Numero 2/2011 - Trimestrale - Poste Italiane S.p.a. - Spedizione in abbonamento postale - D.L.353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 2 - CNS/CBPA/sud/BENEVENTO/109/2007
Luce Serafica
La forma più evoluta della vita?
Verso l’unità Era digitale d’Italia... e annuncio
Il monogenitore e la vera famiglia...
Dialogo e immigrazione
La gioia del Tempo Pasquale
Editoriale
Sommario 2/2011 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 14 16 18 19 20 22 23 24 25 26 28 29 30 31
La forma più evoluta della vita?
Editoriale di Edoardo Scognamiglio Finestra sul mondo di Felice Autieri Voci di Chiesa La redazione Famiglia oggi di Gianfranco Grieco Psicologia di Caterina Crispo Orizzonte giovani di Luca Baselice Dialogo di Edoardo Scognamiglio Missioni di Angela Pecora Liturgia di Giuseppe Falanga Dabar di Cyrille Kpalafio Pastorale di Antonio Vetrano Il punto di Filippo Suppa Formazione di Simone Schiavone Costume e società di Vincenzo Picazio Vocazione dal Postulato di Benevento Spiritualità di Raffaele di Muro Asterischi francescani di Orlando Todisco Cimp di Agnello Stoia Arte di Paolo D’Alessandro Eventi La redazione Sport La redazione Cinema di Giuseppina Costantino In book La redazione Fumetti La redazione
Luce Serafica Periodico francescano del Mezzogiorno d’Italia dei Frati Minori Conventuali della Provincia Napoletana Autorizzazione del Tribunale di Benevento n. 3 del 24/04/2006 Anno VII – n. 2/2011
Abbonamento annuale 20 euro. CCP: 15576804, intestato a Luce Serafica, Periodico francescano, Convento S. Lorenzo Maggiore – Via Tribunali, 316 – 80138 Napoli Direttore Responsabile Raffaele Di Muro Direttore Paolo D’Alessandro E-mail: pdart@libero.it 3
Cari lettori, Buona Pasqua! Qualche teologo attento al dialogo tra “scienza e fede” ha pensato all’evento della risurrezione di Gesù – e quindi anche alla nostra – come alla forma più evoluta della vita umana. Non che la risurrezione sia il frutto della nostra capacità di adattamento all’ambiente combinata all’azione pressante della selezione naturale. Né si può ridurre allo sforzo del progresso scientifico e tecnologico in atto. Niente di tutto ciò. Non si tratta neanche di una forma di immortalità che ci possiamo garantire liberandoci dal corpo e dalla materia. Anzi, è proprio l’opposto. Semplicemente si crede che la vita umana, rinata in Cristo, attraverso la partecipazione alla sua Pasqua, si apra al senso definitivo e pieno della vita stessa: la comunione con Dio. Celebrare la Pasqua, dunque, significa scoprire il significato del nostro essere corpo, carne, materia, fino a ritrovare in noi stessi il senso ultimo e nuovo dell’esistenza. Alla domanda “Che cosa significa risuscitare?”, Il Catechismo della Chiesa Cattolica risponde così: «Dio nella sua onnipotenza restituirà definitivamente la vita incorruttibile ai nostri corpi riunendoli alle nostre anime, in forza della Risurrezione di Gesù» (n. 997). Cristo è risorto con il suo proprio corpo: «Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io!» (Lc 24,39); ma egli non è ritornato a una vita terrena. Allo stesso modo, in lui, tutti risorgeranno coi corpi di cui ora sono rivestiti, ma questo corpo sarà trasfigurato in corpo glorioso (cf. Fil 3,1), in «corpo spirituale» (1Cor 15,44). La Pasqua sembra dirci che il nostro è un destino fatto di carne, di materia che si apre all’azione potentissima dello Spirito che riempie di vita e di luce tutto ciò che è la creazione. Allora, alla luce di tutto quello che sta accadendo (inquinamento dell’ambiente, rischio nucleare, masse migratorie in movimento, scarsità di risorse energetiche e idriche, precarietà economica e disastri finanziari), abbiamo veramente bisogno di augurarci: Buona Pasqua! Perché da soli non ce la possiamo proprio fare. Senza Dio non ci è garantito alcun futuro, né evoluzione o progresso vitale. EDOARDO SCOGNAMIGLIO
FINESTRA SUL MONDO di Felice Autieri
Quest’anno l’Italia festeggia il 150° anniversario dell’unità nazionale. Il 17 marzo 1861 si riuniva a Torino il primo Parlamento del nuovo Regno d’Italia. Non voglio entrare nel dibattito storiografico dell’unità d’Italia, o della questione politica riguardante le celebrazioni, ciò che più colpisce è la sostanziale indifferenza all’evento che denota, al di là delle scelte politiche personali e del giudizio storico dell’evento in sé, lo scontato poco attaccamento italico ad eventi riguardanti la giovane storia del nostro stato
un popolo è fondamentale non perché debba offrire una chiave interpretativa nazionalistica, ma perché conoscere la propria storia, il proprio passato ci aiuta a capire veramente quello che noi siamo oggi. Ritengo che la celebrazione civile del 17 marzo 2011 non è solo il festeggiare il 150° anniversario dell’Unità d’Italia, ma è un evento che debba essere accolto da noi tutti con l’obiettivo di far scaturire una riflessione sul nostro senso di appartenenza al popolo italiano in un momento di valutazione
unitario. È un dato di fatti oggettivo, che noi italiani ci sentiamo uniti quando la nazionale vince i mondiali di calcio, quando la stampa estera ci attacca con i soliti luoghi comuni, quando nei paesi stranieri vediamo campeggiare insegne di trattorie con pizza, spaghetti e caffè, o quando, tutti insieme, abbiamo la possibilità di manifestare la nostra solidarietà a chi è stato vittima di eventi catastrofici o a chi, per un motivo o per un altro, vive in condizioni svantaggiate. Il problema vero è che oltre a questo buon italico sentimento restiamo e temo, rimarremo “italiani senza memoria”. Infatti, la memoria storica di
e di retrospezione profonda diverso dalle solite manifestazioni culturali. Infatti, potremmo partire da questa celebrazione per riflettere sui contenuti dell’esistenza di questo paese, sul problema dell’Italia che non è quando sia stata fatta o la datazione di una coscienza nazionale ma quale coscienza della propria storia ha chi la sta effettivamente facendo. Per un periodo lungo la formatrice di questa coscienza è stato il libro “Cuore” del De Amicis, con i suoi personaggi quali la maestra dalla penna rossa, il sentimentalismo garibaldino, una letteratura che ha accompagnato la formazione di intere scolaresche fino 4
alla revisione dei programmi scolastici di questi anni. Attenti osservatori commentarono già da tempo che una democrazia senza un sano “amor patrio” ha vita stentata e che “non c’è patriottismo senza una buona politica; ma non ci può essere buona politica senza patriottismo”. Essi si erano accorti che il mito della nazione stava scomparendo dalla coscienza civile degli italiani, portando con sé l’amor di patria e il senso dello Stato. Alla vigilia di questo evento, ormai imminente, il nostro paese sembra afflitto da una grave crisi di sfiducia nella propria esistenza. Molti pensano che la nascita dello Stato unitario sia stato un errore e che una nazione italiana non sia mai esistita: quindi ritengono che non dovrebbe esistere neppure uno Stato italiano. Purtroppo, molti Italiani non hanno mai avuto il sentimento comune dei sacrifici compiuti insieme ed il ricordo del passato sembra un inutile esercizio retorico. Paradossalmente sembra che per unire il nostro popolo, sarebbe necessario avvalersi dell’oblio, che cancella il ricordo che divide. Non è questo il vero messaggio, perché a chi non sa che farsene dello Stato nazionale, bisogna rispondere con forza che al momento nessuno, tanto meno gli italiani, possono evitare di vivere in un mondo di nazioni e di Stati nazionali, i quali spesso hanno provocato sofferenze e persecuzioni, annientando la dignità, la libertà, la vita di molti uomini. Ma hanno anche permesso a milioni di individui di conquistare un maggiore benessere, una maggiore dignità e una maggiore libertà. Auguri Italia per i tuoi 150 anni.
VOCI DI CHIESA La redazione
Verità, annuncio e autenticità di vita nell’era digitale In occasione della XLV Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, che si celebrerà il prossimo 5 giugno 2011, Benedetto XVI si è soffermato su un fenomeno caratteristico del nostro tempo: il diffondersi della comunicazione attraverso la rete internet. Per l’occasione, il messaggio s’intitola proprio Verità, annuncio e autenticità di vita nell’era digitale. 1. Un nuovo modo di comunicare «Le nuove tecnologie non stanno cambiando solo il modo di comunicare, ma la comunicazione in se stessa, per cui si può affermare che si è di fronte ad una vasta trasformazione culturale. Con tale modo di diffondere informazioni e conoscenze, sta nascendo un nuovo modo di apprendere e di pensare, con inedite opportunità di stabilire relazioni e di costruire comunione. Si prospettano traguardi fino a qualche tempo fa impensabili, che suscitano stupore per le possibilità offerte dai nuovi mezzi e, al tempo stesso, impongono in modo sempre più pressante una seria riflessione sul senso della comunicazione nell’era digitale. Ciò è particolarmente evidente quando ci si confronta con le straordinarie potenzialità della rete internet e con la complessità delle sue applicazioni. Come ogni altro frutto dell’ingegno umano, le nuove tecnologie della comunicazione chiedono di essere poste al servizio del bene integrale della persona e dell’umanità intera. Se usate saggiamente, esse possono contribuire a soddisfare il desiderio di senso, di verità e di unità che rimane l’aspirazione più profonda dell’essere umano».
2. La sfida di essere autentici «Soprattutto i giovani stanno vivendo questo cambiamento della comunicazione, con tutte le ansie, le contraddizioni e la creatività proprie di coloro che si aprono con entusiasmo e curiosità alle nuove esperienze della vita. Il coinvolgimento sempre maggiore nella pubblica arena digitale, quella creata dai cosiddetti social network, conduce a stabilire nuove forme di relazione interpersonale, influisce sulla percezione di sé e pone quindi, inevitabilmente, la questione non solo della correttezza del proprio agire, ma anche dell’autenticità del proprio essere. La presenza in questi spazi virtuali può essere il segno di una ricerca autentica di incontro personale con l’altro se si fa attenzione ad evitarne i pericoli, quali il rifugiarsi in una sorta di mondo parallelo, o l’eccessiva esposizione al mondo virtuale. Nella ricerca di condivisione, di “amicizie”, ci si trova di fronte alla sfida dell’essere autentici, fedeli a se stessi, senza cedere all’illusione di costruire artificialmente il proprio “profilo” pubblico». 3. Un nuovo mondo «Le nuove tecnologie permettono alle persone di incontrarsi oltre i confini dello spazio e delle stesse culture, inaugurando così un intero nuovo mondo di potenziali amicizie. Questa è una grande opportunità, ma comporta anche una maggiore attenzione e una presa di coscienza rispetto ai possibili rischi. Chi è il mio “prossimo” in questo nuovo mondo? Esiste il pericolo di essere meno presenti verso chi incontriamo nella nostra vita quotidiana ordinaria? Esiste il rischio di essere più distratti, perché la
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nostra attenzione è frammentata e assorta in un mondo “differente” rispetto a quello in cui viviamo? Abbiamo tempo di riflettere criticamente sulle nostre scelte e di alimentare rapporti umani che siano veramente profondi e duraturi? È importante ricordare sempre che il contatto virtuale non può e non deve sostituire il contatto umano diretto con le persone a tutti i livelli della nostra vita».
FAMIGLIA OGGI di Gianfranco Grieco
Mono-genitore: quando il problema è serio Sei favorevole a che un single possa adottare un bambino, come auspicato dalla Corte di Cassazione? «Risponderò con la consueta chiarezza: sì no però dipende» - scriveva sul giornale torinese La Stampa, il ben noto e graffiante giornalista Massimo Gramellini -. E confessava: «Sono stato cresciuto da un genitore solo, maschio per giunta, ma a partire dai nove anni: prima avevo ancora la mamma ed è nel periodo dello svezzamento, asseriscono gli psicologi, che la presenza di entrambi ha un ruolo cruciale». «Se fossi nato ieri – continuava- non mi farebbe impazzire l’idea di un genitore unico, che fra l’altro non vedrei
quasi mai perché sarebbe costretto a lavorare dal mattino alla sera per mantenermi (come le coppie, peraltro, in virtù del poco part-time e dei bassi stipendi). Se però l’alternativa fossero l’orfanotrofio o la strada, sarei felicissimo di finire fra le braccia di un single, alleviando la mia e la sua solitudine». Messo in questo modo il problema conserva le sue giuste ragioni. Ma non è proprio così. All’orfanotrofio che è solo un triste ricordo, si è ora sostituito la strada. Guardate i bambini del Brasile e dell’hinterland di megalopoli come Calcutta, Manila e Città del Messico, e poi ci si domanderà se il peggio è già passato. La re-
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altà resta, purtroppo, ancora triste e dolorosa. Basta vedere alcune immagini in tv. Come reagire , quindi? Bisogna a tutti i costi che tutti i bambini e le bambine del mondo abbiano un papà e una mamma, secondo il progetto creativo di Dio. Bisogna prima guardare al bene di un bambino o di una bambina e poi al bene di un e di una single. Molte volte è l’egoismo a prevalere e poi si scaricano sul bambino le proprie frustrazioni, i desideri assopiti e feriti . Non possono diventare leggi i «desideri», anche se buoni e legittimi. Restano pur sempre desideri. Si venga incontro alla vera coppia che vuole adottare e viene legata mani e piedi solo perché a lavorare è solo il marito o la consorte. Si dia più spazio alla vera «solidarietà internazionale» e non al «traffico internazionale» che gestisce secondo gli affare il via-vai dei bambini dal sud al nord del mondo. Si facciano leggi, senza troppi steccati nazionali e con lungimiranza umana. Dal fondo della lista d’attesa, si macerano da tempo immemorabile tantissime coppie. In materia di diritti civili, però non si tratta di stabilire un obbligo, ma di togliere un divieto. Non di concedere un privilegio, ma di offrire una possibilità. Non bisogna consentire a nessuno di fabbricarsi il suo pupo su misura. Nella babele che ci circonda bisogna dettare regole chiare e precise. Il bambino non è un giocattolo. È un essere umano che ha bisogno di due cuori. Andare contro natura è, pur sempre, rischioso e temerario.
PSICOLOGIA di Caterina Crispo
I disturbi emotivi Postpartum Dare alla luce un figlio è un’impresa straordinaria, nella vita di una donna costituisce un momento di svolta e, come tutti i passaggi impegnativi, può essere accompagnato da sentimenti diversi e complessi, talora di confusione e\o da veri disturbi emotivi. Secondo recenti studi, infatti, circa il 20-40% delle donne riferisce qualche disturbo emotivo nel periodo successivo all’evento del parto. Molte donne riferiscono entro il secondo-quinto giorno dal parto sintomi come tristezza, improvviso desiderio di piangere, senso di solitudine e svuotamento,ansia, stanchezza eccessiva, difficoltà con il partner. Questa situazione definibile di “malinconia post partum”è fisiologica e può ascriversi alle variazioni ormonali del postpartum, alla stanchezza fisica e psichica provocata dal travaglio, all’aumento di responsabilità che la maternità comporta. Tale stato tende a risolversi spontaneamente dopo un paio di settimane, quando la neomamma inizia a ristabilirsi fisicamente, i livelli ormonali si normalizzano,impara d accudire il neonato e assicurarsi l’aiuto necessario per non dover far tutto da sola. In alcune donne, però, questa sensazione di malinconia non migliora e può evolvere nella Depressione Post Partum vera e propria. Le stime dell’incidenza di questo fenomeno sono molto varie, al 5 al 20% delle donne nel corso del primo anno di vita del figlio; i dati sembrerebbero falsati dalla reticenza di molte donne a riconoscere il problema e chiedere aiuto. la depressione post partum cli-
nicamente significativa è più frequente nelle donne che in passato hanno già purtroppo sofferto di depressione, nelle gravidanze a rischio e in quelle gemellari, nei parti difficili. I sintomi più tipici sono, di solito, instabilità emotiva, umore depresso, mancanza di interesse per le comuni attività, anche per la cura quotidiana del neonato,insonnia persistente e sintomi fisici come stanchezza e inappetenza. Le neomadri spesso ambiscono a essere perfette e si sentono inadeguate nella cura del piccolo, avvertendo un grande senso di colpa per questa situazione. Questo acuisce le difficoltà emotive in atto: è ingiusto che le mamme si colpevolizzino,anzi devono essere aiutate a comprendere che hanno anche il diritto di essere stanche e lamentarsi oppure di non sentirsi felici della nuova situazione che stanno vivendo.
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È fondamentale che le madri siano adeguatamente preparate ad affrontare l’eventualità di una fase depressiva successiva al parto, magari con appositi incontri prepartum, che evitino di estraniarsi dal mondo, magari cercando il contatto con altre neomamme e l’aiuto di parenti e amici per la gestione delle incombenze domestiche, che si rivolgano al medico di famiglia e agli specialisti del settore, che possano frequentare una delle associazioni e dei gruppi di sostegno che si occupando dei disturbi emotivi più comuni del postpartum. Ogni madre, quindi, dovrebbe sempre rammentare che sta facendo del suo meglio e che non esiste un modo giusto o sbagliato di imparare a conoscere e amare i propri figli, che il legame con il bimbo e il raggiungimento di un nuovo stile di vita avverranno secondo tempi personali e imprevedibili.
ORIZZONTE GIOVANI di Luca Baselice
Costruiamo insieme una casa sulla roccia “Ecco il momento favorevole, ecco il tempo della salvezza”! Con questo invito del salmista, mi piace iniziare questo tempo prezioso per descrivere l’esperienza profonda di preghiera che la gioventù francescana insieme all’Ordine francescano secolare regionale ha vissuto, con le sorelle di Santa Chiara, nei vari monasteri sparsi nella Campania e Basilicata, all’inizio del tempo di Quaresima. Soprattutto è utile e quanto mai prezioso, vivere un’esperienza di preghiera così forte e incisiva, che serve sicuramente a preparare il nostro cuore alla Parola di Dio, che nei tempi forti liturgici, scende abbondante e copiosa, sulla terra riarsa del nostra vita per portare frutti abbondanti di opere buone e trarre da essa forza per una generosa e quanto mai necessaria conversione. Il giorno 12 Marzo, alle ore 16:00, in comunione di preghiera con le altre fraternità locali gifra e ofs sparse per le regioni di Campania e Basilicata , ci siamo ritrovati a vivere questa esperienza meravigliosa di preghiera in preparazione alla Quaresima. Giovani della Gioventù francescana, terziari delle fraternità limitrofe, coordinate dal ministro regionale dell’Ordine Francescano Secolare, Antonio Bruno, con noi assistenti regionali fra Luca Baselice per la gifra e fra Giuseppe Celli per il terzo Ordine, con la presenza preziosa, la voce e il canto melodioso delle sorelle di Santa Chiara, abbiamo vissuto questo momento di preghiera affidando a Gesù il nostro desiderio di offrire al Signore mente e cuore per una sincera e perseverante conversione a Lui. Abbiamo soprattutto, fatto nostro l’invito che Gesù ci fa attraverso l’evangelista Matteo: “Costruiamo la nostra casa sulla Roccia!”. Costruire la nostra casa sulla Roccia che è Cristo, vuol dire lasciarsi coinvolgere dall’invito alla speranza che Cristo è sempre con noi, soprattutto sotto la Croce, e che Lui che è la nostra gioia, vuole condurci ad un approdo di pace e di salvezza. Come segno la gioventù francescana ha preparato un segnalibro, che ci ricorda che la Croce è mistero di salvezza e non di morte.
Sulla preghiera del Padre nostro Domenica 13 febbraio 2011 si è tenuto il secondo appuntamento del percorso di formazione organizzato dall’OPGV per i giovani della Provincia religiosa dei Frati Minori Conventuali di Campania e Basilicata. Il percorso di quest’anno ha come tema la preghiera del “Padre nostro”. Nel convento di san Francesco a Folloni in Montella, guidati da fra Agnello Stoia e fra Cyrille Kpalafio, si è parlato della preghiera in relazione alla “profondità dell’anima” nella spiritualità cristiana occidentale ed orientale. Al mattino, attraverso la proiezione di un filmato sulla vita e il pensiero dello psichiatra svizzero Gustav Jung (“Dal profondo dell’anima” disponibile su youtube), esploratore dell’inconscio e teorico delle forme archetipe, si è riflettuto sull’importanza dell’introspezione e della conoscenza di sé come un percorso interiore cognitivo ed esperienziale di apertura della mente e del cuore alla vita spirituale. L’incontro è poi proseguito con una riflessione di fra Agnello sulle diverse modalità di preghiera: partendo dal brano di Mt 6, 5-6 ha spiegato che esiste una preghiera esteriore ed interiore, che la preghiera consiste essenzialmente nel “restare con la mente nel cuore davanti a Dio” (Giorgio Govorov o Teofane il Recluso) e gli stadi della preghiera, che sono essenzialmente la preghiera verbale o corporale, la preghiera della mente, la preghiera della mente nel cuore ovvero la preghiera spirituale. La preghiera liturgica è la preghiera della Chiesa e la preghiera personale è la preghiera che accompagna l’orante in ogni momento della giornata nella forma del ricordo (memoria viva) del Signore, e della sua presenza costante nell’intimità del cuore. Nel pomeriggio fra Cyrille ha tenuto una catechesi sulla seconda petizione del Padre nostro: “Venga il tuo regno”, illustrandone il contenuto attraverso un itinerario scritturistico che ha toccato vari momenti della storia di Israele, del messaggio dei Profeti e della predicazione di Gesù sul “Regno di Dio”. Il prossimo appuntamento è previsto a Montella il 3 aprile. ALESSANDRO BARBONE
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DIALOGO di Edoardo Scognamiglio
Migrazione e disorientamento
Monitorare attraverso un dossier annuale i flussi migratori nel Mediterraneo è il primo obiettivo concreto della rete delle Caritas dei Paesi del Mediterraneo, lanciata nel giugno 2010 al Forum Migramed organizzato da Caritas Italiana. La prima edizione del dossier, realizzato con la collaborazione delle organizzazioni caritative cattoliche di 12 Paesi affacciati sul Mar Mediterraneo, dovrebbe vedere la luce quanto prima. L’obiettivo dell’iniziativa, ha spiegato Oliviero Forti, responsabile immigrazione di Caritas Italiana, è quello di portare la questione all’attenzione non solo dell’opinione pubblica in Italia, in Grecia o in Egitto, ma anche delle istituzioni europee alle quali chiederemo di essere ricevuti per ottenere un partenariato forte in termini non solo di lobbying e advocacy ma anche di risorse necessarie per sostenere e promuovere una rete che oggi può contare sul contributo volontario dei molti operatori della Caritas che a vario titolo lavorano a tutela di migranti e richiedenti. Se guardiamo a quello che sta succedendo sulle coste italiane negli ultimi mesi ci rendiamo veramente conto che il lavoro della Caritas è veramente profetico. Occorre monitorare i flussi migratori sulle nostre coste per evitare un disordine non solo sociale, ma anche civile e politico. Inutile far entrare nuovi immigrati se quelli già presenti perdono il posto di lavoro. Questa la conclusione di fronte a un dato che emerge da una recente indagine della Fondazione Leone Moressa di Mestre (Venezia): il numero di disoccupati stranieri è aumentato di oltre 95mila unità dall’inizio della crisi, pari
ai nuovi ingressi di lavoratori extracomunitari previsti dal decreto flussi 2010, ossia 100mila unità. Meglio, insomma, riassorbire quelli che hanno perso il lavoro, piuttosto che far entrare altri stranieri, i quali quasi sicuramente non troveranno un posto e che, per questi motivi, rischiano di cadere in una situazione di irregolarità. E la provocazione questa volta non è del solito esponente del centrodestra, ma del direttore della Caritas di Venezia, don Dino Pistolato: “La situazione occupazionale è drammatica: non si possono aprire i flussi migratori a centomila persone in questo momento, è una scelta pericolosa”. Il riferimento è a ciò che sta accadendo in questi mesi in Italia e, soprattutto, in Veneto, dove il fenomeno è ben più accentuato. Non solo. Attualmente, il tasso di disoccupazione degli stranieri si attesta al 9,8%, contro una media degli italiani del 7,3%. E questo è il quadro degli ultimi anni: le aree settentrionali, oltre a mostrare la più alta numerosità di disoccupati stranieri, evidenziano i tassi di disoccupazione più elevati: 10,4% contro il 9,0% del Centro e il 9,1% del Mezzogiorno. I disoccupati stranieri sono oltre 235mila e rappresentano il 12,6% di tutti i senza lavoro in Italia. Nel corso dell’ultimo biennio, a causa della crisi il numero dei disoccupati stranieri, è salito di oltre 95mila unità, di cui 68mila solo al Nord. I nuovi disoccupati stranieri incidono a livello nazionale per il 28,4%. Nelle regioni del Nord, la percentuale aumenta al 30,4%, al Centro e nel Mezzogiorno si tratta rispettivamente del 23,5% e del 26,3.
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MISSIONI di Angela Pecora
Ricordando un testimone Il volto sorridente di fra Carlo Luongo A distanza di un mese dalla dipartita di padre Carlo Luongo, una messa a suffragio è stata celebrata il 15 novembre scorso, nella chiesa del Beato Bonaventura da Potenza, alla presenza di mons. Agostino Superbo, del padre provinciale dei frati minori conventuali, padre Edoardo Scognamiglio, del parroco del B. Bonaventura padre Cosimo Antonino, di padre Angelo Palumbo, già missionario in Africa e di don Peppino Nolè. All’inizio della celebrazione, padre Angelo, ha voluto ricordare questa speciale figura rimarcando il messaggio che lui stesso lasciava a chiunque incontrava sul suo cammino: la gioia, il sorriso, la letizia. Nonostante la malattia, che lo aveva reso inerme per mesi, accettò serenamente “sorella nostra morte”. I parrocchiani del Beato Bonaventura lo ricordano con affetto, quando nella sua permanenza a Potenza, lo ascoltavano con stupore e meraviglia nell’affermare che tutta la sua vita era lo Zambia, quando parlava dei suoi fedeli, dei suoi bambini, dei suoi ragazzi. Insomma un uomo di frontiera, capace di andare “sempre più in là”, condividendo seriamente la sorte degli ultimi. Ha dedicato più di quarant’anni ai poveri, ai carcerati, agli orfani, ai malati e ultimamente ai drogati e ai malati di Aids, aprendo il cuore alla speranza e alla gioia. Inoltre, nel suo apostolato si è impegnato a far nascere e crescere tante comunità cristiane in Africa, facendo di queste realtà centri di missionarietà. Ha vissuto la sua consacrazione per la missione, vivendola e realizzandola con spirito e secondo il metodo della comunione e della corresponsabilità. Insomma una comunità di fratelli, che ha fatto di padre Carlo il servo della chiesa rendendolo animatore della promozione umana integrale. Mons. Agostino Superbo, nella sua omelia, ha evidenziato lo zelo apostolico di padre Carlo Luongo, un uomo e, ancor di più, un frate francescano che ha dato tutto, la sua stessa vita per la realizzazione della missione evangelica per la foresta dello Zambia, a fare bene il bene e a farlo senza tanto chiasso, nella semplicità e nell’umiltà qual’era appunto
il suo carisma. Lo spirito di adattamento e la sua incessante disponibilità lo ha reso sempre libero e sollecito nel servire gli ultimi del mondo, dove si è richiesti ed
inviati. Ha evangelizzato e fatto conoscere “il Cristo” dove ancora non si conosceva, ha promosso progetti umanitari come la costruzione di chiese, scuole per handicappati e per gli analfabeti. Ha esercitato l’attività di parroco, di rettore del seminario e di cappellano del carcere. Oggi tutti lo ricordano con quel sorriso stampato sul suo volto, con il suo mal d’Africa, con il suo dire a gran voce “sono diventato un missionario”. 10
LITURGIA di Giuseppe Falanga
Il Tempo Pasquale: cinquanta giorni per continuare a gioire Celebrare e vivere il Tempo pasquale – periodo formato dalle settimane che decorrono dalla Domenica di Pasqua a quella di Pentecoste – sempre più ci aiuta a renderci conto, per la bellezza e per i testi che ci vengono offerti dalla Liturgia, che questa è la parte centrale dell’anno, perché verso di essa converge l’intero ciclo liturgico. È dalla Pasqua, infatti, come ci ha ricordato l’Annunzio fatto il giorno dell’Epifania, che scaturiscono tutti i giorni santi. Il Triduo del Signore crocifisso, sepolto e risorto è il centro di tutto l’Anno liturgico, periodo ricco di frutti, tempo di Dio che si avvicenda nel ritmo dell’uomo, eternità che ogni anno si ripropone nel suo mistero per pervadere e compenetrare sempre più la vita di ciascuno di noi e, attraverso noi, dell’intera storia. Proprio perché è il centro di tutto l’Anno liturgico, il Tempo pasquale non è altro che l’irradiarsi della luce della risurrezione, un tempo di cinquanta giorni che sono come un solo giorno di festa, «come una sola Domenica», scrive sant’Agostino; un tempo in cui, sempre più e sempre meglio, siamo chiamati a comprendere l’importanza della festa di Pasqua, chiamata fin dagli inizi del cristianesimo la “Festa delle feste”; un tempo in cui celebriamo le tre grandi manifestazioni dell’amore e del potere divino – la Risurrezione, l’Ascensione e la Pentecoste – e che si conclude con il dono dello Spirito Santo, che completa l’opera del Risorto. Gioia, rendimento di grazie, celebrazione della luce e della vita, tale è il Tempo pasquale. Tutta la cinquantina ha più o meno questo carattere gioioso, nel quale sono privilegiati gli epiloghi evangelici delle manifestazioni di Gesù dopo la sua risurrezione e nel quale, inoltre, possiamo far nostro, perché lo comprendiamo, l’ultimo discorso di Gesù contenuto nel Vangelo di Giovanni: la grande “preghiera sacerdotale” per l’unità; come pure possiamo far nostri gli ultimi suoi insegnamenti sul comandamento dell’amore, sull’unione intima fra lui e il Padre, sulla promessa di un altro Consolatore: lo Spirito di verità. Lo Spirito che procede dal Padre e dal Figlio, che è dono del Padre e del Figlio, viene riversato nei nostri cuori, rende testimonianza a Cristo e vivifica la Chiesa che, da lui sostenuta e condotta, nasce, si manifesta e si sviluppa, facendo sì che – come gli apostoli –, superata ogni umana debolezza, diventiamo testimoni di Cristo Signore per tutte le genti. «Erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù, e con i fratelli di lui»
(At 1,14). Gli Atti degli Apostoli, con poche e rapide pennellate, delineano la fisionomia della comunità credente: gli apostoli erano assidui e perseveranti; frutto di quest’impegno era, poi, lo stare insieme nella condivisione di quanto possedevano, così che fra di loro non c’era più chi si trovasse nel bisogno e chi invece nell’abbondanza. Questa era l’immagine della Chiesa, nella quale tutti pregavano per invocare il dono dello Spirito Santo che era stato loro promesso da Cristo ancor prima della Passione e, di nuovo, prima dell’Ascensione al cielo. Uno stile certamente accattivante per quei tempi, ma non meno attraente al giorno d’oggi, in un tempo in cui – anche se viviamo la frammentarietà dell’occasione e l’immediatezza del momento presente – il desiderio di amore e la ricerca seria dell’unità non mancano nel cuore dell’uomo e delle nostre Chiese. Lo Spirito Santo ci aiuti a essere cristiani autentici, che poggiano la loro speranza sulla croce e la risurrezione di Cristo, testimoni e apostoli del Signore, che diventano, come ci fa pregare la Liturgia, «segno di salvezza e di speranza per tutti coloro che dalle tenebre anelano alla luce». Alla Vergine Maria, modello della Chiesa orante nel Cenacolo, chiediamo di custodirci come figli carissimi che a lei e alla sua incessante preghiera si affidano, e con lei, Madre amatissima, anche noi chiediamo il dono dello Spirito per poter testimoniare Gesù Cristo Signore nostro. Alleluia!
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DABAR di Cyrille Kpalafio
«Non abbiate paura... non è qui, infatti è risorto come aveva predetto»
(Mt 28,5-6)
L’annuncio della risurrezione viene fatto alle due donne che erano andate a vedere il sepolcro dall’angelo, dall’aspetto sfolgorante, apparso in una cornice di sconvolgimento cosmico: il grande terremoto, che in genere accompagna la manifestazione escatologica di Dio e il gesto potente ed eroico dell’angelo che rotola la pietra e vi si siede sopra. Per capire bene il contesto, bisogna ricordare che il racconto della passione e morte di Gesù si conclude con la sua sepoltura a opera di Giuseppe di Arimatea. Subito dopo però si ricorda la sollecitudine dei sommi sacerdoti che chiedono a Pilato di mettere delle guardie al sepolcro per evitare che i discepoli di Gesù lo portassero via. Le guardie avrebbero poi sigillato il sepolcro. Il racconto salta poi al giorno dopo, il primo della settimana, all’alba. E qui troviamo le donne che vanno al sepolcro; Era usanza presso i Giudei vegliare la tomba di una persona amata fino al terzo giorno dopo la morte, per assicurarsi che la sepoltura non fosse stata prematura. Ed ecco l’evento straordinario: 2. Vi fu un gran terremoto. Infatti, un angelo del Signore, sceso dal cielo e avvicinatosi, rotolò la pietra e si sedeva sopra di essa. Mentre in Marco le donne si chiedono chi avrebbe spostato per loro la pietra e poi la trovano già spostata, qui il fatto avviene in presa diretta. Anche qui come nel racconto della morte di Gesù vi è un terremoto: la resurrezione di Gesù è di natura apocalittica, come la sua morte, e i due avvenimenti si illuminano a vicenda. Nei racconti dell’infanzia di Gesù in Matteo gli angeli avevano avuto una
parte importante nel comunicare e chiarire la volontà di Dio. Qui egli però non è un semplice interprete dell’evento, è uno dei protagonisti, poiché fa rotolare la pietra del sepolcro. Appunto il terremoto che accompagna i gesti dell’angelo, forse ad una prima lettura questo particolare passa inosservato, ma, insistendo, si notano i particolari ed è solo Matteo che mette il terremoto alla morte di Gesù e il terremoto alla risurrezione di Gesù. Il terremoto non è semplicemente un fenomeno fisico, questa indicazione dell’evangelista non riporta un fatto di cronaca, ma è un modo letterario per dire lo sconvolgimento che è successo; l’evento è enorme, ha cambiato la faccia del mondo, niente è più come prima, Cristo è risorto. Notiamo nel racconto di Matteo che la tomba, che rappresenta il segno visibile dello sheôl è aperta, e la grande pietra sigillata e controllata è fatta rotolare via e l’angelo vi si siede sopra come un eroe vittorioso. Questa rappresentazione visiva del trionfo sulla morte è commentata dalla reazione dei presenti, le guardie e le donne. I primi erano incaricati di vigilare la tomba di Gesù, sono sconvolti da un evento straordinario e cadono come morti dalla paura, infatti l’evangelista usa il verbo greco esèithēsan, da seio di cui il sostantivo è usato per parlare del terremoto “seismós” per esprimere lo sconvolgimento delle guardie che divennero hos nekrói “come morti”. Nell’originale greco, intraducibile, c’è ancora un verbo al passivo; noi potremmo dire “furono resi come morti”. Quell’intervento di Dio, che butta via 12
la pietra per liberare la vita, produce un terremoto nelle persone che si oppongono e le rende come morte; non che le ammazza, ma le rende come morte. Opponendosi a questa forza di Dio la persona viene sconvolta e diventa come morta, cioè la sua vita è persa, non ha più significato. Al centro del racconto troviamo proprio la reazione delle guardie; c’erano all’inizio che facevano la custodia, ci sono alla fine che raccontano un inganno e ci sono nel mezzo, quando si rendono conto che tutta la loro forza non esiste, è scossa, annientata, il senso della loro presenza al sepolcro è nullo perché la potenza di Dio ha vinto. La loro opposizione è morta per la paura. Di fronte alla manifestazione di Dio hanno paura, si pongono come il servo infingardo che ha paura del Signore. 5. Ma l’angelo disse alle donne: «Non abbiate paura, voi!». Quel pronome personale “voi” serve proprio per dare un tono. Dire “non abbiate paura” è diverso dal dire “non abbiate paura, voi”, si crea infatti una contrapposizione: quelli hanno avuto paura. Davanti alla tomba ci sono due donne e alcuni uomini, con atteggiamenti differenti. Di fronte all’evento apocalittico dell’intervento di Dio gli uomini reagiscono con paura. L’angelo dice alle donne: Voi, invece, non dovete avere paura, perché questo intervento non vi danneggia, non è contro di voi, ma è per voi; so che cercate, so che cosa cercate, so chi cercate. Non abbiate paura, voi, perché… So che cercate Gesù il crocifisso. Proprio perché cercate il crocifisso, gli
andate dietro, proprio perché siete discepole del Maestro che ha accettato la croce, non abbiate paura. Chi lo ha rifiutato deve avere paura, ma voi no, perché voi lo cercate. Però… 6. Non è qui, infatti (perché) è risorto, come aveva detto; venite a vedere il luogo dove giaceva. Venite a vedere dove giaceva, c’è solo il luogo, non c’è più niente; non è qui, è altrove, è oltre. Quindi, fate bene a cercarlo, ma dovete cercarlo altrove, non qui, e lo aveva già detto; qui Matteo ricorre alla memoria gli insegnamenti di Gesù sulla sua morte. E allora, arriva la svolta, le donne ricevono la missione di annunciare anche loro l’evento ai discepoli, con urgenza: 7. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: «È risuscitato dai morti, e ora vi precede in Galilea; là lo vedrete. Ecco, io ve l’ho detto». Le donne vengono mandate ad annunciare la risurrezione, vengono mandate a portare ai discepoli l’annuncio di quello che è capitato e un comando, l’invito ad andare in Galilea, con questa indicazione: “Vi precede”. Il Cristo risorto precede i discepoli in Galilea, là lo possono vedere. Il riferimento alla Galilea richiama l’inizio del vangelo; l’inizio del ministero pubblico di Gesù avvenne in Galilea, la Galilea delle genti, il distretto dei pagani, “quel popolo che era nelle tenebre, seduto per terra, vide una grande luce”. Là, in quella situazione del mondo, nelle tenebre, nelle difficoltà, nella vita di tutti i giorni, il Cristo precede i suoi discepoli, là del mondo, nelle difficoltà, nella vita di tutti i giorni i discepoli lo possono vedere. Non è semplicemente un riferimento geografico per cui gli apostoli si spostano dalla giudea alla Galilea, ma qui la Galilea diventa una cifra simbolica che indica la nostra quotidianità, che in-
dica l’ambiente pagano. La comunità di Matteo sa che il vangelo ha attecchito nel mondo greco e tanta gente lontana, che dimorava nelle tenebre, sentendo la predicazione evangelica ha visto la luce e si è alzata, si è rallegrata e ha trovato nuovi motivi di vita e di gioia. Le donne vengono mandate ad incoraggiare gli apostoli e ha invitarli a muoversi. 8. Abbandonato in fretta il sepolcro, con timore e gioia grande. C’è il timore normale e giusto di una esperienza straordinaria; l’incontro con il divino lascia sempre intimoriti, ma soprattutto c’è una gioia grande; le donne sono state riempite di questa presenza e … corsero a dare l’annunzio ai suoi discepoli. 9. Ed ecco Gesù venne loro incontro dicendo: «Salute a voi». Immaginate la scena. Queste due donne corrono per dare l’annuncio ai discepoli e vedono venire loro incontro Gesù in persona. Matteo racconta questa apparizione alle donne, è un incontro di affetto, è una delle apparizioni pasquali. Nel vangelo secondo Matteo è praticamente l’unica, perché poi, quella sul monte in Galilea, è il discorso finale di missione e l’incontro avviene in una dimensione di affetto, di riconoscimento immediato. La parola di Gesù, la prima parola che il Cristo risorto pronuncia, è chàirete. Tradurre con “Salute a voi” è proprio
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povero; l’evangelista adopera il verbo della gioia, è la stessa espressione che adopera l’angelo Gabriele salutando Maria: chàire, cioè “rallegrati”. È il modo abituale con cui i greci salutano, però la radice è il verbo della gioia ed è la chàris: la “grazia”. L’angelo aveva detto: “Non abbiate paura. Andate…, Gesù dice di più: “Rallegratevi”, siate contente che è molto di più di “Buongiorno”; è la creazione di un autentico giorno buono. È ben più di un semplice “State allegre”, è la comunicazione della grazia e della gioia: il Signore realizza quello che dice. La parola di Gesù risorto è una parola che mette in movimento; a non state, ma andate, andate a dire che vadano in Galilea e là mi vedranno». Là potranno incontrarmi, ma è bene che vadano, che si muovano. Inizia la missione della Chiesa. La risurrezione di Cristo è una esplosione che mette in movimento, che crea una nuova dinamica, che dà la possibilità di una vita nuova; è la presenza del Risorto che continua in mezzo a noi a dare questa forza per continuare il cammino. Rallegratevi, non abbiate paura di tutti i problemi e le difficoltà che avete, andate ad annunciare che il Cristo ha vinto la morte, ed è la potenza di vita. Andate a dire agli altri che vadano, che si mettano in cammino, che accettino di attraversare la Galilea di tutti i giorni.
PASTORALE di Antonio Vetrano
Beato te... e beato me Il Vangelo della gioia Non vedevo l’ora, che arrivasse la Quaresima, per cambiare il Lezionario! Ero “stanco” delle martellate sulle gengive della Parola, dalla IV Domenica (Mt 5,1) alla IX Domenica del Tempo Ordinario (Mt 7, 27). Tutto sottosopra. Tutto in discussione! Pare che il Mahatma Gandhi considerasse il “discorso della montagna” di Matteo come la pagina più illuminante della letteratura mondiale. Una pagina, che, a ragione, è considerata la carta costituzionale del Regno di Dio; che ha ispirato molte persone, nella storia. Un nuovo Mosè, che consegna le “nuove” tavole della Legge... E il discorso della montagna inizia con le Beatitudini (Mt 5,1-10), un testo “poco conosciuto” da noi stessi cristiani. E ancora meno “capito”...Otto scudisciate, otto affermazioni che, se prese sul serio, ribaltano le nostre prospettive. Sconvolgono le nostre certezze. Forse per questo sono quasi del tutto ignorate. Gesù indica, apoditticamente, in che cosa consista la felicità, il senso della vita, la piena realizzazione. Era ora, finalmente! Ma… Ad una prima lettura si resta spiazzati da ciò che riporta Matteo: Gesù sembra esaltare la povertà, il pianto, la rassegnazione, la persecuzione...Ma come? Gesù conferma il luogo comune? conferma la terribile impressione, che danno molti cristiani di essere delle anime sofferenti e piagnucolose? Gesù avvalora l’idea della vita come “una serie di disgrazie”, e di un cristianesimo “dolorante e crocifisso”? torniamo al cliché? al cliché del cristianesimo, come religione che esalta la sofferenza, come strumento di espiazione? No! La Croce è per tre giorni, la Risurrezione per l’eternità! Gesù propone, in realtà, una autentica “rivoluzione” interiore. Beati quelli, che sono consapevoli della loro povertà interiore, e cercano altrove; che sono consapevoli del limite, che portiamo scolpito nel cuore, e che, perciò, cercano il senso. Ma anche beati coloro, che vivono con un cuore semplice, essenziale, trasparente. Beati, perché lasciano Dio regnare in loro, anche se non se ne accorgono… Beati coloro, che, pur nella sofferenza, guardano oltre. E si accorgono del Dio che fa loro compagnia. Si accorgono che Egli sta affianco. Si accorgono che sta con chi è solo. Si accorgono che con-sola. Beato chi sa con certezza, che
la sua vita è inserita in un grande progetto. E che, se anche la singola vicenda umana può essere avvilente, e può sembrare una sconfitta, sa che il grande progetto di Dio avanza. Beato chi scopre, che la vita è preziosa agli occhi di Dio. E le citazioni sono tante: Mt 10,30; Sal 56,9; Lc 12,6. La sofferenza, allora, non è la parola definitiva della vita. Beati quelli, che non cedono alla violenza, che portano in se stessi. Che vedono il lato positivo delle persone. Che credono nella redenzione dell’uomo. Anche se all’apparenza vincono i malvagi, la Storia vera passa attraverso le persone che hanno imitato Dio nella sua mitezza compassionevole. Beati quelli, che non si arrendono all’ingiustizia. Che sanno mettersi in gioco. Che sono autentici e sinceri. Che portano il peso delle loro scelte e dei loro sbagli. Beati quelli, che non cedono alla seduzione del compromesso, dell’astuzia malevola, del basso profilo. Beati quelli, che, come Dio, guardano alla miseria col cuore. Che hanno imparato ad amarsi come Dio li ama e a guardarsi come Dio li guarda; che sono i gestori e non i padroni della loro vita. Che non sono, dunque, in diritto di giudicarsi (impietosamente!), e né, tantomeno, sono in diritto di giudicare. Che chiedono responsabilità e coerenza, sì, ma che non fanno, della “giustizia”, un idolo. Se guardano gli altri con Verità e com-passione (cioè con gli stessi sentimenti che Dio ha), troveranno Verità e com-passione per loro stessi. Beati quelli, che hanno uno sguardo trasparente; che non sono ambigui; che non hanno malizia; che non vedono sempre e solo il negativo; che non passano il tempo a sottolineare l’ombra degli altri, per attenuare la propria. La loro purezza diventa una trasparenza, attraverso cui poter accedere a Dio. Beati quelli, che scommettono sulla Pace. Che sono pa14
cifisti perché pacificati. Che non fanno un idolo della razza, del paese, della propria religione. Beati quelli che non solo parlano di pace, ma che la pace la costruiscono giorno per giorno, con le loro azioni. Beati quelli, che si assumono le proprie responsabilità; che non scaricano sugli altri; che hanno il coraggio di pagare fino in fondo le proprie scelte, e anche per i propri errori. Beati i discepoli, che non rinnegano la loro fede per paura. Mi convince questa logica. Magari fatico a viverla. Ma, sinceramente, ci credo. Gesù per primo l’ha vissuta. Gesù per primo, coerentemente, ha mostrato che è possibile vivere nella logica di Dio. Certo, sostenuti dallo Spirito. Anche in questi tempi. Sono assolutamente d’accordo con voi. Che stridore leggere le parole sulle beatitudini, proprio in questi tempi, che ci spingono a spiare dal buco della serratura. Che disagio farlo in un momento, in cui tutti danno il peggio. Dobbiamo forse rassegnarci, e lasciar perdere? Tenere la fede chiusa in una scatoletta da tirare fuori la domenica, e il resto della settimana “si salvi chi può”? Ha senso, davvero, realisticamente, tenere nel cuore una pagina, come quella delle beatitudini, e cercare di orientare la propria vita alla luce di quella Parola? Domande urticanti. Domande spinose, certo. Domande che si sono posti anche i primi cristiani. Che hanno fatto i conti con la fatica della quotidianità, con le incomprensioni della comunità nascente. Schiacciati fra una religiosità tradizionale totalizzante - o una ininfluente - e una vita sociale e politica aggressiva e decadente. Proprio come oggi. Gesù vive le beatitudini che proclama. Ci svela il volto di un Dio diverso dalle nostre paure, e il volto di un uomo che è all’opposto di ciò che vorremmo. Se il mondo esalta i belli, i forti, gli arroganti, gli spregiudicati, i falsi, gli ambiziosi, Dio ci svela, che un cuore mite, sincero, fiducioso, pronto a portare le conseguenze delle proprie azioni, costruisce una nuova umanità. Gesù non esalta la sfortuna,
ma proclama beati i poveri, i perseguitati e coloro che piangono, perché proprio a loro Dio destina il suo messaggio, e nella sofferenza la verità si fa più chiara (Dostoiewskj). E sono beati perché, nonostante tutto, riescono a vedere Dio, e a vederlo al loro fianco. Beati noi, se cerchiamo di imitare le scelte del Signore. Beati noi, se non ci spaventiamo di quello che accade. Beati noi, se non ci lasciamo prendere dallo sconforto, perché nel mare agitato ci manca la fede. Gesù, invece di abbassare il tiro, lo alza. Davanti alla perplessità, alla fatica di vivere. Non mette dei bemolle, non cerca compromessi. Alza la posta in gioco: se il sale perde il sapore, con che cosa lo possiamo salare? Ahimè! La fede insaporisce la vita. Il vangelo è un pizzico di sale, che dona sapore a tutto il resto. È vero: chi, fra noi, ha fatto esperienza della bellezza di Dio, sa che la sua vita è cambiata, che è stata illuminata dalla Parola. Vede sé, e gli altri, in maniera diversa. Possiede una chiave di lettura innovativa della storia, della grande Storia e della propria, piccola, storia. Il mondo non è un susseguirsi di eventi violenti ed inesplicabili, ma la manifestazione del grande progetto d’amore che Dio ha sull’umanità. Ma, ammonisce Gesù, il terribile rischio è: che il sale prenda umidità. La sensazione è proprio questa: che siamo diventati insipidi. Badate, che non è necessario molto sale per insaporire una pietanza: non abbiamo bisogno di folle di cristiani per insaporire la società. Non “molti cristiani”, ma “cristiani che amino molto”. E che credano in ciò che dicono. Il dramma del nostro tempo è proprio sperimentare un cristianesimo senza Cristo. Una religione senza fede. Un culto senza celebrazione. Un cristianesimo culturale e sociale, che ancora permea la nostra società, ma che non è più sufficiente a creare discepoli. Un cristianesimo che si riduce ad abitudine, a tradizione, a etica, a solidarietà… ma che non dona più sapore alla vita! Siamo diventati luce sotto lo sgabello? timorosi nell’essere trasparenza di Dio? preoccupati di proporci con un cristianesimo “politicamente corretto”, con tutti i distinguo e le precisazioni? o ci vergogniamo, troppo spesso, di essere appartenenti ad una Chiesa, che presta il fianco a facili critiche ed ironie? L’essenziale della fede. Già fatico ad ascoltarlo…Figuriamoci a viverlo. Eppure quelle indicazioni, preziose, in cui Gesù si permette di correggere - meglio: di riportare all’origine la Legge che Dio ha donato agli uomini -, ci svelano tantissimo di Dio. Di Gesù. E di noi. Ridurre la fede cristiana a una serie di comportamenti, ad una morale, non è possibile. Peggio: la morale cristiana, senza Cristo, è immorale, perché impossibile!
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IL PUNTO di Filippo Suppa
I rischi del nucleare e la paura del contagio Con i livelli di radioattività «superiori ai limiti legali» riscontrati in questi giorni in Giappone nel latte prodotto nei pressi della centrale nucleare di Fukushima e negli spinaci coltivati nella vicina prefettura di Ibaraki, nonché le tracce di iodio radioattivo nell’acqua di rubinetto a Tokyo, ecco una mappa dei rischi a tavola legati al nucleare. «Rischi appunto, e non effetti certi» come ha sottolineato il direttore dell’Istituto di fisiologia clinica del Cnr Eugenio Picano: le eventuali conseguenze – ha detto – di natura oncologica dipendono dalla dose, la lontananza dalla fonte di emissione, e dalla durata dell’esposizione a radiazioni degli alimenti assunti, con i bambini e le donne più a rischio rispetto alla categoria degli uomini adulti. Dalle fughe radioattive legate alle centrali nucleari nipponiche messe ko dal terremoto e dallo tsunami dell’11 marzo, «nessun rischio» si paventa per l’Italia, afferma il nostro ministero della Salute che, sui rischi teorici legati all’import di cibo dal Giappone, ha disposto l’aumento dei controlli soprattutto su pesci, crostacei, caviale, soia, alghe, tè verde. Mentre sono «pari allo zero» rassicura Coldiretti le importazioni di latte e spinaci Made in Japan. «Se si sospetta di essere stati esposti a radiazioni – sono le indicazioni della Protezione Civile nei casi di rischio nucleare – è importante riporre gli alimenti in contenitori chiusi o in frigorifero, e mettere al riparo il bestiame fornendogli foraggio di magazzino». È buona prassi di precauzione, come avvenne per l’emergenza Cernobyl,
evitare di mangiare i vegetali freschi a foglia larga, come appunto gli spinaci, broccoli, cavolfiore e l’insalata, e il latte e la carne degli animali che si nutrono di questi vegetali coltivati a cielo aperto. Per lo iodio, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), in un parere del 25 gennaio 2005, ricorda che «tra gli alimenti ottenuti da animali terrestri sono latte e uova a mostrare le maggiori concentrazioni di iodio. Ancora l’Efsa, in un parere scientifico del 29 maggio 2009, ricorda che l’uranio può essere presente nell’acqua, nell’aria, negli alimenti e nei mangimi a concentrazioni variabili, per emissioni dell’industria nucleare. Circa un terzo dell’uranio assorbito rimane nell’organismo: nell’uomo per 180-360 giorni. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ha stabilito in 0,6 æg/kg di peso corporeo al giorno l’assunzione giornaliera di uranio tollerabile Intervista alla giovane Atsuko Atsuko è una donna giapponese di 37 anni, che vive a Osaka. Lavora come interprete e guida turistica per gli italiani. Le abbiamo chiesto come sta vivendo questi momenti in Giappone. Le immagini di quello che sta accadendo in Giappone stanno facendo il giro del mondo. Sono immagini drammatiche e il nostro pensiero è per le vittime. Com’è la situazione ora? «Per fortuna non conoscevo nessuno rimasto coinvolto nella tragedia, ma alcuni nostri amici non riescono ancora ad avere notizie dei propri parenti. Se sono vivi o no, non lo sanno 16
ancora… La linea telefonica è saltata e i telefonini hanno dei problemi in queste zone. La zona interessata dallo tsunami è molto ampia e i paesini sono sparsi lungo la costiera frastagliata: molti sono stati rasi al suolo, compresi gli edifici dei municipi che avrebbero avuto una funzione di controllo e di coordinamento per la stima dei feriti e dei danni. Molte strade sono state distrutte e qualche posto rimane ancora isolato. Inoltre, bisogna dire che, essendo nella zona nord-est del Giappone, lì fa molto freddo e gli evacuati devono vivere questo ulteriore disagio. Mi dispiace molto». Osaka è distante dalle zone colpite: che cambiamenti sta producendo il disastro? «Attualmente qui non è cambiato niente. Solo i prezzi della benzina sono cambiati. Ma nei supermercati le merci sono ancora abbondanti e mantengono gli stessi prezzi. A Tokyo c’è però confusione… l’elet-
tricità è stata razionata, le linee ferrovie limitate, la benzina insufficiente a causa dei danni alle raffinerie (ci vorranno due settimane per ripararli). Il cibo inizia a scarseggiare perché è stato mandato nella zona più colpita. Anche ieri ho chiamato mia zia per chiedere se manca qualcosa: nonostante non ci sia bisogno di nulla, il cibo inizia a scarseggiare». La razionalizzazione dell’energia riguarda tutto il Giappone? «In Giappone, ogni regione è servita da una società elettrica autonoma, che gestisce l’energia in maniera monopolistica. Qui da noi a Osaka, l’energia non manca». Che cambiamenti ci sono stati nella tua vita quotidiana? «Praticamente la nostra vita non è cambiata per niente, qui, ad Osaka tutto procede normalmente: in centro le persone fanno shopping, e i trasporti, i lavori, le scuole, e i negozi vanno avanti tranquillamente. Ma
mentalmente sono addolorata per quello che è successo che mi ha fatto rendere più conto del prossimo terremoto che colpirà la nostra regione entro 30 anni». E nel paese che aria si respira? «C’è sgomento, sbalordimento, dolore, solidarietà e preoccupazione per il centro nucleare di Fukushima. Anche se in realtà sembra che la fiducia tra le persone si sia rafforzata in un momento di crisi come adesso». Abbiamo sempre paura delle centrali nucleari. Però nel frattempo sappiamo di non potere farne a meno. Infatti, per esempio, nella nostra regione, il 50 % dell’elettricità dipende dall’energia nucleare. Vogliamo che sia controllate più assiduamente e che siano rafforzate le misure di sicurezza. C’è un rischio di radioattività? «Il premier Kan ha detto che nelle vicinanze è aumentata la quantità di radioattività ma non ha detto che ci sono rischi per la salute dei cittadini, anche per quelli di Tokyo. Nelle vi-
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cinanze i livelli salgono e scendono ripetutamente, e negli altri posti, il livello di radioattività è aumentata temporaneamente, ma attualmente non tale da mettere sul serio in pericolo le persone. Per esempio, a Tokyo è meno di fare una radiografia. A Tokyo vivono mio fratello e sua moglie, i miei zii, i miei cugini, i loro bambini piccoli e tanti amici. Sono molto preoccupata per loro e sto seguendo le notizie attentamente…». In Italia guardiamo con molta apprensione l’evolversi della situazione a Fukushima: come vi state preparando per affrontare un’eventuale esplosione? «Non ci stiamo preparando, pensiamo, anzi, speriamo, che ad Osaka non ci siano i pericoli…». In che maniera possiamo esservi d’aiuto ora, noi, dall’Italia? «Servirebbero di tutto, denaro, cibo, materiali. Ma in giro di pochi giorni ho ricevuto tantissime e-mail e solidarietà dagli amici».
FORMAZIONE di Simone Schiavone
Il dolce e l’amaro... Il tempo quaresimale che ci ha oramai condotti all’incontro con Cristo crocifisso e risorto ci invita del resto ad esaminare il cammino vissuto, secondo un metodo analitico che è necessario, oltre che proficuo, ad ogni esperienze di ricerca, umana e spirituale. Le risposte che ne scaturiscono possono aiutarci ad entrare affermativamente nello spirito glorioso della Pasqua di resurrezione; al contrario possono sollevare sentimenti che lasciano l’amaro in bocca, per non aver sfruttato adeguatamente e in pienezza il tempo concesso alla conversione. Ma non è certamente questo il momento opportuno per dare spazio e approfondire questi elementi negativi: il gioioso annuncio della Pasqua annienta la morte (1Cor 15,54) e la risurrezione del Signore Gesù è la luce che illumina e trasforma radicalmente la storia fino a rischiarare l’angolo più buio della nostra vita. Perciò, per il cristiano, morire è in definitiva necessario -San Paolo parla di guadagnoperché morendo Cristo è rinato a vita nuova, eterna (Fil 1,21). Tuttavia, la nostra unione alla morte di Cristo, iniziata già con il battesimo, deve attualizzarsi nella vita di tutti i giorni (1Cor 15,31): Cristo ci invita infatti a scegliere la vita (Dt 30,19), a metterci cioè sui suoi passi. Allontaniamo quindi ogni scoraggiamento e lasciamoci temprare dalle parole di un uomo, Francesco d’Assisi, che nonostante la sua esemplarità di conformazione a Gesù crocifisso, a sei mesi dalla sua morte (1226), così parlava ai suoi frati bramando di ritornare agli umili inizi, allietato da grande speranza: “Cominciamo, fratelli, a ser-
vire il Signore Iddio perché finora abbiamo fatto poco o nessun profitto!” (1Cel VI,103). La stessa simbologia della liturgia della Quaresima ha in sé il traguardo ardito della gioia pasquale. Le ceneri che abbiamo ricevuto all’inizio di questo cammino ricordano sì la caducità del nostro corpo e di tutte le cose che ci circondano, sono sì un invito
alla penitenza, un’esortazione a cominciare una conversione, ma celano in sé un profondo quanto mai significativo segno di rinascita e di speranza. Anche il Serafico Padre si servì della cenere per le sue pratiche penitenziali, utilizzandola sui cibi cotti (LegM 5,1), cospargendosi il corpo (1Cel 8,110) anche per predicare più con l’esempio che con la parola (2Cel 157,207), preferendone l’abito di quel colore e delle fattezze di quello indossato dai contadini, testimonianza di povertà e di castità, vale a dire del suo distacco totale dalle cose terrene e del suo stato di oblazione totale a Dio, mediante l’integerrima purezza di tutto se stesso, carne e spirito. Come 18
non farci aiutare a riguardo, per la sua immediatezza espressiva e didascalica, dalla rappresentazione de L’allegoria della Povertà dipinta su una vela della volta che sovrasta l’altare maggiore della Basilica inferiore di San Francesco in Assisi, dove due angeli presentano al Padre come offerta sacrificale i tre bisogni fondamentali di cibo, di vesti e di riparo; persino le case il Santo desiderava che fossero di legno e non di pietra, di vimini e di fango, a motivo della precarietà dei materiali e della loro riduzione a polvere sotto l’azione del fuoco. Ma la cenere trae dalle tradizionali consuetudini contadine e dalla cultura rurale anche diverse accezioni positive, tutte accomunate da un fine rigenerativo. La cenere era infatti utilizzata per ridare biancore e freschezza alla biancheria e, nella concia, per addolcire il sapore amaro delle olive prima di passarle in salamoia per la loro conservazione; immediato è a tal proposito il parallelismo con le parole con cui l’Assisiate stesso descrive la sua conversione a seguito di un percorso di penitenza, quando giungendo tra i lebbrosi “ciò che era amaro si mutò in dolcezza di animo e di corpo” (Test.,1-2). Ancora oggi, per ultimare, la cenere è impiegata sulla brace durante la cottura della carne per evitare che i grassi, colando, alimentino le fiamme o come fertilizzante nei campi. Sono queste note di speranza, il candore e la freschezza che ne ricavano e il corpo e l’anima, la dolcezza e la genuinità che le nostre parole e opere possono esprimere per convertirci e risorgere con Cristo a vita nuova.
COSTUME E SOCIETÀ di Vincenzo Picazio
Obesità infantile: dieci regole e vitamina D
L’obesità infantile è un problema sanitairo e sociale, in crescita anche nel nostro Paese. Secondo i dati della recente indagine ministeriale “Okkio alla Salute”, più di 1 milione di bambini è in sovrappeso. Questo significa che, nel nostro Paese, oltre un bambino su tre di età compresa tra i 6 e gli 11 anni ha un peso superiore a quello che dovrebbe avere per la sua età. Inoltre, l’obesità nei primi dieci anni di vita si traduce in obesità nel 75% dei casi quando l’individuo raggiunge l’età adulta. La parola chiave, come sempre, è prevenzione. Una prevenzione affidata non solo ai pediatri, ma soprattutto alle famiglie, che devono essere indirizzare ad educare i figli a stili di vita corretti sin da piccolissimi. Per combattere l’obesità nei più piccoli, il Ministero della salute e la Società Italiana di Pediatria
hanno siglato un protocollo d’intesa che vede anche il coinvolgimento attivo della SIPPS, Società di Pediatria Preventiva e Sociale, affiliata alla SIP. Il Progetto individua dieci azioni preventive di importanza fondamentale per ridurre il rischio di obesità tra cui: allattamento esclusivo al seno per i primi sei mesi di vita, apporto proteico controllato fino a 2 anni, sospensione del biberon entro 2 anni, eliminazione di succhi e tisane, uso limitato della tv e giochi all’area aperta. Per la prima, volta queste 10 regole dovranno essere attuate, tutte insieme, dal pediatra di famiglia coinvolgendo i genitori in maniera attiva nel progetto, “stringendo un’alleanza” con loro nell’interesse della salute del loro figlio. Il Protocollo d’intesa nasce nel con-
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testo del Programma “Guadagnare Salute” promosso dal Ministero e volto a diffondere abitudini di vita salutari. Secondo una ricerca durata circa 2 anni e mezzo i cui risultati sono stati pubblicati sull’American Journal of Clinical Nutrition, a favorire l’obesità infantile concorre non soltanto una alimentazione errata e la mancanza di attività fisica ma anche la carenza di vitamina D che favorisce l’accumulo di grasso addominale nei bimbi. Lo studio ha riguardato 479 bambini fra i 5 e i 12 anni di età ed è stato condotto da scienziati dell’Università del Michigan (Stati Uniti. La vitamina D è presente in diversi alimenti, una quantità altissima la si trova nell’olio di fegato di merluzzo. Si trova, fra gli altri, nei formaggi e nelle uova.
VOCAZIONE dal Postulato di Benevento
I giovani che rendono testimonianza Mi chiamo Massimiliano, ho 28 anni e vengo da Enna. Da settembre mi trovo nel postulato di Benevento, dove sto continuando il cammino di discernimento e di formazione alla vita francescana. Il mio desiderio più grande è conoscere in modo più intimo Gesù Cristo, autore della vita e la sua volontà vivendo la preghiera soprattutto come ascolto. È un viaggio che mi conduce sempre più a scoprire l’essenza della vita: l’Amore di Dio. La vocazione non è frutto di un progetto umano ma un dono di Dio e noi siamo chiamati sin dal grembo di nostra madre a scoprirlo.
farne partecipi i miei fratelli; insomma, posso parlare della mia vocazione come un Dono! Mi chiamo Salvatore Lentini ho 36 anni e vengo da Villarosa (En). Prima di entrare in postulato lavoravo come elettricista. Dopo la mia conversione avvenuta guardando il film “Bernadette”, cominciai ad andare a Messa, a confessarmi, a ricevere la comunione, a pregare e a far parte del gruppo di preghiera del RnS. Iniziavo a chiedermi qual’era la volontà di Dio. Un giorno mentre mi trovavo in Chiesa davanti al Santissimo Sacramento a pregare per ricercare la volontà di Dio, passò un uomo che senza conoscermi e senza salutarmi mi disse a bruciapelo: “Perché non pensi al sacerdozio?”. Subito capii con grande gioia che quella era la risposta che Dio dava alla mia preghiera. Quando poi conobbi questa persona, adesso padre Giacomo, egli mi regalò un libro su San Francesco. Con grande amore cominciai a leggerlo innamorandomi sempre più di questo grande santo e sentendo in me che Dio mi chiamava a essere un francescano. Così chiesi di essere accolto nell’Ordine dei Frati Minori Conventuali per poter servire il Signore. Giornate vocazionali... “Questo è il discepolo che rende testimonianza”(Gv 21,24), è il tema delle due giornate che i ragazzi postulanti hanno dedicato alla testimonianza della loro scelta di vita. Una delle due giornate si è svolta a Nola(Na) dal 25 al 27 novembre nella parrocchia di S. Biagio e nella scuola G. Bruno, l’altra ad Aversa(Ce) dal 24 al 26 Febbraio nel convento di S. Antonio al Seggio dei frati e nelle scuole I.T.G/I.T.C. Andreozzi e nel liceo Scientifico E. Fermi. Momento principale delle giornate vocazionali è stato la visita nelle scuole del posto e il contatto con i ragazzi nelle loro classi e un dibattito su una traccia del film “S. Francesco” di L. Cavani che mostrava la conversione del santo. Abbiamo incontrato ragazzi e ragazze con un fortissimo desiderio di buttarsi nel “vuoto apparente” della fede ma con tantissime paure. Perché proprio noi chiamati a dare testimonianza? E poi, a testimoniare che cosa? In effetti, non siamo migliori di tantissimi altri ragazzi e nemmeno vogliamo ergerci a modelli da imitare. Ciò che ci spinge a
Mi chiamo Davide, ho 29 anni e vengo da Palermo. Prima lavoravo come cuoco e da settembre sono in postulato a Benevento. Avevo una vita molto movimentata, conoscevo tante persone ed economicamente stavo molto bene. Con il tempo ho compreso che in realtà la mia vita era vuota. Un giorno Dio mi diede un grande segno! Mentre ero per le vie della città, mi sentii toccare sulla spalla, mi girai e vidi una chiesa di cui non sapevo nemmeno l’esistenza: la basilica di S. Francesco. Spinto dall’ardore vi entrai e dopo un po’ incontrai un frate che era animatore vocazionale, frà Antonio. Ebbi la conferma di quella chiamata a una settimana di esercizi spirituali vocazionali ad Assisi. In quella settimana dissi con tutto il cuore il mio Si a Dio ai piedi della tomba di S. Francesco piangendo per la gioia. E adesso ringrazio Dio, mio Padre per l’amore che mi dona ogni giorno. Sono Rosario, ho 26 anni e vengo da Marineo (Pa). Da quasi tre anni ho iniziato questa meravigliosa avventura con Dio e adesso sono al secondo anno di postulato a Benevento. Se devo descrivere brevemente il mio cammino... è una storia d’Amore con Dio! Da parte Sua: un continuo donarmi tutto; da parte mia: una continua ricerca dei suoi doni e un 20
dare la nostra testimonianza è l’aver incontrato nella nostra vita una persona: Gesù Cristo! Beh, non è solo questo! È che quest’incontro ha cambiato la nostra vita dandole un senso e continua a farlo ogni giorno. L’incontro con Gesù Cristo ci ha permesso di vincere le nostre paure, di fidarci e di fare la scelta di buttarci in un progetto di cui non conosciamo niente se non solo l’inizio e di cui ogni giorno è un dono e una sorpresa. E se questo è avvenuto per noi perché non trasmettere questa “bella notizia= Vangelo” agli altri ragazzi che come noi cercano il senso della loro vita e sono bloccati da tante paure così come lo eravamo noi? Naturalmente la testimonianza non è soltanto portare un messaggio agli altri come uno slogan pubblicitario ma richiede, a noi per primi, un impegno ancora più radicale nella fedeltà ai valori del Vangelo che intendiamo professare e una grande coerenza della nostra vita. In altre parole vi stiamo dicendo che è possibile riuscire a cambiare il mondo cominciando a cambiare noi stessi. D’altronde se diventiamo migliori noi cambia anche il mondo. Noi abbiamo scelto di farlo insieme a tanti altri fratelli, che con noi sono la Chiesa e con le armi della preghiera. Date anche voi ascolto alla sete di Dio che c’è nel vostro cuore, al desiderio di cercarlo e di essere suoi amici fondando così la vostra vita su basi solide. Diventerete così anche voi testimoni instancabili del suo Amore. Il messaggio che desideriamo lasciarvi non è altro che la continuazione della nostra preghiera, una condivisione di ciò che ha trasformato la nostra vita. E vogliamo continuare a metterlo in pratica dando testimonianza coerente e fedele. La preghiera cambia veramente la vita! La sorgente della nostra vita non è in quello che facciamo o in quello che siamo ma in un’altra dimensione, che va oltre questo mondo e che a esso dà senso. La preghiera ci aiuta a riconoscere che questo Mistero, Dio, è ciò che riempie di senso la
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nostra vita. È quello che facciamo noi, in comunità, fermandoci per la recita della liturgia delle ore. L’interruzione di qualsiasi attività esprime che al centro di ogni nostra giornata c’è la ricerca di una relazione con Dio. Detto così sembrerebbe che fermiamo alcune attività per andare a compierne un’altra, si più importante ma pur sempre nostra. In realtà non è così! La preghiera è il rispondere con un Si a una chiamata da parte di Dio. Egli intende elevarci, dalla realtà terrena, ci fa allargare lo sguardo per guardare ogni momento nel contesto del progetto salvifico. Ecco perché la preghiera non è rifugio, scappatoia dalla realtà, ma ingresso nel mondo reale. A dimostrazione, i tanti momenti in cui san Francesco si rifugiava tra i monti a pregare, non erano una fuga dai problemi ma un andare in ricerca delle soluzioni. A vivere un’esistenza senza preghiera si corre il rischio di giungere alla fine dei nostri giorni senza essersi mai chiesti se la nostra vita ha un senso; se quello che stiamo facendo nella nostra vita è veramente quello che vogliamo. La preghiera ci indica il modo migliore per realizzare i desideri che sono nel nostro cuore, realizzando la nostra e la felicità degli altri. La preghiera ci rende felici perché ci fa scoprire, leggendo la nostra storia, di essere oggetto di un immenso Amore da parte di Dio nostro Padre che vuole solo il bene per noi. Ci rende liberi perché non dobbiamo fare niente per guadagnarlo ma soltanto accoglierlo.
SPIRITUALITÀ di Raffaele di Muro
Tracce della santità del Beato Bonaventura da Potenza Grazie al lavoro minuzioso e competente di padre Bonaventura Danza, nella Biblioteca del Seraphicum è stato trovato un reperto di grandissimo valore storico e spirituale, riguardante la figura del Beato Bonaventura da Potenza. Si tratta di un manoscritto vergato dal Vescovo di Ravello e Scala, mons. Giuseppe Perrimezzi indirizzato al predicatore don Mauro Troiani. La lettera è scritta cinque mesi dopo la dipartita del Beato e racconta di quanto accaduto immediatamente dopo la sua morte.
egli la sua morte, ed in particolare ragionando meco nell’ultima confessione che feci con lui, mi disse che trovassi doppo lui un buon confessore. Inoltre altre cose potrei anche dirle se io ne avessi la libertà come potrò avere se non mi trovassi in quel punto che indegnamente sto occupando. Basterà però questo piccolo saggio che qui glie ne ho dato per appagare la divota curiosità di cotesto Molto Reverendo Padre Provinciale e per servire la P.[aternitò] S.[ua] M. [olto] R.[everenda], alla quale raccomando la mia antica e cordiale amicizia. Resto pregandola di ulteriori comandi. Di paternità molto reverenda. Obbl[ligatiossimo] e Cordia [lissimo] Servi [lissimo] Fra Giuseppe Perimezzi Vescovo di Ravello,e Scala
La lettera Il padre Bonaventura di Potenza Religioso conventuale di S. Francesco, dimorò qui in Ravello presso a due anni mio confessore, chiesto da me al superiore di quel tempo per questo loro convento da me in loro beneficio reintegrato. Fu sempre egli tenuto da tutti i suoi di non usuale bontà e per detto tempo fu qui pure universalmente sperimentato non diverso dal comune concetto che di lui si avevo la sua Religione. Venne egli finalmente a morire nel mese di ottobre prossimo passato, e nella sua morte di compiacque Iddio illustrare con molti segni le sue virtù con molti segni superiori all’ordine della Natura. Un dì e una notte di poi che egli fu morto, sudò il suo volto e da me e da me ne fu in più volte asciugato il sudore; nel medesimo tempo coll’incisione di una vena, mandò fuori umido sangue. Il suo corpo era in tutto morbido e flessibile; stiede tre giorni e tre notti insepolto e mai non diede cattivo odore, anzi sempre si conservò grato alla vista e arrendevole al tatto. Il concorso anche dei forestieri fu grande, da alcuno dei quali gli fu tagliato un pezzo di carne furtivamente nel petto e ne usci sangue [in] abbondanza. L’avidità di tutti gli strappò quasi tutto l’abito di cui era vestito, e con pezzetti di questo si compiacque Addio giornalmente di fare moltissime grazie. Inoltre corone di nascosto toccate nelle sue mani quando egli era già morto, danno un soavissimo odore. Predisse
Il mittente Giuseppe Maria Perimezzi, OMin, vescovo. Nato a Paola (Cosenza) il 17 dicembre 1670. Entrò tra i Minimi e fu ordinato sacerdote il 19 dicembre 1963. Provinciale di Calabria, Reggente degli Studi a Roma nel 1704, venne eletto vescovo di Ravello e Scala l’11 aprile 1707. Trasferito alla Diocesi di Oppido (Reggio Calabria) che resse dal 1714 al 1734. Morì a Roma il 17 febbraio 1740. Il destinatario La lettera fu inviata a Don Mauro Troiani, valido e noto predicatore dei Celestini che proprio in quel tempo aveva predicato la Quaresima a Cividale del friuli (Udine). La testimonianza del vescovo Perrimezzi attesta la fama di santità del padre Bonaventura da Potenza che, a cinque mesi della morte, faceva parlare ancora di sé e delle virtù che ne avevano caratterizzato il vissuto spirituale. Il Presule scrive di alcuni fatti davvero straordinari. Innanzi tutto, dalla lettera emerge la notorietà del futuro Beato, il cui corpo esanime era oggetto di venerazione da parte di una moltitudine di fedeli che ebbero la possibilità di ammirare il suo grande esempio di religioso e di sacerdote. 22
ASTERISCHI FRANCESCANI di Orlando Todisco
La fraternità francescana è cosmica o non è francescana Nel Cantico delle creature, dettato alla vigilia della morte, c’è tutto Francesco, la sua partecipazione alla vita del cosmo, l’indole della comunione cristiana, al di là del millenarismo mistico o del naturalismo estetico. E’ l’esaltazione di Dio da parte delle creature che si riconoscono espressione dell’atto creativo, del tutto gratuito. Invaso dal calore e dalla luce della parola divina, il cuore di Francesco vive entro quell’onda creativa che nel 1225 gli esplode dentro, quando le forze erano esauste e gli occhi prossimi alla cecità. La fratellanza francescana delle creature non è però solo un dato, da esaltare, ma anche un compito da assolvere. ‘Sora nostra madre terra’ dà la vita, ma anche la morte, alimenta e affama. Inneggiando al creatore per la bellezza delle creature, Francesco ha inteso dissolvere l’horror naturae, che ha avuto tanta eco nella prospettiva gnostica come nel tema manicheo e cataro della liberazione dalla natura, non amica né madre. Francesco non ha inteso proporre un naturalismo arcadico o privilegiare forme di vita pre-tecnologiche o sognare un giardino di rose senza spine. Egli ha inteso ribadire che le creature sono un dono e che dunque noi viviamo entro la logica oblativa divina, di cui il creato è il compendio. Ma come esserne la voce intelligente se non attraverso quel sapere e quel fare che contribuiscano a rendere benigno il volto della natura, madre e non matrigna, grembo di vita e non abisso di morte, e dunque a controllarne le forze minacciose e talvolta catastrofiche? E lo scienziato, prima di intraprendere la sua avventura, non deve forse essere consapevole che ai suoi occhi si dispiega, prezioso e misterioso, il dono che Dio ha fatto all’uomo, suo altare nel tempo, da abbellire, non profanare, intervenendo con sagacia e misura, perché le tempeste siano prevenute o contenute, e la vita sostenuta, non mortificata? Siamo al rapporto creativo tra l’uomo e la natura. Tutti i viventi esercitano violenza sulla natura, ma restando nella natura, perché momenti del ritmo delle sue trasformazioni. Solo l’uomo, il più terribile tra i viventi, dà luogo a opere che non rientrano nel ciclo della natura, sottratta a se stessa, per diventare momento di un’altra storia, la storia numana. È il tema del rapporto tra natura e cultura. Fin dove è possibile spingere tale rapporto, perché non sia distruttivo e fonte di morte? Se alla natura-
lizzazione della cultura ha fatto seguito, crescente e inesorabile, la culturalizzazione della natura, questa fin dove va spinta? La scienza del rischio calcolato degli interventi modificativi e distruttivi della natura è tale, e dunque affidabile, se non trascende i limiti al di là dei quali qualunque forma di violenza contro la natura diventa anche violenza contro la cultura e dunque un impedimento reale e irreversibile della vita dell’uomo come essere culturale. La natura ha bisogno dello spirito per essere aperta, così come lo spirito – la cultura - ha bisogno della natura, per essere sostanziosa e incisiva. E qui interviene, forte e persuasivo, l’invito francescano alla sobrietà, conferma e insieme sostegno della libertà creativa, come anche è senza ambiguità la denuncia della cattiva coscienza del fare e insieme del naturalismo libertino, senza freni perché senza misura. Ma quale la misura che funga anche da freno? Il valorelegame, anima nobile e sostegno inesauribile di tutti i valori, perché include e non esclude, apre il circuito senza chiuderlo. È l’affratellamento cosmico, propriamente francescano. Prima che alla luce del valore d’uso e del valore di scambio, che l’economia classica ha assolutizzato, escludendo dal consorzio sociale quanti non rientrano in tale logica mercantile, un qualunque prodotto andrebbe giudicato in rapporto alla forza che ha di stringere gli uomini tra loro – i singoli, i gruppi, le nazioni – non contro ma assieme alla natura.
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CIMP di Agnello Stoia
Sono forse io il guardiano del mio fratello? Presso il Saracen Village a Isola delle Femmine (PA) nella Provincia religiosa di Sicilia, si è da poco conclusa la XVI Assemblea del Collegio dei Guardiani CIMP-Sud (17-20 gennaio). Ha avuto un buon riscontro con 37 presenze tra frati guardiani, ministri provinciali e custode: dalla Custodia di Calabria 5, dalla Provincia di Malta 5, dalla Provincia di Napoli 7, dalla Provincia di Puglia 8, dalla Provincia di Sicilia 12. L’incontro con Mons. Calogero Peri (OFMCap), vescovo di Caltanissetta, ci ha offerto molti spunti per approfondire il tema “Il guardiano uomo di riconciliazione e di pace”. Anzitutto ha colpito la testimonianza di questo frate vescovo, nel suo modo di relazionarsi così semplice e diretto. La prospettiva evangelica e francescana con cui ha proposto il suo intervento ci ha offerto un percorso sapienziale e pasquale a partire dal personale cambiamento di disposizioni e atteg-
giamenti, indicandoci strade per favorire relazioni redente, invitandoci ad aprirci alla cultura della differenza. Questa prospettiva – uno scorcio molto convergente ai contenuti della lettera del Ministro generale - è stata arricchita dalla meditazione biblica di fra Cyrille Kpalafio (OFMConv) sul tema della fraternità come dono e responsabilità, partendo dal versetto di Genesi 4, 9b: “Sono forse il guardiano del mio fratello?”. Nel lavoro dei gruppi e negli interventi in Aula abbiamo condiviso le nostre esperienze comunitarie, calando nel concreto gli spunti dei relatori e volendo convertire i nostri sguardi a considerare le difficoltà della vita comune come opportunità di crescita. La prossima assemblea si terrà dal 16 al 19 gennaio 2012 a Bari nella Provincia pugliese che precederà il turno di Malta dove i frati sono impegnati al capitolo provinciale il prossimo ottobre. Il tema su cui l’Assemblea si è
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orientata è “Per una fraternità in dialogo: ascolto e comunione”. Ringrazio cordialmente tutti i frati guardiani per la partecipazione attiva a questo momento di fraternità e di formazione. Per il contributo dato alle celebrazioni liturgiche ringrazio fr. Giorgio Tassone e fr. Massimiliano Di Pasquale, un particolare ringraziamento va alla Provincia di Sicilia, ai suoi frati guardiani - permettete un ringraziamento a fra Salvino Pulizzotto per la disponibilità nell’organizzazione logistica della Cappella presso questa struttura alberghiera e a fra Guglielmo Barbasso per l’accoglienza che abbiamo ricevuto nel Convento di san Francesco in Trapani e presso il Baglio Villa Immacolatella – un ringraziamento particolare al Ministro provinciale fra Angelo Busà per la bella accoglienza che ci ha riservato in questa Provincia religiosa così ricca di umanità, di fede, e di tradizioni francescane.
ARTE
di Paolo D’Alessandro
L’Emmanuele, il Dio-pellegrino In questo numero di Luce Serafica ombra. Questo movimento del vi presento un mio dipinto: “Em- Cristo avviene soprattutto ogni manuele”, che vuol dire Dio con volta che il presbitero celebra l’Eunoi, una tecnica mista su legno, di carestia. Gesù Cristo si rende premetri 2,30 per 1,30, collocato nella chiesa di Santa Lucia in Cellole (CE). In quest’opera ho cercato di compiere una sintesi sul piano simbolico e figurativo tra la tradizione iconografica d’Oriente e l’arte cristiana d’Occidente. In un cielo luminoso - in quanto il Verbo eterno, il Figlio unigenito di Dio, con la sua incarnazione ha portato la luce al mondo, e solo chi vuole chiudere gli occhi rimane ancora nel buio -, vi è raffigurato il Risorto con i segni della Passione; eppure egli, il Vivente, vive ed è asceso al cielo. Il Dio-con-noi è racchiuso nella mandorla – la luminosa forma ovoidale – che richiama la dimensione divina e trascendente del Crocifisso-Risorto e asceso al cielo. Le tre gradazioni di blu, dal più scuro al più chiaro, rinviano al mistero d’amore Risurrezione - Cellole Chiesa s Lucia -2003 della Santissima Trinità. Le stelle richiamano il significato cosmico della redenzione ope- sente, pienamente, in modo rata dal Cristo. Il Verbo vive, ora, ipostatico (secondo la natura anche con il corpo, nella sua di- umana e quella divina) nei poveri mensione originaria divina e nello e semplici doni dell’altare: il pane stesso tempo vuole vivere anche e il vino. Egli è con noi e ci sonella storia. Infatti, alza la veste stiene con la grazia dello Spirito con la mano destra per permettere Santo, (rappresentato dal soffio al piede di poter scendere sulla leggero che agita la veste del Riterra. Notiamo, infatti, la sua sorto), nel nostro cammino verso
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la Patria, l’Origine, cioè verso il mistero di Dio Padre. L’Emmanuele, allora, è un Dio-pellegrino in quanto cammina con noi. È il Cristo-Luce, il Vivente, il Crocifisso-Risorto. Il suo volto è gioioso, sereno sorridente, glorioso. E non per questo è distante da noi, dal dramma della storia, dalle sofferenze degli uomini, dai problemi del mondo. Anzi, proprio per questo, egli richiama la nostra speranza, ne fonda le attese, il desiderio di liberazione, e ci viene incontro nel desiderio di essere accolto da noi mediante la fede, la speranza e la carità. Il quadro si completa – sia per la comprensione che per la meditazione – solo durante la celebrazione dell’Eucarestia, ove il Cristo si fa povero e umile allo spezzare del pane e nella benedizione del vino. È questo l’Amore umile di Dio, che dall’incarnazione del Verbo, raggiunge il vertice della sua rivelazione nella morte di Croce e nella Risurrezione, mistero della Pasqua che l’Eucarestia ben manifesta. Il mio augurio, allora, per questa pasqua 2011 è quello di poter fare sempre più esperienza del Cristo morto e risorto, il Vivente, il Signore della storia e del tempo, affinché impregnati del suo amore, possiamo scendere nelle nostre tenebre e in quelle del mondo, sapendo che solo così siamo in grado di salire con Lui nella gloria.
EVENTI La redazione
Carnevale degli Araldini a Benevento: a sinist
sita a San Tettamanzi in vi raio 2011 gi ni io D le na febb Il Cardi ore - Napoli 24 Lorenzo Maggi
Palmi, festa di Santa Rit
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Incontro guardi Cimp-Sud - Pal 17-20 gennaio
Rassegna Natal izia Cori S. Gaetano, Sa lerno
Incontro dei frati della Custodia di Calabria - marzo 2011
Palmi: celebrazione eucaristica
Palermo, incontro ministri provinciali della Cimp - 22-26 m 26
Adorazione eucaristica - Palmi (RC)
tra il gruppo di Salerno e a destra il gruppo di Maddaloni (Ce)
Incontro interfrancescano di preghiera Benevento 12 marzo 2011
Sopra: La comunità di Salerno ad Assisi 20 marzo 2011 Sotto: Coro Basilica SS. Apostoli (Roma) diretto da Fra Gennaro Becchiamanzi
Il capitolo dell’OFS del di S. Gaetano a Salernola comunità
ani ermo 2011
011 urdes 11/02/2 Madonna di Lo lerno S. Gaetano - Sa
fra Gianfranco M Del Giudice celebra la prima messa. Aversa 9 gennaio 2011
Incontro OPGV Montella 13 febbraio 2011
arzo 2011 Maddaloni - Centro Studi Francescani Corso di Italiano per immigrati
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Pozzuoli, ritiro Usmi - 27 marzo 2011
SPORT La redazione
Cos’è Parma 2011 L’ACES, Associazione Capitali Europee dello Sport (European Capitals of Sport Association, www.aces-europa.eu) è un’associazione benemerita del Coni che assegna annualmente i riconoscimenti di “Capitale”, “Città” e “Comuni” Europei dello Sport secondo i principi di responsabilità e di etica dettati dal Libro Bianco della Comunità Europea: lo sport è fattore di aggregazione della società, di miglioramento della qualità della vita, di benessere psico-fisico degli individui e di piena integrazione delle fasce sociali in condizioni di disagio. ACES ha conferito a Parma il titolo di Città Europea dello Sport 2011. Comune di Parma e Coni intendono celebrare e vivere il riconoscimento coinvolgendo ad ogni livello la Società parmigiana e parmense. Il progetto prevede oltre 230 eventi e 19 iniziative speciali per promuovere i valori dello sport, aumentare la pratica sportiva, qualificare le strutture e gli enti che operano nel settore. La rete di realtà che hanno scelto di sostenere Parma Città Europea dello Sport 2011 è in continuo ampliamento; di seguito i componenti della “squadra” aggiornati a gennaio 2011. Promotori Comune di Parma, Comitato provinciale Coni Parma Partner Istituzionali Università degli Studi di Parma, Provincia di Parma Comitato Italiano Paralimpico, Fondazione Sport Parma Main Sponsor Cariparma Crèdit Agricole Sponsor Tecnico Gruppo Iren Con il sostegno di Cingi&Campari, Edicta Eventi ARA – Concessionaria Iveco per Parma e provincia, Gruppo Ferrari SpA
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I corsi di formazione 1) Lo sviluppo delle competenze manageriali nel sistema sportivo di base La formazione, spesso poco considerata nel movimento sportivo, è un fattore sempre più importante per mettere i dirigenti in condizione di gestire le società in modo adeguato e sempre più “professionale”, sia pure come volontari. Il corso è organizzato dall’Assessorato allo Sport del Comune e dal Coni comitato provinciale di Parma, in collaborazione con la Scuola Regionale dello Sport Emilia-Romagna ed è rivolto ai dirigenti delle società sportive, delle federazioni e degli enti di promozione ma anche a studenti universitari, over 65 o altre persone che vogliono avvicinarsi al mondo manageriale sportivo. 2) Promuovere la pratica sportiva Spiegare cosa significa avere la fortuna di un figlio che pratica sport: è questo il senso del progetto di “scuola per genitori” proposto dal Comune per il 2011. Da gennaio a marzo si terranno, in tutte le società sportive disponibili, una serie di incontri con un gruppo di psicologi messo a disposizione da Comune e Coni e coordinato da Roberto Mauri, esperto in psicologia sportiva. Il modulo formativo che coinvolge anche allenatori e dirigenti - prevede alcuni incontri collettivi, gestiti dal coordinatore, e almeno due incontri “personalizzati”, condotti dagli psicologi del team, con allenatori e genitori, presso le società che li richiedono.
CINEMA di Giuseppina Costantino
L’uomo alla scoperta di se stesso e di Dio Rango Un solitario camaleonte di nome Rango decide di andare a scoprire la vera vita nel deserto del Mojave. Da sempre desideroso di avere un proprio pubblico, lì finge di essere un avvocato e di poter aiutare la cittadina di Dirt a combattere la carenza di acqua. Ma presto si accorgerà della differenza tra la realtà e la finzione e scoprirà il valore dell’amicizia. GENERE: Animazione, Azione, Avventura ANNO: 2011 DATA: 11/03/2011 NAZIONALITÀ: USA REGIA: Gore Verbinski CAST: Johnny Depp, Isla Fisher, Bill Nighy, Abigail Breslin, Ian Abercrombie, Hemky Madera
Il rito Michael è un giovane americano che esce dal seminario non convinto delle vere motivazioni della sua scelta. Vorrebbe lasciare la strada che ha intrapreso, ma viene mandato a Roma, a frequentare in Vaticano un corso sull’esorcismo, pratica a cui la Chiesa Cattolica attribuisce una grande importanza. Lì incontra una giornalista interessata all’argomento, e soprattutto l’anziano esorcista padre Lucas, che vive solo e circondato da gatti in un piccolo paese, e lo fa assistere all’esorcismo di Rosaria, una adolescente incinta. Michael continua a credere che il diavolo non abbia nulla a che fare con gli inspiegabili fenomeni manifestati dalle sue vittime, ma una notte, a casa di padre Lucas, si troverà ad affrontarlo. Arriva nelle nostre sale Il rito, un film diretto da Mikael Håfström, già autore di 1408 da Stephen King. Al centro della storia c’è la presenza devastante del diavolo nella nostra società, e un rituale che richiede a chi lo compie una fede assoluta e incrollabile. Tratto da un libro del giornalista americano Matt Baglio, realistico nella costruzione e ben interpretato, è un film interessante e ben fatto che si distanzia in parte da altre analoghe pellicole, anche se non sempre riesce a sfuggire alle trappole di un genere, l’horror, a cui regista e interpreti lo dichiarano estraneo. GENERE: Drammatico, Horror ANNO: 2011 DATA: 11/03/2011 NAZIONALITÀ: USA REGIA: Mikael Håfström CAST: Anthony Hopkins, Colin O’Donoghue, Alice Braga, Ciarán Hinds, Toby Jones, Maria Grazia Cucinotta
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IN BOOK La redazione G. JOSSA, Gesù. Storia di un uomo, Carocci editore, Roma 2010, pp. 163, euro 16,80. Anche se mancano fonti di carattere tecnicamente «biografico» sulla vita di Gesù, lo storico Giorgio Jossa, autore di questo saggio è convinto che un racconto della sua breve vicenda pubblica possa essere scritto fondatamente. Non è una questione di poco conto se si considera che gli storici che si muovono entro l’ambito della cosiddetta ricerca del Gesù storico affermano che sia per loro impossibile scrivere una «storia di Gesù» ovvero un racconto coerente della sua vicenda terrena, a causa della loro impostazione, che è squisitamente storica non teologica. Preferiscono così presentare i vari aspetti della sua figura all’interno di medaglioni: il Gesù carismatico, il Gesù profeta, il Gesù guaritore, Gesù e il Regno (così Theissen, Meier). Tale metodo ha i suoi vantaggi ma costringe a rinunciare a un’interpretazione non frammentaria e potrebbe denunciare, secondo Jossa, un residuo inconsapevole di impostazione dogmatica» e «una fondamentale carenza di senso storico, consegnando un Gesù proiettato fuori dal tempo. In realtà, i Vangeli canonici, pur non essendo biografie in senso stretto, non sono affatto privi di valore per ricostruire gli aspetti biografici di Gesù. In Marco, ad esempio, i dati storici fondamentali sono riconosciuti attendibili da tutti gli studiosi e costituiscono la base per ogni sua presentazione. Jossa afferma che Marco non è una fonte diversa da tutte le altre fonti storiche e va perciò usato. Del resto, sui fatti essenziali della vita di Gesù c’è accordo sostanziale fra gli studiosi. Jossa mostra i limiti della ricerca liberale, della scuola di Bultmann e della “terza” ricerca auspicando una nuova stagione nella quale si possa riconoscere l’innegabile continuità tra Gesù e il giudaismo ma anche quello che esiste fra Gesù e il cristianesimo.
P. BRANCA, «Noi e l’islam». Dall’accoglienza al dialogo. Vent’anni dopo, Collana Hiwâr-Dialogo 3, Edizioni Messaggero, Padova 2010, pp. 157, euro 13,50. In questo agile volume dell’affermato studioso Paolo Branca, docente di Lingua e Letteratura araba presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e relatore in numerosi seminari di studio sull’islam presso prestigiose istituzioni, è ripreso e commentato un famoso intervento del cardinale Martini sul dialogo islamo-cristiano che, per la sua profondità e puntualità, offre molti spunti di riflessione. Sono passati vent’anni da quando questo discorso fu pronunciato, il 6 dicembre del 1990. Molte cose sono cambiate, e non solo a Milano, e tuttavia la prospettiva tracciata resta attualissima: i cristiani e i musulmani devono incontrarsi e dialogare, nella verità e nell’amore, se non vogliamo uno scontro che sarebbe irreparabile. Il dialogo tra cristiani e musulmani appare ancora più urgente di ieri. Paolo Branca invita a un dialogo sereno affinché sia superato sia l’islam di popolo che un cristianesimo di massa, così come anche un islam e un cristianesimo dei solo dotti. Il saggio si compone di cinque capitoli: Chi siamo «noi» e chi è «l’islam» (pp. 25-46); I valori storici dell’islam (pp. 47.52); L’islam in Europa (pp. 53-84); L’atteggiamento della Chiesa e il dialogo (pp. 85-132); Annunciare il Vangelo di Gesù (pp. 133-150). Dopo aver presentato la complessa e variegata presenza delle comunità islamiche in Europa, l’autore non esprime un giudizio definitivo sull’evoluzione in corso a proposito della non facile convivenza tra persone di culture e religioni diverse. Egli spinge, tuttavia, ad approfondire il dialogo con quelle comunità musulmane che sinceramente vogliono confrontarsi con la modernità e l’Occidente. Certo è che nonostante queste differenze, stupisce e addolora la totale mancanza di un progetto pedagogico finalizzato a valorizzare tanta esperienza accumulata nelle diverse scuole cristiane frequentate da arabi e musulmani non solo in Europa ma anche in Africa, in Asia e in Medio Oriente. 30
FUMETTI La redazione
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