si realizza nel concetto della variazione sul tema, sua più diretta e riconosciuta cifra stilistica: l'assoluta ricchezza esecutiva è indotta dalla passione e dallo studio attento della


storia dell'arte a lui più prossima, laddove ancora l'influenza della scuola romana si faccia promotrice di intime riflessioni sulle stagioni dell'esistenza e sui cambiamenti che questa comporta. A queste, Esposito unisce inoltre un'attenzione familiare a certe materie plastiche e acriliche assolutamente contemporanee, segno evolutivo e tangibile di un passaggio di consegne da una pittura storicizzata a una

di più coevo riscontro: gli aggetti pittorici, ormai assimilati a moderne qualità di smalto visive e tattili, modificano lo spazio vitale dell'opera e ne movimentano la composizione a vantaggio di una loro più completa percezione. L’operare mette in luce le vere intenzioni dell’artista: nel permettere al fruitore di intervenire direttamente sulla composizione dell’opera Esposito riconosce all’arte

la capacità di permettere alle persone di entrare in relazione. Se, come sosteneva Heidegger, il senso dell’essere nel mondo dell’uomo è il prendersi cura, l’arte di Mario Esposito trattiene, in tratti delicati e leggeri, il profondo significato della vita. Francesca Bogliolo


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Mario Esposito artista in permanenza presso:

INFO:

Galleria Wikiarte di Deborah Petroni Via San Felice, 18 40122 Bologna www.wikiarte.com

marioespo@gmail.com www.marioesposito61.it Facebook: me61 cell. 339 6783907


MAURIZIO SALETTI - MAUS MOSTRA PERSONALE ALLA GALLERIA D’ARTE LA TELACCIA BY MALINPENSA

DAL 19 AL 28 APRILE 2017 “TERZO MILLENNIO, CONCETTI D'ARTE“

“C oncezione geom etrica 5” - 2015 - acrilico su tela - cm . 70 x 70

“E’ un percorso, quello dell’artista Maurizio Saletti, in arte MAUS, che nasce da una sintesi essenziale del disegno e da un’attenta resa strutturale in cui il dinamismo del tratto si rivela energia compositiva ed ampia libertà di ideazione. L’armonia, la luce e la prospettiva coesistono, all’interno del dipinto, in perfetta simbiosi e sviluppano una pittura assolutamente personale di notevole processo creativo. Le forme, che emergono ben circoscritte in un tessuto pittorico altamente scenico, rendono tangibili i volumi e conferiscono all’opera un linguaggio universale; il suo è un perfetto equilibrio strutturale capace di cogliere la vera essenza di inventiva. Spazio e colore, creando un gioco incisivo e luminoso, producono una mirabile congiunzione simbolica che domina costantemente i suoi dipinti. Il discorso tecnicomaterico dell’acrilico, su medium density o tela, che rende vitale ogni sua composizione, si unisce ad una lineare descrittiva dove linee e cromie illuminano la superficie di luce e di evidente potenza espressiva. Il segno rigoroso, l’espressività cromatica e la funzione simbolica, dominante nell’opera di MAUS, raggiungono una propria interpretativa, che solidamente espressa, vibra di una moderna esecuzione ed evidenzia un concetto profondo di studio e di contenuto. L’artista agisce sulla composizione aprendo un descrittivismo d’avanguardia, sempre coerente, in cui la componente astratto-geometrica, in continua evoluzione, rende tutte le sue opere intrise di analisi, sentimento ed inconfondibile personalità. E’ una pittura suggestiva la sua, dove la visione chiaroscurale si esprime magistralmente nel dipinto con una finezza d’esecuzione ed una visibile eleganza di sintesi”. Monia Malinpensa

MOSTRA, DEPLIANT E PRESENTAZIONE CRITICA A CURA DI MONIA MALINPENSA REFERENZE E QUOTAZIONI PRESSO LA GALLERIA D’ARTE LA TELACCIA BY MALINPENSA La Telaccia by Malinpensa - Via Pietro Santarosa 1 - 10122 Torino Tel/Fax +39.011.5628220 +39.347.2500814 - +39.347.2257267 www.latelaccia.it - info@latelaccia.it O R A R IO G A LLER IA :D A L LU N ED I A L SA BAT O D A LLE 15,00 A LLE 19.00


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CON IL PATROCINIO DELL’AMBASCIATA ITALIANA NEL PRINCIPATO DI MONACO

Ambasciata d’Italia nel Principato di Monaco


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SiLvAnA GATTi

“Mare mosso al tramonto” – 2016 - Olio su tela – cm. 70 x 50

L’artista sarà presente con alcune sue opere a

Lucca, Polo Fiere | Dal 5 all’8 maggio 2017 Presso lo stand della Galleria Ess&rrE di Roma S I LVA N A G AT T I - P I TT R I C E F I G U R AT I VA & S I M B O L I S TA V I A L E C A R RU ’ N ° 2 - 1 0 0 9 8 R I VO L I ( TO ) h t t p : / / d i g i l a n d e r. l i b e r o. i t / s i l v a n a g a t t i e m a i l : s i l v a n a m a c @ l i b e r o. i t



EZIO CAMILLETTI MOSTRA PERSONALE ALLA GALLERIA D’ARTE LA TELACCIA BY MALINPENSA

DAL 4 AL 13 MAGGIO 2017 “L’INCANTO DELLA MATERIA VIVE DI UN’INDAgINE STRAORDINARIA“

“Esplosione” - V ariante K o. K ey da m atrice K o. K ey - Stam pa digitale in H D su carta fotografica con supporto rigido riquadrato - M atrice originale 1974 - Elaborazione finale - 2016 - cm . 90 x 90

“L’arte di Ezio Camilletti è corredata da un senso di innata ricerca e di indagine ricorrente sulla materia, osservata e rivelata attentamente con strumenti idonei, evidenziandone un’inventiva di aspetto altamente suggestivo, di notevole interesse e di qualità estetico-visiva. La forza interpretativa, la raffinatezza formale e l’eleganza del movimento filtrano magistralmente dalle sue opere con una espressività costante che ci affascina particolarmente. E’ un iter serio ed impegnato, quello dell’artista Ezio Camilletti, sia sotto il profilo del pensiero che della tecnica. Egli, poeta dell’immagine, ci propone un’arte dall’autentico studio e dall’evidente risonanza di descrizione. Notevole la sperimentazione e la creazione in cui la leggerezza e la sublimazione della materia si rivelano agli occhi dell’osservatore. I giochi di colori sovrapposti creano un impianto straordinario mentre le luci, che si caricano di emozioni e di sensazioni continue, delineano un iter assolutamente unico e prezioso. La forza interiore lo conduce a realizzare un’armonia compositiva non comune; legato a questo filone, Camilletti interpreta un insieme di proprietà formali e cromatiche in movimento e in continua evoluzione, e lo fa con una personale e precisa ricerca e cultura artistica. La pura innovazione ci introduce in una dimensione astratta e dinamica, intesa ad inventare un nuovo linguaggio originale di alta potenza e valori contenutistici”. Monia Malinpensa

MOSTRA, DEPLIANT E PRESENTAZIONE CRITICA A CURA DI MONIA MALINPENSA REFERENZE E QUOTAZIONI PRESSO LA GALLERIA D’ARTE LA TELACCIA BY MALINPENSA La Telaccia by Malinpensa - Via Pietro Santarosa 1 - 10122 Torino Tel/Fax +39.011.5628220 +39.347.2500814 - +39.347.2257267 www.latelaccia.it - info@latelaccia.it O R A R IO G A LLER IA :D A L LU N ED I A L SA BAT O D A LLE 15,00 A LLE 19.00


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Le catacombe cristiane: Un Mondo da scoprire di Francesco Buttarelli

Le catacombe di Roma si sviluppano per 150 chilometri e annoverano al loro interno circa 750.000 tombe.

Q

-uando ognuno di noi

sente parlare di catacombe, la mente tende ad evocare cimiteri, per lo più cristiani, situati in gallerie sotterranee. Questi luoghi derivano il nome dall’espressione latina “ad catacumbas“, termine con il quale si designava la zona della chiesa di San Sebastiano e del cimitero sotterraneo ad essa annesso, ove furono traslate nel 258 le spoglie degli apostoli Pietro e Paolo. Studi recenti confermano che le catacombe furono adottate come sepoltura dai cristiani fra il I e il IV secolo, ma vennero utilizzate anche come luoghi deputati ad incontri o momenti di culto. Per entrare nel contesto misterioso ed affascinante di questa breve trattazione, riporto una precisa testimonianza che ci giunge da uno scritto di San Girolamo, importante autore cri-

stiano vissuto tra il IV e il V secolo, quando ancora studente, si recava insieme ai suoi compagni di studio a visitare le tombe dei martiri presenti nelle catacombe. “Entravamo nelle gallerie, scavate nelle viscere della terra, completamente ricoperte dalle sepolture e così oscure che sembrava si realizzasse il motto profetico: discendendo vivi nell’inferno, rare luci,provenienti dall’esterno sopra il terreno, attenuavano un poco le tenebre, ma il chiarore era talmente debole che sembrava giungere da uno spiraglio e non da un lucernaio, si procedeva adagio, un passo dopo l’altro completamente avvolti nel buio, tanto che veniva in mente il verso virgiliano: gli animi sono atterriti dall’orrore e dal silenzio”. Dunque luoghi bui e oscuri, apparentemente misteriosi, scavati nella nuda terra, a volte ricca-

mente decorati, talora invece spogli, in cui le gallerie per decine, centinaia di metri, si sviluppano in complicati intrecci, persino su più piani. Va evidenziato che le catacombe non furono soltanto cimiteri cristiani. Le prime comunità cristiane seppellivano i defunti nelle stesse aree cimiteriali dei pagani loro vicini di casa , cioè lungo le vie che si snodavano all’esterno dell’area cittadina. A partire dalla fine del II secolo, le comunità cristiane si diedero una dimensione organizzativa più ampia dotandosi di propri cimiteri, divisi da quelli del resto della popolazione. Lo sviluppo delle catacombe fu anche possibile grazie alle donazioni di terreni che ricchi personaggi di provata fede cristiana elargivano alle comunità dei fedeli. Molto probabilmente il nome delle più importanti cata-


Luoghi bui e oscuri, apparentemente misteriosi, scavati nella nuda terra, a volte riccamente decorati, talora invece spogli, in cui le gallerie per decine, centinaia di metri, si sviluppano in complicati intrecci, persino su più piani.

combe romane deriva dai benefattori che ne consentirono sviluppo ed ampliamento. Le catacombe di Callisto prendono nome dal fatto che esse furono aperte a opera di Callisto, un liberto che svolgeva il compito di tesoriere della grande comunità cristiana di Roma e che più tardi diventò Papa e insieme ad altri papi fu sepolto nelle catacombe. Come ho precedentemente affermato, le catacombe non furono soltanto un rifugio per i cristiani perseguitati, non è immaginabile che migliaia di persone potessero trascorrere mesi in ambienti sotterranei privi di acqua, luce ed aria e probabilmente con scarso cibo. Inoltre, le catacombe si trovavano posizionate a ridosso delle principali strade non in luoghi perfettamente nascosti, e spesso le autorità ne erano a conoscenza. Ad onore della storia va inoltre ricordato che le persecuzioni che colpirono i cristiani furono in trecento anni soltanto tre; troppo poche per giustificare la na-

scita e l’estensione delle catacombe. Gli storici suggeriscono l’ipotesi che le grandi comunità cristiane vollero darsi luoghi di sepoltura che ponessero in evidenza il concetto di comunità, sfruttando il terreno e disponendo le tombe orizzontalmente nelle pareti delle gallerie, creando più piani sovrapposti. L’economia del tempo ci dice che i terreni vicini alle città erano i più costosi poiché facilmente raggiungibili da parenti dei defunti. Tombe finanziate dalle comunità. Le catacombe di Roma si sviluppano per 150 chilometri e annoverano al loro interno circa 750.000 tombe. Va inoltre ricordato che dove le condizioni dei terreni lo permettevano si scavarono catacombe anche a Napoli, Siracusa e in Provenza. Con il trascorrere del tempo le sepolture nelle catacombe somigliarono sempre più a quelle dei moderni cimiteri, con settori di gallerie riservati alla tumulazione di singole famiglie. Nelle catacombe, durante le

sepolture si svolgevano veri e propri riti funebri: preghiere, canti, banchetti, un misto di tradizione cristiana e pagana. L’uso delle catacombe come un luogo di sepoltura andò scomparendo del corso del V secolo anche a causa del calo demografico. Successivamente,tra il IX e X secolo gran parte della catacombe finirono per essere abbandonate anche a causa de mutamenti storici del periodo che rendevano insicuri i luoghi tanto che molte sepolture vennero trasferite all’interno delle chiese. Una vera e propria riabilitazione delle catacombe si ebbe nel XVI secolo in coincidenza della Controriforma della Chiesa di Roma in opposizione alla Riforma Protestante. Visitare le catacombe di Roma vuol dire compiere un viaggio nella storia, nell’arte, nella fede e nella tradizione tenendo conto di iscrizioni, disegni e testimonianze avvolte di misterioso fascino. Appare doveroso e scontato, giunti al termine della trattazione, effettuare un “viaggio”


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Le catacombe vennero scavate nel tufo a partire dal II secolo fino al V secolo, quando raggiunsero la struttura definitiva che si sviluppa complessivamente per più di 13 chilometri di cunicoli e gallerie sotterranee.

nelle catacombe di Priscilla lungo la via Salaria. L’ingresso si trova di fronte a Villa Ada, in Roma. L’origine del nome è da attribuirsi, con molta probabilità, al nome della donna che donò il terreno per la realizzazione dell’area sepolcrale, o della sua fondatrice. Nel luogo è conservata un’ iscrizione funeraria relativa ad una “Priscilla” imparentata con la famiglia senatoria degli “Acilii”. Le catacombe vennero scavate nel tufo a partire dal II secolo fino al V secolo, quando raggiunsero la struttura definitiva che si sviluppa complessivamente per più di 13 chilometri di cunicoli e gallerie sotterranee. In tempi antichi ebbe l’appellativo di “Regno delle catacombe” per il numero elevato di martiri sepolti. Nell’indice degli antichi cimiteri cristiani di Roma (index cometeriorum) le catacombe sono anche indicate come “cimitero di Priscilla e San Silvestro”, dal nome della basilica costruita nel IV secolo sul luogo di sepoltura dei martiri Felice e Filippo. Durante le persecuzione del III e IV secolo le catacombe accolsero le

spoglie di numerosi martiri tra i quali un papa: San Marcellino. Successivamente vennero inumati altri sei papi: San Marcello, San Silvestro, Liberio, San Siricio, San Celestino I e Vigilio. Risulterebbe arduo trattare e descrivere tutti i luoghi di queste splendide catacombe, tuttavia vale la pena di ricordare “il cubicolo della velata”, che risale al III secolo e prende il nome da un affresco, molto ben conservato, di una lunetta che rappresenta una donna velata in atteggiamento di preghiera, con le braccia volte in alto, la donna, quasi sicuramente sepolta nel luogo e anche raffigurata nei vari momenti importanti della sua vita: il matrimonio e la nascita di un figlio. Continuando il percorso nel cubicolo troviamo volte affrescate con scene di episodi dell’antico testamento, mentre al centro del soffitto un rassicurante affresco del buon pastore che reca un capretto sulle spalle. Altro luogo da evidenziare è la “cappella Greca”, divisa in due parti da un arco con decorazioni pittoriche in stile pompeiano risalenti al II secolo. Le immagini

rappresentano episodi dell’Antico e Nuovo testamento. Colpiscono il visitatore “la Resurrezione di Lazzaro e la Guarigione del paralitico”. Seguono affreschi “Daniele fra i leoni, Susanna insidiata dagli anziani, Mosè che fa scaturire l’acqua dalla roccia e i tre ebrei nella fornace”. Conclude il ciclo una raffigurazione di un banchetto eucaristico dove sono presenti diversi uomini ed una sola donna. Continuando il percorso si incontra una nicchia con l’immagine di un “Gesù bambino con Madonna”. Tornando fuori, sopra le catacombe troviamo la basilica e il monastero che Papa Silvestro fece erigere nel IV secolo. L’opera, progressivamente caduta in rovina venne dimenticata fino al 1890 quando vennero ricomposti i resti e a partire del 1906 venne ricostruita sulle strutture murarie antiche portando a compimento una nuova basilica modellata sulla precedente.


claudio Alicandri

Omaggio alla Fotografa Francesca Di Mario alla Modella Sara Matteucci “ PASSIONE “ Tecnica mista con colori metallici 100x70 anno 2017

Lo Studio ClaSil Vi ringrazia per seguirci con affetto...... Claudio & Silvio

Via Santa Rita da Cascia, 40 - 00133 Roma Cell. 368 3148296 - c.alican@alice.it


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G ran C affè storico letterario

G iubbe R osse L’em ozione dei C O LO R I nell’arte di

Fabio G uglielm i 22 aprile – 14 m aggio 2017 Piazza della R epubblica 2 – Firenze

“Fauno” - 2017 - cm 70 x 60

“Terramadre” - 2017 - cm 60 x 80

Predisporsi all'opera di Guglielmi significherà fare silenzio dentro sé, accettare di commuoversi, ridere e indignarsi, smarrirsi, piangere e ritrovarsi nelle proprie emozioni, nell'energia vitale che – sangue invisibile – fluisce come sorgente nel cuore dell'anima. E sarà dolce, amara, senza fine, abbondante e deliziosa. (Alberto Gross)

50055 - Lastra a Signa - fraz. Ginestra Fiorentina - FI Via Gavignano, 9 - Cell. 347 8020108


MOSTRA D’ARTE "RACCONTARSI" DAL 15 AL 24 MAGGIO 2017

G IU SEPPE A M O R O SO D E R ESPIN IS -A N TO N IO ATZERI M ATTEO C IA M PIC A -STEFA N O PIG N ATO TesticriticidiM onia M alinpensa

G IU SEPPE A M O R O SO D E R ESPIN IS

A N T O N IO A T Z ER I

“Guardando le opere del“C’è un senso di afl’artista Antonio Atzeri si rifascinante mutamenmane magicamente perto nell’immagine invasi dalla sua pittura perterpretativa pittorica ché è ottenuta mediante dell’artista Giuseppe un’originalità ed un’abilità Amoroso De Respinis; interpretativa tutta particoegli riesce a trasporlare e molto suggestiva che tarci in un mondo merita, da parte dell’ossertotalmente suo, pervatore, un’attenta analisi. sonale, in cui il sogSono opere concepite con getto, particolarmenuna verità umana, ritmo te suggestivo, evicompositivo e rilevante imdenzia un ragionato mediatezza che Atzeri ote unico espressionitiene con un’intensa figusmo. Nella sua rearazione carica di poesia, inlizzazione pittorica, timo sentimento e maturità sia i valori contenutiartistica. La figura umana e stici che quelli simsoprattutto quella femmibolici, sono di notenile, fortemente sentita dalvole resa tecnicol’artista con rispetto e formale e di riconoprofondità d’animo, trova scibile stato poetico; nel suo operare una perso“Paesaggio Estivo” -2016 essi creano un’atnale visione pittorica ed una acrilico su tela cm 80 x 90 mosfera suggestiva, vibratilità interiore di notericca di personalità e di sentimento. ll colore dell’acrilico su tela, di evi“Figura fem m inile seduta che saluta” vole espressiva. Il legame dente logica estetica ed abile stesura tecnica, è sostenuto da una co2016 -acrilico su m asonite cm 70 x 50 di Atzeri con la figura stante e fondamentale ricerca”. umana è evidente e denota una sensibilità che ci affascina”.

M A T T EO C IA M PIC A “L’artista Matteo Ciampica riesce a conferire all’opera, con un suo linguaggio molto personale e contenutistico, un linguaggio simbolico e ricorrente nel quale il soggetto si illumina di esistenza umana, valori spiri“A phonia 22” -2016 -olio su tela -60 x 80 tuali e vitalità artistica. E’ un’e- laborazione di notevole impegno che viene interpretata e descritta con intensa sensibilità e significati dell’arte pittorica che si materializzano sulla tela con una costruttiva caratterizzante. Le accensioni dei rossi, dei gialli e dei blu donano magistralmente all’opera un’assoluta incisività tanto da tramutare l’espressione cromatica in vero sentimento ed emozione continua. Sono alberi che si umanizzano e che prendono mirabilmente vita attraverso un pregnante discorso pittorico da cui emerge lo stato d’animo dell’autore”.

ST EFA N O PIG N A T O

“La caduta deisoli” -2016 -acrilico su tela -cm 120 x 80

“Nelle opere dell’artista Stefano Pignato appare una visione cromatica ricca di intensa azione, di chiara identità e di evidente stile; ed è in questa panoramica che egli concretizza simboli geometrici e volumi, espressi con un rinnovato linguaggio, in un rapporto di progettazione e di qualità significativo. I colori, che vanno dal giallo al blu al rosso, ci seducono e danno all’opera un ritmo ed un equilibrio unico in cui l’evidente preziosità del tratto segnico e la magistrale luce sono sempre ben calibrate e fanno sì che le composizioni riscuotano interesse”.

REFERENZE E QUOTAZIONI PRESSO LA GALLERIA D’ARTE La Telaccia by Malinpensa - Via Pietro Santarosa 1 - 10122 Torino Tel/Fax +39.011.5628220 +39.347.2500814 - +39.347.2257267 www.latelaccia.it - info@latelaccia.it O R A R IO G A LLER IA :D A L LU N ED I A L SA BAT O D A LLE 15,00 A LLE 19.00


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Nel segno della Musa Le interviste diM arilena Spataro

“Ritratti d’artista” Maestri del '900

In viaggio verso l’eterno ritorno.

Le sculture di Sergio Zanni marilena.spataro@gmail.com

N

on ha mai amato stare sotto i riflettori. Schivo e riservato nella vita privata come nel suo essere artista, Sergio Zanni, ferrarese, classe 1942, è oggi uno dei più interessanti scultori del mondo dell'arte contemporanea, ciò non solo per l'intensità, originalità e pregnanza del suo linguaggio formale, ma anche, e soprattutto, per la profondità del pensiero che sottende alle sue opere. Scrive di lui Sandro Parmiggiani «si ritiene, Zanni, e lo dichiara espressamente, uno degli esponenti della cultura “perdente”: noi che amiamo e apprezziamo le sue opere, possiamo dire che così non è, che lui ha invece saputo vedere e dare forma alle verità, spesso amare e dolorose, che ci stanno attorno, mentre molti distoglievano lo sguardo, in “balocchi e profumi” ed altre perso-

nali faccende affaccendati. Zanni è stato un inesausto esploratore della condizione umana: i suoi uomini, ancorchè immaginari, sono veri, sono gli emblemi delle fatiche, delle durezze, delle illusioni cadute dell'autentica vita delle persone dentro il presente». Del suo percorso artistico e della sua visione esistenziale è lo stesso Sergio Zanni a parlarcene Nascere e vivere a Ferrara, città colta e di tradizione rinascimentale, ha contribuito a renderla un artista? «In passato l'arte era legata all'identità del territorio. Nel mondo della globalizzazione le culture, quantomeno in Occidente, ma sempre più in tutto il mondo, hanno perso l'identità territoriale. Laddove il passato ha lasciato

ancora forti segni così come nella città di Ferrara, penso che, in maniera più o meno inconscia, si vengano a determinare influenze e, quindi, che queste si avvertano anche nei miei lavori. Che, però, si possa diventare artisti in quanto nati a Ferrara, mi sembra improbabile». Le sue sculture sono concepite più con la mente o più con il cuore. Quanto di lei è presente in esse? «A questa domanda si rischia di rispondere con semplificazioni del tipo: l'Illuminismo e il Romanticismo erano una estremizzazione di pensieri che invece di essere contrapposti dovevano trovare un equilibrio. Oppure: Leopardi pensava che la filosofia era facile e crudele senza la poesia. Quindi la mia risposta


“Il tuffatore”

“Il corvo”

è che mente e cuore debbano armonizzarsi dando vita a quella cosa poco definibile che è l'ispirazione, la quale può riguardare il mondo visto unicamente attraverso il filtro della mia sola esistenza». Soprattutto in passato tra i suoi soggetti ricorrenti c'erano dei viandanti, quasi dei pellegrini, dove sono diretti? Poi ci sono i kamikaze e i budda... «I miei viandanti non sanno dove vanno, ma sanno da cosa se ne vanno. Il viandante, a differenza del viaggiatore, non ha un inizio né una fine, è il viaggio in sé. Prima dei viandanti vennero i palombari, gli oblomow, i portatori di guerra, i guerrieri, poi arrivano i kamikaze e qualche orientale un po' budda. Il mio Oriente è visto da un oc-

cidentale spaesato, perchè l'Occidente lo ha reso scettico, senza trascendenza, con l'angoscia del nichilismo strisciante. Il kamikaze giapponese aveva, invece, tutt'altri problemi...». Qual è la connotazione esistenziale del viandante e, in genere, dei personaggi delle sue opere ? «L’idea del ciclo del viandante è nata più o meno inconsciamente, è stata un’idea importante, perché si tratta di lavori che sono un po’ dei prototipi, dei segni di un passaggio culturale. Facendo una loro lettura successiva ho capito che l’idea da cui sono nati corrisponde a quella del viandante di Nietzsche: con la morte di Dio non c’è più un riferimento, per cui siamo un po’ abbandonati a noi stessi. Per me il viag-

gio è anche un modo di andar via, di sfuggire da questo processo di omologazione che ci coinvolge tutti in questa società. Anche per gli altri personaggi delle mie sculture la connotazione esistenziale è quella del viaggio, di un percorso, un viaggio, che nel mio caso si esprime bene con la definizione del far arte di Foucault, secondo cui “l’arte è una metodologia del sé”. Quindi una ricerca di sé stessi, dove la componente esistenziale è forte: da quando l’arte ha perso la sua funzione tradizionale di veicolo tra la terra e il cielo, siamo rimasti soli, a raccontarci, e purtroppo questo comporta una soggettività che sebbene, a volte, venga scambiata come un valore di libertà, da me invece viene percepita come una forza più che altro distruttiva». Quali le radici del suo immaginario ar-


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“La ruota del tempo”

tistico? «Tutto e niente, purchè fatto con le mani. In particolare il ritorno all'ordine dopo le avanguardie del '900. Andando più nello specifico, direi, Carrà e certe forme sinteticamente “classiche” di Sironi, ma anche di molti altri». Quale la chiave di lettura per capire gli aspetti più profondi di tale immaginario da un punto di vista simbolico ed esistenziale? «Non so se esiste una chiave di lettura per capire il mio lavoro, per ora quello che ho capito è che il contenitore che chiamiamo esistenza racchiude tanti segreti. Gioie e dolori che alimentano la mia immaginazione». E' possibile cogliere nei suoi lavori anche valenze di carattere storico - sociale? «Credo che l'arte che ha voluto rappresentare il carattere sociale

sia stata un fallimento, meno che in rari casi, e con ciò mi riferisco a certa pittura sudamericana. Personalmente non sopporto né il pensiero di parte e tanto meno la pubblicità. Della storia mi affascinano i comportamenti epici dei perdenti, ma chi sa, forse è una eredità del romanticismo». Le sue sculture sono da sempre improntate al senso del sacro. Oggi sono molti gli artisti che sostengono di rifarsi a una visione sacrale, un nome per tutti, Jane Fabbre, l'artista-performer fiammingo, in mostra, fino allo scorso ottobre, al Forte Belvedere a Firenze, con Spiritual

Guard. Quali le affinità e quali le differenze tra la sua percezione del sacro e quella di Fabbre? «Parlo di me, senza voler entrare nel merito del lavoro altrui. I temi che mi interessano sono vari, ma tutti rientrano nel perimetro dello spazio problematico che definiamo esistenza di cui il sacro è uno dei tanti aspetti, ma non certo l'unico». Come e quando si manifesta l’idea artistica. Darle forma e trasformarla in materia viva, in opera, è, in qualche modo, un atto che avvicina l'artista alla divinità? «Non è prevedibile quando l'idea artistica si manifesta, non dipende dalla coscienza, infatti, né dalla volontà. Se al di là della coscienza si manifesta qualcosa che si possa definire “divino” non sono in grado di affermarlo con una risposta definitiva, penso, anzi, che non l'avrò mai una tale risposta». Le dimensioni delle sue opere, spesso monumentali, sono dettate da una scelta puramente estetico-stilistica o nascono


“La nuvola”

da una visione più ampia, di tipo rinascimentale, che guarda alla scultura in funzione degli spazi urbani? «Le mie opere più che essere monumentali, alludono alla monumentalità, spesso in senso ironico e teatrale, giocando sui rapporti sproporzionati delle parti del corpo. Del resto già Arturo Martini aveva parlato della scultura “lingua morta”, intendendo fare riferimento con questa espressione a dei monumenti in onore del tale o del tal altro».

“Il silenzio”

gurativi erano azzerati. Poi con il tempo ho capito che quello che facevo era comunque giusto perchè mi divertivo a farlo». Come accoglie il rinnovato interesse di una parte del mondo dell’arte nei confronti della figura?

Lei è uno scultore figurativo, il che, fino a qualche anno fa, determinava una condizione artistica da outsider. Si è mai sentito tale?

«In un piccolo libro, stampato recentemente e scritto da Mario Perniola, dal titolo “L'arte espansa”, tra l'altro, si afferma “La sfera dell'arte si è ampliata enormemente. Qualunque cosa può esser trasformata in “arte”, anche se il suo autore non ne sappia nulla”. Penso che il nuovo interesse per la figura si debba inquadrare in questo contesto».

«Più che un outsider in certi anni mi sono sentito un pesce fuor d'acqua e mi riferisco agli anni in cui i linguaggi fi-

In una società come la nostra, ormai fondata su tecnologie sempre più avanzate, informatizzazione dei sistemi co-

municativi, spettacolarizzazione mediatica delle immagini, qual è il futuro delle arti figurative? «Credo che non succederà nulla di particolarmente importante o catastrofico. La tecnologia sarà sempre più il mezzo espressivo del futuro a scapito sempre soprattutto di chi si esprime lavorando con le mani». Se dovesse rinascere, in quale epoca vorrebbe vivere e che mestiere le piacerebbe fare? «Sarei un gentiluomo di campagna della prima metà dell'800 con la passione dell'arte».


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Angela Balsamo

“Una rosa per sempre� - pittura su cristallo con tecnica al rovescio

Studio: 00012 Guidonia (Roma) Viale Parco Azzurro, 20 0774 365045 - Cell. 338 2448902 balsamo.a.m@virgilio.it


SUSANNA TRAVANI MOSTRA PERSONALE ALLA GALLERIA D’ARTE LA TELACCIA BY MALINPENSA

DAL 6 AL 16 GIUGNO 2017 “L’ENERgIA DEL COLORE E DELLA FORMA VIVE DI UN’ AUTENTICITà PROPRIA “

“C onvergenze” - 2015 - O lio su tela- cm . 24 x 24

“Di particolare fantasia e ritmo compositivo l’artista Susanna Travani, con uno slancio di notevole valore, realizza opere dal singolare schematismo in cui l’esecuzione rigorosa e la carica di energia vibrano di un simbolismo altamente suggestivo. La validità dell’astratto dimostra un’interpretazione prorompente e vivace mai immobile e raggiunge un traguardo sempre positivo che si distingue e che conquista l’osservatore. Il colore, che domina mirabilmente nell’opera, ha la funzione di rivelare illuminazioni e volumi di grande effetto, mentre la dinamicità gestuale, di solido impianto, sprigiona una forza che si concretizza in uno stile immediato. Artista dalle evidenti capacità, ella documenta un linguaggio di profonda vitalità reso ancora più vivo dalla spazialità chiaroscurale e dalla sintesi descrittiva. L’immagine pittorica, palpitante di un tratto dall’ampio sviluppo segnico e di campiture armoniose del colore, evidenzia un connubio incisivo e stabilisce una composizione dal chiaro temperamento artistico. La sua pittura astrattista, che vive magistralmente di libertà d’invenzione, ottiene una dimensione sempre nuova che si nota sia per l’atmosfera della pennellata, di spiccata personalità, che per la potente resa timbrica perfettamente coordinata nell’opera. Il colore vorticoso, dinamico e vitale si fonde in una visione sognata e vigorosa di intima concezione dove il ritmo della luce equilibrato è indice di sapienza materica e di una vibrante sensibilità”. Monia Malinpensa

MOSTRA, DEPLIANT E PRESENTAZIONE CRITICA A CURA DI MONIA MALINPENSA REFERENZE E QUOTAZIONI PRESSO LA GALLERIA D’ARTE LA TELACCIA BY MALINPENSA La Telaccia by Malinpensa - Via Pietro Santarosa 1 - 10122 Torino Tel/Fax +39.011.5628220 +39.347.2500814 - +39.347.2257267 www.latelaccia.it - info@latelaccia.it O R A R IO G A LLER IA :D A L LU N ED I A L SA BAT O D A LLE 15,00 A LLE 19.00


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LIBRI D’ARTe IN VeTRINA a cura di Fulvio Vicentini

SAMMLUNG cOLLeZIONe KReUZeR Kunst von 1900 bis Heute – Arte dal 1900 a oggi Südtirol-Alto Adige Tirol Trentino

2016 © by Josef Kreuzer - Tutti i diritti riservati ISBN 978-88-6839-261-1 Stampa Druck Athesia Bozen/Bolzano Editore Verlag Athesia-Tappeiner, Bozen/Bolzano

Formato: Cartonato - 28,5 x 24,5 cm. Pagine: 636 Preis / prezzo € 69,00

Concetto e testi / Konzept und Texte Roberto Festi, Trento/Trient Eva Gratl, Bozen/Bolzano Carl Kraus, Bozen/Bolzano Josef Kreuzer, Bozen/Bolzano Traduzioni /Übersetzung: Josef Kreuzer, Bozen/Bolzano Giovanna Rinaldi, Innsbruck Silvia Rupp, Innsbruck Fotografien/ Fotografie Collezione Kreuzer - Erich Dapunt Bozen/Bolzano


JOSEF KREUZER, storia di una collezione JOSeF KReUZeR Bolzano, 1938 - 2017

A cura di Fulvio Vicentini

S

i è formato dapprima al ginnasio-liceo classico, dove ha avuto eccellenti insegnanti, uno in particolar modo, padre Konrad era anche pittore, in una sua intensa “via Crucis”, esposta in una chiesa di Bolzano, alcuni suoi studenti avevano per lui posato nelle 14 stazioni del calvario. Ha proseguito gli studi di giurisprudenza all’università di Firenze esercitando poi la professione di avvocato presso lo studio del parlamentare dott. Roland Ritz. Più tardi è stato giudice presso il tribunale di Bolzano, diventando il primo magistrato di lingua tedesca dell’ Alto Adige. Ha sposato la storica dell’arte Eva Eccel, che assieme al padre Friedrich avevano dato il via alla collezione. Con il prepensionamento Kreuzer ha svolto l’attività di imprenditore e titolare del negozio di arredamento e vendita di tappeti d’arte “Fr. ECCEL” di via Portici con sbocco anche sulla parallela via Argentieri. In questo storico Palazzo nel cuore commerciale della vecchia Bolzano, su un’area appositamente ricavata all’ultimo piano, organizzavano gia negli anni Settanta mostre personali su invito, di artisti Altoatesini, Trentini e d’oltre

Brennero, privilegiando dapprima gli artisti storicizzati Karl Plattner, Hans Ebensperger, Peter Felin, Paul Flora, Robert Scherer, che dovevano costituire lo zoccolo duro della collezione. La scelta delle opere da acquistare era affidata al dottor Kreuzer che sapeva il taglio da dare alla collezione. Aveva allargato anche il territorio fino a Vienna per ospitare artisti di origini sudtirolese come Josef Maria Auchentaller legati alla Secessione viennese, sbordando anche nel Veneto, in Friuli, e altre regioni. La collezione prendeva corpo con gli artisti Albin Egger-Linz, Fortunato Depero, Iras Baldessari, Zoran Music, Oscar Kokoschka e altri Maestri noti in campo internazionale come Pietro Annigoni, Giuseppe Capogrossi, Emilio Vedova, Giuseppe Santomaso, Marcello Jori, Eduard Habicher assieme ai trentini Fausto Melotti, Guido Polo, Carlo Bonacina, Remo Wolf, Giuseppe Debiasi, Luciano Zanoni senza tralasciare i ladini Adolf e Markus Vallazza, Lois Anvidalfarei, Aron Demetz , Willy Verginer. La collezione può avere due chiavi di lettura: “L’arte del Tirolo Asburgico da Borghetto a Kufstein” e “ARTE dal 1900 a oggi”.

Ultimo ritratto a Josef Kreuzer eseguito da Giorgioppi olio su tela, 90 x70 cm, - 2008

Il tre gennaio 2017 i quotidiani locali riportavano la bella notizia che l’intera collezione del mecenate Kreuzer era stata donata alla Provincia di Bolzano per allestire un nuovo importante polo museale a beneficio di tutti gli appassionati dell’arte. La donazione del valore di 16 milioni di euro, oltre alle 1500 opere di cui 300 di artisti altoatesini, comprende


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Due scorci della mostra del Tirolo asburgico a Palazzo Trentini (fotoservizio: Fulvio Vicentini)

anche il doppio palazzo di via Portici, con sbocco in via Argentieri, nel cuore del centro storico-commerciale della vecchia Bolzano. Il governatore Arno Kompatscher firmava il contratto che la Provincia di Bolzano si impegnava entro cinque anni a portare a buon fine l’importante progetto museale della: “Collezione Kreuzer”. Le belle notizie si alternano rapidamente alle brutte. Il 17 gennaio i quotidiani davano l’addio a Kreuzer, l’uomo generoso della donazione. L’illustre magistrato– collezionista, che avrebbe dovuto ricevere a breve l’onorificenza della “Croce

al merito del Tirolo”, non ha potuto godere dell’alto riconoscimento perché se n’è andato prima. Un importante omaggio a Kreuzer c’è stato. L’architetto Roberto Festi, su incarico della Provincia di Trento ha allestito a Palazzo Trentini a Trento una interessante mostra con 48 opere di 39 autori selezionati dalla collezione Kreuzer dal titolo: “il 900 nell’area alpina del Tirolo Asburgico, tra Kufstein e Borghetto”. Al vernissage erano presenti a fianco del presidente trentino Bruno Dorigatti, i colleghi Hervig Van Staa del Land Tirol e Roberto Bizzo del Consiglio provinciale

di Bolzano. Una mostra che sicuramente è il preview di quello che sarà il museo KREUZER di Bolzano.

La mostra di Palazzo Trentini rimarrà aperta fino a sabato 11 Marzo 2017 Orario di apertura da lunedì a venerdì dalle ore 10,00 alle 18,00 sabato dalle 10,00 alle 12,00



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La 20 ª edizione di

“Arte Forlì contemporanea” ha riacceso l’amore per l’arte in Romagna

I

l migliore regalo per il suo 20° compleanno? Non c’è alcun dubbio siano stati proprio gli appassionati e collezionisti d’arte a farlo alla mostra-mercato che dal 1997 rappresenta a Forlì e in Romagna il principale momento di incontro e la più importante e qualificata occasione di investimento sull’arte e moderna e contemporanea. Da venerdì 4 a lunedì 7 novembre scorsi, “A rte Forlì C ontem poranea” ha attirato nei padiglioni espositivi della Fiera di Forlì migliaia di visitatori con un incremento davvero significativo rispetto ai riscontri degli anni precedenti. Mediamente, infatti, la rassegna organizzata da Romagna Fiere ha registrato un aumento di presenze pari al 20 per cento, con dati superiori al 2015 in tutte le quattro giornate.

D’altronde già in partenza questa 20ª edizione presentava un’offerta più ricca, avendo portato a Forlì - una piazza certo consolidatasi nelle abitudini degli appassionati, ma non certo tra i principali poli nazionali in questo campo – oltre 60 tra le più importanti Gallerie d’Arte del Paese. Un numero significativo di queste era, poi, presente nel capoluogo romagnolo per la prima volta e la scelta di puntare su “Arte Forlì Contemporanea” si può a ragion veduta affermare sia stata vincente. Buono, anzi molto buono, il volume di vendite che le Gallerie hanno segnalato. Il pubblico interessato, attento, competente, ha potuto toccare con mano la loro grande professionalità e il valore delle opere presentate. A riscuotere successo (commercialmente e non solo di

“critica”) sono stati sia gli autori storicizzati, sia i nuovi talenti emergenti, romagnoli e non solo, capaci di interpretare tutte le tendenze della contemporaneità. In questo contesto anche le iniziative e gli eventi collaterali organizzati da Romagna Fiere hanno attirato un interesse accresciuto. Ne è emblema la tradizionale asta di beneficenza “A rte per La N ave”, svoltasi domenica 6 novembre a cura di Scuole La Nave e giunta alla sua 9ª edizione. L'affluenza all'asta è stata la più elevata di sempre e tutti i lotti sono andati venduti (ben 66 opere donate dagli artisti), compreso il “Lotto 1”, lo speciale acrilico su tela dipinto in diretta durante l’asta dai fratelli Alfonso e Nicola Vaccari e che è stato battuto per ultimo facendo schizzare a quota 11.000 euro


la scultura di Lodola all’esterno della fiera alta 9 metri

le donazioni raccolte. Somme che saranno interamente devolute al fondo di aiuto allo studio “Don Lino Andrini”, destinato all’acquisizione di strumenti di lavoro per gli studenti. In tutte le giornate, poi, tantissimi i visitatori alle mostre che hanno impreziosito “Arte Forlì Contemporanea”, a partire da “LO D O LA FR A ”, l’esposizione curata da “M irabili A rte d’A bitare” e dedicata a Marco Lodola e Giovanna Fra. Oltre alle grandi luminose del maestro pavese al fianco delle quali incalcolabili sono stati i “selfie” scattati dai visitatori, la collaborazione con la maison d’arte fiorentina ha portato a Forlì “Le Cirque”, il grande elefante di luce alto 9 metri realizzato nel 2016 per lo spettacolo teatrale di Andrea Bocelli al Teatro del Silenzio. Notevole afflusso, poi, anche allo speciale allestimento curato da Galleria Costa Deniarte per omaggiare Tano Festa, alla mostra “Femminilità” dello scultore romagnolo Mario Bertozzi e all’area dedicata alle installazioni di 10 artisti emergenti e denominata “Spazio allo Spazio”. Una rassegna, quest’ultima, che Oscar Dominguez cura da 13 anni per la mostra-mercato forlivese e che continua ad essere un momento di confronto tra gli artisti stessi e una vetrina sulla quale le Gallerie possono gettare un occhio interessato. E in questo 2016 con tante Gallerie in più e tanto pubblico in più, gli occhi sul talento non sono certo mancati. Non resta, dunque, che iniziare subito a pensare al 2017 e a una nuova “Arte Forlì Contemporanea” che avvii un secondo ciclo di altri 20 anni. Alcuni spazi espositivi della fiera



KUZMA KOVAČIĆ La scultura nel segno del sacro

a cura di Svjetlana Lipanovic

Autor Atelier Foto Z.Alajbeg

L

a vita dedicata all’arte di Kuzma Kovačić, uno dei massimi scultori contemporanei croati inizia nel 1952, a Hvar, l’incantevole cittadina sita sull’isola omonima /Lesina/. La famiglia d’origine, gli ha trasmesso valori importanti, saldamente legati alle tradizioni e all’incrollabile fede che saranno le fondamenta, per costruire magnifiche opere d’arte. Da giovane, si appassionò alla letteratura, pittura e teatro. In seguito nel 1971 si iscrisse presso l’Accademia di Belle Arti a Zagreb /Zagabria/, scegliendo i corsi di scultura. Gli inizi non furono facili, poiché coincidono con un periodo storico drammatico nella ex-Jugoslavia. Durante 1971 nasce il movimento “La primavera croata”, con l’intenzione di ottenere più libertà dal

regime comunista. Kovačić si trovò tra i studenti nelle vie della capitale croata nei mesi critici, dall’ottobre al dicembre dello stesso anno. Le manifestazioni, represse brutalmente dalle forze dell’ordine non portarono il risultato sperato. Nell’atmosfera cupa del momento segnato dalla crisi politica e sociale, avvengono anche cambiamenti radicali nell’arte, portati dai movimenti anticonvenzionali che negavano le tradizioni. Fortemente legato alle proprie radici mediterranee e soprattutto alla fede cattolica, l’artista non si lasciò influenzare ma, continuò a cercare la propria espressione autentica, dove la moderna concezione della forma non esclude la visione classica della scultura. Gli studi sotto la guida dei professori: Želimir Janeš, Ivan Sabolić Vjekoslav Rukljača terminarono, con

successo nel 1976. Inoltre, la collaborazione con Branko Ružić ebbe un posto importante nella sua formazione artistica. Le prime due opere create in gesso nel 1971 “La solitudine”, “La testa” /Peruško Bogdanić/ annunciano una sottile vena malinconica, nonché un senso di vuoto e solitudine poi riscontrabili nelle future creazioni. Le composizioni “Dopo il ballo serale a Galešnik” e “Marina, Marina” /1976/, riflettono tutte le componenti essenziali della sua arte: la ricerca contemplativa delle forme innovative, fantasiose nate nell’irrazionale e portate a materializzarsi tramite il giuoco, l’abbinamento dei colori e vari materiali. Le stesse opere, portano nomi poetici e a volte, sono completate con scritte significative. Per costruire le sculture si nota l’uso di: argilla, legno, terra,


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“Ivan Pavao IIkamen ”

vetro, colore, carta, fili di ferro, terracotta, intonaco, pietra, bronzo, sabbia, a-cqua, luce, rame, chiodi, alluminio, plexiglass, ecc.. Negli anni a venire la sua attività continuò incessantemente, con l’inaugurazione della galleria “Na bankete” / “Alle panche” - di pietra/ a Hvar, nella cantina dei suoi avi per confermare il fortissimo legame spirituale con le proprie origini. Lo spazio espositivo fu aperto dal 1975 al 1985 ospitando mostre prestigiose. L’assolata isola di Hvar, rimarrà per sempre un posto incantato, il suo “locus amoenus”, che descrive cosi: “Si può dire che l’isola di Hvar, con la sua forma particolare, in qualche modo è una scultura, proprio come la scultura è in qualche modo – l’isola”. Nel 1981 si trasferisce a Split /Spalato/ dove si dedica all’insegnamento presso la Scuola d’arte e in seguito,

“Ivan Pavao IIreljef FotoZoranAlajbeg ”

come professore all’Accademia di Belle Arti. Volgendo uno sguardo indietro nel tempo, troviamo il giovane artista nel 1980 a Murano. Stipendiato dal Governo italiano, apprese l’arte vetraria da “Nason”, “Fratelli Manfren”. D’ora in poi, le stupende sculture trasparenti, scintillanti faranno parte delle sue esposizioni. La produzione artistica del maestro, enorme, complessa si può tentare di dividere tra il figurativo e l’astratto che comprendono le creazioni: intimistiche, di ispirazione cristiana, dedicate alla terra natia e patriottiche. Suscita stupore la sua potente creatività espressa cominciando dalle piccole forme per arrivare alle grandi composizioni sacrali e maestosi monumenti. Il denominatore comune è l’incessante ricerca del sacro. La grande fede in Dio è la fondamentale

ragione della sua creatività perche, secondo lo scultore: “Nella mia fede, cerco di scoprire il senso della scultura”. Le sculture orizzontali: “La vita di San Francesco d’Assisi” /1982/, “L’estate 1957” /1982/ ecc., sono completate con le opere proiettate verso l’alto: “Il motivo floreale” / 1977/, “Le stagioni” /1979/, “Contro la Torre babilonese” /1985/, “Le felici festività”/1993/, “Molto amaramente /1988/, “Il ringraziamento ai benedettini” /1983/, “Crepuscolo nel Golfo dei Santi Croati” /2009/, ecc. Indubbiamente, nelle sue sculture l’artista ha assimilato eredità artistica dei grandi predecessori: Jean Arp, Henry Moore, Alberto Viani, Constanin Brancusi, Barbara Hephworth, per creare una propria visione sorprendente, delle forme. La sua grande fede, trovò un originale interpreta-


“Bnediktinci Zahvala Benediktincima”

“Vratnice Hvarske katedrale”

zione nell’opera “Sette peccati mortali” /1976/, dove le sette scatole di cartone sono modificate creando le nuove forme vicine all’arte concettuale o all’arte povera. Il colore rosa che le unisce, richiama simbolicamente il sepolcro di Cristo dipinto con il rosso e il bianco, nel 7 sec. d.C. Inoltre, le testimonianze della fede, sono visibili nei disegni dei santi, nelle sculture dei sacerdoti, tramite le composizioni sacrali, gli altari, la porta della Cattedrale, gli amboni, le medaglie commemorative, le targhe, i ritratti dei personaggi illustri, ecc.. Sempre alla ricerca delle materie più adatte per esprimere l’animo delle due creazioni, usa non solo quelle naturali ma anche i preziosi come: l’oro, l’argento, le pietre dure. La materia diventa il punto di partenza per iniziare ed ispirare il processo creativo. Sovente, lascia intervenire il caso con il ritrovamento degli oggetti che si trasformano magicamente, nelle future opere d’arte, tramite i ritocchi sulle superfici. Nel “Život sv. Franje”


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“Velegorko” “Oltar Hvarske katedrale”

lungo elenco dei capolavori ultimati tra i più suggestivi si possono elencare i seguenti: la Porta in bronzo della Cattedrale a Hvar /1990/, dove si possono ammirare delicati rilievi dei motivi cristiani ed all’interno, anche un altare in pietra dell’isola di Brač /Brazza/, una splendida statua di Papa Giovanni Paolo II /1990// scolpita in un unico blocco di pietra ed eretta nel piccolo paesino Selca sull’isola di Brač, la galleria delle personalità importanti appartenenti alla storia croata, immortalati con le statue e i busti realistici. L’arcivescovo Mihovil Pušić, i poeti Petar Hektorović e Hanibal Lucić, i cardinali Franjo Kuharić e beato Alojzije Stepinac, il governatore e il poeta Ivan Mažuranić, il compositore dell’inno nazionale Antun Mihanović, il ministro Gojko Šušak, il beato Ivan Merz, fra Pavao Vučković, ecc./. Dopo il conflitto armato del 1991 nella ex-Jugoslavia e, con la nascita della Croazia libera, arrivò un periodo creativamente importante. Kovačić realizzò: la scultura in bronzo, imponente, circolare “Ultima cena” /2000/ dal forte impatto visivo che si trova presso il convento dei francescani a Rama, in Bosnia ed Erzegovina inserita nella natura incontaminata, vicino al lago, nonché la statua in bronzo, un omaggio alla eroina popolare Diva Grabočeva /1997/ che ha difeso la propria illibatezza durante il dominio turco, a costo della pro-

pria vita e collocata, nel fiabesco paesaggio della montagna Vran, in Bosnia. Nel sito medievale di Medvedgrad è visibile “Altare della Patria croata” /1995/, in memoria dei caduti in guerra. Il monumento del Presidente Franjo Tuđman /2001/ a Škabrnja, la cittadina martire, è un tributo al primo Presidente croato. Nella Cappella dell’ordinariato militare a Zagreb i visitatori possono vedere sull’altare intitolato “Santa Madre Libertà” il grande rilievo “La celebrazione perpetua” /2005/, dedicato alla salvezza, alla resurrezione e completata con la scritta “Martirybus pro Patria Croatia in Christo resuirecturis”. La stupenda composizione è uno dei più bei lavori in assoluto, insieme con tanti altri, sparsi nelle città croate e bosniache. E’ interessante conoscere una opinione di Kuzma Kovačić che dichiara: “La statua è in fondo l’essere, una vivente realtà spirituale e non solo la materia di quale è fatta: un pezzo di legno, una pietra o il bronzo. Ma, senza il suo corpo, la statua non esiste e di conseguenza, la scultura è veramente, l’autentica creazione”. Il maestro progettò anche le nuove monete: kuna e lipa, coniate dal Governo croato, con approvazione degli esperti numismatici per il design riuscito. Dalla sua prima mostra nel 1977, a Zagreb lo scultore ha allestito altre settanta esposizioni personali e ha partecipato alle nu-

merose mostre collettive in Patria ed all’estero. L’opere d’arte sono esposte presso le gallerie, nei musei e in Vaticano. Il suo meritato successo è riconosciuto con: circa venti premi e riconoscimenti a livello nazionale ed internazionale e le tre onorificenze assegnate dal Governo croato. Dal 2012 è membro dell’HAZU /L’ Accademia croata delle Scienze e delle Arti/. La magnifica monografia che illustra il suo percorso artistico è stata presentata al Pontificio Collegio Croato di San Girolamo a Roma nell’ottobre del 2014. L’inaugurazione di una importante mostra “Lo scultore croato Kuzma Kovačić – Il pellegrino nella scultura” ai Musei di San Salvatore in Lauro, al centro di Roma, dall’11 Aprile al 20 Maggio 2017, sarà un’occasione da non perdere, per conoscere l’artista e la sua bella, immensa opera nata dalla viva, profonda fede.

“Muka sv Lucije f Goran Vranić ”



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cRISTIAN BeR

(AER MUNDI) - cm 90 x 160

(AER MUNDI) - cm.90 x 160


(AER MUNDI) - cm. 90 x 160

“Nato a Palmanova, vive e lavora a Udine. Diplomato presso il Liceo Artistico di Udine nel settore: Immagine fotografica, filmica e televisiva. Nel 2005 risulta finalista al Premio Celeste nella sezione “Premio pittura mediale”. Nel 2009 parte per Brisbane in Australia, dove frequenta corsi presso il South Institute of Technology. Nel 2012 è finalista al Premio ARTE MONDADORI e sempre nel 2012 finalista al premio arte Spazio Bocca Milano. Nel frattempo, oltre a conseguire due lauree, in filmica, filosofia ed antropologia culturale, affina la sua ricerca ed approfondisce le più moderne tecniche digitali ed elaborazione immagini con acrilici ed inchiostri. Le opere di Cristian Ber sono il frutto di una sapiente e sofisticata elaborazione multimediale di colori, di cui l’inchiostro a spruzzo diventa componente fondamentale. L’illusione ottica, il coinvolgimento, e l’intensità emozionale dei paesaggi astratti di Cristian Ber sono tratti ben precisi di questo rivoluzionario approccio alla tela. Un artista su cui l’interesse della stampa europea si sta concentrando a dismisura.” Nel 2015 espone a Lille Art Fair France e Melbourn Selection Digital, nel 2016 St’Art Strasboug AAF Amsterdam,Salon d’Art Contemporain Luxembourg, Lille Art Fair, Art Breda, AAF Hong Kong Art Busan Korea,BAF Bergamo, nel 2017 ad AAF Milano e nelle prossime esposizioni in programma nel 2017 ad AAF London Battersea, AAF New York, AAF Breda, AAF London Hampstead, St’Art Strasboug, AAF Amsterdam.

info@ galleriapalm aarte.it

Tel.+39 3459056581


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Le grandi Mostre

Art Déco. Gli anni ruggenti in Italia Fino al 18 giugno 2017 ai Musei San Domenico di Forlì diM arilena Spataro

Libero Andreotti, Coppia di levrieri, 1914-1927, bronzo. Firenze, collezione privata

A

circa un mese dall'apertura, Art Déco. Gli anni ruggenti in Italia, la mostra in corso fino al prossimo 18 Giugno ai Musei San Domenico di Forlì, sta riscuotendo un enorme successo. Già l'11 febbraio, data della sua inaugurazione, le visite prenotate erano oltre 30000. Non a caso Antonio Paolucci, supervisore e presidente del comitato scientifico, poteva annunciare orgoglioso “Non vi deluderemo nemmeno questa volta”: Il motivo di tanta attenzione da parte del pubblico nasce dal fatto che la mostra, oltre a essere godibile e particolarmente gradevole visivamente parlando, è anche molto interessante in termini culturali e sociali. Nelle intenzioni dei curatori, essa è, in-

fatti, l'esito di un lavoro di approfondita ricerca e d'indagine originale “come fino a ora nessuno ha mai fatto in Italia”, che “perimetra” e definisce dal punto di vista storico, temporale, critico e formale, quel fenomeno del gusto e del costume, vero e proprio stile di vita, che andò sotto il nome di Art Déco. Curata da Valerio Terraroli, il massimo esperto italiano in materia, in collaborazione con Claudia Casali, Stefania Cretella e diretta da Gianfranco Brunelli sotto la supervisione di Antonio Paolucci, Art Déco. Gli anni ruggenti in Italia, è stata, ed è ancora, sotto i riflettori dei media, che fin dall'inizio hanno riservato a questa mostra dei Musei San Domenico di Forlì una grande attenzione

come accade solo per gli eventi di rilievo internazionale. Afferma con evidente soddisfazione Antonio Paolucci: «Con questa mostra abbiamo fatto un'operazione unica e originale, ci siamo mossi basandoci sulla formula, tanto cara al curatore, Valerio Terraroli, dell'Art Déco quale arte del glamour. Nel breve tempo in cui essa si sviluppò diede vita alla decorazione in tutti i campi, in maniera paragonabile solo al periodo Barocco. Con l'Art Déco si comincia a sviluppare un'industria segnata dal gusto del bello che diventa moda del lusso e del glamour, ciò nell'abbigliamento, nell'oggettistica, nel mobile e in tutti i prodotti riconducibili alle arti applicate, prodotti resi fruibili dalla produzione industriale non


Autovettura Isotta Fraschini, 1931. Gardone Riviera, Fondazione Il Vittoriale degli Italiani

Gio Ponti, Ciotola Emerenziana, 1927, maiolica. Cerro di Laveno, collezione privata

solo alle classi alte, ma anche alla gente comune. Nasce allora l'idea di industria di massa cui si assiste oggi, dove la bellezza e il glamour riescono a costare anche poco rendendosi alla portata di tutti». «Il Déco è come l'esplosione di una supernova che abbaglia e poi si esaurisce in breve tempo – fa notare il curatore Valerio Terraroli -, gli anni clou di questo fenomeno sono, infatti, quattro, al massimo cinque, dal '23 al '27. Dopo il '29 si assiste a degli strascichi, ma il testimone passa oltreoceano, in America». «Nello schema di un'apparente superficialità che contraddistinse gli anni dell'Art Déco – continua il curatore - è possibile intravedere qualcosa di molto più serio, c'è, infatti, in nuce quel feno-

meno oggi noto, nonché famoso nel mondo, come Made in Italy. Il gusto italiano nel mondo nasce, infatti, proprio in quel magico momento, che fu di massima esaltazione della creatività e del genio del nostro Paese in tutte le sue espressioni artistiche, a partire, appunto, da quelle applicate, la grande forza italiana sarà l'inventiva nel manifatturiero, oltre il dato del puro artigianato, per diventare industria del gusto, una carta questa da giocare ancora oggi come in futuro. Questa mostra vuole essere anche una provocazione in tal senso e non solo un'operazione storica e di ricerca, è una proposta per il nostro futuro che va al di là della politica e dei governi di turno». A dar ragione a Terraroli di quest'ul-

tima considerazione furono le profetiche parole pronunciate da Gabriele D'annunzio in occasione della prima Biennale delle Arti decorative tenutasi a Monza nel '23 e da lui inaugurata in veste di testimonial. Così il Vate si esprimeva: «Ai governi interessa poco o niente di queste manifestazioni, mentre, invece, esse rappresentano il genio italiano». «Quel genio che è stato e che continua a essere l'anima del Made in Italy» ribadisce Terraroli. Con 448 opere in mostra, Art Déco. Gli anni ruggenti in Italia, rappresenta uno sguardo che abbraccia a trecentosessanta gradi la produzione artistica, a partire da ogni genere di manufatto artigianale e industriale legato alle arti applicate, del periodo


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Alfredo Ravasco, centrotavola con pesci,1930-1935, agata, corallo, lapislazzuli, argento. 22 x 90 cm, FAI – Fondo Ambiente Italiano, Villa Necchi Campiglio, Milano

Arturo Martini, Leda con il cigno, 1926, gesso. Monza, Musei civici

che va dagli anni '20 agli anni '30. Obiettivo dell'esposizione è, soprattutto, mostrare al pubblico il livello qualitativo, l'originalità e l'importanza che le arti decorative moderne hanno avuto nella cultura artistica italiana connotando profondamente i caratteri del Déco anche in relazione alle arti figurative: la grande pittura e la grande scultura. Sono qui essenziali i racconti delle opere di Galileo Chini, pittore e ceramista, affiancato da grandi maestri, come Vittorio Zecchin e Guido Andloviz, che guardarono a Klimt e alla Secessione viennese; dei maestri faentini Domenico Rambelli, Francesco Nonni e Pietro Melandri; le invenzioni del secondo futurismo di Fortunato Depero e Tullio Mazzotti; i dipinti, tra gli altri, di Severini, Casorati, Martini, Cagnaccio di San Pietro, Bocchi, Bonazza, Timmel, Bucci, Marchig, Oppi, il tutto accompagnato dalla straordinaria produzione della Richard-Ginori ideata dall'architetto Gio Ponti e da emblematici esempi francesi, austriaci e tedeschi fino ad arrivare al passaggio di te-

stimone, agli esordi degli anni Trenta, agli Stati Uniti e al Déco americano. Il gusto Déco fu lo stile delle sale cinematografiche, delle stazioni ferroviarie, dei teatri, dei transatlantici, dei palazzi pubblici, delle grandi residenze borghesi: si trattò, soprattutto, di un formulario stilistico, dai tratti chiaramente riconoscibili, che ha influenzato a livelli diversi tutta la produzione di arti decorative, dagli arredi alle ceramiche, dai vetri ai ferri battuti, dall'oreficeria ai tessuti alla moda negli anni Venti e nei primissimi anni Trenta, così come la forma delle automobili, la cartellonistica pubblicitaria, la scultura e la pittura in funzione decorativa. Le ragioni di questo nuovo sistema espressivo e di gusto si riconoscono in diversi movimenti di avanguardia (le Secessioni mitteleuropee, il Cubismo e il Fauvismo, il Futurismo) cui partecipano diversi artisti quali Picasso, Matisse, Lhote, Schad, mentre tra i protagonisti internazionali del gusto vanno menzionati almeno i nomi di Ruhlmann, Lalique,

Brandt, Dupas, Cartier, così come la ritrattistica aristocratica e mondana di Tamara de Lempicka e le sculture di Chiparus, che alimenta il mito della danzatrice Isadora Duncan. La mostra di Forlì ha soprattutto una declinazione italiana, dando ragione delle biennali internazionali di arti decorative di Monza del 1923, del 1925, del 1927 e del 1930, oltre naturalmente dell'expo di Parigi 1925 e 1930 e di Barcellona 1929. Il fenomeno Déco attraversò con una forza dirompente il decennio 1919-1929 con arredi, ceramiche, vetri, metalli lavorati, tessuti, bronzi, stucchi, gioielli, argenti, abiti impersonando il vigore dell'alta produzione artigianale e proto industriale e contribuendo alla nascita del design e del Made in Italy. La richiesta di un mercato sempre più assetato di novità, ma allo stesso tempo nostalgico della tradizione dell'artigianato artistico italiano, aveva fatto letteralmente esplodere negli anni Venti una produzione straordinaria di oggetti e di forme decorative: dagli impianti di illuminazione di Martinuzzi, di Ve-


Tamara de Lempicka, La sciarpa blu, 1930, olio su tavola. Collezione privata

Gio Ponti, Gigi Supino, Busto femminile, 1923, terraglia policromata. Milano, Castello Sforzesco, Civiche Raccolte d’Arte Applicata

Roberto Rosati, Ferruccio Palazzi, Vaso con gallo, 1922 circa, terracotta dipinta e invetriata. Genova, Wolfsoniana – Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura

nini e della Fontana Arte di Pietro Chiesa, alle ceramiche di Gio Ponti, Giovanni Gariboldi, Guido Andloviz, dalle sculture di Adolfo Wildt, Arturo Martini e Libero Andreotti, alle statuine Lenci o alle originalissime sculture di Sirio Tofanari, dalle bizantine oreficerie di Ravasco agli argenti dei Finzi, dagli arredi di Buzzi, Ponti, Lancia, Portaluppi alle sete preziose di Ravasi, Ratti e Fortuny, come agli arazzi in panno di Depero. Non si è mai allestita in Italia una mostra completa dedicata a questo variegato mondo di invenzioni, che non solo produce affascinanti contaminazioni con il gusto moderno - si pensi per esempio al quartiere Coppedè a Roma o al Vittoriale degli Italiani, ultima residenza di Gabriele d'Annunzio - ma evoca atmosfere dal mondo mediterraneo della classicità, così come la scoperta nel 1922 della tomba di Tutankhamon rilanciò in Europa la moda del-

l'Egitto. E poi echi persiani, giapponesi, africani a suggerire lontananze e alterità, sogni e fughe dal quotidiano, in un continuo e illusorio andirivieni dalla modernità alla storia. Trattandosi di un gusto e di uno stile di vita non mancarono influenze e corrispondenze col cinema, il teatro, la letteratura, le riviste, la moda, la musica. Da Hollywood (con le Parade di Lloyd Bacon o le dive, come Greta Garbo e Marlene Dietrich o divi come Rodolfo Valentino) alle pagine indimenticabili de Il grande Gatsby (1925), di Francis Scott Fitzgerald, ad Agata Christie, a Oscar Wilde, a Gabriele D’Annunzio. Il percorso espositivo della mostra ai Musei San Domenico di Forlì si presenta al visitatore come una grande camera delle meraviglie, spettacolare e raffinata, con un allestimento curatissimo e perfettamente in linea con il gusto del bello e con il piacere per il lusso e la decorazione che hanno caratterizzato lo stile dell'Art

Déco. Sia che si trattasse di un abito, di un accessorio, di un oggetto, di un gioiello, di un mobile oppure di un'automobile o del vagone di un treno, come quello ricostruito con pezzi originali dell'epoca e che si può ammirare in mostra, tutto doveva corrispondere a uno stile di vita improntato al glamour e a un gusto innovativo e moderno. Nonostante delle forzature nel ricondurre, non solo sotto l'aspetto formale, ma anche della poetica, alcuni artisti, di cui sono esposti dei lavori in questa mostra, all'interno del fenomeno Dèco (si pensa ad esempio a Wildt, De Chirico, Lempicka, Casorati), Art Déco. Gli anni ruggenti in Italia è un evento espositivo godibile e colto, che, comunque, merita di essere visitato. Catalogo: SilvanaEditoriale Informazioni e prenotazioni: tel.199.15.11.34


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la rivista d’Arte, cultura e informazione 20.000 copie distribuite nelle Fiere d’Arte Internazionali e in abbonamento

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Giovanna FRA


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