Lettera del ministro Provinciale per il terzo centenario della morte del Beato bonaventura

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PROVINCIA DI NAPOLI DEI FRATI MINORI CONVENTUALI

VERSO IL III CENTENARIO DELLA MORTE DEL BEATO BONAVENTURA DA POTENZA (26 ottobre 1711 - 26 ottobre 2011)

Lettera fraterna del Ministro Provinciale

IL BEATO, NOSTRO FRATELLO UNA MEMORIA, UNA PRESENZA

NAPOLI 2010


Š Curia Provinciale dei Frati Minori Conventuali Complesso Monumentale di San Lorenzo Maggiore Via dei Tribunali, 316 - 80138 Napoli (Italia)


Carissimi confratelli nel serafico padre san Francesco, pregiatissime sorelle di santa Chiara, stimati fratelli dell’Ordine francescano secolare, fedeli del movimento mariano della Milizia dell’Immacolata, cari giovani, amici e benefattori, il terzo centenario della morte del beato Bonaventura da Potenza (26 ottobre 1711 - 26 ottobre 2011) è davanti a noi. Fedeli alla storia francescana conventuale della nostra Provincia, vogliamo guardare a questo evento con gratitudine di figli e con intelligenza aperta al futuro. Per questo, indico l’Anno di preparazione (26 ottobre 2010 - 26 ottobre 2011) e l’Anno di celebrazione (26 ottobre 2011 - 26 ottobre 2012). Il primo vuole essere ad intra: riguarda tutti noi suoi confratelli chiamati, come lui, alla testimonianza minoritica e al servizio delle comunità. Nel corso di questo anno celebrativo vogliamo riflettere sul tema: Il Beato, nostro fratello. Il secondo è ad extra: riguarda tutto il mondo francescano ed ecclesiale che ci circonda e avrà per tema Il Beato: una memoria, una presenza. Questo modello di santità è figlio della nostra terra e del tessuto ecclesiale e sociale nel quale viviamo. Al di là delle grandi celebrazioni, degli eventi programmati, credo che questo anniversario costituisca un tempo di grazia soprattutto per noi francescani: si tratta di leggere i segni di Dio non solo nella vita del beato Bonaventura da Potenza, ma anche


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nella nostra storia personale e di tutta la Provincia religiosa di Napoli e Basilicata.

1. Ripartire da Ravello Ravello e il Beato sono stati, soprattutto nel corso del XX secolo, il punto di riferimento della rinascita francescana nel Mezzogiorno d’Italia. Culla di formazione di una numerosa schiera di giovani e centro culturale di notevole portata dagli anni ’20 agli anni ’70 del Novecento 1. Ravello ha onorato il Beato celebrando con solennità, condivisione fraterna e partecipazione di popolo le date più significative della sua vita: la prima ricognizione del 1740 (39 anni dopo la sua morte beata); la seconda ricognizione canonica nel 1911; nel 1962 (25 agosto - 23 settembre) il 250° anniversario della morte del Beato (1711 - 1961) e la pia peregrinazione con il corpo del Beato attraverso alcune località della Campania e della Basilicata. E solo quattro anni or sono (30 settembre - 15 ottobre 2006) la sosta di due settimane del Beato a Potenza nella parrocchia a lui dedicata, per celebrare il bicentenario di città capoluogo (1806). Nella prefazione al volume sul Beato, padre Giuseppe Palatucci, direttore di Luce Serafica, spiegava così il motivo di questa pubblicazione che, per oltre trent’anni, guidava il cammino delle migliaia e migliaia di giovani anime che da Ravello intraprendevano l’itinerario francescano conventuale: «Possiamo affermare che fu proprio lui, il Beato, a ispirare da qui, dal suo glorioso sepolcro e da questo suo convento, il rinnovamento di questa nostra Provincia Francescana di Napoli, suscitando tutta una fioritura di giovani, che egli raccoglie in questo collegio serafico intorno alle sue venerate reliquie e li forma alla vita serafica, 1 Qui i fratelli Palatucci diedero vita a Luce Serafica nel 1924, a Il Serafico Sentiero nel 1928, alla pubblicazione del volume del padre Girolamo Dal Gal Il B. Bonaventura da Potenza dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali nel 1930, al Diario Spirituale Francescano nel 1934.


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per lanciarli, poi, apostoli in tutto il Mezzogiorno d’Italia e all’estero, e ispirando ancora la fondazione del periodico francescano Luce Serafica, che già da sei anni spande i suoi raggi di luce e di amore da questa fortunata collina».

Così, leggiamo ancora nella prefazione, nuovamente «si avverano le parole che egli disse, quando fu destinato a questo convento di Ravello dal Commissario Generale della Provincia, esclamando nell’impeto di una estasi, sollevato dalla terra anche con il corpo, tutto rapito in Dio: “Vado, Padre commissario, vado: e se questo convento non dovrà essere di gloria a Dio e di onore alla Religione, io prego Dio che prima d’arrivarvi, mi faccia morire”».

Erano parole che, nel loro tono di profezia e di preghiera, tracciavano il programma di questo convento nei secoli: «Essere di gloria a Dio e di onore all’Ordine dei Frati Minori Conventuali» 2.

Questa ricorrenza bonaventuriana si lega con quelle che abbiamo già celebrato negli anni addietro. Infatti, il calendario francescano del nuovo Millennio ci ha chiamati e impegnati a celebrare alcune ricorrenze di famiglia molto rilevanti. Nel 2005 - 2006 abbiamo fatto memoria dell’ottavo centenario delle origini del carisma francescano partendo dalla conversione del serafico padre san Francesco. Le quattro tappe dell’itinerario della memoria (2006 - 2009) ci hanno accompagnato fino alla celebrazione del Capitolo Internazionale delle Stuoie (Assisi, 15-18 aprile 2009) per calare nel presente e proiettare sul futuro la ricorrenza dell’ottavo centenario della fondazione dell’Ordine. Ora, facciamo memoria del nostro Beato nel terzo centenario della sua morte per riappropriarci della sua consegna francescana e per trasmetterla alle nuove generazioni legate alla nostra storia e all’esperienza minoritica. Con questa Lettera fraterna voglio condividere con voi, confratelli a me carissimi, e con quanti vivono la nostra stessa esperienza di Cristo, la 2

Il B. Bonaventura da Potenza, Ravello (Salerno) 1930, pp. V-VI.

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portata storica del “dono” di Dio alla nostra Provincia religiosa che, da 300 anni, guarda a Ravello e al suo Beato con nostalgia, rimpianto e rinnovata speranza. Rileggere la sua testimonianza di vita significa, per tutti noi, riappropriarci – in primo luogo – della santità del Beato che diventa modello di vita sacerdotale, di minorità e d’itineranza, di obbedienza e di povertà, di amore e di servizio alla Chiesa e all’Ordine serafico. Penso, poi, allo stile missionario e di primo annuncio vissuto dal Beato con semplicità e senza grandi programmi lì dove si è trovato a vivere la sua consacrazione.

2. Il Beato, modello di vita sacerdotale Siamo stati tutti coinvolti dalla celebrazione del 150° anniversario della morte del santo curato d’Ars, Giovanni Maria Vianney (1786 1859). Per questa ricorrenza, Benedetto XVI ha indetto un Anno sacerdotale (19 giugno 2009 - 11 giugno 2010) denso di eventi, tesi a offrire, ai presbiteri di tutto il mondo, l’occasione per riflettere sulla portata della loro “vocazione” e della loro “missione” nella società secolarizzata di oggi. In questo anno di grazia, tormentato purtroppo da situazioni interne ed esterne che continuano a far soffrire il corpo della Chiesa, il papa ci ha indicato la strada maestra della “purificazione” per essere ministri credibili del Vangelo di Gesù Cristo. L’occasione del 150° della morte del santo curato d’Ars precede solo di qualche anno i 300 anni della morte del beato Bonaventura da Potenza. Tra le città di Ars e di Ravello vi è già un naturale gemellaggio sacerdotale e spirituale. I santi sono pur sempre dei “vasi comunicanti”: è il principio della comunione. Chi precede lascia sempre in eredità un dono da valorizzare e da distribuire ai fratelli: la celebrazione dell’Eucaristia,


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la confessione e il perdono dei peccati, la visita agli infermi, ai carcerati e agli ultimi, nonché il conforto agli afflitti, accomunano lo stile di vita dei santi. Sono segni e gesti che portano Dio all’uomo e riconducono ogni persona al Signore. Come il Beato, così anche il Curato d’Ars. L’ascesa al “Monte del Signore” – la sua ordinazione sacerdotale, dopo le opportune ricerche, risale a sabato 23 marzo 1673 nella cappella del palazzo arcivescovile di Amalfi – aveva profondamente segnato l’incontro del Beato con il mistero del Pane della vita. Per frate Bonaventura, la celebrazione dell’Eucaristia era il centro propulsore di tutta la sua vita spirituale e apostolica. I testimoni oculari ci assicurano che il Beato, abitualmente, di giorno e di notte, si intratteneva per lunghe ore dinanzi al Santissimo Sacramento. Questa profonda immersione nel mistero eucaristico, proprio a Ravello, gli era facilitata anche dal luogo della sua dimora, la cui finestra versa proprio sull’altare maggiore. Da questa fessura, quasi feritoia luminosa, la sua meditazione silenziosa diventava meraviglia, contemplazione, estasi. Celebrava ogni giorno con tale devozione e partecipazione che spesso la santa Messa finiva nella commozione e nelle lacrime. In prossimità della consacrazione, il suo corpo si accendeva di luce nell’estasi; il volto si trasformava; lacrime e sudore lo irrigavano fino a infiammarlo anche per mezz’ora dopo la celebrazione, quando si ritirava dietro l’altare e, spesso, lo si udiva piangere 3. Il Beato ricevette dal Signore il dono delle lacrime, segno di profonda pietà e di conversione all’amore di Dio! Tra il ’600 e il ’700, la visita al Santissimo Sacramento era un momento della pietà cristiana molto coltivato e raccomandato. Specialmente nell’Ordine dei Minori Conventuali, rappresentava un tempo privilegiato nella formazione dei novizi e dei chierici. Il Beato, oltre a praticare queste “visite” nel corso della giornata, le inculcava soprattutto ai suoi novizi, quando era loro maestro nel convento di Nocera Inferiore (1703 - 1707). 3

Cf. Omelia del cardinale José Saraiva Martins (Ravello, 26 ottobre 2010).

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Ogni giorno, verso sera, li portava in processione in chiesa e rimaneva con loro in preghiera dinanzi al mistero del Pane di vita. Alcune volte – raccontato i testimoni – quando il Santissimo era solennemente esposto, andava in estasi e consumava la sua devozione in abbondanti sudorazioni, sebbene si fosse in pieno inverno. Uno dei suoi novizi ricorda che quando passava davanti a una chiesa e la trovava chiusa, soleva inginocchiarsi dinanzi alla porta e così adorare il Santissimo Sacramento sulla soglia, invogliando anche coloro che l’accompagnavano a fare la stessa cosa. Il Beato percepiva la presenza reale di Gesù non solo con l’assenso della mente, bensì – e più fortemente – con l’interezza della percezione corporale. L’intera vita del Beato era centrata sull’Eucaristia: celebrazione della santa Messa, visita al Santissimo, ardore per la lampada del Sacramento dell’amore, attenzione alla casa di Dio e alla suppellettile, devozione verso i ministri dell’Eucaristia che definiva “testimoni della santità di Dio”. Tutta questa passione eucaristica diventava palpitante e viva anche dopo la sua morte, quando, verso la sera del terzo giorno, il suo corpo – trasportato dall’oratorio in chiesa per essere sotterrato alla presenza del vescovo e di altri qualificati testimoni –, rinnova un prodigio straordinario. Nel trasporto della salma, quando questa fu in vista del tabernacolo che si trovava sull’altare di sant’Antonio, situato a sinistra di chi guarda ancora oggi l’altare maggiore, il Beato apriva gli occhi, che aveva tenuto sempre chiusi dal momento in cui era spirato. Li tenne aperti fino al momento in cui si giunse al luogo dove doveva essere sepolto. Nel passare dinanzi al tabernacolo, quasi si inchinò con la testa verso il medesimo, che custodiva Gesù sacramentato. Il fenomeno, alla luce delle candele, fu osservato da tutti gli astanti; poi gli occhi si chiusero con la calata nel fosso. I testi interpretarono l’accaduto come un segno con il quale il Signore aveva voluto premiare la grande devozione eucaristica del suo servo fedele, il beato Bonaventura da Potenza.


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Ci chiediamo: questo “stile eucaristico” di vita del Beato conserva ancora, per tutti noi, la sua forza e la sua validità, o appartiene a tempi passati che non hanno più nulla da dire e da insegnare a noi, suoi confratelli del XXI secolo? Sicuramente, lo stile eucaristico del Beato è per ogni cristiano un esempio vivo da imitare e un modo di vivere da praticare soprattutto per noi consacrati. Cerchiamo d’individuare alcune piste che, nel contempo, sono anche risposte concrete ad alcune domande di fondo: a) L’Eucaristia, centro e culmine della vita della Chiesa, è sempre il cuore della nostra fede. Senza Eucaristia non c’è Chiesa, come senza Chiesa non vi è Eucaristia. La nostra fede, la nostra pietà, la nostra santità cresce – ieri come oggi – attorno al Pane della vita. Il frate minore conventuale è un uomo eucaristico. L’Eucaristia, dunque, ritorni ad essere “centro” e “cuore” della vita spirituale francescana conventuale. Si cresce spiritualmente solo vivendo di Eucaristia. Due momenti molto importanti sono la preparazione alla celebrazione e il ringraziamento dopo la celebrazione (si ricordi la splendida preghiera di san Bonaventura: Transige, dolcissime Domine Jesu…). Non sono nostalgie del passato. La sacrestia non è un luogo di ricreazione, ma di silenzio, di raccoglimento e di preghiera. È doveroso educare anche i fedeli in questa direzione. b) Le nostre chiese conventuali e parrocchiali ritornino ad essere “Casa dell’Eucaristia”: si rinnovi l’adorazione diurna e notturna personale e comunitaria avendo come guida la Parola di Dio, il silenzio, l’adorazione (qualche ora del giorno e alcune ore alla settimana); la visita al Santissimo Sacramento, le quarant’ore, la contemplazione… Se non siamo capaci di “inventare” nulla di nuovo (come, per esempio, le scuole di ascolto della Parola di Dio e di preghiera), riproponiamo almeno quelle “devozioni eucaristiche” che costituiscono il punto di riferimento della crescita della comunità conventuale e parrocchiale. Non riduciamo il tutto alla celebrazione frettolosa della santa Messa del mattino

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o della sera. Il campo, per dare frutto, ha bisogno di essere irrorato a più riprese e in molte direzioni. Il “deserto” che a volte ci circonda, forse, senza volerlo, l’abbiamo fomentato anche noi. c) L’Eucaristia sia soprattutto il “cuore” della fraternità conventuale. Non basta la chiesa, della parrocchia o del convento, come luogo di preghiera. In ogni casa religiosa vi sia la cappella dove ogni frate può raccogliersi, pregare, meditare, contemplare. Se una volta dopo il pranzo e dopo la cena aveva luogo la visita al Santissimo Sacramento e la preghiera di Compieta, oggi questo stile spirituale di vita non può essere sostituito dalla corsa alla televisione, ad aprire il computer o a divagarsi sulla grande rete di internet. Su questi argomenti non vi sono regole da dare, ma solo propositi da prendere personalmente davanti a Dio, per fare buon uso del tempo, ponendosi al servizio dello studio e della fraternità. Ci aiuti il Beato a cambiare il nostro stile di vita e ad abbracciare il suo “stile eucaristico” che porta alla santità personale e comunitaria.

3. Minorità e itineranza La minorità e l’itineranza costituiscono l’essenza della vita di ogni frate. Il serafico padre san Francesco ci ha voluto minori e itineranti. A questi due pilastri della vita minoritica il Beato è stato fedele e perseverante 4. Certo, non possiamo conformare la nostra minorità e la nostra

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Ecco in breve il suo percorso. Nocera Inferiore (anno di noviziato: 4 ottobre 1666 - 5 ottobre 1667). Aversa (studi umanistici, verso la fine del 1667 e l’inizio del 1668). Maddaloni (1668 1669). Lapio (1669 - 1671): fra Bonaventura ha appena 18 anni quando è mandato in questo convento-eremo e vi rimane per due anni. Amalfi (1672 - 1680): per 8 anni fra Bonaventura è sotto la guida del venerabile padre Domenico Girardelli da Muro Lucano († 1683); qui il Beato, come giovane sacerdote, diventa l’apostolo della Costa di Amalfi. Napoli (1680 - 1687): vi soggiorna per sette anni, a Sant’Antonio fuori Porta Medina; poi è a Maranola, sul Golfo di Gaeta, nel convento della Santissima Annunziata, a Giuliano, a Montella, a Sant’Eufemia-Sorrento. Il Beato fu poi a


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itineranza con quella del Beato. Altri erano i tempi e altre erano le esigenze. Ma, se è lo spirito di distacco religioso e di disponibilità francescana che conta ancora oggi, anche questo vuol dire che siamo sempre più lontani da quella “armonia interiore” che guidava il Beato. La minorità e l’itineranza rendono il frate francescano conventuale veramente libero e distaccato dalle cose di quaggiù per fissare le cose di lassù. È questa “spiritualità liturgico-pasquale” che deve guidare il nostro quotidiano cammino teso a trovare sempre un’“armonia interiore” tra i nostri carismi e le esigenze culturali e apostoliche del territorio della Provincia. Solo nella “preghiera” e nel “discernimento”, ciascuno di noi troverà la strada che Dio gli traccia ogni giorno per il suo bene e per l’annuncio del Vangelo.

4. Obbedienza e povertà Nella vita religiosa, obbedienza e povertà camminano sempre insieme. La povertà e l’obbedienza esprimono il nostro bisogno d’essere: avere fame di Dio e sete della sua Parola. Certamente, la povertà e l’obbedienza si esprimono in modo concreto attraverso il vissuto di fede, di

Capri nel 1687: si fermò solo per tre mesi per riaprire un’antica dimora francescana conventuale. Il Beato fu ancora a Napoli tra il 1687 e il 1688: ritornò a Sant’Antonio fuori Porta Medina, poi a Ischia (1688 - 1698). Egli rimase per ben dieci anni nel convento di Santa Maria delle Grazie – oggi casa religiosa dei frati minori –, quasi eremita e penitente della prima stagione minoritica, insieme con altri confratelli distinti per santità di vita; nella chiesa, come in altri luoghi dell’“Isola verde”, sono ancora numerosi i ricordi della sosta del Beato. Egli fu a Napoli (1698 - 1701), a Santa Maria Apparente, dal 19 ottobre 1698 al 7 luglio 1701, e a Sant’Antonio fuori Porta Medina, fino all’ottobre 1703, quando gli fu comunicata la nomina a maestro dei novizi; a Nocera Inferiore (ottobre 1703 - giugno 1707), come maestro e formatore dei novizi. Ancora a Napoli (1707 - 1710), ancora una volta a Sant’Antonio fuori Porta Medina: questo convento lo ebbe figlio a varie tappe per oltre dieci anni. Infine, a Ravello (1710 - 1711): vi arrivava “per obbedienza” il 4 gennaio fino alla morte (26 ottobre 1711). In tutto, diciotto presenze nel segno della minorità, del sentirsi ultimo tra gli ultimi, poco letterato sulle verità degli uomini, ma molto sapiente sulle verità di Dio.

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speranza e di carità. In tutte le nostre azioni, come altresì nel modo di pensare, dobbiamo orientarci completamente verso Dio – la fonte, l’origine della nostra vita, così come della nostra consacrazione – e aprirci alle attese dei fratelli, anche quando ciò diventa difficile. Se il discorso sull’obbedienza e sulla povertà si esprime nella quotidianità del nostro religioso cammino, siamo capaci di dire a noi stessi che si è per davvero obbedienti nella misura in cui siamo anche poveri. L’obbedienza è, innanzitutto, saper ascoltare la voce di Dio. Chi è obbediente si nutre di silenzio, di spazi di riflessione, di ascolto docile della Parola. La povertà, invece, è l’abbandonarsi completamente all’aiuto di Dio. I poveri praticano una fiducia sconfinata nella presenza e nell’amore del Signore. I poveri sono abbandonati in Dio per tutto ciò che accade. Nel calendario liturgico della Chiesa cattolica vi sono “martiri della carità” e “martiri della purezza”: il beato Bonaventura da Potenza è invocato come “martire dell’obbedienza”. Questo titolo merita di essere riscoperto ai nostri giorni, visto che viviamo un tempo particolarmente impregnato sulla comunicazione, sull’informazione di massa, ove non mancano disorientamenti e distorsioni del messaggio. Ascoltare, comunicare, per il Beato, significava creare sempre un evento di comunione con Dio e con i fratelli. È questo l’aspetto più bello e attuale del titolo “martire dell’obbedienza”. Chi è obbediente sa ascoltare e praticare il silenzio, custodendo gelosamente la Parola di Dio, ed è capace altresì di fare della riflessione e del confronto con gli altri un vero stile di vita. I poveri e gli obbedienti sono sempre in dialogo con Dio e con i fratelli. Credo che sia qui racchiusa la forza del titolo “martire dell’obbedienza”. “Obbedire”, secondo una felice derivazione medievale, deriva da obaudio, e significa “ascoltare ciò che sta dietro, che si nasconde, che non è chiaro”. Il beato Bonaventura da Potenza ha sempre posto la sua fiducia nel Signore, anche quando non riusciva a trovare un senso e una spiegazione razionale per gli avvenimenti della sua storia. Certamente, i voti di


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povertà e di obbedienza non si risolvono in un atteggiamento esistenziale e necessitano, altresì, di esprimersi concretamente nella vita di ogni giorno per essere credibili.

5. Amore e servizio alla Chiesa e all’Ordine serafico Amore e servizio sono due parole alte del Vangelo di Gesù di Nazaret. Nella vita del Beato, l’amore e il servizio hanno quotidianamente guidato i suoi passi frettolosi per le strade e i vicoli di Napoli e delle altre città della Campania, dove l’obbedienza lo inviava. Il Beato comprendeva che tutto si compie per amore e che l’amore per Dio e per i fratelli si trasforma in servizio vero al prossimo quando ci si dona senza ritorno né per interessi personali. D’altronde, due sono i pericoli dell’Amore. Il primo è il possesso geloso dell’altro o anche la cattura lacerante delle cose. Chi ama non possiede niente, perché si dona. Amare è donare la vita! L’Amore ci fa esistere, ci rende persona, ci personalizza. Il secondo pericolo che fa morire l’Amore e ne vanifica i contenuti è l’ingratitudine: chi ama non rimpiange niente, neanche il suo donarsi. Dio ama chi dona con gioia. Discepolo, infatti, secondo la logica del Vangelo, è chi vende tutto per seguire Gesù, per annunciare il suo Regno. L’Amore – Dio-Trinità, fonte e origine, senso e fine della nostra vita – ci richiede un esodo senza ritorno, l’uscire da noi stessi come pellegrini e forestieri in questo mondo. Chi ama non si volta indietro, bensì procede avanti, proprio come il Beato. Amare come il Beato significa riconoscere nella nostra vita, senza alcun rimpianto, il primato di Dio, cioè quell’Avvento definitivo – il Cristo in mezzo a noi – che ha cambiato il corso della storia e il senso della vita. Il Beato ci insegna che non vi è amore per l’altro se non si parte dall’amore per Dio. Prima il rapporto verticale e poi il rapporto orizzontale. Quell’ardore serafico che travolgeva frate Francesco in ogni suo gesto

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era rivissuto dal Beato con la stessa passione. L’amore del Beato per il prossimo, per gli ultimi, per i malati, per i sofferenti, per i moribondi, scaturiva soltanto da un cuore innamorato e appassionato di Dio. Se amore e servizio costituiscono i pilastri dell’azione concreta del cristiano, quest’azione diventa più alta e sublime nella misura in cui si ha come costante punto di riferimento la santa madre Chiesa. Certo, il concetto teologico di “Chiesa” ai tempi del Beato era molto più circoscritto del nostro: riguardava la societas perfecta di carattere gerarchico. Oggi, invece, prevale l’immagine della Chiesa quale “popolo santo di Dio”, nonché comunione, del Concilio Ecumenico Vaticano II, che permette di delineare le piste e gli ambiti della nostra azione apostolica, profetica e missionaria. Il Beato si pone sulla stessa linea di Francesco. Non critica, non demolisce, ma ama, lavora, fatica, costruisce, prega per la Chiesa. Dovunque, il Beato lascia il profumo del suo passaggio. Il suo stare con la gente è per davvero sempre un incontro di salvezza. Siamo oggi tentati da un’eccessiva autonomia sia ecclesiale che conventuale. Crediamo, sbagliando, di non aver più bisogno di “guide”, di “padri spirituali”, di “direttori di anime”. Facciamo tutto da soli e bastiamo a noi stessi, giustificando ogni scelta nel nome di una libertà senza senso. Si è “liberi solo in Cristo”, come il Beato che ha consegnato la sua vita a Dio e ai superiori per amare e servire la Chiesa e la fraternità conventuale. Il terzo centenario della morte del Beato deve dare a ciascuno di noi la forza e il coraggio di “dare un senso” al caos che ci circonda: relativismo, scarsa attenzione alla fede, debolezza religiosa, indifferenza al sacro, frammentarietà, evanescenza, debolezza… Il Progetto Provinciale Quadriennale 2009 - 2013 sul “senso” e sulla “qualità” della vita fraterna può qualificare il dibattito del capitolo conventuale e le meditazione personale di ogni religioso, attingendo alla tradizione del passato per camminare in avanti, verso il futuro.


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6. Ripartire da Ravello, quindi da Cristo Ripartiamo da Ravello, quindi, cioè dal volto di Cristo crocifisso e risorto contemplato dal beato Bonaventura da Potenza 5. Sappiamo che cosa vuol dire “ripartire”: riprendere il cammino con rinnovato ardore e con francescana speranza. La mèta non la dobbiamo trovare. Ci è stata già indicata da coloro che ci hanno preceduto nel segno della fraternità provinciale. Ci è stata indicata dai santi come il Beato e da testimoni – cito solo alcuni – come il venerabile Domenico Girardelli da Muro Lucano (1632 - 1683), il servo di Dio Francesco da Atrani († 1712, solo un anno dopo la morte di frate Bonaventura), fra Antonio Donato del Quercio da Caposele († 1774, un anno prima della beatificazione di frate Bonaventura), fra Ludovico Di Nardo († 1942), i fratelli Antonio († 1941), Giuseppe († 1961) e Alfonso Palatucci († 1962), i fratelli Antonio († 1918) e Bonaventura Mansi († 1964), padre Andrea Sorrentino († 2001). Questi religiosi, pionieri e testimoni di un francescanesimo puro, devono continuare ad essere i nostri punti di riferimento e di confronto. Ripartire da Cristo, guardando, in primo luogo, al versante “santità”: il Beato risvegli in noi la nostalgia di Dio e il bisogno di vivere da testimoni. Ripartire da Ravello significa anche individuare quanto si può realmente fare guardando alle nostre forze e alle nostre concrete possibilità d’impegno e d’azione pastorale. Sono grato al Comitato per l’Anno bonaventuriano che, dopo l’incontro svoltosi a Potenza mercoledì 14 luglio 2010, tramite il segretario, ha presentato una relazione, dalla quale prendo idee e proposte, integrandole con altre e riproponendole all’intera Provincia serafica. 5

Nell’enciclica Spe salvi, al n. 49, Benedetto XVI afferma: «La vita è come un viaggio sul mare della storia, spesso oscuro e in burrasca, un viaggio nel quale scrutiamo gli astri che ci indicano la rotta. Le vere stelle della nostra vita sono le persone che hanno saputo vivere rettamente». Per noi il Beato è una luce di speranza che rinvia a Gesù Cristo, Luce della nostra vita e di tutti popoli.

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6.1. Anno di preparazione: “Il Beato, nostro fratello” a) Sarà il cardinale Antonio Cañizares Llovera, prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, ad aprire il 26 ottobre 2010, l’Anno di preparazione, guidando la processione e presiedendo la solenne Concelebrazione eucaristica nel pomeriggio del giorno della solennità del beato Bonaventura da Potenza. Ogni fraternità conventuale sia presente con un folto e nutrito gruppo di terziari, di militi, di giovani e di fedeli di altre associazioni. L’Anno di preparazione sia celebrato e vissuto in ogni nostra parrocchia, rettoria e chiesa conventuale con iniziative proprie, soprattutto il 26 di ogni mese. Occorre rinverdire la memoria del passaggio del Beato nei luoghi che lo hanno visto testimone dell’amore e della misericordia di Dio: Potenza, Nocera Inferiore, Amalfi, Maddaloni, Lapio, Sant’Anastasia, Napoli, Capri, Ischia e Ravello. In questi luoghi storici bisogna riaccendere la fiamma della sua presenza e dei prodigi da lui compiuti, nel nome di Dio, per il bene delle anime. Nelle diocesi in cui non siamo presenti sarò io stesso a compilare un “calendario” con i vescovi diocesani e con i parroci più sensibili e attenti alla nostra spiritualità francescana, per fare memoria della presenza e del passaggio del Beato. b) In questo Anno di preparazione, il convento di Ravello deve tornare ad essere il “cuore” della nostra Provincia e dell’Ordine. Ogni frate della Provincia, informato il suo guardiano e il padre provinciale, trascorra in questo convento un congruo tempo in compagnia del Beato, per rivedere la propria vocazione e il significato del proprio servizio alla Provincia. È necessario che ogni guardiano, in capitolo conventuale, discuta di questa proposta e presenti un calendario delle presenze in convento, in modo da poter ordinare francescanamente ogni cosa. Chi


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decide di trascorrere a Ravello questo tempo di grazia, è dispensato dagli esercizi spirituali annuali. c) Inviterò i ministri provinciali della Cimp a tenere uno dei prossimi incontri a Ravello, presso la tomba del beato Bonaventura. Questa richiesta è stata già estesa al ministro generale e al suo definitorio. Anche il nostro definitorio, nel corso di questi due anni, preferirà Ravello come luogo d’incontro, di studio, di analisi e di proposte provinciali. Prossimamente, l’incontro di formazione dei fratelli religiosi dell’aria Cimp prevede una sosta anche a Ravello. Ciò è auspicabile anche per l’incontro dei padri guardiani della Provincia, del sud d’Italia e dei parroci della Cimp. d) Le associazioni e i movimenti presenti nelle nostre parrocchie e rettorie guardino anch’essi a Ravello come meta dei loro incontri formativi e promozionali. Attendiamo una maggiore collaborazione da parte del Terz’Ordine, della Milizia, della Gifra. e) Delego i guardiani di Ravello e di Potenza a programmare incontri zonali nelle comunità dell’Arcidiocesi di Amalfi-Cava de’ Tirreni e di Potenza-Marsico Nuovo, perché i fedeli della Costiera Amalfitana e del territorio lucano possano riscoprire sempre più il privilegio di vivere accanto ai santi e di sentirsi figli di una comunità chiamata ad essere testimone delle meraviglie di Dio compiute dai suoi figli migliori. f) Sarà mia premura informare tutti i vescovi della Campania e della Basilicata delle iniziative avviate per l’Anno di preparazione e invitare arcivescovi e vescovi, fedeli laici e giovani, a farsi pellegrini a Ravello per vivere una forte esperienza spirituale nell’incanto della Divina Costiera.

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Lettera fraterna del Ministro Provinciale

g) Resto in attesa di altre possibili iniziative che coinvolgano i Comuni, le Province e le Regioni Campania e Basilicata. Delego i guardiani di Ravello e di Potenza a promuovere alcuni incontri per sondare il terreno e individuare le possibili iniziative socio-politiche in comune.

6.2. Anno della celebrazione: “Il Beato: una memoria, una presenza” Abbiamo ancora tempo per delineare, nei particolari, iniziative, proposte e programmi. Per ora, mi limito a offrire alcune possibili piste da percorrere, riprendendo quanto il comitato ha suggerito: a) Celebrazioni liturgiche, pubblicazione di opuscoli territoriali, locali e particolari, conferenze, incontri, dibattiti e convegni devono coinvolgere paesi e diocesi allo scopo di riproporre ai fedeli del territorio un “messaggio” che continua a scuotere i cuori. b) Occorre rileggere e aggiornare la parte “iconografica” della vita del Beato con il restauro di alcuni quadri, la pubblicazione di un catalogo critico e la presentazione di una mostra importante da farsi a Ravello e a Potenza, in due tempi distinti, nel corso dell’Anno della celebrazione. c) Occorre ordinare una mostra con tutti i volumi pubblicati nel corso di questi tre secoli. La mostra deve essere accompagnata da uno studio storico-culturale, capace di riannodare tempi, circostanze, novità e originalità delle pubblicazioni. A queste bisogna unire anche quelle a latere che coinvolgono quei religiosi che hanno donato un tratto della loro esistenza nel promuovere la conoscenza del Beato sia nel convento e nella città di Ravello che altrove.


Verso il III centenario della morte del beato Bonaventura da Potenza

d) Fare del Santuario di Ravello un vero “sacrario” della memoria francescana conventuale con il “ritorno” in chiesa delle reliquie di fra Ludovico Di Nardo e del corpo di padre Andrea Sorrentino a dieci anni dalla morte (5 dicembre 2011). Accanto al beato Bonaventura da Potenza, al venerabile Donato del Quercio da Caposele, ai fratelli Antonio e Bonaventura Mansi, riposeranno così altri due testimoni del Beato che hanno segnato con la loro vita francescana la città di Ravello e di altri centri della Costiera. A questo progetto si deve legare anche il complesso francescano conventuale ravellese che finalmente deve diventare una casa di spiritualità, di cultura, di formazione francescana, ecclesiale e pastorale per l’intera regione. e) La rivista Il beato Bonaventura da Potenza, in tutti questi progetti, ha un ruolo determinante. Sarà la “voce francescana” che, insieme a Luce Serafica, nata proprio a Ravello, trasmetteranno quanto riguarda il Santuario francescano-bonaventuriano di Ravello. Queste e altre iniziative – per entrare solo in alcuni particolari – possono essere incanalate nei seguenti ambiti. Storico-culturale: promuovere un importante convegno storico sui tempi del Beato e la Costiera Amalfitana. •

• Liturgico-sacramentale: Celebrazioni eucaristiche, tridui, ottavari e novene rinverdiranno la memoria del Beato. Il pellegrinaggio con la sua reliquia nelle nostre comunità conventuali e parrocchiali darà, al riguardo, un nuovo impulso. • Artistico: quadri, stampe, riproduzioni di affreschi, gigantografie (dal 1711 a oggi), con relative pubblicazioni.

Editoriale: il sito Ravellofrancescana.it già offre un quadro ben preciso della nostra storia francescana conventuale a Ravello. Dovrebbe •

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crescere di più e avere il contributo di tutte le sedi locali dei nostri conventi. È utile preparare un DVD che presenti la vita del Beato. È opportuno pubblicare altre vite sul Beato sia dal punto di vista storico-agiografico che spirituale-devozionale. È interessante, altresì, rileggere il metodo di annuncio e di vita pastorale applicati dal Beato per i nostri giorni.

7. Conclusione: sotto la protezione del Beato Sulla tomba del Beato deponiamo questi nostri progetti tesi a onorare la sua memoria. Mi viene incontro il profeta Isaia che, nel capitolo 34 del suo libro, chiede a Dio di far sorgere pastori fedeli tra il suo popolo. È quello che chiediamo a Dio, alla Vergine Maria e al nostro Beato: essere fedeli a quanto abbiamo ricevuto e a quanto abbiamo promesso. Questo è il richiamo del profeta: «Guai ai pastori d’Israele, che pascolano se stessi! I pastori non dovrebbero forse pascolare il gregge? Vi nutrite di latte, vi rivestite di lana, ammazzate le pecore più grasse, ma non pascolate il gregge. Non avete reso forti le pecore deboli, non avete curato le inferme, non avete fasciato quelle ferite, non avete portato le disperse. Non siete andati in cerca delle smarrite, ma le avete guidate con crudeltà e con violenza. Per colpa del pastore si sono disperse e sono preda di tutte le bestie selvatiche: sono sbadate […]. I pastori hanno pasciuto se stessi senza aver cura del gregge […]. A loro chiederò conto del mio gregge» (vv. 1-11).

A questa provocazione sulle nostre responsabilità religiose e sacerdotali, che ci viene da uno dei profeti maggiori, si lega la raccomandazione dell’apostolo Paolo nella Prima lettera ai Corinzi: «Noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo spirito di Dio per conoscere ciò che Dio ci ha donato. Di queste cose noi parliamo, con parole non suggerite dalla sapienza umana, bensì insegnate dallo Spirito, esprimendo cose spirituali in termini spirituali […]. L’uomo mosso dallo Spirito giudica ogni cosa,


Verso il III centenario della morte del beato Bonaventura da Potenza

senza poter essere giudicato da nessuno […]. Noi abbiamo il pensiero di Cristo (2,10b-16).

È stato il “pensiero di Cristo” a guidare i sessant’anni di vita del Beato. Il ritratto che, nel 1754, padre Giuseppe Rugilo (1721 - 1789) gli dedicò a conclusione del Libro primo della Vita del venerabile padre Bonaventura, con fedeltà e amore – 29 anni prima della gloriosa beatificazione avvenuta il 26 novembre dell’Anno santo 1775 –, conferma, con le parole che seguono, come sia stato solo “il pensiero di Cristo” a guidare la vicenda terrena del Beato: «Visse fra gli uomini anni sessanta, mesi otto, e giorni ventisei, da innocente, da penitente, e da apostolo. Non ebbe molta letteratura; ma non ne fu nudo del tutto. Seppe bastevolmente latino; studiò teologia morale, della mistica ne fu un gran maestro, ma l’ebbe piuttosto infusa che acquistata. Fu di statura più che mediocre: di complessione valida, di temperamento igneo; ma ridotto ad estrema placidezza colla virtù. Fu di poche parole, e parlò regolarmente con voce bassa e soave. Ebbe volto facile ad accendersi, florido e giovanile, fino all’ultima vecchiezza; né portò mai sembianze d’uomo mortificato. Fu di tratto manieroso e disinvolto, da cui difficilmente si sarebbe notata alcuna singolarità di costume e di virtù, se altro non l’avesse palesata. Una gran parte della sua santità rimase occulta fino alla sua morte, quando piacque al Signore di glorificarlo, più strepitosamente, tuttavia se ne riseppe anche molto prima di quella pubblica glorificazione».

Dalla nascita alla morte, fino alla glorificazione: così si consumava una vita spesa soltanto per amore verso Dio e i fratelli. Il serafico padre san Francesco, il beato Bonaventura da Potenza, san Massimiliano Kolbe, che a Ravello, accanto al “martire dell’obbedienza” ha trascorso più di un mese (4 giugno - 8 luglio 1919), prima di ritornare definitivamente in Polonia (passando per Assisi), ci guidino in questo Anno di preparazione e durante l’Anno della celebrazione. A loro, come a “lampade che brillano” (cf. 2Pt 1,16-19), guardiamo con fiducia e rinnovata speranza.

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Siano loro i nostri compagni di viaggio in questo cammino di rinnovata testimonianza evangelica e francescana. Il Signore ci doni la sua grazia e la sua pace.

Dalla Sede della Curia Provinciale, 17 settembre 2010 Festa delle sacre Stigmate di san Francesco

Fra EDOARDO SCOGNAMIGLIO Ministro Provinciale dei Frati Minori Conventuali di Campania e Basilicata


INDICE

1. Ripartire da Ravello

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2. Il Beato, modello di vita sacerdotale

6

3. Minorità e itineranza

10

4. Obbedienza e povertà

11

5. Amore e servizio alla Chiesa e all’Ordine serafico

13

6. Ripartire da Ravello, quindi da Cristo

15

6.1. Anno di preparazione “Il Beato, nostro fratello”

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6.2. Anno della celebrazione “Il Beato: una memoria, una presenza”

18

7. Conclusione: sotto la protezione del Beato

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Finito di stampare nel mese di settembre 2010 presso La Creazione - Casoria (Napoli)


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