Luce serafica 03 2015 web

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Numero 3/2015 - Trimestrale - Poste Italiane S.p.a. - Spedizione in abbonamento postale - D.L.353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 2 - CNS/CBPA/sud/BENEVENTO/109/2007

Luceerafica S Rivista francescana fondata a Ravello nel 1925

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Papa Francesco a Sarajevo, a Torino e in America Latina

Speciale La preghiera di Sinodo 2015 San Francesco

_f 90 anni di vita



Editoriale Gianfranco Grieco

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i quale Europa parliamo? Di quale unione europea parliamo? Parliamo del nulla o mettiamo in evidenza quel poco che in questo arco di storia europea, dai padri fondatori ad oggi, siamo riusciti con affanno a realizzare? Nulla? troppo poco? quanto basta, per ora? Le risposte sono variegate. Sta di fatto che l’Europa delle Nazioni e l’Europa dei popoli, per ora sta solo sulla carta e sui programmi economici. Bisogna “costruire” quella vera, basata sulla cultura, sulle radici cristiane, sulla solidarietà. Siamo ancora agli inizi e il cammino da fare è ancora lungo. La questione greca e il dramma delle migrazioni forzate hanno messo l’Europa di fronte alle proprie responsabilità. Come sono state affrontate? E, come continuano ad essere discussi e risolti problemi antichi e nuovi che vengono rinviati senza dare soluzioni concrete e definitive nel segno dell’accoglienza, della solidarietà e della condivisione? Il cimitero del Mar Mediterraneo, i migranti che approdano in Italia, in Grecia e a Malta; e poi Parigi - Londra con il campo disumano di Calais; l’Ungheria con la nuova “cortina di ferro” lunga 175 chilometri per ripararsi dai profughi e dai migranti che transitano dalla Serbia: queste le tristi pagine di questa estate che ci lasciano stupiti e sofferenti. Dare spazio ai vari stupidi di turno che gridano a squarcia gola nei telegiornali della calura estiva vuol dire non offrire contributi seri alla soluzione dei problemi. Noi ascoltiamo la voce profetica di Papa Francesco che merita consenso non solo quando pubblica la Laudato si’, ma anche quando dice che respingere i migranti è guerra: “Siamo in una guerra: io mi ripeto tanto dicendo che questa è la terza guerra mondiale a pezzi. Ma

siamo in guerra. E questo è negativo. Ma ci sono segni di speranza e ci sono segni di gioia”. Ed ancora: “Pensiamo a quei fratelli nostri dei Rohingya (si tratta di una minoranza dei migranti Rohingya, partiti dalla Birmania e respinti in mare da diversi Paesi asiatici n. d. d.): sono stati cacciati via da un Paese e da un altro e da un altro, e vanno per mare … Quando arrivano in un porto o su una spiaggia,

Piazzisti da quattro soldi che, pur di raccattare voti, dicono cose straordinariamente insulse!

Monsignor Nunzio Galantino Segretario Generale della Conferenza Episcopale Italiana

danno loro un po’ d’acqua e un po’ da mangiare e li cacciano via sul mare. Questo è un conflitto non risolto, e questa è guerra, questo si chiama violenza, si chiama uccidere” (Papa Francesco ai giovani del Movimento Eucaristico Giovanile, 7 agosto 2015). Di fronte a questo grido non possiamo rimanere inermi. Le politiche mondiali - Onu, Usa, Unione europea e Russia - devono dare risposte non solo di circostanza, ma credibili. La parola “solidarietà” deve caricarsi di significati, se tutti insieme vogliamo costruire un mondo di giustizia e di pace.


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EDITORIALE CHIESA NEWS - VIAGGI Ci scrivono... L’enciclica francescana di Papa Francesco Giornata di preghiera Laudato si’: La più bella poesia del mondo Sarajevo: cronaca di n giorno di pace Papa Francesco a Torino Incontro tra Papa Francesco e Vladimir Putin ECUMENISMO Una data fissa per la Pasqua Dallo scandalo antico una speranza nuova EXPO DI MILANO 2015 I volti della terra Globalizzare la solidarietà SGUARDI SUL MONDO Viaggio dentro un secolo di storia I giusti di Budapest 24 maggio 1915 l’Italia entrava in guerra America: Il viaggio più lungo Bandiera cubana sventola a Washingron Da città del Messico a L’Avana Asia: Iran la buona notizia Hiroshima e Nagasaki: un monito all’umanità Luci dall’Oriente: Congresso Eucaristico Africa: Uganda: giustizia, riconciliazione e pace Ghana: l’appello dei vescovi Malawi: tecnologia e relazioni umane SPECIALE SINODO 2015 La famiglia oggi: vocazione e missione Scienza e vita: i primi dieci anni FRANCESCANESIMO Minorità e fraternità Predicate sempre il Vangelo La prehiera di Francecso d’Assisi Lettera ai frati di P. Lanfranco Serrini Festival francescano 2015 Santità francescana in rassegna 90 anni di Luce Serafica: giornata di studi ITALIA 2016 I “mali” di Roma capitale I “mali” di Napoli e del Sud CULTURA RELIGIOSA - SPORT La prima comunione Patmos l’isola greca Vogliamo un calcio putilo EVENTI

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CI SCRIVONO ….

La foto dei lettori

Gentile direttore Complimenti per la rivista molto interessante. Tutta da leggere con molta attenzione. Rosalba Giugni presidente marevivo Carissimo padre Grieco Voglio ringraziarla di cuore del libro su Paolo VI. Ritornando in treno me ne sono letto una buona parte, anche perché è scritto magnificamente, e si legge d’un fiato. Volevo dirle che sono rimasto commosso, non solo per come il libro racconta la figura storica di Paolo VI, ma per la devozione e l’affetto che lei dimostra nei suoi confronti. Quando una persona scrive così, ricordando con tanti dettagli un intero periodo storico, rivela davvero la sua anima, quella di una persona con una storia eccezionale di generosa e profonda devozione alla Chiesa e a Cristo stesso. La pagine trasudano di sentimenti che mi hanno davvero fatto partecipe di quello spirito di santità che vorremmo sentire dentro di noi e intorno a noi, e la ringrazio per questo dono. Un caro saluto Pierpaolo Donati Dept. of Sociology and Bisiness Law University of Bologna, Italy COMITATO DI REDAZIONE Orlando Todisco Edoardo Scognamiglio Iman Sabbah Emanuela Vinai Assunta Cefola Emanuela Bambara Giacomo Auriemma Mohammad Djafarzadeh Boutros Naaman Foto di copertina e ultima di copertina Mohammad Djafarzadeh

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Hanno collaborato: Gianfranco Grieco, Franco Cardini, Vittorio Peri, Giovanni Angelo Becciu, Francesco Dante, Josè Guillermo Guttiérez Fernàndez, Mohammad Djafarzadeh, Piero Marini, Raffaele Di Muro, Fermino Giacometti, Serenetta Monti, Andrea Giucci, Simona Corsetti, Giacomo Auriemma,


oltivare ustodire

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Come è stato annunciato, giovedì prossimo sarà pubblicata una Lettera Enciclica sulla cura del creato. Invito ad accompagnare questo avvenimento con una rinnovata attenzione alle situazioni di degrado ambientale, ma anche di recupero, nei propri territori. Questa Enciclica è rivolta a tutti: preghiamo perché tutti possano ricevere il suo messaggio e crescere nella responsabilità verso la casa comune che Dio ci ha affidato a tutti. DOPO ANGELUS 14 GIUGN0 2015 Domani, come sapete, sarà pubblicata l’Enciclica sulla cura della “casa comune” che è il creato. Questa nostra “casa” si sta rovinando e ciò danneggia tutti, specialmente i più poveri. Il mio è dunque un appello alla responsabilità, in base al compito che Dio ha dato all’essere umano nella creazione: “coltivare e custodire” il “giardino” in cui lo ha posto (cfr Gen 2,15). Invito tutti ad accogliere con animo aperto questo Documento, che si pone nella linea della dottrina sociale della Chiesa. UDIENZA GENERALE MERCOLEDÌ 17 GIUGNO 2015

L’enciclica francescana di Papa Francesco

Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla. La violenza che c’è nel cuore umano ferito dal peccato si manifesta anche nei sintomi di malattia che avvertiamo nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi. Per questo, fra i poveri più abbandonati e maltrattati, c’è la nostra oppressa e devastata terra, che «geme e soffre le doglie del parto» (Rm 8,22). Dimentichiamo che noi stessi siamo terra (cfr Gen 2,7). Il nostro stesso corpo è costituito dagli elementi del pianeta, la sua aria è quella che ci dà il respiro e la sua acqua ci vivifica e ristora.

LA CURA DELLA CASA COMUNE 1. «Laudato si’, mi’ Signore», cantava san Francesco d’Assisi. In questo bel cantico ci ricordava che la nostra casa comune è anche come una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza, e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia: «Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba».[1] 2. Questa sorella protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei.

documento prende il titolo dall’invocazione di San Francesco d’Assisi nel “Cantico delle creature”. Suddivisa in sei capitoli, l’Enciclica racco’ecologia integrale diventi un glie, in un’ottica di collegialità, nuovo paradigma di giustizia, anche diverse riflessioni delle Conperché la natura non è una ferenze episcopali del mondo e si “mera cornice” della vita umana: conclude con due preghiere, una inquesto il cuore della seconda Enci- terreligiosa ed una cristiana, per la clica di Papa Francesco, “Laudato si’ salvaguardia del Creato. sulla cura della casa comune” pub- “Laudato si’, mi’ Signore, per sora blicata giovedì 18 giugno 2015. Il nostra matre Terra”: Papa Francesco

“Il pianeta ha bisogno di un’ecologia integrale”

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si pone sulla scia di Francesco d’Assisi per spiegare l’importanza di un’ecologia integrale che diventi un nuovo paradigma di giustizia, in cui la preoccupazione per la natura, l’equità verso i poveri, l’impegno nella società, ma anche la gioia e la pace interiore risultano inseparabili. Nei sei capitoli dell’Enciclica, il Papa evidenzia che la nostra terra, maltrattata e saccheggiata, richiede una “conversione ecologica”, un “cam-


e un pellegrino che viveva con semplicità e in una meravigliosa armonia con Dio, con gli altri, con la natura e con se stesso. In lui si riscontra fino a che punto sono inseparabili la preoccupazione per la natura, la giustizia verso i poveri, l’impegno nella società e la pace interiore.

San Francesco d’Assisi 10. Non voglio procedere in questa Enciclica senza ricorrere a un esempio bello e motivante. Ho preso il suo nome come guida e come ispirazione nel momento della mia elezione a Vescovo di Roma. Credo che Francesco sia l’esempio per eccellenza della cura per ciò che è debole e di una ecologia integrale, vissuta con gioia e autenticità. E’ il santo patrono di tutti quelli che studiano e lavorano nel campo dell’ecologia, amato anche da molti che non sono cristiani. Egli manifestò un’attenzione particolare verso la creazione di Dio e verso i più poveri e abbandonati. Amava ed era amato per la sua gioia, la sua dedizione generosa, il suo cuore universale. Era un mistico

11. La sua testimonianza ci mostra anche che l’ecologia integrale richiede apertura verso categorie che trascendono il linguaggio delle scienze esatte o della biologia e ci collegano con l’essenza dell’umano. Così come succede quando ci innamoriamo di una persona, ogni volta che Francesco guardava il sole, la luna, gli animali più piccoli, la sua reazione era cantare, coinvolgendo nella sua lode tutte le altre

FRANCESCO AL PRIMO POSTO CON TREDICI CITAZIONI ’enciclica francescana di papa Francesco «Laudato si’, mi’ L Signore», resa nota giovedì 18 giugno 2015, dopo annunci e scoop prevedibili è un canto di lode a Dio creatore ed è un monito severo rivolto ad una società opulenta che continua a travolgere e a distruggere il progetto creativo di Dio. Il testo, composto da 246 paragrafi (226 pagine) porta la data del 24 maggio 2015, solennità di Pentecoste, terzo anno di pontificato di Papa Francesco. Mai, in una enciclica, è stato citato, come in questa, un santo. Solo san Francesco poteva avere questo onore, per ben 13 volte: 1;10 (due volte); 11 ( 2 volte); 12; 66 (due volte); 87; 91; 125; 218; 221. Legando e commentando questi tredici passi si può per davvero comporre quella enciclica francescana che ha segnato la storia della Chiesa e dell’umanità da quel lontano 1224 – anno della composizione del Cantico- ad oggi. biamento di rotta” affinché l’uomo si assuma la responsabilità di un impegno per “la cura della casa comune”. Impegno che include anche lo sradicamento della miseria, l’attenzione per i poveri, l’accesso equo, per tutti, alle risorse del Pianeta. 1° capitolo: no alla cultura dello scarto. Tutelare diritto all’acqua. Il Papa mette in guardia dalle gravi conseguenze dell’inquinamento e da quella “cultura dello scarto” che sembra trasformare la terra, “nostra casa, in un immenso deposito di immondizia”. Dinamiche che si possono contrastare adottando modelli produttivi diversi, basati sul riutilizzo, il riciclo, l’uso limitato di ri-

sorse non rinnovabili. Anche i cambiamenti climatici sono “un problema globale”, spiega l’Enciclica, così come l’accesso all’acqua potabile, che va tutelato in quanto “diritto umano essenziale,

fondamentale ed universale”, “radicato nell’inalienabile dignità” dell’uomo. Centrale, inoltre, la tutela della biodiversità perché ogni anno, a causa nostra, “scompaiono migliaia di specie vegetali e animali che i nostri figli non potranno vedere”. E “non ne abbiamo il diritto”, sottolinea Francesco, evidenziando poi l’esistenza di un “debito ecologico”,

PAPA FRANCESCO Oggi ricorre la Giornata Mondiale dell’Acqua, promossa dalle Nazioni Unite. L’acqua è l’elemento più essenziale per la vita, e dalla nostra capacità di custodirlo e di condividerlo dipende il futuro dell’umanità. Incoraggio pertanto la Comunità internazionale a vigilare affinché le acque del pianeta siano adeguatamente protette e nessuno sia escluso o discriminato nell’uso di questo bene, che è un bene comune per eccellenza. Con san Francesco d’Assisi diciamo: «Laudato si’, mi’ Signore, per sora aqua,/la quale è molto utile et humile et pretiosa et casta» (Cantico di frate Sole). DOPO ANGELUS 22 MARZO 2015 8


minano il nostro comportamento. Se noi ci accostiamo alla natura e all’ambiente senza questa apertura allo stupore e alla meraviglia, se non parliamo più il linguaggio della fraternità e della bellezza nella nostra relazione con il mondo, i nostri atteggiamenti saranno quelli del dominatore, del consumatore o del mero sfruttatore delle risorse naturali, incapace di porre un limite ai suoi interessi immediati. Viceversa, se noi ci sentiamo intimamente uniti a tutto ciò che esiste, la sobrietà e la cura scaturiranno in maniera spontanea. La povertà e l’austerità di san Francesco non erano un ascetismo solamente esteriore, ma qualcosa di più radicale: una rinuncia a fare della realtà un mero oggetto di uso e di dominio.

creature. Egli entrava in comunicazione con tutto il creato, e predicava persino ai fiori e «li invitava a lodare e amare Iddio, come esseri dotati di ragione».[19] La sua reazione era molto più che un apprezzamento intellettuale o un calcolo economico, perché per lui qualsiasi creatura era una sorella, unita a lui con vincoli di affetto. Per questo si sentiva chiamato a prendersi cura di tutto ciò che esiste. Il suo discepolo san Bonaventura narrava che lui, «considerando che tutte le cose hanno un’origine comune, si sentiva ricolmo di pietà ancora maggiore e chiamava le creature, per quanto piccole, con il nome di fratello o sorella».[20] Questa convinzione non può essere disprezzata come un romanticismo irrazionale, perché influisce sulle scelte che deter-

soprattutto tra il Nord e il Sud del mondo, connesso a squilibri commerciali. “Il debito estero dei Paesi poveri – infatti – si è trasformato in uno strumento di controllo, ma non accade la stessa cosa con il debito ecologico”. Creare sistema normativo per proteggere ecosistemi. Il deterioramento dell’ambiente e quello della società - afferma il Papa

- colpiscono in modo speciale i più deboli del pianeta”, spesso considerati “un mero danno collaterale”. Per questo, un vero approccio ecologico deve essere anche sociale. La soluzione, allora, non è la riduzione della natalità, ma il contrasto ad un consumismo “estremo e selettivo” di una parte della popolazione mondiale. Di fronte, poi, ad un certo intorpidimento e ad una “spensierata

Card. Turkson: politica, controlli, economia e finanza per tutelare la terra “La politica deve ristabilire il controllo democratico sull’economia e la finanza”: così il cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, ha rivolto alle massime autorità dell’Onu e ai leader dei Paesi membri, nella riunione di alto livello sui cambiamenti climatici, convocata a fine giugno 2015 a New York. “Il clima è un bene comune, di tutti e per tutti”, ma “se la tendenza attuale continua, questo secolo potrebbe essere testimone di cambiamenti climatici inauditi e di una distruzione senza precedenti negli ecosistemi, con gravi conseguenze per tutti noi”. Si è fatto latore il cardinale Turkson dei richiami di Papa Francesco nella recente Enciclica Laudato sì, dove si evidenzia come “la povertà e la fragilità del pianeta” siano intimamente correlati. Ad oltre vent’anni dal Vertice della Terra, a Rio de Janeiro nel 1992 - ha osservato il porporato quando già si affermava la centralità degli esseri umani nelle questioni inerenti lo sviluppo sostenibile, il Papa - nella Lettera dedicata alla “cura della casa comune” – “incoraggia i governi del mondo ad abbracciare l’ecologia integrale, come approccio necessario per tale sviluppo, inclusivo di tutti e protettivo della Terra”. Per questo il cardinale Turkson ha auspicato che gli studi condotti, in ambito Onu, dai migliori esperti del gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici possano “toccarci in profondità”, per “vedere e sentire come i poveri soffrono e come la Terra viene maltrattata”. Per superare la povertà e ridurre il degrado ambientale – ha affermato il presidente del Pontifico Consiglio “Giustizia e Pace” – occorrerà che “la comunità umana seriamente riveda il modello dominante di sviluppo, produzione, commercio e consumo. Tuttavia la maggiore sfida non è scientifica o tecnologica, ma è nelle nostre menti e nostri cuori”. “La stessa logica – scrive Papa Francesco – che rende difficile prendere decisioni radicali per invertire la tendenza al riscaldamento globale, è quella che non permette di realizzare l’obiettivo di sradicare la povertà”. Una revisione coraggiosa di questa logica avverrà solo se ascolteremo l’invito rilanciato dal Papa a cercare altri modi di intendere il progresso. “La politica deve ristabilire il controllo democratico sull’economia e la finanza”, ha ammonito il cardinale Turkson. Questa la strada da percorrere verso Parigi, dove si terrà a novembre la prossima Conferenza dell’Onu sull’ambiente. 9


12. D’altra parte, san Francesco, fedele alla Scrittura, ci propone di riconoscere la natura come uno splendido libro nel quale Dio ci parla e ci trasmette qualcosa della sua bellezza e della sua bontà: «Difatti dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si contempla il loro autore» (Sap 13,5) e «la sua eterna potenza e divinità vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute» (Rm 1,20). Per questo chiedeva che nel convento si lasciasse sempre una parte dell’orto non coltivata, perché vi crescessero le erbe selvatiche, in modo che quanti le avrebbero ammirate potessero elevare il pensiero a Dio, autore di tanta bellezza.[21] Il mondo è qualcosa di più che un problema da risolvere, è un

irresponsabilità” nell’uomo contemporaneo, urge “creare un sistema normativo”per assicurare la protezione degli ecosistemi. 2° capitolo:ambiente è dono di Dio,

mistero gaudioso che contempliamo nella letizia e nella lode. Il mio appello 13. La sfida urgente di proteggere la nostra casa comune comprende la preoccupazione di unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale, poiché sappiamo che le cose possono cambiare. Il Creatore non ci abbandona, non fa mai marcia indietro nel suo progetto di amore, non si pente di averci creato. L’umanità ha ancora la capacità di collaborare per costruire la nostra casa comune. Desidero esprimere riconoscenza, incoraggiare e ringraziare tutti coloro che, nei più svariati settori dell’attività

HA SCRITTO «Una enciclica senza precedenti nel segno ecumenico” Stefania Falasca, Avvenire 15 giugno 2015, p. 1.

eredità comune da non distruggere Si ribadisce la “tremenda responsabilità” dell’essere umano nei confronti del Creato e si ricorda che “l’ambiente è un dono collettivo, pa-

Ecologia integrale ed orizzonti di speranza “Ecologia integrale ed orizzonti di speranza: l’attenzione per i poveri ed il Creato nel magistero di Papa Francesco”. Questo il tema della conferenza tenuta in Irlanda dal card. Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace. Il porporato è intervenuto presso la Pontificia Università San Patrizio di Maynooth, nell’ambito di un incontro quaresimale organizzato da “Trócaire”, l’organismo caritativo della Conferenza episcopale irlandese. Salvaguardare il creato,un dovere di tutti gli esseri umani Quattro, in particolare, i punti messi in risalto dal card. Turkson: il primo riguarda il fatto che l’appello a tutelare l’ambiente riguarda tutti gli esseri umani, affinché si promuova uno sviluppo umano davvero autentico e sostenibile. D’altronde, la visione della Chiesa al riguardo – come evidenziato da Papa Francesco e dai suoi predecessori, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI – implica “la cura e la tutela della persona umana e del suo ambiente in tutte le dimensioni possibili”. In secondo luogo, il porporato ha evidenziato che la salvaguardia del Creato “è un dovere”: “Proteggere l’ambiente, sviluppare e vivere un’ecologia integrale – ha affermato il card. Turkson – in quanto basi per la pace nel mondo, è un dovere cristiano fondamentale”, “un dovere sacro”. Distruggere l’ambiente è un peccato grave Non solo: il presidente di Giustizia e Pace ha ribadito il legame essenziale tra umanità, Creato e giustizia, tanto che “violare uno di questi legami” e “distruggere l’ambiente è un peccato grave”. La persona giusta, infatti, è quella che “preserva la comunione con Dio, con il prossimo e con la terra e, così facendo, crea la pace”. In quest’ottica, inoltre, ha detto il card. Turkson, è importante “condividere i frutti del Creato con gli altri, specialmente con i poveri, gli stranieri, le vedove, gli orfani”. In terzo luogo, il porporato ha richiamato l’importanza di una “conversione ecologica” del cuore umano, ovvero di “un radicale e fondamentale cambiamento del nostro atteggiamento nei confronti del Creato, dei poveri e delle priorità dell’economia globale”. Dare spazio alla religione per capire cosa è davvero importante Dal suo canto, la religione, ha aggiunto il porporato, può dare un notevole contributo al tema della salvaguardia ambientale perché può aiutare ad “orientare e integrare gli esseri umani nell’universo, identificando cosa è davvero importante e cosa bisogna proteggere in quanto sacro”. “Dare spazio alla religione – dunque – può trasformare il nostro atteggiamento nei confronti dell’ambiente in un modo in cui gli approcci politici o economici non possono fare”. Appello ad una nuova solidarietà globale Infine, il card. Turkson ha lanciato un appello al dialogo e ad una “nuova solidarietà globale”, in cui “ciascuno può fare la sua parte ed ogni singola azione, non importa quanto piccola, può fare la differenza”. “Il bene della persona umana – ha concluso il porporato – e non il perseguimento del profitto, è il valore-guida per la ricerca del bene comune universale”. 10


vimento ecologico mondiale ha già percorso un lungo e ricco cammino, e ha dato vita a numerose aggregazioni di cittadini che hanno favorito una presa di coscienza. Purtroppo, molti sforzi per cercare soluzioni concrete alla crisi ambientale sono spesso frustrati non solo dal rifiuto dei potenti, ma anche dal disinteresse degli altri. Gli atteggiamenti che ostacolano le vie di soluzione, anche fra i credenti, vanno dalla negazione del problema all’indifferenza, alla rassegnazione comoda, o alla fiducia cieca nelle soluzioni tecniche. Abbiamo bisogno di nuova solidarietà universale. Come hanno detto i Vescovi del Sudafrica, «i talenti e il coinvolgimento di tutti sono necessari per riparare il danno causato dagli umani sulla crea-

umana, stanno lavorando per garantire la protezione della casa che condividiamo. Meritano una gratitudine speciale quanti lottano con vigore per risolvere le drammatiche conseguenze del degrado ambientale nella vita dei più poveri del mondo. I giovani esigono da noi un cambiamento. Essi si domandano com’è possibile che si pretenda di costruire un futuro migliore senza pensare alla crisi ambientale e alle sofferenze degli esclusi. 14. Rivolgo un invito urgente a rinnovare il dialogo sul modo in cui stiamo costruendo il futuro del pianeta. Abbiamo bisogno di un confronto che ci unisca tutti, perché la sfida ambientale che viviamo, e le sue radici umane, ci riguardano e ci toccano tutti. Il moHA SCRITTO trimonio di tutta l’umanità”, “eredità comune” da amministrare e non da distruggere. Seguendo il racconto biblico della Creazione, Papa Francesco evidenzia le tre relazioni fondamentali dell’uomo: con Dio, con il prossimo e con la terra. Ogni creatura ha una sua funzione, nessuna è superflua e tutto è “carezza di Dio”, scrive il Pontefice, ricordando che “ogni maltrattamento verso qualsiasi

«Terra e fraternità: la cura di Francesco per la casa comune. I precedenti dell’enciclica di papa Bergoglio sul tema ecologico si iscrive nella tradizione dei grandi temi sociali, dalla “Rerum novarum” di Papa Leone XIII alla “Populorum progressio” di Papa Paolo VI. L’invito alla politica perché prenda decisioni veloci ed efficaci di fronte ai disastri provocati dalla ‘mano invisibile’ della tecnologia” Andrea Riccardi, Corriere della Sera 18 giugno 2015, p. 34

creatura è contrario alla dignità umana”. Tuttavia, la cura degli altri esseri viventi va sempre accompagnata dalla “compassione e preoccupazione” per l’uomo. Ed è per questo che serve la consapevolezza di una comunione universale. In quest’ottica, rientra il principio della subordinazione della proprietà privata alla destinazione universale dei beni: la tradizione cristiana, infatti, “non ha

Civiltà Cattolica, guida alla lettura della "Laudato si’" “Che tipo di mondo desideriamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo? Questa è la domanda che vive al cuore della Lettera enciclica di Papa Francesco Laudato si’. Sulla cura della casa comune Non una domanda ideologica, né tecnica ma un interrogativo forte che pone la questione ecologica come centrale per la nostra umanità”. È uno dei passaggi dell’editoriale di padre Antonio Spadaro che apre il numero 3961 11 luglio 2015 - di Civiltà Cattolica dedicato quasi interamente all’Enciclica di Papa Francesco. Il direttore della rivista dei gesuiti sottolinea che Laudato si’ mostra come la preoccupazione per l’ecologia umana e ambientale sia una dimensione fondamentale della fede per la salvezza dell’uomo e per la costruzione del vivere sociale. Essa è dunque parte della dottrina sociale della Chiesa. Le sfide aperte dell’Enciclica, tra povertà e fragilità del pianeta Nel suo articolo intitolato “Le sfide aperte sulla casa comune”, padre Luciano Larivera illustra i principali ambiti di dialogo e di contrasto politico, economico, filosofico e religioso, che l’enciclica di Papa Francesco presenta, rispondendo ad alcune critiche ideologiche che si sono levate anche prima che il testo fosse reso noto. Padre Diego Fares si sofferma invece sull’intima relazione tra i poveri e la fragilità del Pianeta che, scrive il gesuita argentino, è il primo dei temi trasversali che risuonano in tutta la Laudato si’. Poesia e canzone a difesa dell’ ambiente Civiltà Cattolica offre anche una “lettura artistica” dell’Enciclica. In un articolo di padre Peter Milward si mostra come alcuni poeti inglesi (Shakespeare, Wordsworth, Hopkins) si siano interessati alla natura e siano passati dal rapporto tra uomo e natura al Dio della natura (Eliot), dalla cui grazia potremmo forse attenderci la sperata soluzione del problema ecologico. Infine, padre Claudio Zonta firma un articolo dal titolo “Canzone italiana e difesa dell’ambiente”. La voce della musica, sottolinea il gesuita, con speranza e con fermezza, riconduce l’uomo all’essere abitante di un cosmo che va difeso e non depauperato della sua bellezza e della sua ricchezza originarie. 11


zione di Dio».[22] Tutti possiamo collaborare come strumenti di Dio per la cura della creazione, ognuno con la propria cultura ed esperienza, le proprie iniziative e capacità. 15. Spero che questa Lettera enciclica, che si aggiunge al Magistero sociale della Chiesa, ci aiuti a riconoscere la grandezza, l’urgenza e la bellezza della sfida che ci si presenta. In primo luogo, farò un breve percorso attraverso vari aspetti dell’attuale crisi ecologica allo scopo di assumere i migliori frutti della ricerca scientifica oggi disponibile, lasciarcene toccare in profondità e dare una base di concretezza al percorso etico e spirituale che segue. A partire da questa panoramica, riprenderò alcune ar-

mai riconosciuto come assoluto o intoccabile il diritto alla proprietà privata, ed ha messo in risalto la funzione sociale di qualunque forma di proprietà privata”. 3° capitolo: no a tecnocrazia. Essere amministratori responsabili del Creato Tecnologia, antropocentrismo, lavoro ed ogm: l’Enciclica si snoda lungo questi quattro percorsi. Innanzitutto, pur riconoscendo i benefici del progresso tecnologico per lo sviluppo sostenibile, mette in guardia dalla tecnocrazia che dà “a coloro che detengono la conoscenza ed il potere economico di sfruttarla, un dominio impressionante sul mondo intero”. Allo stesso tempo, l’antropocentrismo moderno, che non riconosce la natura come norma, perde la possibilità di riconoscere il posto dell’essere umano nel mondo ed il suo ruolo di “amministratore responsabile” dell’universo. Difesa della natura incompatibile con la giustificazione dell’aborto Ne deriva una logica “usa e getta” che giustifica ogni tipo di scarto, che porta a sfruttare i bambini, ad abbandonare gli anziani, a ridurre altri in schiavitù, a sopravvalutare la capacità del mercato di autoregolarsi,

gomentazioni che scaturiscono dalla tradizione giudeo-cristiana, al fine di dare maggiore coerenza al nostro impegno per l’ambiente. Poi proverò ad arrivare alle radici della situazione attuale, in modo da coglierne non solo i sintomi ma anche le cause più profonde. Così potremo proporre un’ecologia che, nelle sue diverse dimensioni, integri il posto specifico che l’essere umano occupa in questo mondo e le sue relazioni con la realtà che lo circonda. Alla luce di tale riflessione vorrei fare un passo avanti in alcune ampie linee di dialogo e di azione che coinvolgano sia ognuno di noi, sia la politica internazionale. Infine, poiché sono convinto che ogni cambiamento ha bisogno di motivazioni e di un cammino educativo, proporrò alcune linee di

a praticare la tratta di esseri umani ed il commercio di “diamanti insanguinati”. È la stessa logica di molte mafie, dei trafficanti di organi, del narcotraffico e dello scarto dei nascituri perché non corrispondono ai progetti dei genitori. Di fronte a tutto questo, occorre una “coraggiosa rivoluzione culturale” che mantenga in primo piano il valore delle relazioni tra le persone e la tutela di ogni vita umana, perché la difesa della natura “non è compatibile con la giustificazione dell’aborto”.

la società”, afferma il Pontefice, evidenziando la necessità, a volte, di “porre limiti a coloro che detengono grandi risorse e potere finanziario”, affinché tutti possano beneficiare davvero della libertà economica. Quanto agli ogm, definiti “una questione di carattere complesso”, il Papa ne mette in luce, da una parte, il contributo alla soluzione di problemi economici, ma dall’altra le difficoltà legate alla “concentrazione di terre produttive nelle mani di pochi”. Per questo, afferma, serve

La terra ambiente da custodire giardino da coltivare «Oggi si celebra la Giornata della Terra. Esorto tutti a vedere il mondo con gli occhi di Dio Creatore: la terra è l’ambiente da custodire e il giardino la coltivare. La relazione degli uomini con la natura non sia guidata dall’avidità, dal manipolare e dallo sfruttare, ma conservi l’armonia divina tra le creatura e il creato nella logica del rispetto e della cura, per metterla insieme a servizio dei fratelli, anche delle generazioni future” Papa Francesco, udienza generale, 22 aprile 2015 Proteggere il lavoro. Dibattito su ogm sia ampio e responsabile Quindi, il Papa ribadisce la necessità di difendere il lavoro: tutti devono potervi accedere, perché esso “è parte del senso della vita su questa terra, via di maturazione, di sviluppo umano”. “Rinunciare ad investire sulle persone in nome di un profitto immediato è un pessimo affare per 12

“un dibattito scientifico e sociale responsabile ed ampio, in grado di chiamare le cose con il loro nome”. 4° capitolo: ecologia integrale è inseparabile da bene comune L’ecologia integrale divenga, dunque, un nuovo paradigma di giustizia, perché l’uomo è connesso alla natura ed essa non è “una mera cor-


maturazione umana ispirate al tesoro del- battiti sinceri e onesti; la grave responsabilità della politica internazionale e lol’esperienza spirituale cristiana. cale; la cultura dello scarto e la proposta 16. Ogni capitolo, sebbene abbia una sua te- di un nuovo stile di vita. Questi temi non venmatica propria e una metodologia specifica, ri- gono mai chiusi o abbandonati, ma anzi coprende a sua volta, da una nuova prospettiva, stantemente ripresi e arricchiti. questioni importanti affrontate nei capitoli precedenti. Questo riguarda specialmente alcuni assi portanti che attraversano tutta l’Enciclica. Per esempio: l’intima relazione tra i poveri e la fragilità del pianeta; la convinzione che tutto nel mondo è intimamente connesso; la critica al nuovo paradigma e alle forme di potere che derivano dalla tecnologia; l’invito a cercare altri modi di intendere l’economia e il progresso; il valore proprio di ogni creatura; il senso umano dell’ecologia; la necessità di di-

nice” della nostra vita. “Non ci sono due crisi separate, una ambientale ed un’altra sociale – scrive il Papa – bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale”. Di qui, il richiamo alla “amicizia civica” ed alla solidarietà, sia intra- che inter-generazionale, la cui lesione “provoca danni ambientali”. L’ecologia integrale “è inseparabile dalla nozione di bene comune” e ciò implica il compiere scelte solidali sulla base di “una opzione preferenziale per i più poveri”. Tutelare ricchezze culturali dell’umanità. Accettare proprio corpo,dono di Dio Non solo: la vera ecologia riguarda anche la cura delle “ricchezze culturali dell’umanità”, come ad esempio delle “comunità aborigene”, e dell’ambiente urbano, per migliorare la qualità della vita umana negli spazi pubblici, nelle abitazioni, nei trasporti che in molte città, scrive il Papa, comportano “un trattamento indegno delle persone”. Centrale è anche l’accettazione del proprio corpo come dono di Dio per accogliere il mondo intero come casa comune donata dal Padre e vincere, così, la logica del dominio. In quest’ottica, il Papa esorta ad “apprezzare il proprio corpo nella sua femminilità o mascolinità, poiché “non è sano un atteggiamento che

Il Cantico delle creature Altissimu, onnipotente, bon Signore, Tue so' le laude, la gloria e l'honore et onne benedictione. Ad Te solo, Altissimo, se konfane, et nullu homo ène dignu Te mentovare. Laudato sie, mi' Signore, cum tucte le Tue creature, spetialmente messor lo frate Sole, lo quale è iorno et allumini noi per lui. Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore: de Te, Altissimo, porta significatione. Laudato si', mi' Signore, per sora Luna e le stelle: in celu l'ài formate clarite et pretiose et belle. Laudato si', mi' Signore, per frate Vento et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, per lo quale a le Tue creature dài sustentamento. Laudato si', mi' Signore, per sor'Acqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta. Laudato si', mi' Signore, per frate Focu, per lo quale ennallumini la nocte: ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte. Laudato si', mi' Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti fiori et herba. Laudato si', mi' Signore, per quelli ke perdonano per lo Tuo amore et sostengo infirmitate et tribulatione. Beati quelli ke 'l sosterrano in pace, ka da Te, Altissimo, sirano incoronati. Laudato si', mi' Signore, per sora nostra Morte corporale, da la quale nullu homo vivente po' skappare: guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali; beati quelli ke trovarà ne le Tue sanctissime voluntati, ka la morte secunda no 'l farrà male. Laudate e benedicete mi' Signore et rengratiate e serviateli cum grande humilitate. 13


pretenda di cancellare la differenza sessuale”, con la quale non sa più confrontarsi. 5° capitolo: Vertici mondiali sull’ambiente hanno deluso le aspettative Cosa possiamo e dobbiamo fare, dunque? chiede Francesco. E la risposta è “dialogare ed agire”. Certo, spiega, “la Chiesa non pretende di definire le questioni scientifiche, né di sostituirsi alla politica”, ma l’esortazione è comunque “ad un dibattito onesto e trasparente, perché le necessità o le ideologie non ledano il bene comune”. Il dialogo è ineludibile tra economia e politica, sottolinea il Pontefice, affinché “si pongano decisamente al servizio della vita, specialmente della vita umana”. Il Pontefice chiama quindi in causa la politica internazionale e non risparmia un giudizio severo sui

E IL MARE ALZA LA VOCE Il mare “bolle” sotto il peso del surriscaldamento Il mare “soffoca” venendo meno alla sua funzione di polmone del pianeta Il mare “piange” le sue creature Il mare “affoga” sotto il peso di milioni di tonnellate di petrolio Il mare “muore”... e alza la voce in un grido di aiuto. Un grido che MAREVIVO vuole raccogliere e rilanciare a livello mondiale con un APPELLO alla Comunità internazionale per la convocazione di un Summit sul mare mirato ad adottare decisioni comuni, ormai improcrastinabili, per la tutela del sistema marino. E’ arrivato il momento di dire basta e di chiedere ai signori del mondo di sedersi attorno ad un tavolo per affrontare, in modo globale, anche il tema dell’ecosistema marino per disegnare una strategia di salvaguardia del mare, mettendo a punto politiche concentrate e misure di tutela che è passato garantire agli oceani di continuare a svolgere il loro ruolo indispensabile per la continuazione della vita sul pianeta. MAREVIVO, con collaborazione con il CoNISMa ( Consorzio nazionale interuniversitario per le scienze del mare) chiama a raccolta il mondo scientifico, gli esperti, la politica e l’opinione pubblica per promuovere un incontro a livello mondiale. La difesa del mare come insostituibile fonte di vita e come garanzia del futuro vale esattamente come la difesa di altri beni comuni quali la libertà, la democrazia, la cultura. Raccogli insieme con noi il grido del mare. 14


vertici mondiali relativi all’ambiente che, negli ultimi anni, “non hanno risposto alle aspettative” per una “mancanza di decisione politica”. Serve governance globale. Dominio assoluto della finanza non ha futuro Al contrario, serve una governance globale che si occupi dei beni comuni globali, perché spesso “sotto il rivestimento della cura per l’ambiente”, si aggiungono nuove ingiustizie per i Paesi più bisognosi di sviluppo e finisce per “piovere sempre sul bagnato”. Non solo: Francesco pone l’accento sulle criticità di un sistema che mira al “salvataggio ad ogni costo delle banche, facendo pagare il prezzo alla popolazione”, e di un “dominio assoluto della finanza che non ha futuro e che potrà solo generare nuove crisi”. No alla corruzione. Ridefinire il progresso per migliorare vita delle persone

Al livello nazionale, invece, la politica e l’economia devono uscire dalla logica di corto respiro, focalizzata sul profitto e sul successo elettorale a breve termine, dando spazio a processi decisionali onesti e trasparenti, lontani dalla corruzione che, in cambio di favori, “nasconde il vero impatto ambientale” dei progetti. Ciò che occorre, in sostanza, è “una nuova economia più attenta ai principi etici”, una “nuova regolamentazione dell’attività finanziaria speculativa”, un ritmo di produzione e di consumo più lento, così da “ridefinire il progresso”, legandolo al “miglioramento della qualità reale della vita delle persone”. Anche i diversi movimenti ecologisti e le religioni, in dialogo con la scienza, devono orientarsi alla cura della natura, alla difesa dei poveri, alla costruzione di una rete di rispetto e di fraternità. E non è un caso se Fran-

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cesco cita il Patriarca ortodosso Bartolomeo, il filosofo protestante Paul Ricœur, il mistico islamico Ali AKhawas. Numerose anche le citazioni del teologo Romano Guardini. 6° capitolo: la sobrietà è liberante. Vale la pena di essere buoni e onesti Educazione e formazione restano dunque, le sfide centrali da affrontare. Di qui, il richiamo a “puntare su un altro stile di vita” perché “non tutto è perduto” e “l’umanità ha ancora la capacità di collaborare per costruire la nostra casa comune”. Bastano piccoli gesti quotidiani, spiega il Papa: fare la raccolta differenziata dei rifiuti, ridurre il consumo di acqua, spegnere le luci inutili, coprirsi un po’ invece di accendere il riscaldamento e soprattutto “spezzare la logica della violenza, dello sfruttamento, dell’egoismo”. “La sobrietà – scrive il


Pontefice – vissuta con libertà e consapevolezza, è liberante” e “la felicità richiede di saper limitare quelle necessità che ci stordiscono”, lasciandoci invece aperti alle “molteplici possibilità che offre la vita”. In questo modo, diventa possibile sentire che “abbiamo una responsabilità verso gli altri e verso il mondo, che vale la pena di essere buoni e one-

sti”. L’Eucaristia unisce cielo e terra. Al di là del sole, c’è la bellezza di Dio Il Papa invita, infine, a guadare ai Sacramenti, esempi di come la natura sia stata assunta da Dio. In particolare, spiega, l’Eucaristia “unisce cielo e terra” e “ci orienta ad essere custodi di tutto il Creato”. Le lotte e le preoccupazioni per questo pianeta “non ci tolgano la gioia e la spe-

ranza” perché nel cuore del mondo c’è sempre l’amore del Signore. E allora “Laudato si’!”, scrive Francesco in una delle due preghiere che concludono l’Enciclica e che fa eco all’invocazione del Poverello di Assisi: “Camminiamo cantando!” perché “al di là del sole, alla fine, ci incontreremo faccia a faccia con la bellezza di Dio”.

1° settembre giornata di preghiera comune cristiana per l’ambiente “

R

aramente ho sentito una così grande attesa per una Enciclica, e raramente ho visto la Chiesa universale unita e coinvolta nell’assumersi una responsabilità comune nei confronti del creato”. È quanto affermato dal direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, in apertura della conferenza stampa di presentazione dell’Enciclica di Papa Francesco “Laudato si’”. Gli interventi principali sono stati affidati al cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, e al Metropolita di Pergamo, Sua Eminenza John Zizìulas,

in rappresentanza del Patriarcato Ecumenico e della Chiesa Ortodossa che ha proposto di istituire per il primo settembre una giornata di preghiera per l’ambiente comune tra tutti i cristiani. Teologia, ricerca scientifica, economia e impegno concreto: sono le prospettive che si intrecciano nell’Enciclica “Laudato si’” e altrettanti sono gli specialisti che ne illustrano il contenuto. Ciò dimostra, dice il cardinale Peter Turkson, che questo documento si pone in dialogo con più soggetti e che il dialogo è anche il metodo di redazione del testo fatto di diversi contributi. Francescana l’origine

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del nome dell’Enciclica, ma anche l’atteggiamento fondante di “contemplazione orante” e ha al centro, spiega il porporato, un interrogativo: che tipo di mondo trasmettere ai bambini che crescono? “Ma soprattutto, che senso dare all’esistenza, quale l’obiettivo?”. Alla base di entrambi, la costatazione del Papa che “oggi la terra si lamenta”: “...e i suoi gemiti si uniscono a quelli di tutti i poveri e di tutti gli 'scartati' del mondo. Papa Francesco invita ad ascoltarli, sollecitando tutti e ciascuno – singoli, famiglie, collettività locali, nazioni e comunità internazionale – a una ‘conversione ecologica’, secondo l’espressione di San Giovanni Paolo II, cioè a ‘cambiare rotta’, assumendo la responsabilità e la bellezza di un impegno per la ‘cura della casa comune’”. Ma il Papa riconosce anche una diffusa sensibilità e preoccupazione nel mondo, continua il porporato, dunque non tutto è perduto. Per questo Francesco, spiega, mette al centro dell’Enciclica il concetto di ecologia integrale, che riguarda cioè il sistema naturale e quello sociale insieme. Il Papa non parla solo di degrado, sottolinea il cardinale Turkson, ma incoraggia le buone

pratiche, riconosce le responsabilità a tutti i livelli delle sofferenze del creato e attende un impegno universale a partire da politiche internazionali adeguate. È un ‘evento storico’ questa Enciclica, un’occasione di gioia e soddisfazione per gli ortodossi, che dal 1989 sollecitano l’urgenza di un dibattito sul creato. Così il Metropolita di Pergamo, John Zizioulas, nel suo intervento, in cui affronta gli aspetti teologici, spirituali ed ecumenici del testo. Le implicazioni ecologiche nella dottrina cristiana del creato sono state spesso ignorate, spiega, invece l’intero creato è intriso di Dio e l’essere umano è sacerdote della creazione e non suo sfruttatore. Si sofferma poi sulla rottura del rapporto corretto tra uomo e terra, definendola un ‘peccato ecologico’ verso Dio e il prossimo di oggi e del futuro: Alla base di questo peccato, afferma, c’è la ricerca della felicità individuale, un’avidità che genera ingiustizia sociale. A questo va contrapposto un 'ascetismo ecologico' che è sensibilità verso tutte le creature, dato che, sottolinea il Metropolita, siamo tutti interdipendenti. L’ultimo accenno nell'intervento, va alla dimensione ecumenica


che il Metropolita riscontra nell’Enciclica. La minaccia della crisi ecologica il rischio esistenziale che si profila, osserva, trascende le divisioni tradizionali e le identità confessionali. Essa è un appello all’unità nella preghiera per l’ambiente, nella conversione dei cuori e degli stili di vita perché si rispetti ogni dono di Dio. A questo noi rispondiamo con un ‘Amen’ dal profondo del cuore. Di impatto climatico ha parlato invece il prof. John Schellnhùber, fondatore e direttore dell’Istituto di Potsdam che si occupa di questo. Nelle sue parole la spiegazione scientifica e dettagliata di come il clima sia cambiato in milioni di anni, delle responsabilità dell’effetto serra in questo e delle prospettive difficili del futuro, dimostrando che occorre lottare per difendere il creato. Sulle sfide che l’Enciclica lancia al mondo dell’economia e del commercio si sofferma invece la professoressa Carolyn Woo, ex decana dell’Università Notre Dame. Questo è un documento ricco di speranza, dice, perché il Papa crede che la rotta si possa invertire e chiede al mondo imprenditoriale di fare parte della soluzione, nobilitandosi. Carolyn Woo sottolinea le implicazioni pratiche dell’Enciclica. Francesco, afferma, ci chiede di guidare il mercato con energie morali e valori umani, di dare priorità all’occupazione non per i mercati ma

perché fonte di dignità per l’uomo, di pensare a lungo termine e di promuovere uno sviluppo che sia sostenibile e inclusivo. Il Papa è un “leader economico lungimirante” perché sollecita a investire nella sostenibilità, ottimo affare anche per le imprese, e i leader imprenditoriali che guardano al futuro, che sono progressisti, riconoscono questi punti: riconoscono quante catastrofi e quanti fallimenti abbiamo causato . “We have to remember that business is not just an economic undertaking...” Dobbiamo ricordarci, conclude, che l’impresa non è solo qualcosa di economico, è un'impresa umana quindi deve essere fatta da persone e per le persone. Questo significa cambiare il modo di agire. Un contributo alla presentazione dell’Enciclica è venuto anche da un’insegnante della periferia romana, Valeria Martano, appartenente alla Comunità di Sant’Egidio. “L’ecologia urbana, messa in pericolo dall’inquinamento, dai pochi servizi, dall’individualismo pervasivo, rappresenta una sfida per noi cristiani”, ha detto, sottolineando come “attorno ai deboli” sia possibile “rinnovare il volto delle periferie, scoprendo energie che rinnovano l’ecologia umana”. C’è, ha concluso, “una ‘salvezza comunitaria’, che parte dall'inclusione dei deboli, preziosa risorsa di ecologia integrale”. 18


Enciclica. Su Twitter Papa invita a costruire il futuro nella Terra L’Enciclica “Laudato si’” è stata protagonista anche su Twitter. Papa Francesco ha, infatti, pubblicato alcuni tweet sul suo account in 9 lingue @Pontifex seguito da oltre 21 milioni di follower. Ecco i testi pubblicati nella mattinata, proprio mentre il documento veniva presentato all’Aula Nuova del Sinodo: “Invito tutti a dedicare un momento di riflessione alle sfide che ci troviamo davanti in merito alla cura della nostra casa comune”; “Rivolgo un invito urgente a rinnovare il dialogo sul modo in cui stiamo costruendo il futuro del pianeta. #Laudato si”; “C’è una relazione intima tra i poveri e la fragilità del pianeta”; “È necessario cercare altri modi di intendere l’economia e il progresso”; “Ogni creatura ha un suo proprio valore. #Laudato si”; “L’odierna cultura dello scarto ci fa invocare un nuovo stile di vita”, “I cambiamenti climatici costituiscono una delle principali sfide attuali per l’umanità”.

Foto di Vinicio Mita


Il capolavoro che dà il titolo alla nuova enciclica del Papa

«Laudato si’...»: così nacque la più bella poesia del mondo da Firenze

FRANCO CARDINI STORICO

È

la più bella composizione poetica di tutto il mondo e di ogni tempo. La sua è una bellezza assoluta, cosmica, totale, che penetra tutto il creato e arriva quasi a lambire l’ineffabilità di Dio. Nemmeno il Salomone del Cantico dei Cantici che pure per tanti versi gli somiglia e al quale senza dubbio Francesco si è ispirato, nemmeno il Dante della Preghiera di san Bernardo a Maria («Vergine Madre, Figlia del Tuo Figlio») sono arrivati tanto in alto e così in profondo. Era il 1224, e Francesco giaceva ammalato su un lettuccio del suo San Damiano, la chiesetta diroccata dove una ventina di anni prima aveva ricevuto dal Cristo crocifisso il messaggio che aveva cambiato la sua vita e dove erano adesso insediate Chiara e le sue sorelle. I grandi interpreti del Povero d’Assisi hanno scritto molto su di lui, sugli ultimi anni della sua giornata terrena, sul suo rapporto con Chiara e le altre, e di quegli stessi pochi, ispirati, altissimi versi. Sappiamo tutto quello che si può sapere.

Ma lasciamo da parte tutta quella scienza. Sforziamoci d’immaginarlo, quel povero piccolo omiciattolo smagrito dopo una notte di dolore e di pena, tra i rumori dei topi sotto il pavimento che non lo hanno lasciato dormire, quando il sole nascente dell’alba ferisce i suoi occhi malati – è il tracoma preso cinque anni prima in Egitto, alla crociata – e glieli fa lacrimare. Sforziamoci di veder il mondo – le povere suppellettili di quella stanzetta, la luce incerta eppur abbagliante – attraverso quegli occhi ormai in grado di distinguere forse appena poco più che delle ombre. E scrive, o meglio detta perché di scrivere non ha la forza. Non sappiamo a chi. Scrive di getto parole che gli salgono direttamente dal cuore: amiamo credere che da allora sin a quando sul punto di lasciare questa terra detterà la quartina finale su sorella Morte dalla quale nullo homo vivente po’ skappare egli non abbia cambiato nulla di quel perfetto canto d’amore. Si sono versati fiumi d’inchiostro e scritte biblioteche intere su quei pochi versi. Nella loro luminosa chiarezza, essi appaiono ineffabili come Colui in onore del Quale sono stati scritti. Nessuno può gloriarsi di averli sul serio decifrati sino in fondo. Lo Spirito soffia dove vuole: e quella 20


mattina ha soffiato su quel povero frate e sui suoi occhi arrossati che hanno finalmente visto il Mistero dell’universo. Quelle parole parlano di Dio, della Sua Gloria, della Sua infinita Maestà (Onnipotente), della Sua carità infinita (Bon Signore), della Sua incommensurabile distanza rispetto agli uomini eppure della forza con la quale egli sa arrivare a loro, e soprattutto a quelli tra loro che sanno perdonare per amor Suo, attraversando tutto il creato, cioè l’universo: Messer lo Frate Sole, immagine nobilissima (significatione) di Dio, e la luna, e le stelle, e quindi i quattro elementi di cui la materia del mondo è costituita – il fuoco, l’aria, l’acqua, la terra con i suoi fiori e i suoi frutti. Quella poesia, che molti hanno giudicato ingenua – e in fondo con ragione – abbraccia il mistero del creato e della natura con una forza e una chiarezza che, dopo i pochi versetti del Genesi, nessun filosofo e nessun poeta era mai riuscito a eguagliare. Il Cantico è un irreprensibile, cristallino trattato teologico. A torto lo si è interpretato come un testo “panteista”. Non c’è proprio nulla, qui, di panteistico: il cosmo e la natura si guardano bene dal fondersi e dal dissolversi in Dio; e Dio dal fondersi e dal dissolversi con loro. Il Cantico delle creature è appunto tale perché è scritto in lode del Creatore, e anche in loro lode, e in lode dell’uomo che tra le creature è la somma, la più amata, quella fatta «a Sua immagine e somiglianza», ma che pur sempre resta creatura, sorella pertanto di tutte le altre. C’era stata, nella filosofia cristiana del secolo XII, una grande tentazione panteistica: era quella neoplatonica, dei Maestri della scuola di Chartres. Ma a quella tentazione Francesco, che dei Maestri presumibilmente non aveva mai letto almeno direttamente neppure una riga – il che non toglie che ne avesse sentito parlare –, neppure un attimo soggiace. Dio resta il Creatore, amorosamente vicino ma infinitamente superiore a qualunque creatura. In cambio, c’era un altro pericolo a minacciare la Chiesa del tempo: e Francesco, che nel secondo decennio del secolo aveva attraversato la Francia meridionale sconvolta dalla "crociata degli albigesi", doveva averlo ben presente. Del resto, nella sua Assisi, aveva probabilmente sentito anche lui predicare quegli strani profeti pallidi e smagriti, che annunziavano il Regno di Dio con le parole dell’evangelista Giovanni a at-

taccavano la Chiesa ricca, avida e superba. Più tardi, qualcuno di loro aveva probabilmente attaccato anche lui dandogli dell’ipocrita e del falso cristiano. Erano gli adepti della “Chiesa” catara, una vera e propria anti-chiesa che si presentava sotto le vesti della portatrice dell’autentico cristianesimo, quello "delle origini", quello povero e puro, ma che in realtà ai loro seguaci spiegavano che la Chiesa li ingannava perché era la Bibbia ad averli ingannati, che il vero Dio, il Signore della Luce, era il puro Principio Spirituale, e che le sostanze spirituali che da lui emanavano rischiavano di continuo di venire imprigionate nella materia creata da un altro Principio oscuro e malvagio, il Signore delle Tenebre. Luce contro Oscurità, Giorno contro Notte, calore del Bene contro freddo raggelante del Male. Ma se le cose stavano così, se questo era il cosmo, allora il creatore di tutte le cose era lui, il Principio malvagio, il crudele Demiurgo. Il Creatore adorato da tutti i figli di Abramo era Satana; il creato, cioè la materia, era il Male assoluto; e quanto all’uomo, spirito eletto imprigionato in una laida gabbia di carne, solo la morte avrebbe potuto liberarlo. Il paradossale era che da alcuni decenni questa agghiacciante filosofia mortifera aveva affascinato la parte forse migliore della cristianità: i gran signori e i bei cavalieri di quella Provenza, nella quale il vivere era tanto dolce e dove i trovatori cantavano d’amore non meno dei prosperi mercanti lombardi e toscani, si erano lasciati avvincere da questa fede della Liberazione attraverso la Negazione della Vita. La Chiesa, la superba e potente Chiesa di papa Innocenzo III, aveva risposto a questo attacco inaudito con una furiosa crociata e con i tribunali dell’Inquisizione. Ma quel che né l’una né gli altri sarebbero mai forse riusciti a fare per sradicare quella malapianta travestita da fiore di virtù (corruptio optimi pessima) seppero farlo i pochi, miracolosi versi della più grande poesia mai scritta al mondo. Tutto, in fondo, sta dunque nella semplicità di quella preposizione semplice che ha tormentato filologi, linguistici e storici: quel per che torna iterante in ogni versetto del Cantico. Che cosa significa? È un complemento di causa, come la spiegazione più ovvia suggerirebbe (che Tu sia lodato, o Signore, per aver creato...)? O un complemento d’agente, simile al par fran21


cese e al por castigliano (che Tu sia lodato, o Creatore, da parte della corte di tutte le creature che adoranti Ti circondano)? O un complemento strumentale, simile al diàgreco (che Tu sia lodato, o Signore, non solo direttamente dall’uomo, bensì anche attraverso ogni cosa da Te creata, e che conferma la Tua potenza e il Tuo amore)? Fermiamoci qua, perché gli studiosi hanno aggiunto molte altre cose. L’esegesi di questi brevi versi non finirà mai, proprio come il mistero della creazione e quello di Dio. Papa Francesco ha voluto dedicare a quella lode infinita a Dio creatore e al creato la sua nuova enciclica Laudato si’, che viene pubblicata oggi, per ricordarci che l’uomo – proprio secondo

la lettera e lo spirito del Genesi – non è il padrone dell’universo (Uno solo è il Padrone) ma che ne è il guardiano, il Custode; e che alla fine dei tempi, come ciascuno di noi dovrà riconsegnare a Dio la sua anima concessagli immacolata e da lui più volte sporcata e strappata, ricucita e ripulita, l’umanità dovrà riconsegnarGli il creato. Che è stato concesso all’uomo per goderlo in tutta la sua bellezza e nella varietà infinita delle sue luci, dei suoi profumi e dei suoi sapori; ma che non gli è stato dato come un osceno balocco da violare e da prostituire, come un’immonda merce da vendere e comprare, e su cui speculare. Il creato che appartiene a tutti gli esseri umani, e soprattutto agli Ultimi della Terra.


Dentro la «Laudato sì’» Nemmeno un passerotto è dimenticato da Dio

P

ubblichiamo in una nostra traduzione un commento all’enciclica «Laudato si'» del rettore Mons. Fernándes della Pontificia Università Cattolica Argentina, pubblicato dal quotidiano «La Nación» e dall' Agencia Informativa Católica Argentina il 20 giugno scorso.

L

’attesa enciclica di Papa Francesco sull’ambiente tocca così tanti interessi più ideologici che economici che alcuni, nel dubbio, l’hanno criticata ancor prima di averla letta. Questo solo fatto dovrebbe motivare una lettura tranquilla di un documento dove non appare solo il pastore, ma anche l’acuto pensatore. Oltre a descrivere la bellezza del Vangelo, dialoga costantemente con la biologia, con la pedagogia, con l’ingegneria, con la psicologia sociale, con la filosofia e con le preoccupazioni del mondo. Abbiamo saputo dallo stesso Papa che una prima bozza, proposta dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, è stata ampliata grazie ai ricchi apporti e alle istanze di oltre duecento esperti e istituzioni di tutto il mondo. L’enciclica è suddivisa in vari capitoli che offrono luci diverse da prospettive diverse. Si passa da un’acuta descrizione della realtà alla politica o alla spiritualità, non come un mero assemblaggio, ma come un’accurata filigrana dove tutto si integra puntando a uno stesso obiettivo: la “cura”, una delle pa-

role preferite da Francesco. In questa polifonia, il Papa prosegue la sua innovativa consuetudine di citare i vescovi di molti Paesi, e si prende persino il gusto di riportare l’insegnamento di un patriarca che non è cattolico romano e di citare un mistico musulmano. È indispensabile una lettura diretta del testo per percepire l’armonia dell’insieme. Vorrei tuttavia sottolineare alcune novità: le valutazioni sull' ambiente sono strettamente legate alle rivendicazioni sociali dei poveri e dei Paesi meno sviluppati, per cui la questione ambientale s’inserisce nel quadro del riconoscimento dell’altro; propone un’ecologia integrale che riunisce in modo interdisciplinare i molteplici aspetti della problematica (economici, culturali, sociali e così via); la riflessione è profondamente umanistica, sia perché riporta il pensiero del fi-

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losofo Romano Guardini sia per la sua scommessa educativa volta a liberarci dall' attuale cultura dello scarto. Così facendo, intende giungere alle radici più profonde della problematica ambientale. Sarebbe molto superficiale affermare che è un' enciclica contro la tecnologia, perché «nessuno vuole tornare all' epoca delle caverne» (n. 114). Più precisamente è una spietata messa in discussione del tremendo potere legato al paradigma tecnologicoeconomico attuale che condiziona la vita delle persone e il funzionamento della società. Proprio per questo esorta a riconsiderare il nostro modo d' intendere il progresso. Il testo è molto equilibrato, al punto che qualsiasi commento corre il rischio di “squilibrare la bilancia”. Da una parte dichiara che non intende definire questioni scientifiche e rispetta la li-


Foto di Vinicio Mita bertà accademica di quanti devono discutere temi come i grani geneticamente modificati o le tecniche di estrazione del petrolio. È però estremamente esigente e critico riguardo alle questioni sociali e umane che fanno da contorno: la mancanza di diversità produttiva, l’inquinamento, gli oligopoli, i diritti delle popolazioni locali e così via. E denuncia che in questi temi l’incompletezza dell' informazione è costante: «A volte non si mette sul tavolo l’informazione completa, ma la si seleziona secondo i propri interessi, siano essi politici, economici o ideologici» (n. 135). Il richiamo ai poveri riappare continuamente, per esempio quando chiede di sostituire il debito con la creazione di posti di lavoro. Inoltre nota con dolore la costante sparizione di specie «che i nostri figli non potranno vedere, perse per sempre» (n. 33). Ma la questione sulla quale appare più profetico è quella del cambiamento climatico, redarguendo duramente la politica internazionale: «Degna di nota è la debolezza della reazione politica internazionaleà Ci sono troppi interessi particolari e molto facilmente l’interesse economico arriva a prevalere sul bene comune» (n. 54). «Quanti subi-

ranno le conseguenze che noi tentiamo di dissimulare, ricorderanno questa mancanza di coscienza e di responsabilità» (n. 169). «Molti di coloro che detengono più risorse e potere economico o politico sembrano concentrarsi soprattutto nel mascherare i problemi o nasconderne i sintomi» (n. 26). Sebbene il bersaglio principale della sua critica sia il potere tecno-economico, invita anche i poteri politici a non rinunciare alla propria responsabilità, soprattutto con questa domanda: «I disegni politici spesso non hanno ampiezza di vedute. Perché si vuole mantenere oggi un potere che sarà ricordato per la sua incapacità di intervenire quando era urgente e necessario farlo?» (n. 57). In altri paragrafi non è solo la politica a essere chiamata in causa, ma la società nel suo insieme. «L’essere umano si dà da fare per alimentare tutti i vizi autodistruttivi: cercando di non vederli, lottando per non riconoscerli, rimandando le decisioni importanti, facendo come se nulla fosse» (n. 59). «La mancanza di reazioni di fronte a questi drammi dei nostri fratelli e sorelle è un segno della perdita di quel senso di responsabilità per i nostri simili su cui si fonda ogni società civile» (n. 25). Francesco mostra come la luce della fede rafforzi l' impegno con l’ambiente. Basta ricordare queste parole di Gesù: «Cinque passeri non si vendono forse per due soldi? Eppure nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio» (Luca, 12, 6). Vanno inoltre evidenziate alcune convinzioni razionali che compenetrano l’insieme delle riflessioni. Per esempio: la sicurezza che “tutto 24

Foto di Vinicio Mita è collegato” e che nessun fenomeno si può capire in modo isolato; la convinzione che ogni essere di questo universo ha un senso, un significato, un' utilità e un messaggio da comunicarci; la certezza che la qualità della vita è molto più che la proposta di un consumismo vorace e superficiale; la persuasione che dipendiamo da una realtà previa a noi, che deve essere prima di tutto ricevuta, più che fabbricata. Perciò non è solo un’enciclica sull' ambiente. È un contributo stimolante a un serio dibattito pubblico sul mondo e sul tipo di vita che desideriamo. Vale la pena lasciar risuonare le seguenti parole scritte per farci pensare: «A che scopo passiamo da questo mondo? Per quale fine siamo venuti in questa vita? Per che scopo lavoriamo e lottiamo? Perché questa terra ha bisogno di noi? Pertanto, non basta più dire che dobbiamo preoccuparci per le future generazioni. Occorre rendersi conto che quello che c' è in gioco è la dignità di noi stessi. Siamo noi i primi interessati a trasmettere un pianeta abitabile per l' umanità che verrà dopo di noi. È un dramma per noi stessi, perché ciò chiama in causa il significato del nostro passaggio su questa terra» (n. 160).


MESSA DEL PAPA: MAI PIÙ LA GUERRA SIATE ARTIGIANI DI PACE iate “artigiani di pace” in un tempo in cui si percepisce un clima di guerra: la parola di Francesco è per una folla immensa, che si perde a vista d’occhio nello stadio Kosevo di Sarajevo, gremito in ogni suo angolo. Sono ben oltre 60 mila i fedeli davanti ai quali il Papa celebra la Messa, tra loro, in un apposito spazio, mutilati e feriti del conflitto degli anni ’90. E alto si leva il suo appello: "Mai più la guerra!". Il messaggio di riconciliazione che il Papa porta a Sarajevo, alla Bosnia ed Erzegovina, ai Balcani tutti, si concretizza di fronte alle decine di migliaia di persone che lo salutano e lo abbracciano nello stadio Kosevo, laddove si aprirono le Olimpiadi invernali del 1984, otto anni prima della tragedia della guerra, e laddove a pochi metri di distanza si snoda una distesa di tombe bianche: è il cimitero che prende il nome dallo stadio, nella Sarajevo sotto assedio i morti venivano sepolti ovunque si potesse. Di fronte alla

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memoria di migliaia di innocenti risuona il richiamo alla pace, “parola profetica per eccellenza!” – dice il Papa nell'omelia – “pace è il sogno di Dio, è il progetto di Dio per l’umanità, per la storia, con tutto il creato”, ma è anche un progetto “che incontra sempre opposizione da parte dell’uomo e da parte del maligno”: "Anche nel nostro tempo l’aspirazione alla pace e l’impegno per costruirla si scontrano col fatto che nel mondo sono in atto numerosi conflitti armati. È una sorta di terza guerra mondiale combattuta a pezzi; e, nel contesto della comunicazione globale, si percepisce un clima di guerra. La guerra colpisce bambini, donne e anziani. Mai più la guerra! Chi cerca “lo scontro tra le diverse culture e civiltà”, chi specula “sulle guerre per vendere armi” vuole deliberatamente creare e fomentare il clima di guerra: "Ma la guerra significa bambini, donne e anziani nei campi profughi; significa disloca-

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Sarajevo Cronaca di un giorno di pace


mente pesante: “Come si costruisce la pace?”. “La pace è opera della giustizia”, che deve però essere “praticata, vissuta” e non “declamata, teorizzata, pianificata”. La giustizia “è amare il prossimo come se stessi”: “Quando, con la grazia di Dio, noi seguiamo questo comandamento, come cambiano le cose! Perché cambiamo noi! Quella persona, quel popolo, che vedevo come nemico, in realtà ha il mio stesso volto, il mio stesso cuore, la mia stessa La pace è un lavoro artigianale da portare avanti anima. Abbiamo lo stesso Padre nei cieli”. ogni giorno “Beati gli operatori di pace” è “un appello attuale – Moralismo illusorio pensare che la pace dipenda dice il Papa – che vale per ogni generazione”. È la da noi. È dono di Dio parola di Gesù nel Vangelo, che non dice “Beati i Tenerezza, bontà, umiltà, mansuetudine, magnapredicatori di pace”, perché “tutti – avverte France- nimità, perdono e reciproca sopportazione: sono sco – sono capaci di proclamarla, anche in maniera gli atteggiamenti “necessari per fare la pace”, così ipocrita o addirittura menzognera”: “Dice: 'Beati gli come indicato da San Paolo, sono gli atteggiamenti operatori di pace', cioè coloro che la fanno. Fare la – indica Francesco – “per essere artigiani di pace pace è un lavoro artigianale: richiede passione, pa- nel quotidiano, là dove viviamo”. “Non illudiamoci zienza, esperienza, tenacia. Beati sono coloro che però che questo dipenda solo da noi! Cadremmo seminano pace con le loro azioni quotidiane, con at- in un moralismo illusorio”: “La pace è dono di Dio, teggiamenti e gesti di servizio, di fraternità, di dia- non in senso magico, ma perché Lui, con il suo Spilogo, di misericordia … Questi sì, ‘saranno chiamati rito, può imprimere questi atteggiamenti nei nostri figli di Dio’, perché Dio semina pace, sempre, do- cuori e nella nostra carne, e fare di noi dei veri vunque; nella pienezza dei tempi ha seminato nel strumenti della sua pace”. mondo il suo Figlio perché avessimo la pace! Fare la Nel congedarsi da un’immensa folla che ancora inpace è un lavoro da portare avanti tutti i giorni, segue il sogno di una pace stabile e duratura, Francesco invoca per tutti la grazia di “un cuore passo dopo passo, senza mai stancarsi”. semplice, della pazienza, di lottare e lavorare per la Non c'è pace senza giustizia giustizia, di essere misericordiosi, di operare per la Francesco pone un interrogativo drammatica- pace, di seminare la pace e non guerra e discordia”. menti forzati; significa case, strade, fabbriche distrutte; significa soprattutto tante vite spezzate. Voi lo sapete bene, per averlo sperimentato proprio qui: quanta sofferenza, quanta distruzione, quanto dolore! Oggi, cari fratelli e sorelle, si leva ancora una volta da questa città il grido del popolo di Dio e di tutti gli uomini e le donne di buona volontà: mai più la guerra!”

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Sono venuto come pellegrino di pace e di dialogo Oggi, ha proseguito, Papa Francesco“anche le gravi ferite del recente passato possono essere rimarginate e si può guardare al futuro con speranza, affrontando con animo libero da paure e rancori i quotidiani problemi che ogni comunità civile è chiamata ad affrontare”: “Sono venuto come pellegrino di pace e di dialogo, 18 anni dopo la storica visita di San Giovanni Paolo II, avvenuta a meno di due anni dalla firma degli Accordi di Pace di Dayton. Sono lieto di vedere i progressi compiuti, per i quali occorre ringraziare il Signore e tante persone di buona volontà. È però importante non accontentarsi di quanto finora realizzato, ma cercare di compiere passi ulteriori per rinsaldare la fiducia e creare occasioni per accrescere la mutua conoscenza e stima”.

Bosnia ed Erzegovina parte integrante dell’Europa “Per favorire questo percorso – ha sottolineato – sono fondamentali la vicinanza e la collaborazione della Comunità internazionale, in particolare dell’Unione Europea, e di tutti i Paesi e le Organizzazioni presenti e operanti sul territorio della Bosnia ed Erzegovina”: “La Bosnia ed Erzegovina Sarajevo ci esorta a valorizzare il dialogo e sanare è infatti parte integrante dell’Europa; i suoi successi le ferite del passato e i suoi drammi si inseriscono a pieno titolo nella Da secoli, ha osservato, “in questi territori sono pre- storia dei successi e dei drammi europei e sono nel senti comunità che professano religioni diverse e medesimo tempo un serio monito a compiere ogni appartengono a diverse etnie e culture”, senza che sforzo perché i processi di pace avviati diventino questo “abbia impedito per lungo tempo l’instau- sempre più solidi e irreversibili”. rarsi di relazioni reciproche amichevoli e cordiali”. Anche la stessa struttura “architettonica di Sarajevo Opporsi alla barbarie di chi non accetta le diffe– ha detto – ne porta visibili e consistenti tracce, renze poiché nel suo tessuto urbanistico sorgono, a breve In questa terra, ha detto ancora, “la pace e la condistanza l’una dall’altra, sinagoghe, chiese e mo- cordia tra Croati, Serbi e Bosgnacchi, le iniziative schee, tanto che la città ricevette l’appellativo di Gerusalemme d’Europa”: “Abbiamo bisogno di comunicare, di scoprire le ricchezze di ognuno, di valorizzare ciò che ci unisce e di guardare alle differenze come possibilità di crescita nel rispetto di tutti. È necessario un dialogo paziente e fiducioso, in modo che le persone, le famiglie e le comunità possano trasmettere i valori della propria cultura e accogliere il bene proveniente dalle esperienze altrui. 27

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SARAJEVO ESEMPIO PER IL MONDO CHE LA PACE È POSSIBILE “Sono a Sarajevo “come pellegrino di pace e dialogo”. È quanto affermato da Papa Francesco nel suo primo discorso in Bosnia ed Erzegovina, tenuto alle autorità del Paese nel Palazzo presidenziale. Il Pontefice, ricordando la storica visita di San Giovanni Paolo II, 18 anni fa, ha sottolineato che la concordia che oggi si vive a Sarajevo, dopo gli anni della guerra, è un esempio per il mondo intero. L’indirizzo di saluto al Papa è stato rivolto dal presidente di turno della Presidenza del Paese, Mladen Ivanić. “È un motivo di gioia per me trovarmi a Sarajevo, una città che dopo aver “sofferto per i sanguinosi conflitti del secolo scorso” è tornato ad essere “luogo di dialogo e pacifica convivenza”. Papa Francesco ha esordito così nel suo intervento alle autorità della Bosnia ed Erzegovina, il primo discorso della sua visita apostolica. Sarajevo, ha soggiunto a braccio, "è passata da una cultura dello scontro, della guerra a una cultura dell’incontro". Quindi, ha subito voluto sottolineare che questo piccolo Paese riveste “uno speciale significato per l’Europa e per il mondo intero”.


fica e giusta, avviando a soluzione, con l’aiuto di ogni componente, i molteplici problemi della vita quotidiana del popolo”. “Perché ciò avvenga è indispensabile l’effettiva uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge e nella sua attuazione, qualunque sia la loro appartenenza etnica, religiosa e geografica: così tutti indistintamente si sentiranno pienamente volte ad accrescerle ulteriormente, le relazioni cor- partecipi della vita pubblica e, godendo dei medediali e fraterne tra musulmani, ebrei e cristiani, ri- simi diritti, potranno attivamente dare il loro spevestono un’importanza che va ben al di là dei suoi cifico contributo al bene comune”. confini”: “Esse testimoniano al mondo intero che la collaborazione tra varie etnie e religioni in vista La Bosnia ed Erzegovina viva la primavera dopo del bene comune è possibile, che un pluralismo di l’inverno della guerra culture e tradizioni può sussistere e dare vita a so- La Santa Sede, ha concluso il Papa, “si felicita per luzioni originali ed efficaci dei problemi, che il cammino fatto in questi anni ed assicura la sua anche le ferite più profonde possono essere sanate sollecitudine nel promuovere la collaborazione, il da un percorso che purifichi la memoria e dia spe- dialogo e la solidarietà, sapendo che la pace e il reranza per l’avvenire. Io ho visto oggi questa spe- ciproco ascolto in una convivenza civile e ordinata ranza, in quei bambini che ho salutato sono le condizioni indispensabili per un autentico all’aeroporto – islamici, ortodossi, ebrei, cattolici e e duraturo sviluppo”. altre minoranze – tutti insieme, gioiosi! Quella è la “Essa auspica vivamente che la Bosnia ed Erzegosperanza! Facciamo la scommessa su questo”. vina, con l’apporto di tutti, dopo che le nuvole nere Francesco ha così ribadito che “abbiamo tutti bi- della tempesta si sono finalmente allontanate, sogno, per opporci con successo alla barbarie di chi possa procedere sulla via intrapresa, in modo che, vorrebbe fare di ogni differenza l’occasione e il dopo il gelido inverno, fiorisca la primavera. E si pretesto di violenze sempre più efferate, di ricono- vede fiorire qui la primavera”. scere i valori fondamentali della comune umanità, Uscendo dal palazzo presidenziale, Francesco ha valori in nome dei quali si può e si deve collabo- liberato delle colombe simbolo di pace davanti ad rare, costruire e dialogare, perdonare e crescere, una folla festante. permettendo all’insieme delle diverse voci di for- Erano 65 i giornalisti di varie testate internazionali mare un nobile e armonico canto, piuttosto che che sabato 6 giugno erano saliti a bordo dell’aereo papale per seguire e raccontare le varie fasi dell’oturla fanatiche di odio. tavo viaggio apostolico del Papa. Durante il volo, Garantire diritti della persona, a partire dalla li- Francesco ha rivolto qualche parola ai rappresentanti dei media. Questo, un passaggio del suo un bertà religiosa I responsabili politici, ha proseguito, “sono chia- breve saluto: “Sarajevo è chiamata la Gerusamati al nobile compito di essere i primi servitori lemme dell’Occidente, è una città di culture relidelle loro comunità con un’azione che salvaguardi giose ed etniche tanto diverse; è anche una città in primo luogo i diritti fondamentali della persona che ha sofferto tanto nella storia e adesso è in un umana, tra i quali spicca quello alla libertà reli- bel cammino di pace. È per parlare di questo che io faccio il viaggio: come segno di pace e come pregiosa”. In tal modo, ha ripreso, “sarà possibile costruire, ghiera di pace. Vi ringrazio della vostra compacon concretezza d’impegno, una società più paci- gnia”. 28


Siate uniti, onesti e costruttori di pace

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oi fiori di primavera del dopoguerra lavorate tutti insieme per la pace, che questo sia un Paese di pace”. E’ l’augurio spontaneo che anche in lingua croata, il Papa lascia ai giovani, nel suo ultimo incontro del pomeriggio a Sarajevo. E’ un colloquio fatto di testimonianze, canti e danze siglato dal volo di una colomba nella cornice del Centro giovanile “Giovanni Paolo II”, luogo significativo, in cui dalla fine della guerra i ragazzi sono impegnati in progetti di convivenza e dialogo interetnico e interreligioso. “Il compito che vi lascio è fare la pace”: questa l’ultima consegna del Papa ai giovani di Bosnia ed Erzegovina al termine di un incontro festoso, un vero a tu per tu con loro, fatto di musica, cori e testimonianze. “I giovani si sono preparati in modo speciale a questo incontro e vogliono dare il loro contributo al processo di pace ancora in corso”, spiega mons Semren, responsabile della pastorale giovanile. Poi sono due ragazzi a rompere il ghiaccio e a prendere la parola. Il primo croato cattolico, testimonia di una vita convertita alla crescita nella fede e allacostruzioneattivadellapace;elaseconda,serbaortodossa, racconta a Francesco come lavora a servizio del dialogo interreligioso, ricchezza, dice, delle persone di Bosnia ed Erzegovina. Le loro sono testimonianze forti, e così il Papa,

dopo l’esibizione a sorpresa del coro dei bambini di Srebrenica, prende la parola e a braccio risponde alle domande di alcuni ragazzi. Il rapporto con la televisione, gli chiedono, occasione per il Papa per parlare della qualità dei programmi televisivi: “usarli” raccomanda, “come il computer, solo per le cose che ci fanno crescere”:“Fare programmi che fanno bene, che fanno bene ai valori, che costruiscano la società, che ci portino avanti, non che ci portino giù. E poi fare programmi che ci aiutino affinché i valori, i veri valori, divengano più forti e ci preparino per la vita. Questa è responsabilità dei centri televisivi” Alla domanda se i giovani sono riusciti a comunicargli o meno la loro gioia in questa e in altre occasioni, Francesco ribadisce cosa pensa veramente dei ragazzi di questa terra: “Voi avete una singolarità: voi siete la prima – credo – generazione dopo la guerra. Voi siete fiori di una primavera, come ha detto mons. Semren: fiori di una primavera che vogliono andare avanti e non tornare alla distruzione, alle cose che ci fanno nemici gli uni gli altri. Io trovo in voi questa voglia e questo entusiasmo. E questo è nuovo per me” “Da voi mi aspetto onestà tra quello che pensate sentite e fate”:

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Ai giovani


“Onestà e non ipocrisia; unione; fare ponti, ma lasciare che si possa andare da una parte all’altra. Questa è fratellanza”. Onestà dunque e unità, queste le ultime parole che il Papa ripete ai giovani al termine della loro festa e, dopo lo scambio dei doni, inaugura una targa dedicata a Giovanni Paolo II, il Santo cui Francesco affida i giovani: “Che questo sia un Paese di pace! 'Mir Vama': questo ricordatelo bene!”. Cattedrale Sarajevo: per vincere la guerra, non vendetta ma perdono “Riprendere la memoria per fare pace”. Così, Papa Francesco incontrando nella cattedrale del Sacro Cuore di Sarajevo sacerdoti, religiosi e religiose, seminaristi, candidati e candidate agli ordini religiosi. A salutare il Pontefice all’arrivo nella cattedrale, gravemente danneggiata durante la guerra degli anni ’90, l’arcivescovo di Sarajevo, il cardinale Vinko Puljić. Il porporato ha ricordato che molti dei religiosi di Bosnia ed Erzegovina sono segnati dalla guerra, dal regime comunista e “oggi - ha spiegato - dall’aggressivo relativismo”. Non vendetta ma pace “Non avete diritto di dimenticare la vostra storia. Non per vendicarvi, ma per fare pace”. un Papa Francesco sinceramente commosso quello che, a braccio, parla nella cattedrale del Sacro Cuore, simbolo dell’assedio di Sarajevo. Dopo essersi raccolto in preghiera davanti alla tomba del Servo di Dio mons. Giuseppe Stadler, primo arcivescovo della città, ascolta attentamente le parole di don Zvonimir, fra' Jozo e suor Ljubica, testimoni dello strazio delle guerre balcaniche degli anni ’90, superato solo attraverso una fede profonda che li ha portati a perdonare i loro aguzzini. Non dimenticare la memoria dei martiri dellafede“ Francesco abbraccia quelli che definisce “tre martiri”, si inchina, la sua commozione si unisce a quella di don Zvonimir che, per le percosse e i maltrattamenti subiti nel ‘92, oggi è affetto da sclerosi multipla. Il Papa gli chiede anche una benedizione. Fra’ Jozo racconta di quando, nello stesso anno, fu deportato dai poliziotti serbi in un campo di concentramento, dove rimase quattro mesi e fu salvato - dice - dall’aiuto mandato da Dio “anche sotto forma di cibo tramite una donna musulmana”. Nel ’93 miliziani stranieri tentarono invano di far convertire suor Ljubica. Sono soltanto tre testimonianze, nota il Papa, che esprimono però la sofferenza di “tanti” altri e parlano “da sole”:“Questa è la memoria del vostro popolo! Un popolo che dimentica

la sua memoria non ha futuro. Questa è la memoria dei vostri padri e madri nella fede”. L’invito del Pontefice ai presenti in cattedrale è quindi a “riprendere la memoria per fare pace” e ad amare come don Zvonimir, fra’ Jozo e suor Ljubica hanno fatto: “Nel vostro sangue, nella vostra vocazione, c’è la vocazione, c’è il sangue di questi tre martiri. E c’è il sangue e c’è la vocazione di tante religiose, tanti preti, tanti seminaristi”. Predicare il perdono Sono loro, osserva Francesco, che – sull’esempio dell'apostolo Paolo - hanno trasmesso “come si vive la fede” e hanno dato testimonianza del perdono, perché “un uomo, una donna che si consacra al servizio del Signore e non sa perdonare - ricorda il Papa - non serve”:“Perdonare chi ti picchia, chi ti tortura, chi ti calpesta, chi ti minaccia con il fucile per ucciderti, questo è difficile. E loro lo hanno fatto e loro predicano di farlo”. Una Chiesa mondana non serve A chi dimentica “le sofferenze dei nostri antenati”, che hanno contato i giorni di prigionia minuto per minuto, perché “ogni minuto, ogni ora è una tortura”, sottolinea il Papa citando fra’ Jozo, Francesco ricorda di condurre “una vita degna della Croce di Gesù Cristo”:“Suore, sacerdoti, vescovi, seminaristi mondani, sono una caricatura, non servono. Non hanno la memoria dei martiri. Hanno perso la memoria di Gesù Cristo crocifisso, l’unica gloria nostra”. Citando chi nella sofferenza aiutò i tre religiosi, il Papa evidenzia come “tutti siamo fratelli”, anche “oltre le differenze religiose”: “Cercate il bene di tutti. Tutti hanno la possibilità, il seme del bene. Tutti siamo figli di Dio. Anche oggi viviamo una guerra mondiale fatta di crudeltà Quindi l’invito a pregare per le famiglie, frutto “di un amore matrimoniale”, affinché “fioriscano” con tanti figli e “ci siano tante vocazioni”. Infine la riflessione sulle storie “di crudeltà” ascoltate, perché anche oggi, mette in luce il Pontefice come già fatto altre volte, “in questa guerra mondiale” vediamo tante crudeltà: “Fate sempre il contrario della crudeltà: abbiate atteg30


La testimonianza di padre Lombardi: A Sarajevo, Francesco promotore della cultura dell’incontro Tutti e cinque i momenti a Sarajevo sono stati estremamene importanti, anche se è chiaro che dal punto di vista emotivo l’incontro in cattedrale con il clero e l’incontro con i giovani alla sera sono quelli che hanno colpito e coinvolto di più. Infatti, come poteva essere in un certo senso previsto, il Papa ha lasciato da parte il discorso preparato per muoversi invece in modo completamente spontaneo, a braccio, con una espressione molto intensa e vissuta in quel momento. Però questo non deve far dimenticare l’importanza straordinaria anche degli altri momenti. Per cui, per me, è difficile dire che uno sia più importante dell’altro. Per noi, evidentemente la celebrazione dell’Eucaristia, con tutta la comunità cattolica di Sarajevo è certamente il momento cruciale di una giornata di questo genere. Però prendiamo anche l’incontro interreligioso: l’incontro interreligioso è stato di altissimo livello e anche gli interventi degli altri leader religiosi, che sono stati presenti e che hanno parlato, erano eminenti nella loro qualità. Chi era presente capiva che il lavoro del Consiglio interreligioso, che era rappresentato da questi leader, insieme al Papa, è un lavoro estremamente importante, di lunga scadenza, di lunga prospettiva e che va in profondità per stabilire veramente un contatto nel profondo del cuore sulla posizione e sulla base della fede, della credenza religiosa, e non degli interessi o dei momenti della politica o dell’economia, ma sua una base religiosa profonda fra i credenti delle diverse confessioni presenti nel Paese. Quindi vorrei dire che tutto è stato estremamente importante e tutto è stato estremamente unitario, perché è chiaro che il Papa era pellegrino di pace e di dialogo – come ha detto egli stesso – e ha declinato questo pellegrinaggio in diverse forme e con diversi interlocutori, ma con un messaggio estremamente unitario, dai responsabili politici ai responsabili religiosi, alla comunità cattolica, ai giovani. Proprio riguardo a questa sua ultima riflessione, la Sarajevo visitata 18 anni fa da Giovanni Paolo II aveva ancora le ferite sanguinanti della guerra: Francesco, ieri, in qualche modo, ha proposto la nuova Sarajevo come modello di concordia per il mondo. Ecco, questo del dialogo si conferma un tema chiave del Pontificato a Roma come nei viaggi internazionali … Sì. Effettivamente il Papa è una persona che promuove con la sua presenza, oltre che con le sue parole, la cultura dell’incontro. Anche ieri, al di là delle formule e dei contenuti dei discorsi, colpiva come fosse la sua persona, la sua personalità di leader religioso e umano credibile, rispettato da tutti… un po’ da tutti i popoli oggi nel mondo, che con la sua presenza incoraggiava a fare dei passi avanti, in situazioni che continuano ad avere le loro difficoltà; incoraggiava i giovani a camminare verso l’avvenire. Quindi il discorso era veramente articolato in termini di speranza, che è una delle altre grandi parole che il Papa ha utilizzato, dicendo sia ai religiosi che devono fare una pastorale della speranza, sia ai giovani che devono essere la speranza del Paese che guarda verso il futuro, il Paese del dopoguerra; una generazione che mette la guerra alle sue spalle per costruire insieme un futuro di armonia. Effettivamente dava un senso di grande gioia poter vivere nella città, che ha giù sensibilmente rinnovato il suo volto dopo le distruzioni della guerra, ma poterla vivere come una città che deve trovare la sua vocazione come simbolo di ricostruzione nella comunione, nella diversità, nella convivenza pacifica e armonica delle diverse componenti. Questo mentre nella nostra memoria è in gran parte ancora un simbolo di divisione e di guerra. che aiuta a costruire una società fondata sulla tolleranza e il mutuo rispetto”. È quanto ha affermato Papa Francesco incontrando nel pomeriggio di ieri, nella sede del Centro internazionale studentesco francescano di Sarajevo, i rappresentanti delle confessioni religiose presenti in Bosnia ed Erzegovina. L’incontro è stato scandito dalla preghiera per la pace nel Paese e in tutto il mondo. “Noi, discendenti di Abramo secondo la fede in Te, unico Dio, ebrei, cristiani e musulmani, umilmente siamo davanti a Te e con fiducia Ti preghiamo per questo Paese, la Bosnia ed Erzegovina, affinché possano abitarvi in pace e armonia uomini e donne credenti di diverse religioni, nazioni e culture. Ti preghiamo, o Padre, perché ciò avvenga In tutti i Paesi del mondo!

giamenti di tenerezza, di fratellanza, di perdono. E portate la Croce di Gesù Cristo. La Chiesa, la santa Madre Chiesa, vi vuole così: piccoli, piccoli martiri, davanti a questi piccoli martiri, piccoli testimoni della Croce di Gesù”. Il discorso consegnato Nel discorso consegnato al cardinale Puljić il Papa aveva esortato la Chiesa di Bosnia ed Erzegovina a non cadere “nella tentazione di diventare una specie di élite chiusa in sé stessa” ma ad “uscire”, incontrando “la gente là dove vive”, per conoscere Gesù Cristo. Ai leader religiosi: il dialogo è “fattore di unità” “Il dialogo è una scuola di umanità e un fattore di unità,

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Il dialogo è una scuola di umanità La preghiera per la pace è stata il fulcro dell’incontro ecumenico ed interreligioso. Questo incontro – ha detto il Papa – è “segno di un comune desiderio di fraternità e di pace” e “testimonianza di un’amicizia” costruita negli anni. E’ un messaggio di “quel dialogo che tutti cerchiamo e per il quale lavoriamo”. Nel dialogo interreligioso - ha spiegato il Pontefice - “si condivide la quotidianità dell’esistenza”, si assumono “responsabilità comuni”, si progetta “un futuro migliore” imparando “a vivere insieme, a conoscersi e ad accettarsi nelle rispettive diversità”. “Il dialogo - ha aggiunto il Santo Padre - è una scuola di umanità”: “Per questo motivo, il dialogo interreligioso non può limitarsi solo a pochi, ai soli responsabili delle comunità religiose, ma dovrebbe estendersi quanto più è possibile a tutti i credenti, coinvolgendo le diverse sfere della società civile. Sarajevo sia segno di unità E in tal senso un’attenzione particolare - ha osservato Papa Francesco - meritano “i giovani, chiamati a costruire il futuro di questo Paese”. Il dialogo, per essere autentico ed efficace, "presuppone una identità formata". Esortando a continuare a percorrere il “cammino del perdono e della riconciliazione" e a fare giusta memoria del passato per imparare le lezioni della storia senza rimpianti e recriminazioni, il Santo Padre ha poi affermato che Sarajevo, definita la "Gerusalemme d'Europa", nel recente passato è diventata “un simbolo della guerra” ed oggi “può diventare nuovamente segno di unità”: “Questa terra può diventare un messaggio: attestare che è possibile vivere uno accanto all’altro, nella diversità ma nella comune umanità, costruendo insieme un futuro di pace e di fratellanza”. Durante l'incontro Papa Francesco ha ricordato, infine, la preziosa opera del Consiglio per il dialogo interreligioso, istituito nel 1997, che riunisce musulmani, cristiani ed ebrei. Il Papa in aereo La questione di Medjugorje, la promozione della pace e il consumismo che danneggia i giovani sono stati tra i temi principali della breve conferenza stampa tenuta da Papa Francesco in aereo di ritorno a Roma. Poche domande ma su temi importanti. Nonostante la

brevità del volo, Papa Francesco non si è sottratto alla tradizionale conferenza stampa in aereo. Rispondendo ad una domanda su Medjugorje, ha innanzitutto rammentato che sulla questione c’è stato un approfondito lavoro di una commissione voluta da Benedetto XVI e presieduta dal cardinale Camillo Ruini. Quindi, ha affermato che attualmente su questo rapporto sta lavorando la Congregazione per la Dottrina della Fede, in vista di decisioni al riguardo. Il Papa ha poi risposto sui suoi viaggi nelle “periferie” d’Europa come Albania e Bosnia ed Erzegovina: “È un segnale! Io vorrei incominciare a fare le visite in Europa, partendo dai più piccoli Paesi e i Balcani sono Paesi martoriati: hanno sofferto tanto! Hanno sofferto tanto … E per questo la mia preferenza è qua”. No all'ipocrisia di chi vende armi e poi parla di pace Ancora, rispondendo ad un’altra domanda, ha nuovamente denunciato con forza chi parla di pace ma poi fomenta il clima di guerra: “C’è l’ipocrisia, sempre! Per questo ho detto che non è sufficiente parlare di pace: si deve fare la pace! E chi parla soltanto di pace e non fa la pace è in contraddizione; e chi parla di pace e favorisce la guerra – per esempio con la vendita delle armi – è un ipocrita!”. Il consumismo è un cancro della società Francesco è infine ritornato sul tema della “dipendenza” da computer e da cellulari affrontato nell’incontro con i giovani:“È curioso, in tante famiglie i papà e le mamme mi dicono: siamo a tavola con i figli e loro con il telefonino sono in un altro mondo. E’ vero che il linguaggio virtuale è una realtà che non possiamo negare: dobbiamo portarla sulla buona strada, perché è un progresso dell'umanità. Ma quando questo ci porta via dalla vita comune, dalla vita familiare, dalla vita sociale, ma anche dallo sport, dall'arte e rimaniamo attaccati al computer, questa è una malattia psicologica”. Quindi, ha denunciato alcuni mali del consumismo come la pornografia e i programmi televisivi “relativisti, edonisti, consumistici”: “Noi sappiamo che il consumismo è un cancro della società, il relativismo è un cancro della società: di questo io parlerò nella prossima Enciclica, che uscirà entro questo mese. Ho detto la parola ‘sporcizia’ per dire una cosa generale, ma tutti sappiamo questo. Ci sono genitori molto preoccupati che non permettono che ci siano i computer nelle stanze dei bambini: i computer devono essere in un posto comune della casa. Questi sono piccoli aiuti che i genitori trovano per evitare proprio questo”. 32


Papa Francesco e mondo del lavoro Torino chiama Melfi Un messaggio impegnativo

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a mia visita a Torino inizia con voi. E anzitutto esprimo la mia vicinanza ai giovani disoccupati, alle persone in cassa-integrazione o precarie; ma anche agli imprenditori, agli artigiani e a tutti i lavoratori dei vari settori, soprattutto a quelli che fanno più fatica ad andare avanti. Il lavoro non è necessario solo per l’economia, ma per la persona umana, per la sua dignità, per la sua cittadinanza e anche per l’inclusione sociale. Torino è storicamente un polo di attrazione lavorativa, ma oggi risente fortemente della crisi: il lavoro manca, sono aumentate le disuguaglianze economiche e sociali, tante persone si sono impoverite e hanno problemi con la casa, la salute, l’istruzione e altri beni primari. L’immigrazione aumenta la competizione, ma i migranti non vanno colpevolizzati, perché essi sono vittime dell’iniquità, di questa economia che scarta e delle guerre. Fa piangere vedere lo spettacolo di questi giorni, in cui esseri umani vengono trattati come merce! In questa situazione siamo chiamati a ribadire il “no” a un’economia dello scarto, che chiede di rassegnarsi all’esclusione di coloro che vivono in povertà assoluta – a Torino circa un decimo della popolazione. Si escludono i bambini (natalità zero!), si escludono gli anziani, e adesso si escludono i giovani (più del 40% di giovani disoccupati)! Quello che non produce si esclude a modo di “usa e getta”. Siamo chiamati a ribadire il “no” all’idolatria del denaro, che spinge ad entrare a tutti i costi nel numero dei pochi che, malgrado la crisi, si arricchiscono, senza curarsi dei tanti che si impoveriscono, a volte fino alla fame. Siamo chiamati a dire “no” alla corruzione, tanto diffusa

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che sembra essere un atteggiamento, un comportamento normale. Ma non a parole, con i fatti. “No” alle collusioni mafiose, alle truffe, alle tangenti, e cose del genere. E solo così, unendo le forze, possiamo dire “no” all’iniquità che genera violenza. Don Bosco ci insegna che il metodo migliore è quello preventivo: anche il conflitto sociale va prevenuto, e questo si fa con la giustizia. In questa situazione, che non è solo torinese, italiana, è globale e complessa, non si può solo aspettare la “ripresa” – “aspettiamo la ripresa…” -. Il lavoro è fondamentale – lo dichiara fin dall’inizio la Costituzione Italiana – ed è necessario che l’intera società, in tutte le sue componenti, collabori perché esso ci sia per tutti e sia un lavoro degno dell’uomo e della donna. Questo richiede un modello economico che non sia organizzato in funzione del capitale e della produzione ma piuttosto in funzione del bene comune. E, a proposito delle donne - ne ha parlato lei [la lavoratrice che è intervenuta] -, i loro diritti vanno tutelati con forza, perché le donne, che pure portano il maggior peso nella cura della casa, dei figli e degli anziani, sono ancora discriminate, anche nel lavoro. È una sfida molto impegnativa, da affrontare con solidarietà e sguardo ampio; e Torino è chiamata ad essere ancora una volta protagonista di una nuova stagione di sviluppo economico e sociale, con la sua tradizione manifatturiera e artigianale - pensiamo, nel racconto biblico, che Dio ha fatto proprio l’artigiano… Voi siete chiamati a questo: manifatturiera ed artigianale - e nello


MI SONO SENTITO DAVVERO A CASA Essendo appena tornato da Torino, vorrei rivolgere un sentito ringraziamento alla gente torinese e piemontese per la loro calorosa accoglienza. Ringrazio particolarmente Sua Eccellenza Mons. Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino, i sacerdoti, le persone consacrate, tutti i vescovi piemontesi per la loro sentita partecipazione. Un particolare pensiero va ai malati del Cottolengo, che con l’offerta delle loro sofferenze sostengono la vita della Chiesa. Ringrazio di cuore i numerosi giovani per la loro audacia, la loro testimonianza e la loro voglia di vivere i valori del Vangelo. Vorrei ringraziare ugualmente le autorità civili, le forze dell’ordine, i volontari, le associazioni, i movimenti, le amministrazioni regionali, provinciali e comunali, il mondo del lavoro e tutte le persone che hanno contribuito alla realizzazione di questa mia visita in occasione dell’ostensione della Sindone e del bicentenario della nascita di San Giovanni Bosco. Cari torinesi, mi sono sentito davvero a casa, abbracciato dal vostro affetto e dalla vostra ospitalità. Che il Signore benedica tutti voi e la vostra bella città. Papa Francesco, udienza generale 24 giugno 2014 stesso tempo con la ricerca e l’innovazione. Per questo bisogna investire con coraggio nella formazione, cercando di invertire la tendenza che ha visto calare negli ultimi tempi il livello medio di istruzione, e molti ragazzi abbandonare la scuola. Lei [sempre la lavoratrice] andava la sera a scuola, per poter andare avanti… Oggi vorrei unire la mia voce a quella di tanti lavoratori e imprenditori nel chiedere che possa attuarsi anche un “patto sociale e generazionale”, come ha indicato l’esperienza dell’“Agorà”, che state portando avanti nel territorio della diocesi. Mettere a disposizione dati e risorse, nella prospettiva del “fare insieme”, è condizione preliminare per superare l’attuale difficile situazione e per costruire un’identità nuova e adeguata ai tempi e alle esigenze del territorio. È giunto il tempo di riattivare una solidarietà tra le generazioni, di recuperare la fidu-

cia tra giovani e adulti. Questo implica anche aprire concrete possibilità di credito per nuove iniziative, attivare un costante orientamento e accompagnamento al lavoro, sostenere l’apprendistato e il raccordo tra le imprese, la scuola professionale e l’Università. Mi è piaciuto tanto che voi tre abbiate parlato della famiglia, dei figli e dei nonni. Non dimenticare questa ricchezza! I figli sono la promessa da portare avanti: questo lavoro che voi avete segnalato, che avete ricevuto dai vostri antenati. E gli anziani sono la ricchezza della memoria. Una crisi non può essere superata, noi non possiamo uscire dalla crisi senza i giovani, i ragazzi, i figli e i nonni. Forza per il futuro, e memoria del passato che ci indica dove si deve andare. Non trascurare questo, per favore. I figli e i nonni sono la ricchezza e la promessa di un popolo. A Torino e nel suo territorio esistono ancora notevoli potenzialità da investire per la creazione di lavoro: l’assistenza è necessaria, ma non basta: ci vuole promozione, che rigeneri fiducia nel futuro. Ecco alcune cose principali che volevo dirvi. Aggiungo una parola che non vorrei che fosse retorica, per favore: coraggio!. Non significa: pazienza, rassegnatevi. No, no, non significa questo. Ma al contrario, significa: osate, siate coraggiosi, andate avanti, siate creativi, siate “artigiani” tutti i giorni, artigiani del futuro! Con la forza di quella speranza che ci dà il Signore e non delude mai. Ma che ha anche bisogno del nostro lavoro. Per questo prego e vi accompagno con tutto il cuore. Il Signore vi benedica tutti e la Madonna vi protegga. E, per favore, vi chiedo di pregate per me! Grazie! Domenica 21 giugno 2015 34


Perché lui giustamente – anche lì, tra l’altro, è andato a braccio, perché i discorsi scritti quando si trova di fronte a certe situazioni, il Papa parla col cuore – ha detto che come don Bosco è stato antesignano, anche per i giovani, perché li ha veramente educati e formati non solo a giocare, non solo a stare insieme, ma ha dato loro anche un’educazione sul lavoro, dicendo cosa dovessero fare per conquistarsi anche questo tipo di impegno nella società, rendendoli quindi protagonisti; così oggi è la stagione, una stagione di crisi, in cui i salesiani in particolare, ma tutta la Chiesa, devono sentirsi in prima linea per recuperare questo discorso forte con i giovani, che non punta solo a dare delle promesse, ma delle concrete realizzazioni di qualcosa che loro stessi – insieme ovviamente agli adulti – possano fare. Quindi traguardi possibili: la concretezza.

Mons. Nosiglia: Francesco a Torino, un’epopea di popolo Papa Francesco ha concluso la sua visita a Torino. Due giorni molto intensi, pieni di incontri e parole forti. Per un bilancio di questo viaggio Amedeo Lomonaco ha intervistato l’arcivescovo della città, mons. Cesare Nosiglia. Più volte il Papa ha parlato del popolo, del Popolo di Dio, ma anche del popolo intendendo la gente, la gente di tutti i giorni. Questa visita è stata veramente un’epopea di popolo! C’è stato un continuo avere attorno gente: da Caselle fino a tutto Torino, 18-20 chilometri: una cosa che io non mi sarei mai immaginato. Mi ha anche commosso! E poi l’entusiasmo di questi bambini, giovani, adulti, famiglie; ma anche musulmani, perché siamo passati in un quartiere dove ci sono anche tanti extracomunitari. Tutti a salutare Papa Francesco, a gridargli: “Ti vogliamo bene!”; “Continua così”; “Ti stiamo vicino”; “Preghiamo per te”; “Dacci la tua benedizione”… Insomma tante espressioni forti di significato, di affetto. Veramente i torinesi si sono proprio rivelati … per me che sono 4-5 anni che sono qui: come piemontesi siamo un po’ riservati. Stavolta invece ho detto: “Ma qui mi sembra di essere quasi nel Meridione d’Italia!”. Secondo me c’è quell’affetto profondo nel vedere Papa Francesco come un segno di Dio, un segno di speranza in questo momento così difficile, anche faticoso per la nostra terra. E’ una persona che ti sa veramente incoraggiare. Come ha detto agli operai: “Coraggio! Non aspettiamo che la crisi passi … Diamoci da fare, mettiamoci insieme, facciamo un patto intergenerazionale. Non lasciamo i giovani fuori!”… Sono tante indicazioni, anche forti. E poi sul lavoro della donna, per esempio, che non deve essere discriminata. Quindi tutti questi aspetti, ma poi soprattutto con i giovani. Direi che il tripudio più grande è stato proprio il momento dei giovani, quando ha parlato a braccio, in una maniera veramente amicale. Li ha colpiti al cuore, con tante espressioni come sa fare lui, ma anche con qualcosa di molto concreto e di molto impegnativo. Certe espressioni che ha avuto; certi inviti che sono veramente controcorrente - come ha detto – di una cultura moderna che i giovani seguono perché affascinati da questo senso di libertarismo, di individualismo, di ricerca solo del piacere, dell’esteriorità.. Li ha veramente invitati a volare alto! E penso che questo sia il messaggio più forte che ha colpito i giovani, perché sono abituati a messaggi molto mediocri: o di paternalismo “Dai, avete ragione… Fate, divertitevi!”; oppure di abbandono, di disimpegno, senza lavoro, senza futuro… Il Papa li ha veramente interpretati. Le loro domande sono state domande concrete e lui è sceso nella concretezza della loro vita. C’è stata da parte dei giovani una risposta veramente entusiastica ed eccezionale.

L’immagine che resta tra le tante di questa visita apostolica è soprattutto quella degli incontri del Papa con gli ultimi, con i poveri, con gli immigrati … Quello è stato veramente uno dei momenti più toccanti. Al Cottolengo ha voluto salutare uno ad uno tutti i malati, con abbracci, benedizioni, con un parlare ed un ascoltare anche le loro pene, le loro difficoltà… Tanti bambini, anche tanti ragazzi, giovani e adulti, i malati di Sla… Sono situazioni molto, molto difficili. E poi il pranzo che abbiamo fatto con i ragazzi del Ferrante Aporti, che sono detenuti, con i senza dimora, con gli immigrati, con i rom: è stato un dialogo veramente bello, in cui si sono aperti, come fossero davanti ad una persona cara, con la quale ti confidi, con la quale sai che ti puoi confidare, dirgli tutto, ottenendo anche qualcosa, ma non qualcosa di materiale, qualcosa che ti dia fiducia, ti dia speranza nella tua difficoltà. Il dialogo più toccante è stato senza parole, quello del Santo Padre che ha pregato davanti alla Sindone … Questo ha colpito molto! Siamo abituati – anche lì – a trasformare la preghiera in parole, parole, parole… Invece la preghiera più importante è il silenzio, la contemplazione, perché ti metti davanti al Mistero di Dio. Però non è un silenzio vuoto, è un silenzio carico, carico di valori positivi, che ti fanno recuperare le tue energie interiori. Questo silenzio e questa preghiera davanti alla Sindone, che abbiamo fatto insieme; e poi quel gesto bellissimo, quando è andato con una mano a toccare il Telo… Mi sono ricordato di quello che aveva scritto nel messaggio di due anni fa per l’Ostensione televisiva della Sindone, in cui diceva che “il Volto sindonico ci guarda”. Ci guarda perché è “la tenerezza di Dio”. Eppure – dice – “sono quelle piaghe che hanno portato questa tenerezza di Dio”. Forse va capito e va compreso il mistero di questo amore più grande. Vedere lui che, con tenerezza, tocca questo Telo, è veramente l’incontro tra la tenerezza di Dio e la tenerezza dell’uomo, che devono incontrarsi per trovare veramente qualcosa di pacificazione interiore, di forza, di speranza, di fiducia. Ti dà carica per il tuo presente, in qualche modo accarezza le tue piaghe, te le fa guarire con la forza della fede e della speranza cristiana.

Messaggi molto pratici, molto concreti. Come ha detto incontrando anche i Salesiani: “Serve un’educazione a misura di crisi”. Quindi serve una educazione per affrontare l’emergenza, imparare un mestiere pratico, anche in poco tempo …

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GRANDE SCISMA

Papa Francesco incontra Vladimir Putin

Anche la visita di un presidente al Papa, come quella di Putin, può servire la causa ecumenica. Leggere la storia di ieri e preparare quella di domani non solo è compito dei grandi della terra ma anche del popolo cristiano che ogni giorno lavora per il bene dei popoli e delle nazioni. Con il grande scisma o scisma d’Oriente la Chiesa cattolica si separava da quella di rito ortodosso. La prima propugnava il primato del Vescovo di Roma in quanto successore dell’apostolo Pietro; la seconda si riteneva la continuatrice della tradizione delle prime comunità di cristiani. Storicamente il grande scisma viene fatto risalire al 1054, anno in cui papa Leone IX scomunicava il patriarca Michele I° Cerulario. Quest’ultimo rispondeva scomunicando a sua volta il Papa. In realtà la divisione era frutto di un conflitto e di dispute che si andavano trascinando da parecchi anni. Questa è la storia di ieri, ma noi siamo chiamti a costruire quella di domani!

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ercoledì pomeriggio 10 giugno 2015, il Presidente della Federazione Russa, S.E. il Sig. Vladimir Putin, è stato ricevuto in Udienza dal Santo Padre Francesco. Il colloquio privato, nella Biblioteca del Palazzo Apostolico, iniziato verso le ore 18.15, è durato circa 50 minuti. Poi ha avuto luogo la presentazione del seguito e lo scambio dei doni. Il Presidente Putin ha donato al Papa una rappresentazione in ricamo della famosa Chiesa di Gesù Salvatore, mentre il Papa ha donato il medaglione dell’artista Guido Veroi che rappresenta l’angelo della pace e invita alla costruzione di un mondo di solidarietà e di pace fondato sulla giustizia, e una copia della Esortazione apostolica Evangelii Gaudium. Come era possibile prevedere nel contesto della situazione mondiale, il colloquio è stato dedicato principalmente al conflitto in Ucraina ed alla situazione nel Medio Oriente. Circa la situazione riguardante l’Ucraina, il Santo Padre ha affermato che occorre impegnarsi in un sincero e grande sforzo per realizzare la pace, e si è convenuto sulla importanza di ricostituire un clima di dialogo e che tutte le parti si impegnino per attuare gli accordi di Minsk. Essenziale anche l’impegno per affrontare la grave situazione umanitaria, assicurando fra l’altro l’ac-

cesso agli agenti umanitari e con il contributo di tutte le parti per una progressiva distensione nella Regione. Per quanto riguarda, invece, i conflitti in corso nel Medio Oriente, sul territorio della Siria e dell’Iraq è stato sostanzialmente confermato quanto già condiviso circa l’urgenza di perseguire la pace con l’interessamento concreto della comunità internazionale, assicurando nel frattempo le condizioni necessarie per la vita di tutte le componenti della società, comprese le minoranze religiose e in particolare i cristiani. Contemporaneamente all’Udienza al Presidente V. Putin, si è svolto un incontro tra S.E. Mons. Paul Richard Gallagher, Segretario per i Rapporti con gli Stati, e S.E. il Sig. Sergey Lavrov, Ministro degli Affari Esteri della Federazione Russa, nel quale pure si sono trattati principalmente i temi del conflitto in Ucraina e della preoccupante situazione del Medio Oriente. 36


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a bellezza della Chiesa, l’unità, la misericordia, una data fissa per la Pasqua, l'Asia promessa della Chiesa. Sono solo alcuni dei temi trattati venerdì 12 giugno dal Papa nella Basilica di San Giovanni in Laterano incontrando i partecipanti al Terzo Ritiro Mondiale dei Sacerdoti, promosso dal Rinnovamento Carismatico Cattolico Internazionale e dalla Catholic Fraternity. Nell’incontro il Papa ha sottolineato l’importanza della presenza delle donne nella Chiesa, ma anche parlato del prossimo viaggio in Africa e ha detto di aver chiesto al patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I di presentare la sua prossima enciclica.

squa sia unica, per favorire unità tra le Chiese, o l’annuncio del prossimo viaggio in Africa a Novembre, nella Repubblica Centrafricana e in Uganda. Francesco ha precisato che sta valutando anche di andare in Kenya. Nella meditazione il Papa ha sottolineato che la discussione, la franchezza, il confronto dona vitalità alla Chiesa stessa: “Le Chiese senza discussione son chiese morte”. “Nei cimiteri! Nessuno discute di niente”.

La Chiesa di Cristo Non ha nascosto la gioia “di vedere i sacerdoti delle periferie del mondo seduti” in Basilica accanto ai vescovi, al suo Vicario il cardinale Vallini. Tutti insieme ha ribadito - nella “bellezza della Il canto, la preghiera, la gioia, Chiesa”. Francesco ha dunque sono state le cifre di questo ap- auspicato un confronto diretto e puntamento nella fede orientato franco tra “sacerdoti e vescovi “ all’unità della Chiesa. Un incon- ed invocato la vicinanza “al potro a tutto tondo dove il Papa ha polo di Dio”. dialogato con i partecipanti al terzo Ritiro Mondiale dei Sacer- La donna nella Chiesa doti dopo una meditazione densa Poi è tornato a ribadire l’impordi contenuti e annunci, come la tanza della donna nella Chiesa, possibilità che la data della Pa- “Maria - ha detto ironizzando 37

sulle eventuali lamentele di alcuni - vale più degli apostoli”. “Il genio femminile nella Chiesa è una grazia, perché la Chiesa è donna: è ‘la’ Chiesa, non ‘il’ Chiesa: la Chiesa. La Chiesa è sposa di Cristo. E’ Madre del Santo Popolo dei fedeli di Dio. Chiesa, donna. E queste donne che sono qui presenti sono immagini e somiglianza della Chiesa e della Madre Maria”. I sacerdoti trasformati dall’Amore Poi, ha poggiato lo sguardo di pastore sui sacerdoti e auspicato che “siano trasformati dall’amore”. “Amore Trinitario”: “Celebrare oggi qui la festa del Sacro Cuore non è una coincidenza - ha sottolineato - È il giorno in cui il Signore ha voluto che riflettessimo sull’infinito e misericordioso amore del Padre, espresso nel cuore del Figlio Gesù, con la forza vivificante dello Spirito Santo”. Il Pontefice ha quindi evocato una canzone di padre Lucas Casaert (missionario belga in Bo-

ecumenismo

É possibile una data fissa per la Pasqua


livia da 40 anni), che parla della cura e tenerezza che il Signore ha per il suo discepolo e la Basilica si è accesa in canto sollecitato dallo stesso Papa. Il perdono del Signore “Nei momenti peggiori - ha proseguito Francesco - quando perfino avrete litigato con il Signore o quando sarete stati infedeli al Signore non temete! Avvicinatevi al Sacrario”. Il Papa ha consigliato “di aprire il cuore”, lasciar scorrere le lacrime nella certezza del perdono di Dio, nella confessione.

sempre facile - ha detto - ma “lasciatevi amare, aprite il vostro cuore a Lui. E non solo contempliamo Gesù: lasciate che Lui ci contempli, che Lui mi guardi...Signore, eccomi qua, sono qui’.

L’affidamento al Tabernacolo “Se tu sei lì davanti al Santissimo e dormi non ti preoccupare! Lasciati guardare da Lui, ma vacci, vacci a quel tabernacolo! Non lo lasciare!” Il Papa ha esortato a guardare il tabernacolo dove si trova l’Amore “e se non sai cosa dirgli - ha aggiunto - se sei stanco digli che La cura del gregge sei stanco e se ti addormenti fai Il Popolo di Dio - ha evidenziato che Lui ti guardi e che lo Spirito - sa riconoscere “quando un sa- Santo preghi per te, da lì, in cerdote è innamorato di Gesù o questo dialogo che è dialogo quando è un funzionario a ora- d’amore, un dialogo silenzioso, rio fisso o una persona che segue senza parole. la legge alla lettera. Il sacerdote che diventa un funzionario”: “Vi L’omelia sappia parlare al cuore prego che non ci sia doppiezza È tornato sulle omelie esordi cuore! Che ci sia amore e che tando “a parlare al cuore della non ci sia ipocrisia; che ci sia mi- gente” e suggerendone il mosericordia, tenerezza”. “La prima dello: “Un’idea, una parola, una motivazione per evangelizzare - immagine e un sentimento”. afferma il Papa - è l’amore di “Non dimenticate - ha detto Gesù, che abbiamo ricevuto, che l’omelia non è una confel’esperienza di essere salvati da renza, non è una lezione di caLui”. “Ogni sacerdote senta nel techesi, è un sacramentale”: suo cuore che nonostante le sue “Non fate paura al popolo femancanze, infedeltà e proprio dele di Dio, non lo fate fuggire, per questo il Signore lo mette lì, non perdete tempo, parlategli al servizio del suo popolo e que- di Gesù, della gioia di una fede sta è una cosa meravigliosa”. Ri- ancorata a Gesù. cordando l’incontro con alcune coppie con “50 e 60 anni di ma- Il Battesimo non si nega trimonio” nella Messa mattutina “Vi confesso che mi fa una gran a Santa Marta, ha parlato di un pena quando un parroco non amore che matura negli anni: battezza uno appena nato percosì “come il sacerdote via via ché figlio di madre single o di che va avanti nell’amore con padre risposato. Non ha diritto! Gesù sente la carezza del suo Il Battesimo non si nega!”. maestro in una maniera nuova, “Quando questo accade, il cuore lo cerca, lo comunica e lo ama di un sacerdote è burocrate, è con carezze rinnovate”. Non è strettamente legato alla legge 38

della Chiesa, la Chiesa che è madre si trasforma per tanti fedeli in una 'matrigna': per favore, fate sentire che la Chiesa è sempre madre!” Il Papa ha parlato della misericordia insegnata da Gesù e declinata in un amore non chiuso dalla morale, ma aperta all’uomo. E ha citato il perdono di Gesù: 70 volte 7. “Non abbiate paura - ha sottolineato - Misericordia nelle confessioni, misericordia”. L’amore trasforma e contagia L’Ecumenismo poi, lo scandalo della divisione dei cristiani. L’ecumenismo - ha proseguito non è un compito in più da fare: è un mandato di Gesù. “E’ cercare l’unità del Corpo di Cristo, rotta per i nostri peccati di divisione. Il perdono per le colpe“ Noi - ha detto - ci scandalizziamo quando quelli dell’Isis bruciano vivo quel povero pilota, in quella gabbia, ma noi nella nostra storia lo abbiamo fatto!”. “Noi abbiamo ferito la Santa Madre Chiesa! Nella nostra coscienza ci deve essere quel chiedere perdono per la storia della nostra famiglia, per tutte le volte che abbiamo ucciso in nome di Dio”. Il Papa ha indicato i martiri quali vie di unità e il sangue oggi “di uomini e donne che muoiono per


gia che “crea la lotta di classe”. Invece, testimoniare il Vangelo. “Gesù predicò le Beatitudini ha precisato - Predicate il Vangelo, state con i poveri. “Il popolo fedele di Dio mai perdonerà un sacerdote che sia attaccato al denaro o che tratti male la gente”. “Non dimenticatevi - ha evidenziato - che il demonio entra dalla tasca, entra Gesù Cristo”. Il Papa ha parlato proprio lì.” E che una volta endi un “ecumenismo del sangue” trato,“il secondo scalino è la vache stiamo vivendo. C’è una nità! confessione - ha aggiunto - da parte del demonio: “Sono cri- L’Europa stiano”… Bisogna sterminarli! Sulle sfide dell’Europa dell’Est e della Chiesa, Francesco ha tracLa missionarietà non clericaliz- ciato il legame storico tra zata Roma, Costantinopoli e Mosca Quindi, ha introdotto la grazia e la “tensione” “che oggi è anesortando alla missionarietà il cora calda”, indicando il dialogo Rinnovamento Carismatico. “A quale fonte di costruzione. Il volte siamo tentati di credere Papa è entrato nello scacchiere che siamo i padroni della grazia geopolitico ribadendo che la e non i dispensatori della grazia. questione tra Russia e Ucraina La grazia non si compra. E’ gra- “in questo momento è risolta tuita: è grazia!” Poi, l’esorta- sulla carta” che “il Trattato di zione a lasciar lavorare i laici. Minsk è firmato da tutti”, ma “Non clericalizzate! - ha evi- anche che ci si rifiuta “di metdenziato - Il clericalismo è uno terlo in atto”, cadendo in un dei peccati e uno degli atteggia- “”nominalismo della politica”. menti peccaminosi che frenano lalibertà della Chiesa. Africa Il Papa ha ribadito che “c’è biSecolarismo sogno di sacerdoti in Africa.” E Sollecitato sul fenomeno del se- che la colonna “vertebrale sono colarismo, ha detto che non va i catechisti” la cui formazione è combattuto facendo proseliti- “fondamentale”. “L’Africa in smo, poiché “è la caricatura del- questo momento è terra attral’evangelizzazione”. Ma di ente allo spoglio, è un luogo di occuparsi delle persone, delle spoglio”, perché “le potenze povertà, “annunciare il Van- vanno là a cercare legno, oro, gelo”, testimoniare e questo a metalli, e portano via tutto e se tutte le latitudini, anche le più ne vanno”. “In Africa - ha sostepovere. nuto - i problemi di sviluppo e di promozione sociale sono neIl denaro cessari. Di nuovo, il monito a non essere attaccati alle ricchezze, a Immigrazione riconoscere ed evitare l’ideolo- Guardando alle tante persone 39

che dall’Africa vengono in Europa, il Papa rileva solo una risposta emergenziale nell’accogliere: “Questo non basta, questo è l’aspetto di emergenza, quello che è necessario è che l’Europa vada in Africa, non a portar via cose dall’Africa, ma a investire in Africa, perché in Africa ci sia industria, lavoro e la gente non debba venire qua!”. Centrale anche "la formazione culturale, l’assistenza sanitaria in cui la Chiesa è impegnata e deve portare avanti con l’aiuto “dei cristiani di tutto il mondo”. Asia “L’Asia è per me una delle promesse più grandi della Chiesa ha detto il Papa - è per questo che negli ultimi due Concistori si è cercato di creare cardinali asiatici, perché fossero testimoni nella Chiesa di Roma di tutte quelle Chiese”. Francesco ha sottolineato che “l’India è una ricchezza meravigliosa” e che nella zona “del Kerala continua a esserci una grande quantità di vocazioni”. Francesco ha ribadito che l’Occidente sta percorrendo” i cammini di relativismo, edonismo, consumismo” che lo stanno deteriorando e provocandone la decadenza. “L’Asia invece ha riserve spirituali”. Martiri Il Santo Padre ha poi volto lo sguardo sulla tragedia degli indiani lasciati in mare, sul fondamentalismo che c’è in alcune parti del Pakistan, sui tanti martiri in Corea, Giappone, Thailandia: “tanti martiri che hanno versato il loro sangue” e che indicano una via di testimonianza.


Divisi sulla data della Pasqua Dallo scandalo antico una speranza nuova VITTORIO PERI STORICO

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el Medio oriente di sant’Atanasio - come il grande arcivescovo di Alessandria d' Egitto lamenta nelle sue pastorali per la Pasqua - i non credenti esercitavano il proprio sarcasmo contro la nuova religione perché i cristiani apparivano incapaci di mostrarsi unanimi perfino nella loro maggiore solennità annuale: negli stessi giorni della Pasqua, gli atteggiamenti, gli abiti, i cibi di alcuni di loro indicavano esternamente tristezza e digiuno, quelli di altri allegria e festa grande. Era una elementare ma clamorosa contro-testimonianza per la credibilità di un messaggio, il cui tratto tipico è quello della conciliazione e della concordia universale. Una delle due principali motivazioni che indussero Costantino a convocare a Nicea nel 325 il primo concilio ecumenico apparve proprio l’inderogabile opportunità di stabilire che tutte le Chiese celebrassero la Pasqua del Signore alla medesima data, evitando il periodico ripetersi di animose discussioni proprio in occasione della «festa delle feste», il triduo del Cristo morto, sepolto e risorto perché i suoi discepoli fossero una cosa sola e con il visibile esempio del loro mutuo amore inducessero il mondo a credere. In un contesto musulmano ed ebraico come quello del Medio oriente odierno, dove i cristiani costituiscono una minoranza sempre più ridotta e frammentata in numerose Chiese divise tra loro, la medesima controtestimonianza si ripete ogni anno, salvo casuali coincidenze ed eccezioni. La decisione del concilio Niceno non vi è ancora attuata dopo qualcosa come 1663 anni! Le Chiese cattoliche, la Chiesa armeno-ortodossa, le Comunioni e Confessioni riformate seguono infatti, là come nel resto del mondo, il calendario introdotto da Gregorio XIII nel 1582, mentre le Chiese ortodosse, sia calcedonesi (di tradizione bizantina) che precalcedonesi (di tradizione siriaca e copta) seguono il calendario detto giuliano. Nei Paesi a prevalenza religiosa orto-

dossa, quali la Russia o la Grecia, alla differenza della data pasquale tra cristiani si aggiunge quella tra concittadini, per la sfasatura fra la festività sacra e quella civile, rispondente al calendario seguito dalla Comunità internazionale e adottato in quegli Stati. Si comprende facilmente perché il penultimo numero del «Courrier Oecuménique du Moyen Orient», edito congiuntamente a Beyrouth dal Consiglio di Chiese del Medio oriente e dalla Commissione per le relazioni ecumeniche dell’Assemblea dei patriarchi e vescovi cattolici del Libano riproponga la dolorosa situazione con un articolo del padre Jean Corbon intitolato: Une seule Pâque: pourquoi pas une seule date?. Alla vigilia della quinta riunione plenaria della Commissione per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa, prevista per il prossimo giugno, molti legittimamente si chiedono quali frutti di questi positivi incontri (Patmos-Rodi, 1980; Monaco di Baviera, 1982; Chanià in Creta, 1984: Bari, 1986 e 1987) possano percepirsi, dopo tanti anni, nella vita quotidiana e spirituale delle rispettive Chiese. A questo livello infatti va verificata la differenza capitale tra una ricerca ecclesiale condotta in comune per una maggiore 40


stesso. In materia di disciplina interna, sia cattolica che panortodossa, potrebbero venire a tutti i fedeli, in modo diretto e percepibile, segnali del desiderio e della dichiarata volontà di giungere a celebrare, oltre che a discutere, insieme. La confidenza di Paolo VI Si suole attribuire a Paolo VI una confidenza, che sarebbe suonata press’ a poco in questi termini: «Riuscire a mettere in mano a tutti i cristiani uno stesso testo della Sacra Scrittura e portarli a celebrare la Pasqua del Signore ogni anno nello stesso giorno, tutti insieme, basterebbe per dare senso a un intero pontificato». Il dolore di vedere da secoli disuniti i cristiani già ai preliminari esterni dell' unità, quali lo stesso tenore letterale della Bibbia e la data convenzionale in cui celebrano la solennità centrale del loro culto a Dio, suggeriva all' acuta sensibilità spirituale del grande Pontefice quell' espressione alquanto paradossale e quasi delusa. Gli erano ovviamente note le inveterate discussioni e le complicate diatribe con cui gli eruditi e i teologi motivavano e difendevano da secoli, in entrambi i casi, le perduranti divergenze tra i cristiani. Ma ciò non gli impediva di scorgere lo scandaloso spettacolo di divisione che i responsabili delle Chiese offrivano e imponevano sia ai fedeli che agli increduli, trasformando in oggetto di disputa confessionale, più o meno gretta, perfino i simboli primi e più trasparenti della loro unica fede: la Sacra Scrittura e la Pasqua. Grazie alle Bibbie ecumeniche, pubblicate in molte lingue, si potrebbe dire che uno dei due punti di divisione si avvia alla sua soluzione in un' ampia e fraterna collaborazione interconfessionale. Non può dirsi ancora così per l’unificazione della data in cui le Chiese celebrano la Pasqua. Ma anche qui il ventennio postconciliare non è passato invano. Dal 1966 in poi, per volontà di Paolo VI, diversi tentativi e approcci si sono fatti in questo senso tra la Chiesa cattolica e le altre Chiese e confessioni, e in particolare con le Chiese ortodosse. Si è giunti a risultati positivi e confortanti, ma purtroppo rimasti finora senza conseguenza alcuna sul piano pratico e pastorale. È uno dei diversi casi in cui un dialogo teologico, confinato al mero piano teorico, mostra a un tempo la sua funzionalità, ma anche il suo limite ecclesiale. Abituati a ricordare il primo concilio di Nicea per la condanna di Ario e il riconoscimento delle prerogative delle Chiese di Roma, di Alessandria e di Antiochia rispetto alle altre, si è portati a dimenticare che tutti i ve-

aderenza e fedeltà al Vangelo e un qualsiasi altro convegno di studi o conferenza organizzativa, anche ecclesiastici. Tutti i membri della Commissione sono consapevoli di questa esigenza fondamentale del lavoro loro affidato dalle loro Chiese. I comunicati finali congiunti auspicano volentieri l’opportunità di diffondere tra i fedeli delle Chiese partecipanti l' informazione sui difficili temi discussi e l’invito a sostenere tali sforzi d' unità con la preghiera. In realtà, per la natura stessa degli argomenti affrontati, tali appelli assumono in molti casi l’apparenza di esortazioni sincere, ma di prammatica, destinate a rimanere per lo più senza un riscontro sentito o un oggetto capace di impegnare la vita liturgica e pratica dei fedeli. Potrebbe non essere così se la riflessione teologica della Commissione per il dialogo venisse accompagnata, ogni qualvolta ciò si riveli possibile dal punto di vista della coerenza teologica e della rispondenza pastorale, da dichiarazioni o decisioni pubbliche assunte contemporaneamente, o in comune o unilateralmente, dalle gerarchie episcopali delle Chiese impegnate nel dialogo

Il periodo postconciliare non è passato invano

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scovi della Chiesa cattolica erano stati radunati per la prima volta nella storia principalmente «perché ovunque si osservasse un unico giorno della festa di Pasqua». In tale senso fu la loro decisione unanime, tuttora valida e autorevole sul piano ecumenico. Tuttavia il modo concreto di applicarla, osservando certi criteri biblici e astronomici, era tale da lasciare ulteriori margini di oscillazione nel computo. Insistendo su di essi, si giunse alla geminazione del calendario cristiano, determinata dalla riforma gregoriana e dal rifiuto di accoglierla, opposto dalla Chiesa ortodossa nonostante una iniziale disponibilità del patriarca di Costantinopoli Geremia II. Nel novembre 1976 la i Conferenza panortodossa preconciliare, riunita a Chambésy, decise che si tenesse un Colloquio interortodosso sulla celebrazione comune della Pasqua da parte di tutti i cristiani. Esso si svolse nel giugno 1977. Gli esperti presentarono nel 1982 alla II Conferenza panortodossa preconciliare il risultato dei propri lavori, che vennero resi pubblici. La soluzione delle antiche aporie appariva trovata su questa triplice base: 1) osservanza dei tre punti dell' accordo stabilito dai padri di Nicea (domenica, dopo il plenilunio, che segue l' equinozio di primavera); 2) «aggiornamento» congiunto da parte delle Chiese ortodossa e cattolica dei due calendari giuliano e gregoriano, entrambi oggi in ritardo rispetto ai dati astronomici; 3) accoglimento di una nuova tavola pasquale, già elaborata con la collaborazione dei due principali laboratori astrofisici del mondo, fino al 2500, sulla base del meridiano di Gerusalemme. Le divergenze dei computi astronomici e scientifici che conducevano a osservare in modo differenziato le regole stabilite a Nicea e invocate in entrambi i casi come principio inderogabile del concilio ecumenico, possono pertanto dirsi superate in teoria e facilmente superabili in pratica. Ciò è oggi riconosciuto in modo unanime da parte di tutte le Chiese. Un comune lettore riterrebbe a questo punto eliminato ogni motivo di replicare ogni anno il millenario spettacolo dei cristiani che celebrano la Pasqua in domeniche diverse, fino a cinque settimane di distanza. Non si tratta infatti di modificare, neppure in minima parte, le disposizioni del concilio di Nicea, ma solo di capirle e

di applicarle con maggiore precisione che in passato, come le conoscenze astronomiche condivise senza la minima discussione dalla scienza moderna permettono oggi di fare. Sia l’Organizzazione delle Nazioni Unite che i Governi dei singoli Stati, in cui il calendario religioso resta differente da quello civile, non potrebbero accogliere la decisione che con favore. Una questione pastorale La questione della data pasquale non è ormai né teologica, né scientifica, né politica. Essa è semplicemente pastorale, si colloca all’interno di ciascuna Chiesa, dipende dalla responsabilità delle singole gerarchie episcopali e attiene alla manifestazione della carità tra le Chiese. Nel 1982 i responsabili delle Chiese ortodosse, sia pure con dichiarato rammarico, hanno convenuto tra loro di non poter ancora tradurre in pratica il progetto degli esperti, motivando la decisione con preoccupazioni d' ordine pastorale che l' adozione d' una tale misura potrebbe causare tra i loro fedeli. Tale presa di posizione si accompagna con un giudizio del tutto positivo accordato al progetto della Commissione panortodossa: i pastori lo ritengono infatti scientificamente valido, fedele ai principi del concilio di Nicea e capace di raccogliere l’unanimità dei consensi da parte di tutte le Chiese e confessioni cristiane. Quod differtur, non aufertur! Resta spazio alla speranza e alla pazienza tenace dell' attesa. Ma resta anche l' impressione che il ristabilimento di una data pasquale comune costituirebbe proprio uno di quei segnali capaci di sostenere e di rendere più sentito tra tutti i cristiani l' oscuro e arduo lavoro della Commissione per il dialogo teologico, riunitasi inizialmente nel 1980 «nell'isola chiamata Patmos, a causa della parola di Dio e della testimonianza resa a Gesù» (Ap 1, 9). 42


I volti della terra Il National Day della Santa Sede LA NOTIZIA Si è celebrata a Milano nella sede dell’Expo 2015 il National Day della Santa Sede, nel corso del quale sono intervenuti nella mattinata dell’11 giugno il Card. Gianfranco Ravasi, Commissario generale della Santa Sede, S.E. Mons. Giovanni Angelo Becciu, Sostituto per gli Affari Generali della Segreteria di Stato, il Card. Angelo Bagnasco, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana e il Card. Angelo Scola, Arcivescovo di Milano. Nel pomeriggio alla commemorazione ha partecipato anche il “Cortile dei Gentili” sul tema I volti della Terra, con la presenza del Card. Ravasi e altri ospiti speciali. Pubblichiamo di seguito il testo che il Sostituto S.E. Mons. Giovanni Angelo Becciu ha letto nel corso della celebrazione del National Day della Santa Sede:

GIOVANNI ANGELO BECCIU SOSTITUTO DELLA SEGRETERIA DI STATO

1. Sono lieto di prendere parte al National Day della Santa Sede in questo scenario di Expo Milano 2015 il cui titolo Nutrire il pianeta. Energia per la vita è stato recepito con grande sensibilità e attenzione dalla Chiesa Cattolica. La Santa Sede, proseguendo una lunga e ininterrotta tradizione, ha risposto volentieri all’invito del mondo delle istituzioni, del lavoro, dell’economia, della scienza e della cultura unendosi alla riflessione su una questione, che fa parte delle preoccupazioni e delle iniziative a favore della vita dei singoli, dei popoli e degli Stati. La presenza della Sede Apostolica all’Expo attraverso un suo luogo simbolico – e meglio si direbbe attraverso un suo “messaggio” – vuole dunque testimoniare l’impegno a cooperare e la volontà di contribuire, con idee e fatti, agli sforzi volti a garantire l’esistenza umana e a individuare nuove possibilità del sapere e della ricerca. La speranza è che tutto possa favorire una più ampia coesione sociale nel futuro della famiglia umana. Per queste ragioni, senza in alcun modo negare quell’autonomia che resta un valore intrinseco ad ogni attività umana (Cfr. Concilio Vaticano II, Gaudium et Spes, 34), la Santa Sede crede che si possano aprire orizzonti più ampi con il riferimento, irrinunciabile, alla persona umana ed al suo desiderio di migliori condizioni di vita. Nell’espressione Non di solo pane trovano sintesi quelle condizioni che fanno di ogni essere umano una persona che unisce nella propria esistenza una di-

mensione spirituale e materiale. Una persona chiamata, come ci ricorda Papa Francesco, non solo a «coltivare e a custodire la terra» (Udienza generale, 5 giugno 2013), ma a preservare ed a dare continuità all’ordine della creazione nel quale si inserisce a pieno titolo il tema della nutrizione (Cfr. Francesco, Discorso alla II Conferenza Internazionale sulla Nutrizione, 20 novembre 2014, 3). La disponibilità di cibo, il lavoro dei campi, la produzione alimentare, l’uso di tecniche innovative come pure la preservazione di conoscenze sedimentate nel corso della storia, sono aspetti non riservati esclusivamente alle soluzioni tecniche o alla competenza politica e alla valutazione economica, ma necessitano di principi etici e orientamenti morali su cui fondare conseguenti scelte e decisioni condivise. Infatti, se ancora oggi oltre due miliardi di persone soffrono di malnutrizione, e molti di loro anche di fame cronica, nonostante decisioni e programmi che la Comunità internazionale ritiene tecnicamente precisi e in grado di poter dare le risposte a persone, famiglie e bambini, la causa va ricercata anzitutto nell’assenza di volontà nel condividere. Una carenza di cui sono espressione egoismi, interessi particolari, conflitti, speculazione finanziaria, violazione di diritti fondamentali, ineguale partecipazione ed esclusione dai processi decisionali. E questo elenco potrebbe facilmente continuare. 43


È necessario, allora, un autentico sussulto delle coscienze che determini scelte razionali e tecniche «perché tutti possano beneficiare dei frutti della terra [...] anche e soprattutto per un’esigenza di giustizia e di equità e di rispetto verso ogni essere umano» (Francesco, Discorso ai Partecipanti alla 38ª Sessione della Conferenza della FAO, 20 giugno 2013, 1). 2. Dalla sua particolare prospettiva la Santa Sede vede il vasto obiettivo di garantire un livello di nutrizione adeguato come una reale esigenza delle persone e quindi quale risultato di una vera condivisione, quella stessa resa oggi evidente dalla partecipazione di tanti Paesi all’Expo Milano 2015. Però un’azione condivisa che abbia come priorità la riduzione del numero degli affamati deve prevedere non solo interventi nelle situazioni di emergenza, ma attività in favore dello sviluppo agricolo e un loro finanziamento proporzionato alle diverse capacità dei donatori e alle esigenze dei beneficiari. Dare e ricevere secondo giustizia, richiede una formazione delle coscienze alle esigenze dell’altro, di ogni prossimo, anche quando il problema riguarda l’uso delle tecnologie, il loro trasferimento verso le aree più vulnerabili e la capacità di rispondere alle esigenze dei beneficiari, senza limitarne prerogative, diritti e – non da ultimo – abitudini e culture alimentari. Un tale impegno domanda a Governi, Istituzioni Internazionali e Organizzazioni della società civile impegnate per la sicurezza alimentare di operare insieme, preservando le diversità, ma non contrapponendole e utilizzando come unico strumento concreto il dialogo. Non si tratta solo di riaffermare l’importanza delle differenti culture alimentari presenti nei vari angoli del mondo o di preservare il valore delle molteplici pratiche legate alla coltivazione, ma anche di ridiscutere le modalità di consumo del cibo. La lettura di dati e di fatti fanno già scorgere segnali positivi come, ad esempio, il perfezionarsi della sicurezza degli alimenti mediante un’attività di prevenzione in fase di produzione, conservazione e distribuzione, ma anche un più diretto ripensamento dei nostri stili di vita che sembrano ormai unicamente orientati alla «globalizzazione dell’indifferenza» (Francesco, Evangelii gaudium, 55). Adeguare i consumi alle reali necessità evitando sprechi e sperperi di alimenti è già una garanzia di riuscita delle strategie per la sicurezza alimentare, e soprattutto è una delle vie maestre per «globalizzare la solidarietà» (Ibid.). È questo

l’impegno a cui tutti siamo chiamati! Del resto, nelle riflessioni dell’Expo, quando si fa riferimento alla protezione dei differenti regimi nutrizionali o alla continuità delle tradizioni agricole, emerge chiaramente l’obiettivo di individuare “ciò che unisce” i popoli. Si tratta di una strategia importante, capace di rendere funzionale alla dimensione umana ogni azione che nel garantire ad ogni persona “il pane quotidiano” abbia a cuore la pacifica convivenza tra i popoli ed il loro sviluppo integrale. Mi sia consentita in proposito un’annotazione che scaturisce da un ricordo personale risalente agli anni di studio quando rimasi colpito da un passaggio della tradizione giuridica della Chiesa, quel Decreto di Graziano che nel 1140 giungeva a dire: «Nutri colui che è moribondo per fame, perché se non l’hai nutrito, l’hai ucciso» (Dist. LXXXVI, c. 21[ed. Friedberg]). Un imperativo a cui quel grande giurista affiancava una modalità evangelica, e perciò pratica, di realizzazione: «Fai agli altri ciò che vuoi sia fatto a te; non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te» (Decretum Gratiani, I, Dist. I, in princ.). Si tratta di quella regola aurea presente nelle differenti culture, credi e visioni religiose che è fondamento non solo di situazioni giuridiche e di diritti individuali, ma della naturale fraternità tra gli esseri umani, della loro comune uguaglianza, della loro libertà. 3. Vorrei concludere questa riflessione ricordando come anche in un contesto quale l’Expo le religioni operino “in prima linea”, fornendo indicazioni di principio e di guida – e forse anche di monito – quando propongono l’immagine del cibo come offerta, che la tradizione cristiana simboleggia nel pane e nel vino. Un’offerta in grado di costruire una visione armoniosa della comunità e della coesione sociale che si esprime nel senso della condivisione, dell’accoglienza e, direi anche, del dono 44


ad estirpare alla radice le cause dell’insicurezza alimentare e della denutrizione che diventano spesso veicolo di contrapposizioni e di conflitti dolorosi. Le religioni e la loro tradizione ben conoscono che la libertà dalla fame vuole dire anche libertà dai conflitti e prevenzione della guerra, come ben ricorda, nelle Litanie dei Santi, la Chiesa cattolica associando, nell’invocazione di liberazione, la malattia e la fame alla guerra: «a peste, fame et bello libera nos, Domine». A questo desiderio profondo che, credo, ci associ tutti, si unisce ancora una volta l’apprezzamento della Santa Sede per l’importante iniziativa dell’Expo Milano 2015, accompagnata dall’auspicio che i suoi risultati possano essere altrettanti strumenti concreti per favorire un sano e pacifico dialogo tra i popoli e tra i Paesi. Concludendo il suo Messaggio per l’inaugurazione dell'Expo lo scorso 1° maggio, Papa Francesco, ci chiamava ad un’assunzione di responsabilità, invocando l’aiuto del Signore: «Ci doni Lui, che è Amore, la vera “energia per la vita”: l’amore per condividere il pane, il “nostro pane quotidiano”, in pace e fraternità. E che non manchi il pane e la dignità del lavoro ad ogni uomo e donna». Facciamo nostre queste parole.

reciproco verso l’altro che è poi ogni nostro prossimo. Un programma che anche in un ambiente come quello che oggi ci ospita può essere promotore di nuove relazioni e di rapporti solidali. Siamo di fronte ad un esempio concreto dei modi con cui le religioni manifestano la capacità di travasare il loro insegnamento dalla dimensione spirituale in una concreta dimensione etica in grado di determinare la ricerca delle condizioni sociali, politiche ed economiche per liberare dalla fame i milioni di esseri umani che, tuttora, ne sono vittime. Questo presuppone in primo luogo l’impegno

Video messaggio di Papa Francesco

Expo Milano 2015 Globalizzare la solidarietà “

S

mettere di pensare che le nostre azioni quotidiane non abbiano un impatto su chi soffre la fame”. È l’invito di Papa Francesco che, nel video messaggio in diretta con l’Expo di Milano nella mattinata di apertura,1° maggio, chiede “un cambiamento di mentalità” sulle questioni alimentari, per “nutrire ogni uomo e donna del pianeta nel rispetto dell'ambiente”. Papa Francesco dice ‘no’ a spreco e scarto, e chiede di tenere ben presenti i volti di uomini, donne e bambini malnutriti. Così – dice – la Expo può essere “occasione propizia per globalizzare la solidarietà”. “Importante”, “essenziale”: così Francesco definisce il tema dell’Expo: ‘Nutrire il pianeta, energia per la vita’. Poi la forte raccomandazione:

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“… purché non resti solo un “tema”, purché sia sempre accompagnato dalla coscienza dei “volti”: i volti di milioni di persone che oggi hanno fame, che oggi non mangeranno in modo degno di un essere umano”. Il Papa parla di “una presenza nascosta di questi volti, che – dice - in realtà deve essere la vera protagonista dell’evento”. Una presenza che il Papa vorrebbe – lo esprime esplicitamente – che “ogni persona che passerà a visitare la Expo possa percepire”. L’obiettivo è chiaro e doveroso: cambiare mentalità. Di fronte a noi – ricorda – abbiamo il paradosso dell’abbondanza (come diceva Giovanni Paolo II alla FAO nel 1992), la cultura dello spreco, dello scarto. Abbiamo quelli che Francesco definisce “meravigliosi padiglioni” dell’Expo. Ma Francesco chiede a gran voce di cambiare mentalità:


“… per smettere di pensare che le nostre azioni quoti- “E che non manchi il pane e la dignità del lavoro ad diane – ad ogni grado di responsabilità – non abbiano ogni uomo e donna.” un impatto sulla vita di chi, vicino o lontano, soffre la Papa Francesco non ha dubbi: “tutto parte da lì, dalla fame. Penso a tanti uomini e donne che patiscono la percezione dei volti”. fame, e specialmente alla moltitudine di bambini che muoiono di fame nel mondo.” CARD. RAVASI Francesco, dunque, si rivolge a tutti, parlando di diversi C’È FAME MATERIALE E SPIRITUALE gradi di responsabilità. Poi il riferimento preciso: E' ormai visitabile fino 31 ottobre la Expo di Milano, “E ci sono altri volti che avranno un ruolo importante apertasi ufficialmente nel giorno del Primo Maggio. La nell’Esposizione Universale: quelli di tanti operatori e sera prima il concerto inaugurale, in piazza Duomo a ricercatori del settore alimentare. Il Signore conceda ad Milano con l’accensione dell’albero della vita, la strutognuno di essi saggezza e coraggio, perché è grande la tura simbolo del padiglione Italia, ha raccolto 20.000 loro responsabilità.” persone. L'Expo, a nord ovest del capoluogo lombardo, Francesco, all’inizio del suo messaggio, chiarisce di par- con i suoi padiglioni su una superficie di 110 ettari, raplare da vescovo di Roma, a nome del popolo di Dio pel- presenta Paesi e culture secondo il filo rosso del cibo. legrino nel mondo intero, “voce – sottolinea - di tanti Da parte sua, il presidente della Repubblica Mattarella, poveri che fanno parte di questo in un’intervista al Corriere popolo e con dignità cercano di della Sera, chiede che l’Expo sia HA DETTO guadagnarsi il pane col sudore “Siamo una metropoli europea, non ancora punto di svolta: nutrire il piadella fronte.” A questo titolo consapevole di esserlo. Questa è la nostra neta – dice – è questione cruoccasione. Non può essere solo una fiera; è ciale. “Dichiaro ufficialmente lancia il suo appello: “La Expo è un’occasione propi- l’ora di riscoprire l’anima della città”. aperta l’Esposizione Universale ANGELO CARD. SCOLA zia per globalizzare la solida- Arcivescovo di Milano, la Repubblica, ve- Expo Milano 2015”. rietà. Cerchiamo di non nerdì 1° maggio, p.13 Sono le parole del premier sprecarla ma di valorizzarla pieMatteo Renzi. Insieme ai 145 namente!” Paesi partecipanti, i 9 cluster tematici sul cibo che ospiAncora l’auspicio di Papa Francesco: tano i Paesi che non hanno potuto realizzare un proprio “Il mio auspicio è che questa esperienza permetta agli padiglione. Nel teatro del sito espositivo, dal palco imimprenditori, ai commercianti, agli studiosi, di sentirsi merso in un campo di grano, i discorsi inaugurali delle coinvolti in un grande progetto di solidarietà: quello di autorità italiane, davanti ai rappresentanti del mondo, nutrire il pianeta nel rispetto di ogni uomo e donna che ai cardinali Scola e Ravasi; e con l’intervento di Papa vi abita e nel rispetto dell’ambiente naturale. Francesco, un messaggio di speranza da tradurre in imCome cristiani, Francesco ricorda il riferimento preciso pegno attivo contro la fame e il sottosviluppo. Un’ocalla preghiera del eccellenza: quella che ci ha insegnato casione di rilancio anche per l’Italia, come ha Gesù: il Padre Nostro in cui diciamo “Dacci oggi il no- sottolineato il presidente del Consiglio: stro pane quotidiano”. “Mi piace pensare che oggi inizia il domani; inizia il do“Questa è una grande sfida alla quale Dio chiama l’uma- mani di un Paese che ha un passato straordinariamente nità del secolo ventunesimo: smettere finalmente di bello da far venire i brividi, ma che ha voglia di futuro abusare del giardino che Dio ci ha affidato, perché tutti e che sa che l’unico modo per costruire questo futuro è possano mangiare dei frutti di questo giardino. Assu- abbracciare il mondo e non avere paura di ciò che ci mere tale grande progetto dà piena dignità al lavoro di circonda”. chi produce e di chi ricerca nel campo alimentare.” Poi il Primo Maggio, giorno dedicato al lavoro, il Papa La rivincita dell’Italia del “sì” non vuole dimenticare i volti di tutti i lavoratori che Una lotta contro il tempo che ha impegnato 9 mila lahanno faticato per la Expo di Milano, specialmente dei voratori, e nella festa a loro dedicata è andato il grazie più anonimi, dei più nascosti, che anche grazie a Expo per aver portato quasi a termine il progetto. Da oggi hanno guadagnato il pane da portare a casa. E due ap- cancelli aperti ai visitatori. 10 milioni i biglietti già venpelli di Francesco davvero universali: duti; il doppio le persone attese a Milano. 7.500 gli “Che nessuno sia privato di questa dignità! E che nessun eventi previsti nel sito, 20 mila quelli a Milano, come pane sia frutto di un lavoro indegno dell’uomo! ha ricordato il sindaco Giuliano Pisapia, lanciando la E ancora: sfida alla città, ad saper essere aperta e solidale: “Siamo 46


supera se stesso, ha al suo interno qualcosa di più che va oltre i suoi meccanismi biologici. Ma dall’altra parte si ricorda anche che l’uomo e la donna devono vivere anche materialmente: quindi “Dacci oggi il nostro pane” e cioè un pane quotidiano, un pane che spesso, nella scena del mondo, è invece riservato solo ad alcuni pochi. Al centro di questo padiglione ci sarà un grande tavolo interattivo per cui i visitatori potranno in qualche modo essere coinvolti in una sorta di dialogo; e vuole rappresentare proprio il mondo: a un estremo ci siamo noi, il Nord del mondo che ha beni in abbondanza e dall’altra parte invece c’è una massa molto maggiore che deve accontentarsi soltanto di briciole. Ecco perché c’è anche il tema della fame che incombe, e tutto un tema secondario legato al “Dacci oggi il nostro pane” che è appunto quello del pane spirituale e ci fa entrare nel tema dell’Eucaristia.

qui, insieme, per dimostrare che tutti possiamo fare molto, che ognuno può fare qualcosa e che dobbiamo farlo”. La giornata di festa è terminata con la Turandot alla Scala. Massima allerta nell’imponente sistema di ordine pubblico – 4 mila agenti – per le manifestazioni del pomeriggio del 1° maggio che un migliaio di vandali incappucciati ha distrutto negozi e imbrattato mura di alcune vie della città. Due giorni dopo, domenica 3 maggio, il corteo dell’orgoglio di Milano. Sfilano in 20.000, dopo aver ripulito e riordinato la città devastata dai black bloc. Solo nei primi tre giorni 500 mila ingressi e 800 mila pasti consumanti. È la rivincita dell’Italia del “sì”. Proprio per l’importanza del tema scelto: "Nutrire il pianeta, energia per la vita", la Santa Sede ha voluto essere all’Esposizione universale. Il cardinale Gianfranco Ravasi, commissario generale della Santa Sede per l’Expo 2015 ha rilasciato questa intervista: Già nel 1851, quando regnava Pio IX, alla grande Esposizione del lavoro e dell’industria di tutte le nazioni che si svolgeva a Londra, era presente la Santa Sede e la sua presenza fu, in altre occasioni, anche molto imponente. Nell’Esposizione di New York del 1964, ad esempio, fu inviata nientemeno che la Pietà di Michelangelo, che per la prima volta lasciava la Basilica di San Pietro. Quindi la Santa Sede è sempre stata presente su questa grande ribalta delle nazioni del mondo, una vetrina delle produzioni, delle attività di tipo economico, delle questioni cruciali dal punto di vista pratico, sociale.

Ma il tema del nutrimento, della fame, affrontato dal punto di vista antropologico, sanitario, sociale, sarà al centro anche di altri dibattiti che si svolgeranno nel padiglione della Santa Sede, non è vero? Accanto a questo padiglione, che avrà al suo interno anche una serie di filmati che riguardano proprio questi temi - girati uno a Erbil in Iraq, un altro in Burkina Faso, un altro in America Latina - c’è anche un altro padiglione, direi quasi spirituale, mobile, che è fatto da una serie di eventi e manifestazioni collegati al padiglione della Santa Sede e che toccano tutti questi temi. Per esempio, la Caritas toccherà il tema della fame nel mondo e progetti efficaci per affrontarla. Ma ci sarà anche, da parte dell’ospedale del Bambino Gesù, una serie di incontri che toccano temi profondamente umani: pensiamo al dramma della bulimia e dell’anoressia, il tema dell’allattamento, molti temi antropologici che si intrecciano profondamente con la dimensione medica e con la dimensione esistenziale. E noi stessi faremo, il giorno ufficiale della celebrazione, l’11 giugno per la Santa Sede, una riflessione antropologica su questo tema - il tema della fame del mondo - e anche un Cortile dei Gentili, che vedrà la presenza, tra credenti e non credenti, di Nicolas Hulot, il presidente della conferenza sul clima che si svolgerà a Parigi: tratteremo quindi anche il tema della custodia del Creato. Inoltre, paradossalmente, noi alla fine saremo l’unico padiglione che chiederà qualcosa ai visitatori per la fame nel mondo, per la carità del Papa. E alla fine, distribuendo ai visitatori una calamita con l’immagine del Papa, chiederemo a chi può e vuole di compiere un gesto nei confronti di questo orizzonte che grida a noi la sua sofferenza.

“Nutrire il pianeta, energia per la vita” è il tema di questa Expo 2015; ma al di là delle intenzioni c’è chi teme che si trasformi soprattutto in una vetrina di carattere commerciale. In questo senso che significato ha la presenza della Santa Sede? La presenza della Santa Sede vuol essere quasi come una sorta di spina nel fianco di questa grande platea economico-commerciale. E’ l’unico padiglione, per esempio, che non espone e propone prodotti in vendita. Sono due i motti del padiglione e sono scritti anche sulle facciate del padiglione stesso, che è nello stile di Papa Francesco, molto sobrio; l’ingresso è affidato appunto a queste parole che vengono quasi ricordate come una memoria e nell’interno c’è un percorso distribuito su uno spazio di 330 metri quadri calpestabili, quindi non è così sontuoso come accade in altri padiglioni. I due motti sono: “Non di solo pane” e “Dacci oggi il nostro pane”, due frasi che sono prese dalla Bibbia e rimandano al fatto che l’uomo non vive di solo pane,

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Eur opa /4 Dossier 2015 Sguardi sul mondo Un viaggio dentro un secolo di storia da ROMA

FFRANCESCO DANTE STORICO, UNIVERSITÀ LA SAPIENZA ROMA

Giovanni XXIII, il Papa della Pacem in terris ngelo Roncalli, nuovo santo della chiesa universale, appartiene alla tradizione della diplomazia vaticana e ha maturato una vasta esperienza in questo campo, prima come Delegato apostolico a Sofia e Istanbul, poi come nunzio a Parigi tra il 1925 e il 1953. Come diplomatico Roncalli mostrò soprattutto doti di realismo e di equilibrio, che lo resero poco incline ad assumere toni profetici nei confronti dei grandi eventi contemporanei, compresa la guerra. Nei suoi lunghi anni di servizio aveva un suo metodo segnato dall’arte dell’incontro al fine di creare rapporti che lo avrebbero reso amico di tutti, credenti e non, anziani e giovani, provenienti da tutti i paesi e le culture dell’universo.

A

La Pacem in Terris, firmata da Giovanni XXIII davanti alle televisioni di tutto il mondo il 3 aprile 1963, a 53 giorni dalla sua morte, ha segnato in profondità le generazioni della seconda metà del XX secolo ed è stata la prima enciclica indirizzata ufficialmente “a tutti gli uomini di buona volontà”. Voleva essere cioè una parola per tutti . L’enciclica coglieva le attese di pace e di giustizia di quelle donne e uomini, credenti e non, che videro nel pontificato di S. Giovanni XXIII un segno per una decisiva svolta di una Chiesa che mostrava simpatia per l’uomo e la donna di quel decennio un po’ particolare: il Concilio Vaticano II e la contestazione del ’68 – quest’ultima espressione del mondo occidentale hanno segnato quelle generazioni sulla soglia di un mondo globalizzato. Per papa Giovanni il mondo stava cambiando e questo pastore anziano, con pochi mesi di vita, seppe cogliere i “segni dei tempi” di quel nuovo mondo globalizzato le cui giovani generazioni non avevano diretta esperienza della Seconda Guerra Mondiale. Giovanni XXIII ha saputo cogliere e interpretare

I GIUSTI DI BUDAPEST

Quando il Vaticano salvò molti ebrei dal nazismo “I Giusti di Budapest”: è il titolo del libro, edito da San Paolo, che racconta dell’impegno di due diplomatici vaticani per la salvezza di numerosi ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale. Si tratta del nunzio a Budapest, l’arcivescovo Angelo Rotta, e il suo uditore di nunziatura, mons. Gennaro Verolino. Ne è autore, lo storico Matteo Luigi Napolitano, docente all’Università G. Marconi.

Un libro nato da un’esperienza straordinaria, di due straordinari diplomatici

della Santa Sede: il nunzio a Budapest, Angelo Rotta, e il suo uditore di nunziatura, mons. Gennaro Verolino. Una storia di coraggio, una storia di giustizia anche. Non a caso il libro si intitola “I Giusti di Budapest”. Infatti, questi due diplomatici riuscirono a salvare molti ebrei che erano a rischio di deportazione durante i tragici anni della guerra, ricorrendo a espedienti, anche falsificando documenti, preparando documenti in bianco, quindi dei visti in bianco, oppure affittando immobili nella capitale ungherese ed estendendo a essi l’immunità diplomatica. Oppure, semplicemente –

anzi, in maniera drammatica e anche decisiva, quindi niente affatto semplice – fermando le marce tragiche verso il confine austriaco degli ebrei che venivano deportati. I convogli venivano fermati, con coraggio – perché quelli ebrei erano naturalmente guidati dalle guardie filonaziste che portavano questa popolazione inerme a morire – dicendo: attenzione, abbiamo dei lasciapassare, dei visti che consentono ad alcuni di questi ebrei di salvarsi… Una storia di intervento umanitario, per così dire, che passa attraverso la diplomazia: due piani


le attese di milioni di donne e uomini che, a diciotto anni dalla fine della seconda guerra mondiale, meno di due decenni, avvertivano l’esigenza di uno scatto in avanti che permettesse loro di godere di una nuova società, non più segnata dalle ferite della guerra e della violenza. L’anelito alla pace scavalcava le ideologie e univa idealmente popoli divisi dalla cortina di ferro tra Est e Ovest. La Pacem in Terris ha segnato il cammino compiuto dalla Chiesa sul terreno della guerra e della pace, una via antica. Già nella Bibbia si trovano forti motivazioni contro la guerra e a favore della pace, chiaramente indicata come opera e dono di Dio agli uomini. Purtroppo non è stato sempre così nel corso della storia. Ma nel XX secolo c’è stata una accelerazione che ha ispirato posizioni sempre più decise contro la guerra, sia perché l’umanità usciva drammaticamente segnata da due guerre mondiali che per la prima volta avevano coinvolto in maniera molto consistente anche le popolazioni civili causandone milioni di morti, sia a motivo della decisa presa di posizione in favore della pace dei pontefici che ne sono stati in qualche modo dolorosi testimoni, forti delle parole di condanna della guerra del primo dei papi del Novecento, Benedetto XV, che ne aveva parlato come di una “inutile strage”. Felice sintesi della cultura dell’incontro La Pacem in Terris rappresenta insomma la felice sintesi di questa cultura dell’incontro che è alla radice e

che di solito vediamo distanti… Nella storia diplomatica della Santa Sede non è, in verità, qualcosa di nuovo. C’era una qualità dell’informazione, inviata dai diplomatici, veramente molto molto alta. Per me, in particolare, sono state decisive le carte della famiglia Verolino, messemi a disposizione dalla nipote di mons. Verolino. Ma non è l’unico caso. Questo ci porta a un interrogativo: questa questione dei Giusti, dei cattolici che salvarono ebrei, è una questione episodica oppure è una questione storiografica? Si tratta di piccoli casi isolati o si tratta, in verità, di una rete di assistenza molto più organizzata? La mia conclusione, che può essere anche natural-

condizione al tempo stesso della pace; gli uomini si possono comprendere tra di loro e, al di là delle differenze, la pace è premessa per rifiutare la guerra. Nell’enciclica erano indicati tre grandi segni dei tempi che influenzavano il modo di accogliere la fede: la promozione della donna, la maturazione sociale e politica del mondo del lavoro, l'indipendenza dei popoli. Si era ai tempi della fine del colonialismo politico, basti pensare che il 1960 vide una escalation delle lotte di liberazione, soprattutto nei Paesi africani. L’occasione che però spinse il pontefice a scrivere l'enciclica - non si dimentichi l’origine del nome “pontifex”, colui che costruisce ponti – ebbe origini più remote, i Caraibi. Fu la crisi dei missili sovietici a Cuba a spingere il mondo sull’orlo di un conflitto reso ancora più terribile dalla minaccia della distruzione atomica. Giovanni XXIII inviò una lettera a Kennedy e Krusciov – il primo Presidente degli Stati Uniti d’America, il secondo il Segretario del Partito Comunista dell’Unione

mente esposta a un esame critico, è che ci sia stata in verità una rete organizzata di salvezza e quindi che questi Giusti – in particolare, diplomatici vaticani – agissero anche e soprattutto dietro il coordinamento della Segreteria di Stato della Santa Sede e del Papa. Dunque, è un pezzetto di storia rispetto a tutto il “puzzle” della storia della Seconda Guerra mondiale, ma estremamente significativo. Torniamo su questo titolo: “I Giusti di Budapest”? I Giusti di Budapest sono, in particolare, mons. Angelo Rotta e mons. Gennaro Verolino: entrambi sono stati nominati Giusti tra le Nazioni dallo Yad Vashem.

Ma è anche la storia di altri diplomatici: penso a Raoul Wallenberg, per esempio, o a Per Johan Valentin Anger. E non se ne parla in questo libro, ma naturalmente è nota la storia anche di Perlasca, che operò a Budapest e salvò moltissimi ebrei. Il termine “Giusti” ci richiama anche a una storia umana, una storia che racconta del dramma ed entra in particolare nel dramma di queste persone che erano veramente a rischio di vita. Ci sono anche descrizioni terribili della situazione umana e igienica di questi ebrei, di quello che i soldati delle “croci frecciate” del regime filonazista ungherese dell’epoca, facevano a questi ebrei, di come li trattavano.


Sovietica e quindi come tale, Capo del Governo - e rivolse loro un accorato appello per la pace dai microfoni della Radio Vaticana. Era il 22 ottobre 1962. Il presidente americano, John F. Kennedy, si rivolse al Paese attraverso la televisione con un annuncio drammatico: navi sovietiche si stavano dirigendo verso Cuba per armare con testate atomiche le installazioni presenti sull’isola caraibica a poche decine di chilometri dalle coste statunitensi. La crisi era iniziata in realtà il 15 ottobre, dopo che un aereo spia americano U2 aveva svelato la

presenza di postazioni missilistiche a Cuba. Furono giorni di tensione spasmodica, il mondo sembrò precipitare nel baratro di un conflitto nucleare devastante. Da una parte, il presidente americano si mostrò deciso ad impedire il raggiungimento dell’isola, dall’altra il leader sovietico Krusciov sembrava intenzionato a non tornare sui propri passi. In questa situazione di stallo, intervenne con tutta la sua forza morale e spirituale Giovanni XXIII, maturata già nei quattro anni precedenti. Anzi, fu lo stesso Kennedy a chiedere a Roncalli di fare da ponte con il Cremlino, come ricorda Giovagnoli: “Il presidente americano Kennedy riteneva che un appello del Papa avrebbe potuto sbloccare la situazione. Naturalmente, Giovanni XXIII fu molto toccato da questa richiesta: sentì la responsabilità di agire ed agì attraverso un messaggio, un invito pubblico alla pace. Successivamente, la crisi si risolse felicemente”. Un messaggio che il Papa rivolse con parole accorate

QUEL MONITO SEVERO E ACCORATO 24 maggio 2015: 100° anniversario dell’entrata dell’Italia nella Grande Guerra - Monte San Michele - Sagrado (Gorizia) SERGIO MATTARELLA Presidente della Repubblica Italiana Cento anni fa, il 24 maggio del 1915, l'Italia entrava in guerra. Truppe non sempre preparate e armate in modo adeguato varcavano il confine. Vi era, nei vertici politici e militari, la convinzione che l'intervento sarebbe stato di breve durata: l'apertura di un nuovo fronte a Sud - era la previsione che avrebbe rapidamente costretto l'Austria - Ungheria alla resa. Già il 21 giugno, giorno del primo attacco generale, la speranza di trasformare la guerra in una «passeggiata a Lubiana» si dimostrerà illusoria. Benché inferiori per numero, le truppe austro-ungariche re-

sistevano tenacemente. Nei primi mesi di guerra l'esercito italiano, che ha scritto in quegli anni pagine gloriose, perse la sua parte migliore: gli effettivi e i volontari, i più addestrati e i più motivati. Ben presto ci si dovette rendere conto che, anche sul fronte italiano, il conflitto avrebbe preso, come nel resto d'Europa, la forma di guerra di trincea. Se ogni assalto - una parola così temuta dai soldati - si trasformava in una carneficina, la vita nelle trincee, così realisticamente descritta nei diari e nelle lettere dei soldati, non era un sollievo. Fango, pioggia, parassiti, malattie. E quelle attese, lente e snervanti: per il rancio, per la posta, per il cambio. O, inesorabilmente, per un nuovo assalto. Il cui 50

esito sarebbe stato difficilmente risolutivo per le sorti della guerra, ma decisivo per il personale destino di migliaia e migliaia di uomini. «Si sta come d'autunno sugli alberi le foglie», scriveva Giuseppe Ungaretti dal fronte, dove era fantaccino, fissando in versi stupendi il senso di totale precarietà che regnava al fronte. Come era diversa, alla prova dei fatti, quella vita di guerra dal sogno luminoso di gloria, dalla retorica perentoria, dal mito della vittoria, vagheggiati da intellettuali e poeti nei mesi precedenti all'entrata in guerra! Non vi era bellezza tra le trincee, solo orrori, atrocità e devastazioni. Lo aveva ben intuito Renato Serra, spirito nobile di uomo e di letterato,


dai microfoni della Radio Vaticana. Un appello vibrante che fece presa sulle coscienze di milioni di persone, senza distinzione di credo religioso: “Pace! Pace! Noi rinnoviamo oggi questa solenne implorazione. Noi supplichiamo tutti i governanti a non restare sordi a questo grido dell’umanità. Che facciano tutto quello che è in loro potere per salvare la pace. Eviteranno così al mondo gli orrori di una guerra, di cui non si può prevedere quali saranno le terribili conseguenze”. Le radici di questo “successo” risalgono alla decisione di Roncalli di coltivare il canale personale del rapporto con il leader sovietico, agenda che conteneva già molti segnali: gli auguri natalizi per il 1962, le felicitazioni per il premio Balzan, la partecipazione alla malattia del Papa, la liberazione del metropolita sovietico Slipyj, il ricevimento della figlia di Khruscev e del genero Adzubej, da parte del Papa, sono i passi di questo contatto diretto. Si voltava pagina rispetto alla dottrina antisovietica, mentre il Papa faceva precisare dal suo amico, Andrea Spada: “La cortesia, la buona educazione, il rispetto di un augurio sono già elementi nuovi che vanno registrati con soddisfazione in un mondo che sembrava aver instaurato solo la prepotenza, anche delle forme, partito volontario e morto sul Podgòra. Serra scriveva: «Non c'è bene che paghi la lagrima pianta invano, il lamento del ferito che è rimasto solo, il dolore del tormentato di cui nessuno ha avuta notizia, il sangue e lo strazio umano che non ha servito a niente. Il bene degli altri, di quelli che restano, non compensa il male, abbandonato senza rimedio nell'eternità». Eppure, in questo universo fatto di fango, di sofferenze, di stenti e di morte, migliaia e migliaia di soldati, dell'una e dell'altra parte, sopportarono prove incredibili, compirono atti di grande valore e di coraggio e gesti di toccante solidarietà. Siamo qui per rendere loro onore, per ringraziare ancora le nostre Forze Armate, per rendere onore a tutti coloro che in questi luoghi, in queste trincee, patirono, soffrirono e morirono. E compirono gesti di grande valore e di grande coraggio. La logica crudele della guerra non riuscì a piegare il senso di fratel-

l’arroganza del proprio potere, il disprezzo per ogni forza morale che non fosse sorretta dalle armi”. Al papa si riconosceva un ruolo internazionale, era percepito come una figura sopra le parti. La crisi di Cuba Colpisce inoltre che la crisi di Cuba esploda proprio nei giorni in cui il mondo guarda con rinnovata speranza al futuro grazie all’inizio del Concilio Vaticano II, voluto con forza proprio da Giovanni XXIII. Ancora Gio-

lanza, amicizia e umanità. L'odio per il nemico non prevalse sulla pietà. I soldati italiani, in maggioranza contadini, provenienti da storie e regioni diverse, scoprirono per la prima volta, nel senso del dovere, nella silenziosa rassegnazione, nella condizione di precarietà, l'appartenenza a un unico destino di popolo e di nazione. Molti di loro, forse, non riuscirono mai a comprendere le ragioni di quella guerra. Ma nell'animo dei sopravvissuti rimase scolpito, accanto alle insanabili ferite, il senso di aver partecipato a un evento di fondamentale importanza per la vita della nazione. La coscienza nazionale, prima appannaggio ristretto di élites intellettuali, si allargava e si consolidava tra il fango delle trincee. Se, nel 1914, l’Europa si era trovata in armi quasi per un fatale e incontrollato succedersi di avvenimenti, il nostro Paese faceva ingresso nella prima guerra mondiale dopo un

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anno di trattative diplomatiche, giocate su due tavoli. La scelta ebbe grandi conseguenze, alcune delle quali, allora, difficilmente immaginabili. Dopo quella guerra nulla fu uguale a prima. Il terribile conflitto, che flagellò l'Europa per quattro anni, disgregò imperi e depose regnanti. Abbatté antichi confini, fece nascere nuove nazioni, cambiò radicalmente mentalità, sogni, consuetudini, linguaggi.


vagnoli: “Nel cuore e anche nel magistero di Giovanni XXIII, il Concilio e la pace erano due temi strettamente uniti. Se ricordiamo il famosissimo 'Discorso della luna', pronunciato la sera dell’11 ottobre 1962, c’è il senso emozionato di Giovanni XXIII davanti a un avvenimento che gli pareva talmente grande, per la sua portata mondiale, da creare una novità anche sul piano dei rapporti tra tutti gli esseri umani e, dunque, anche sul piano della pace”. L’esperienza drammatica della crisi di Cuba convince ancor più Giovanni XXIII dell’urgenza di un rinnovato impegno per la pace di tutte le persone di buona volontà. Mai come in quei 18 anni la guerra tornava ad essere una ipotesi concreta. L'intervento del papa, segretamente richiesto dai contendenti, sbloccò la grave crisi. Il Papa volle chiedere ai sovietici di far venire a Roma, per il Vaticano II i vescovi cattolici dell’Est, riaprendo i contatti tra il Vaticanoe il cattolicesimo sotto il potere sovietico. Del resto le direttive del Papa erano queste: “Esplorare tutte le vie del possibile, con rispetto e delicatezza…Far capire che la Chiesa e la Santa Sede non hanno mire di sorta, chiedendo solo protezione, libertà: questo dobbiamo far capire ai sovietici”. Da questa conLa guerra fu anche un grande fattore di modernizzazione, industriale, scientifica, sociale. Ma mai crescita di modernità fu pagata a così caro prezzo. Da un punto di vista umanitario fu una carneficina: vi persero la vita 10 milioni di militari e un numero indefinito di civili, vi furono milioni di feriti e di mutilati. Distrusse economie fiorenti, produsse lutti e devastazioni, fame e miseria. Sul piano geopolitico, le sue conseguenze - anzitutto, i trattati di pace troppo duri - costituirono i presupposti per nuovi e ancor più tragici eventi in Europa e nel mondo. Ci troviamo sul monte San Michele, in rappresentanza del popolo italiano e in memoria dei combattenti e delle vittime di tutto il conflitto per rendere loro onore, per ricordare queste sofferenze e il desiderio di pace. Questo è il significato dell'esposizione del tricolore in questa giornata. Sono oggi qui, con noi, gli ambasciatori di nazioni e popoli i cui soldati,

sapevolezza, nasce - nell’aprile del 1963 - l’Enciclica Pacem in Terris, quasi un testamento spirituale di Angelo Roncalli, che morirà dopo solo due mesi: “La Pacem in Terris è uno straordinario documento, frutto anche di un lavoro piuttosto complesso. Il Papa stesso intervenne, personalmente, nella redazione, proprio perché si trattava di qualcosa di nuovo, che era difficile esprimere e che invece il Papa voleva fosse chiaro a tutti”. Il papa colse lo scampato pericolo come la conferma che sul tema ultimo della salvezza storica dell'umanità e dell'intera creazione si poteva e doveva realizzare una convergenza di sforzi al di là delle frontiere ideologiche e degli interessi partigiani. Giovanni XXIII si convinse a ripensare il problema della pace nel mondo. Importanti e innovative furono le distinzioni tra grandi ideologie e movimenti storici, tra errore che va combattuto ed errante che va accolto e compreso. L’intervento del papa si è sviluppato in relazione ad una significativa evoluzione dei rapporti tra il Vaticano e l’Unione Sovietica imperniato su una netta contrapposizione sulla questione della libertà religiosa ma connotato anche da una qualche convergenza per quanto

allora, combattevano e morivano sull'altro fronte: l'Austria, l'Ungheria, la Slovenia e la Croazia. Oggi siamo popoli e nazioni legati da saldi vincoli di amicizia e di collaborazione e dal comune futuro europeo. Li ringrazio per la loro presenza che conferisce, a questa celebrazione, il suo senso più autentico, mettendo in evidenza l'aspirazione che ogni uomo nutre per la pace e per la fratellanza. Il San Michele è un luogo sacro. Su questa altura, di quota modesta, ma di straordinaria importanza strategica, si tennero furiosi combattimenti tra le truppe italiane e quelle austro-ungariche. I soldati dell'una e dell'altra parte combattevano e morivano, valorosamente, per la conquista o la difesa di pochi metri di terra, avanzando e arretrando di continuo. La distanza tra le trincee nemiche era qui ridottissima. Si poteva sentire il nemico parlare e respirare. Ogni metro di questa altura, "il gigante vestito di ferro", è costato

prezzi altissimi per entrambe le parti. Scriveva a proposito del San Michele il Sottotenente Luigi Passeri del 48° Reggimento Fanteria in una lettera ai familiari: «Quando penso che questo monte è stato conquistato a palmo a palmo ... loro sopra e noi sotto, e che siamo arrivati fino a presso le cime ... Ogni elemento di trincea, ogni linea, è stato preso e ripreso mezza dozzina di volte in assalti feroci ...». Su questo piccolo colle si è consumata una delle tante tragedie della guerra. Oggi, gli alberi e la vegetazione hanno pietosamente ricoperto le ferite che il conflitto aveva inferto al paesaggio. Ma ci sono voluti decenni. Per molto tempo questi luoghi, spogliati e devastati dalla furia delle artiglierie, non avevano più conosciuto la primavera. Ovunque da qui volgiamo lo sguardo, dalla cima del Monte Nero ed oltre fino al Rombon, al fiume Isonzo, alle alture del Carso, per ar-


riguarda la tutela della pace mondiale. Giovanni XXIII non appare quell’uomo ingenuo che spesso si è voluto descrivere ed è ben consapevole delle pesanti persecuzioni attuate dai regimi comunisti – in particolare dall’URSS di Khruscev – nei confronti dei credenti. Egli però intuisce che l’interesse sovietico a non fare precipitare le tensioni internazionali è reale e non intende disperdere le possibilità che ne scaturiscono per promuovere la pace. Altro aspetto di novità è il fatto che per la prima volta un documento della Chiesa si rivolgeva agli uomini di buona volontà e non solo ai vescovi, ai preti, alle suore e a tutti i cristiani. Dopo di allora tutte le encicliche sociali dei papi si sono rivolte agli uomini di buona volontà. La Costituzione conciliare sul mondo contemporaneo (la Gaudium et Spes) prese ispirazione dalla Pacem in Terris. Infatti nella prima parte si parla dei valori marivare a Monfalcone e al mare, possiamo osservare e riconoscere cime, vallate, luoghi che un tempo furono tristemente famosi, teatro di tante battaglie durissime. Quanto sangue versato, quanto dolore in questi luoghi! È passato un secolo dall'inizio della "Grande Guerra". La ricerca storica ha scandagliato a fondo tutti gli aspetti di quel tremendo conflitto: le strategie militari, le responsabilità della politica e della diplomazia, la propaganda, il contributo degli intellettuali, l’industria degli armamenti, l'economia di guerra. Più di recente si è data voce, attraverso la pubblicazione di epistolari e diari, agli anonimi fanti di trincea, talvolta semi-analfabeti, alle loro speranze e alle loro paure. Si è messo in luce il contributo delle donne rimaste a casa, a vegliare sui figli, o andate in fabbrica o nei campi, a sostituire i mariti che si trovavano al fronte. La Prima Guerra Mondiale è un

teriali e spirituali della persona umana, dei valori individuali e collettivi: si parla della famiglia, non della famiglia cristiana, si parla della cultura, non della cultura cristiana. La Pacem in terris è essa stessa un segno dei tempi: ha aiutato a capire che cosa è la guerra e che cosa è la pace. La pace non è solo il tacere delle armi ma si fonda su quattro grandi pilastri: la verità, la giustizia, l'amore (solidarietà), la libertà. Per papa Giovanni la verità è quella dell'uomo, della persona nella sua complessità e diversità.

campo sterminato di ricerca. Ci sono capitoli ancora da approfondire. Pensiamo alle sofferenze delle popolazioni del Friuli e di parte del Veneto durante l'occupazione dopo Caporetto. All'altra guerra, quella della minoranza italiana dell'Impero Austroungarico: 100 mila trentini e giuliani spediti a combattere contro i russi nelle lontane terre di Galizia. Non dobbiamo avere paura della verità. Senza la verità, senza la ricerca storica, la memoria sarebbe destinata a impallidire. E le celebrazioni rischierebbero di diventare un vano esercizio retorico. In Italia, nonostante sia passato un secolo, la memoria di quella guerra, la “Grande Guerra”, è ancora sentita, e vanno ringraziati Onorcaduti e le Associazioni che tengono viva la memoria di tanti luoghi che è bene ricordare perché lì si è spiegata, con grande valore e con grande impegno, l'attività del nostro esercito e delle nostre Forze Armate.

Non c'è comune, per piccolo che sia, che non abbia il suo monumento ai caduti. Non c'è famiglia che non abbia una storia da raccontare o da tramandare. Rivestono grande significato i tanti progetti di ricerca su quegli anni di guerra impostati e realizzati da giovani studenti. Il ricordo di tanto sacrificio non deve sbiadire. Le atroci sofferenze, inflitte e ricevute, non devono essere rimosse. Il conflitto 1914-18 fu una tragedia immane che poteva essere evitata. La guerra, ogni guerra, porta sempre con sé sofferenza, distruzione e morte. I caduti, di ogni nazione e di ogni tempo, ci chiedono di agire, con le armi della politica e del negoziato, perché in ogni parte del mondo si affermi la pace. Si tratta del modo più alto per onorare, autenticamente commossi, il tanto sangue versato su queste pendici martoriate. È questo il monito, severo e accorato, che tutti avvertiamo, qui, sul San Michele.


Un saluto da Pogragec- Albania degli italiani in guerra (11 ottobre 1940) ris nel dibattito sulla convivenza internazionale ha contribuito al cambiamento di mentalità ripiegate da anni, tanto da individuare il genere umano come soggetto politico avente per fine il bene comune universale, bisognoso di un'autorità mondiale, e la necessità di rifondare la democrazia sulla giustizia economica.

Il punto centrale dell’enciclica segna anche la svolta nelle relazioni tra i popoli: è la distinzione già citata tra errore ed errante, corredata dall'intuizione che, se ogni teoria, anche falsa, è rigida, il movimento storico da essa ispirato è suscettibile di valori e mutamenti anche profondi. La distinzione tra errore ed errante ebbe un'influenza storica decisiva, non solo per il disgelo tra Santa Sede e regimi comunisti, ma soprattutto perché apriva al mondo lo strumento della “medicina della misericordia” più che la facile scorciatoia della condanna. La permanenza dei temi della Pacem in ter-

La “guerra giusta” aliena dalla ragione Ma anche il congedo della dottrina della “guerra giusta”, considerata “aliena dalla ragione” in età atomica e lo sviluppo della cultura della pace per il disarmo “della

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quale mezzo per provvedere alla vita propria e dei figli”.(Art. 25). “L’uomo ha il diritto di riunione e di associazione e di conferire alla medesima la struttura che ritiene idonea a perseguire gli obiettivi prefissati (N. 11). Come pure ha il diritto di libertà di movimento e di dimora nell’interno della comunità politica di cui è cittadino e la verità di immigrare, quando legittimi interessi lo consiglino, in altre comunità politiche e stabilirsi in esse”.(N. 12). “L’uomo, come tale, lungi dall’essere l’oggetto e un elemento passivo nella vita sociale, ne è invece e deve esserne e rimanerne il soggetto, il fondamento e il fine” (N. 13) (Art. 27). E’ indissolubile il rapporto fra diritti e doveri nella stessa persona. Ad ogni diritto appena descritto corrisponde un dovere ed hanno entrambi nella legge naturale che li conferisce o che li impone, la loro radice, la loro forza indistruttibile. Il diritto, per esempio, di ogni essere umano all’esistenza è connesso con il suo dovere di conservarsi la vita.(N. 14) (Artt. 29-41). E’ chiaro, quindi, che nella convivenza umana ogni diritto naturale in una persona comporta un rispettivo dovere in tutte le altre persone: il dovere di riconoscere e rispettare quel diritto. Pertanto, coloro che rivendicano i propri diritti dimenticando i rispettivi doveri, corrono il pericolo di costruire con una mano e di distruggere con l’altra” (N. 15). “Gli esseri umani, essendo persone, sono sociali per natura. Sono nati per convivere quindi e operare per il bene degli altri. Ciò richiede che la convivenza umana sia ordinata e che quindi i vicendevoli diritti e doveri siano riconosciuti e promossi. Ciò significa che nelle singole comunità ciascuno deve farsi carico di venire incontro alle esigenze dei più deboli prima ancora che essi si trovino nella condizione di dover chiedere aiuto” (N. 16). (Questo è un modo per realizzare la sussidiarietà).“Perché tutto questo si realizzi nel rispetto della dignità della persona, è necessario che la medesima operi consapevolmente e liberamente, per convinzione in attitudine di responsabilità e non in forza di pressioni o forzature” (N. 17). La diplomazia della Santa Sede – soprattutto nella seconda metà del XX secolo – è stata al centro di un

HA SCRITTO

L’orrore di Srebrenica e le nostre colpe “Vent’anni fa, nel 1995, si scrisse l’ultima atroce pagina del ‘900. A Srebrenica nell’ex Jugoslavia, oltre ottomila uomini musulmani bosniaci furono massacrati su ordine del comandante serbo Madic. L’opinione pubblica allora fu disattenta, oggi in molti faticano a ricordare dov’erano quell’11 luglio”. Donatella Di Cesare, Corsera, sabato 11 luglio 2015, p.1

psicosi bellica”, restano delle sfide dottrinali e politiche presenti negli anni successivi. Un primo elemento posto a fuoco nell’enciclica è quello della vedere il richiamo che Giovanni XXIII nell’Enciclica fa della Dichiarazione universale dei diritti della persona. Sembra utile riportarne alcuni passi: “Ogni essere umano ha diritto all’esistenza e a un tenore di vita dignitoso, ha il diritto al rispetto della sua persona e ha diritti riguardanti i valori morali e culturali” (N. 7) (Artt. 3-4-5), “Ha il diritto di onorare Dio secondo il dettame della sua coscienza, ha il diritto al culto di Dio privato e pubblico” (N. 8) (Art. 18)., ha il diritto alla libertà nella scelta del proprio stato”.(N. 9) (Art. 16)., “Ha il diritto al lavoro - (N. 10) e (Art. 23) –

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grande interesse degli analisti internazionali e degli storici contemporaneisti venendo considerata quasi la più antica diplomazia del mondo, così disse un diplomatico latino-americano suscitando l’ilarità di Tardini, Segretario di Stato di Giovanni XXIII. Roncalli è figlio di questa tradizione e viene da chiedersi come questa diplomazia di pace sia maturata nella Chiesa tanto da fare del cattolicesimo una realtà particolare rispetto alle altre chiese cristiane, non solo e non tanto per le esigenze di pace ma per il fatto di perseguirle su vari piani: dal messaggio religioso alla riflessione sulla guerra e sulla pace in contatto con cristiani e non cristiani, sino a costruire una vera azione diplomatica con una rete diplomatica. Il cardinale Agostino Casaroli, Segretario di Stato, durante i pontificati di Giovanni XXIII e Paolo VI è stato il protagonista della politica di attenzione e di apertura verso il blocco comunista, negli anni difficili della guerra fredda, chiamata Ost-politik vaticana. Il suo approccio avviato nel 1963 con le autorità dell'Ungheria e della Cecoslovacchia ebbe l’obiettivo di portare a Roma il cardinale Josef Mindszenty, arcivescovo di Esztergom e primate d'Ungheria, rinchiuso dal 1956 nell'ambasciata americana di Budapest; nel secondo, ottenere la libertà di monsignor Beran, arcivescovo di Praga. La sua attività diplomatica si estese con la ripresa dei rapporti con il governo di Tito in Jugoslavia, dopo la rottura del 1952; senza dimenticare il laborioso e complesso negoziato con la Polonia, iniziato nel 1965, e quello con la Bulgaria. L’azione di Casaroli ben si inserisce e si accorda con il pensiero e l’azione che troviamo nelle pagine della Pacem in Terris di Giovanni XXIII e svela un itinerario diplomatico assieme alla sensibilità e acutezza di Giovanni XXIII e di Paolo VI poi, pontificati legati assieme dallo straordinario evento del Concilio Vaticano II. La diplomazia del papa è quella del “padre comune”, per usare una espressione che torna sovente nei documenti e nel linguaggio della S. Sede. Leone XIII ebbe il merito di non aver rinunciato alla diplomazia vaticana dopo il 1870. La diplomazia del “padre comune” non si limita ai cattolici e papa Pecci dichiara nell’enciclica Annum Sacrum, alla fine del XIX secolo: “L’impero di Cristo non si estende soltanto sui popoli cattolici o a coloro che , rigenerati nel fonte battesimale, appartengono, a rigore di diritto alla Chiesa, sebbene le erronee opinioni li allontanino o il dissenso li divida dalla carità; ma abbraccia anche quanti sono privi della fede cristiana, di modo che tutto il genere umano è sotto la potestà di Gesù Cristo”. Nel Novecento la diplomazia della pace si urta spesso

con le passioni nazionali dei popoli, come si vede nelle guerre mondiali. Jean Marc Ticchi ha studiato le mediazioni, i buoni uffici e gli arbitrati della Santa Sede, a partire da Leone XIII e dall’episodio più riuscito, la controversia sulle Isole Caroline tra la Spagna e la Germania. Questi interventi sono stati considerati, in modo eccessivo, come strumenti per l’affermazione della Santa Sede quale soggetto internazionale: ma hanno un loro valore nel proporre un’azione di pace preventiva su questioni territoriali, in Africa o in America Latina, su problemi umanitari, come l’intervento presso il Negus per gli italiani, nei confronti della Sublime Porta e via dicendo. Infine, alla conclusione di questo breve excursus su vicende così di rilievo per la storia del XX secolo, vorrei concludere con alcune parole del Segretario di Stato di Giovanni XXIII e di Paolo VI pronunciate ai rappresentanti del Corpo Diplomatico presso la S. Sede nel gennaio del 1980, sul ruolo ed il senso dell’azione diplomatica che, a tanti anni di distanza, mi sembra conservino la vivacità e la ricchezza di un contributo per contribuire ad un mondo in pace da parte di credenti e non credenti: “Questo resta, senza dubbio, il maggior titolo di nobiltà e di utilità del servizio diplomatico; l’essere strumento di pace. 56


loro caratteristica, prevederne i probabili sviluppi e indicare le possibili vie, per orientarli in senso positivo o, almeno, meno negativo, cercando così di influire sulle decisioni dei Governi. Sul piano operativo, spetta poi ai diplomatici cercar di mantenere in loco, con i Governi presso i quali rappresentano il proprio, relazioni corrette e che consentano più possibile, anche nei momenti di peggiore deterioramento delle situazioni, quel dialogo che deve permettere alla ragione e alla volontà di pace di far ascoltare la propria voce, prima che essa debba esser forse, malauguratamente, soffocata da quella delle armi. Ecco un compito grande e difficile, ma che deve essere affrontato con una decisione e un coraggio tenaci ed instancabili che, in certi momenti, può diventare persino eroico. La Santa Sede, per parte sua e per il tramite dei propri Rappresentanti, sparsi nel mondo, non mancherà di compiere tutto il proprio dovere in questo campo. Ed a voi si rivolge, come ai suoi naturali alleati, in un'azione di interesse cosi vitale per i Vostri Paesi e per il mondo. Nel ripetervi, quindi, il ringraziamento mio e dei miei collaboratori per il vostro gentile invito, brindo alle vostre persone e alla vostra attività, ai vostri Paesi, i loro Capi di Stato e i loro Governi; e v'invito ad alzare, insieme a noi, il vostro bicchiere e il vostro cuore, vorrei

La S. Sede non può che guardare ad esso con tutta la simpatia e con speranza: soprattutto quando, come oggi, oscure nubi si addensano sull'orizzonte e il mondo, stupito e quasi incredulo, sente, con improvvisa angoscia, di dover seriamente trepidare per la pace. Come, in simili situazioni, la Santa Sede, che della pace ha, per usare una vecchia e cara espressione di Paolo VI, “la passione”, potrebbe non richiamare gli operatori della diplomazia, a riflettere seriamente e ad agire vigorosamente per stornare la minaccia? Né il richiamo vale solo per la diplomazia delle grandi Potenze, sulla quale grava, naturalmente, il peso delle più gravi responsabilità. Oggi, e per l'appartenenza anche di quelle che possono, in ceto senso, considerarsi fra le minori Potenze, ad alleanze di blocco, o per il loro confluire nel grande movimento del non-allineamento, e, se non altro, per la voce e il voto che hanno nei consessi internazionali – primo fra tutti l’ONU — hanno la possibilità, e quindi la responsabilità di agire, in favore (o, purtroppo, anche a danno) della pace. È vero che le grandi decisioni non toccano alla diplomazia, ma al potere politico. Ma spetta agli agenti diplomatici, innanzitutto conoscere esattamente, dal loro luogo di osservazione, l’evolversi delle situazioni; studiarne le cause, con la profondità che la loro privilegiata posizione permette e con 1’oggettività che deve essere

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anzi permettermi d'esortare ad elevare anche la nostra comune preghiera, perché l'umanità sappia saggiamente non abbandonare il cammino della pace — una pace solida, giusta, duratura — e continuare a consacrare le sue preziose energie di mente, il suo dominio di tecniche sempre più avanzate, non a scopi di distruzione, ma per gettarle vittoriosamente nelle nobili battaglie per la sempre maggiore e migliore elevazione, materiale, culturale, spirituale di tutti i popoli e di tutti gli uomini”. Il lungo pontificato di Giovanni Paolo II Il pontificato di papa Woityla, uno dei più lunghi della storia della Chiesa, segna una svolta importante per la storia dei decenni a cavallo tra due secoli e due millenni. Con la fine del pontificato di Paolo VI era scontato discutere sulla crisi della Chiesa e sull’imminente fine della centralità della vita religiosa nel mondo occidentale. Gli ultimi venticinque anni del secolo sembravano segnare la crisi definitiva del cristianesimo in Europa. La fine del pontificato di Paolo VI era segnata dal volto preoccupato di papa Montini di fronte alla crisi delle vocazioni della Chiesa e alla contestazione nei confronti del papato che toccava molti ambienti, ben oltre i confini della contestazione ecclesiale. Il grido angosciato della preghiera di Paolo VI ai funerali di Aldo Moro in S. Giovanni in Laterano nel 1978 divenne il simbolo di questa crisi. Molti analisti si soffermarono a descrivere la marginalità crescente del cristianesimo nella evoluta società occidentale che si avviava ad assumere sempre più caratteristiche di laicità. Pochi si accorsero che solo l’anno successivo la rivoluzione iraniana fu marcata da una figura religiosa che da Parigi fece un’entrata trionfante a Teheran dopo la rivoluzione contro il re di Persia: Komeini. La storia subiva allora – e negli anni immediatamente successivi - una prima di tante accelerazioni che molti non si

aspettavano. L’anno prima era divenuto papa Karol Woytila, un vescovo polacco, primo papa non italiano dopo secoli ma, soprattutto, il primo papa che veniva dall’Est, da “oltre cortina” come si soleva dire in quegli anni in cui l’Europa era segnata da una profonda divisione tra occidente e Paesi retti dall’ideologia comunista. Giovanni Paolo II sarebbe stato il principale artefice della fine - inaspettata per tutti solo undici anni dopo del sistema comunista nel continente europeo. Il suo grido rivolto a tutti gli uomini al momento della sua elezione “Non abbiate paura”, mosse le coscienze di tanti e suscitò un movimento, prima sotterraneo e successivamente sempre più evidente che portò al cambiamento pacifico per una nuova Europa. Solo in Romania ci fu un colpo di stato che portò alla esecuzione sommaria di Ceausescu e la moglie. In tutti gli altri Paesi della Unione Sovietica vi fu una evoluzione che ha del miracoloso e portò alla nascita dei nuovi Stati senza nessuna rivoluzione violenta. Una seconda accelerazione fu “lo Spirito di Assisi”: Giovanni Paolo II il 27 ottobre 1986 invitò ad Assisi i rappresentanti di tutte le religioni per pregare per la pace nel mondo: è stato il primo gesto che ha posto, di nuovo in maniera fortemente simbolico, la religione come protagonista della storia degli uomini. La Chiesa, alla fine del secondo millennio, si mostrava in grado di parlare alle donne e agli uomini del nuovo millennio. Con papa Francesco, siamo al 2013, si sta vivendo una nuova rivoluzione di cui non sono ancora noti i confini e gli orizzonti. Con il viaggio in Terra Santa del 25 e 26 maggio 2014, papa Francesco ha rilanciato la sfida religiosa nel conflitto più carico di significati nel mondo attuale: ha invitato nella sua casa a Roma i due presidenti, Peres e Abu Mazen, per pregare per la pace. È una provocazione, un segnale forte che sicuramente è carico di speranza per il futuro e che può essere una via – di cui non siamo ancora del tutto consapevoli - in direzione del raggiungimento di una pace. Ma c’è una certezza: se in Medio Oriente arriva la pace, tutto il mondo trarrà beneficio da questa pace. Siamo al termine di questo lungo cammino in cui si sono messi in evidenza alcuni degli avvenimenti in cui le generazioni di questo secolo sono nate, cresciute e morte. Si è compiuta una scelta nel descrivere alcune delle vicende di questi cento anni. Questo particolare viaggio dentro un secolo di storia, il nostro secolo, è segnato da una concreta speranza: il secolo che è nato con una guerra, termina con la speranza di un futuro nuovo grazie a papa Francesco. 4- IL FINE I PRECEDENTI ARTICOLI SONO STATI PUBBLICATI NEI NUMERI DI LUCE SERAFICA 2-3- 2014 E 1- 2015. 58


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Ecuador Bolivia Paraguay Il viaggio più lungo

Ecuador. Il progetto della “Carta de niñas” per tutelare i diritti delle bambine

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re Paesi – Ecuador, Bolivia e Paraguay – sette trasferimenti aerei, ventidue discorsi, migliaia e migliaia di persone incontrate. La visita di Papa Francesco in America Latina, nono viaggio internazionale del pontificato, dal 5 al 13 luglio, aveva come tema unitario la gioia di annunciare il Vangelo e si preannunciava carico di aspettative. “Per capire l’importanza di questo viaggio, il più lungo del Pontificato, forse dobbiamo riferirci alle stesse parole del Papa: quelle parole da lui pronunciate in San Pietro, nella Basilica di San Pietro, il 12 dicembre dello scorso anno, in occasione della solennità di Nostra Signora di Guadalupe- ha detto il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato. Papa Francesco riprendeva la famosa espressione del suo predecessore, San Giovanni Paolo II, quando definiva l’America Latina il continente della speranza. E spiegava così: “Perché il continente della speranza? Perché da essa si è attendono nuovi modelli di sviluppo che coniughino tradizione cristiana e progresso civile, giustizia ed equità con riconciliazione, sviluppo scientifico e tecnologico con saggezza umana, sofferenza feconda con gioia speranza”. Questa, la fisionomia dell’America Latina e anche dei tre Paesi che il Santo Padre ha visitato.

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◊ Il 78% dei minori in Ecuador ha subito maltrattamenti all’interno delle loro famiglie. Per far fronte a questa piaga, i delegati dell’organizzazione delle Nazioni Unite "Plan International" hanno lanciato un progetto che prevede che i bambini scrivano lettere nelle quali descrivono le loro situazioni. L’obiettivo di “Carta de niñas” – riferisce l’agenzia Fides – è rendere visibile il problema e alimentare l’interesse e l’impegno della società per un futuro libero dalla violenza. Secondo le stime del Ministero degli Interni, il 18% delle donne che subiscono violenza in Ecuador ha subito abusi per la prima volta all’età di 10 anni. “Carta de niñas” segue la linea del progetto “Cartas de Mujeres”, con il quale sono state raccolte oltre 10 mila lettere scritte da donne equadoregne, che hanno raccontato storie di violenza fisica e psicologica, oltre a un infinito numero di abusi subiti. Questo progetto è partito a novembre dello scorso anno con l’obiettivo di trasformare le disuguaglianze tra uomini e donne e ha consentito di interrompere il lungo silenzio delle vittime che subiscono aggressioni dai mariti o dai familiari, con dolorose conseguenze. “Cartas de niñas” si propone lo stesso obiettivo: un anno di lettere, disegni o video con denunce, sogni e aspirazioni delle minori, riunite in laboratori o attraverso altre iniziative che garantiscano in particolare la loro privacy. Gli organizzatori analizzeranno il contenuto delle lettere per sensibilizzare la popolazione sull’argomento e per formulare politiche pubbliche specifiche per le bambine. Secondo dati ufficiali e di organismi privati, Plan International ha rivelato che in Ecuador il 41% delle bambine ha sofferto qualsiasi tipo di maltrattamento a scuola, e in generale gli abusi estremi colpiscono il 32% delle bambine tra 5 e 17 anni, rispetto al 30% dei bambini. Inoltre, il 69% delle bambine è stato vittima di violenza di genere, in particolare di abuso sessuale, e negli ultimi 20 anni le gravidanze tra le adolescenti di 15 e 17 anni è aumentato dell’81% con 64 mila madri adolescenti.


Di fronte alle grandi sfide “Ho chiesto al Signore che lo Spirito di Gesù, Buon Pastore, mi guidasse nel corso del Viaggio apostolico che ho compiuto nei giorni scorsi in America Latina e che mi ha permesso di visitare l’Ecuador, la Bolivia e il Paraguay.Ringrazio Dio con tutto il cuore per questo dono. Ringrazio i popoli dei tre Paesi per la loro affettuosa e calorosa accoglienza ed entusiasmo. Rinnovo la mia riconoscenza alle Autorità di questi Paesi per la loro accoglienza e collaborazione. Con grande affetto ringrazio i miei fratelli Vescovi, i sacerdoti, le persone consacrate e tutte le popolazioni per il calore con cui hanno partecipato. Con questi fratelli e sorelle ho lodato il Signore per le meraviglie che ha operato nel Popolo di Dio in cammino in quelle terre, per la fede che ha animato e anima la sua vita e la sua cultura. E lo abbiamo lodato anche per le bellezze naturali di cui ha arricchito questi Paesi. Il Continente latino-americano ha grandi potenzialità umane e spirituali, custodisce valori cristiani profondamente radicati, ma vive anche gravi problemi sociali ed economici. Per contribuire alla loro soluzione, la Chiesa è impegnata a mobilitare le forze spirituali e morali delle sue comunità, collaborando con tutte le componenti della società. Di fronte alle grandi sfide che l’annuncio del Vangelo deve affrontare, ho invitato ad attingere da Cristo Signore la grazia che salva e che dà forza all’impegno della testimonianza cristiana, a sviluppare la diffusione della Parola di Dio, affinché la spiccata religiosità di quelle popolazioni possa sempre essere testimonianza fedele del Vangelo. PAPA FRANCESCO Angelus 18 luglio 2015

Il Documento di Aparecida - ha chiesto la giornalista Barbara Castelli al Cardinale Segretario di Stato – “ha in sé i punti salienti del Magistero di Papa Francesco: il primato della grazia, la misericordia, il coraggio apostolico … Quale ruolo gioca o può giocare questa parte di mondo nella Chiesa e quali impulsi può offrire alla politica mondiale?”. Certo, “il continente latino-americano è un continente in movimento, dove sono presenti trasformazioni, cambiamenti a livello culturale, a livello economico, a livello politico. Durante questi decenni ha potuto godere di una fase molto positiva, che ha permesso a molte persone di emergere dalla povertà, di emanciparsi dalla miseria e dalla povertà estrema e di incorporarsi progressivamente anche nel ceto medio. D’altra parte, ci sono anche accentuati fenomeni di urbanizzazione - ad esempio, se pensiamo alle megalopoli dell’America Latina - e altri fenomeni legati un po’ alla globalizzazione, che si percepisce in modo evidente anche in questa parte del mondo. Allora, di fronte a questi scenari che portano anche a una progressiva secolarizzazione della società latino-americana, anche se in forme che non sono semplicemente omologabili con la secolarizzazione del mondo occidentale, ecco di fronte a questi nuovi scenari la Chiesa ha scelto la via della conversione pastorale, ha scelto la via della missionarietà, dell’impegno missionario e, in questo senso, può diventare anche paradigmatica per molte altre parti del mondo. E direi che questo è il contributo e lo vediamo anche nel Magistero del Papa: questo Magistero che fonda le sue radici

proprio su Aparecida e che viene proposto oggi all’intera Chiesa universale. E da un punto di vista politico, direi che l’America Latina può essere vista come un vero e proprio laboratorio, dove si stanno cercando e si stanno sperimentando nuovi modelli di partecipazione, forme più rappresentative che diano voce anche a delle fasce di popolazione che fino ad ora – forse – non erano state sufficientemente ascoltate. E una via è la ricerca di una via propria alla democrazia, che tenga conto delle peculiarità di questi Paesi e che sappia coniugare la partecipazione di tutti: quindi il pluralismo; quindi 60


le libertà, le libertà fondamentali; e quindi il rispetto dei diritti umani”. ECUADOR: SANA E VERA LAICITÀ “In Ecuador, la Chiesa gioca un ruolo fondamentale nella formazione della società civile, soprattutto ponendosi come coscienza critica di fronte ai sempre ricorrenti tentativi di minare l’istituzione della famiglia e la sacralità della vita. Quali sono le difficoltà che incontra oggi la Chiesa ecuadoriana e cosa si aspetta da questo viaggio?”. A questa domanda di Barbara Castelli, il porporato cos’ rispondeva:” “La Chiesa – in generale – continua a esercitare un ruolo profetico di fronte a quelle che il Papa stesso ha definito le ‘colonizzazioni ideologiche’, vale a dire questi tentativi di imporre modelli, che non solo non sono adatti all’ethos e alle tradizioni delle popolazioni, ma molte volte tendono proprio a sovvertirli. E un po’ il fronte della famiglia e della vita; è il fronte principale in cui queste colonizzazioni ideologiche cercano di imporsi. Allora la Chiesa dovrà continuare a predicare il Vangelo, che è appunto una buona notizia anche nei confronti della famiglia e della vita, nella situazione in cui si trova. Ed è anche il compito della Chiesa in Ecuador. L’anno scorso, nel 2014, i vescovi hanno pubblicato una lettera pastorale in cui hanno cercato di descrivere quale sia il ruolo della Chiesa nella società e hanno cercato di definire anche cosa si intenda per una sana laicità, per una vera laicità. La Chiesa domanda soltanto la possibilità di esercitare la propria missione, che contribuisce al bene della società, che contribuisce al dibattito democratico, che contribuisce alla promozione di ogni persona umana e soprattutto dei gruppi più vulnerabili”.

più inclusiva dei poveri, alla lotta contro leforme estreme di povertà perché sia riconosciuta la dignità di ogni persona; e poi anche il rispetto diquella che è l’identità culturale di ogni Paese, contro questa tendenza della globalizzazione a uniformare tutto; e di evitare che anche i rapporti sociali siano commercializzati, ma rimangano con la loro caratteristica di ricchezza di ogni partecipante”. PARAGUAY : LA FAMIGLIA Infine, la terza tappa del viaggio, il Paraguay, dove Papa Francesco si è fatto pellegrino e missionario – come hanno detto i vescovi del Paese annunciando la visita – che desidera accompagnare il popolo nel suo triennio dedicato all’evangelizzazione della famiglia. Dunque, la famiglia torna a essere al centro dell’attenzione … Anche in questo caso – ribadiva Parolin - ritorna questa centralità della famiglia. Il Papa si inserisce nel cammino delle Chiese locali. Anche qui vuole mettersi al fianco della Chiesa del Paraguay nel suo itinerario catechetico e missionario, che in questo triennio sarà centrato soprattutto sulla famiglia. Una famiglia che rispecchia la famiglia latinoamericana, con tanti valori. In Paraguay le famiglie sono ancora solide e numerose. E’ uno dei paesi più giovani del mondo. E poi vorrei sottolineare anche l’impegno del Paese proprio a livello costituzionale per il rispetto della vita, dal suo inizio alla sua fine, ma che naturalmente presenta anche tante debolezze. Per esempio, le famiglie uni- genitoriali, dove la mamma è sola e praticamente porta tutto il peso della famiglia; il tema della disoccupazione o della sottoccupazione, che evidentemente compromette la stabilità e la vita normale delle famiglie; il tema anche della droga, che destabilizza molte famiglie. Di fronte a questa situazione, il Papa vuole essere una presenza di vicinanza a tutte le famiglie, soprattutto a quelle che soffrono per uno di questi motivi e di incoraggiamento per andare avanti.

BOLIVIA: ATTENZIONE AI POVERI In Bolivia – sottolineava Barbara Castelli- Papa Francesco “è stato accolto dal presidente Evo Morales, con il quale condivide diverse preoccupazioni: attenzione ai poveri, in un contesto mondiale dominato dalla finanza e tutela ambientale. E’ stata questa l’occasione per ribadire le responsabilità della comunità internazionale?” “ Il Papa – ricordava il Cardinale Parolin- lo ha già espresso in molti suoi interventi e soprattutto nell’ultima Enciclica, Laudato si’. Ed allora quali sono questi inviti? L’invito alla salvaguardia del creato, della ‘casa comune’, come la chiama il Papa; l’invito alla giustizia sociale; l’invito a ricercare una pace che sia rispettosa dei diritti di tutti; l’invito a una società che sia

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Usa-Cuba: riaperte ambiasciate Bandiera cubana sventola a Washington

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ono state ufficialmente riaperte le ambasciate di Stati Uniti e Cuba all’Avana e a Washington: gli edifici che ospitano le sezioni di interesse nei due Paesi hanno infatti riacquistato automaticamente il loro status di ambasciate alle 6.01, ora italiana, di lunedì 20 giugno come risultato di un accordo annunciato il 30 giugno scorso, dopo lo spiraglio aperto nel dicembre 2013 dalla storica stretta di mano tra il presidente statunitense Barack Obama e l’omologo cubano Raúl Castro alle commemorazioni in Sudafrica per la morte di Nelson Mandela. A Washington, la bandiera cubana è stata issata al Dipartimento di Stato, accanto agli stendardi di altri Paesi; in programma anche una cerimonia alla presenza del ministro degli Esteri cubano Bruno Rodriguez, nella prima visita di un capo della diplomazia del governo castrista dal 1959. Le relazioni diplomatiche furono interrotte nel 1961. All’Avana, per il 14 agosto, la visita del segretario di Stato Usa, John Kerry. Sull’importanza della riapertura delle ambasciate, Massimo De Leonardis, docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università Cattolica di Milano, ha così risposte alla domande rivoltegli da Giada Aquilino: La diplomazia, intesa come arte di condurre la politica internazionale, è evidentemente un riflesso della politica estera. Se migliorano i rapporti di politica estera tra due Paesi, è ovvio che si debbano riprendere anche le relazioni diplomatiche. Direi che dal punto di vista formale è la prima misura da prendere, uno dei primi segni formali di miglioramento dei rapporti. Invece la rottura delle relazioni è una misura che andrebbe presa con estrema cautela. In questi ultimi anni come sono cambiati i rapporti tra Stati Uniti e Cuba? Credo che da entrambe le parti ci siano state delle evoluzioni. Come ha ammesso Obama, la politica di chiusura con le sanzioni non è servita a molto. Dall’altra parte, certamente il mutamento non è rilevante ma il passaggio del comando da Fidel Castro al fratello Raúl segna una timida apertura, un minimo di liberalizzazione dal punto di vista economico, mentre è tutta da vedere ancora la questione dei diritti umani. La grossa domanda, insomma, è cosa succederà nel ‘dopo’ Raúl Castro.

Si tratta di relazioni piene o manca ancora qualcosa? Ad esempio la revoca dell’embargo statunitense a Cuba … Le relazioni diplomatiche, da un punto di vista formale, sono relazioni piene e qui siamo sul piano della ‘tecnica dei rapporti’, dal punto di vista del diritto internazionale. Dal punto di vista più strettamente politico, certo, manca la revoca dell’embargo, ma questo è un altro campo. Facciamo l’esempio della Russia: tra la Russia e gli Stati Uniti le relazioni diplomatiche non sono mai state interrotte, ma in questo momento Mosca è sottoposta a pesanti sanzioni. Quindi sono due aspetti, due piani diversi. Direi che la ripresa delle relazioni diplomatiche è il minimo, dal punto di vista formale, per segnalare la normalità di una situazione. Tra l’altro è necessario il voto del Congresso per togliere l’embargo imposto nel 1962… Esatto, mentre invece questo non è necessario per la ripresa delle relazioni diplomatiche. Penso che, per la questione dell’embargo, bisognerà aspettare la ripresa dei lavori congressuali in autunno e ci dovrà essere qualche segnale ulteriore nei campi economico e dei diritti umani a Cuba. E naturalmente questa questione rientrerà nel pacchetto di misure di politica estera che Obama ha preso: la più importante è la normalizzazione dei rapporti con l’Iran; ma sembra che la maggioranza del Congresso sia quantomeno perplessa. Nel viaggio di ritorno dall’America Latina, parlando delle relazioni tra Stati Uniti e Cuba, Papa Francesco ha detto che entrambi i Paesi nel negoziato “perde62


ranno qualcosa e guadagneranno qualcosa”, sicuramente “in pace e amicizia”. Cosa ne pensa? In un negoziato certamente bisogna sempre raggiungere un punto di compromesso. In questo caso, ritengo che dal punto di vista americano la concessione sarà la rinuncia a un puntiglio, a una chiusura formale molto dura nei confronti di Cuba. Ma certamente le concessioni sostanziali nel lungo periodo dovrà farle Cuba, perché dovrà aprirsi a una prospettiva di liberalizzazione.

E il ruolo della Chiesa in questo ravvicinamento qual è stato? Il Papa ha detto: “noi non abbiamo fatto quasi nulla, solo piccole cose”… Questo lo potranno dire gli storici del domani, ma oltre al ruolo della Santa Sede, bisogna pensare anche al ruolo della Chiesa a Cuba, che certamente ha favorito questa apertura. E poi non dimentichiamo che ben due Pontefici – Giovanni Paolo II e Benedetto XVI- prima di Papa Francesco, che la visterà il 19- 20 e 21 di settembre, erano già stati a Cuba.

Da città del Messico a L’Avana Quando Fidel aveva 29 anni da Città del Messico

JOSÉ GUILLERMO GUTIÉERREZ FERNÁNDEZ NOSTRO SERVIZIO SPECIALE

Ora che Papa Francesco si recherà a Cuba – 19-22 settembre- come pellegrino di pace e di riconciliazione, come a voler sigillare idealmente la sua opera di Pontifex, andando agli States come migrante proveniente da Cuba, tendendo così un ponte dalla Avana a Washington, vengono alla luce tanti episodi poco conosciuti della vicenda storica dell’Isola, come quella accaduta più di sessanta anni in Messico, che Fidel Castro (a sinistra) e Ernesto Guevara nella stessa cella a Città del Messico nel giugno del ‘56 avrebbe potuto cambiare la storia. Forse poche persone in Italia sano che Fidel Castro sbarcava a Cuba proveniente dal Messico, dove era vissuto per qualche anno, prima di dare inizio alla sua rivoluzione. Infatti, come si evince dai documenti segreti di più di sessanta anni e declassificati di recente dal Archivio Generale della Nazione Messicana, nel 1955 Fidel Alejandro Castro Ruz era in Messico insieme ad altri cubani e all’ argentino Ernesto Guevara de la Serna, per preparare il ritorno a Cuba. Questi due personaggi non sarebbero passati alla storia come il “Líder máximo” e il mitico “Che Guevara” se non fosse stato per il capitano della polizia Fernando Gutiérrez Barrios. Infatti fu quest’ultimo, capo dei servizi segreti messicani che la notte del 21 giugno 1956, li fecce arrestare nell’ incrocio fra Mariano Escobedo e Kepler. Tutto accade rapidamente. Cinque uomini arrivano in una macchina, tre di loro scendevano dalla Packard verde, uno alto, corpulento baffetto ben curato e passo deciso. Gli agenti della polizia sapevano che era lui il líder e li andavano incontro. Lui li vede e agguanta la pistola, però se ne trova una puntata sulla nuca. La tensione era altissima, ma alla fine nessuno sparava. Fidel ha 29 anni. Quella notte ci furono 22 arresti, tutti membri della cellula cubana, tra questi c’era un argentino asmatico e povero, arrestato al civico 49 della calle Emparán, a casa della consorte peruviana Hilda Gadea. Castro aveva creato un gruppo di 40 fedeli come nucleo forte della revolución. Secondo i documenti declassificati l’obiettivo era prepararsi militarmente per guidare il malcontento in Cuba e ad addestrarli nella Valle di Chalco, era Castro in persona, che, secondo le carte era attento a tutti i dettagli e addirittura classificava le reclute in base alla loro dedizione, alla disciplina e alle capacità di ognuno. Il capitano Gutiérrez Barrios, dopo tre giorni di interrogatori scriveva cinque fogli sulla congiura contro il governo di Cuba, che rivelano elementi sulla gestazione della rivoluzione cubana e il ruolo del Messico. Malgrado l’operato della polizia abbia messo a nudo la cellula, il capitano della sicurezza nazionale lasciava che la rivoluzione seguisse il suo corso, rilasciando liberi Fidel e il “Che” dopo un mese, diventando persino loro amico. Così il 25 novembre 1956 Castro partiva da Veracruz verso Cuba sulla nave Granma - monneta -.

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Iran La buona notizia da Vienna Risoluzione nucleare e fine degli embarghi da Tehran

MOHAMMAD DJAFARZADEH NOSTRO INVIATO

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opo anni di polemiche, tentativi di isolamento politico ed economico e le minacce di intervento militare da parte dell’occidente, d’Israele e degli Stati Uniti e anni di embargo contro l’Iran, ora si è raggiunta una risoluzione che dovrebbe mettere fine a tutto ciò. Nel numero precedente della nostra rivista 2/2915, p. 62-63 - abbiamo ampiamente trattato sui vantaggi politici, economici e soprattutto strategici di una risoluzione e di una apertura di un dialogo tra l’Iran e l’occidente in generale. Avevamo altrettanto indicato i Paesi che per un motivo e o per un altro erano e sono contrari alle aperture dell’occidente nei confronti dell’Iran. Ovviamente non sono brevi i tempi per realizzare numerosi punti della risoluzione sottoscritto dalla cosiddetta commissione 5+1 e l’Iran, ma quello che è certo che ambedue le parti si stano impegnando a rimuovere gli ostacoli e le resistenze all’interno dei propri Paesi, particolarmente in Iran e negli USA. Mentre Ayatollah Khamenei, malgrado il suo consenso nei confronti della risoluzione, per tenere a bada l’ala radicale del Paese, fortemente antiamericana, continua a gridare morte all’America, anche l’Obama ha il suo da fare nel tentativo di calmare i repubblicani e quella parte della popola-

zione che non è d’accordo con le aperture nei confronti dell’Iran. Per quanto riguarda gli effetti immediati relativi alla fine degli embarghi all’interno dell’Iran, al di fuori dei soliti scettici e dell’opposizione al regime che vede sempre tutto inutile, si nota, tra buona parte della popolazione la speranza per miglioramento economico, per nuove possibilità di lavoro per i giovani con la riapertura delle aziende chiuse a causa dell’embargo. Insomma, una ripresa dell’economia. A questo proposito a pochi giorni dall’annuncio degli accordi sono iniziati gli arrivi dei ministri degli esteri della Germania , della Francia, dell’Italia, dell’Austria e di altri 64


HANNO SCRITTO Così Obama si è meritato il Nobel. Altro successo dopo Cuba. E adesso punta alla pace in Medio Oriente La Stampa, 14 luglio 2015, p.2

NON SOLO NUCLEARE BISOGNA CONTINUARE GLI SFORZI ANCHE IN ALTRE DIREZIONI

ancora per riaprire i rapporti economici con Iran. “L’accordo sul programma nucleare iraniano Rimane il fatto che siamo di fronte una evidente viene visto positivamente dalla Santa Sede. real politik, in senso proprio del termine, tenendo Si tratta di un risultato importante delle trattative svolte finora, ma richiede la conconto della situazione in quell’area sia politicatinuazione degli sforzi e dell’impegno di mente che strategicamente che da tempo è sfuggita tutti perché possa dare i suoi frutti. Frutti da ogni controllo da parte delle potenze occidentali che auspichiamo che non si limitino al solo campo del programma nucleare, ma che si e anche di quelle regionali. Tragico fallimento allarghino anche in ulteriori direzioni”. della cosi detta “esportazione della democrazia”, Dichiarazione della Sala Stampa delle varie “primavere arabe”, disastrosa situazione della Santa Sede, 14 luglio 2015 delle guerre etniche e delle frange radicali, ha incendiato un fuoco dilagante che non può essere politica da parte dell’occidente nei confronti delle spento con le chiacchiere e la diplomazie kissinge- nazioni in quelle area e altre parti del mondo dove riane, ma richiede un cambiamento di rotta della fino ad ora la parola è stata affidata alle armi.

Hiroshima e Nagasaki

Un monitio perenne all’umanità Settant’anni fa, il 6 e il 9 agosto del 1945, avvennero i tremendi bombardamenti atomici su Hiroshima e Nagasaki. A distanza di tanto tempo, questo tragico evento suscita ancora orrore e repulsione. Esso è diventato il simbolo dello smisurato potere distruttivo dell’uomo quando fa un uso distorto dei progressi della scienza e della tecnica, e costituisce un monito perenne all’umanità, affinché ripudi per sempre la guerra e bandisca le armi nucleari e ogni arma di distruzione di massa. Questa triste ricorrenza ci chiama soprattutto a pregare e a impegnarci per la pace, per diffondere nel mondo un’etica di fraternità e un clima di serena convivenza tra i popoli. Da ogni terra si levi un’unica voce: no alla guerra, no alla violenza, sì al dialogo, sì alla pace! Con la guerra sempre si perde. L’unico modo di vincere una guerra è non farla. PAPA FRANCESCO, dopo Angelus, 9 agosto 2015

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Luci dall’Oriente

da Cebu

PIERO MARINI PRESIDENTE DEL PONTIFICIO COMITATO PER I CONGRESSI EUCARISTICI INTERNAZIONALI

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al 24 al 31 gennaio 2016 si celebrerà a Cebu, città capoluogo della regione Visayas Centrale (Filippine), il 51° Congresso Eucaristico Internazionale. Questo evento che si terrà nel cuore dell’Asia, avrà al suo centro la realtà della missione che sgorga dall’Eucaristia. A partire dal tema che il Santo Padre ha affidato al Congresso: «Cristo in voi, speranza della gloria (Col. 1,27)», questa preoccupazione fondamentale è stata sviluppata dal Comitato teologico locale con un documento di base pubblicato un anno fa e ora reso disponibile in otto lingue europee sul sito del Pontificio Comitato (www.congressieucaristici.va) e in quattro fra le lingue asiatiche più diffuse sul sito del Congresso (www.iec2016.ph). La celebrazione del 51° Congresso Eucaristico Internazionale a Cebu è perciò una scadenza importante per rafforzare la prospettiva missionaria/evangelizzatrice della Chiesa in Asia.

Prospettiva che Papa Francesco ha avuto modo di sottolineare con i suoi viaggi apostolici prima in Corea (13-18 agosto 2014) e, pochi mesi or sono, in Sri Lanka e Filippine (12-19 gennaio 2015). È in questo continente, dove la fede cristiana s’incontra con antichissime culture e religioni locali, che si gioca la sfida dell’evangelizzazione. I cristiani in Asia Il cristianesimo è oggi, in Asia, «un piccolo resto», una minoranza. E tuttavia è un cristianesimo vivo. Se si consultano i dati più recenti dell’Annuario statistico vaticano, si scopre che i cattolici asiatici sono 134 milioni, cioè il 3% degli abitanti del loro continente, ma l’11 % dei cattolici del mondo. I recenti viaggi del Papa hanno raggiunto quei Paesi che hanno un numero di cattolici superiore alla media del continente, ma il cattolicesimo sta crescendo anche altrove, so66


prattutto in Cina, India e Vietnam. La Chiesa in Asia, inoltre, incarna la sfida di vivere e immaginare il cristianesimo in forme storiche diverse da quelle alle quali siamo abituati in Occidente. Perché l’Asia non ha mai vissuto le dinamiche – anche politiche – ereditate dell’impero di Costantino o di Carlo Magno. In Asia nessun Paese, se si eccettua forse quanto successo ai confini occidentali del continente con l’Armenia, ha mai vissuto se stesso come una societas cristiana. Nelle Filippine, la religione cristiana è giunta con gli spagnoli quasi cinque secoli or sono e si è innestata sulle culture e religioni tradizionali, offrendo un esempio d’inculturazione che non trova uguali in tutta l'Asia. Oggi, il Paese conta una percentuale di oltre l’80% di cattolici con un numero di battezzati annuali che supera quello di Italia, Francia, Spagna e Polonia messi insieme. Sono dati che, nella loro schematicità, ci mostrano quanto stia cambiando la geografia della Chiesa cattolica. Di tutto ciò è ben consapevole la Federazione delle Conferenze Episcopali dei Paesi Asiatici (FABC) che, fin dalla prima assemblea plenaria tenutasi nel 1974 a Taipei, ha sostenuto che il «modo fondamentale della missione in Asia» deve essere il dialogo. Il programma di dialogo con le culture, le tradizioni religiose e con le moltitudini de poveri, è stato il tema di fondo dell’attività delle Chiese particolari del continente negli ultimi trent’anni ed è diventato anche la strada della teologia della missione dei prossimi decenni. Eucaristia fonte della missione Questo cammino concreto della Chiesa in Asia forma, in modo del tutto naturale ed evidente, la trama del testo-base preparato per il 51° Congresso Eucaristico di Cebu che si assume l’impegno di far lievitare quegli enzimi di dialogo, di riconciliazione, di pace e di futuro di cui l’Asia è assetata attraverso l’unica vera forza e ricchezza che la Chiesa possiede, e cioè l’Eucaristia, mensa della parola e del pane di vita in cui si rivela il mistero Pasquale di Cristo, centro dell’annuncio evangelico dei discepoli d’ogni tempo. Culmine e fonte della vita della comunità cristiana, l’Eucaristia diventa anche fonte e culmine del suo impegno di servizio e di testimonianza al mondo in cui è posta. La dimensione “missionaria” del prossimo con-

gresso è sottolineata, inoltre, dalla posizione geografica di Cebu e dalla sua fisionomia urbana. A quasi cinquecento anni da quel lontano 1521 quando i galeoni di Magellano apparvero all’orizzonte dell’isola e giunse in quella terra l’annuncio del Vangelo, ci si rende conto che per la celebrazione di un Congresso Eucaristico Internazionale non è necessaria una metropoli del primo mondo, ricca di strutture, di spazi pubblici e di consolidate capacità organizzative. Serve piuttosto uno spazio umano anche relativamente povero perché collocato ai margini del mondo del benessere ma ricco di fede, un popolo accogliente e generoso, un terreno dove l’annuncio missionario dell’Eucaristia possa attecchire e portare frutto. Infine, quanti parteciperanno al Congresso di Cebu, potranno fare l’esperienza della missione come uno scambio di doni tra chi annuncia e chi riceve l’annuncio evangelico. I Congressi Eucaristici vanno in Oriente per dare e ricevere, per evangelizzare ed essere evangelizzati, per parlare ma anche per ascoltare. In quell’ambiente umano che non è legato al labirinto del razionalismo, si può ancora fare appello all’intelligenza degli affetti, alla necessità dell’esperienza della povertà e del dolore. Laggiù, la narrazione della storia di Gesù riesce ancora ad aprire i cuori e a costruire comunità desiderose di «mangiare il pane nel Regno di Dio» (cfr. Lc 14,15). 67


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Uganda: giustiza riconciliazione e pace da Kampala NOSTRO SERVIZIO SPECIALE

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n seminario per condividere esperienze e pianificare future strategie ed iniziative sulla riconciliazione: è quello che hanno vissuto, nei mesi scorsi, a Kampala, i membri della Commissione Giustizia e pace della Conferenza episcopale ugandese (Uec). Numerosi i temi in esame: il legame tra la riconciliazione e la guarigione; il rapporto tra verità, giustizia e pace; l’importanza dell’Eucaristia nei processi di riconciliazione e il ruolo dei laici nella promozione della pace. “La riconciliazione – si legge in una nota pubblicata sul sito dell’Uec – è l’obiettivo primario nella costruzione di una pace sostenibile e nella prevenzione del riaccendersi dei conflitti”. Pensare alla pace secondo il piano di Dio “Nella Chiesa dell’Uganda – prosegue la nota molte persone sono state testimoni, in tanti modi, della riconciliazione dopo tanti anni di violenze. Per questo, bisogna pensare al piano di Dio per la pace così come Lui stesso ce lo ha rilevato attraverso le Scritture e la vita della Chiesa, basti pensare al Sinodo speciale per l’Africa”, svoltosi nel 2009 proprio sul tema “La Chiesa in Africa a servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace” e dal quale è derivata l’Esortazione apostolica “Africae Munus”, siglata da Benedetto XVI nel 2011.

Verità e giustizia, parti vitali del processo di riconciliazione “La riconciliazione – spiega l’Uec – significa la costruzione di relazioni tra persone e gruppi nella società e tra lo Stato ed i cittadini per affermare che la morale, la verità e la giustizia sono parti vitali del processo di guarigione”. In chiusura dei lavori, mons. John Baptista Kauta, segretario generale dell’Uec, ha esortato i partecipanti al seminario a cercare la grazia di Dio attraverso la riconciliazione: “La riconciliazione – ha concluso – porta le vittime a perdonare i colpevoli, ma necessita della grazia di Dio”, perché “l’unità è sempre un dono dello Spirito Santo, un segno dello Spirito di Dio nel mondo”. L’impegno della Chiesa ugandese per porre fine al conflitto tra governo e Lra Da ricordare che la Chiesa ugandese ha svolto e svolge un ruolo importante nella promozione della pace e della riconciliazione nel nord del Paese, dove i ribelli del Lord's Resistance Army (Lra) combattono il governo da decenni. Decine di migliaia i morti e quasi due milioni gli sfollati causati dal conflitto. Tra le iniziative più rilevanti, la Lettera pastorale dei vescovi sul tema "La sollecitudine per la pace, l’unità e l'armonia in Uganda", in cui i presuli, nel 2004, hanno chiesto ai ribelli e al governo di porre fine alla guerra. La pace deve essere sostenibile Nel 2007, inoltre, l'Uganda Joint Christian Council 68


(Ujcc), organizzazione ecumenica che riunisce cattolici, anglicani ed ortodossi, ha pubblicato "Una cornice per il dialogo sulla riconciliazione e la pace in Nord Uganda". Due anni dopo, la Chiesa cattolica, in collaborazione con il Consiglio interreli-

gioso dell’Uganda, ha organizzato una Conferenza sul tema della riconciliazione, della giustizia e della pace sostenibile, cui hanno partecipato leader religiosi, di organizzazioni culturali e di ong, insieme a esponenti politici e governativi.

Vescovi del Ghana: promuovere cultura della vita, famiglia e democrazia “Promuovere i valori della vita e della famiglia di fronte all’attuale cultura della morte”: si intitola così il convegno che la Conferenza episcopale del Ghana ha organizzato nei giorni 7 ed 8 agosto nella cattedrale del Santo Spirito di Accra. In particolare, l’iniziativa viene promossa dalla Commissione episcopale per la salute, guidata da mons. Josepph Afrifah-Agyekum, e si pone l’obiettivo – informa una nota dei vescovi - di “approfondire la riflessione sul Vangelo e sulla santità della vita, sulla purezza del matrimonio e sulla dignità della sessualità umana. Promuovere l’unità e l’indissolubilità del matrimonio In quest’ottica, si auspica che il convegno possa contribuire a “rafforzare la testimonianza dei cattolici e dei cristiani nella promozione della dignità della vita dal concepimento e fino alla morte naturale; nella difesa dei valori della famiglia, quali l’unità, l’indissolubilità del matrimonio e l’apertura alla vita; nella collaborazione tra governo, responsabili e popolazione per costruire un’autentica cultura della vita in Ghana”. Rispetto del diritto alla vita, pilastro della società civile “Noi vescovi – prosegue la nota – riconosciamo il nostro importante compito di ribadire la dottrina della Chiesa e la bellezza dei suoi insegnamenti sulla santità della vita e la bellezza dell’amore”. Di qui, il richiamo alla necessità del “rispetto incondizionato del diritto alla vita di ogni persona”, in quanto esso è “uno dei pilastri sui cui si basa ogni società civile”. Ed è per questo che “lo Stato ha il dovere primario di difendere la vita”. Non c’è democrazia senza dignità, non c’è pace senza difesa della vita “Essere a favore della vita – aggiunge mons. Afrifah-Agyekum – significa contribuire a rinnovare la società attraverso la promozione dei valori della famiglia e del bene comune”, poiché “non può esserci democrazia senza il riconoscimento della dignità di ogni persona e non può esserci vera pace senza la difesa e la promozione della vita”. Quindi, il presule lamenta la diffusione di una “cultura della morte” in Africa, a causa del propagarsi di metodi artificiali destinati al controllo delle nascite e propagandati da organizzazioni multi-nazionali. In quest’ambito, rientra anche l’allarme lanciato dal presule per “l’aumento degli aborti tra le adolescenti del Ghana”, a volte praticati con “metodi di ogni genere”. Una marcia in favore della famiglia Ad accompagnare la conferenza saranno anche una campagna di preghiera ed una marcia in favore della vita e della famiglia che l’8 agosto ha percorso le principali vie di Accra, a partire della cattedrale dedicata all Santo Spirito.

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Malawi La tecnologia non distrugga le relazioni umane

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ome usare la tecnologia per restare in contatto gli uni con gli altri? E come genitori ed educatori possono aiutare bambini e ragazzi a vivere responsabilmente nel mondo digitale?”: parte da queste due domande la riflessione che mons. Martin Mtumbuka, responsabile delle Comunicazioni sociali per la Conferenza episcopale del Malawi, ha diffuso in vista della 49.ma Giornata delle comunicazioni sociali che, a livello locale, nel Paese, si celebreràa domenica prossima, il 26 luglio. Tecnologia essenziale alla vita sociale, ma attenzione all’uso sbagliato Nel documento, il presule prende spunto dal tema scelto da Papa Francesco per la Giornata, ovvero “Comunicare la famiglia: ambiente privilegiato dell’incontro nella gratuità dell’amore”. Mons. Martin Mtumbuka scrive: “Secondo alcuni studi, il Malawi è uno dei Paesi la cui popolazione ha adottato velocemente l’uso delle tecnologie, in particolare di computer e telefoni cellulari”, divenuti “parte essenziale della vita politica, sociale ed economica di molti abitanti, nelle zone sia urbane che rurali”. Tuttavia, mons. Mtumbuka evidenzia anche segnali non incoraggianti, come il clima di sospetto che si crea tra marito e moglie che spesso non hanno accesso al computer del coniuge, oppure il tempo eccesivo che i giovani trascorrono sui dispositivi mobili, trascurando lo studio e con il rischio di accedere a materiale pornografico. Allarme per quei sacerdoti troppo distratti dai nuovi media Non solo: il presule punta il dito anche contro “alcuni

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sacerdoti, religiosi e religiose che cedono all’uso sbagliato di queste tecnologie, ad esempio prestando loro attenzione durante la celebrazione della Messa o durante i pasti, invece di dedicarsi alla vita comunitaria”. “Se coloro che hanno rinunciato a tutto per seguire e servire Cristo si comportano così – si domanda il vescovo del Ghana – come possono essi aiutare le famiglie ed i giovani ad imparare l’uso corretto della tecnologia?”. Famiglia sia luogo privilegiato di incontro con Dio Di qui, il richiamo a fare della famiglia “un luogo privilegiato di incontro con Dio”, “una scuola i cui membri imparano a comprendere ed a perdonare le debolezze degli altri”, cercando di usare i nuovi media “in modo davvero cristiano”, così da “vivere una felice vita familiare, vicina a Dio”. “Le nuove tecnologie – è l’appello conclusivo di mons. Mtumbuka – non ci sottraggano tempo per la famiglia e per Dio e non ci allontanino dall’adempiere al nostro dovere di educare alla vita”.


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NOTIZIA

Nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, si è svolta martedì 23 giugno 2015 la conferenza stampa di presentazione dell’Instrumentum Laboris della XIV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sul tema: “La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo” (Vaticano, 4 - 25 ottobre 2015).

Sono intervenuti i cardinali Lorenzo Baldisseri, Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi; e Péter Erdő, Arcivescovo di Esztergom-Budapest (Ungheria), Relatore Generale della XIV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi; Mons. Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto (Italia), Segretario Speciale della XIV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi.

CARDINALE LORENZO BALDISSERI: STRAORDINARIO INTERESSE E ATTIVA PARTECIPAZIONE apa Francesco, nel discorso conclusivo della III Assemblea Straordinaria del Sinodo dei Vescovi, dell’ottobre scorso, esortava a: «maturare, con vero discernimento spirituale, le idee proposte e trovare soluzioni concrete a tante difficoltà e innumerevoli sfide che le famiglie devono affrontare; [e] a dare risposte ai tanti scoraggiamenti che circondano e soffocano le famiglie», e aggiungeva inoltre che ci sarà «un anno per lavorare sulla “Relatio Synodi” che è il riassunto fedele e chiaro di tutto quello che è stato detto e discusso in questa aula e nei circoli minori. E viene presentato alle Conferenze episcopali come “Lineamenta”» (Discorso conclusivo, 18 ottobre 2014). La Segreteria Generale del Sinodo si è messa subito al lavoro per dare seguito all’invito del Papa, con la convocazione dei membri del Consiglio di Segreteria, riunitisi nei giorni 18 e 19 novembre 2014, sotto la presidenza del Santo Padre. In questa riunione si è presentato un progetto di Lineamenta, composto dal testo della Relatio Synodi e da una serie di 46 domande per la recezione e l’approfondimento del documento sinodale. Il testo dei Lineamenta è stato poi inviato ai Sinodi delle Chiese Orientali Cattoliche sui iuris, alle Conferenze Episcopali, ai Dicasteri della Curia Romana e agli altri soggetti aventi diritto, con l’invito di rispondere entro il 15 aprile 2015. Nonostante i tempi ristretti, il numero cospicuo degli apporti pervenuti alla Segreteria Generale in questo frattempo conferma lo straordinario interesse e l’attiva

partecipazione di tutto il Popolo di Dio. In tal modo, il periodo intersinodale si è rivelato un’ulteriore preziosa occasione di auditus Ecclesiae, o più esattamente di ascolto di «ciò che lo Spirito dice alle Chiese» (Ap 2,17) nella pluralità delle loro componenti. Ad oggi, la Segreteria Generale ha ricevuto 99 Risposte da parte degli organismi aventi diritto. Ad esse si sono aggiunte 359 Osservazioni, inviate liberamente da Diocesi e Parrocchie, associazioni ecclesiali e gruppi spontanei di fedeli, movimenti e organizzazioni civili, numerose famiglie e singoli credenti. Al tempo stesso, università, istituzioni accademiche, centri di ricerca e singoli studiosi stanno arricchendo l’approfondimento delle tematiche sinodali con i loro Contributi - attraverso simposi, convegni e pubblicazioni -, che non di rado mettono in luce aspetti nuovi, secondo quanto richiesto dalla “domanda previa” dei Lineamenta. Nel frattempo, la Segreteria si è potuta avvalere dell’aiuto dei nuovi Consultori, nominati il 14 marzo scorso, e della consulenza di altri esperti. Nella riunione del Consiglio di Segreteria, presieduta dal Santo Padre, nei giorni 25 e 26 maggio 2015, è stata esaminata la sintesi elaborata dalla Segreteria Generale da cui è scaturito l’Instrumentum Laboris che oggi si rende pubblico. Come si potrà constatare, il documento riflette in modo affidabile la percezione e le attese della Chiesa intera sul tema cruciale della famiglia, integrando il risultato della precedente Assemblea contenuto nella Relatio Synodi. La XIV Assemblea Generale Ordinaria, alla quale ci stiamo preparando, rifletterà su La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo, in continuità con la III Assemblea

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speciale sinodo 2015

La famiglia oggi: vocazione e missione


SCIENZA&VITA

I primi dieci anni “L’amore di Cristo ci spinge (cfr 2Cor 5,14) a farci servitori dei piccoli e degli anziani, di ogni uomo e ogni donna, per i quali va riconosciuto e tutelato il diritto primordiale alla vita. L’esistenza della persona umana, a cui voi dedicate la vostra sollecitudine, è anche il vostro principio costitutivo; è la vita nella sua insondabile profondità che origina e accompagna tutto il cammino scientifico; è il miracolo della vita che sempre mette in crisi qualche forma di presunzione scientifica, restituendo il primato alla meraviglia e alla bellezza. Così Cristo, che è la luce dell’uomo e del mondo, illumina la strada perché la scienza sia sempre un sapere a servizio della vita. Quando viene meno questa luce, quando il sapere dimentica il contatto con la vita, diventa sterile. Per questo, vi invito a mantenere alto lo sguardo sulla sacralità di ogni persona umana, perché la scienza sia veramente al servizio dell’uomo, e non l’uomo al servizio della scienza. La riflessione scientifica utilizza la lente d’ingrandimento per soffermarsi ad analizzare determinati particolari. E grazie anche a questa capacità di analisi noi ribadiamo che una società giusta riconosce come primario il diritto alla vita dal concepimento fino al suo termine naturale. Vorrei, però, che andassimo oltre, e che pensassimo con attenzione al tempo che unisce l’inizio con la fine. Pertanto, riconoscendo il valore inestimabile della vita umana, dobbiamo anche riflettere sull’uso che ne facciamo. La vita è innanzitutto dono. Ma questa realtà genera speranza e futuro se viene vivificata da legami fecondi, da relazioni familiari e sociali che aprono nuove prospettive. Il grado di progresso di una civiltà si misura proprio dalla capacità di custodire la vita, soprattutto nelle sue fasi più fragili, più che dalla diffusione di strumenti tecnologici. Quando parliamo dell’uomo, non dimentichiamo mai tutti gli attentati alla sacralità della vita umana. È attentato alla vita la piaga dell’aborto. È attentato alla vita lasciar morire i nostri fratelli sui barconi nel canale di Sicilia. È attentato alla vita la morte sul lavoro perché non si rispettano le minime condizioni di sicurezza. È attentato alla vita la morte per denutrizione. È attentato alla vita il terrorismo, la guerra, la violenza; ma anche l’eutanasia. Amare la vita è sempre prendersi cura dell’altro, volere il suo bene, coltivare e rispettare la sua dignità trascendente. Vi incoraggio a rilanciare una rinnovata cultura della vita, che sappia instaurare reti di fiducia e reciprocità e sappia offrire orizzonti di pace, di misericordia e di comunione. Non abbiate paura di intraprendere un dialogo fecondo con tutto il mondo della scienza, anche con coloro che, pur non professandosi credenti, restano aperti al mistero della vita umana”. PAPA FRANCESCO, 30 MAGGIO 2015 UDIENZA ALL’ASSOCIAZIONE SCIENZA&VITA

Generale Straordinaria dell’autunno 2014, che ha affrontato il tema de Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione. L’intima connessione tra i due eventi sinodali fa sì che la Relatio Synodi rappresenti il solido punto di partenza per il cammino successivo; insieme alla sua recezione e all’approfondimento avvenuto in questo periodo intersinodale, l’Instrumentum Laboris sarà la base per i lavori della prossima Assemblea. Il documento si articola in tre parti, che riprendono la struttura della Relatio Synodi, mostrando lo stretto rapporto tra le due Assemblee e il loro sviluppo interno. L’ascolto delle sfide sulla famiglia (I parte) richiama più direttamente il primo momento sinodale; mentre Il discernimento della vocazione familiare (II parte) e La missione della famiglia oggi (III parte) intendono soprattutto introdurre il tema della prossima assise. Poiché, per la prima volta, i Lineamenta del nuovo Sinodo riprendevano un testo precedentemente approvato dai Padri sinodali, nell’Instrumentum Laboris si è preferito lasciare inalterati i paragrafi della Relatio Synodi– che sono riconoscibili dal numero tra parentesi con il testo in corsivo – ai quali si aggiungono i testi di nuova elaborazione seguendo la numerazione continua e con il carattere in tondo. Mi permetto ora di appena enunciare le tematiche trattate nel documento, che saranno illustrate dai relatori che seguiranno. Evidenzierei alcuni punti di novità che si riscontrano consistenti nella prima parte, intitolata «L’ascolto delle sfide sulla famiglia», specialmente tra i nn.7-27, in cui si parla del contesto antropologico - culturale, quello socio-economico e l’aspetto ecologico, che oggi risulta felicemente illuminato dalla nuova lettera enciclica Laudato si. Le sfide sono: la povertà e l’esclusione sociale, la terza età, la vedovanza, il lutto in famiglia, la disabilità, le migrazioni, il ruolo delle donne, l’affettività e l’educazione della sessualità, la bioetica. Nella seconda parte, intitolata «Il discernimento della vocazione familiare», si arricchisce la Relatio Synodi con un ampliamento dei temi riguardanti il matrimonio naturale e pienezza sacramentale, l’indissolubilità dono e compito, la vita familiare, l’unione e la fecondità, la dimensione missionaria, la fede, la preghiera, la catechesi, l’intimo legame tra Chiesa e famiglia, i giovani e la paura di sposarsi, la misericordia. Nella terza parte, dedicata a «La missione della famiglia oggi», prende le mosse da una riflessione ad ampio raggio su famiglia ed evangelizzazione, e si ap72


delle esperienze ecclesiali presenti nel mondo. Ciò conferma che la sinodalità effettiva e vera si realizza quando le diverse istanze si incontrano e si compongono in una sola partitura di concerto, che all’esecuzione splende per la sua bellezza armonica. In coincidenza con il cinquantesimo anniversario della conclusione del Concilio Vaticano II, anche il Sinodo dei Vescovi ricorda lietamente la propria creazione, voluta dal Beato Paolo VI il 15 settembre 1965, «affinché anche dopo il Concilio continuasse a giungere al Popolo cristiano quella larga abbondanza di benefici, che durante il Concilio felicemente si ebbe dalla viva unione [del Sommo Pontefice] con i Vescovi» (m.p. Apostolica sollicitudo, 15 settembre 1965, proemio). Motivo di ulteriore riflessione e grazia per tutta la Chiesa è il prossimo Giubileo Straordinario della misericordia, indetto da Papa Francesco per l’8 dicembre prossimo. Vorrei ora aggiungere una parola sulla metodologia della prossima Assemblea Generale Sinodale di ottobre, che è Ordinaria e non Straordinaria. Indicherò solo alcune linee senza entrare nei dettagli che saranno opportunamente esposti nel mese di settembre prossimo, vicino alla celebrazione dell’Assemblea Sinodale Partendo dall’esperienza della III Assemblea Generale Straordinaria dell’ottobre scorso e avvalendosi dei numerosi e arricchenti suggerimenti pervenuti da più parti, specialmente dai membri sinodali, questa Segreteria Generale si sente incoraggiata a continuare il progetto di uno svolgimento del Sinodo nella sua linea dinamica e sempre più adeguata ai nostri tempi. Un punto fortemente richiesto dai padri sinodali è quello di evitare la lunga serie di interventi dei singoli membri come avveniva nei Sinodi precedenti, ossia di fare in modo che gli interventi dei Padri siano me-

profondiscono, tra l’altro, temi quali la famiglia soggetto della pastorale, la liturgia nuziale, un linguaggio rinnovato e un’apertura missionaria. Si parla di «Famiglia e accompagnamento ecclesiale», dello snellimento delle procedure delle cause matrimoniali, l’integrazione dei fedeli in situazioni irregolari, l’eventuale introduzione di una via penitenziale, le problematiche pastorali circa matrimoni misti e di disparità di culto, nonché le questioni della responsabilità generativa e la denatalità, l’adozione e l’affido, il rispetto della vita, dal concepimento alla sua fine naturale, e l’educazione delle nuove generazioni, ed altro. Rilevante è il riferimento all’indigenza economica di diverse famiglie che rischiano di essere soggette all’usura e all’impegno socio-politico dei cristiani in favore della famiglia, anche nel contesto internazionale. A riguardo si ritiene utile la riproposizione della Carta dei Diritti della Famiglia, collegandola alla Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo. Vorrei rilevare in questa sede che il periodo intersinodale è stato estremamente utile, ha permesso non solo la recezione e l’approfondimento dei Lineamenta, ma anche un effettivo ampliamento delle tematiche relative alla famiglia, grazie al coinvolgimento di ampia parte del Popolo di Dio e di numerose istituzioni ecclesiali e accademiche. Ne è risultato così un documento di spessore, avvalendosi di due anni di tempo di riflessione, dipanatisi dall’indizione della prima tappa, alla celebrazione dell’Assemblea Straordinaria con la pubblicazione della Relatio Synodi, dall’invio dei Lineamenta, alla recezione delle risposte che ora si trovano sintetizzate dal documento. In esso si possono riscontrare le diverse sensibilità culturali e geografiche, che si armonizzano in una sinfonia di voci che esprimono la ricchezza

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Nonna Martha Serrano con i nove figli ed i primi nipoti. Il consorte Enrique dal cielo continua a guidare questa famiglia di Dio che crede nella vita.


glio distribuiti nel tempo e non tutti di seguito. Inoltre è stato richiesto di valorizzare sempre di più i Circuli Minores, distribuiti nel tempo e non tutti insieme, come pure quello di mantenere fermo il principio dell’ordine tematico. Su questa linea si prevede che le tre settimane di durata del Sinodo saranno distribuite secondo le parti del documento Instrumentum Laboris, che sono tre. La prima settimana tratterà la prima parte del documento, la seconda si occuperà della seconda e la terza sarà dedicata alla terza. Alla fine della terza settimana si dedicherà il tempo necessario per elaborare il testo finale del documento, che sarà sottoposto all’Assemblea per gli ultimi modi, che saranno inseriti per l’approvazione finale. Questo svolgimento assicurerà a tutti gli aventi diritto di intervenire in Aula, inclusa l’ora di fine giornata, e permetterà di avere più tempo da assegnare ai Circuli Minores. Si prevede un documento finale, che sarà consegnato nelle mani del Santo Padre. Circa l’informazione, durante l’Assemblea sinodale, sarà prestata tutta l’attenzione perché essa avvenga nella forma migliore possibile. Spesso il Santo Padre ha ricordato che il Sinodo è uno spazio in cui possa agire lo Spirito Santo, non è un parlamento. I Padri sinodali sono invitati ad esprimersi con parresia. Essi saranno liberi di comunicare con i media a loro discrezione e responsabilità. Si sta studiando la maniera ancor più idonea per rendere il servizio della comunicazione più effettivo. La Sala Stampa curerà opportunamente, come è di consueto, l’informazione sul Sinodo.

Affidiamo alla Sacra Famiglia di Nazareth i lavori sinodali, ben coscienti che – come il Santo Padre ci ha ricordato – il Suo esempio luminoso «ci impegna a riscoprire la vocazione e la missione della famiglia» (Udienza generale, 17 dicembre 2014). CARDINALE PÉTER ERDŐ: DARE RISPOSTE CORAGGIOSE I parte dell’ Instrumentum laboris 1. Il titolo ufficiale della prossima assemblea generale del Sinodo è: “La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo”. Il tema rivela un approccio che ha richiesto una speciale attenzione alle circostanze del mondo contemporaneo. Sia la Relatio Synodi della scorsa assemblea straordinaria che il questionario trasmesso dalla Segreteria del Sinodo alle conferenze episcopali, ai dicasteri e ad altri aventi diritto hanno dato occasione a riflessioni pratiche e a raccolte di dati riguardanti la situazione della famiglia nel mondo. Il risultato di tutto ciò è presentato nella prima parte del presente documento dal titolo: “L’ascolto delle sfide sulla famiglia”. Esso si divide in quattro capitoli. 2. Il primo capitolo parla della famiglia nel contesto antropologico - culturale. Oltre al punto 5 della Relatio Synodi esso descrive gli avvenuti cambiamenti antropologici e sociali. Prende atto del fatto che solo una minoranza “vive sostiene e propone l’insegnamento della Chiesa Cattolica sul matrimonio e la famiglia, riconoscendo in esso la bontà del progetto creativo di Dio”. Certamente, come nel caso di tanti altri valori, anche riguardo ai valori del matrimonio 74


e della famiglia esiste una differenza tra il riconoscimento teorico di un ideale e la realizzazione dello stesso. Anche se il comportamento matrimoniale poteva essere abbastanza diverso dall’ideale, fino a pochi decenni fa il riconoscimento teorico del matrimonio è stato quasi generale. Recentemente però i matrimoni, anche quelli civili, diminuiscono e il numero delle separazioni e dei divorzi è in crescita. Di separazione si parla piuttosto dei paesi dove l’istituto del divorzio nel diritto civile è relativamente recente. Altrove non si pensa neppure a separazione legale ma si ricorre subito al divorzio ad ogni crisi del matrimonio. Si parla molto della dignità delle singole persone, ma la trasformazione di questa verità in linguaggio istituzionale produce a volte delle situazioni contradittorie. L’accentuazione esagerata dei diritti individuali senza tener conto dell’aspetto comunitario dell’essere umano produce un individualismo che mette al centro la soddisfazione di desideri e che non porta alla piena realizzazione della persona. L’isolamento dell’individuo è contrario al progetto del Creatore. Sembra essere una delle manifestazioni di tale individualismo il fatto che molti hanno paura ad assumere impegni definitivi. 3. La separazione della sessualità dalla procreazione e l’individualismo generale contribuiscono fortemente alla crescente denatalità. La mobilità forzata delle masse e la visione mercantilista di tutta l’attività economica hanno la tendenza a considerare l’essere umano come una cifra, una “forza produttrice”, non tenendo conto dei bisogni elementari della persona umana. La debolezza dei legami sociali rende difficile il matrimonio e l’educazione dei figli. La coppia si

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vede spesso sola senza legami di amicizia e parentela e si sente incapace di affrontare la responsabilità dell’educazione. Allo stesso tempo si registra la crescente tendenza a concepire la generazione di un figlio come uno strumento per l’affermazione di se, da ottenere con qualsiasi mezzo. Tale visione considera i figli come mezzi e non rispetta la loro dignità personale. 4. Nello stesso tempo si manifestano delle tendenze che vogliono allargare il concetto di matrimonio, famiglia e paternità svuotando così di contenuto queste stesse categorie. La confusione non aiuta a definire la specificità sociale di tali unioni affettive, mentre consegna all’opzione individualistica lo speciale legame fra differenza, generazione, identità umana … Come ha detto Papa Francesco all’udienza generale del 15 aprile di quest’anno: “La rimozione della differenza … è il problema, non la soluzione”. 5. Le politiche economiche sconsiderate mettono a rischio persino le relazioni all’interno della famiglia. In molti paesi sono cresciuti enormemente gli oneri del mantenimento dei figli e aggravati i compiti della cura sociale dei malati e degli anziani. Oneri che non sono sopportabili per moltissime famiglie, dove gli adulti sono disoccupati o così sottopagati, in un sistema di sfruttamento, che non riescono quasi nemmeno a rinvigorire le loro proprie forze lavorative – per esempio mangiare abbastanza per poter lavorare anche domani. In particolare è preoccupante la povertà e la malnutrizione infantile. In certi paesi la povertà colpisce soprattutto le famiglie che hanno figli. 6. Il secondo capitolo della prima parte parla della famiglia nel contesto socio-economico. Si ribadisce che la famiglia rimarrà sempre “il pilastro fondamentale e irrinunciabile del vivere sociale”, essa è una scuola di umanità – come dice la Gaudium et Spes (n52). L’Instrumentum si sofferma sulla necessità delle politiche famigliari adeguate, perché la famiglia non è una realtà solamente privata. Si fa cenno anche alla necessità di ridistribuire le risorse e riequilibrare gli effetti negativi della disuguaglianza o persino dell’ingiustizia sociale. In tale conteso emerge lo stretto rapporto tra la vita famigliare e la realtà economica. Si parla con franchezza dei salari insufficienti, della mancanza di un lavoro dignitoso e di sicurezza sul posto di lavoro. Si prende atto con chiarezza del problema del traffico di persone umane e della schiavitù. Si fa menzione ripetutamente “dell’inequità economica”, espressione che può provocare qualche dubbio in un lettore non italiano. Consultando per esempio l’edizione del 1986


dello Zingarelli non si riscontra tale termine. Esiste l’iniquità che significa certamente l’ingiustizia o persino il peccato, la colpa. Sembra proprio che nel caso di certe situazioni economiche siamo di fronte a delle gravi ingiustizie, che possono essere chiamate con pieno diritto anche “strutture di peccato” come dice anche il Catechismo della Chiesa Cattolica (n.1869). L’incertezza esistenziale delle persone e il funzionamento dell’economia che distrugge l’ambiente appartengono strettamente a questa problematica. 7. Il terzo capitolo è intitolato “Famiglia e inclusione”. La parola “inclusione” non viene usata qui certamente nel senso della mineralogia il quale indica un “corpo estraneo incluso per natura nella pietra preziosa…che le toglie la purezza e ne diminuisce il valore”. Il documento, al contrario parla degli anziani, della sfida della vedovanza, delle persone che si trovano nella fase terminale della loro vita terrena. Si parla dei disabili, dei problemi provenienti dalla migrazione, del ruolo speciale delle donne e dei bambini. Tutto ciò fa parte integrante della famiglia. Anche la malattia e la morte appartengono alla vita, e le diverse generazioni si arricchiscono a vicenda. Tutti insieme rendono le famiglie fonte di crescita umana. 8. Il quarto capitolo sottolinea il ruolo della famiglia nella formazione dell’affettività. Si fa cenno ai problemi, alle sfide provenienti dalla rivoluzione biotecnologica e alla possibilità di rendere indipendente l’atto generativo dalla relazione sessuale tra uomo e donna. Si avverte la tendenza a considerare la vita umana e la genitorialità come realtà soggette ai desideri di singoli o di coppie. Questo fenomeno costituisce una novità negli ultimi tempi con profonde ripercussioni nelle relazioni personali della vita sociale e nelle legislazioni. La risposta pastorale deve prestare molta attenzione alla formazione dei giovani al matrimonio e all’accompagnamento delle coppie dopo il matrimonio. 9. Nella terza parte del documento si fa menzione della cura pastorale di coloro, che vivono nel matrimonio civile o in convivenze. In tale prospettiva si parla dello snellimento delle procedure nei casi di nullità matrimoniale (n.114). Per elaborare un progetto concreto al riguardo, Papa Francesco già l’anno scorso ha stabilito una commissione speciale. Riguardo le proposte della scorsa assemblea sinodale (cf. nr.114 – Relatio Synodi 48) sembra emergere una larga convergenza circa il superamento della cosiddetta doppia sentenza conforme, fatta salva la possibilità di appello da parte del difensore del vincolo o di una delle parti. È stato, infatti, Benedetto XIV che nel 1741 ha intro-

dotto la necessità di due sentenze conformi che dichiarino la nullità del matrimonio, affinchè le parti possano celebrare un nuovo matrimonio. Dopo il Concilio Vaticano II, per evitare la frequente perdita di tempo è stato permesso per gli Stati Uniti d’America, che in mancanza di appello già la prima sentenza sulla nullità sia esecutiva. L’esperimento fatto negli Stati Uniti è terminato con il ritiro delle norme speciali da parte della Santa Sede e con la reintroduzione della necessità della doppia sentenza conforme. Tale esperienza pastorale ha mostrato i vantaggi e i rischi di un tale cambiamento. Il rischio può essere la superficialità del tribunale del primo grado. Tale rischio potrebbe essere ridotto con la dovuta sorveglianza sul lavoro dei tribunali, con la accentuazione e la serietà del ruolo del difensore del vincolo, come pure attraverso l’eventuale obbligazione del difensore del vincolo ad appellare in certi tipi di casi anche se egli personalmente non avesse obiezioni speciali. Altre proposte invece come le procedure amministrative per la dichiarazione della nullità del matrimonio sotto la responsabilità del vescovo hanno provocato non poche obiezioni e riserve. Un maggiore accordo si è manifestato circa la possibilità di un processo canonico 76


Aspetti teologico-pastorali La seconda parte dell’Instrumentum Laboris ha come tema il discernimento della vocazione familiare. I tre capitoli che la compongono sono dedicati rispettivamente alla pedagogia divina nella storia della salvezza, alla vita della Chiesa e al cammino della famiglia verso la sua pienezza. Sullo sfondo delle riflessioni presentate si colgono le sfide descritte nella prima parte, in particolare la contraddizione rilevata da tante parti fra il desiderio di famiglia dei giovani e la crisi diffusa dell’istituto familiare, cui molti preferiscono convivenze e unioni di fatto. L’intenzione del testo non è però di rispondere alle sfide in maniera moralistica o polemica, quanto piuttosto quella di proporre positivamente la bellezza e l’importanza della famiglia alla luce della rivelazione. Grembo di umanizzazione, ovvero “scuola di umanità”, come afferma il Concilio Vaticano II (Gaudium et Spes 52), la famiglia è parimenti descritta come scuola di socialità, che fa crescere la persona nello sviluppo delle sue capacità di relazione e nella sua possibilità di contribuire alla costruzione della società, e come scuola di ecclesialità e di fede, dove apprendere a pregare ed essere introdotti all’esperienza di Dio e della Chiesa. In questa luce, l’Instrumentum, mentre valorizza tutti gli aspetti positivi dell’umano presenti nel matrimonio naturale (cf. n. 40), sottolinea la ricchezza umanizzante dell’indissolubilità coniugale, sancita dal sacramento del matrimonio, e la pienezza di senso che dà ai coniugi l’apertura alla fecondità secondo il disegno di Dio. La famiglia fondata sul sacramento nuziale è così proposta come “buona novella”, vangelo che la Chiesa è chiamata ad annunciare con convinzione alle donne e agli uomini del nostro tempo, esperienza in cui si riflette il volto del Dio trinitario, distinto nelle Persone e uno nella forza dell’amore eterno. Nella vita concreta della Chiesa la famiglia viene vista dal testo non solo come oggetto e destinataria dell’azione pastorale, ma anche come soggetto e protagonista di essa: perciò se ne evidenzia la costitutiva dimensione missionaria, riconoscendo nella realtà familiare la “via della Chiesa” accessibile ai più per conoscere e sperimentare la misura divina dell’amore. La famiglia assolverà tanto più a questa missione quanto più sarà capace di preghiera e nutrirà la fede di ciascuno dei suoi membri. Anche nel campo della catechesi la famiglia va considerata non solo oggetto,

sommario nei casi di nullità patente del matrimonio (nr. 115). Nel Codice di Diritto Canonico vigente infatti si descrive un “processo contenzioso orale” (cc. 1656-1670) che si paragona al processo sommario conosciuto nella tradizione giuridico-canonica (cf. Clemente V. decretale Saepe). L’applicazione di un tale processo in casi di nullità matrimoniale richiederebbe certamente ulteriori precisazioni. Si è parlato spesso dell’importanza della fede personale dei nubendi per la validità del consenso matrimoniale. Nelle risposte si riscontra però una grande varietà di approcci. Nell’insegnamento magisteriale e nei codici vigenti del diritto canonico si sottolinea che “tra i battezzati non può sussistere un valido contratto matrimoniale, che non sia per ciò stesso sacramento” (CIC c.1055 § 2). La separazione del matrimonio valido tra cristiani dal sacramento del matrimonio comporterebbe delle grandi difficoltà teoriche, perché la sacramentalità del matrimonio non è la conseguenza di una volontà espressa delle parti diretta al sacramento, ma consegue dal fatto che le due parti battezzate rappresentano Cristo e la Chiesa mentre concludono un vero matrimonio secondo la volontà del Creatore.

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ARCIVESCOVO BRUNO FORTE: BELLEZZA E IMPORTANZA DELLA FAMIGLIA


ma anche come soggetto dell’azione evangelizzatrice e catechetica: fondamentale è in tal senso la testimonianza che i coniugi possono dare della gioia del vivere insieme. Nel tratteggiare, poi, la realtà della famiglia nel suo essere in cammino verso la pienezza a cui è chiamata nel disegno del Signore, viene evidenziato da una parte il mistero creaturale del matrimonio, dall’altra l’intimo legame tra Chiesa e famiglia, vista come dono e come compito. È dovere della comunità cristiana aiutare la famiglia nella sua crescita, educando i suoi membri all’esperienza della misericordia che viene da Dio ed esercitando la misericordia verso le famiglie ferite e fragili. Un impegno particolarmente importante oggi è quello di sostenere i giovani nell’affrontare la paura di sposarsi che spesso li prende, aspetto del timore più generale che si riscontra nelle nuove generazioni verso gli impegni definitivi, la cui verità e bellezza è legata invece proprio alla loro irrevocabilità, che con l’aiuto dall’alto può essere vissuta come fonte di gioia e consolazione. La terza parte dell’Instrumentum si occupa della missione della famiglia oggi, soffermandosi su quattro ambiti decisivi nella vita delle famiglie. Il primo è quello dell’evangelizzazione: dopo aver ribadito quanto sia urgente e importante annunciare il Vangelo della famiglia oggi nei vari contesti, il testo si sofferma sul modo in cui la famiglia diventa essa stessa soggetto evangelizzante. Ciò avviene quando in essa si fa esperienza della tenerezza, che è la capacità di amare dando e ricevendo gioia, un’esperienza che deve essere nutrita dal continuo ricorso all’infinita tenerezza di Dio. In tal modo, la famiglia si offre pienamente come soggetto dell’agire pastorale della Chiesa: questo aspetto va messo in luce a partire dalla stessa liturgia nuziale, perché si colga che nella visione di fede la famiglia non è semplicemente realizzazione umana, ma opera di Dio a cui aprirsi e a cui restare disponibili in un’incessante conversione del cuore. Per formare a questo stile di vita familiare occorre un linguaggio rinnovato, sensibile alla necessità della mediazione culturale esigita dai diversi contesti, e soprattutto il continuo riferimento alla Parola di Dio, fonte fondamentale di vita spirituale per la famiglia. Da questa scuola di fede potranno nascere vissuti familiari diversi, di cui il comune fondarsi sul dono della rivelazione divina consentirà di mostrare l’armonia, in una significativa e arricchente sinfonia delle differenze. A tutto questo occorre essere formati: è qui che la responsabilità della famiglia in rapporto alla formazione

viene messa particolarmente in luce. I campi di questa formazione sono presentati con cura: la preparazione al matrimonio, la formazione dei futuri presbiteri, del clero e degli operatori pastorali, che tanto possono significare per accompagnare la vita familiare, la responsabilità delle istituzioni pubbliche e il connesso impegno socio-politico in favore della famiglia. Non di meno si evidenziano le condizioni che rendono difficile l’armonia della vita familiare, fra cui hanno un posto rilevante l’indigenza e i fattori che mettono le relazioni familiari a rischio di usura (condizionamenti lavorativi, stress, abitudini relazionali poco vive, ecc.). Il testo sottolinea anche quanto sia necessario guidare i nubendi nel cammino di preparazione al matrimonio ed accompagnarli specialmente nei primi anni della vita matrimoniale. Più in generale la famiglia necessita di un accurato accompagnamento ecclesiale, sia nel cammino verso il sacramento nuziale, sia nell’educazione all’esercizio quotidiano della reciproca accoglienza e del perdono, nutrito dal “grande fiume” della misericordia divina. L’arte dell’accompagnamento appare un aspetto fondamentale dell’azione pastorale della comunità cristiana nei confronti della realtà familiare. Un’attenzione peculiare va data pure alla cura pastorale di coloro che vivono nel matrimonio civile o in convivenze, e a quella delle cosiddette “famiglie ferite” (separati, divorziati non risposati, divorziati ri78


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raccomandata un’opportuna attenzione pastorale all’accompagnamento delle famiglie in cui vivono persone con tendenza omosessuale e di queste stesse persone. Infine, parlando di famiglia uno sguardo specifico va rivolto al dono e all’esercizio della generatività e alle sfide dell’educazione dei figli. Il testo ribadisce l’importanza dell’impegno per la trasmissione della vita e denuncia la sfida della denatalità, specialmente grave in alcuni Paesi. Viene ribadita la responsabilità generativa degli sposi, che si rapporta al mistero intangibile e prezioso della vita umana, e si estende a comprendere il valore altamente positivo delle esperienze dell’adozione e dell’affido. Analoga rilevanza è data all’impegno educativo proprio della famiglia. La conclusione, mentre mette in luce come l’Instrumentum sia stato frutto di un’autentica collegialità che ha coinvolto i vescovi e le chiese di tutto il mondo, richiama l’importanza per tutto il cammino sinodale della guida di Papa Francesco, che, “in coincidenza con il cinquantesimo anniversario della chiusura del Concilio Vaticano II e dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi da parte del Beato Paolo VI, ha convocato a distanza di un anno sul medesimo tema due diverse Assemblee sinodali… Né si può dimenticare che la celebrazione del prossimo Sinodo si situa nella luce dell’Anno Giubilare della Misericordia che avrà inizio l’8 dicembre 2015”.

sposati, famiglie monoparentali). I separati e i divorziati fedeli al vincolo devono a loro volta essere particolarmente sostenuti dall’impegno pastorale della Chiesa. A tutti costoro va annunciato che Dio non abbandona mai nessuno! Circa lo snellimento delle procedure nelle cause di nullità matrimoniale l’Instrumentum dà voce a una generale richiesta che arriva da ogni parte del mondo. Parimenti è stata messa in luce l’importanza di considerare la rilevanza della fede dei nubendi in ordine all’eventuale riconoscimento della nullità del vincolo. La preparazione degli operatori in questo campo e l’incremento dei tribunali ecclesiastici sono dati su cui c’è una diffusa insistenza, come pure sull’importanza di linee pastorali comuni, che puntino all’integrazione dei divorziati risposati civilmente nella comunità cristiana. Per attuare queste mete molti propongono la definizione di una specifica via penitenziale. Si chiede anche di valorizzare la distinzione e il rapporto fra comunione spirituale e comunione sacramentale di coloro che sono in situazioni irregolari o difficili. Una speciale attenzione è riservata alle situazioni derivanti dai matrimoni misti e da quelli con disparità di culto, mentre la peculiarità della tradizione ortodossa e dell’esercizio in essa praticato di accondiscendenza misericordiosa verso alcune situazioni difficili è accostata con rispetto nella sua diversità dalla teologia e dalla prassi cattolica. Infine, viene


francescanesimo

Minorità e fraternità Papa Francesco al capitolo generale dei Frati Minori

I

n queste giornate di riflessione e di preghiera, voi vi siete lasciati guidare in particolare da due elementi essenziali della vostra identità: la minorità e la fraternità. Io ho chiesto consiglio a due francescani amici, giovani, dell’Argentina: “Devo dire qualcosa su questo, sulla minorità, dammi un consiglio”. Uno mi ha risposto: “Dio me la conceda ogni giorno”. L’altro mi ha detto: “È’ quello che cerco di fare tutti i giorni”. Questa è la definizione di minorità che questi due amici, giovani francescani, della mia terra, mi hanno dato. La minorità chiama ad essere e sentirsi piccoli davanti a Dio, affidandosi totalmente alla sua infinita misericordia. La prospettiva della misericordia è incomprensibile per quanti non si riconoscono “minori”, cioè piccoli, bisognosi e peccatori davanti a Dio. Quanto più siamo consapevoli di questo, tanto più siamo vicini alla salvezza; quanto più siamo convinti di essere peccatori, tanto più siamo disposti ad essere salvati. Così accade nel Vangelo: le persone che si riconoscono povere davanti a Gesù vengono salvate; chi invece ritiene di non averne bisogno non riceve la salvezza, non perché non gli sia stata offerta, ma perché non l’ha accolta. Minorità significa anche uscire da sé stessi, dai propri schemi e vedute personali; significa andare oltre le strutture – che pure sono utili se usate saggiamente –, andare oltre le abitudini e le sicurezze, per testimoniare concreta vicinanza ai poveri, ai bisognosi, agli emarginati, in un autentico atteggiamento di condivisione e di servizio. Anche la dimensione della fraternità appartiene in maniera essenziale alla testimonianza evangelica. Nella Chiesa delle origini, i cristiani vivevano a tal punto la comunione fraterna da costituire un segno eloquente e attraente di unità e di carità. La gente era stupita nel vedere i cristiani così uniti nell’amore, così disponibili nel dono e nel perdono vicendevole, così solidali nella misericordia, nella benevolenza, nell’aiuto reciproco, unanimi nel condividere le gioie, le sofferenze e le esperienze della vita. La vostra famiglia religiosa è chiamata ad esprimere questa fraternità concreta, mediante un recupero di fiducia reciproca – e sottolineo questo: recupero di fiducia reciproca - nelle relazioni interpersonali, affinché il mondo veda e creda, riconoscendo che l’amore di Cristo guarisce le ferite e rende una cosa sola.

In questa prospettiva, è importante che venga recuperata la coscienza di essere portatori di misericordia, di riconciliazione e di pace. Realizzerete con frutto questa vocazione e missione se sarete sempre più una congregazione “in uscita”. Questo del resto corrisponde al vostro carisma, attestato anche nel “Sacrum Commercium”. In questo racconto sulle vostre origini si narra che ai primi frati fu chiesto di mostrare quale fosse il loro chiostro. Per rispondere, essi salirono su un colle e «mostrando tutt’intorno la terra fin dove giungeva lo sguardo dissero: “Questo è il nostro chiostro”» (63: FF 2022). Cari fratelli, in questo chiostro, che è il mondo intero, andate ancora oggi spinti dall’amore di Cristo, come vi invita a fare san Francesco, che nella Regola bollata dice: «Consiglio, ammonisco ed esorto i miei frati nel Signore Gesù Cristo, che quando vanno per il mondo, non litighino ed evitino le dispute di parole e non giudichino gli altri; ma siano miti, pacifici e modesti, mansueti e umili, parlando onestamente con tutti. … In qualunque casa entreranno, dicano prima di tutto: “Pace a questa casa”; e sia loro lecito mangiare di tutti i cibi che saranno loro messi davanti (III, 10-14: FF 85-86). Quest’ultima cosa è buona! Queste esortazioni sono di grande attualità; sono profezia di fraternità e di minorità anche per il nostro mondo di oggi. Quanto è importante vivere un’esistenza cristiana e religiosa senza perdersi in dispute e chiacchiere, coltivando un dialogo sereno con tutti, con mitezza, mansuetudine e umiltà, con mezzi poveri, annunciando la pace e vivendo sobriamente, contenti di quanto ci è offerto! Ciò richiede anche un impegno deciso nella trasparenza, nell’uso etico e solidale dei beni, 80


Diceva San Francesco ai suoi frati PREDICATE SEMPRE IL VANGELO …” Oggi, con il pallio, vorrei affidarvi questo richiamo alla preghiera, alla fede e alla testimonianza. La Chiesa vi vuole uomini di preghiera, maestri di preghiera; che insegnino al popolo a voi affidato dal Signore che la liberazione da tutte le prigionie è soltanto opera di Dio e frutto della preghiera, che Dio nel momento opportuno invia il suo angelo a salvarci dalle tante schiavitù e dalle innumerevoli catene mondane. Anche voi per i più bisognosi siate angeli e messaggeri della carità! La Chiesa vi vuole uomini di fede, maestri di fede: che insegnino ai fedeli a non aver paura dei tanti Erode che affliggono con persecuzioni, con croci di ogni genere. Nessun Erode è in grado di spegnere la luce della speranza, della fede e della carità di colui che crede in Cristo! La Chiesa vi vuole uomini di testimonianza. Diceva san Francesco ai suoi frati: predicate sempre il Vangelo e, se fosse necessario, anche con le parole! (cfr Fonti Francescane, 43). Non c’è testimonianza senza una vita coerente! Oggi non c’è tanto bisogno di maestri, ma di testimoni coraggiosi, convinti e convincenti; testimoni che non si vergognano del Nome di Cristo e della sua Croce né di fronte ai leoni ruggenti né davanti alle potenze di questo mondo. Sull’esempio di Pietro e di Paolo e di tanti altri testimoni lungo tutta la storia della Chiesa, testimoni che, pur appartenendo a diverse confessioni cristiane, hanno contribuito a manifestare e a far crescere l’unico Corpo di Cristo. E questo mi piace sottolinearlo alla presenza – sempre molto gradita – della Delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, inviata dal caro fratello Bartolomeo I. La cosa è tanto semplice: perché la testimonianza più efficace e più autentica è quella di non contraddire, con il comportamento e con la vita, quanto si predica con la parola e quanto si insegna agli altri! Cari fratelli, insegnate la preghiera pregando; annunciate la fede credendo; date testimonianza vivendo! PAPA FRANCESCO OMELIA SOLENNITÀ DEI SANTI PIETRO E PAOLO 29 GIUGNIO 2015

in uno stile di sobrietà e di spogliazione. Se, invece, siete attaccati ai beni e alle ricchezze del mondo, e ponete lì la vostra sicurezza, sarà proprio il Signore a spogliarvi da questo spirito di mondanità al fine di preservare il prezioso patrimonio di minorità e di povertà a cui vi ha chiamato per mezzo di san Francesco. O siete voi liberamente poveri e minori, o finirete spogliati. Lo Spirito Santo è animatore della vita religiosa. Più gli diamo spazio, più Egli è l’animatore dei nostri rapporti e della nostra missione nella Chiesa e nel mondo. Quando le persone consacrate vivono lasciandosi illuminare e guidare dallo Spirito, scoprono in questa visione soprannaturale il segreto della loro fraternità, l’ispirazione del loro servizio ai fratelli, la forza della loro presenza profetica nella Chiesa e nel mondo. La luce e la forza dello Spirito vi aiuteranno anche ad affrontare le sfide che sono davanti a voi, in particolare il calo numerico, l’invecchiamento e la diminuzione delle nuove vocazioni. E’ una sfida, questa. Poi vi dico: il popolo di Dio vi ama. Il Cardinale Quarracino una volta mi ha detto più o meno queste parole: “Nelle nostre città ci sono gruppi o persone un po’ mangiapreti, e quando passa un sacerdote gli dicono certe cose: “Corvo” - in Argentina gli dicono questo -; lo insultano, non fortemente, ma qualcosa gli dicono. Mai, mai, mai - mi diceva Quarracino - dicono queste cose ad un abito francescano”. E perché? Voi avete ereditato un’autorevolezza nel popolo di Dio con la minorità, con la fratellanza, con la mitezza, con l’umiltà, con la povertà. Per favore, conservatela! Non perdetela! Il popolo vi vuole bene, vi ama. Vi sia di incoraggiamento nel vostro cammino la stima

di questa buona gente, come pure l’affetto e l’apprezzamento dei Pastori. Affido l’intero Ordine alla materna protezione della Vergine Maria, da voi venerata come speciale Patrona con il titolo di Immacolata. Vi accompagni anche la mia Benedizione che di cuore vi imparto; e, per favore, non dimenticatevi di pregare per me, ne ho bisogno. Grazie! SALA CLEMENTINA 25 MAGGIO 2015

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La preghiera di Francesco d’Assisi da Roma

RAFFAELE DI MURO DOCENTE DI SPIRITUALITÀ FRANCESCANA

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an Francesco intende e vive la preghiera come un elevarsi dalle terrene attrattive per rivolgersi a Dio, autore di tutto il creato, amore più grande dell’uomo e datore di salvezza in Cristo Gesù. Questo indica, ad esempio, la nota preghiera Absorbeat (Fonti Francescane 277): «Rapisca, ti prego, o Signore, l’ardente e dolce forza del tuo amore la mente mia da tutte le cose che sono sotto il cielo, perché io muoia per amore dell’amor tuo, come tu ti sei degnato morire per amore dell’amore mio». Pregare non vuol dire disprezzare il creato, ma valorizzarlo a partire dal Creatore, che va amato sopra ogni cosa. La preghiera è soprattutto avere fame e sete dell’amore di Dio, è un continuo conversare con Lui. Infatti, Francesco ci indica, che «Nient’altro dunque dobbiamo desiderare, nient’altro volere, nient’altro ci piaccia e diletti, se non il Creatore e Redentore nostro, solo vero Dio, il quale è il bene pieno, ogni ben, tutto il bene, vero e sommo bene, che solo è buono, pio mite, soave e dolce, che solo è santo, giusto, vero e retto, che solo è benigno, innocente e puro, dal quale e per il quale e nel quale è ogni perdono, ogni grazia, ogni gloria di tutti i penitenti e i giusti, di tutti i beati che godono insieme nei cieli » (Dalla Regola non Bollata capitolo XXIII, Fonti Francescane 70). Ogni creatura conduce all’opera ed alla lode del Creatore che va amato sopra ogni cosa ed ogni realtà creata: questa è l’essenza della preghiera. Pregare vuol dire collo-

quiare con Dio, conversare con lui, Creatore dell’universo. L’Altissimo parla all’uomo e questi risponde: si avvia un dialogo d’amore. La preghiera è parlare a Dio in modo diretto, abituale, continuo. Francesco così esorta i suoi frati, in un altro stralcio della Regola non Bollata al capitolo XXIII (Fonti Francescane 71): «E ovunque noi tutti, in ogni luogo, in ogni ora ogni giorno e ininterrottamente crediamo veramente, e umilmente teniamo nel cuore e amiamo, onoriamo, adoriamo, serviamo, lodiamo, e benediciamo, glorifichiamo ed esaltiamo, magnifichiamo e rendiamo grazie all’altissimo e sommo eterno Dio, Trinità e Unità e Padre e Figlio e Spirito Santo, Creatore di tutte le cose e Salvatore di tutti coloro che credono e sperano in lui». Secondo il santo la preghiera è il continuo fluire del dialogo tra l’uomo e Dio-Trinità, un colloquio amoroso e incessante nel quale la creatura può adorare, onorare e benedire il proprio Creatore ed è pronta ad ascoltarne la voce e la volontà. In ogni momento il fedele può aprire all’Altissimo il suo cuore ed esprimergli il suo amore e la sua gratitudine e, nel contempo, ricevere l’aiuto necessario al proprio cammino spirituale. In questo conversare, Dio rivela all’uomo la sua volontà, il suo progetto d’amore che richiede un generoso fiat. La preghiera è, dunque, la base per un cammino di santificazione, di continua conversione e di servizio apostolico per il Regno. Il raccoglimento, il silenzio e la meditazione della Parola rappresentano, secondo il pensiero ed il vissuto dell’Assisiate, alleati preziosi per un’orazione fervo82

rosa, senza soste e fruttuosa sotto il profilo della maturità spirituale. Inoltre, caratteristica fondamentale di chi prega è l’umiltà. Infatti, il Poverello rivolge questo invito ai suoi frati, sempre nel capitolo XXIII della Regola non Bollata (Fonti Francescane 69): «Tutti amiamo con tutto il cuore, con tutta l’anima con tutta la mente, con tutta la capacità e la fortezza, con tutta l’intelligenza e con tutte le forze, con tutto lo slancio, tutto l’affetto e tutti i sentimenti più profondi, tutti i desideri e la volontà il Signore Iddio, il quale a tutti noi ha dato e da tutto il corpo, tutta l’anima e tutta la vita; che ci ha creati, redenti e ci salverà per sua sola misericordia; Lui che ogni bene fece e fa a noi miserevoli e miseri, putridi e fetidi, ingrati e cattivi» Nel brano esposto si nota l’atteggiamento di umiltà dell’Assisiate. Egli desidera “dipendere” da Dio, fonte di ogni bene e di ogni grazia, comprendendo i propri limiti e la propria piccolezza dinanzi a lui. Lo stato d’animo di chi prega deve essere proprio questo: affidarsi con grande capacità di abbandono all’Altissimo, che ci salva e ci colma dei suoi doni. La preghiera umile è parte fondamentale di un cammino di ascesi che lo coinvolge fino al raggiungimento delle vette della vita spirituale. Il credente è chiamato a confidare in Dio in ogni cosa: si tratta, secondo il Poverello, di un’altra caratteristica importante


dell’orante. Il credente è consapevole della propria fragilità, della propria debolezza e si fida, in ogni circostanza, della grazia e della misericordia divine: egli, conscio della propria tendenza al peccato e della propria cecità, si abbandona all’azione salvifica e provvidenziale di Dio che lo sostiene, lo fortifica e lo santifica. La preghiera è un affidarsi senza limiti all’amore di Dio, è il punto di riferimento essenziale del cammino spiri-

tuale di Francesco che indica ai suoi fratelli - e a noi oggi - che l’orazione deve diventare come il respiro, essere continua e ricca di amore e gratitudine verso Dio. Questo è il segreto della santità: pregare senza sosta, rivolgersi a Dio senza stancarsi fino a rendere tutta la propria vita una preghiera. Il santo di Assisi è un maestro di preghiera: il suo pregare e il suo pensiero su questo tema fanno scuola ancora oggi perché egli indica una via

La consegna di padre Lanfranco Serrini FERMINO GIACOMETTI GRAFOLOGO

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redo che non ci sia modo migliore per tenere vivi, nel cuore delle nostre fraternità e di noi singoli frati, il volto, la vita e la testimonianza di padre Lanfranco Serrini che riprendere in mano la sue Lettere natalizie, inviate all'Ordine quali importanti strumenti di esercizio del suo ministero generalizio. I motivi sono tanti, e mi piace richiamarne alcuni alla memoria per cogliere anche oggi la ricchezza che rende queste Lettere (Shalom editrice, Camerata Picena 2015, p. 496, 7,00 euro) scrigno prezioso di carità fraterna, di magistero francescano, di incarnazione storica del modello di servizio suggerito da Francesco ai ministri dell'Ordine. Vale la pena ricordare che il ministero generalizio è stato per padre Lanfranco il vertice di un percorso

progressivo, che lo ha visto formatore, ministro e guida esemplare dei fratelli affidatigli dal Signore: dal Seminario teologico alla Provincia marchigiana, al Segretariato Generale e, quindi, alla missione di Ministro generale. È bene anche ricordare che il periodo da lui vissuto al servizio dell'Ordine, nel duplice ruolo rivestito, è stato il periodo che ha visto l’Ordine stesso incrementare il suo cammino missionario, riprendendo strade che si erano chiuse nel tempo e aprendo nuovi percorsi in terre mai raggiunte in passato. È stato tempo di grazia, tempo di creatività e di slancio, ma anche tempo di elaborazione progettuale (ricordiamo la definizione delle Co-

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di unione con Dio semplice e profonda che dona sostanza e forza a tutto il cammino spirituale, conducendolo nell’orbita del progetto divino e nell’esperienza di una gioia interiore indicibile. Francesco ci illumina nel farci comprendere che è davvero bello ed entusiasmante intraprendere un percorso di orazione che ci ponga nella condizione di avere uno sguardo contemplativo a tutta la nostra esistenza.

stituzioni dell’Ordine), tempo di impegno per la verifica prudente delle novità in sviluppo alla luce della fedeltà al carisma originario, come indicato dal Concilio Vaticano II, tempo di ricerca identitaria in un contesto di veloce e intensa globalizzazione, che se, da un lato, stimolava il dialogo tra i popoli e le culture, dall'altro non era libera da pericoli di frammentazione e di divisione, di smarrimento dell'identità carismatica e di omogeneizzazione alla cultura secolarizzante, massificante e relativistica che si stava imponendo con forza aggressiva. Nell’Ordine questo significava urgenza di promuovere il rinnovamento della vita e della testimonianza nelle comunità francescane conventuali di quei Paesi in cui l’Ordine vantava una lunga presenza e, contemporaneamente, offrire linee-guida per una incarnazione autentica del carisma nelle nuove, o recuperate, terre di missione. Rileggere in profondità questa storia recente dell’Ordine permette di comprendere la complessità e la difficoltà del servizio magisteriale, di animazione e di guida a cui padre Lanfranco era stato chiamato, prima come Segretario generale e poi come Ministro generale. Queste Lettere sono lo strumento principale, ma non unico, del suo servizio e sono la testimonianza


dello stile fraterno, propositivo, incoraggiante, umile e. insieme, chiaro, meditato, tenace nella carità e coerente nella proposta francescana, con cui egli ha portato avanti la missione affidatagli dai confratelli. E importante cogliere in esse la duplice funzione di ridestare gli ideali francescani, a volte sopiti nella abitudinarietà degli stili di vita legati alla tradizione, e indicare all’Ordine, pellegrino verso le nuove frontiere della sua storia plurisecolare, le linee progettuali evangeliche e e carismatiche che dovevano guidarne il cammino, gettando le fondamenta su cui costruire i nuovi edifici dell'evangelicità francescana in mezzo ai popoli che via via aderivano all'invito di Francesco di accogliere Cristo ed il suo messaggio. Rilette con attenzione, ci si rende conto che le Lettere rivelano tutta la loro pregnanza magisteriale con il richiamo ai tratti fondamentali dell’identità carismatica francescana, reinterpretati con coerenza e gradualità pedagogica, nei dodici anni del ministero di padre Lanfranco, alla luce della persona di Cristo, del suo Vangelo e dell'esperienza di ascolto e sequela vissuta da Francesco e dall’Ordine lungo la storia. Il compito di ridestare la vita, laddove poteva essere stata opacizzata dall'abitudine, e di creare nuove modalità di incarnazione del francescanesimo conventuale non poteva essere svolto se non attraverso la proposta di stili di vita storicamente attualizzati, ma fedelmente aderenti ai valori originari della storia dell’Ordine: essi soli potevano garantirne l'unità nel pluralismo delle esperienze culturali e, nello stesso tempo, permettere l'avvio di comunità e di modelli di vita e di testimonianza francescana fraternamente in ascolto del linguaggio proprio di ogni popolo. Non dimentichiamo, poi, che padre

Lanfranco ha scelto sempre il Natale del Signore come tempo per pensare e inviare ai frati le sue Lettere annuali. Per Francesco il Natale è tempo dell’Amore che si umilia e si fa servo dell'uomo. È tempo di festa, di lode e di presa di coscienza di un dono ricevuto e da condividere. È tempo di partenza per un cammino di salvezza da fare propria e da vivere nella comunione. È evento che da senso eterno all'itineranza dell'uomo e al pellegrinaggio missionario. Ed è su questa dimensione di dono salvifico che padre Serrini intende sempre fondare la forza formatrice, propositiva di bene e di grazia, delle sue Lettere ai frati. Possiamo dire, senza timore di essere smentiti, che esse sono la testimonianza di una visione carismatica autentica e globale dell’Ordine francescano conventuale e la proposta di un percorso umano e spirituale, cioè evangelico, dinamico e progressivo, rivolta a ogni confratello, perché possa vivere la personale vicenda umana e spirituale come instancabile cammino di formazione e di crescita quotidiana nella conformazione a Cristo. Un cammino da vivere nella storia, senza fughein uno sterile immaginario. Una proposta coerente nel tempo, quella di padre Lanfranco, che tale si svela nei momenti forti dell’animazione fraterna. Si confrontino lo stile e il contenuto delle Lettere con il suo stile di guida dei Capitoli provinciali e delle assemblee fraterne da lui presiedute; si rileggano gli atti del Capitolo generale straordinario di Città del Messico del 1992, e sarà possibile riconoscere il volto di un maestro, di un animatore e di una guida autorevole e dinamica, di un testimone fedele a Francesco d’Assisi ed evangelicamente creativo per i fratelli nel carisma e per tutti gli uomini del nostro tempo. 84

Un’ultima annotazione. Sono convinto che le Letìere di padre Lanfranco debbano sempre essere lette in parallelo con i suoi Asterischi di viaggio, pubblicati dalla CIMP (Conferenza Intermediterranea dei Ministri Provinciali) e donati in omaggio al padre Serrini il 10 giugno 1995, al compimento del suo ministero generale all'Ordine. Se le Lettere sono la testimonianza del suo insegnamento e della sua proposta formativa e spirituale per l’Ordine, gli Asterischi di viaggio sono la memoria del suo camminare evangelico e missionario accanto ai frati, ai singoli frati, in tutto il mondo. Esprimono la traduzione pratica di quanto suggeriva, testimoniano la coerenza totale tra la proposta ideale e l'azione, fra la vita evangelica contemplata, meditata e pregata e la prassi evangelica tradotta in comunione, condivisione, servizio formativo, prossimo a ciascun fratello. Ancora oggi, lo sappiamo tutti, ogni frate che lo ha avvicinato almeno una volta ricorda di essersi sentito accolto nella propria realtà concreta, identificato con nome e cognome e amato come fratello unico con il proprio volto, la propria storia, la propria preziosità. Il ministero di padre Lanfranco aveva queste caratteristiche: insegnava a tutta la fraternità, guardava al cammino salvifico e missionario di tutto l’Ordine, in comunione e in ascolto filiale della Chiesa, ma questa visione globale non distraeva il suo cuore e il suo sguardo dal fratello, dal singolo fratello; padre Lanfranco, attento alla fatica quotidiana di tutti, di fronte alla quale sapeva dire a ciascuno, con la forza dello Spirito: «Coraggio!». E con questo invito donava carità fraterna, comprensione, accoglienza, insegnamento, sostegno, luce e vita. Lo so per esperienza personale.


Un’ode a “Sorella Terra”

È

dedicata alla “Sorella terra” l’edizione 2015 del Festival francescano che si terrà per la prima volta a Bologna dal 25 al 27 settembre. L’obiettivo di questo settimo anno della manifestazione è scoprire in che modo prendersi cura della Terra e come lasciarsi ispirare da essa, coma San Francesco nel suo “Cantico di frate sole”. L'evento è stato presentato presso la Sala Marconi della Radio Vaticana. Un tema impegnativo, quello scelto dal Festival francescano, che quest’anno vuole condividere a gran voce il messaggio di custodia del Creato che fu del Poverello d’Assisi; il pensiero non può non andare alla “cura della casa comune” espressa da Papa Francesco nell’Enciclica appena pubblicata “Laudato sii”, in cui pone un interrogativo fondamentale: “Come vogliamo lasciare il mondo alle future generazioni”? Ci risponde il presidente del Festival francescano, fra Alessandro Caspoli: “Avendo un atteggiamento non consumistico nei confronti del Creato e quindi della Terra e di tutto quello in cui noi viviamo; avendo un atteggiamento di attenzione e di cura. È la cura che, forse, fa la differenza rispetto al vivere, sfruttare e utilizzare il luogo nel quale siamo. Penso che con l’Enciclica del Papa e con il Festival francescano si cerchi di sottolineare l’atteggiamento che gli uomini e le donne di questa Terra devono avere: una collaborazione reciproca nella costruzione del bene comune”. Anche quest’anno oltre un centinaio di iniziative gratuite tra conferenze, workshop e appuntamenti dedicati ai più piccoli, per un festival culturale vitale che cerca di far arrivare anche ai più distanti i valori francescani di fraternità, umiltà, carità, dialogo e pace uscendo nelle piazze ad ascoltare, mettendosi in dialogo con il mondo ed evangelizzando “per attrazione”, proprio come faceva San Francesco e come propone oggi il Papa ponendo sempre al centro i poveri e le periferie. Una formula di successo ininterrotto dal 2009; ce ne svela il segreto fra Giordano Ferri, direttore del Festival francescano: “È una formula che si sposa benissimo, credo, con il carisma francescano, perché anche San Francesco andava nelle piazze; anche Francesco non predicava nelle chiese, ma amava farlo più nelle piazze. Predicava, ma allo stesso tempo, a volte, cantava e a volte recitava.

Cerchiamo anche noi - in questo pastiche culturale - di essere fedeli con più di 100 eventi - e di raggiungere un pochino il carisma di Francesco”. Tanti gli eventi in calendario: da un convegno sul “Cantico delle creature” agli appuntamenti dedicati agli stili di vita sostenibili, dagli workshop sui diritti umani, sul cibo nella Bibbia e sul rispetto della natura a una lectio magistralis sul continente africano, "periferia delle periferie". Fiore all’occhiello del programma, è lo spettacolo “Earth Mass” in cui canto, musica e danza si uniscono e invitano a custodire il dono del Creato, a lasciarsi afferrare dalla sua bellezza cantando la riconoscenza a colui che ne è l’autore. Ce ne parla fra Giordano Ferri: “Un magnifico spettacolo sul Cantico delle Creature, ‘Earth Mass’, la Messa della Terra - tradotto molto grossolanamente – è una Messa, un’opera di musica contemporanea, scritta nell’81, con musica jazz e spiritual; con ospiti, che eseguiranno brani solisti - Chiara Galiazzo, la vincitrice di X Factor 2012, e Giovanni Caccamo, che ha vinto Sanremo Giovani nell’ultima edizione - oltre ad Amanda Sandrelli, che farà delle letture del Cantico delle Creature, ma anche dell’Enciclica del Papa”. Il 29 novembre 1979 Giovanni Paolo II proclamò il Santo di Assisi “patrono dell’ecologia”, colui che c’insegna a guardare il mondo con occhi nuovi, esperienza che è possibile solo cambiando la nostra realtà e restando uniti al Signore. Fra Alessandro Caspoli ci spiega come si può far arrivare il messaggio di San Francesco all’uomo di oggi: “È sempre più attuale, perché oggi si rischia di perdere l’attenzione a ciò che sta intorno, anche alle piccole cose. Rischiamo di perdere la consapevolezza di ciò che utilizziamo, e la consapevolezza che ciò che utilizziamo viene da qualcun altro e che noi dobbiamo tramandarlo a qualcun altro, alle future generazioni, e che non è esclusivamente per noi stessi”.

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Santità francescana in rassegna

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adre Renato Sapere, sacerdote francescano conventuale della provincia napoletana, ha messo a frutto la sua notevole esperienza di vice postulatore della Cause dei Santi donando alla famiglia francescana e alla Chiesa il volume dal titolo: “Sentiero Serafico. Santi beati e venerabili delle famiglie francescane”. 1988- 2014 (Nocera Inferiore- Salerno 2014, p. 352, 20,00 euro). Il libro tratta l’universo della santità espressa da Francesco di Assisi e da quanti si sono ispirati al suo messaggio e alla sua spiritualità. Le figure presentate sono esposte mese per mese, in base alla ricorrenza liturgica, e sono studiate in modo ovviamente sintetico ma esaustivo. Di ogni personaggio l’autore evidenzia la vita, la spiritualità, le opere e il contributo nella teo-

logia e nella testimonianza offerti a tutta la famiglia ecclesiale. È possibile “incontrare” santi notissimi, quali Francesco, Antonio, Chiara, san Giuseppe da Copertino, san Francesco Antonio Fasani , Beato Bonaventura da Potenza, e altri meno conosciuti o più recenti, con fama ancora da consolidarsi (soprattutto nel caso dei venerabili e dei beati). Siamo di fronte ad un’opera interessante perché, con incisive “pennellate”, padre Renato riesce ad offrirci un panorama completo sulla santità del mondo serafico con notizie che sono senza dubbio soddisfacenti sotto il profilo del vissuto spirituale e dell’esemplarità. Vi è un “fluire” mirabile di figure sante appartenenti ai tre Ordini francescani: si tratta di uomini e di donne di Dio di ogni epoca storica che rappresentano tasselli importanti di una santità che parte del Poverello e si evolve con altri ottimi personaggi che vanno ad arricchire quanto l’Assisiate ha espresso lungo il suo cammino. Plaudiamo a quest’opera che, pur nella sua sinteticità, dona un quadro esaustivo sulla testimonianza delle figure esemplari dell’Ordine serafico. È un pregevole e agile “prontuario” che può essere prezioso per i lettori francescani e per quanti sono leganti al mondo pan francescano. RAFFAELE DI MURO Consultore della Congregazione delle Cause dei Santi 86


Lo stile francescano del pastore che sa ascoltare L’abbraccio della chiesa di Cosenza al nuovo Arcivescovo Nolè da Cosenza NOSTRO SERVIZIO PARTICOLARE

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nsegnate la preghiera pregando, annunciate la fede credendo, date testimonianza vivendo”. Richiama questi tre impegni che Papa Francesco aveva in occasine del 29 giugno, solennità dei santi Pietro e Paolo, nel consegnare il Pallio ai nuovi arcivescovi, tra i quali Francesco Nolé, che sabato 4 luglio 2015, prendeva possesso dell’arcidiocesi di Cosenza- Bisignano tra l’abbraccio di una Chiesa impegnata nel presente ed aperta al futuro. “Sono disponibile, come persona, che come Chiesa in continuità con monsignor Nunnari per un grande patto di solidarietà educativa”. Era consapevole il nuovo arcivescovo della proposta esigente che deponeva nel cuore di tutti i suoi diocesani nel segno della comunione, della disponibilità e dell’impegno. Sessantasette anni, religioso dei francescani conventuali della provincia di Campania - Basilicata – di questa religiosa provincia era stato ministro provinciale dal 1994 al 2000 - e vescovo dal 10 dicembre 2000, mons. Nolé giungeva nella diocesi di Tursi - Lagonegro per guidarla per 14 anni e mezzo. Alla Chiesa particolare di Cosenza - Bisignano governata per 9 anni da mons. Nunnari, del clero di Reggio Calabria, mons. Nolé approda nel pieno della sue esperienze pastorali, culturali e sociali. Per questo, appena giunto in città incontrava all’auditorium “ “Guarasci” l’associazionismo cattolico, le autorità civili e militari, tra i quali il prefetto Gianfranco Tomao, il sindaco e presidente della provincia Mario Occhiuto, il vice ministro degli interni Filippo Bubbico, potentino come mons. Nolé. Il prefetto nel salutare il nuovo arcivescovo ha richiamato la scomunica dei mafiosi di Papa Francesco nella piana di Sibari il 21 giugno 2014 ed un altro messaggio di Papa Bergoglio in Calabria:”Non lasciatevi rubare la speranza”. Al saluto del prefetto seguivano i messaggi dei governatori di Basilicata, Marcello Pittella e di Calabria, Mario Olierio; dei sindaci di Tursi e di Potenza. “Il mio messaggio e di comunione. Spero di mantenere la semplicità e la gioia che sono nel mio motto episco-

pale: “In simpliciate et laetitia”, e insieme lavorare per il bene comune, il bene di tutti.. Se ognuno farà il suo lavoro onestamente- ribadiva – e lo metterà insieme agli altri faremo cose belle”. Attento alle esigenze dei giovani il presule Nolé – ha richiamato le nuove generazioni- di non aver paura di osare e di prendere iniziative. Noi non dobbiamo giudicare ma essi devono essere più forti”. A conclusione del momento istituzionale l’arcivescovo Nolé percorreva a piedi le strade del centro storico e raggiungere il duomo per la solenne concelebrazione eucaristica. “Il desiderio che poto nel cuore – diceva all’omelia – è quello di favorire un atteggiamento di reciproco ascolto: vescovo e sacerdoti; sacerdoti e lacici; genitori e figli, e, tutti insieme ascoltare a accogliere pazientemente i desideri e i bisogni dei poveri, degli ultimi, dei giovani in cerca di lavoro e di verità, in ascolto della domande profonde e inquietanti che cio vengono dalla società e dalla periferie, dalla carceri e dagli ospedali, dalle case per anziani e dagli immigrati, dalla cultura e dal creato”. Alla solenne rito di ingresso in diocesi di mons. Nolé erano presentii religiosi francescani conventuali della Campania, della Calabria e della Basilicata, guidati dal padre Edoardo Scognamiglio, ministro provinciale di Napoli e dal padre Francesco Celestino custode della Calabria. All’arcivescovo Nolé, gli auguri e le preghiere di tutti coloro che ha incontrato nei lungi anni di ministero francescano ed episcopale. (G.G.)

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Compie i 90 anni LS 19 Giornata di studio

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5 015

Ravello, biblioteca san Francesco Sabato 24 ottobre 2014, ore 9.30 La parola francescana scritta, predicata e vissuta Padre Eduardo Scognamiglio, Ministro provinciale OFMConv. Europa e Italia dal 1925 al 2015: 90 anni di storia travagliata Prof. Francesco Dante, storico, Università La Sapienza - Roma Ravello negli Anni Venti: Istituzioni e società Dott. Salvatore Amato, Archivista I 90 anni di Luce Serafica: nel segno della fedeltà francescana Padre Gianfranco Grieco, direttore di Luce Serafica Andrea De Luca, Tipografo dell’Arcivescovo: una testimonianza di produzione culturale e religiosa nella Costa d’Amalfi degli Anni Trenta Prof. Giuseppe Gargano, storico – Presidente Onorario del Centro di Cultura e Storia Amalfitana La riforma podestarile nell’età fascista: adozione e riflessi in ambito civile e religioso in Costa d’Amalfi Dott. Donato Sarno, storico – Centro di Cultura e Storia Amalfitana INTERVENTI Sapere, Di Muro, D’Alessandro, direttori emeriti di Luce Serafica CONCLUSIONE 90 anni con san Francesco in Italia e nel mondo Padre Enzo Fortunato, direttore della rivista san Francesco Patrono d’Italia, Portavoce del Sacro Convento di Assisi MODERATORE Prof. Luigi Buonocore, Storico dell’arte, Direttore del Museo dell’Opera del Duomo di Ravello 88


da ROMA

SERENETTA MONTI ESPERTA TEMATICHE SOCIALI

L

DI ROMA CAPITALE

e cronache delle ultime settimane ci hanno messo di fronte ad una Roma, in qualche modo, “maledetta”. Maledetta politicamente, umanamente, eticamente, il funerale scandalo del boss Casamonica poi l’ennesimo giro di giostra a cui il Sindaco Ignazio Marino sottopone i cittadini romani: siamo alla Giunta “Marino Ter”, in cui subentrano parlamentari che, a differenza dell'Assessora Leonori, rimasta in scranno dalla prima Giunta Marino, non scelgono. Sia Causi, che assurge al ruolo di vice sindaco, sia Esposito che ha preso il posto del dimissionario Improta, non rinunceranno al proprio status di parlamentari e ricoprendo, così, un doppio ruolo non daranno immagine di credere, realmante, nella durata di questa Giunta...E...per l'ennesima volta, Roma, pagherà le conseguenze della scarsità di alternative politiche ad un sindaco onesto...ma incapace. Fiumicino, blackout dopo l’incendio disagi e polemiche; Osta, in mano ai boss; l’ospedale sant’Andrea tra arresti e spaccio di droga. Gli arresti collegati all'inchiesta “Mafia Capitale” hanno messo i cittadini romani di fronte ad un intreccio di potere politico/mafioso che, probabilmente, ancora oggi, si pensava di poter immaginare solo da Napoli in giù. La doccia gelata della triste realtà in cui i romani sono stati proiettati, forse, è stata troppo, tutta insieme. Cosa è emerso? È emerso che consiglieri comunali (e regionali) ritenuti al di sopra di ogni sospetto, prendessero la cosiddetta “stecca”. A Roma, la “stecca” è la tangente, la mazzetta, comunque niente di buono. Diversa dalla cresta (che, comunque, emerge dalle intercettazioni dei deus ex machina Buzzi e Carminati) la “stecca”, prevede un accordo a monte con il malavitoso di turno. Per cui si agisce nella piena consapevolezza di essersi votati al “lato oscuro della forza” e di non stare agendo più in nome della difesa della res publica. Ed a fare le spese di questa corruzione, prima interiore che fisica, sono quei cittadini che, nonostante tutte le difficoltà quotidiane, credono nel sindaco e pagano

puntualmente le tasse per aiutare la “carretta” comunale. Ma il sindaco come sta ripagando i cittadini “onesti”? Per esempio con strade sporche o l'assenza totale di sicurezza che non si concretizza solo in scarsità di forze dell'ordine sul territorio, ma nel creare le condizioni in cui sicurezza non può esserci. Tratte intere di chilometri restano al buio per giorni, se va bene, in alcuni casi anche per mesi. Ed in quegli anfratti oscuri agiscono dai semplici ladri di appartamento, favoriti dall'oscurità, agli spacciatori di cui, ormai, questa città è stracolma, a tutta quella delinquenza che ama agire nell'ombra. Se ne potrebbero dire tante e chissà quante ce ne saranno, grazie agli sviluppi dell'inchiesta, forse una cosa su tutte va detta: a fronte di quanto accade dentro ai palazzi del potere, i romani non hanno perso la loro “romanità”. Fatta di sfottò e fatta anche di tanta solidarietà. Già, perché, come se non bastasse la tragedia di Mafia Capitale, in questi giorni viviamo l'emergenza immigrazione: povera gente costretta a fuggire dai propri Paesi in guerra, dalla fame, dalla disperazione. Donne incinte, con bambini al seguito affrontano viaggi terribili per trovare un po' di pace. Un po’ di libertà, quella per cui i nostri nonni hanno versato il proprio sangue perché noi potessimo goderne tutti i benefici. Invece, arrivano nel nostro Paese e vengono ammucchiati come fossero bestie. E quando sorgono possibili emergenze sanitarie, diventano facile cibo per politici navigati che amano tanto farsi propaganda riempiendosi la bocca di parole come “clandestini”, “scabbia”, “malaria” senza aggiungere parole altrettanto importanti: “stato di diritto”, “solidarietà”, “aiuti sanitari”. I romani, però, nonostante la propria disperazione dovuta ad una conduzione vergognosa della città

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italia 2016

I “MALI”


che lascia tutti in ginocchio quando, per andare al lavoro, si è costretti a stiparsi in vagoni della metro roventi, o si aspettano bus che non arrivano mai... Quei romani che la sera affrontano il buio, le buche delle strade, fanno lo slalom tra mucchi di immondizia non raccolta, ebbene quegli stessi Romani, fanno la fila per andare ad aiutare gli immigrati ammucchiati in un centro autogestito per evitare di lasciare le proprie impronte e non perché siano “clandestini”, ma perché le leggi europee prevedono che se vengono identificati qui...in Italia...in Italia restano. Il loro obiettivo, invece è transitare e basta

dall'Italia per andare a raggiungere le loro famiglie nel nord Europa. E quella che accorre in aiuto di questi disperati è la vera Roma, quella “benedetta” che fa da contraltare al marciume letto sui giornali negli ultimi mesi ed è quella che fa pensare che, forse, una speranza c'è: bisogna, però, ripartire dall'amore per la città intesa come “bene comune”. Finché ci saranno i ladri, i corrotti, ma anche gli onesti incapaci questo non sarà possibile. Bisogna ricreare un tessuto sociale fatto di solidarietà e di speranza. Aspettare e sperare, perché tutto cambi, per davvero.

I “MALI” DI NAPOLI E DEL SUD da Napoli NOSTRO SERVIZIO PARTICOLARE

B

asta leggere i giornali per capire dove và la Campania? Certamente sì. 50% dei giovani senza lavoro; una famiglia su tre in stato di povertà. E poi, corruzione, corruzione, sempre corruzione in tutti gli ambienti. Alla corruzione, segue lo spargimento del sangue:“I tetti di Napoli poligono dei babykiller”. “Il pentito ed i seguaci del boss”. “L’inchiesta sugli appalti del metano …”. “Sostengo De Luca”. L’impegno di Renzi per la Campania: “Se riparte la Campania riparte l’Italia ... Ho rispettato la procedura prevista. Adesso che il problema è risolto tutti al lavoro”. E poi, lunedì 13 luglio: “Ha ucciso quattro persone per un parcheggio”. Agente penitenziario litiga con i vicini di casa e compie una strage nel Casertano, a Trentola. 49 anni, Luciano Pezzella due figli, ha ucciso per un niente! Altra pagina nera di fine luglio: “Napoli, un altro morto e un ferito nella faida dei babyboss. Agguanto al mercatino, terrore tra la folla” E poi, la Puglia con “gli amici di Emiliano” e la Sicilia, Grecia d’Italia; 37 assessori in due anni e mezzo hanno lasciato Crocetta”. Il coraggio e l’eroismo di Lucia Borsellino non bastano più. Inoltre anche la notizia bella dal Casertano: “I sei gemelli d’Italia hanno cinque anni ed il papà disoccupato”. Questi i loro nomi: Maurizio, Paolo, Francesca, Anna, Chiara, Serena:Questi i sei fratelli famosi per essere sbocciati con un parto esagemellare, il 10 gennaio 2010. A casa della famiglia di Orta di Atella, papà Rino è disoccupato e Carmela è mamma a tempo pieno. “ Ci aiutano parenti ed amici”- confessa l’eroica signora ad un giornale. A questo intreccio di storie più tristi che liete si aggancia la lettera pastorale del cardinale Arcivescovo di Napoli, Crescenzio Sepe: “… Abbiamo vissuto un intenso anno pastorale, scandito dalle tappe del nostro progetto ecclesiale e segnato dalla straordinaria visita di Papa Francesco che ha rinvigorito la nostra fede, spronandoci a viverla e a professarla con sempre maggiore consapevolezza e accresciuto entusiasmo ed esortandoci a non arroccarci sulle nostre certezze, a non rinchiuderci nelle nostre sagrestie”. Viste così, le cose, tutto va bene sotto il cielo di Napoli e sotto i cieli del Sud. Aveva ragionale il cardinale Kasper, quando davanti ai cardinali di tutto il mondo nell’aprire il concistoro del 20-21 febbraio 2014 diceva con forza e con coraggio tuonava con garbo tedesco: “Tra la nostra predicazione cristiana e l’agire concreto del popolo non c’è un vuoto, un precipizio, c’è un abisso”. Come colmare questo abisso? Le tre raccomandazioni di Papa Francesco agli arcivescovi che il 29 giugno ricevevano il pallio sono troppo chiare: “Insegnare la preghiera pregando; annunciare la fede credendo; dare testimonianza vivendo”. Preghiera, fede e testimonianza questi i capisaldi per una “nuova civiltà” per Napoli e per il Sud. Vescovi, sacerdoti e laici impegnati e politici veri aprano gli occhi e si cingano il grembiule del servo. (G.G.) 90


da ROMA

ANDREA GIUCCI ESPERTO DI CATECHESI

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olte amicizie nascono e si consacrano a tavola. Condividere la mensa è infatti uno dei gesti di comunione più grandi e potenti che esistono. Lo sapevano, e lo sanno tutt’ora, gli ebrei, che ricordano con una grande cena la Pasqua di liberazione che prelude alla Alleanza fra Dio e il suo popolo. Lo sapeva bene Gesù che scelse l’ultima cena per offrire ai suoi amici parole e segni per ricordarlo e per consacrare per sempre con il suo corpo e il suo sangue la nuova e definiva alleanza. Ecco perché l’Eucaristia è il vertice della vita cristiana, il gesto più importante che i cristiani compiono ogni domenica, radunandosi tutti insieme per ricordare la Pasqua di Gesù e rinnovare l’unico sacrificio da Lui compiuto sulla croce. Fare la Prima Comunione significa allora raggiungere il vertice del cammino che ci rende cristiani ed è per questo che è così importante: in quel gesto si sposano una grande intimità (l’incontro personale tra il bambino e il Signore Gesù) e una intensa esperienza comunitaria, perché per la prima volta i bambini mangiano a quella tavola riservata solo ai cristiani adulti. Ecco perché, più che le celebrazioni delle prime comunioni, amo lo spettacolo, forse più ordinario, delle domeniche successive, quando i bambini si mettono in fila con gli altri e fanno la comunione come tutti, insieme a tutti. In questo accogliere le nuove generazioni nella fila di quanti si cibano del corpo di Gesù si manifesta con particolare intensità il frutto del lavoro di una famiglia e di una comunità, che consegnano la fede ai più piccoli e li accompagnano nel loro cammino cristiano. Le conseguenze di questa impostazione sono importanti e meritano di essere ricordate anche nei giorni festosi delle prime comunioni, proprio perché sono il motivo fondate del nostro fare festa. Anzitutto, l’incontro personale che si vive facendo la comunione, è con il Signore Gesù che dona la sua vita per ognuno di noi, che muore per noi. Non è un incontro banale, di poco conto; esso è possibile perché una persona reale, Gesù, ha dato la sua vita, il suo corpo e il suo sangue, perché ognuno di noi potesse mangiarne e vivere di

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questo dono. Avere ben chiaro questo punto aiuta a dare spessore alla grande emozione della prima comunione: “come si può non essere emozionati e colpiti da una persona che soffre e muore per me?” Davanti a una notizia simile ci si interroga su chi siamo davvero e quanto valiamo (nientemeno che la vita del Figlio di Dio!), coinvolti in un gesto come quello della croce che l’Eucaristia ricorda efficacemente non si può poi non ripensare alle logiche che sostengono e costruiscono la vita di ognuno. Certamente la Prima Comunione e ogni comunione sono momenti di gioia e di festa,ma lo sono veramente tanto quanto rimandano a ciò che realmente dicono e permettono di sperimentare. Altrimenti sono solo motivi per una ennesima vana ostentazione del nulla che continuamente insidia la nostra vita. Il contesto comunitario è poi entusiasmante ed esigente insieme: lo stare in fila con gli altri ci manifesta continuamente che non siamo soli nel cammino cristiano e nella vita intera. Perché ciò risuoni come buona notizia reale per le nostre esistenze, è però necessario che le relazioni fraterne che costruiscono una comunità siano il più possibile vere, cercate, costruite. Ognuno di noi sa quanto è bello e faticoso insieme costruire e mantenere relazioni interpersonali: è necessario un investimento di energie, tempo, attenzioni. È la grazia della comunità entro cui accogliamo i nostri bambini. Per questo motivo faccio molta fatica a pensare a prime comunioni private o in qualche luogo magari particolarmente bello e significativo, anche dal punto di vista religioso, ma sganciato da una comunità. Forse si guadagna in emozione e intimità, ma si perde la ricchezza e le storie dei volti di chi sta in fila con noi per cibarsi di Gesù. Una delle più belle sintesi sul mistero dell’Eucaristia dice così: “L’Eucaristia fa la Chiesa e la Chiesa fa l’Eucaristia”. Ogni domenica la comunità si raduna sotto la presidenze del sacerdote e fa memoria della Pasqua di Gesù, consacra il pane e il vino, fa l’Eucaristia. Allo stesso tempo è proprio la celebrazione eucaristica domenicale che convoca tutti i fedeli e rende visibile la comunità dei discepoli del Signore. Fare la comunione, per la prima volta e ogni domenica, significa lasciarsi inserire dentro questa dinamica che ci costituisce, ci accompagna e ci salva.

cultura religiosa

La prima comunione


PATMOS Le luminose visioni di Roselyne De Feraudy da Roma

SIMONA CORSETTI ART DIRECTOR

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atmos è un’isola greca incastonata nelle acque del mar Egeo, luogo in cui San Giovanni scrisse l’Apocalisse. È proprio questa, l’isola delle visioni giovannee, il soggetto che ricorre nelle fotografie di Roselyne de Feraudy, esposte nella mostra “Méditations” organizzata, all’inizio dell’estate dall’associazione culturale “Patmos of Colors”. Artista di origini parigine trasferitasi a Roma, Roselyne racconta di essersi accostata alla fotografia dopo un lungo periodo di lavoro sull’icona. Probabilmente è da legare a quella esperienza la dimensione contemplativa e spirituale che pervade ognuna delle sue immagini: “queste foto mi hanno portata come al di là delle apparenze in un viaggio interiore. Le mie preferite sono quelle che tendono sempre di più verso l’astrazione, poiché così esprimono il desiderio del silenzio che abita in me”. Patmos è infatti presente in questi scatti con i suoi angoli più nascosti, immortalati dall’occhio della fotografa che ne cattura i particolari apparentemente più insignificanti, come degli scalini o la superficie irregolare di un muro. Il soggetto appare essere infatti niente più che un pretesto per spostare l’attenzione su quello che è l’oggetto reale della sua indagine, la luce. È

quest’ultima infatti a unificare la visione, facendosi strumento di descrizione della realtà attraverso il quale le cose si rivelano nella loro vera essenza. Come racconta la stessa artista, “un giorno ho scoperto l’isola di Patmos, dove la luce è così intensa che anima ogni su-

perficie e trasforma ogni cosa. Il soggetto dell’immagine in sé ha poca importanza: mura, facciate, porte, scale… diventano una fonte inestinguibile di variazioni astratte che la luce scolpisce”. Una luce diretta o radente, che fa vibrare le superfici esaltandone la materialità, mentre talvolta si insinua tra le mura di un bianco abbagliante lo squarcio turchese del cielo o del 92

mare a spezzare quella continuità regalandoci una tonalità di quel colore intenso tipico del paesaggio greco. È così che in queste immagini le cose rappresentate perdono la loro consistenza fisica per farsi puro colore, attraverso la luce, e la ricerca formale si fonde con quella più spirituale scomponendo gli oggetti in geometrie astratte. Nella ricerca della de Feraudy la fotografia non si discosta molto dalla meditazione: filtra ciò che è accessorio, e accompagna la fotografa (e in seconda istanza anche noi che osserviamo le opere) attraverso un cammino di contemplazione in grado di suscitare nuove emozioni man mano che si svelano progressivamente gli aspetti più nascosti delle cose. Sono immagini che ci invitano all’interiorizzazione, al silenzio profondo, ma soprattutto la loro origine non è casuale. “Le mie immagini vivono in me, come senza la mia conoscenza. Ma la nascita di un’immagine non è fortuita, esige delle energie, una certa determinazione, uno sforzo di messa in cammino”. Così, Patmos appare come punto di partenza di un viaggio interiore verso quella che Roselyne definisce la fonte invisibile. Un viaggio che possiamo ripercorrere con lei scorrendo, una dopo l’altra, queste luminose visioni.


Vogliamo un calcio pulito da Napoli

GIACOMO AURIEMMA GIORNALISTA SPORTIVO

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a nuova stagione calcistica 2015-2016 è cominciata con le prime delusioni: Juve, Napoli e Milan KO alla prima giornata, ma, è di un altro terremoto vogliamo parlare. È un nuovo romanzo criminale, i cui protagonisti si fanno beffa delle passioni di quanti seguono lo sport più bello del mondo, ovvero il calcio. Un mondo malato, dove la spietatezza di scaltri dirigenti sportivi e la criminalità organizzata si intrecciano fino a confondersi, passando attraverso l'indifferenza delle società calcistiche e degli addetti ai lavori. Ma procediamo con ordine. 27 maggio: sette altissimi dirigenti della Fifa vengono arrestati a Zurigo su richiesta delle autorità statunitensi. L’accusa è di associazione a delinquere e corruzione per un arco di 24 anni. Per la precisione, sono 14 le persone indagate, come reso noto dal ministero della Giustizia americano: nove funzionari dell'organo di governo del calcio mondiale e cinque uomini al vertice. Il presidente della Fifa, Joseph Blatter, rassegna le dimissioni. 10 giugno: alcune perquisizioni, tra cui quella nella sede della Federcalcio a Roma, vengono eseguite dagli agenti della Digos su mandato della Procura di Napoli nell’ambito di un'inchiesta sulla Lega Pro che vede indagato per tentata estorsione il presidente della Lazio, Claudio Lotito. L’ipotesi di illecito contestata a Lotito riguarda dunque “presunte pressioni per costringere dirigenti di Lega Pro a votare l’approvazione di bilancio in senso favorevole alle sue richieste, allo scopo di acquisire una posizione di forza in Figc, Lega A e in quelle minori a vantaggio anche dei suoi club, Lazio e Salernitana”. 23 giugno: la Polizia di Stato di Catania esegue 7 ordinanze di custodia cautelare con cui viene disposta la misura degli arresti domiciliari a carico di persone ritenute responsabili di frode in competizioni sportive e di truffe, con lo scopo di alterare, nel campionato di calcio di serie B, l'esito delle partite in cui era impegnato il Calcio Catania. Tra gli arrestati c'è anche il presidente del club etneo, Antonio Pulvirenti. L’accusa è associazione per delinquere finalizzata alla commissione di diverse frodi sportive. Associazione a delinquere, estorsione, frode, truffa: il vocabolario del calcio cambia totalmente e mette i brividi. Il mondo del pallone ne esce con le ossa rotte. E se tre indizi fanno una prova...

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JUVE NIENTE TRIPLETTE Niente Triplette, ma quella appena trascorsa resta una stagione da incorniciare per la Juventus. Nonostante l’addio di Antonio Conte, i bianconeri hanno fatto incetta di trofei e gran parte del merito è da attribuire proprio al nuovo allenatore, Massimiliano Allegri. Il tecnico toscano ha portato a termine il lavoro iniziato dal suo predecessore, migliorandolo addirittura: primo posto in campionato con 17 punti di vantaggio sulla Roma, trionfo in Coppa Italia e finale di Champions League, persa soltanto al fotofinish contro i ‘marziani’ del Barcellona. Dieci mesi fantastici, in cui la Juve ha dimostrato di aver ritrovato finalmente la sua dimensione internazionale: tantissimi i protagonisti di questa splendida cavalcata, da Tevez a Morata, passando per Marchisio e Pogba, fino ad arrivare a Buffon e Chiellini. Resta l'amaro in bocca per quanto accaduto a Berlino al cospetto di Messi e Neymar, ma la Juve ci riproverà. Questo è sicuro.

NAPOLI NIENTE DA FARE Niente da fare. Puntava al terzo posto, ma alla fine il Napoli ha chiuso addirittura quinto: fatale il ko interno contro la Lazio nell'ultimo turno di campionato. Rafa Benitez saluta così Napoli nel peggiore dei modi, al termine di una stagione tutt'altro che positiva. La vittoria in Supercoppa contro la Juventus non è servita a dare la scossa, anzi. Da quel lontano 22 dicembre gli azzurri hanno inanellato una serie di risultati davvero negativi, vanificando quanto di buono fatto nella prima parte di stagione: il solo Higuain ha provato a predicare nel deserto, ma alla fine nemmeno lui ce l’ha fatta. La cocente eliminazione dall’Europa League per mano del modesto Dnipro ha complicato ulteriormente le cose, ponendo fine all'era Benitez. Il Napoli riparte ora da Sarri, originario proprio del capoluogo campano. Il Napoli, insomma, riparte da Napoli.


E V E N T I 2015

Frascati, 17 maggio 2015, Centro Studi Francescani - giornata di fraternitĂ

Amantea, aprile 2015, Elezione del Custode di Calabria fra Francesco Celestino

Ravello, 28 giugno 2015, Festa del Beato Bonaventura da Potenza

Potenza, 19 giugno 2015, Incontro di revisione

Benevento, 3 settembre 2015 Incontro con gli aspiranti e i postulanti Filippine, 28 aprile - 7 maggio 2015 Visita fraterna

Pacognano, 26 aprile 2015, Capitolo elettivo OfsCampania Nola, 17 maggio 2015 celebrazione delle Prime Comunioni

Napoli, Processione di Sant’Antonio da Padova

Ginevra, Visita a Fra Vincenzo Picazio

Maddaloni, 20 maggio 2015, incontro Ofs

Napoli, 15 maggio 2015, Veglia di 94 prehiera Tabor in S. Lorenzo Maggiore

Salerno, 1 marzo 2015 Un momento della celebrazione eucaristica

San Lorenzo - FraternitĂ



Luceerafica S Rivista francescana fondata a Ravello nel 1925

LC Ç| Ç T

CHIOSTRO DEL COMPLESSO MONUMENTALE DEL CONVENTO DI SAN FRANCESCO - RAVELLO


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