Numero 4/2015 - Trimestrale - Poste Italiane S.p.a. - Spedizione in abbonamento postale - D.L.353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 2 - CNS/CBPA/sud/BENEVENTO/109/2007
Luceerafica S Rivista francescana fondata a Ravello nel 1925
IL GIUBILEO DELLA MISERICORDIA
FAMIGLIA E SINODO
CON MARIA CONTEMPLIAMO IL VOLTO DI DIO
90 anni di vita francescana
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Papa Franceco e l’altra Chiesa blica deve essere messa in pratica da tutti: cristiani, fratelli ebrei, fratelli musulmani e seguaci delle altre fedi e religioni. Solo traducendo in Gianfranco Grieco opere il Vangelo della Misericordia riusciremo a n questi due anni e dieci mesi di servizio pe- cambiare il volto violento di questo tempo, che trino di Papa Francesco più volte ci siamo dopo il terrore di Parigi del 13 novembre, ha fechiesti quale Chiesa vuole costruire questo rito a morte la dignità umana di tutti i popoli. Papa francescano. La risposta, anzi, le risposte, Insieme con la misericordia camminano altre vesono tante. Cerchiamo di individuarne alcune, partendo dalla felice intuizione dell’anno santo straordinario della misericordia. Questa celebrazione, ci sembra, vuole essere quella decisiva, perché si presenta come primo punto di arrivo, e, nel contempo, come primo punto di partenza. Sin dall’alba del suo pontificato Papa Francesco rità che sono il cuore del Vangelo: i poveri in ha fatto della misericordia un tema costante. primo luogo, e poi, le periferie del mondo, la cura Parla di misericordia, gira attorno al tema della della casa comune, la giustizia, la solidarietà, la misericordia, ritorna sulla misericordia, com- comunione tra i membri della grande famiglia menta le opere di misericordia corporali e spiri- delle Nazioni. tuali, compie gesti di misericordia. Il Dio dei A 50 anni dalla chiusura del Concilio che ha cristiani è “tutto e solo misericordia” - continua aperto la stagione del dialogo Chiesa - mondo, il a predicare. “Questo è il tempo della misericor- Giubileo della Misericordia si pone come cerdia” - ripete nelle omelie e nelle catechesi. La niera e come ponte che unisce l’oggi della storia Chiesa deve trovare “vie nuove di misericordia e civile e religiosa del mondo. Non dobbiamo di perdono”- esorta nel corso dei viaggi apostolici avere paura di questo abbraccio. Fa bene a tutti credenti e non credenti, perché questa è la stain Italia e all’estero. La misericordia, possiamo allora affermare, è il gione dell’incontro e non dell’emarginazione, nuovo nome della Chiesa! Chiesa misericordiosa dell’accoglienza e non del rifiuto. È la Chiesa in per il gregge e per i pastori. Chiesa misericor- uscita che invita i popoli a non avere paura di diosa in particolare per le famiglie ferite e per i Cristo, Volto misericordioso del Padre. Questa è l’altra Chiesa che Papa Francesco ama. lontani che attendono l’abbraccio del Padre. Progettare la Chiesa del domani come la Chiesa Da sogno, diventi realtà, in questa stagione prodella Misericordia - Misericordiae Vultus - vuol pizia per tutti. dire proclamare verità assopite che oggi meritano di essere rilette e riproposte alla famiglia umana che anche dal punto di vista geopolitico e soclale deve riscoprire la forza travolgente e trainante della misericordia. Questa verità bi-
Editoriale
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Questo è il tempo della misericordia
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SOMMARIO
EDITORIALE
Luce Serafica 4/2015
CHIESA NEWS - VIAGGI Ci scrivono... Sinodo sulla famiglia Il ruolo della donna Due sposi di Baghdad al Sinodo Famiglia e vita Famiglia: “L’amore è la tua missione” Ripartire dalla famiglia Nostra Aetate 50 anni dopo
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SANTO NATALE PASTORALE DELLA STRADA INTERVISTE Francesco si racconta Il pastore sta in mezzo al suo popolo
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MESSAGGI DI PACE Vinci l’indifferenza Un oceano di dolore CURA DELLA CASA COMUNE “Laudato si’” preziosa miniera per tutti Card. Turkson: ecologia integrale Parigi: conferenza sul clima ANNO DELLA MISERICORDIA Il volto della misericordia La misericordia prima del giudizio Concilio e Giubileo
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SGUARDI SUL MONDO Terrore a Parigi Papa Francesco vicino alla Francia La carta segreta Africa: Passiamo all’altra riva Il diritto alla religione Asia: I sogni delle famiglie Accuse reciproche A Cebu la fede dell’Asia Cattolica Mai più guerra
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FRANCESCANESIMO Il cantico delle creature Dalla ripugnanza alla misericordia La mistica francescana Beatificati i due missionari conventuali 90 anni di storia e di vita francescana LETTERATURA La religiosità di Carlo Levi LIBRI & EVENTI
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ci scrivono...
La foto dei lettori
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Monte Mesma, 2 dicembre 2015 La ringrazio di cuore a nome del padre guardiano e di tutti noi frati del monte Mesma per il gradito dono dell’importante libro sul Beato Bonaventura da Potenza da lei curato. Pace e Bene! Fra Franco Valente L’Aquila, 26 settembre 2015 Caro padre Gianfranco Ho ricevuto copia della tua pubblicazione:”Il Beato Bonaventura da Potenza. Storia, teologia, spiritualità” edito dalla Libreria Editrice Vaticana. Ti esprimo le più vive felicitazioni e gratitudine per il gradito omaggio. Con viva cordialità Fra Carmine Ranieri OFMCapp. Foggia, 26 settembre 2015 Carissimo Padre Gianfranco A seguito del ricevimento del volume: “Il Beato Bonaventura da Potenza. Storia, teologia,spiritualità”, desidero ringraziarti personalmente per questo dono. Sarà mia premura custodirlo nella nostra biblioteca provinciale perché venga catalogato e messo a disposizione degli utenti. Nell’augurarti un proficuo lavoro, ti saluto fraternamente Fra Francesco D. Colacelli OFMCApp. Ministro Provinciale della provincia di sant’Angelo e Padre Pio.
COMITATO DI REDAZIONE Orlando Todisco Edoardo Scognamiglio Iman Sabbah Emanuela Vinai Assunta Cefola Emanuela Bambara Giacomo Auriemma Mohammad Djafarzadeh Boutros Naaman Foto di copertina L'osservatore Romano
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Hanno collaborato: Gianfranco Grieco, Lucetta Scaraffia, Luca Caruso, Edoardo Scognamiglio, Alvaro Vargas Martino, Orazio La Rocca, Jean-Marie Villot, Romano Bartoloni, Jean-Baptiste Sourou, Gabriella Ceraso, Raniero Cantalamessa, Angelo Card. Scola, Raffaele Di Muro, Angelo Paleri, Rocco Talucci, Lorenzo Gilardi,
Sinodo
2015 La famiglia luce nel buio del mondo Papa Francesco ha autorizzato la pubblicazione della Relazione finale del 14.mo Sinodo generale ordinario sulla famiglia . Il documento, composto da 94 paragrafi, votati singolarmente dai Padri Sinodali e tutti approvati a maggioranza qualificata, pari a 177 voti su 265. Luce nel buio del mondo: così la Relazione finale definisce la famiglia, descrivendone, sì, le tante difficoltà, ma anche la sua grande capacità di affrontarle e di reagire di fronte ad esse. Organico e lineare, il documento conclusivo del Sinodo raccoglie molti dei “modi” (emendamenti) presentati dai Padri Sinodali all’Instrumentum laboris e rispecchia, quindi, la voce dell’Assemblea. Paragrafi specifici dedicati a si-
tuazioni familiari difficili. Due paragrafi in particolare, approvati con 178 ed 180 voti, sono stati al limite della maggioranza qualificata. “Sono quelli che riguardavano le situazioni difficili, l’approccio pastorale di famiglie ferite o in situazioni non regolari dal punto di vista canonico e della disciplina della Chiesa. In particolare, le convivenze, i matrimoni civili, i divorziati risposati ed il modo di avvicinarsi pastoralmente a queste situazioni. Però sempre la maggioranza dei due terzi è stata raggiunta. Documento con atteggiamento positivo ed accogliente Un documento dall’atteggiamento positivo ed accogliente, 7
sottolinea ancora padre Lombardi, che ha fatto un lungo percorso rispetto all’Instrumentum laboris: “Personalmente, ho trovato straordinario il cammino fatto dal documento Istrumentum laboris al documento Relatio finalis, che è straordinariamente ricco denso ed anche ben equilibrato e ben organizzato”.Il direttore della Sala stampa vaticana ricorda, poi, il Motu proprio del Papa sulla riforma dei processi di nullità matrimoniale che ha dato, così, un contributo efficace e risolutivo alla tematica del Sinodo. Ribadita dottrina dell’indissolubilità matrimoniale Nella Relazione finale, si richiama la dottrina dell’indissolubilità del matrimonio sacramentale, non
sono state trovate “soluzioni esaurienti a tutte le difficoltà e ai dubbi che sfidano e minacciano la famiglia” ma queste sono state messe “sotto la luce della Fede” e affrontate “senza paura e senza nascondere la testa sotto la sabbia”. Un Sinodo – ha detto – che ha “sollecitato tutti a comprendere l’importanza dell’istituzione della famiglia e del Matrimonio tra uomo e donna, fondato sull’unità e sull’indissolubilità, e ad apprezzarla come base fondamentale della società e della vita umana”.
Vero difensore della dottrina non è chi difende le idee ma l’uomo La Chiesa non distribuisce anatemi, ma proclama la misericordia di Dio, al di là di quanti vogliono indottrinare il Vangelo per trasformarlo in pietre morte da scagliare contro gli altri: è quanto ha affermato il Papa, sabato pomeriggio 24 ottobre 2015, a conclusione dei lavori del Sinodo sulla famiglia. Questioni affrontate senza mettere la testa sotto la sabbia Un discorso intenso e forte. Papa Francesco, dopo aver ringraziato tutti i partecipanti ai lavori, ha passato in rassegna i vari significati di questo Sinodo. Certamente – ha detto - non
Non nascondersi dietro dottrina per scagliare pietre E’ stato un Sinodo che ha “dato prova della vivacità della Chiesa Cattolica, che non ha paura di scuotere le coscienze anestetizzate o di spor-
giogo, ma dono di Dio, verità fondata in Cristo e nel suo legame con la Chiesa. Al contempo, sottolinea che verità e misericordia convergono in Cristo. Di qui, il richiamo all’accoglienza delle famiglie ferite. Senza citare espressamente l’accesso all’Eucaristia per i divorziati risposati, il documento sinodale ricorda che essi non sono scomunicati e rimanda al discernimento dei Pastori l’analisi delle situazioni famiglia complesse.
dell’omosessualità: le persone con tali tendenze non vanno discriminate, si spiega, ma al contempo si ribadisce che la Chiesa è contraria alle unioni tra persone dello stesso sesso e che non sono ammesse pressioni esterne su di essa in relazione a questo punto. Paragrafi speciali vengono poi dedicati a migranti, profughi, perseguitati, le cui famiglie sono disgregate e che possono diventare vittime della tratta. Anche per loro si invoca accoglienza, richiamandone i diDiscernimento dei Pastori per si- ritti, ma anche doveri nei contuazioni complesse fronti dei Paesi che li ospitano. Il discernimento, sottolinea, va applicato secondo l’insegna- Valorizzare la donna, tutelare mento della Chiesa, con la fidu- bambini ed anziani cia che la misericordia di Dio Altre riflessioni specifiche vennon si nega a nessuno. Per i con- gono dedicate alla donna, alviventi, si ribadisce che la loro si- l’uomo, ai bambini, perni della tuazione va affrontata in maniera vita familiare: per tutti loro si ricostruttiva, cercando di trasfor- badisce la tutela e la valorizzamarla in opportunità di cam- zione dei rispettivi ruoli. Per le mino di conversione verso la donne, viene auspicato un ruolo pienezza del matrimonio e della più rilevante nei percorsi formafamiglia, alla luce del Vangelo. tivi dei ministri ordinati, mentre per i bambini si sottolinea la belPersone omosessuali non vanno lezza dell’adozione e dell’affido, discriminate, ma no a unioni che ricostruiscono legami famidello stesso sesso liari interrotti. Il Sinodo, poi, non Altri punti salienti della Rela- dimentica i vedovi, i disabili, gli zione si soffermano sul tema anziani ed i nonni, che permet8
tono la trasmissione della fede in famiglia e che vanno messi al riparo dalla cultura dello scarto. Anche le persone non sposate vengono ricordate per il loro impegno nella Chiesa e nella società. Fanatismo, individualismo, povertà, precarietà lavorativa, ideologia gender Tra le ombre dell’epoca contemporanea che spesso incombono sulla famiglia, il Sinodo cita il fanatismo politico-religioso ostile al cristianesimo, l’individualismo crescente, l’ideologia del gender, i conflitti, le persecuzioni, la povertà, la precarietà lavorativa, la corruzione, le coercizioni economiche che escludono la famiglia dall’educazione e dalla cultura, la globalizzazione dell’indifferenza che pone al centro della società il denaro e non l’uomo, la pornografia ed il calo demografico. Rafforzare preparazione al matrimonio Il documento finale raccoglie quindi i suggerimenti a rafforzare la preparazione al matrimonio, soprattutto per i giovani che ne sembrano intimoriti: per essi si auspica una formazione ade-
Libertà di espressione, Chiesa non usa moduli preconfezionati “Nel cammino di questo Sinodo – ha sottolineato ancora - le opinioni diverse che si sono Superare ermeneutica cospirativa Altro significato del sinodo è “aver affermato espresse liberamente – e purtroppo talvolta con che la Chiesa è Chiesa dei poveri in spirito e dei metodi non del tutto benevoli – hanno certa-
guata all’affettività, seguendo la virtù della castità e del dono di sé. In quest’ottica, si richiama il legame tra atto sessuale ed atto procreativo tra coniugi, i cui figli sono il frutto più prezioso, perché portano in sé la memoria e la speranza di un atto d’amore. Un altro legame ribadito è quello tra vocazione alla famiglia e vocazione alla vita consacrata. Centrale anche l’educazione alla sessualità ed alla corporeità e la promozione della paternità responsabile, secondo gli insegnamenti dell’Enciclica di Paolo VI Humanae Vitae, ed il ruolo primario dei genitori all’educazione dei figli alla fede.
famiglia come aborto ed eutanasia. Ulteriori paragrafi sono dedicati ai matrimoni misti, dei quali si sottolineano gli aspetti positivi per la promozione del dialogo ecumenico ed interreligioso. Viene ribadita poi la necessità di tutelare la libertà religiosa ed il diritto all’obiezione di coscienza all’interno della società. Chiesa ha bisogno di rinnovare linguaggio per annunciare Vangelo Un’ampia riflessione viene fatta anche sulla necessità di modificare il linguaggio della Chiesa, rendendolo più significativo affinché l’annuncio del Vangelo della famiglia risponda davvero alle attese più profonde della persona umana. Non si tratta, infatti, Tutelare la vita dal concepi- solo di presentare una normativa, mento alla morte naturale ma di annunciare la grazia che Un appello viene quindi lanciato dona la capacità di vivere i beni alle istituzioni affinché promuo- della famiglia. vano e sostengano politiche familiari, mentre i cattolici Famiglia, porto sicuro dei sentiimpegnati in politica vengono menti più profondi esortati a tutelare la famiglia e la Infine, la Relazione sottolinea la vita, perché una società che le bellezza della famiglia: Chiesa trascura ha perdso la sua apertura domestica basata sul matrimonio al futuro. A tal proposito, il Si- tra uomo e donna, cellula fondanodo ribadisce la sacralità del- mentale della società alla cui crel’esistenza dal concepimento e scita contribuisce, porto sicuro fino alla morte naturale e mette dei sentimenti più profondi, in guardia da gravi minacce alla unico punto di connessione in 9
un’epoca frammentata, parte integrante dell’ecologia umana, essa va protetta, sostenuta ed incoraggiata, anche da parte delle autorità. Richiesto al Papa un documento sulla famiglia Il documento si conclude con la richiesta dei Padri Sinodali al Papa affinché valuti l’opportunità di offrire un documento sulla famiglia. “I Padri Sinodali non dicono che è tutto finito, ma affermano: ‘Offriamo la Relazione al Santo Padre affinché valuti lui se continuare il cammino con un suo documento che, sulla base di quello sinodale, approfondisca ancora il tema della famiglia secondo la la prospettiva che egli voglia dare’. Rimaniamo in cammino”. SINODO 2015: CELEBRAZIONE CONCLUSIVA È TEMPO DI MISERICORDIA E DI INCLUSIONE "È tempo di misericordia". Il Papa mette in guardia da “una fede che non sa radicarsi nella vita della gente”. Domenica 25 ottobre Papa Francesco celebra
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peccatori in ricerca del perdono e non solo dei giusti e dei santi, anzi dei giusti e dei santi quando si sentono poveri e peccatori”:“Significa aver cercato di aprire gli orizzonti per superare ogni ermeneutica cospirativa o chiusura di prospettive, per difendere e per diffondere la libertà dei figli di Dio, per trasmettere la bellezza della Novità cristiana, qualche volta coperta dalla ruggine di un linguaggio arcaico o semplicemente non comprensibile”.
carsi le mani discutendo animatamente e francamente sulla famiglia”. E poi ecco ancora cosa significa questo Sinodo per Papa Francesco:“Significa aver testimoniato a tutti che il Vangelo rimane per la Chiesa la fonte viva di eterna novità, contro chi vuole ‘indottrinarlo’ in pietre morte da scagliare contro gli altri. Significa anche aver spogliato i cuori chiusi che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa, o dietro le buone intenzioni, per sedersi sulla cattedra di Mosè e giudicare, qualche volta con superiorità e superficialità, i casi difficili e le famiglie ferite”.
mente arricchito e animato il dialogo, offrendo un’immagine viva di una Chiesa che non usa ‘moduli preconfezionati’, ma che attinge dalla fonte inesauribile della sua fede acqua viva per dissetare i cuori inariditi”.
della nostra diversità – ha aggiunto - che la sfida che abbiamo davanti è sempre la stessa: annunciare il Vangelo all’uomo di oggi, difendendo la famiglia da tutti gli attacchi ideologici e individualistici”: “E, senza mai cadere nel pericolo del relativismo oppure di demonizzare gli altri, abbiamo cercato di abbracciare pienamente e coraggiosamente la bontà e la misericordia di Dio che supera i nostri calcoli umani e che non desidera altro che «TUTTI GLI UOMINI SIANO SALVATI» (1Tm 2,4), per inserire e per vivere questo Sinodo nel contesto dell’Anno Straordinario della Misericordia che la Chiesa è chiamata a vivere”.
Inculturazione Adilà delle “questioni dogmatiche ben definite dal Magistero della Chiesa” – ha detto Papa Francesco – si è vista la diversa sensibilità dei pastori dei vari continenti secondo le loro culture: “L’inculturazione – ha affermato - non indebolisce i valori veri, ma dimostra la loro vera forza e la loro autenticità, poiché essi si adattano senza mutarsi, anzi essi trasformano pacificamente e gradualmente le varie culture”. Veri difensori dottrina sono quanti difendono non formule ma amore gratuito di Dio No a relativismo e a demonizzazione degli altri Quindi ha sottolineato:“L’esperienza del Sinodo “Abbiamo visto, anche attraverso la ricchezza ci ha fatto anche capire meglio che i veri difennella Basilica di San Pietro la Messa di chiusura del Sinodo dei Vescovi sulla famiglia invitando i Padri sinodali a proseguire “il cammino che il Signore desidera" senza "mai farci offuscare dal pessimismo e dal peccato”. La parola “misericordia” torna più volte nell’omelia del Papa. E così rimanda al Giubileo che si è aperto l’8 dicembre. Riprendendo il Vangelo del giorno, in cui al cieco Bartimeo Gesù dona la vista, Francesco ricorda che “le situazioni di miseria e di conflitto sono per Dio occasioni di misericordia. Oggi è tempo di misericordia. Porre l'uomo a contatto con la Misericordia Anche oggi, i discepoli di Gesù sono chiamati “a porre l’uomo a contatto con la Misericordia compassionevole che salva. Quando il grido dell’umanità diventa, come in Bartimeo, ancora più forte, non c’è altra risposta che fare nostre le parole di Gesù e soprattutto imitare il suo cuore”. Dunque bisogna vivere sempre con uno spirito orientato verso gli altri, perché il rischio, “di fronte ai continui problemi” è di “ andare avanti, senza lasciarci disturbare.
Una spiritualità del miraggio La tentazione - dice il Papa - è “una spiritualità del miraggio”: “Possiamo camminare attraverso i deserti dell’umanità senza vedere quello che realmente c’è, bensì quello che vorremmo vedere noi; siamo capaci di costruire visioni del mondo, ma non accettiamo quello che il Signore ci mette davanti agli occhi. Una fede che non sa radicarsi nella vita della gente rimane arida e, anziché oasi, crea altri deserti. Una fede da tabella E poi, c’è un’altra tentazione: “una ‘fede da tabella’”, senza guardare diritto nel cuore delle persone:“Possiamo camminare con il popolo di Dio, ma abbiamo già la nostra tabella di marcia, dove tutto rientra: sappiamo dove andare e quanto tempo metterci; tutti devono rispettare i nostri ritmi e ogni inconveniente ci disturba. Gesù vuole includere chi è ai margini Bisogna invece ricordare che “Gesù vuole includere, soprattutto chi è tenuto ai margini e 10
grida a Lui”. E proprio attorno la parola “inclusione” è ruotato il Sinodo che si è appena concluso. Ai Padri sinodali, il Pontefice ricorda che “noi abbiamo camminato insieme”. Ma ora serve proseguire lungo “il cammino che il Signore desidera”. Chiediamo a Lui uno sguardo guarito e salvato, che sa diffondere luce, perché ricorda lo splendore che lo ha illuminato”. Dunque, la gloria di Dio va cercata e vista nell'uomo vivente "senza farci mai offuscare dal pessimismo e dal peccato".
2,27)”:“Il primo dovere della Chiesa non è quello di distribuire condanne o anatemi, ma è quello di proclamare la misericordia di Dio, di chiamare alla conversione e di condurre tutti gli uomini alla salvezza del Signore (cfr Gv 12,44-50). La misericordia in Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI Infine cita tre Papi: il beato Paolo VI laddove dice che “Dio, in Cristo, si rivela infinitamente buono”; san Giovanni Paolo II che affermava: “La Chiesa vive una vita autentica quando professa e proclama la misericordia […] e quando accosta gli uomini alle fonti della misericordia del Salvatore, di cui essa è depositaria e dispensatrice”; e Papa Benedetto XVI: “La misericordia è in realtà il nucleo centrale del messaggio evangelico, è il nome stesso di Dio”.
Chiesa non distribuisce anatemi ma proclama misericordia di Dio Il Papa invita a “superare le costanti tentazioni del fratello maggiore (cfr Lc 15,25-32) e degli operai gelosi (cfr Mt 20,1-16)”. Questo “significa valorizzare di più le leggi e i comandamenti creati per l’uomo e non viceversa (cfr Mc
Il ruolo della donna da ROMA
LUCETTA SCARAFFIA GIÀ DOCENTE DI STORIA CONTEMPORANEA PRESSO L ’U NIVERSITÀ DEGLI S TUDI DI R OMA L A S APENZA ; COORDINATRICE DEL MENSILE DE L’OSSERVATORE ROMANO “DONNE CHIESA MONDO”
C’è molta attesa — non solo tra i cattolici — per i risultati di questo Sinodo. La crisi della famiglia ormai si sta manifestando in tutto il mondo, se pure con modalità diverse, e trascina con sé tutta la società che non sa dove indirizzare le proprie energie: se infatti un ritorno al passato è impossibile, non è chiaro quale può essere il futuro per questa istituzione fondamentale. La Chiesa ha contribuito in modo determinante a definire e a disciplinare la famiglia; si trova quindi in una condizione privilegiata per proporre modelli di famiglia nuovi e adatti ai nostri tempi, fedeli alla vocazione cristiana. Per farlo, però, ha bisogno di ascoltare la realtà e i soggetti reali dalla famiglia, cioè gli uomini e le donne: uomini e donne veri ma specialmente donne che hanno vissuto e riflettuto sul grande cambiamento del ruolo femminile nell’ultimo secolo, una delle ragioni fondamentali della crisi della famiglia. La Chiesa ha bisogno di ascoltare le donne, di ascoltare cosa ritengono di avere perso e cosa guadagnato nel grande cambiamento, di ascol-
tare quale famiglia vorrebbero oggi. Perché solo nell’ascolto reciproco si opera il vero discernimento. Le donne sono le grandi esperte di famiglia: se usciamo dalle teorie astratte, specialmente a loro ci si può rivolgere per capire cosa bisogna fare, come si possono porre le fondamenta per una nuova famiglia aperta al rispetto di tutti i suoi membri, non più fondata sullo sfruttamento della capacità di sacrificio della donna, ma che assicuri a tutti un alimento affettivo, solidale. Invece, sia nel testo che nei contributi, di donne, di noi, si parla pochissimo. Come se le madri, le figlie, le nonne, le mogli, cioè il cuore delle famiglie, non facessero parte della Chiesa, di quella Chiesa che comprende il mondo, che pensa, che decide. Come se si po11
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sori della dottrina non sono quelli che difendono la lettera ma lo spirito; non le idee ma l’uomo; non le formule ma la gratuità dell’amore di Dio e del suo perdono. Ciò non significa in alcun modo diminuire l’importanza delle formule, delle leggi e dei comandamenti divini, ma esaltare la grandezza del vero Dio, che non ci tratta secondo i nostri meriti e nemmeno secondo le nostre opere, ma unicamente secondo la generosità illimitata della sua Misericordia (cfr Rm 3,21-30; Sal 129; Lc 11,37-54)”.
Due sposi di Baghdad al Sinodo: a rischio esistenza famiglie cristiane in Iraq Il martirio dei cristiani in Iraq è testimonianza della fede in Cristo, a gloria di Dio. Questa la forte testimonianza portata al Sinodo da una coppia di uditori impegnati nella pastorale della Parrocchia caldea di San Giorgio a Bagdad: Suhaila Salim e Wisam Marqus Odeesho. La famiglia ha enormi difficoltà a vivere in Iraq, manca il lavoro e c’è un senso di precarietà costante, ma con la fede e la speranza che vengono da Gesù si possono affrontare anche queste difficoltà. E’ a rischio l’esistenza delle nostre famiglie cristiane, la nostra identità in Iraq. Nella nostra parrocchia ci sono diverse famiglie sfollate e noi offriamo loro aiuto materiale. Rimanere a Baghdad per noi è un miracolo. E’ talmente difficile la situazione che quando usciamo la mattina per andare a lavorare, non sappiamo se e quando faremo ritorno a casa. La nostra città non è sicura. Un giorno a Baghdad si sono susseguite tre esplosioni vicino casa nostra: se fossero avvenute qualche minuto prima rispetto a quando si sono verificate, non sarei qui a raccontarlo.
tesse continuare, perfino a proposito della famiglia, a far finta che le donne non esistono. Come se si potesse continuare a dimenticare lo sguardo nuovo, il rapporto inedito e rivoluzionario che Gesù ha avuto nei confronti delle donne. Molto diverse sono le famiglie nel mondo, ma in tutte sono le donne a svolgere il ruolo più importante e decisivo per garantirne solidità e durata. E quando si parla di famiglie non si dovrebbe parlare sempre e solo di Matrimonio: sta crescendo il numero di famiglie composte da una madre sola e dai suoi figli. Sono le donne, infatti, a rimanere sempre accanto ai figli, anche se malati, se disabili, se frutto di violenza. Queste donne, queste madri quasi mai hanno seguito corsi di teologia, spesso non sono neppure sposate, ma danno un esempio mirabile di comportamento cristiano. Se voi Padri sinodali non rivolgete loro attenzione, se non le ascoltate, rischiate di farle sentire ancora più disgraziate perché la loro famiglia è così diversa da quella di cui parlate. Voi, infatti, troppo presto parlate di una famiglia astratta, una famiglia perfetta che però non esiste, una famiglia che non ha niente a che vedere con le famiglie vere che Gesù incontra o di cui parla. Una famiglia così perfetta che sembra quasi non aver bisogno della sua misericordia né della sua parola: “Non sono venuto per i sani ma per i malati, non per i giusti ma per i peccatori”. Intervento al Sinodo 25 ottobre 2015
Avete amici che sono scappati da Mosul o dalla Piana di Ninive? Conosciamo sette famiglie che hanno lasciato Mosul. Hanno abbandonato le loro case e ogni loro bene e sono scappate, ma non hanno perso la loro fede. Io avevo una casa a Ninive: l'avevo fatta edificare per il matrimonio di mio figlio, ma il degenerare della situazione mi ha obbligato ad abbandonarla, a lasciare tutto. Come è possibile vivere, professare la fede in un contesto come quello dell’Iraq, in particolare con la minaccia del sedicente Stato islamico? Prima dell’avvento del Califfato non avevamo problemi di convivenza con persone di religione diversa dalla nostra. Vivevamo tutti insieme, anche con i musulmani. Più del 90% dei miei amici sono musulmani. Io facevo loro i miei auguri per le loro festività religiose e viceversa. Oggi non è più così. Il sedicente Stato Islamico non vuole questa convivenza. Che cosa aspettate da questo Sinodo? Attendiamo dal Sinodo una voce profetica perché ci aiuti a tornare a vivere in pace nel nostro Paese con le nostre famiglie. I Paesi occidentali devono aiutarci a rimanere nelle nostre terre: non vogliamo abbandonarle. I cristiani devono rimanere in Iraq.
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da ROMA
trambe dirette da padre Gianfranco Grieco, capoufficio del Pontificio Consiglio per la Famiglia. La prima è composta da cinque agili pubblicazioni, a iniziare da Ciao, Papa! Famiglie in dialogo con Benedetto XVI, che riporta il colloquio tra cinque famiglie provenienti da tutto il mondo e Benedetto XVI, svoltosi a Milano la sera del 2 giugno 2012, in occasione del VII Incontro mondiale delle Famiglie. L’VIII Incontro, che si è svolto lo scorso settembre a Philadelphia, ha visto l’intervento di Papa Francesco. Il secondo volumetto s’intitola Benvenuto Concilio! Il Vaticano II sulla famiglia e propone testi tratti dai documenti conciliari. “Il Concilio Vaticano II ha segnato la vita della Chiesa e della società in questi ultimi cinquant’anni” scrive nella presentazione l’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia. “I documenti del Vaticano II parlano un linguaggio semplice e concreto” prosegue Paglia che, riferendosi ai testi riportati nella pubblicazione, nota come essi abbiano “accompagnato il cammino della comunità ecclesiale, chiamata a dare risposte sempre più credibili nei riguardi della famiglia e della vita”. Dacci oggi il nostro amore quotidiano è una testimonianza dell’incontro di Papa Francesco con migliaia di fidanzati in Piazza San Pietro, in occasione della festa di San Valentino, il 14 febbraio 2014. Contiene le domande che alcune coppie hanno rivolto al Papa e le sue risposte, tra cui l’esortazione “Signore, dacci oggi il nostro amore quotidiano”, e le tre parole che secondo Francesco sono alla base della vita coniugale: “permesso, grazie e scusa”. “Forse vi siete arrabbiati, forse è volato un piatto – osservava il Pontefice –, ma per favore ricordate questo: mai finire la giornata senza fare la pace! Mai, mai, mai!”. In Famiglia evangelizza te stessa e il mondo! Analisi e proposte del Sinodo 2012 sono riportati i 48 testi riguardanti la famiglia dei Padri sinodali della XIII Assemblea Generale Ordinaria, che ha avuto luogo dal 7 al 28 ottobre 2012 sul tema “La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cri-
LUCA CARUSO GIORNALISTA
La famiglia, “uno dei beni più preziosi dell’umanità” come la definiva San Giovanni Paolo II nell’esortazione apostolica Familiaris consortio, è oggi più che mai al centro delle attenzioni e delle preoccupazioni della Chiesa. Papa Francesco ha deciso di dedicare ad essa due Sinodi dei Vescovi – la III Assemblea Generale Straordinaria, sul tema Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione, che si è svolta in Vaticano dal 5 al 19 ottobre del 2014, e la XIV Assemblea Generale Ordinaria, sul tema La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo, svoltasi da domenica 4 ottobre a domenica 25 ottobre 2015. Tre intense settimana di confronto. Questo cammino di riflessione e di ascolto delle istanze del popolo di Dio è accompagnato da un imponente sforzo editoriale, che vede la collaborazione tra il Pontificio Consiglio per la Famiglia, il dicastero vaticano più immediatamente coinvolto nella promozione del ministero pastorale e dell’apostolato della famiglia, e la Libreria Editrice Vaticana, da sempre attenta ai temi della famiglia – il suo catalogo conta infatti decine di pubblicazioni che trattano argomenti quali il matrimonio, la procreazione, i diritti dei bambini, il lavoro. Monumentale resta, ad esempio, l’Enchiridion della famiglia e della vita, che in oltre 3.500 pagine riunisce centinaia di documenti conciliari e magisteriali riguardanti la vita familiare, che abbracciano un arco temporale di quasi sei secoli. Encicliche, lettere, discorsi, costituzioni apostoliche, motu proprio, omelie, radiomessaggi, a partire dal “Decreto agli Armeni”, redatto nel 1439 durante il Concilio di Firenze, fino ai più recenti interventi di Papa Francesco, passando attraverso 13 pontificati, da Pio VII a Benedetto XVI. Oggi questo sforzo si concretizza in due collane: “Famiglia in cammino” e “Famiglia e Vita”, en13
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Famiglia e vita Appuntamento con la Parola
stiana”, riproposti per una nuova evangelizzazione della famiglia e della vita nella società plurale di oggi. Infine Il Sinodo. Intervista sulla famiglia all’Arcivescovo Vincenzo Paglia, lungo dialogo tra il presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia e il giornalista di Avvenire Luciano Moia. Molto più corposi sono i volumi della collana “Famiglia e Vita”, il cui primo titolo è Gli insegnamenti di Jorge Mario Bergoglio Papa Francesco sulla famiglia e sulla vita 1999-2014, che riunisce 35 interventi del cardinale Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires, e oltre 130 interventi di Papa Francesco, tra Angelus, discorsi, messaggi, omelie, catechesi e meditazioni mattutine. Dal volume emerge come famiglia e vita siano due costanti punti di riferimento della odierna predicazione di Papa Francesco, ma come abbiano anche caratterizzato il suo magistero fin da quando era pastore della capitale argentina. “Oggi, Papa Francesco parla come si esprimeva ieri il cardinale Bergoglio. Concetti chiari, immediati e diretti, che sensibilizzano i cuori, turbano le coscienze assopite e provocano le intelligenze. Questo, ci sembra, il suo itinerario culturale: si parte dal cuore per cambiare la coscienza, provocando l’intelligenza e la
ragione” scrive nella presentazione padre Gianfranco Grieco. “Tra i punti più qualificanti della predicazione francescana di Papa Bergoglio – osserva nel saggio introduttivo monsignor Paglia – emergono delle priorità significative: la ‘buona notizia’ della famiglia è una parte molto importante dell’evangelizzazione; la famiglia è una comunità di vita che ha una sua consistenza autonoma e i suoi diritti; la famiglia si fonda sul matrimonio tra un uomo e una donna; la passione per i due poli della vita familiare: l’infanzia e la vecchiaia; la famiglia deve vivere la gioia della fede; la famiglia trova in Gesù la vera gioia; il matrimonio è un cammino, mano nella mano, per sempre, per tutta la vita”. Nel 2013 il Pontificio Consiglio ha spalancato le porte a una serie di giornate di riflessione tese a studiare le varie situazioni umane, socio-politiche, esistenziali ed antropologiche nelle quali viene a trovarsi oggi la famiglia della post-modernità. I risultati di questo ciclo di Dialoghi per la Famiglia, che si sono svolti a Roma, sono contenuti nei vari volumi della collana. La famiglia è oggi la prima impresa della società, sia da un punto di vista economico e sociale, che psicologico, educativo ed esistenziale: è il tema di Famiglia prima impresa. In essa v’è il presente e il futuro dei figli, si ricongiungono i due poli dei giovani e degli anziani. Rimettere la famiglia al centro di tutti i progetti sociali diventa quindi un impegno non solo della famiglia, ma soprattutto delle istituzioni. Famiglia e amore imperfetto si sviluppa a partire dalla domanda: il ruolo del padre e della madre nell’educazione dei figli è prioritario e determinante? Non si può delegare questo dovere agli altri, come babysitter, scuola, parrocchia, oratorio, amici. I genitori hanno il dovere di offrire una sana educazione ai loro figli, di trascorrere con loro del tempo per discutere e camminare insieme. Devono impegnarsi in questo processo educativo, che è anche educazione alla fede e alla vita, che parte dagli anni dell’infanzia, sino all’adolescenza e alla maturità. Gli interventi di un convegno promosso nel 2013 dai Pontifici Consigli per la Famiglia e per l’Unità dei cristiani e dal Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca sono riuniti nel volume Cattolici e ortodossi insieme per la famiglia. Dal grande tesoro delle Chiese cattolica e ortodossa occorre estrarre la ricchezza teologica, 14
spirituale e culturale per offrire una testimonianza cristiana sui valori del matrimonio e della famiglia in un modo efficace ed attuale. Ne esce rafforzata la comune responsabilità di presentare il matrimonio e la famiglia come via di santità per le coppie cristiane. Famiglia, custodisci il creato! porta all’attenzione un tema urgente da riproporre alle nuove generazioni, che devono “custodire” quanto è stato donato da Dio all’uomo e trasmetterlo alle generazioni future con rispettosa fedeltà, perché ciascuno sia protagonista attivo e non spettatore. Famiglia e povertà è un volume plurilingue realizzato in collaborazione con Caritas Internationalis, che ha una chiara scelta di fondo: parlare non della famiglia in astratto o della famiglia perfetta, ma piuttosto delle famiglie concrete del nostro tempo, di quelle che stanno attraversando situazioni di disagio economico e sociale e difficoltà affettive e che, malgrado tutto, sono ancora capaci di sperare e di progettare il futuro, divenendo risorse per superare la crisi. Famiglia e Chiesa, un legame indissolubile. Contributo interdisciplinare per l’approfondimento sinodale raccoglie i risultati di un Seminario di studio su alcune delle più rilevanti questioni con15
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cernenti la pastorale della famiglia. A seguito del Sinodo straordinario, monsignor Paglia ha costituito un Comitato Scientifico con l’intenzione di offrire un apporto al discernimento ecclesiale in vista del Sinodo ordinario 2015. Nel corso di un seminario internazionale di ricerca, una quarantina di studiosi si sono confrontati su alcuni temi indicati nei Lineamenta per il Sinodo 2015, elaborando ipotesi a fronte delle odierne sfide culturali e delle attuali emergenze pastorali. Tre i cardini della discussione: matrimonio e sacramento, ovvero la scelta di fede di coloro che decidono di sposarsi, nel sacramento del matrimonio, con la volontà di fare ciò che vuole la Chiesa; matrimonio e generazione, cioè l’alleanza nuziale e la sua apertura generosa alla procreazione; matrimonio e divorzio, ossia l’atteggiamento pastorale verso le famiglie ferite e le unioni irregolari, lasciandosi interrogare dalle molte difficili situazioni concrete che non possono essere ignorate o sottovalutate. Un contributo alla Chiesa, chiamata a rispondere alla volontà del Signore che le chiede di prendersi cura di tutti gli uomini che incontra lungo il cammino, chinandosi con sollecitudine anche sulle ferite di molti suoi figli. Inserendosi tra i due Sinodi, Papa Francesco dal dicembre 2014 ha offerto ai fedeli che partecipano all’udienza generale un vero e proprio ciclo organico di catechesi sulla famiglia, raccolte nel volume La famiglia genera il mondo. catechesi del mercoledì, pubblicato anche in inglese e spagnolo. Il Pontefice è partito da Nazareth, da quella famiglia speciale composta da Gesù, Maria e Giuseppe, per poi soffermarsi sulle figure della madre, del padre, dei figli, i fratelli, i nonni, i bambini, maschio e femmina li creò, il matrimonio, le tre parole ormai ben note “permesso, grazie e scusa”, l’educazione, il fidanzamento, la povertà, la malattia, il lutto, le ferite, la festa, il lavoro, la preghiera. Per illustrare bellezza e verità della famiglia, pilastro fondamentale della società umana. Infine The conjugal family: an irreplaceable resource for society, volume in inglese che intende promuovere una riflessione sulla centralità della famiglia, basata su un patto pubblico socialmente riconosciuto tra un uomo e una donna, che costituiscono una comunità di vita e di amore, nella quale i bambini vengono accolti e educati, e senza la quale è difficile per le persone raggiungere gli obiettivi del bene comune, del benessere e della felicità.
Famiglia: “L’amore è la tua missione” da Philadelphia
GIANFRANCO GRIECO INVIATO
Prima a Cuba e poi negli Stai Uniti con le soste a Washington, a New York con discorsi all'ONU e al Congresso, e infine a Philadelphia (26/27 Settembre) per l'VIII incontro mondiale delle famiglie (22-27 Settembre 2015) Papa Francesco ritornava, due mesi dopo, nel continente America dopo la prima visita compiuta dal 5 al 13 Luglio in Ecuador, in Bolivia e in Paraguay, per incontrare tutte le famiglie del mondo e per condividere con loro le molteplici problematiche che in questi ultimi 50 anni hanno sconvolto e travolto il pianeta-famiglia nel mondo intero. Da Philadelphia, cuore del Commonwealth della Pennysilvania, e, in particolare, dalla città simbolo dove gli Stati Uniti sono nati come Nazione e dove, oltre due secoli fa, si sono sviluppati gli ideali politici a servizio dei diritti umani e della libertà, non solo negli USA ma in tutto il mondo, papa Francesco ha parlato agli americani in particolare. Aveva molte cose da dire. Era la prima volta che papa Francesco si incontrava e si scontrava con la società americana segnata da forti contraddizioni: democratici e repubblicani; tradizionalisti e
Gli incontri mondiali delle famiglie Gli incontri mondiali delle famiglie hanno avuto inizio nel 1994, anno della famiglia. Il Pontificio Consiglio per la famiglia ha organizzato l'incontro mondiale delle famiglie a Roma (1994); Rio de Janeiro (1997); Roma (2000); Manila (2003): Valencia (2006); Mexico City (2009); Milano (2012); ed ora Philadelphia (2015). Dalla sua istituzione, tenacemente voluta da Giovanni Paolo II, l'incontro mondiale delle famiglie ha rafforzato nel mondo ecclesiale e nella società civile i valori della famiglia e della vita. Il prossimo Incontro mondiale è stato fissato per il 2018 a Dublino in Irlanda
progressisti;ricchi e poveri; razzisti e solidali, pacifisti e guerrafondai. Ora che Cuba si è aperta al mondo americano e il mondo americano a Cuba ci si augura che tante cose cambieranno in meglio. Costruire ponti di solidarietà, di convivenza e amicizia, non solo dal punto di vista economico e sociale, ma anche dal punto di vista inter-religioso, spirituale ed ecumenico diventa urgente.
E’ stata la famiglia, soprattutto, a Philadelphia, al centro dei discorsi di papa Francesco. “L’amore è la nostra missione” era il tema del congresso e dei due giorni - sabato 26 e domenica 27 - ricchi di eventi e, soprattutto, accompagnati da incontri significativi con la chiesa locale e con le famiglie provenienti da ogni parte del mondo. Lo scontro americano sulla famiglia è noto ormai da oltre 50 anni. Famiglia 'tradizionale' composta da un padre e da una madre aperta alla vita; famiglie mobili, instabili che non avvertono la portata della stabilità, della fedeltà e del 'per sempre'.
PHILADELPHIA Anche le Missionarie dell’Immacolata Padre Kolbe hanno organizzato un stand nell’immensa area riservata al rapporto immediato con i visitatori. Con Antonella Di Piazza, missionaria dell’Immacolata P. Kolbe vi era anche il francescano conventuale fr. Bernard Mary Fonkalsrud, australiano della Marytown americana. Lo stand e’ stato visitato anche dai padri Scognamiglio e Grieco i quali si sono complimentati per il lavoro missionario e mariano che i francescani conventuali e le Missionarie P. Kolbe svolgono in America.
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Il cardinale Luis Antonio G. Tagle arcivescovo di Manila e' stato uno dei protagonisti del'Incontro Mondiale delle Famiglie. Nella foto il porpoprato filippino con i padri Scognamiglio e Grieco al termine di una delle intense giornate. Il cardinale si è intrattenuto con il ministro provinciale padre Edoardo parlando della nostra missione francescana nelle Filippine complimentandosi per il lavoro che i nostri religiosi svolgono in molte parti del Paese.
Unioni gay, coppie omosessuali, aborto (forte è la presenza in USA del movimento 'Pro Life') divorzio, teoria del gender, eutanasia: tutti questi i problemi sul tappeto. Papa Francesco ha avuto il coraggio di affrontare le ferite con quella passione evangelica e pastorale che contraddistingue la sua predicazione scalza ed itinerante tra le civiltà del mondo. La celebrazione di Philadelphia si situava tra due sinodi dedicati alla famiglia: quello straordinario dello scorso ottobre 2014 e quello ordinario del mese di ottobre 2015. Tra questi due eventi si inseriva Philadelphia. Ma, occupava un posto centrale anche la catechesi del mercoledì dedicata ai temi della famiglia, che papa Francesco ha aperto il 17 dicembre 2014 sino all’ udienza di mercoledì 16 settembre, prima di partire per il viaggio. In questo contesto anche la Lettera enciclica Laudato si' che sviluppa ampiamente il rapporto famiglia e custodia del creato, ha avuto la sua parte. Un tema, questo del salvaguardia del creato, caro non soltanto al papa verde e alla chiesa, ma anche a tutti coloro che hanno a cuore il bene e 'la cura della casa comune'.
Ripartire dalla famiglia Da Cuba agli Stati Uniti Nei giorni scorsi ho compiuto il viaggio apostolico a Cuba e negli Stati Uniti d’America. Esso è nato dalla volontà di partecipare all’Incontro Mondiale delle Famiglie, in programma da tempo a Filadelfia. Questo “nucleo originario” si è allargato ad una visita agli Stati Uniti d’America e alla sede centrale delle Nazioni Unite, e poi anche a Cuba, che è diventata la prima tappa dell’itinerario. Esprimo nuovamente la mia riconoscenza al Presidente Castro, al Presidente Obama e al Segretario Generale Ban Kimoon per l’accoglienza che mi hanno riservato. Ringrazio di cuore i fratelli Vescovi e tutti i collaboratori per il grande lavoro compiuto e per l’amore alla Chiesa che lo ha animato. “Misionero de la Misericordia”: così mi sono presentato a Cuba, una terra ricca di bellezza naturale, di cultura e di fede. La misericordia di Dio è più grande di ogni ferita, di ogni conflitto, di ogni ideologia; e con questo sguardo di misericordia ho potuto abbracciare tutto il popolo cubano, in patria e fuori, al di là di ogni divisione. Simbolo di questa unità profonda dell’anima cubana è la Vergine della Carità del Cobre, che proprio cento anni fa è stata proclamata Patrona di Cuba. Mi sono recato pellegrino al Santuario di questa Madre di speranza, Madre che guida nel cammino di giustizia, pace, libertà e riconciliazione. Ho potuto condividere col popolo cubano la speranza del
compiersi della profezia di san Giovanni Paolo II: che Cuba si apra al mondo e il mondo si apra a Cuba. Non più chiusure, non più sfruttamento della povertà, ma libertà nella dignità. Questa è la strada che fa vibrare il cuore di tanti giovani cubani: non una strada di evasione, di facili guadagni, ma di responsabilità, di servizio al prossimo, di cura della fragilità. Un cammino che trae forza dalle radici cristiane di quel popolo, che ha tanto sofferto. Un cammino nel quale ho incoraggiato in modo particolare i sacerdoti e tutti i consacrati, gli studenti e le famiglie. Lo Spirito Santo, con l’intercessione di Maria Santissima, faccia crescere i semi che abbiamo gettato. Da Cuba agli Stati Uniti d’Ame18
rica: è stato un passaggio emblematico, un ponte che grazie a Dio si sta ricostruendo. Dio sempre vuole costruire ponti; siamo noi che costruiamo muri! E i muri crollano, sempre! E negli Stati Uniti ho compiuto tre tappe: Washington, New York e Filadelfia. A Washington ho incontrato le Autorità politiche, la gente comune, i Vescovi, i sacerdoti e i consacrati, i più poveri ed emarginati. Ho ricordato che la più grande ricchezza di quel Paese e della sua gente sta nel patrimonio spirituale ed etico. E così ho voluto incoraggiare a portare avanti la costruzione sociale nella fedeltà al suo principio fondamentale, che cioè tutti gli uomini sono creati da Dio uguali e
promozione delle sviluppo e della pace, richiamando in particolare la necessità dell’impegno concorde e fattivo per la cura del creato. Ho ribadito anche l’appello a fermare e prevenire le violenze contro le minoranze etniche e religiose e contro le popolazioni civili. Per la pace e la fraternità abbiamo pregato presso il Memoriale di Ground Zero, insieme con i rappresentanti delle religioni, i parenti di tanti caduti e il popolo di New York, così ricco di varietà culturali. E per la pace e la giustizia ho celebrato l’Eucaristia nel Madison Square Garden. Sia a Washington che a New York ho potuto incontrare alcune realtà caritative ed educative, emblematiche dell’enorme servizio che le comunità cattoliche – sacerdoti, religiose, religiosi, laici – offrono in questi campi. Culmine del viaggio è stato l’Incontro delle Famiglie a Filadelfia, dove l’orizzonte si è allargato a tutto il mondo, attraverso il “prisma”, per così dire, della famiglia. La famiglia, cioè l’alleanza feconda tra l’uomo e la donna, è la risposta alla grande sfida del nostro mondo, che è una sfida 19
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dotati di inalienabili diritti, quali la vita, la libertà e il perseguimento della felicità. Questi valori, condivisibili da tutti, trovano nel Vangelo il loro pieno compimento, come ha ben evidenziato la canonizzazione del Padre Junípero Serra, francescano, grande evangelizzatore della California. San Junípero mostra la strada della gioia: andare e condividere con gli altri l’amore di Cristo. Questa è la via del cristiano, ma anche di ogni uomo che ha conosciuto l’amore: non tenerlo per sé ma condividerlo con gli altri. Su questa base religiosa e morale sono nati e cresciuti gli Stati Uniti d’America, e su questa base essi possono continuare ad essere terra di libertà e di accoglienza e cooperare ad un mondo più giusto e fraterno. A New York ho potuto visitare la Sede centrale dell’ONU e salutare il personale che vi lavora. Ho avuto colloqui con il Segretario Generale e i Presidenti delle ultime Assemblee Generali e del Consiglio di Sicurezza. Parlando ai Rappresentanti delle Nazioni, nella scia dei miei Predecessori, ho rinnovato l’incoraggiamento della Chiesa Cattolica a quella Istituzione e al suo ruolo nella
duplice: la frammentazione e la massificazione, due estremi che convivono e si sostengono a vicenda, e insieme sostengono il modello economico consumistico. La famiglia è la risposta perché è la cellula di una società che equilibra la dimensione personale e quella comunitaria, e che nello stesso tempo può essere il modello di una gestione sostenibile dei beni e delle risorse del creato. La famiglia è il soggetto protagonista di un’ecologia integrale, perché è il soggetto sociale primario, che contiene al proprio interno i due principi-base della civiltà umana sulla terra: il principio di comunione e il principio di fecondità. L’umanesimo biblico ci presenta questa icona: la coppia umana, unita e feconda, posta da Dio nel giardino del mondo, per coltivarlo e custodirlo. Desidero rivolgere un fraterno e caloroso ringraziamento a Mons. Chaput, Arcivescovo di Filadelfia, per il suo impegno, la sua pietà, il suo entusiasmo e il suo grande amore alla famiglia nell’organizzazione di questo evento. A ben vedere, non è un caso ma è provvidenziale che il messaggio, anzi, la testimonianza dell’Incontro Mondiale delle Famiglie sia venuta in questo momento dagli Stati Uniti d’America, cioè dal Paese che nel secolo scorso ha raggiunto il massimo sviluppo economico e tecnologico senza rinnegare le sue radici religiose. Ora queste stesse radici chiedono di ripartire dalla famiglia per ripensare e cambiare il modello di sviluppo, per il bene dell’intera famiglia umana. PAPA FRANCESCO udienza generale 30 settembre 2015
“Nostra Aetate” 50 anni dopo
Anniversari
La fiamma accesa ad Assisi si è estesa in tutto il mondo
Nelle Udienze Generali ci sono spesso persone o gruppi appartenenti ad altre religioni; ma oggi questa presenza è del tutto particolare, per ricordare insieme il 50° anniversario della Dichiarazione del Concilio Vaticano II Nostra ætate sui rapporti della Chiesa Cattolica con le religioni non cristiane. Questo tema stava fortemente a cuore al beato Papa Paolo VI, che già nella festa di Pentecoste dell’anno precedente la fine del Concilio, aveva istituito il Segretariato per i non cristiani, oggi Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. Esprimo perciò la mia gratitudine e il mio caloroso benvenuto a persone e gruppi di diverse religioni, che oggi hanno voluto essere presenti, specialmente a quanti sono venuti da lontano. Il Concilio Vaticano II è stato un tempo straordinario di riflessione, dialogo e preghiera per rinnovare lo sguardo della Chiesa Cattolica su se stessa e sul mondo. Una lettura dei segni dei tempi in vista di un aggiornamento orientato da una duplice fedeltà: fedeltà alla tradizione ecclesiale e fedeltà alla storia degli uomini e delle donne del nostro tempo. Infatti Dio, che si è rivelato nella creazione e nella storia, che ha parlato per mezzo dei profeti e compiutamente nel suo Figlio fatto uomo (cfr Eb 1,1), si rivolge al cuore ed allo spirito di ogni essere umano che cerca la verità e le vie per praticarla. Il messaggio della Dichiarazione Nostra ætate è
sempre attuale. Ne richiamo brevemente alcuni punti: - la crescente interdipendenza dei popoli (cfr n. 1); - la ricerca umana di un senso della vita, della sofferenza, della morte, interrogativi che sempre accompagnano il nostro cammino (cfr n. 1); - la comune origine e il comune destino dell’umanità (cfr n. 1); - l’unicità della famiglia umana (cfr n. 1); - le religioni come ricerca di Dio o dell’Assoluto, all’interno delle varie etnie e culture (cfr n. 1); - lo sguardo benevolo e attento della Chiesa sulle religioni: essa non rigetta niente di ciò che in esse vi è di bello e di vero (cfr n. 2); - la Chiesa guarda con stima i credenti di tutte le religioni, apprezzando il loro impegno spirituale e morale (cfr n. 3); - la Chiesa, aperta al dialogo con tutti, è nello stesso tempo fedele alle verità in cui crede, a cominciare da quella che la salvezza offerta a tutti ha la sua origine in Gesù, unico salvatore, e che lo Spirito Santo è all’opera, quale fonte di pace e amore. Sono tanti gli eventi, le iniziative, i rapporti istituzionali o personali con le religioni non cristiane di questi ultimi cinquant’anni, ed è difficile ricordarli tutti. Un avvenimento particolarmente significativo è stato l’Incontro di Assisi del 27 ottobre 1986. Esso fu voluto e promosso da san Giovanni Paolo II, il quale un anno prima, dun20
que trent’anni fa, rivolgendosi ai giovani musulmani a Casablanca auspicava che tutti i credenti in Dio favorissero l’amicizia e l’unione tra gli uomini e i popoli (19 agosto 1985). La fiamma, accesa ad Assisi, si è estesa in tutto il mondo e costituisce un permanente segno di speranza. Una speciale gratitudine a Dio merita la vera e propria trasformazione che ha avuto in questi 50 anni il rapporto tra cristiani ed ebrei. Indifferenza e opposizione si sono mutate in collaborazione e benevolenza. Da nemici ed estranei, siamo diventati amici e fratelli. Il Concilio, con la Dichiarazione Nostra ætate, ha tracciato la via: “sì” alla riscoperta delle radici ebraiche del cristianesimo; “no” ad ogni forma di antisemitismo e condanna di ogni ingiuria, discriminazione e persecuzione che ne derivano. La conoscenza, il rispetto e la stima vicendevoli costituiscono la via che, se vale in modo peculiare per la relazione con gli ebrei, vale analogamente anche per i rapporti con le altre religioni. Penso in particolare ai musulmani, che – come ricorda il Concilio – «adorano il Dio unico, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini» (Nostra ætate, 5). Essi si riferiscono alla paternità di Abramo, venerano Gesù come profeta, onorano la sua Madre vergine, Maria, attendono il giorno del giudizio, e praticano la preghiera, le elemosine e il digiuno (cfr ibid.). Il dialogo di cui abbiamo bisogno non può che es-
sere aperto e rispettoso, e allora si rivela fruttuoso. Il rispetto reciproco è condizione e, nello stesso tempo, fine del dialogo interreligioso: rispettare il diritto altrui alla vita, all’integrità fisica, alle libertà fondamentali, cioè libertà di coscienza, di pensiero, di espressione e di religione. Il mondo guarda a noi credenti, ci esorta a collaborare tra di noi e con gli uomini e le donne di buona volontà che non professano alcuna religione, ci chiede risposte effettive su numerosi temi: la pace, la fame, la miseria che affligge milioni di persone, la crisi ambientale, la violenza, in particolare quella commessa in nome della religione, la corruzione, il degrado morale, le crisi della famiglia, dell’economia, della finanza, e soprattutto della speranza. Noi credenti non abbiamo ricette per questi problemi, ma abbiamo
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una grande risorsa: la preghiera. E noi credenti preghiamo. Dobbiamo pregare. La preghiera è il nostro tesoro, a cui attingiamo secondo le rispettive tradizioni, per chiedere i doni ai quali anela l’umanità. A causa della violenza e del terrorismo si è diffuso un atteggiamento di sospetto o addirittura di condanna delle religioni. In realtà, benché nessuna religione sia immune dal rischio di deviazioni fondamentalistiche o estremistiche in individui o gruppi (cfr Discorso al Congresso USA, 24 settembre 2015), bisogna guardare ai valori positivi che esse vivono e che esse propongono, e che sono sorgenti di speranza. Si tratta di alzare lo sguardo per andare oltre. Il dialogo basato sul fiducioso rispetto può portare semi di bene che a loro volta diventano germogli di amicizia e di collaborazione in tanti campi, e soprattutto nel servizio ai poveri, ai piccoli, agli anziani, nell’accoglienza dei migranti, nell’attenzione a chi è escluso. Possiamo camminare insieme prendendoci cura gli uni degli altri e del creato. Tutti i credenti di ogni religione. Insieme possiamo lodare il Creatore per averci donato il giardino del mondo da coltivare e custodire come un bene comune, e possiamo realizzare progetti condivisi per combattere la povertà e assicurare ad ogni uomo e donna condizioni di vita dignitose. Il Giubileo Straordinario della Misericordia, che
ci sta dinanzi, è un’occasione propizia per lavorare insieme nel campo delle opere di carità. E in questo campo, dove conta soprattutto la compassione, possono unirsi a noi tante persone che non si sentono credenti o che sono alla ricerca di Dio e della verità, persone che mettono al centro il volto dell’altro, in particolare il volto del fratello o della sorella bisognosi. Ma la misericordia alla quale siamo chiamati abbraccia tutto il creato, che Dio ci ha affidato perché ne siamo custodi, e non sfruttatori o, peggio ancora, distruttori. Dovremmo sempre proporci di lasciare il mondo migliore di come l’abbiamo trovato (cfr Enc. Laudato si’, 194), a partire dall’ambiente in cui viviamo, dai piccoli gesti della nostra vita quotidiana. Cari fratelli e sorelle, quanto al futuro del dialogo interreligioso, la prima cosa che dobbiamo fare è pregare. E pregare gli uni per gli altri: siamo fratelli! Senza il Signore, nulla è possibile; con Lui, tutto lo diventa! Possa la nostra preghiera – ognuno secondo la propria tradizione – possa aderire pienamente alla volontà di Dio, il quale desidera che tutti gli uomini si riconoscano fratelli e vivano come tali, formando la grande famiglia umana nell’armonia delle diversità. PAPA FRANCESC0 udienza generale 28 ottobre 2015 22
La tenerezza di essere simili
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dente e debole, bisognoso del nostro amore. Ora – ci dice quel Dio che si è fatto bambino – non potete più aver paura di me, ormai potete soltanto amarmi. Con tali pensieri ci avviciniamo in questo giorno al bambino di Betlemme – a quel Dio che per noi ha voluto farsi bambino. Su ogni bambino c’è il riverbero del bambino di Betlemme. Ogni bambino chiede il nostro amore. Quando, nel 1223, Francesco d’Assisi celebrò a Greccio il Natale con un bue e un asino e una mangiatoia piena di fieno, si rese visibile una nuova dimensione del mistero del Natale. Il Poverello ha chiamato il Natale «la festa delle feste» – più di tutte le altre solennità – e l’ha celebrato con «ineffabile premura» (2Celano 199: FF 787). Baciava con grande devozione le immagini del bambinello e balbettava parole di dolcezza alla maniera dei bambini. Francesco ha scoperto in una profondità tutta nuova l’umanità di Gesù, il Verbo fatto carne. Questo essere uomo da parte di Dio gli si rese evidente al massimo nel momento in cui il Figlio di Dio, nato dalla Vergine Maria, fu avvolto in fasce e fu posto in una mangiatoia. La risurrezione presuppone l’incarnazione. Il Figlio di Dio come bambino, come vero figlio di uomo: questo toccò profondamente il cuore del Santo di Assisi, trasformando la fede in amore. Nel bambino di Betlemme si può, per così dire, toccare Dio e accarezzarlo. Tutto ciò non ha niente di sentimentalismo. Francesco amava Gesù, il bambino, perché in questo essere bambino gli si rese chiara l’umiltà di Dio diventato povero. Oggi il Natale è diventato una festa dei negozi, il cui luccichio abbagliante nasconde il mistero dell’umiltà di Dio, la quale ci invita all’umiltà e alla semplicità. Preghiamo il Signore di aiutarci ad attraversare con lo sguardo le facciate luccicanti di questo tempo fino a trovare dietro di esse il bambino nella stalla di Betlemme, per scoprire così la vera gioia e la vera luce, ossia la tenerezza di un Dio simile a noi.
on il Natale celebriamo il mistero dell’incarnazione di Dio. Nell’uomo Gesù, infatti, il Verbo della vita – il Figlio di Dio – prende la sua carne e diventa uno di noi. Il Natale è la festa della tenerezza di Dio che non ha paura di assumere la nostra stessa condizione mortale (cf. Fil 2,6-11). Si parla tanto di misericordia in questo anno giubilare. Cristo è la misericordia del Padre: il suo volto è colmo di tenerezza per ciascuno di noi. Perché egli è in tutto simile-come noi, consustanziale al Padre nella divinità e consustanziale a noi nell’umanità. Dio non ha paura di essere come noi, di starci vicini nella nostra stessa debolezza. Natale, allora, è la festa del più grande mistero di qualsiasi altro mistero: Dio si fa carne. Restiamo sempre scandalizzati innanzi al modo di fare e d’essere di Dio. Ne è consapevole l’evangelista Giovanni che ci porta al vertice della rivelazione giudaicocristiana: Dio ha preso la nostra carne. Com’è possibile? È veramente così? Non si è mai sentito qualcosa del genere! Può l’Eterno senza tempo farsi storia ed entrare nel divenire dei nostri giorni? Nel termine biblico “carne” (dal greco sárx e dall’ebraico bâsâr) è indicata quella fragilità della natura umana che entra a far parte del modo d’essere dell’Onnipotente. Il Natale è la festa dell’umile nascita del Figlio di Dio a Betlemme! Dio si fa piccolo per non spaventarci, per attirare il nostro amore, per liberarci da una visione onnipotente delle cose e di noi stessi. Natale è epifania, il manifestarsi di Dio e della sua grande luce in un bambino che è nato per noi. Nato nella stalla di Betlemme e non nei palazzi dei re. Il teologo medioevale Guglielmo di san Thierry ha detto che Dio – a partire da Adamo – ha visto che la sua grandezza provocava nell’uomo resistenza; che l’uomo si sente limitato nel suo essere se stesso e minacciato nella sua libertà. Pertanto, Dio ha scelto una via nuova. È diventato un bambino. Si è reso dipen-
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Natale Dio si fa carne
Con Maria contempliamo il volto di Dio Il tempo di Natale è una grande occasione per riscoprire il mistero dell’incarnazione di Dio e della presenza di Cristo in mezzo a noi. Il primo gennaio si apre con la celebrazione di Maria Santissima Madre di Dio e si celebra la giornata mondiale di preghiera per la pace. La liturgia di questa solennità sembra affermare che il tempo è segnato per sempre dalla nascita di Gesù, come pure dalla sua passione, morte e risurrezione. L’apostolo Paolo afferma nella lettera ai Galati che, con la manifestazione nella carne di Dio, in Cristo, il tempo si è compiuto, ha trovato il suo senso di pienezza. È come dire: “Nel mentre Dio inviò il suo Figlio, il tempo ha trovato il suo centro e fine”. È a partire dall’ingresso di Dio nella storia di Gesù Cristo che tutto è cambiato e che la legge ha trovato il suo compimento. Nella solennità di Maria Madre di Dio siamo chiamati a riflettere non soltanto sulla maternità divina della fanciulla di Nazareth, ma anche e soprattutto su questo dono d’amore che il Padre ci ha manifestato nel Figlio. Non dobbiamo dimenticarlo: siamo diventati figli nel Figlio. Quella speciale benedizione che il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe riservò al popolo eletto, e che è simbolicamente espressa nel volto di Jhwh che accompagna e protegge la sua gente, ora si è manifestata nel volto di Gesù Cristo, la cui faccia è la rivelazione e benedizione del Dio invisibile, il Padre di tutti. L’Eucaristia che celebriamo oil primo dell’anno è ringraziamento per i benefici ricevuti da Dio che è Padre, ed è pure richiesta di soccorso, protezione e benedizione per l’inizio di un nuovo anno e perché la pace regni su tutta la Terra. È l’ottavo giorno della grande festa del Natale che, secondo il ritmo della liturgia, conclude e inizia ogni anno. L’anno è la misura umana del tempo. Il tempo ci parla del “trascorrere”, al quale è sottoposto tutto il creato. L’uomo è consapevole di questo trascorrere. Egli passa non soltanto nel tempo, ma parimenti “misura il tempo” del suo trascorrere: tempo fatto di giorni, settimane, mesi e anni. In questo fluire umano c’è sempre la tristezza del congedo dal passato e, insieme, l’apertura al futuro. Proprio questo congedo dal passato e questa apertura al futuro sono iscritti, me-
diante il linguaggio e il ritmo della liturgia della Chiesa, nella solennità del Natale del Signore. La nascita parla sempre di un inizio, dell’inizio di ciò che nasce. Il Natale del Signore parla di un singolare inizio. In primo luogo, parla di quell’inizio che precede qualsiasi tempo, del principio che è Dio stesso, senza inizio. Durante questa ottava siamo stati nutriti ogni giorno del mistero della perenne generazione in Dio, del mistero del figlio generato eternamente dal Padre: «Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato» (Professio fidei). In questi giorni siamo, in modo particolare, testimoni della nascita terrestre di questo Figlio. Nascendo a Betlemme da Maria Vergine come Uomo, Dio-Verbo, accetta il tempo. Entra nella storia. Si sottopone alla legge del fluire umano. Chiude il passato: con lui ha fine il tempo di attesa, cioè l’antica alleanza. Egli apre l’avvenire: la nuova alleanza della grazia e della riconciliazione con Dio. È il nuovo “Inizio” del tempo nuovo. Ogni nuovo anno partecipa di questo Inizio. È l’anno del Signore, un anno speriamo di vera pace!
1. Benedetti dal volto di Dio La prima lettura della festa di Maria Santissima Madre di Dio ci pone sotto lo sguardo di Dio non per essere giudicati, bensì per ricevere la sua benedizione. Il volto indica la presenza benevole ed efficace di Dio che salva, libera, guarisce, purifica, illumina e protegge. Il desiderio di vedere il volto di Dio (cf. Sal 27) può essere soddisfatto, per il pio israelita, solo nel futuro, cioè dopo la morte. Perché nessuno può vedere il volto di Dio e restare in vita. Nella tradizione ebraica, il volto di Dio è, per eccellenza, la facciata del tempio di Gerusalemme luogo della presenza di Jhwh. Il Libro dei Numeri ci presenta la solenne benedizione che i sacerdoti pronunciavano sugli israeliti nelle grandi feste religiose: essa è scandita appunto dal nome del Signore, ripetuto per tre volte, come ad esprimere la pienezza e la forza che da tale invocazione deriva. Questo testo di benedizione liturgica, infatti, evoca la ricchezza di grazia e di pace che Dio dona all’uomo, con una benevola disposizione nei suoi confronti, e che 24
Natale si manifesta con il “risplendere” del volto divino e il “rivolgerlo” verso di noi. Siamo in presenza di un testo assai pregnante, scandito dal nome del Signore che viene ripetuto all’inizio di ogni versetto. Un testo che non si limita a una semplice enunciazione di principio, ma tende a realizzare ciò che afferma. Come è noto, infatti, nel pensiero semitico, la benedizione del Signore produce, per forza propria, benessere e salvezza, così come la maledizione procura disgrazia e rovina. L’efficacia della benedizione si concretizza poi, più specificamente, da parte di Dio nel proteggerci (v. 24), nell’esserci propizio (v. 25) e nel donarci la pace, cioè, in altri termini, nell’offrirci l’abbondanza della felicità. Facendoci riascoltare questa antica benedizione, all’inizio di un nuovo anno solare, la liturgia è come se volesse incoraggiarci a invocare a nostra volta la benedizione del Signore sul nuovo anno che muove i primi passi, perché sia per tutti noi un anno di prosperità e di pace. Il volto è l’espressione per eccellenza della persona, ciò che la rende riconoscibile e da cui traspaiono senti-
menti, pensieri, intenzioni del cuore. Dio, per sua natura, è invisibile. Tuttavia, la Bibbia applica anche a lui questa immagine. Mostrare il volto è espressione della sua benevolenza, mentre il nasconderlo ne indica l’ira e lo sdegno. Il Libro dell’Esodo dice che «il Signore parlava con Mosè faccia a faccia, come uno parla con il proprio amico» (Es 33,11), e sempre a Mosè il Signore promette la sua vicinanza con una formula molto singolare: «Il mio volto camminerà con voi e ti darò riposo» (Es 33,14). I salmi ci mostrano i credenti come coloro che cercano il volto di Dio (cf. Sal 26/27,8; 104/105,4) e che nel culto aspirano a vederlo (cf. Sal 42,3), e ci dicono che «gli uomini retti» lo «contempleranno» (Sal 10/11,7). Tutto il racconto biblico si può leggere come progressivo svelamento del volto di Dio, fino a giungere alla sua piena manifestazione in Gesù Cristo. «Quando venne la pienezza del tempo – ci ricorda anche oggi l’apostolo Paolo – Dio mandò il suo Figlio» (Gal 4,4). E subito aggiunge: «nato da donna, nato sotto la legge». Il volto di Dio ha preso un volto umano, lasciandosi
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vedere e riconoscere nel figlio della Vergine Maria, che per questo veneriamo con il titolo altissimo di “Madre di Dio”. Ella, che ha custodito nel suo cuore il segreto della divina maternità, è stata la prima a vedere il volto di Dio fatto uomo nel piccolo frutto del suo grembo. La madre ha un rapporto tutto speciale, unico e in qualche modo esclusivo con il figlio appena nato. Il primo volto che il bambino vede è quello della madre, e questo sguardo è decisivo per il suo rapporto con la vita, con se stesso, con gli altri, con Dio; è decisivo anche perché egli possa diventare un «figlio della pace» (Lc 10,6). Tra le molte tipologie di icone della Vergine Maria nella tradizione bizantina, vi è quella detta “della tenerezza”, che raffigura Gesù bambino con il viso appoggiato – guancia a guancia – a quello della Madre. Il Bambino guarda la Madre, e questa guarda noi, quasi a riflettere verso chi osserva, e prega, la tenerezza di Dio, discesa in lei dal Cielo e incarnata in quel Figlio di uomo che porta in braccio. In questa icona mariana noi possiamo contemplare qualcosa di Dio stesso: un segno dell’amore ineffabile che lo ha spinto a «dare il suo figlio unigenito» (Gv 3,16). Ma quella stessa icona ci mostra anche, in Maria, il volto della Chiesa, che riflette su di noi e sul mondo intero la luce di Cristo, la Chiesa mediante la quale giunge a ogni uomo la buona notizia: «Non sei più schiavo, ma figlio» (Gal 4,7), come leggiamo ancora in san Paolo. 2. Siamo figli di Dio Con la venuta del Figlio di Dio il tempo si è compiuto, ha trovato cioè pienezza di senso. Questa nascita del Figlio di Dio è avvenuta nel tempo, attraverso le leggi della storia e dello spazio. L’incarnazione è un fatto concreto e non un evento gnostico o irreale. Dio entra definitivamente nella nostra storia di uomini e la illumina di un significato nuovo. La nascita di Gesù è la forma definitiva e più densa del rendersi presente dell’Eterno nel tempo. Cosa ha comportato la nascita di Gesù per noi? Secondo Paolo la risposta è: l’adozione a figli. L’umanità è stata per sempre liberata da ogni forma di schiavitù e di ritualità perché abbiamo ricevuto lo Spirito di Dio che ci rende figli nel Figlio. Possiamo dire, senza sbagliare, allora, che il tempo che ha preceduto la venuta di Cristo era tutto teso verso il Natale: quando il Figlio di Dio appare, i lunghi anni dell’aspettativa trovano soddisfazione e il tempo viene come riempito. Senza Gesù la storia con i suoi millenni sarebbe inesorabilmente e assolutamente vuota, senza senso. Anche la nostra vita, con i suoi giorni e anni, trascorrerebbe priva di significato se le mancasse la presenza di Gesù. Egli sarà il compa-
gno di tutte le ore che verranno: riempirà la nostra solitudine e sarà motivo di un’incrollabile speranza. Egli è il nostro kairos. Dunque, non lamentiamoci troppo di essere soli, se abbiamo l’amicizia di Gesù Cristo che ci rende figli di Dio! La venuta di Cristo in mezzo a noi significa che il Vangelo è un dono per ogni uomo. 3. Lo stupore dei pastori e il cuore di Maria Abbiamo bisogno di fare nostro lo stupore dei pastori, quella meraviglia che rapisce il cuore e ci fa provare un senso infinito e pieno di gioia. Il Natale ci mette nel cuore una certa nostalgia per le cose di Dio, per quelle umili e semplici che abbiamo dimenticato e che a volte rischiamo di ridurre a pure sentimentalismo. I pastori tornano dalla grotta e lodano il Signore. La loro vita certamente non è più quella di prima. Anche noi non restiamo sempre al presepio. Tra non molto verrà “disfatto” e ricomposto per il prossimo anno. Tuttavia, ritornando alle nostre occupazioni e condizioni abituali non dimentichiamo quella nascita, quell’innocenza e quell’amore che ci hanno attratti in questi giorni. Come la Vergine Maria, conserveremo nel cuore quegli avvenimenti di Betlemme, per riviverli. I fatti della vita di Gesù devono essere il soggetto più ricorrente e più dolce della nostra memoria. Luca, da fine psicologo, dice che Maria provava a mettere assieme tutti i fatti capitati in quel periodo e li meditava nel suo cuore. Scrive sant’Agostino: «Di nessun valore sarebbe stata per lei la stessa divina maternità, se lei il Cristo non l’avesse portato nel cuore, con una sorte più fortunata di quando lo concepì nella carne» (De sancta Virginitate, 3,3). E nel suo cuore Maria continuò a conservare, a “mettere insieme” gli eventi successivi di cui sarà testimone e protagonista, sino alla morte in croce e alla risurrezione del suo Figlio Gesù. È importante proprio l’espressione “mettere assieme” che richiama il termine “simbolo”, dal greco syn-ballein (“con gettare”, “unire”): Maria prova a collocare tutti i fatti che stavano accadendo alla luce del piano di Dio. Nel suo cuore è avvenuta una grande riflessione per cercare di comprendere il mistero della nascita di Gesù e di quello che Dio stesso le stava chiedendo. Tutto questo avviene nel suo cuore, sede della conoscenza, della volontà, dell’intelligenza, della decisione. Il cuore di Maria è aperto e disponibile: non conosce indurimento né chiusure. Da qui la fede, l’abbandono pieno e fecondo alla volontà di Dio. Il primo giorno dell’anno è posto sotto il segno di una donna, Maria. L’evangelista Luca la descrive come la Vergine silenziosa, in costante ascolto della parola 26
eterna, che vive nella Parola di Dio. Maria serba nel suo cuore le parole che vengono da Dio e, congiungendole come in un mosaico, impara a comprenderle. Alla sua scuola vogliamo apprendere anche noi a diventare attenti e docili discepoli del Signore. Con il suo aiuto materno, desideriamo impegnarci a lavorare alacremente nel “cantiere” della pace, alla sequela di Cristo, Principe della Pace. Seguendo l’esempio della Vergine Santa, vogliamo lasciarci guidare sempre e solo da Gesù Cristo, che è lo stesso ieri, oggi e sempre! (cf. Eb 13,8). 4. Alcuni approfondimenti Fu Paolo VI a trasferire al primo gennaio la festa della divina maternità di Maria, che un tempo cadeva l’11 di ottobre. Prima, infatti, della riforma liturgica seguita al Concilio ecumenico Vaticano II, nel primo giorno dell’anno si celebrava la memoria della circoncisione di Gesù nell’ottavo giorno dopo la sua nascita – come segno della sottomissione alla legge, il suo inserimento ufficiale nel popolo eletto – e la domenica seguente si celebrava la festa del nome di Gesù. Di queste ricorrenze scorgiamo qualche traccia nella pagina evangelica che è proclamata, in cui san Luca riferisce che otto giorni dopo la nascita il Bambino venne circonciso e gli fu posto il nome di Gesù, «come era stato chiamato dall’angelo prima di essere concepito nel grembo della madre» (Lc 2,21). Quella odierna, pertanto, oltre che essere una quanto mai significativa festa mariana, conserva pure un contenuto fortemente cristologico, perché, potremmo dire, prima della Madre, riguarda proprio il Figlio, Gesù vero Dio e vero Uomo.
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Natale
Il titolo di Madre di Dio è il fondamento di tutti gli altri titoli con cui la Vergine Maria è stata venerata e continua ad essere invocata di generazione in generazione, in Oriente e in Occidente. Al mistero della sua divina maternità fanno riferimento tanti inni e tante preghiere della tradizione cristiana, come ad esempio un’antifona mariana del tempo natalizio, l’Alma Redemptoris mater con la quale così preghiamo: «Tu quae genuisti, natura mirante, tuum sanctum Genitorem, Virgo prius ac posterius – Tu, nello stupore di tutto il creato, hai generato il tuo Creatore, Madre sempre vergine». La Colletta di questa solennità pone attenzione alla verginità feconda di Maria attraverso la quale sono passati i beni della salvezza eterna; e, per questo, si chiede a Dio di poter sperimentare la sua intercessione di madre. Già, quasi dimenticavo: “Madre di Dio” (Theotokos) è il titolo che le Chiese d’Oriente e d’Occidente da sempre riservano a Maria nella preghiera eucaristica e nel giorno del Natale, così come nella preghiera quotidiana. Se Gesù è il Figlio dell’Altissimo, allora Maria è anche Madre di questo Figlio. D’altronde, questa verità di fede è stata manifestata già anticamente nella pietà popolare prima ancora del concilio di Efeso del 431, quando il titolo di Theotokos fu solennemente dichiarato a motivo dell’eresia di Nestorio, un presbitero che negava la divinità di Gesù. La proclamazione del magistero diede luogo a indescrivibili manifestazioni di giubilo da parte degli abitanti della città. Lo stesso papa Sisto III (432-440), a Roma, fece prontamente restaurare, consacrandola alla vergine Maria, l’antica basilica eretta nel IV secolo sul colle Esquilinio. Ancor oggi, quella basilica si chiama Santa Maria Maggiore, essendo stata, in Occidente, la prima chiesa dedicata alla madre di Dio. L’altra Colletta ricorda che il Padre buono, in Maria, vergine e madre, ha stabilito la dimora del suo Verbo fatto uomo. Maria è la piena di grazia, la tutta santa, attraverso la quale lo Spirito feconda anche le nostre aridità e irradia sul mondo la luce eterna, Gesù Cristo (cf. Prefazio). Dunque, anche se non sappiamo come sarà il nuovo anno per ognuno di noi e per il mondo, una cosa però è certa: possiamo sempre contare ogni giorno sulla grazia di Dio e sull’intercessione di Maria, la Madre di Dio. Tra le icone bizantine, una delle più famose, c’è quella che rappresenta la Vergine Maria con in braccio il bambino nel gesto tenero di baciare la madre. È la Madre della tenerezza o, anche, del dolce bacio: a lei affidiamo le nostre famiglie, i giovani, gli anziani, i bambini, gli ammalati, quanti si mettono sotto la sua protezione.
pastorale della strada
Bambini e donne della strada derubati dei loro diritti Lo scopo di queste giornate di studio e di riflessione è di preparare un piano d’azione in risposta al fenomeno dei bambini e delle donne – e delle loro famiglie – che hanno come principale ambiente di vita la strada. Ho una grande stima del vostro impegno tutelare e promuovere la dignità di questi bambini e queste donne; perciò vi incoraggio ad andare avanti con fiducia e slancio apostolico. Le realtà, a volte molto tristi, che voi incontrate, sono causate dall’indifferenza, dalla povertà, dalla violenza familiare e sociale, e dalla tratta delle persone umane. Non manca inoltre il dolore per le separazioni coniugali e la nascita di bambini fuori del matrimonio, destinati spesso a una vita “randagia”. I bambini e le donne della strada non sono numeri, non sono “pacchi” da scambiare: sono esseri umani con un proprio nome e un proprio volto, con un’identità donata da Dio a ciascuno di loro. Sono figli di Dio come noi, uguali a noi, con gli stessi nostri diritti. Nessun bambino sceglie per conto suo di vivere in strada. Purtroppo, anche nel mondo moderno e globalizzato, tanti bambini vengono derubati della loro infanzia, dei loro diritti, del loro futuro. La carenza di leggi e di strutture adeguate contribuisce ad aggravare il loro stato di privazione: mancano di una vera famiglia, mancano dell’educazione e dell’assistenza sanitaria. Ogni bambino abbandonato o costretto a vivere nella strada, diventato preda delle organizzazioni criminali, è un grido che sale a Dio, il Quale ha creato l’uomo e la donna a sua immagine; è un grido di d’accusa contro un sistema sociale che da decenni critichiamo ma che facciamo fatica a cambiare secondo criteri di giustizia. È preoccupante vedere in aumento il numero delle giovani ragazze e delle donne che vengono costrette a guadagnarsi da vivere sulla strada, vendendo il proprio corpo, sfruttate dalle organizzazioni criminali e a volte da parenti e familiari. Tale realtà è una vergogna delle nostre società che si vantano di essere moderne e di aver raggiunto alti livelli di cultura e di sviluppo. La corruzione diffusa e la ricerca del guadagno a tutti i costi privano gli innocenti e i più
deboli delle possibilità di una vita dignitosa, alimentano la criminalità della tratta e le altre ingiustizie che gravano sulle loro spalle. Nessuno può rimanere inerte di fronte all’urgente necessità di salvaguardare la dignità della donna, minacciata da fattori culturali ed economici! Vi chiedo, per favore, di non arrendervi di fronte alla difficoltà dalle sfide che interpellano la vostra convinzione, nutrita dalla fede in Cristo, che ha dimostrato, fino al culmine della morte in croce, l’amore preferenziale di Dio Padre verso i più deboli ed emarginati. La Chiesa non può tacere, le istituzioni ecclesiali non possono chiudere gli occhi di fronte al nefasto fenomeno dei bambini e delle donne della strada. È importante coinvolgere le diverse espressioni della comunità cristiana nei vari Paesi al fine di rimuovere le cause che costringono un bambino o una donna a vivere in strada o procurarsi da vivere nella strada. Noi non possiamo mai evitare di portare a tutti, in modo particolare ai più deboli e svantaggiati, la bontà e la tenerezza di Dio Padre misericordioso. La misericordia è l’atto supremo con il quale Dio ci viene incontro, è la via che apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre. Cari fratelli e sorelle, vi auguro una feconda missione nei vostri Paesi per la cura pastorale e spirituale e per la liberazione dei più fragili e sfruttati; una missione feconda per la promozione e la salvaguardia della loro identità e dignità. Affido voi e il vostro servizio a Maria, Madre di Misericordia: la dolcezza del suo sguardo accompagni l’impegno e i propositi di quanti si prendono cura dei bambini e delle donne della strada. E di cuore invoco su ciascuno di voi la benedizione del Signore. E adesso vi invito a pregare la Madonna e chiederle di accarezzare questi bambini che vivono sulla strada, queste donne … soffrono tanto. La carezza della Madonna: abbiamo bisogno di maternità. PAPA FRANCESCO ai partecipanti al simposio internazionale sulla pastorale della strada, 17 settembre 2015 28
Sono il Papa dei poveri. I poveri sono al centro del Vangelo Un’intervista a tutto campo, incentrata soprattutto su cosa significhi “essere Papa”. È quella concessa da Francesco al quotidiano argentino “La Voz del Pueblo”. Il Pontefice parla a lungo del suo rapporto con la gente, del suo amore per i poveri, di come trascorre le sue giornate, delle sue speranze e preoccupazioni. “Vorrei tanto andare a mangiare una pizza”, scherza con il giornalista Juan Berretta, “sono sempre stato un camminatore” e questa è una cosa che “mi manca”. Ecco, una sintesi della conversazione di Papa Francesco con “La Voz del Pueblo”. “Perché ripete sempre: ‘pregate per me’”? “Perché ne ho bisogno. Ho bisogno che mi sostenga la preghiera del popolo. E’ una necessità interiore”. È uno dei passaggi dell’intervista rilasciata da Papa Francesco al giornalista Juan Berretta del quotidiano argentino “La Voz del Pueblo”. Una conversazione svoltasi a Casa Santa Marta in un clima familiare ricca di racconti inediti sulla vita personale del Papa “venuto dalla fine del mondo”. Jorge Mario Bergoglio ribadisce che mai aveva pensato di essere eletto alla Cattedra di Pietro e scherzando ricorda che, all’ultimo Conclave, i bookmakers inglesi lo davano solo al 46.mo posto. Al tempo stesso, però, sottolinea che “la vita di un religioso, di un gesuita, cambia a seconda delle necessità” e che quando è stato eletto si è affidato totalmente a Dio, “pregando il Rosario, tranquillo” durante lo spoglio delle schede che, confida, sembravano durare un’eternità.
“mi fa bene”, è come se “la mia vita si amalgami con la gente” ed io “psicologicamente non posso vivere” senza di essa. Mi manca andare a mangiare una buona pizza, non amo ilprotocollo Il Papa confessa dunque quali sono le cose che più gli mancano rispetto agli anni argentini: “Uscire per strada, andare a camminare per le strade. Oppure – aggiunge ridendo – andare in una pizzeria a mangiare una pizza”. “Ma può ordinarla e farla portare in Vaticano”, osserva il giornalista. “Sì – è la risposta di Francesco – ma non è lo stesso. Il bello è andare lì. Io sono sempre stato un camminatore. Da cardinale mi incantava camminare per le strade” ma anche in “metro”; la “città mi incanta, sono un cittadino nell’anima”. Un giorno, rivela, “sono salito in macchina con l’autista e mi sono dimenticato di chiudere il finestrino” ed è “successo un putiferio”, io stavo “nel posto accanto al guidatore” e “la gente non faceva passare la macchina” perché si era accorta che c’era il Papa. E’ vero, ammette, che “ho la fama di indisciplinato, il protocollo non lo seguo molto, lo sento freddo” però quando ci sono “cose ufficiali” mi attengo “totalmente”.
Stare con la gente mi fa bene, sento che mi comprende Francesco risponde dunque ad una domanda sul suo rapporto eccezionale con il popolo e in particolare sul “magnetismo che genera nella gente”. “Non so bene perché questo succede”, ammette, tuttavia “è come se la gente comprendesse ciò che desidero dire”. “Tento di essere concreto – prosegue – e questo che voi chiamate magnetismo certi cardinali mi dicono che ha a che vedere con il fatto che la gente mi capisce”. Del resto, prosegue, stare con la gente
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interviste
A cuore aperto Francesco si racconta a “La Voz del Pueblo”
Dormo tranquillo, mi sveglio alle 4 ma non rinuncio alla siesta Il giornalista de “La Voz del Pueblo” chiede dunque al Papa se riesca a dormire nonostante le tante tensioni legate al suo ruolo. “Ho un sonno così profondo – risponde – che mi metto a letto e mi addormento”. “Dormo sei ore – precisa – normalmente alle 9 vado in stanza e leggo quasi fino alle dieci, quando mi comincia a lacrimare un occhio spengo la luce e resto a dormire fino alle 4 quando mi sveglio da solo, è il mio orologio biologico”. Però, aggiunge, “ho bisogno della siesta. Devo dormire dai 40 minuti a un’ora, mi tolgo le scarpe e mi ritiro al letto”. E confida che ne risente nei giorni in cui non può fare la “siesta”. Il Papa rivela poi che in questo periodo sta leggendo “San Silvano del Monte Athos, un gran maestro spirituale”. Le lacrime per chi soffre, la commozione per malati e carcerati Più volte in omelie e discorsi, il Pontefice ha parlato dell’importanza del saper piangere. Nell’intervista afferma dunque di aver pianto pensando ai “drammi umani” e cita in particolare a quanto sta succedendo al “popolo rohingya” e, in generale, ai “bambini malati”. “Quando vedo questi creature – afferma – chiedo al Signore: ‘Perché a loro e non a me?’”. Ancora, Francesco spiega di commuoversi quando va in visita nelle carceri perché pensa che “nessuno di noi può essere sicuro di non commettere mai un crimine” e quindi “finire in prigione”. Rispetto ai carcerati, il Papa si chiede “perché non hanno avuto l’opportunità” che ha avuto lui “di non fare qualcosa che mi avrebbe portato al carcere” e questo lo porta ad “un pianto interiore”. Tuttavia, soggiunge, “non piango pubblicamente”, “mi è capitato due volte di stare al limite ma mi sono fermato in tempo”, una volta ricordando “le persecuzioni dei cristiani in Iraq, pensando ai bambini”. “Perché non vuole che la si veda piangere?”, chiede Juan Berretta. “Non lo so – è la risposta – mi sembra che debba andare avanti”.
Le pressioni non mancano, sto tenendo un ritmo di lavoro intenso Francesco dice di essere “un temerario” come carattere e dunque “in generale di non avere paura”. Riguardo al pericolo attentati, afferma di “sentirsi nelle mani di Dio”, ma ribadisce di avere paura “del dolore fisico”. “Sono molto pauroso su questo – ammette con franchezza – non che abbia paura di un’iniezione, però preferisco non avere problemi con il dolore fisico”. Il Papa parla poi delle "pressioni" legate al suo ministero. “In questo momento – afferma – quello che mi fa fatica è l’intensità del lavoro. Sto tenendo un ritmo di lavoro molto forte, è la sindrome della fine dell’anno scolastico, che finisce a giugno”. E poi, prosegue, “si aggiungono mille cose e problemi”; e, constata, “ci sono problemi che ti armano con quello che dici o non dici… i mezzi di comunicazione a volte prendono una parola e poi la decontestualizzano”. Quindi, a proposito dell’Argentina, sottolinea che non segue più l’evoluzione politica della sua nazione che, con un po’ di amarezza, definisce “un Paese di tante possibilità e tante opportunità perdute”. Sono il Papa dei poveri? I poveri sono al centro del Vangelo “È contento che la definiscano il Papa dei poveri”?, chiede il giornalista. “La povertà – è la risposta di Francesco – è al centro del Vangelo. Gesù è venuto a predicare ai poveri, se voi togliete la povertà dal Vangelo non si comprende nulla”. E afferma che i mali peggiori del mondo di oggi sono: “la povertà, la corruzione, la tratta di persone”. Ancora, rileva che “sradicare la povertà” può essere considerata un’utopia, ma “le utopie ci mandano avanti” e sarebbe triste che un giovane non le avesse. Francesco enumera, dunque, tre punti che dovremmo tutti tenere a mente per affrontare i problemi della vita: “memoria, capacità di vedere il presente, utopia rivolta al futuro”. Infine, alla domanda su come vorrebbe essere ricordato, Francesco risponde con semplicità: “Come una persona che si è impegnata a fare del bene, non ho altra pretesa”.
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da Buenos Aires
ciarli, il giornalista gli ha chiesto come vive quei momenti. “Sento il bisogno di avvicinarmi, della prossimità.”, ha risposto Francesco, sottolineando che quando incontra la gente, sente l’abbraccio di Gesù. “Non sono soltanto io quello che dà, ma anche quello che riceve. Io ho bisogno dei fedeli, i fedeli mi fanno un dono, mi donano la loro vita”, ha aggiunto il Santo Padre. “Il prete ha detto - deve essere un ponte - perciò, si chiama pontefice -, cioè costruire ponti e non isolarsi e, quando dico prete, intendo anche i vescovi e il Papa”.
ALVARO VARGAS MARTINO GIORNALISTA DI RADIO MILENIUM
Nell'intervista rilasciata da Papa Francesco a Marcelo Figueroa, giornalista evangelico protestante e suo amico personale di FM Milenium 106.7, emittente argentina di Buenos Aires, incentrata sull’amicizia, l’incontro, il dialogo e la cura del creato, il Papa ha esordito sottolineando: “Tu evangelico, io cattolico, lavoriamo insieme per Gesù”. Premettendo poi che “un amico non è un conoscente, uno con il quale si trascorre un momento piacevole di conversazione”, il Papa ha detto che “l’amicizia è più profonda”, mettendo in guardia sul “senso utilitaristico dell’amicizia”. “L’amicizia è accompagnare la vita dell’altro”, ha detto Francesco, ricordando che le vere amicizie nascono spontaneamente e che un’altra caratteristica che ci consente di distinguere la buona amicizia “è che con un amico, che magari non vedi da molto tempo, senti come se fosse stato ieri l’ultimo incontro. Questa è una caratteristica molto umana dell’amicizia.
"Quel che di buono c’è in me, lo devo a Lui. È un dono di Dio” Rispondendo alla domanda se si sente di esempio per gli altri leader religiosi, Francesco ha detto: “Non si tratta di esempio, è la mia identità. Mi sento prete, mi viene spontaneo. Altrimenti, sarei un impiegato della Chiesa”. E a proposito dell’essere un punto di riferimento mondiale in favore della pace e dell’incontro, come ha sottolineato il giornalista, ha detto: “Io so di essere un peccatore e, quindi parlo con Gesù, e gli dico: ‘Quanto è buona la gente nei miei confronti’. Ma quel che di buono c’è in me, lo devo a Lui. È un dono di Dio”.
Lavorare per una cultura dell'incontro “L’atteggiamento di Dio verso il Suo popolo è, innanzitutto, pieno di affetto paterno, ma anche di amicizia”, ha detto il Santo Padre. E ricordando le parole di Gesù ai discepoli nell’Ultima Cena: “Non vi chiamo servi, ma amici”, ha spiegato che “ciò significa oggi lasciarsi chiamare amico da Lui, perché dinanzi alla parola di Gesù, che ti chiama amico, o non capisci, o apri il tuo cuore a quel dialogo di amicizia”. In questo senso, parlando poi dell’urgenza dell’incontro, del dialogo e dell’amicizia tra le diverse confessioni religiose, il Papa ha ribadito che, di fronte alla “cultura dell’inimicizia”, bisogna “lavorare per una cultura dell’incontro, cioè, per la fratellanza” e non giudicare, perché “giudice è soltanto Dio”.
Un Pastore non ha confini Ricordando che “tanti, anche atei, dicono: ‘Io non sono cattolico, ma questo Papa mi è simpatico’”, il giornalista ha chiesto poi al Santo Padre se vede in ciò una missione anche al di fuori dei confini della Chiesa. “Un pastore, a qualsiasi confessione appartenga, non ha confini. È pastore e basta. E uno deve lottare contro i propri egoismi - che ho anch’io - affinché non cancellino ciò che Gesù ti chiede come pastore, cioè, stare in mezzo al Suo popolo”. Non siamo amici del creato Infine, il Papa ha parlato dell’amicizia verso il creato, a proposito della sua Enciclica “Laudato si’’”, la cui importanza è stata sottolineata dal giornalista. “Evidentemente maltrattiamo il creato. Non siamo amici del creato, a volte lo trattiamo come il peggior nemico”. Ecco perché - ha ribadito con forza Francesco - è necessario prendere coscienza e contrastare il sistema dominante oggi, che “ha decentrato l’uomo, mettendo al suo posto il denaro”, e ha portato alla “schiavitù dal lavoro e a non prendersi cura del creato, trascurando in quel modo- anche il Re del creato”.
I pericoli del fondamentalismo Puntando il dito sui fondamentalisti, che “cercano di distruggere, perché sono fedeli a un’idea, ma non a una realtà”, Francesco ha messo in guardia sul pericolo rappresentato da “quell’oscurità trasversale che ci toglie l’orizzonte, ci fa chiudere nelle nostre convinzioni e, tra virgolette, ideologie. È un muro e, quindi, non c’è incontro. Il sacerdote deve costruire ponti e non isolarsi A proposito dell’importanza dell’incontro, ricordando i gesti del Papa quando si avvicina ai fedeli per abbrac-
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interviste
Il pastore sta in mezzo al suo popolo
messaggi di pace
1° GENNAIO 2016
segnanti, tutti i formatori, gli operatori culturali e dei media, gli intellettuali e gli artisti. L’indifferenza si può vincere solo affrontando insieme questa sfida. La pace va conquistata: non è un bene che si ottiene senza sforzi, senza conversione, senza creatività e confronto. Si tratta di sensibilizzare e formare al senso di responsabilità riguardo a gravissime questioni che affliggono la famiglia umana, quali il fondamentalismo e i suoi massacri, le persecuzioni a causa della fede e dell’etnia, le violazioni della libertà e dei diritti dei popoli, lo sfruttamento e la schiavizzazione delle persone, la corruzione e il crimine organizzato, le guerre e il dramma dei rifugiati e dei migranti forzati. Tale opera di sensibilizzazione e formazione guarderà, nello stesso tempo, anche alle opportunità e possibilità per combattere questi mali: la maturazione di una cultura della legalità e l’educazione al dialogo
«Vinci l’indifferenza e conquista la pace» È questo il titolo del Messaggio per la 49ª Giornata Mondiale della Pace, la terza di Papa Francesco: “Vinci l’indifferenza e conquista la pace”. L’indifferenza nei confronti delle piaghe del nostro tempo è una delle cause principali della mancanza di pace nel mondo. L’indifferenza oggi è spesso legata a diverse forme di individualismo che producono isolamento, ignoranza, egoismo e, dunque, disimpegno. L’aumento delle informazioni non significa di per sé aumento di attenzione ai problemi, se non è accompagnato da una apertura delle coscienze in senso solidale; e a tal fine è indispensabile il contributo che possono dare, oltre alle famiglie, gli in-
Siria ed Iraq Un oceano di dolore Uno dei drammi umanitari più opprimenti degli ultimi decenni è rappresentato dalle terribili conseguenze che i conflitti in Siria e in Iraq hanno sulle popolazioni civili, nonché sul patrimonio culturale. Milioni di persone sono in un preoccupante stato di urgente necessità, costrette a lasciare le proprie terre di origine. Libano, Giordania e Turchia portano oggi il peso di milioni di rifugiati, che hanno generosamente accolto. Di fronte ad un tale scenario e a conflitti che vanno estendendosi e turbando in maniera inquietante gli equilibri interni e quelli regionali, la comunità internazionale non sembra capace di trovare risposte adeguate, mentre i trafficanti di armi continuano a fare i loro interessi: armi bagnate nel sangue, sangue innocente. Eppure oggi, a differenza del passato, le atrocità e le inaudite violazioni dei diritti umani, che caratterizzano questi conflitti, sono diffusi dai media in tempo reale. Pertanto sono sotto gli occhi del mondo intero. Nessuno può fingere di non sapere! Tutti sono consapevoli che questa guerra pesa in maniera sempre più insopportabile sulle spalle della povera gente. Occorre trovare una soluzione, che non è mai quella violenta, perché la violenza crea solo nuove ferite, crea altra 32
quali era dedicato il Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 2015, «Non più schiavi ma fratelli». Bisogna portare avanti questo impegno, con accresciuta coscienza e collaborazione. La pace è possibile lì dove il diritto di ogni essere umano è riconosciuto e rispettato, secondo libertà e secondo giustizia. Il Messaggio del 2016 vuole essere uno strumento dal quale partire perché tutti gli uomini di buona volontà, in particolare coloro i quali operano nell’istruzione, nella cultura e nei media, agiscano ciascuno secondo le proprie possibilità e le proprie migliori aspirazioni per costruire insieme un mondo più consapevole e misericordioso, e quindi più libero e giusto. La Giornata Mondiale della Pace è stata voluta da Paolo VI e viene celebrata ogni anno il primo gennaio. Il Messaggio del Papa viene inviato alle cancellerie di tutto il mondo e traccia anche la linea diplomatica della Santa Sede per l’anno che si apre.
e alla cooperazione sono, in questo contesto, forme fondamentali di reazione costruttiva. Un campo in cui la pace si può costruire giorno per giorno vincendo l’indifferenza è quello delle forme di schiavitù presenti oggi nel mondo, alle
In Siria ed in Iraq, il male distrugge gli edifici e le infrastrutture, ma soprattutto distrugge la coscienza dell’uomo. Nel nome di Gesù, venuto nel mondo per sanare le ferite dell’umanità, la Chiesa si sente chiamata a rispondere al male col bene, promuovendo uno sviluppo umano integrale, occupandosi «di ogni uomo e di tutto l’uomo» (Paolo VI, Enc. Populorum progressio, 14). Per rispondere a questa difficile chiamata, è necessario che i cattolici rafforzino la collaborazione intra-ecclesiale ed i legami di comunione che li uniscono alle altre comunità cristiane, cercando anche la collaborazione con le istituzioni umanitarie internazionali e con tutti gli uomini di buona volontà. Vi incoraggio quindi a proseguire sulla via della collaborazione e della condivisione, lavorando insieme e in sinergia. Per favore: non abbandonate le vittime di questa crisi, anche se l’attenzione del mondo venisse meno! A tutti voi chiedo di portare il mio messaggio di solidale vicinanza a quanti sono nella prova e subiscono le tragiche conseguenze di questa crisi. In comunione con voi e con le vostre comunità, prego incessantemente per la pace e per la fine dei tormenti e delle ingiustizie nelle vostre amate terre. Che Dio vi benedica tutti.
violenza. In questo oceano di dolore, vi esorto a porre speciale attenzione ai bisogni materiali e spirituali dei più deboli e indifesi: penso in particolare alle famiglie, agli anziani, ai malati, ai bambini. I bambini e i giovani, speranza per il futuro, sono privati di diritti fondamentali: crescere nella serenità della famiglia, essere accuditi e curati, giocare, studiare. Milioni di bambini, con il protrarsi del conflitto, sono privati del diritto all’istruzione e, conseguentemente, vedono offuscarsi l’orizzonte del loro futuro. Non fate mancare il vostro impegno in questo ambito così vitale. Tante sono le vittime del conflitto: a tutte penso e per tutte prego. Ma non posso sottacere il grave danno alle comunità cristiane in Siria ed in Iraq, dove molti fratelli e sorelle sono vessati a causa della propria fede, cacciati dalle proprie terre, tenuti in prigionia o addirittura uccisi. Per secoli, le comunità cristiane e quelle musulmane hanno convissuto in queste terre, sulla base del reciproco rispetto. Oggi è la legittimità stessa della presenza dei cristiani e di altre minoranze religiose ad essere negata in nome di un «fondamentalismo violento che rivendica un’origine religiosa» (Benedetto XVI, Esort. ap. post-sin. Ecclesia in Medio Oriente, 29). Eppure, a tali aggressioni e persecuzioni che oggi subisce in quei Paesi, la Chiesa risponde testimoniando Cristo con coraggio, attraverso la presenza umile e fervida, il dialogo sincero e il servizio generoso a favore di chiunque soffra o abbia bisogno, senza alcuna distinzione.
PAPA FRANCESCO ai partecipanti all’incontro promosso da Cor Unum sulla crisi umanitaria irania e irachena, 7 settembre 2015
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cura della casa comune
Laudato si’ Preziosa miniera per tutti “Lotta alla fame e conversione ecologica. L’appello dell’Enciclica Laudato si' per un’agricoltura sostenibile”. E’ stato questo il tema dell’incontro organizzato nella sede della Pontificia Università della Santa Croce in collaborazione con il Programma Alimentare mondiale (Pam), il Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (Ifad) e la Missione permanente della Santa Sede presso la Fao. La giornata di studio ha offerto momenti di riflessione e di confronto sul problema della lotta alla fame alla luce dell’enciclica di Papa Francesco. Quali suggerimenti si possono ricavare dalla Laudato si' per estirpare questa piaga? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto a mons. Fernando Chica Arellano, Osservatore permanente della Santa Sede presso la Fao: L’Enciclica Laudato si' mi pare una miniera, con tanti spunti, con tanti riferimenti. Chi la legge, può trovare sempre luce per la sua azione. Il testo è molto equilibrato. E’ veramente un testo meraviglioso perché non esclude nessuno. Naturalmente, il Papa allude alla cooperazione internazionale, che è un cammino privilegiato per la lotta contro la fame, ma senza escludere nessuno di noi che, nel nostro piccolo, possiamo fare qualcosa. Possiamo passare da una terza persona a una prima persona e dire: “Cosa posso
fare?”. Non soltanto: “Cosa sto facendo, per la lotta contro la fame?”. E la lotta contro la fame non è una lotta teorica, perché la fame non esiste: esistono gli affamati che gridano, che hanno un volto veramente lacerato, sofferente. Queste grida noi non possiamo non ascoltarle. E qui c’è la chiamata del Santo Padre ad una conversione ecologica interiore che, lasciando in disparte il nostro egoismo, possa veramente fare in modo che il nostro cuore da pietra si converta in una casa accogliente, e soprattutto in un motore che faccia qualcosa per gli affamati.
sciamo il piano teorico e facciamo nostro questo grido. Dobbiamo condividere la sorte degli affamati, come il Buon Samaritano ha condiviso la sorte di questo che era malmesso sulla strada. Condividere la sorte, dunque lasciare il nostro ego e sapere che l’altro sono io e che la sua sorte è la mia. E lì fare proprio il problema dell’altro: se noi non ammazziamo questo egoismo, ognuno rimane nel proprio comodo. E nessuno farà nulla contro la fame …
L’Enciclica Laudato si' è una pietra miliare per promuovere una profonda conversione ecologica. Dunque la conversione ecologica E’ quanto sottolinea, il prof. Arpassa attraverso il fare proprie le turo Bellocq, docente di dottrina atroci sofferenze altrui? sociale della Chiesa presso la Questo il Papa lo dice: non ci Pontificia Università della Santa sarà cambiamento se noi non la- Croce: 34
Card. Turkson: ecologia integrale ed orizzonti di speranza
L’Enciclica Laudato si' è e sarà una pietra miliare in questo cammino dell’umanità verso l’eradicazione della fame nel mondo. Non tanto per le soluzioni tecniche che darà. Lo farà però con questo appello ad una profonda conversione. Il termine conversione viene dal greco “μετάνοια”, cioè indica il cambiare idee: cambiare le idee che sottostanno a molti dei ragionamenti, a molte delle decisioni che si prendono oggi in economia, anche a livello del comportamento personale. Il Papa insiste tante volte, nell’Enciclica, sul fatto che dobbiamo cambiare la nostra mentalità consumistica, egoistica. Dobbiamo cambiare questa cultura dello scarto per una mentalità che prenda in considerazione la destinazione universale dei beni, il futuro condiviso di tutta l’uma-
“Ecologia integrale ed orizzonti di speranza: l’attenzione per i poveri ed il Creato nel magistero di Papa Francesco”. Questo il tema della conferenza tenuta in Irlanda dal card. Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace. Il porporato è intervenuto presso la Pontificia Università San Patrizio di Maynooth, nell’ambito di un incontro quaresimale organizzato da “Trócaire”, l’organismo caritativo della Conferenza episcopale irlandese. Salvaguardare il creato,un dovere di tutti gli esseri umani Quattro, in particolare, i punti messi in risalto dal card. Turkson: il primo riguarda il fatto che l’appello a tutelare l’ambiente riguarda tutti gli esseri umani, affinché si promuova uno sviluppo umano davvero autentico e sostenibile. D’altronde, la visione della Chiesa al riguardo – come evidenziato da Papa Francesco e dai suoi predecessori, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI – implica “la cura e la tutela della persona umana e del suo ambiente in tutte le dimensioni possibili”. In secondo luogo, il porporato ha evidenziato che la salvaguardia del Creato “è un dovere”: “Proteggere l’ambiente, sviluppare e vivere un’ecologia integrale – ha affermato il card. Turkson – in quanto basi per la pace nel mondo, è un dovere cristiano fondamentale”, “un dovere sacro”. Distruggere l’ambiente è un peccato grave Non solo: il presidente di Giustizia e Pace ha ribadito il legame essenziale tra umanità, Creato e giustizia, tanto che “violare uno di questi legami” e “distruggere l’ambiente è un peccato grave”. La persona giusta, infatti, è quella che “preserva la comunione con Dio, con il prossimo e con la terra e, così facendo, crea la pace”. In quest’ottica, inoltre, ha detto il card. Turkson, è importante “condividere i frutti del Creato con gli altri, specialmente con i poveri, gli stranieri, le vedove, gli orfani”. In terzo luogo, il porporato ha richiamato l’importanza di una “conversione ecologica” del cuore umano, ovvero di “un radicale e fondamentale cambiamento del nostro atteggiamento nei confronti del Creato, dei poveri e delle priorità dell’economia globale”. Dare spazio alla religione per capire cosa è davvero importante Dal suo canto, la religione, ha aggiunto il porporato, può dare un notevole contributo al tema della salvaguardia ambientale perché può aiutare ad “orientare e integrare gli esseri umani nell’universo, identificando cosa è davvero importante e cosa bisogna proteggere in quanto sacro”. “Dare spazio alla religione – dunque – può trasformare il nostro atteggiamento nei confronti dell’ambiente in un modo in cui gli approcci politici o economici non possono fare”. Appello ad una nuova solidarietà globale Infine, il card. Turkson ha lanciato un appello al dialogo e ad una “nuova solidarietà globale”, in cui “ciascuno può fare la sua parte ed ogni singola azione, non importa quanto piccola, può fare la differenza”. “Il bene della persona umana – ha concluso il porporato – e non il perseguimento del profitto, è il valore-guida per la ricerca del bene comune universale”. 35
nità. Sono idee che, qualitativamente, danno una cornice necessaria per poter risolvere questa crisi ecologica che è soprattutto crisi morale dell’umanità. Sono pagine che interpellano soprattutto politici e leader mondiali ma anche tutti noi Infatti, il Papa parla del comportamento personale, delle decisioni degli imprenditori, delle decisioni dei governi, delle Ong, delle associazioni multinazionali … Lui parla spesso della “cultura”: è tutta una “cultura”, una mentalità che dobbiamo rivedere su quali basi sia stata costruita, su quali idee sia stata costruita.
HA DETTO Seguo con viva attenzione i lavori della Conferenza sul clima in corso a Parigi, e mi torna alla mente una domanda che ho posto nell’Enciclica Laudato si’: «Che tipo di mondo desideriamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo?» (n. 160). Per il bene della casa comune, di tutti noi e delle future generazioni, a Parigi ogni sforzo dovrebbe essere rivolto ad attenuare gli impatti dei cambiamenti climatici e, nello stesso tempo, a contrastare la povertà e far fiorire la dignità umana. Le due scelte vanno insieme: fermare i cambiamenti climatici e contrastare la povertà perché fiorisca la dignità umana. Preghiamo perché lo Spirito Santo illumini quanti sono chiamati a prendere decisioni così importanti e dia loro il coraggio di tenere sempre come criterio di scelta il maggior bene per l’intera famiglia umana. PAPA FRANCESCO dopo Angelus 6 dicembre 2015
Questo tipo di conversione ha bisogno della fede, oppure può trascendere dalla fede? Penso che anche tutte queste idee abbiano una plausibilità razionale sconvolgente. Poi quando non vengono rispettate, le conseguenze dolorose purtroppo sono sotto gli occhi di tutti. Il Papa allora insiste sul fatto che questa Enciclica contiene idee che possiamo apportare al dibattito. Invita però anche i non cristiani a prenderle come provocazioni, come spunti di riflessione, come un dialogo per cercare di costruire insieme questa casa che è una casa comune, comune a cristiani e non cristiani. Quindi tutti noi dobbiamo dare il nostro contributo per risolvere i problemi. 36
Appello ispirato alla Laudato si’ Un accordo sul clima che sia equo, giuridicamente vincolante e generatore di un vero cambiamento. E’ quanto chiedono in rappresentanza della Chiesa dei cinque continenti cardinali, patriarchi e vescovi di varie Conferenze episcopali delle diverse parti del mondo in un appello al COP 21, la «Conferenza delle parti» sul cambiamento climatico che si è svolto a Parigi dal 30 novembre scorso. Il documento, ispirato all’Enciclica Laudato si' e promosso dal Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, è stato presentato nella Sala Stampa vaticana
Il 25 ottobre 2015. La terra è un ‘eredità comune, il danno all’ambiente e i cambiamenti climatici – scrivono cardinali, patriarchi e vescovi da ogni parte del mondo al summit di Parigi - hanno ripercussioni enormi e impongono un nuovo stile di vita e nuove nozioni di crescita e progresso. La dichiarazione, suddivisa in 10 punti, invoca una leadership coraggiosa e creativa che sappia anteporre agli interessi nazionali il bene comune, con speciale attenzione ai poveri. Si chiede un accordo vincolante
cura della casa comune
Parigi: conferenza sul clima
che tenga a mente oltre alle dimensioni tecniche anche quelle etiche e morali dei cambiamenti climatici; che riconosca il clima e l’atmosfera come beni comuni globali: un’intesa generatrice di un vero cambiamento che indichi come bene la necessità di vivere in armonia con la natura nel rispetto dei diritti umani; il documento chiede di garantire a tutti l’accesso all’acqua potabile, di limitare l’aumento della temperatura globale, di fissare un obiettivo per la completa decarbonizzazione entro metà secolo, di porre fine all’era dei combustibili fossili fornendo a tutti l’accesso alle energie rinnovabili a prezzi accessibili in un approccio di adattamento che risponda ai bisogni delle popolazioni più vulnerabili e
con una road map che indichi come fronteggiare gli impegni finanziari prevedibili. La dichiarazione si conclude con una preghiera per la terra. “Un momento storico – ha definito questa firma il card. Oswald Gracias, presidente delle Conferenze episcopali asiatiche – “Dobbiamo fare di tutto per evitare il disastro per le future generazioni”. Da parte sua il card. Salazar Gomez, presidente del Consiglio episcopale latino americano, ha evidenziato gli effetti dirompenti del cambiamento climatico in America Latina con periodi di siccità e inondazioni devastanti per l’agricoltura soprattutto per i più poveri. Speciale attenzione ha suggerito il porporato per la tu-
tela dell’Amazzonia, la cui biodiversità contribuisce al mantenimento dell’equilibrio del pianeta. Per l’Oceania ha preso la parola mons. John Ribat, presidente della Federazione delle Conferenze episcopali dell'Oceania, che ha lanciato un forte appello: “l’esistenza della nostra biodiversità, della nostra stessa vita nelle isole del Pacifico è a rischio per l’innalzamento dei mari. Non cambiare niente non è fattibile, non rispetta la dignità umana. Le culture evolutesi per migliaia di anni – ha detto - sono destinate ad estinguersi a causa del cambiamento climatico in pochi decenni e i primi a essere colpiti saranno i poveri. Se fallirà Parigi non potremo cambiare nulla”.
Infine la parola a mons. Jean Kockerols, primo vice-presidente della Commissione degli episcopati della Comunità europea, che ha parlato dell’appello come esempio di collegialità episcopale. La sfida del vertice Cop21 di Parigi non deve essere sottovalutata ha detto il presule esortando l’Europa alla responsabilità nel cambiare gli stili di vita, alla coerenza e all’apertura nei confronti dei Paesi poveri. Il punto di vista scientifico del prof. Jean-Pascal van Ypersele de Strihou, dell’Università cattolica di Lovanio, ha concluso gli interventi definendo il cambiamento climatico “uno dei problemi più grandi posti di fronte all’umanità”.
Papa Francesco apre l’Anno Santo della Misericordia
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Bolla di indizione del Giuibileo straordinario della Misericordia
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i sono momenti nei quali in modo ancora più forte siamo chiamati a tenere fisso lo sguardo sulla misericordia per diventare noi stessi segno efficace dell’agire del Padre. È per questo che ho indetto un Giubileo Straordinario della Misericordia come tempo favorevole per la Chiesa, perché renda più forte ed efficace la testimonianza dei credenti.
PAPA FRANCESCO 1. Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre. Il mistero della fede cristiana sembra trovare in questa parola la sua sintesi. Essa è divenuta viva, visibile e ha raggiunto il suo culmine in Gesù di Nazareth. Il Padre, « ricco di misericordia » (Ef 2,4), dopo aver rivelato il suo nome a Mosè come « Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà » (Es 34,6), non ha cessato di far conoscere in vari modi e in tanti momenti della storia la sua natura divina. Nella « pienezza del tempo » (Gal 4,4), quando tutto era disposto secondo il suo piano di salvezza, Egli mandò suo Figlio nato dalla Vergine Maria per rivelare a noi in modo definitivo il suo amore. Chi vede Lui vede il Padre (cfr Gv 14,9). Gesù di Nazareth con la sua parola, con i suoi gesti e con tutta la sua persona[1] rivela la misericordia di Dio.
L’Anno Santo si aprirà l’8 dicembre 2015, solennità dell’Immacolata Concezione. Questa festa liturgica indica il modo dell’agire di Dio fin dai primordi della nostra storia. Dopo il peccato di Adamo ed Eva, Dio non ha voluto lasciare l’umanità sola e in balia del male. Per questo ha pensato e voluto Maria santa e immacolata nell’amore (cfr Ef 1,4), perché diventasse la Madre del Redentore dell’uomo. Dinanzi alla gravità del peccato, Dio risponde con la pienezza del perdono. La misericordia sarà sempre più grande di ogni peccato, e nessuno può porre un limite all’amore di Dio che perdona. Nella festa dell’Immacolata Concezione avrò la gioia di aprire la Porta Santa. Sarà in questa occasione una Porta della Misericordia, dove chiunque entrerà potrà sperimentare l’amore di Dio che consola, che perdona e dona speranza. La domenica successiva, la Terza di Avvento, si aprirà la Porta Santa nella Cattedrale di Roma, la Basilica di San Giovanni in Laterano. Successivamente, si aprirà la Porta Santa nelle altre Basiliche Papali. Nella stessa domenica stabilisco che in ogni Chiesa particolare, nella Cattedrale che è la Chiesa Madre per tutti i fedeli, oppure nella Concattedrale o in una chiesa di speciale si-
2. Abbiamo sempre bisogno di contemplare il mistero della misericordia. È fonte di gioia, di serenità e di pace. È condizione della nostra salvezza. Misericordia: è la parola che rivela il mistero della SS. Trinità. Misericordia: è l’atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro. Misericordia: è la legge fondamentale che abita nel cuore di ogni persona quando guarda con occhi sinceri il fratello che incontra nel cammino della vita. Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato. 3. Ci sono momenti nei quali in modo ancora più forte siamo chiamati a tenere fisso lo sguardo sulla misericordia per diventare noi stessi segno efficace dell’agire del Padre. È per questo che ho indetto un Giubileo Straordinario della Misericordia come tempo favorevole per la Chiesa, perché renda più forte ed efficace la testimonianza dei credenti.
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anno della misericordia
Il volto della Misericordia
L’anno giubilare
DICEMBRE 2015 Martedì 8 dicembre 2015 Solennità dell’Immacolata Concezione Apertura della Porta Santa della Basilica di San Pietro. Domenica 13 dicembre 2015 III domenica di Avvento Apertura della Porta Santa della Basilica di San Giovanni in Laterano e nelle Cattedrali del Mondo. gnificato, si apra per tutto l’Anno Santo una uguale Porta della Misericordia. A scelta dell’Ordinario, essa potrà essere aperta anche nei Santuari, mete di tanti pellegrini, che in questi luoghi sacri spesso sono toccati nel cuore dalla grazia e trovano la via della conversione. Ogni Chiesa particolare, quindi, sarà direttamente coinvolta a vivere questo Anno Santo come un momento straordinario di grazia e di rinnovamento spirituale. Il Giubileo, pertanto, sarà celebrato a Roma così come nelle Chiese particolari quale segno visibile della comunione di tutta la Chiesa. 4. Ho scelto la data dell’8 dicembre perché è carica di significato per la storia recente della Chiesa. Aprirò infatti la Porta Santa nel cinquantesimo anniversario della conclusione del Concilio Ecumenico Vaticano II. La Chiesa sente il bisogno di mantenere vivo quell’evento. Per lei iniziava un nuovo percorso della sua storia. I Padri radunati nel Concilio avevano percepito forte, come un vero soffio dello Spirito, l’esigenza di parlare di Dio agli uomini del loro tempo in un modo più comprensibile. Abbattute le muraglie che per troppo tempo avevano rinchiuso la Chiesa in una cittadella privilegiata, era giunto il tempo di annunciare il Vangelo in modo nuovo. Una nuova tappa dell’evangelizzazione di sempre. Un nuovo impegno per tutti i cristiani per
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’Anno giubilare si concluderà nella solennità liturgica di Gesù Cristo Signore dell’universo, il 20 novembre 2016. In quel giorno, chiudendo la Porta Santa avremo anzitutto sentimenti di gratitudine e di ringraziamento verso la SS. Trinità per averci concesso questo tempo straordinario di grazia. Affideremo la vita della Chiesa, l’umanità intera e il cosmo immenso alla Signoria di Cristo, perché effonda la sua misericordia come la rugiada del mattino per una feconda storia da costruire con l’impegno di tutti nel prossimo futuro. Come desidero che gli anni a venire siano intrisi di misericordia per andare incontro ad ogni persona portando la bontà e la tenerezza di Dio!A tutti, credenti e lontani, possa giungere il balsamo della misericordia come segno del Regno di Dio già presente in mezzo a noi. testimoniare con più entusiasmo e convinzione la loro fede. La Chiesa sentiva la responsabilità di essere nel mondo il segno vivo dell’amore del Padre. Tornano alla mente le parole cariche di significato che san Giovanni XXIII pronunciò all’apertura del Concilio per indicare il sentiero da seguire: «Ora la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore… La Chiesa Cattolica, mentre con questo Concilio Ecumenico innalza la fiaccola della verità cattolica, vuole mostrarsi madre amorevolissima di tutti, benigna, paziente, mossa da misericordia e da bontà verso i figli da lei separati».[2] Sullo stesso orizzonte, si poneva anche il beato Paolo VI, che si esprimeva così a conclusione del Concilio: «Vogliamo piuttosto notare come la religione del nostro Concilio sia stata principalmente la carità … L’antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio… Una corrente di affetto e di ammirazione si è riversata dal Concilio sul mondo umano moderno. Riprovati gli errori, sì; perché ciò
Venerdì 1 gennaio 2016 Solennità di Maria Santissima Madre di Dio Giornata mondiale per la pace. Apertura della Porta Santa della Basilica di Santa Maria Maggiore. Martedì 19 gennaio – giovedì 21 gennaio 2016 Giubileo degli Operatori dei Santuari. Lunedì 25 gennaio 2016 Festa della Conversione di San Paolo Apertura della Porta Santa della Basilica di San Paolo fuori le mura. Segno “Giubilare” del Santo Padre: testimonianza delle opere di misericordia. guida e sostegno del Popolo di Dio per aiutarlo a contemplare il volto della misericordia.[4] 5. L’Anno giubilare si concluderà nella solennità liturgica di Gesù Cristo Signore dell’universo, il 20 novembre 2016. In quel giorno, chiudendo la Porta Santa avremo anzitutto sentimenti di gratitudine e di ringraziamento verso la SS. Trinità per averci concesso questo tempo straordinario di grazia. Affideremo la vita della Chiesa, l’umanità intera e il cosmo immenso alla Signoria di Cristo, perché effonda la sua misericordia come la rugiada del mattino per una feconda storia da costruire con l’impegno di tutti nel prossimo futuro. Come desidero che gli anni a venire siano intrisi di misericordia per andare incontro ad ogni persona portando la bontà e la tenerezza di Dio!A tutti, credenti e lontani, possa giungere il balsamo della misericordia come segno del Regno di Dio già presente in mezzo a noi.
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’Anno Santo si aprirà l’8 dicembre 2015, solennità dell’Immacolata Concezione. Questa festa liturgica indica il modo dell’agire di Dio fin dai primordi della nostra storia. Dopo il peccato di Adamo ed Eva, Dio non ha voluto lasciare l’umanità sola e in balia del male. Per questo ha pensato e voluto Maria santa e immacolata nell’amore (cfr Ef 1,4), perché diventasse la Madre del Redentore dell’uomo. Dinanzi alla gravità del peccato, Dio risponde con la pienezza del perdono. La misericordia sarà sempre più grande di ogni peccato, e nessuno può porre un limite all’amore di Dio che perdona. Nella festa dell’Immacolata Concezione avrò la gioia di aprire la Porta Santa. Sarà in questa occasione una Porta della Misericordia, dove chiunque entrerà potrà sperimentare l’amore di Dio che consola, che perdona e dona speranza.
6. «È proprio di Dio usare misericordia e specialmente in questo si manifesta la sua onnipotenza».[5] Le parole di san Tommaso d’Aquino mostrano quanto la misericordia divina non sia affatto un segno di debolezza, ma piuttosto la qualità dell’onnipotenza di Dio. È per questo che la liturgia, in una delle collette più antiche, fa pregare dicendo: «O Dio che riveli la tua onnipotenza soprattutto con la misericordia e il perdono». [6] Dio sarà per sempre nella storia dell’umanità come Colui che è presente, vicino, provvidente, santo e misericordioso. “Paziente e misericordioso” è il binomio che ricorre spesso nell’Antico Testamento per descrivere la natura di Dio. Il suo essere misericordioso trova riscontro concreto in tante azioni della storia della salvezza dove la sua bontà prevale sulla punizione e la distruzione. I
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anno della misericordia
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esige la carità, non meno che la verità; ma per le persone solo richiamo, rispetto ed amore. Invece di deprimenti diagnosi, incoraggianti rimedi; invece di funesti presagi, messaggi di fiducia sono partiti dal Concilio verso il mondo contemporaneo: i suoi valori sono stati non solo rispettati, ma onorati, i suoi sforzi sostenuti, le sue aspirazioni purificate e benedette… Un’altra cosa dovremo rilevare: tutta questa ricchezza dottrinale è rivolta in un’unica direzione: servire l’uomo. L’uomo, diciamo, in ogni sua condizione, in ogni sua infermità, in ogni sua necessità».[3] Con questi sentimenti di gratitudine per quanto la Chiesa ha ricevuto e di responsabilità per il compito che ci attende, attraverseremo la Porta Santa con piena fiducia di essere accompagnati dalla forza del Signore Risorto che continua a sostenere il nostro pellegrinaggio. Lo Spirito Santo che conduce i passi dei credenti per cooperare all’opera di salvezza operata da Cristo, sia
Salmi, in modo particolare, fanno emergere questa grandezza dell’agire divino: «Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue infermità, salva dalla fossa la tua vita, ti circonda di bontà e misericordia» (103,34). In modo ancora più esplicito, un altro Salmo attesta i segni concreti della misericordia: «Il Signore libera i prigionieri, il Signore ridona la vista ai ciechi, il Signore rialza chi è caduto, il Signore ama i giusti, il Signore protegge i forestieri, egli sostiene l’orfano e la vedova, ma sconvolge le vie dei malvagi» (146,7-9). E da ultimo, ecco altre espressioni del Salmista: «[Il Signore] risana i cuori affranti e fascia le loro ferite… Il Signore sostiene i poveri, ma abbassa fino a terra i malvagi» (147,3.6). Insomma, la misericordia di Dio non è un’idea astratta, ma una realtà concreta con cui Egli rivela il suo amore come quello di un padre e di una madre che si commuovono fino dal profondo delle viscere per il proprio figlio. È veramente il caso di dire che è un amore “viscerale”. Proviene dall’intimo come un sentimento profondo, naturale, fatto di tenerezza e di compassione, di indulgenza e di perdono. 7. “Eterna è la sua misericordia”: è il ritornello che viene riportato ad ogni versetto del Salmo 136 mentre si narra la storia della rivelazione di Dio. In forza della misericordia, tutte le vicende dell’antico testamento sono cariche di un profondo valore salvifico. La misericordia rende la storia di Dio con Israele una storia di salvezza. Ripetere continuamente: “Eterna è la sua misericordia”, come fa il Salmo, sembra voler spezzare il cerchio dello spazio e del tempo per inserire tutto nel mistero eterno dell’amore. È come se si volesse dire che non solo nella storia, ma per l’eternità l’uomo sarà sempre sotto lo sguardo misericordioso del Padre. Non è un caso che il popolo di Israele abbia voluto inserire questo Salmo, il “Grande hallel ” come viene chiamato, nelle feste liturgiche più importanti. Prima della Passione Gesù ha pregato con questo Salmo della misericordia. Lo attesta l’evangelista Matteo quando dice che «dopo aver cantato l’inno» (26,30), Gesù con i discepoli uscirono verso il monte degli ulivi. Mentre Egli istituiva l’Eucaristia, quale memoriale perenne di Lui e della sua Pasqua, poneva simbolicamente questo atto supremo della Rivelazione alla luce della misericordia. Nello stesso orizzonte della misericordia, Gesù viveva la sua passione e morte, cosciente del grande mistero di amore che si sarebbe compiuto sulla croce. Sapere che Gesù stesso ha pregato con questo Salmo, lo rende per noi cristiani ancora più importante e ci impegna ad assumerne il ritornello nella nostra quotidiana preghiera di lode: “Eterna è la sua misericordia”.
FEBBRAIO 2016 Martedì 2 febbraio 2016 Festa della Presentazione del Signore e Giornata della Vita Consacrata Giubileo della Vita Consacrata e chiusura dell’Anno della Vita Consacrata. Mercoledì 10 febbraio 2016 Mercoledì delle Ceneri Invio dei Missionari della Misericordia nella Basilica di San Pietro. Lunedì 22 febbraio 2016 Cattedra di San Pietro Giubileo della Curia Romana. Segno “Giubilare” del Santo Padre: testimonianza delle opere di misericordia. 8. Con lo sguardo fisso su Gesù e il suo volto misericordioso possiamo cogliere l’amore della SS. Trinità. La missione che Gesù ha ricevuto dal Padre è stata quella di rivelare il mistero dell’amore divino nella sua pienezza. «Dio è amore» (1Gv 4,8.16), afferma per la prima e unica volta in tutta la Sacra Scrittura l’evangelista Giovanni. Questo amore è ormai reso visibile e tangibile in tutta la vita di Gesù. La sua persona non è altro che amore, un amore che si dona gratuitamente. Le sue relazioni con le persone che lo accostano manifestano qualcosa di unico e di irripetibile. I segni che compie, soprattutto nei confronti dei peccatori, delle persone povere, escluse, malate e sofferenti, sono all’insegna della misericordia. Tutto in Lui parla di misericordia. Nulla in Lui è privo di compassione. Gesù, dinanzi alla moltitudine di persone che lo seguivano, vedendo che erano stanche e sfinite, smarrite e senza guida, sentì fin dal profondo del cuore una forte compassione per loro (cfr Mt 9,36). In forza di questo amore compassionevole guarì i malati che gli venivano presentati (cfr Mt 14,14), e con pochi pani e pesci sfamò grandi folle (cfr Mt 15,37). Ciò che muoveva Gesù in tutte le circostanze non era altro che la misericordia, con la quale leggeva nel cuore dei suoi interlocutori e rispondeva al loro bisogno più vero. Quando incontrò la vedova di Naim che portava il suo unico figlio al sepolcro, provò grande compassione per quel dolore immenso della madre in pianto, e le riconsegnò il figlio risuscitandolo dalla morte (cfr Lc 7,15). Dopo aver liberato l’indemoniato di Gerasa, gli affida questa missione: «Annuncia ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha avuto per te» (Mc 5,19). Anche la vocazione di Matteo è inserita nell’orizzonte della misericordia. Passando dinanzi al banco delle imposte gli 44
quelle della pecora smarrita e della moneta perduta, e quella del padre e i due figli (cfr Lc 15,1-32). In queste parabole, Dio viene sempre presentato come colmo di gioia, soprattutto quando perdona. In esse troviamo il nucleo del Vangelo e della nostra fede, perché la misericordia è presentata come la forza che tutto vince, che riempie il cuore di amore e che consola con il perdono. Da un’altra parabola, inoltre, ricaviamo un insegnamento per il nostro stile di vita cristiano. Provocato dalla domanda di Pietro su quante volte fosse necessario perdonare, Gesù rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette» (Mt 18,22), e raccontò la parabola del “servo spietato”. Costui, chiamato dal padrone a restituire una grande somma, lo supplica in ginocchio e il padrone gli condona il debito. Ma subito dopo incontra un altro servo come lui che gli era debitore di pochi centesimi, il quale lo supplica in ginocchio di avere pietà, ma lui si rifiuta e lo fa imprigionare. Allora il padrone, venuto a conoscenza del fatto, si adira molto e richiamato quel servo gli dice: «Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?» (Mt 18,33). E Gesù concluse: «Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello» (Mt 18,35). La parabola contiene un profondo insegnamento per ciascuno di noi. Gesù afferma che la misericordia non è solo l’agire del Padre, ma diventa il criterio per capire chi sono i suoi veri figli. Insomma, siamo chiamati a vivere di misericordia, perché a noi per primi è stata usata misericordia. Il perdono delle offese diventa l’espressione più evidente dell’amore misericordioso e per noi cristiani è un imperativo da cui non possiamo prescindere. Come sembra difficile tante volte perdonare! Eppure, il perdono è lo strumento posto nelle nostre fragili mani per raggiungere la serenità del cuore. Lasciar cadere il rancore, la rabbia, la violenza e la vendetta sono condizioni necessarie per vivere felici. Accogliamo
occhi di Gesù fissarono quelli di Matteo. Era uno sguardo carico di misericordia che perdonava i peccati di quell’uomo e, vincendo le resistenze degli altri discepoli, scelse lui, il peccatore e pubblicano, per diventare uno dei Dodici. San Beda il Venerabile, commentando questa scena del Vangelo, ha scritto che Gesù guardò Matteo con amore misericordioso e lo scelse: miserando atque eligendo. [7] Mi ha sempre impressionato questa espressione, tanto da farla diventare il mio motto.
MARZO 2016 Venerdì 4 e sabato 5 marzo 2016 “24 ore per il Signore” con celebrazione penitenziale a San Pietro nel pomeriggio di venerdì 4 marzo.
9. Nelle parabole dedicate alla misericordia, Gesù rivela la natura di Dio come quella di un Padre che non si dà mai per vinto fino a quando non ha dissolto il peccato e vinto il rifiuto, con la compassione e la misericordia. Conosciamo queste parabole, tre in particolare:
Domenica 20 marzo 2016 Domenica delle Palme A Roma la Giornata diocesana dei Giovani. Segno “Giubilare” del Santo Padre: testimonianza delle opere di misericordia.
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a domenica successiva, la Terza di Avvento, si aprirà la Porta Santa nella Cattedrale di Roma, la Basilica di San Giovanni in Laterano. Successivamente, si aprirà la Porta Santa nelle altre Basiliche Papali. Nella stessa domenica stabilisco che in ogni Chiesa particolare, nella Cattedrale che è la Chiesa Madre per tutti i fedeli, oppure nella Concattedrale o in una chiesa di speciale significato, si apra per tutto l’Anno Santo una uguale Porta della Misericordia. A scelta dell’Ordinario, essa potrà essere aperta anche nei Santuari, mete di tanti pellegrini, che in questi luoghi sacri spesso sono toccati nel cuore dalla grazia e trovano la via della conversione. Ogni Chiesa particolare, quindi, sarà direttamente coinvolta a vivere questo Anno Santo come un momento straordinario di grazia e di rinnovamento spirituale. Il Giubileo, pertanto, sarà celebrato a Roma così come nelle Chiese particolari quale segno visibile della comunione di tutta la Chiesa.
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isericordiosi come il Padre, dunque, è il “motto” dell’Anno Santo. Nella misericordia abbiamo la prova di come Dio ama. Egli dà tutto se stesso, per sempre, gratuitamente, e senza nulla chiedere in cambio. Viene in nostro aiuto quando lo invochiamo. È bello che la preghiera quotidiana della Chiesa inizi con queste parole: « O Dio, vieni a salvarmi, Signore, vieni presto in mio aiuto » (Sal 70,2). L’aiuto che invochiamo è già il primo passo della misericordia di Dio verso di noi. Egli viene a salvarci dalla condizione di debolezza in cui viviamo. E il suo aiuto consiste nel farci cogliere la sua presenza e la sua vicinanza. Giorno per giorno, toccati dalla sua compassione, possiamo anche noi diventare compassionevoli verso tutti.
Domenica 3 aprile 2016 Domenica della Divina Misericordia Giubileo per quanti aderiscono alla spiritualità della Divina Misericordia. Domenica 24 aprile 2016 V Domenica di Pasqua Giubileo dei ragazzi e ragazze (13 – 16 anni) Professare la fede e costruire una cultura di misericordia. Segno “Giubilare” del Santo Padre: testimonianza delle opere di misericordia. quindi l’esortazione dell’apostolo: « Non tramonti il sole sopra la vostra ira » (Ef 4,26). E soprattutto ascoltiamo la parola di Gesù che ha posto la misericordia come un ideale di vita e come criterio di credibilità per la nostra fede: « Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia » (Mt 5,7) è la beatitudine a cui ispirarsi con particolare impegno in questo Anno Santo. Come si nota, la misericordia nella Sacra Scrittura è la parola-chiave per indicare l’agire di Dio verso di noi. Egli non si limita ad affermare il suo amore, ma lo rende visibile e tangibile. L’amore, d’altronde, non potrebbe mai essere una parola astratta. Per sua stessa natura è vita concreta: intenzioni, atteggiamenti, comportamenti che si verificano nell’agire quotidiano. La misericordia di Dio è la sua responsabilità per noi. Lui si sente responsabile, cioè desidera il nostro bene e vuole vederci felici, colmi di gioia e sereni. È sulla stessa lunghezza d’onda che si deve orientare l’amore misericordioso dei cristiani. Come ama il Padre così amano i figli. Come è misericordioso Lui, così siamo chiamati ad essere misericordiosi noi, gli uni verso gli altri. 10. L’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia. Tutto della sua azione pastorale dovrebbe essere avvolto dalla tenerezza con cui si indirizza ai credenti; nulla del suo annuncio e della sua testimonianza verso il mondo può essere privo di misericordia. La credibilità della Chiesa passa attraverso la strada dell’amore misericordioso e compassionevole. La Chiesa «vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia». [8] Forse per tanto tempo abbiamo dimenticato di indicare e di vivere la via della misericordia. La tentazione, da una parte, di pretendere sempre e solo la giustizia ha fatto dimenticare che questa è il primo passo, necessario e indispensabile, ma la Chiesa ha bisogno di andare oltre per raggiungere una meta più alta e più significativa.
Dall’altra parte, è triste dover vedere come l’esperienza del perdono nella nostra cultura si faccia sempre più diradata. Perfino la parola stessa in alcuni momenti sembra svanire. Senza la testimonianza del perdono, tuttavia, rimane solo una vita infeconda e sterile, come se si vivesse in un deserto desolato. È giunto di nuovo per la Chiesa il tempo di farsi carico dell’annuncio gioioso del perdono. È il tempo del ritorno all’essenziale per farci carico delle debolezze e delle difficoltà dei nostri fratelli. Il perdono è una forza che risuscita a vita nuova e infonde il coraggio per guardare al futuro con speranza. 11. Non possiamo dimenticare il grande insegnamento che san Giovanni Paolo II ha offerto con la sua seconda Enciclica Dives in misericordia, che all’epoca giunse inaspettata e colse molti di sorpresa per il tema che veniva affrontato. Due espressioni in particolare desidero ricordare. Anzitutto, il santo Papa rilevava la dimenticanza del tema della misericordia nella cultura dei nostri giorni: « La mentalità contemporanea, forse più di quella dell’uomo del passato, sembra opporsi al Dio di misericordia e tende altresì ad emarginare dalla vita e a distogliere dal cuore umano l’idea stessa della misericordia. La parola e il concetto di misericordia sembrano porre a disagio l’uomo, il quale, grazie all’enorme sviluppo della scienza e della tecnica, non mai prima conosciuto nella storia, è diventato padrone ed ha soggiogato e dominato la terra (cfr Gen 1,28). Tale dominio sulla terra, inteso talvolta unilateralmente e superficialmente, sembra che non lasci spazio alla misericordia … Ed è per questo che, nell’odierna situazione della Chiesa e del mondo, molti uomini e molti ambienti guidati da un vivo senso di fede si rivolgono, direi, quasi spontaneamente alla misericordia di Dio ».[9]
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Domenica 29 maggio 2016 Corpus Domini in Italia Giubileo dei diaconi. Inoltre, san Giovanni Paolo II così motivava l’urgenza di annunciare e testimoniare la misericordia nel mondo contemporaneo: «Essa è dettata dall’amore verso l’uomo, verso tutto ciò che è umano e che, secondo l’intuizione di gran parte dei contemporanei, è minacciato da un pericolo immenso. Il mistero di Cristo … mi obbliga a proclamare la misericordia quale amore misericordioso di Dio, rivelato nello stesso mistero di Cristo. Esso mi obbliga anche a richiamarmi a tale misericordia e ad implorarla in questa difficile, critica fase della storia della Chiesa e del mondo». [10] Tale suo insegnamento è più che mai attuale e merita di essere ripreso in questo Anno Santo. Accogliamo nuovamente le sue parole: «La Chiesa vive una vita autentica quando professa e proclama la misericordia – il più stupendo attributo del Creatore e del Redentore – e quando accosta gli uomini alle fonti della misericordia del Salvatore di cui essa è depositaria e dispensatrice».[11] 12. La Chiesa ha la missione di annunciare la misericordia di Dio, cuore pulsante del Vangelo, che per mezzo suo deve raggiungere il cuore e la mente di ogni persona. La Sposa di Cristo fa suo il comportamento del Figlio di Dio che a tutti va incontro senza escludere
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’iniziativa “24 ore per il Signore”, da celebrarsi nel venerdì e sabato che precedono la IV domenica di Quaresima, è da incrementare nelle Diocesi. Tante persone si stanno riavvicinando al sacramento della Riconciliazione e tra questi molti giovani, che in tale esperienza ritrovano spesso il cammino per ritornare al Signore, per vivere un momento di intensa preghiera e riscoprire il senso della propria vita. Poniamo di nuovo al centro con convinzione il sacramento della Riconciliazione, perché permette di toccare con mano la grandezza della misericordia. Sarà per ogni penitente fonte di vera pace interiore.
nessuno. Nel nostro tempo, in cui la Chiesa è impegnata nella nuova evangelizzazione, il tema della misericordia esige di essere riproposto con nuovo entusiasmo e con una rinnovata azione pastorale. È determinante per la Chiesa e per la credibilità del suo annuncio che essa viva e testimoni in prima persona la misericordia. Il suo linguaggio e i suoi gesti devono trasmettere misericordia per penetrare nel cuore delle persone e provocarle a ritrovare la strada per ritornare al Padre. La prima verità della Chiesa è l’amore di Cristo. Di questo amore, che giunge fino al perdono e al dono di sé, la Chiesa si fa serva e mediatrice presso gli uomini. Pertanto, dove la Chiesa è presente, là deve essere evidente la misericordia del Padre. Nelle nostre parrocchie, nelle comunità, nelle associazioni e nei movimenti, in-
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o scelto la data dell’8 dicembre perché è carica di significato per la storia recente della Chiesa. Aprirò infatti la Porta Santa nel cinquantesimo anniversario della conclusione del Concilio Ecumenico Vaticano II. La Chiesa sente il bisogno di mantenere vivo quell’evento. Per lei iniziava un nuovo percorso della sua storia. I Padri radunati nel Concilio avevano percepito forte, come un vero soffio dello Spirito, l’esigenza di parlare di Dio agli uomini del loro tempo in un modo più comprensibile. Abbattute le muraglie che per troppo tempo avevano rinchiuso la Chiesa in una cittadella privilegiata, era giunto il tempo di annunciare il Vangelo in modo nuovo. Una nuova tappa dell’evangelizzazione di sempre. Un nuovo impegno per tutti i cristiani per testimoniare con più entusiasmo e convinzione la loro fede. La Chiesa sentiva la responsabilità di essere nel mondo il segno vivo dell’amore del Padre. somma, dovunque vi sono dei cristiani, chiunque deve poter trovare un’oasi di misericordia.
14. Il pellegrinaggio è un segno peculiare nell’Anno Santo, perché è icona del cammino che ogni persona compie nella sua esistenza. La vita è un pellegrinaggio e l’essere umano è viator, un pellegrino che percorre una strada fino alla meta agognata. Anche per raggiungere la Porta Santa a Roma e in ogni altro luogo, ognuno dovrà compiere, secondo le proprie forze, un pellegrinaggio. Esso sarà un segno del fatto che anche la misericordia è una meta da raggiungere e che richiede impegno e sacrificio. Il pellegrinaggio, quindi, sia stimolo alla conversione: attraversando la Porta Santa ci lasceremo abbracciare dalla misericordia di Dio e ci impegneremo ad essere misericordiosi con gli altri come il Padre lo è con noi. Il Signore Gesù indica le tappe del pellegrinaggio attraverso cui è possibile raggiungere questa meta: «Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio» (Lc 6,37-38). Dice anzitutto di non giudicare e di non condannare. Se non si vuole incorrere nel giudizio di Dio, nessuno può diventare giudice del proprio fratello. Gli uomini, infatti, con il loro giudizio si fermano alla superficie, mentre il Padre guarda nell’intimo. Quanto male fanno le parole quando sono mosse da sentimenti di gelosia e invidia! Parlare male del fratello in sua assenza equivale a porlo in cattiva luce, a compromettere la sua reputazione e lasciarlo in balia della chiacchiera. Non giudicare e non condannare significa, in positivo, saper cogliere ciò che di buono c’è in ogni persona e non permettere che abbia a soffrire per il nostro giudizio parziale e la nostra presunzione di sapere tutto. Ma questo non è ancora sufficiente per esprimere la misericordia. Gesù chiede anche di perdo-
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13. Vogliamo vivere questo Anno Giubilare alla luce della parola del Signore: Misericordiosi come il Padre. L’evangelista riporta l’insegnamento di Gesù che dice: «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso» (Lc 6,36). È un programma di vita tanto impegnativo quanto ricco di gioia e di pace. L’imperativo di Gesù è rivolto a quanti ascoltano la sua voce (cfr Lc 6,27). Per essere capaci di misericordia, quindi, dobbiamo in primo luogo porci in ascolto della Parola di Dio. Ciò significa recuperare il valore del silenzio per meditare la Parola che ci viene rivolta. In questo modo è possibile contemplare la misericordia di Dio e assumerlo come proprio stile di vita.
Venerdì 3 giugno 2016 Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù Giubileo dei sacerdoti. 160 anni dall’introduzione della festa, introdotta nel 1856 da Pio IX. Domenica 12 giugno 2016 XI Domenica del Tempo Ordinario Giubileo degli ammalati e delle persone disabili. Segno “Giubilare” del Santo Padre: testimonianza delle opere di misericordia 48
Martedì 26 – domenica 31 luglio 2016 Fino alla XVIII Domenica del Tempo Ordinario Giubileo dei Giovani. Giornata mondiale della Gioventù a Cracovia. nare e di donare. Essere strumenti del perdono, perché noi per primi lo abbiamo ottenuto da Dio. Essere generosi nei confronti di tutti, sapendo che anche Dio elargisce la sua benevolenza su di noi con grande magnanimità. Misericordiosi come il Padre, dunque, è il “motto” dell’Anno Santo. Nella misericordia abbiamo la prova di come Dio ama. Egli dà tutto se stesso, per sempre, gratuitamente, e senza nulla chiedere in cambio. Viene in nostro aiuto quando lo invochiamo. È bello che la preghiera quotidiana della Chiesa inizi con queste parole: «O Dio, vieni a salvarmi, Signore, vieni presto in mio aiuto» (Sal 70,2). L’aiuto che invochiamo è già il primo passo della misericordia di Dio verso di noi. Egli viene a salvarci dalla condizione di debolezza in cui viviamo. E il suo aiuto consiste nel farci cogliere la sua presenza e la sua vicinanza. Giorno per giorno, toccati dalla sua compassione, possiamo anche noi diventare compassionevoli verso tutti.
rante il Giubileo sulle opere di misericordia corporale e spirituale. Sarà un modo per risvegliare la nostra coscienza spesso assopita davanti al dramma della povertà e per entrare sempre di più nel cuore del Vangelo, dove i poveri sono i privilegiati della misericordia divina. La predicazione di Gesù ci presenta queste opere di misericordia perché possiamo capire se viviamo o no come suoi discepoli. Riscopriamo le opere di misericordia corporale: dare da mangiare agli affamati, dare da bere agli assetati, vestire gli ignudi, accogliere i forestieri, assistere gli ammalati, visitare i carcerati, seppellire i morti. E non dimentichiamo le opere di misericordia spirituale: consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti. Non possiamo sfuggire alle parole del Signore: e in base ad esse saremo giudicati: se avremo dato da mangiare a chi ha fame e da bere a chi ha sete. Se avremo accolto il forestiero e vestito chi è nudo. Se avremo avuto tempo per stare con chi è malato e prigioniero (cfr Mt 25,31-45). Ugualmente, ci sarà chiesto se avremo aiutato ad uscire dal dubbio che fa cadere nella paura e che spesso è fonte di solitudine; se saremo stati capaci di vincere l’ignoranza in cui vivono milioni di persone, soprattutto i bambini privati dell’aiuto necessario per essere riscattati dalla povertà; se saremo stati vicini a chi è solo e afflitto; se avremo perdonato chi ci offende e respinto ogni forma di rancore e di odio che porta alla violenza; se avremo avuto
15. In questo Anno Santo, potremo fare l’esperienza di aprire il cuore a quanti vivono nelle più disparate periferie esistenziali, che spesso il mondo moderno crea in maniera drammatica. Quante situazioni di precarietà e sofferenza sono presenti nel mondo di oggi! Quante ferite sono impresse nella carne di tanti che non hanno più voce perché il loro grido si è affievolito e spento a causa dell’indifferenza dei popoli ricchi. In questo Giubileo ancora di più la Chiesa sarà chiamata a curare queste ferite, a lenirle con l’olio della consolazione, fasciarle con la misericordia e curarle con la solidarietà e l’attenzione dovuta. Non cadiamo nell’indifferenza che umilia, nell’abitudinarietà che anestetizza l’animo e impedisce di scoprire la novità, nel cinismo che distrugge. Apriamo i nostri occhi per guardare le miserie del mondo, le ferite di tanti fratelli e sorelle privati della dignità, e sentiamoci provocati ad ascoltare il loro grido di aiuto. Le nostre mani stringano le loro mani, e tiriamoli a noi perché sentano il calore della nostra presenza, dell’amicizia e della fraternità. Che il loro grido diventi il nostro e insieme possiamo spezzare la barriera di indifferenza che spesso regna sovrana per nascondere l’ipocrisia e l’egoismo. È mio vivo desiderio che il popolo cristiano rifletta du-
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ornano alla mente le parole cariche di significato che san Giovanni XXIII pronunciò all’apertura del Concilio per indicare il sentiero da seguire: « Ora la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore … La Chiesa Cattolica, mentre con questo Concilio Ecumenico innalza la fiaccola della verità cattolica, vuole mostrarsi madre amorevolissima di tutti, benigna, paziente, mossa da misericordia e da bontà verso i figli da lei separati ».[2] Sullo stesso orizzonte, si poneva anche
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pazienza sull’esempio di Dio che è tanto paziente con noi; se, infine, avremo affidato al Signore nella preghiera i nostri fratelli e sorelle. In ognuno di questi “più piccoli” è presente Cristo stesso. La sua carne diventa di nuovo visibile come corpo martoriato, piagato, flagellato, denutrito, in fuga… per essere da noi riconosciuto, toccato e assistito con cura. Non dimentichiamo le parole di san Giovanni della Croce: «Alla sera della vita, saremo giudicati sull’amore».[12] 16. Nel Vangelo di Luca troviamo un altro aspetto importante per vivere con fede il Giubileo. Racconta l’evangelista che Gesù, un sabato, ritornò a Nazaret e, come era solito fare, entrò nella Sinagoga. Lo chiamarono a leggere la Scrittura e commentarla. Il passo era quello del profeta Isaia dove sta scritto: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di misericordia del Signore» (61,1-2). “Un anno di misericordia”: è questo quanto viene annunciato dal Signore e che noi desideriamo vivere. Questo Anno Santo porta con sé la ricchezza della missione di Gesù che risuona nelle parole del Profeta: portare una parola e un gesto di consolazione ai poveri, annunciare la liberazione a quanti sono prigionieri delle nuove schiavitù della società moderna, restituire la vista a chi non riesce più a vedere perché curvo su sé stesso, e restituire dignità a quanti ne sono stati privati. La predicazione di Gesù si rende di nuovo visibile nelle risposte di fede che la testimonianza dei cristiani è chiamata ad
SETTEMBRE 2016 Domenica 4 settembre 2016 XXIII Domenica del Tempo Ordinario Memoria della Beata Teresa di Calcutta – 5 settembre Giubileo degli operatori e volontari della misericordia. Domenica 25 settembre 2016 XXVI Domenica del Tempo Ordinario Giubileo dei catechisti offrire. Ci accompagnino le parole dell’Apostolo: «Chi fa opere di misericordia, le compia con gioia» (Rm 12,8). 17. La Quaresima di questo Anno Giubilare sia vissuta più intensamente come momento forte per celebrare e sperimentare la misericordia di Dio. Quante pagine della Sacra Scrittura possono essere meditate nelle settimane della Quaresima per riscoprire il volto misericordioso del Padre! Con le parole del profeta Michea possiamo anche noi ripetere: Tu, o Signore, sei un Dio che toglie l’iniquità e perdona il peccato, che non serbi per sempre la tua ira, ma ti compiaci di usare misericordia. Tu, Signore, ritornerai a noi e avrai pietà del tuo popolo. Calpesterai le nostre colpe e getterai in fondo al mare tutti i nostri peccati (cfr 7,18-19). Le pagine del profeta Isaia potranno essere meditate più concretamente in questo tempo di preghiera, digiuno e carità: «Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo,
OTTOBRE 2016 Sabato 8 e domenica 9 ottobre 2016 Sabato e domenica dopo la festa della Beata Vergine Maria del Rosario Giubileo mariano siano un vero segno della misericordia del Padre. Non ci si improvvisa confessori. Lo si diventa quando, anzitutto, ci facciamo noi per primi penitenti in cerca di perdono. Non dimentichiamo mai che essere confessori significa partecipare della stessa missione di Gesù ed essere segno concreto della continuità di un amore divino che perdona e che salva. Ognuno di noi ha ricevuto il dono dello Spirito Santo per il perdono dei peccati, di questo siamo responsabili. Nessuno di noi è padrone del Sacramento, ma un fedele servitore del perdono di Dio. Ogni confessore dovrà accogliere i fedeli come il padre nella parabola del figlio prodigo: un padre che corre incontro al figlio nonostante avesse dissipato i suoi beni. I confessori sono chiamati a stringere a sé quel figlio pentito che ritorna a casa e ad esprimere la gioia per averlo ritrovato. Non si stancheranno di andare anche verso l’altro figlio rimasto fuori e incapace di gioire, per spiegargli che il suo giudizio severo è ingiusto, e non ha senso dinanzi alla misericordia del Padre che non ha confini. Non porranno domande impertinenti, ma come il padre della parabola interromperanno il discorso preparato dal figlio prodigo, perché sapranno cogliere nel
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rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti? Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà. Allora invocherai e il Signore ti risponderà, implorerai aiuto ed egli dirà: “Eccomi!”. Se toglierai di mezzo a te l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, se aprirai il tuo cuore all’affamato, se sazierai l’afflitto di cuore, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio. Ti guiderà sempre il Signore, ti sazierà in terreni aridi, rinvigorirà le tue ossa; sarai come un giardino irrigato e come una sorgente le cui acque non inaridiscono» (58,6-11). L’iniziativa “24 ore per il Signore”, da celebrarsi nel venerdì e sabato che precedono la IV domenica di Quaresima, è da incrementare nelle Diocesi. Tante persone si stanno riavvicinando al sacramento della Riconciliazione e tra questi molti giovani, che in tale esperienza ritrovano spesso il cammino per ritornare al Signore, per vivere un momento di intensa preghiera e riscoprire il senso della propria vita. Poniamo di nuovo al centro con convinzione il sacramento della Riconciliazione, perché permette di toccare con mano la grandezza della misericordia. Sarà per ogni penitente fonte di vera pace interiore. Non mi stancherò mai di insistere perché i confessori
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cuore di ogni penitente l’invocazione di aiuto e la richiesta di perdono. Insomma, i confessori sono chiamati ad essere sempre, dovunque, in ogni situazione e nonostante tutto, il segno del primato della misericordia.
Martedì 1 novembre 2016 Solennità di Tutti i Santi Santa Messa del Santo Padre in memoria dei fedeli defunti.
18. Nella Quaresima di questo Anno Santo ho l’intenzione di inviare i Missionari della Misericordia. Saranno un segno della sollecitudine materna della Chiesa per il Popolo di Dio, perché entri in profondità nella ricchezza di questo mistero così fondamentale per la fede. Saranno sacerdoti a cui darò l’autorità di perdonare anche i peccati che sono riservati alla Sede Apostolica, perché sia resa evidente l’ampiezza del loro mandato. Saranno, soprattutto, segno vivo di come il Padre accoglie quanti sono in ricerca del suo perdono. Saranno dei missionari della misericordia perché si faranno artefici presso tutti di un incontro carico di umanità, sorgente di liberazione, ricco di responsabilità per superare gli ostacoli e riprendere la vita nuova del Battesimo. Si lasceranno condurre nella loro missione dalle parole dell’Apostolo: «Dio ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per essere misericordioso verso tutti» (Rm 11,32). Tutti infatti, nessuno escluso, sono chiamati a cogliere l’appello alla misericordia. I missionari vivano questa chiamata sapendo di poter fissare lo sguardo su Gesù, « sommo sacerdote misericordioso e degno di fede» (Eb 2,17). Chiedo ai confratelli Vescovi di invitare e di accogliere questi Missionari, perché siano anzitutto predicatori convincenti della misericordia. Si organizzino nelle Diocesi delle “missioni al popolo”, in modo che questi Missionari siano annunciatori della gioia del perdono. Si chieda loro di celebrare il sacramento della Riconciliazione per il popolo, perché il tempo di grazia donato nell’Anno Giubilare permetta a tanti figli lontani di ritrovare il cammino verso la casa paterna. I Pastori, specialmente durante il tempo forte della Quaresima, siano solleciti nel richiamare i fedeli ad accostarsi « al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia» (Eb 4,16).
Domenica 6 novembre 2016 XXXII Domenica del Tempo Ordinario Giubileo dei carcerati in San Pietro. Domenica 13 novembre 2016 XXXIII Domenica del Tempo Ordinario Chiusura della Porta Santa nelle Basiliche di Roma e nelle Diocesi. Domenica 20 novembre 2016 Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo, Re dell’Universo Chiusura della Porta Santa a San Pietro e conclusione del Giubileo della Misericordia ad esso tutto il resto diventa privo di valore e di dignità. È solo un’illusione. Non portiamo il denaro con noi nell’al di là. Il denaro non ci dà la vera felicità. La violenza usata per ammassare soldi che grondano sangue non rende potenti né immortali. Per tutti, presto o tardi, viene il giudizio di Dio a cui nessuno potrà sfuggire. Lo stesso invito giunga anche alle persone fautrici o complici di corruzione. Questa piaga putrefatta della società è un grave peccato che grida verso il cielo, perché mina fin dalle fondamenta la vita personale e sociale. La corruzione impedisce di guardare al futuro con speranza, perché con la sua prepotenza e avidità distrugge i progetti dei deboli e schiaccia i più poveri. È un male che si annida nei gesti quotidiani per estendersi poi negli scandali pubblici. La corruzione è un accanimento nel peccato, che intende sostituire Dio con l’illusione del denaro come forma di potenza. È un’opera delle tenebre, sostenuta dal sospetto e dall’intrigo. Corruptio optimi pessima, diceva con ragione san Gregorio Magno, per indicare che nessuno può sentirsi immune da questa tentazione. Per debellarla dalla vita personale e sociale sono necessarie prudenza, vigilanza, lealtà, trasparenza, unite al coraggio della denuncia. Se non la si combatte apertamente, presto o tardi rende complici e distrugge l’esistenza. Questo è il momento favorevole per cambiare vita! Questo è il tempo di lasciarsi toccare il cuore. Davanti al male commesso, anche a crimini gravi, è il momento di ascoltare il pianto delle persone innocenti depredate dei beni, della dignità, degli affetti, della stessa vita. Rimanere
19. La parola del perdono possa giungere a tutti e la chiamata a sperimentare la misericordia non lasci nessuno indifferente. Il mio invito alla conversione si rivolge con ancora più insistenza verso quelle persone che si trovano lontane dalla grazia di Dio per la loro condotta di vita. Penso in modo particolare agli uomini e alle donne che appartengono a un gruppo criminale, qualunque esso sia. Per il vostro bene, vi chiedo di cambiare vita. Ve lo chiedo nel nome del Figlio di Dio che, pur combattendo il peccato, non ha mai rifiutato nessun peccatore. Non cadete nella terribile trappola di pensare che la vita dipende dal denaro e che di fronte 52
20. Non sarà inutile in questo contesto richiamare al rapporto tra giustizia e misericordia. Non sono due aspetti in contrasto tra di loro, ma due dimensioni di un’unica realtà che si sviluppa progressivamente fino a raggiungere il suo apice nella pienezza dell’amore. La giustizia è un concetto fondamentale per la società civile quando, normalmente, si fa riferimento a un ordine giuridico attraverso il quale si applica la legge. Per giustizia si intende anche che a ciascuno deve essere dato ciò che gli è dovuto. Nella Bibbia, molte volte si fa riferimento alla giustizia divina e a Dio come giudice. La si intende di solito come l’osservanza integrale della Legge e il comportamento di ogni buon israelita conforme ai comandamenti dati da Dio. Questa visione, tuttavia, ha portato non poche volte a cadere nel legalismo, mistificando il senso originario e oscurando il valore profondo che la giustizia possiede. Per superare la prospettiva legalista, bisognerebbe ricordare che nella Sacra Scrittura la giustizia è concepita essenzialmente come un abbandonarsi fiducioso alla volontà di Dio. Da parte sua, Gesù parla più volte dell’importanza della fede, piuttosto che dell’osservanza della legge. È in questo senso che dobbiamo comprendere le sue parole
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quando, trovandosi a tavola con Matteo e altri pubblicani e peccatori, dice ai farisei che lo contestavano: «Andate e imparate che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mt 9,13). Davanti alla visione di una giustizia come mera osservanza della legge, che giudica dividendo le persone in giusti e peccatori, Gesù punta a mostrare il grande dono della misericordia che ricerca i peccatori per offrire loro il perdono e la salvezza. Si comprende perché, a causa di questa sua visione così liberatrice e fonte di rinnovamento, Gesù sia stato rifiutato dai farisei e dai dottori della legge. Questi per essere fedeli alla legge ponevano solo pesi sulle spalle delle persone, vanificando però la misericordia del Padre. Il richiamo all’osservanza della legge non può ostacolare l’attenzione per le necessità che toccano la dignità delle persone. Il richiamo che Gesù fa al testo del profeta Osea – «voglio l’amore e non il sacrificio» (6,6) – è molto significativo in proposito. Gesù afferma che d’ora in avanti la regola di vita dei suoi discepoli dovrà essere quella che prevede il primato della misericordia, come Lui stesso testimonia, condividendo il pasto con i peccatori. La misericordia, ancora una volta, viene rivelata come dimensione fondamentale della missione di Gesù. Essa è una vera sfida dinanzi ai suoi interlocutori che si fermavano al rispetto formale della legge. Gesù, invece, va oltre la legge; la sua condivisione con quelli che la legge considerava peccatori fa comprendere fin dove arriva la sua misericordia.
sulla via del male è solo fonte di illusione e di tristezza. La vera vita è ben altro. Dio non si stanca di tendere la mano. È sempre disposto ad ascoltare, e anch’io lo sono, come i miei fratelli vescovi e sacerdoti. È sufficiente solo accogliere l’invito alla conversione e sottoporsi alla giustizia, mentre la Chiesa offre la misericordia.
Anche l’apostolo Paolo ha fatto un percorso simile. Prima di incontrare Cristo sulla via di Damasco, la sua vita era dedicata a perseguire in maniera irreprensibile la giustizia della legge (cfr Fil 3,6). La conversione a Cristo lo portò a ribaltare la sua visione, a tal punto che nella Lettera ai Galati afferma: «Abbiamo creduto anche noi in Cristo Gesù per essere giustificati per la fede in Cristo e non per le opere della Legge» (2,16). La sua comprensione della giustizia cambia radicalmente. Paolo ora pone al primo posto la fede e non più la legge. Non è l’osservanza della legge che salva, ma la fede in Gesù Cristo, che con la sua morte e resurrezione porta la salvezza con la misericordia che giustifica. La giustizia di Dio diventa adesso la liberazione per quanti sono oppressi dalla schiavitù del peccato e di tutte le sue conseguenze. La giustizia di Dio è il suo perdono (cfr Sal 51,11-16). 21. La misericordia non è contraria alla giustizia ma esprime il comportamento di Dio verso il peccatore, offrendogli un’ulteriore possibilità per ravvedersi, convertirsi e credere. L’esperienza del profeta Osea ci viene in aiuto per mostrarci il superamento della giustizia nella direzione della misericordia. L’epoca di questo profeta è tra le più drammatiche della storia del popolo ebraico. Il Regno è vicino alla distruzione; il popolo non è rimasto fedele all’alleanza, si è allontanato da Dio e ha perso la fede dei Padri. Secondo una logica umana,
è giusto che Dio pensi di rifiutare il popolo infedele: non ha osservato il patto stipulato e quindi merita la dovuta pena, cioè l’esilio. Le parole del profeta lo attestano: «Non ritornerà al paese d’Egitto, ma Assur sarà il suo re, perché non hanno voluto convertirsi» (Os 11,5). Eppure, dopo questa reazione che si richiama alla giustizia, il profeta modifica radicalmente il suo linguaggio e rivela il vero volto di Dio: «Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione. Non darò sfogo all’ardore della mia ira, non tornerò a distruggere Èfraim, perché sono Dio e non uomo; sono il Santo in mezzo a te e non verrò da te nella mia ira» (11,8-9). Sant’Agostino, quasi a commentare le parole del profeta dice: «È più facile che Dio trattenga l’ira più che la misericordia». [13] È proprio così. L’ira di Dio dura un istante, mentre la sua misericordia dura in eterno. Se Dio si fermasse alla giustizia cesserebbe di essere Dio, sarebbe come tutti gli uomini che invocano il rispetto della legge. La giustizia da sola non basta, e l’esperienza insegna che appellarsi solo ad essa rischia di distruggerla. Per questo Dio va oltre la giustizia con la misericordia e il perdono. Ciò non significa svalutare la giustizia o renderla superflua, al contrario. Chi sbaglia dovrà scontare la pena. Solo che questo non è il fine, ma l’inizio della conversione, perché si sperimenta la tenerezza del perdono. Dio non rifiuta la giustizia. Egli la ingloba e supera in un evento superiore dove si spe54
23. La misericordia possiede una valenza che va oltre i confini della Chiesa. Essa ci relaziona all’Ebraismo e all’Islam, che la considerano uno degli attributi più qualificanti di Dio. Israele per primo ha ricevuto questa rivelazione, che permane nella storia come inizio di una ricchezza incommensurabile da offrire all’intera umanità. Come abbiamo visto, le pagine dell’Antico Testamento sono intrise di misericordia, perché narrano le opere che il Signore ha compiuto a favore del suo popolo nei momenti più difficili della sua storia. L’Islam, da parte sua, tra i nomi attribuiti al Creatore pone quello di Misericordioso e Clemente. Questa invocazione è spesso sulle labbra dei fedeli musulmani, che si sentono accompagnati e sostenuti dalla misericordia nella loro quotidiana debolezza. Anch’essi credono che nessuno può limitare la misericordia divina perché le sue porte sono sempre aperte. Questo Anno Giubilare vissuto nella misericordia possa favorire l’incontro con queste religioni e con le altre nobili tradizioni religiose; ci renda più aperti al dialogo per meglio conoscerci e comprenderci; elimini ogni forma di chiusura e di disprezzo ed espella ogni forma di violenza e di discriminazione.
22. Il Giubileo porta con sé anche il riferimento all’indulgenza. Nell’Anno Santo della Misericordia essa acquista un rilievo particolare. Il perdono di Dio per i nostri peccati non conosce confini. Nella morte e risurrezione di Gesù Cristo, Dio rende evidente questo suo amore che giunge fino a distruggere il peccato degli uomini. Lasciarsi riconciliare con Dio è possibile attraverso il mistero pasquale e la mediazione della Chiesa. Dio quindi è sempre disponibile al perdono e non si stanca mai di offrirlo in maniera sempre nuova e inaspettata. Noi tutti, tuttavia, facciamo esperienza del peccato. Sappiamo di essere chiamati alla perfezione (cfr Mt 5,48), ma sentiamo forte il peso del peccato. Mentre percepiamo la potenza della grazia che ci trasforma, sperimentiamo anche la forza del peccato che ci condiziona. Nonostante il perdono, nella nostra vita portiamo le contraddizioni che sono la conseguenza dei nostri peccati. Nel sacramento della Riconciliazione Dio perdona i peccati, che sono davvero cancellati; eppure, l’impronta negativa che i peccati hanno lasciato nei nostri comportamenti e nei nostri pensieri rimane. La misericordia di Dio però è più forte anche di questo. Essa diventa indulgenza del Padre che attraverso la Sposa di Cristo raggiunge il peccatore perdonato e lo libera da ogni residuo della conseguenza del peccato, abilitandolo ad agire con carità, a crescere nell’amore piuttosto che ricadere nel peccato. La Chiesa vive la comunione dei Santi. Nell’Eucaristia questa comunione, che è dono di Dio, si attua come unione spirituale che lega noi credenti con i Santi e i Beati il cui numero è incalcolabile (cfr Ap 7,4). La loro santità viene in aiuto alla nostra fragilità, e così la Madre Chiesa è capace con la sua preghiera e la sua vita di venire incontro alla debolezza di alcuni con la santità di altri. Vivere dunque l’indulgenza nell’Anno Santo significa accostarsi alla misericordia del Padre con la certezza che il suo perdono si estende su tutta la vita
24. Il pensiero ora si volge alla Madre della Misericordia. La dolcezza del suo sguardo ci accompagni in questo Anno Santo, perché tutti possiamo riscoprire la gioia della tenerezza di Dio. Nessuno come Maria ha conosciuto la profondità del mistero di Dio fatto uomo. Tutto nella sua vita è stato plasmato dalla presenza della misericordia fatta carne. La Madre del Crocifisso Risorto è entrata nel santuario della misericordia divina perché ha partecipato intimamente al mistero del suo amore. Scelta per essere la Madre del Figlio di Dio, Maria è stata da sempre preparata dall’amore del Padre per essere Arca dell’Alleanza tra Dio e gli uomini. Ha custodito nel suo cuore la divina misericordia in perfetta sintonia con il suo Figlio Gesù. Il suo canto di lode, sulla soglia della casa di Elisabetta, fu dedicato alla misericordia che si estende «di generazione in generazione» (Lc 1,50). Anche noi eravamo presenti in quelle parole profetiche della Vergine Maria. Questo ci sarà di conforto e di sostegno mentre attraverseremo la Porta Santa per speri-
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del credente. Indulgenza è sperimentare la santità della Chiesa che partecipa a tutti i benefici della redenzione di Cristo, perché il perdono sia esteso fino alle estreme conseguenze a cui giunge l’amore di Dio. Viviamo intensamente il Giubileo chiedendo al Padre il perdono dei peccati e l’estensione della sua indulgenza misericordiosa.
rimenta l’amore che è a fondamento di una vera giustizia. Dobbiamo prestare molta attenzione a quanto scrive Paolo per non cadere nello stesso errore che l’Apostolo rimproverava ai Giudei suoi contemporanei: «Ignorando la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio. Ora, il termine della Legge è Cristo, perché la giustizia sia data a chiunque crede» (Rm 10,3-4). Questa giustizia di Dio è la misericordia concessa a tutti come grazia in forza della morte e risurrezione di Gesù Cristo. La Croce di Cristo, dunque, è il giudizio di Dio su tutti noi e sul mondo, perché ci offre la certezza dell’amore e della vita nuova.
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mentare i frutti della misericordia divina. Presso la croce, Maria insieme a Giovanni, il discepolo dell’amore, è testimone delle parole di perdono che escono dalle labbra di Gesù. Il perdono supremo offerto a chi lo ha crocifisso ci mostra fin dove può arrivare la misericordia di Dio. Maria attesta che la misericordia del Figlio di Dio non conosce confini e raggiunge tutti senza escludere nessuno. Rivolgiamo a lei la preghiera antica e sempre nuova della Salve Regina, perché non si stanchi mai di rivolgere a noi i suoi occhi misericordiosi e ci renda degni di contemplare il volto della misericordia, suo Figlio Gesù. La nostra preghiera si estenda anche ai tanti Santi e Beati che hanno fatto della misericordia la loro missione di vita. In particolare il pensiero è rivolto alla grande apostola della misericordia, santa Faustina Kowalska. Lei, che fu chiamata ad entrare nelle profondità della divina misericordia, interceda per noi e ci ottenga di vivere e camminare sempre nel perdono di Dio e nell’incrollabile fiducia nel suo amore. 25. Un Anno Santo straordinario, dunque, per vivere nella vita di ogni giorno la misericordia che da sempre il Padre estende verso di noi. In questo Giubileo lasciamoci sorprendere da Dio. Lui non si stanca mai di spalancare la porta del suo cuore per ripetere che ci ama e vuole condividere con noi la sua vita. La Chiesa sente in maniera forte l’urgenza di annunciare la misericordia di Dio. La sua vita è autentica e credibile quando fa della misericordia il suo annuncio convinto. Essa sa che il suo primo compito, soprattutto in un momento come il nostro colmo di grandi speranze e forti contraddizioni, è quello di introdurre tutti nel grande mistero della misericordia di Dio, contemplando il volto di Cristo. La Chiesa è chiamata per prima ad essere testimone veritiera della misericordia professandola e vivendola come il centro della Rivelazione di Gesù Cristo. Dal cuore della Trinità, dall’intimo più profondo del mistero di
Dio, sgorga e scorre senza sosta il grande fiume della misericordia. Questa fonte non potrà mai esaurirsi, per quanti siano quelli che vi si accostano. Ogni volta che ognuno ne avrà bisogno, potrà accedere ad essa, perché la misericordia di Dio è senza fine. Tanto è imperscrutabile la profondità del mistero che racchiude, tanto è inesauribile la ricchezza che da essa proviene. In questo Anno Giubilare la Chiesa si faccia eco della Parola di Dio che risuona forte e convincente come una parola e un gesto di perdono, di sostegno, di aiuto, di amore. Non si stanchi mai di offrire misericordia e sia sempre paziente nel confortare e perdonare. La Chiesa si faccia voce di ogni uomo e ogni donna e ripeta con fiducia e senza sosta: «Ricordati, Signore, della tua misericordia e del tuo amore, che è da sempre» (Sal 25,6). Dato a Roma, presso San Pietro, l’11 aprile, Vigilia della II Domenica di Pasqua o della Divina Misericordia, dell’Anno del Signore 2015, terzo di pontificato. [1] Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Dei Verbum, 4. [2] Discorso di apertura del Conc. Ecum. Vat. II, Gaudet Mater Ecclesia, 11 ottobre 1962, 2-3. [3] Allocuzione nell’ultima sessione pubblica, 7 dicembre 1965. [4] Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen Gentium, 16; Cost. past. Gaudium et spes, 15. [5] Tommaso D’aquino, Summa Theologiae, II-II, q. 30, a. 4. [6] XXVI Domenica del Tempo Ordinario. Questa colletta appare già, nell’VIII secolo, tra i testieucologici del Sacramentario Gelasiano (1198). [7] Cfr Om. 21: CCL 122, 149-151. [8] Esort. ap. Evangelii gaudium, 24. [9] N. 2. [10] Lett. Enc. Dives in misericordia,15. [11] Ibid., 13. [12] Parole di luce e di amore, 57. [13] Enarr. in Ps. 76, 11.
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LA MISERICORDIA PRIMA DEL GIUDIZIO viene fatto a Dio e alla sua grazia quando si afferma anzitutto che i peccati sono puniti dal suo giudizio, senza anteporre invece che sono perdonati dalla sua misericordia (cfr Agostino, De praedestinatione sanctorum 12, 24)! Sì, è proprio così. Dobbiamo anteporre la misericordia al giudizio, e in ogni caso il giudizio di Dio sarà sempre nella luce della sua misericordia. Attraversare la Porta Santa, dunque, ci faccia sentire partecipi di questo mistero di amore, di tenerezza. Abbandoniamo ogni forma di paura e di timore, perché non si addice a chi è amato; viviamo, piuttosto, la gioia dell’incontro con la grazia che tutto trasforma. Oggi, qui a Roma e in tutte le diocesi del mondo, varcando la Porta Santa vogliamo anche ricordare un’altra porta che, cinquant’anni fa, i Padri del Concilio Vaticano II spalancarono verso il mondo. Questa scadenza non può essere ricordata solo per la ricchezza dei documenti prodotti, che fino ai nostri giorni permettono di verificare il grande progresso compiuto nella fede. In primo luogo, però, il Concilio è stato un incontro. Un vero incontro tra la Chiesa e gli uomini del nostro tempo. Un incontro segnato dalla forza dello Spirito che spingeva la sua Chiesa ad uscire dalle secche che per molti anni l’avevano rinchiusa in sé stessa, per riprendere con entusiasmo il cammino missionario. Era la ripresa di un percorso per andare incontro ad ogni uomo là dove vive: nella sua città, nella sua casa, nel luogo di lavoro… dovunque c’è una persona, là la Chiesa è chiamata a raggiungerla per portare la gioia del Vangelo e portare la misericordia e il perdono di Dio. Una spinta missionaria, dunque, che dopo questi decenni riprendiamo con la stessa forza e lo stesso entusiasmo. Il Giubileo ci provoca a questa apertura e ci obbliga a non trascurare lo spirito emerso dal Vaticano II, quello del Samaritano, come ricordò il beato Paolo VI a conclusione del Concilio. Attraversare oggi la Porta Santa ci impegni a fare nostra la misericordia del buon samaritano. Omelia apertura anno santo della misericordia Piazza san Pietro 8 dicembre 2015
Tra poco avrò la gioia di aprire la Porta Santa della Misericordia. Compiamo questo gesto - come ho fatto a Bangui - tanto semplice quanto fortemente simbolico, alla luce della Parola di Dio che abbiamo ascoltato, e che pone in primo piano il primato della grazia. Ciò che ritorna più volte in queste Letture, infatti, rimanda a quell’espressione che l’angelo Gabriele rivolse a una giovane ragazza, sorpresa e turbata, indicando il mistero che l’avrebbe avvolta: «Rallegrati, piena di grazia» (Lc 1,28). La Vergine Maria è chiamata anzitutto a gioire per quanto il Signore ha compiuto in lei. La grazia di Dio l’ha avvolta, rendendola degna di diventare madre di Cristo. Quando Gabriele entra nella sua casa, anche il mistero più profondo, che va oltre ogni capacità della ragione, diventa per lei motivo di gioia, motivo di fede, motivo di abbandono alla parola che le viene rivelata. La pienezza della grazia è in grado di trasformare il cuore, e lo rende capace di compiere un atto talmente grande da cambiare la storia dell’umanità. La festa dell’Immacolata Concezione esprime la grandezza dell’amore di Dio. Egli non solo è Colui che perdona il peccato, ma in Maria giunge fino a prevenire la colpa originaria, che ogni uomo porta con sé entrando in questo mondo. E’ l’amore di Dio che previene, che anticipa e che salva. L’inizio della storia di peccato nel giardino dell’Eden si risolve nel progetto di un amore che salva. Le parole della Genesi riportano all’esperienza quotidiana che scopriamo nella nostra esistenza personale. C’è sempre la tentazione della disobbedienza, che si esprime nel voler progettare la nostra vita indipendentemente dalla volontà di Dio. E’ questa l’inimicizia che attenta continuamente la vita degli uomini per contrapporli al disegno di Dio. Eppure, anche la storia del peccato è comprensibile solo alla luce dell’amore che perdona. Il peccato si capisce soltanto sotto questa luce. Se tutto rimanesse relegato al peccato saremmo i più disperati tra le creature, mentre la promessa della vittoria dell’amore di Cristo rinchiude tutto nella misericordia del Padre. La parola di Dio che abbiamo ascoltato non lascia dubbi in proposito. La Vergine Immacolata è dinanzi a noi testimone privilegiata di questa promessa e del suo compimento. Questo Anno Straordinario è anch’esso dono di grazia. Entrare per quella Porta significa scoprire la profondità della misericordia del Padre che tutti accoglie e ad ognuno va incontro personalmente. E’ Lui che ci cerca! E’ Lui che ci viene incontro! Sarà un Anno in cui crescere nella convinzione della misericordia. Quanto torto
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Concilio e Giubileo
Due Porte aperte al mondo Domenica 29 novembre 2015 Papa Francesco in occasione della sua visita apostolica nella Repubblica Centrafricana è giunto alla Cattedrale di Bangui, per la Celebrazione Eucaristica con i sacerdoti, consacrati, catechisti e giovani e l’apertura della prima Porta Santa dell’Anno della Misericordia, che ufficialmente è iniziato l’8 dicembre.
da Roma
ORAZIO LA ROCCA GIORNALISTA LA REPUBBLICA
“Quanto torto si fa a Dio e alla sua grazia quando si afferma che i peccati sono puniti dal suo giudizio, senza anteporre invece che sono perdonati dalla sua misericordia”. Citando S. Agostino, ma anche “la misericordia del Buon Samaritano”, papa Francesco apre solennemente il Giubileo – il primo della storia ad essere inaugurato con la presenza di due papi, l'emerito Benedetto XVI e il pontefice Bergoglio - ricordando, con voce ferma, lenta e chiara, che è sbagliato temere che il peccatore va incontro solo alla punizione secondo i canoni prescritti dalla legge. Se il peccatore si pente sinceramente e si rivolge a Dio troverà sempre – afferma il pontefice nel momento più alto della celebrazione dell'apertura della Porta Santa della basilica di San Pietro – il cuore misericordioso del Signore che, come un padre, non si stancherà mai di attendere l'arrivo dei suoi figli, anche quelli che sbagliano, che si allontanano o vivono momentaneamente nel peccato. Anzi – puntualizza Papa Francesco nell'omelia – Dio non si limita solo ad attendere l'arrivo dei suoi figli, ma va loro incontro, li va a cercare per dare loro sollievo, speranza, perdono. “Basta cercarlo Dio – in-
siste Francesco – la sua misericordia e il suo perdono non si faranno mai attendere”. E' tutta in queste brevi frasi il vero significato del Giubileo della Misericordia decollato nella solennita’dell’Immacolata, 8 dicembre 2015. Il delicato tema della misericordia divina, superiore a qualsiasi forma di giustizia terrena, non può non riguardare quanti, anche nella Chiesa, svolgono il delicato esercizio della gestione delle norme giudiziarie e canoniche. Un tema che non a caso è stato al centro del dibattito sinodale sulla famiglia dello scorso ottobre quando sotto gli occhi attenti di papa Bergoglio – si sono scontrate le due “anime” che hanno dato vita e forma alle assisi sinodali, i “rigoristi”, fautori dell'applicazione delle norme canoniche in materia di pastorale familiare strettamente legata alla tradizione; e i “misericordiosi”, vicini alle posizioni pastorali di papa Bergoglio, più propensi ad andare incontro a chi 58
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che è il sabato (la legge) che deve servire l'uomo, e non viceversa -, verità fatta propria dai Padri della Chiesa come sant’Agostino e che ora papa Francesco vuole che faccia parte anche del bagaglio culturale dei pastori di oggi. Altro momento forte dell'omelia giubilare, il richiamo ai valori del Concilio Vaticano II che proprio l'8 dicembre di 50 anni fa concludeva i lavori dopo aver prodotto una lunga serie di documenti che avrebbero riavvicinato la Chiesa al mondo contemporaneo, aprendola ai bisogni della gente comune, credenti, non credenti, diversamente credenti. “Il Giubileo ci provoca a questa apertura e ci obbliga – è la conclusione di Bergoglio – a non trascurare lo spirito emerso dal Vaticano II, quello del Samaritano, come ricordò il beato Paolo VI a conclusione del Concilio. Attraversare oggi la Porta Santa ci impegni a fare nostra la misericordia del buon samaritano”.
chiede di essere aiutato, specialmente quanti vivono lontani dai sacramenti come i divorziati risposati o i conviventi. Due “partiti” che si sono scontrati senza esclusioni di colpi, ma che alla fine hanno raggiunto un delicato compromesso con la concessione – sancita da un voto a stretta maggioranza - ai vescovi locali di decidere, caso per caso, l'ammissione ai sacramenti di quanti, per le ragioni più varie (crisi coniugale, abbandoni, tradimenti, scelte personali...), sono tenuti ai margini della Chiesa. Con l'apertura della Porta Santa papa Francesco è tornato indirettamente sull'argomento, pronunziando un fermo – benchè elegante – altolà a rigoristi, benpensanti, difensori della legge, ricordando che la Misericordia di Dio e la grazia divina anticipano qualsiasi giudizio legislativo e qualsiasi norma canonica. Una verità che affonda le radici nel Vangelo di Cristo – nel perdono del Golgota, ma anche là dove Gesù ricorda
Europa 2015 Sguardi sul mondo
Terrore a Parigi da PARIGI
JEAN-MARIE VILLOT NOSTRO CORRISPONDENTE
Francia sotto choc: 130 morti, più di 250 feriti: è il bilancio di una notte di attacchi terroristi a Parigi rivendicati dall'Is. Gli attentati si sono verificati in più luoghi venerdì 13 novembre. Il presidente francese Hollande ha dichiarato lo stato d'emergenza su tutto il territorio. Ripristinati i controlli alle frontiere. “La Francia – ha detto il capo dell’Eliseo - deve essere forte. I terroristi vogliono farci paura ma non ci riusciranno”. Chiusi fino a lunedì 16 novembre scuole e musei. Alle 21.20 la prima esplosione, seguita da una seconda ed una terza ad opera di kamikaze, è fuori dallo Stadio di Francia, a Saint Denis a nord della capitale mentre si giocava l’amichevole Francia e Germania. Gli spettatori non si accorgevano di nulla, il presidente Hollande che assisteva alla partita veniva immediatamente prelevato, la paura e il panico arrivavano alla fine del match quando veniva annunciato cosa era successo e dagli spalti tutti si riversavano in campo. Fuori Parigi è come Beirut, come Tripoli o come Bagdad. La Francia è sotto un attacco senza precedenti. I colpi di kalashnikov colpiscono i cosiddetti "soft target", gli obbiettivi facili, non protetti bar o ristoranti come "Le Petit Cambodge" e "La Belle Equipe", al "Bataclan" storica sala da ballo, dove 1.500 persone stanno seguendo un concerto, è una carneficina: quattro terroristi hanno massacrato oltre 80 persone. Dopo l’incursione delle teste di cuoio che uccidono un attentatore, altri tre azionano una cintura esplosiva. La gente fugge grida alcuni vengono travolti, c'è chi trascina i feriti nel tentativo di metterli al sicuro. "E’ un orrore abbiamo mobilitato tutte le forze possibili”, E' stato "un atto di guerra" dice il presidente Hollande in conferenza stampa. Parla di “una Francia determi-
nata, unita che non si lascerà impressionare e che condurrà una battaglia spietata contro i terroristi”. Otto gli attentatori uccisi, 7 sono kamikaze, altri sono tuttora in fuga. I testimoni parlano di uomini addestrati e coordinati che sparavano ovunque, urlavano "Allah Akhbar", "Allah è grande", riferiscono. In Francia lo stato di allerta è “Alfa Rouge” il massimo possibile, i militari sono arrivati in una capitale attonita e in lutto. Intanto su internet i siti di matrice jihadista inneggiano al terrore: "E’ l’11 settembre della Francia” si legge, mentre rilanciano la strategia della paura: “Prossimi obiettivi saranno - scrivono - Roma, Londra e Washington”. Vicinanza, commozione, solidarietà Da tutto il mondo parole di condanna per gli attentati. Vicinanza e commozione sono state espresse per tutto il popolo francese dai grandi della Terra, mentre la solidarietà dei cittadini vola via twitter. “Un attacco non solo al popolo francese, ma a tutta l’umanità e ai valori che condividiamo”. Queste le parole di condanna del presidente degli Stati Uniti Barack Obama : “Ancora una volta siamo di fronte a un vergognoso tentativo di terrorizzare civili innocenti”, ha detto, e poi, in un messaggio congiunto con il suo omologo francese Hollande: “Continueremo a lavorare insieme per sconfiggere il flagello del terrorismo”. 60
gio in Europa e ha condannato i terroristi per questo “crimine contro l’umanità”, parlando “in nome del popolo iraniano, che a sua volta è stato vittima di terrorismo”. Di “assassini disumani” ha parlato il presidente russo Vladimir Putin in un telegramma ad Hollande in cui esprime anche le sue “profonde condoglianze” e un invito all’intera comunità internazionale perché unisca i propri sforzi contro il terrorismo. Anche dal governo cinese arriva l’offerta di collaborazione alla Francia nella lotta al terrorismo e la ferma condanna del presidente Xi Jinping a quelli che definisce “atti barbarici”. Dal Medio Oriente giunge la condanna di Hamas e il cordoglio dello Stato di Israele che si dice “sconvolto” per quanto avvenuto: “Combatteremo il terrorismo al fianco della Francia”, ha aggiunto il premier Netanjahu. E anche la solidarietà della gente comune corre sui social: dopo l’hashtag Porte Ouverte con cui molti cittadini hanno offerto ospitalità per la notte a chiunque ne avesse bisogno, l’hashtag Recherche raccoglie le ricerche dei parenti che ancora non hanno avuto una risposta; facebook, invece, ha attivato il pulsante di emergenza “Sono sicuro” per dare notizie sulla propria sicurezza.
Solidarietà con il popolo francese, offerte di aiuto e preghiere per le vittime arrivano dai grandi della Terra via twitter: “Sono scioccato, i nostri pensieri sono con il popolo francese”, scrive il premier britannico David Cameron, mentre la cancelliera tedesca Angela Merkel si stringe a tutti gli abitanti di Parigi. “La mia piena solidarietà e simpatia al popolo e alle autorità francesi”, è il tweet del presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, mentre una condanna dura per tali “atti barbarici e vigliacchi” arriva dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, il cui segretario generale Ban Ki-moon ha espresso “fiducia alle autorità francesi che riusciranno a portare i responsabili davanti alla giustizia”. Vicinanza e preghiere per le vittime arrivano anche dall’India, mentre in un messaggio a Hollande, il presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella afferma di seguire gli sviluppi “con apprensione e dolore”. Dall’Italia manifestazioni di solidarietà anche dal ministro degli Esteri Paolo Gentiloni e dal presidente del Consiglio Matteo Renzi, che oggi, in via eccezionale, presiederà il Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica convocato dal ministro dell’Interno Angelino Alfano. Proprio a Roma, prima che a Parigi, sarebbe dovuto arrivare a giorni il presidente iraniano Hassan Rohani che ha annullato il suo viag-
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troppo Parigi ha i suoi lati oscuri e soprattutto ha una popolazione con talmente tante etnie che purtroppo queste non si integrano facilmente tra di loro. Ed è visibile. Per chi vive a Parigi, ogni giorno questo è visibile. Un turista che viene per cinque sei giorni vede solo il lato bello di Parigi. Ma purtroppo non è così: ci sono piccoli episodi quotidiani di cui solo chi vive qui si può rendere conto. Forse, questo spiega anche l’assenza di stupore da parte del popolo francese, anche perché queste non sono persone straniere, ma hanno la nazionalità francese. I sopravvissuti del Bataclan hanno detto che loro non hanno sentito differenza di accento. E questo vuol dire che queste persone sono nate in Francia, che sono francesi. Quindi, è come se il male fosse “all’interno”… Si è deciso di bloccare le frontiere, ma il problema è all’interno: si tratta di ragazzi che sono entrati lì come qualsiasi altro giovane italiano o francese, con la differenza che avevano un kalashnikov in mano. Come si può prevedere una cosa del genere? Come si fa ad avere un controllo assiduo, quotidiano, se questa gente fa parte della popolazione francese?
La testimonianza di due giovani italiani Choc, angoscia e dolore. Sono questi i sentimenti con cui la popolazione francese, e non solo, ripercorre i drammatici momenti degli attacchi a Parigi. Amedeo Lomonaco ha raccolto la testimonianza di una ragazza italiana, Chiara Capone, che si è trasferita nella capitale francese per motivi di studio: R. – Proprio come qualsiasi altro italiano che è venuto qui, effettivamente ci si rende conto della paura che hanno queste persone solamente a uscire di casa, di prendere una metropolitana, andare al cinema, entrare in un bar per prendere qualcosa da bere con gli amici. I giornali francesi parlano di “absence d’étonnement” che in italiano significa “assenza di stupore”. E’ come se il popolo francese fosse rassegnato, come se questa fosse la sconfitta più grande che si possa avere. È come se non ci si stupisse più che qualcosa possa accadere all’improvviso, che si possa perdere qualcuno di caro all’improvviso. E io, che sono venuta a studiare qui – e avrei voluto vivere un’esperienza un po’ più serena – non mi aspettavo un clima così pesante.
Io sento anche la tua voce molto commossa: come pensi che sarà adesso il tuo futuro a Parigi? Probabilmente, a differenza di due mesi fa, sto avendo una visione più realista delle cose. Ho la consapevolezza che sto vivendo in una città che, pur-
Guardando oggi le strade del quartiere in cui vivi, che situazione puoi percepire anche semplicemente aprendo la finestra? C’è un silenzio tombale. Non si è mai sentita una Parigi così silenziosa … E’ una cosa incredibile! Ogni sabato mattina, qui c’è sempre tanto movimento. I bambini non vanno a scuola e sono accompagnati dai genitori nei parchi: proprio vicino casa mia ce n’è uno, il parco di Montmartre. Non si sente assolutamente niente: sono tutti barricati in casa e tutti hanno paura e terrore soltanto di uscire. Stando a Parigi, hai percepito una sorta di distacco da parte dei parigini nei confronti della comunità islamica, che poi è molto presente in Francia, oppure c’è un’integrazione molto forte? Sì, io mi sto rendendo conto sempre di più che pur-
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Papa Francesco “Vicino al dolore della Francia, tutto questo non è umano” La condanna totale della “violenza che non può risolvere nulla” e una preghiera di “conforto” per chi è stato colpito da così “orribili attacchi”, rivolti alla Francia e “alla pace di tutta l’umanità”. Sono alcune delle parole con le quali Papa Francesco ha espresso in un comunicato ufficiale e poi in telegramma a firma del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, il suo profondo sgomento per la terribile strage che venerdì sera 13 novembre ha insanguinato Parigi – sei attacchi armati in simultanea, rivendicati dall’Is, che hanno fatto, bilancio provvisorio, 128 morti e oltre 250 feriti, dei quali un centinaio in gravi condizioni. Il Papa ha voluto commentare quanto accaduto anche in breve colloquio telefonico con il direttore di TV2000, Lucio Brunelli. Se fosse possibile personificare il dolore più incredulo, basterebbe ascoltare le parole del Papa e ancor più quello che, tra una parola e l’altra, dicono i suoi silenzi: “Io sono commosso ed addolorato e non capisco ... ma queste cose sono difficili da capire, fatte da esseri umani …”. “Questo è un pezzo …” Lo sgomento di Francesco è il sentimento del mondo civile, che ha dovuto assistere alla mattanza di Parigi. Una città trasformata in un arena senza scampo, gente inerme che passa dalla vita alla morte freddamente crivellata come in uno di quei videogame
barbari, dove si gode nel fare a pezzi chiunque si pari davanti al mirino. Pezzi come la terza guerra mondiale che da tanto tempo si combatte, quella che il Papa va ricordando a tutti:“Eh sì, questo è un pezzo. Ma non ci sono giustificazioni per queste cose (...) Questo non è umano.... Attacco alla pace dell’ umanità Francesco aveva già esecrato di primo mattino l’orrore scatenato nella capitale francese. Lo aveva fatto attraverso le parole di padre Federico Lombardi. “Siamo sconvolti da questa nuova manifestazione di folle violenza terroristica e di odio che condanniamo nel modo più radicale insieme al Papa e a tutte le persone che amano la pace”, aveva affermato il direttore della Sala Stampa Vaticana. “Preghiamo per le vittime e i feriti e per l'intero popolo
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francese. Si tratta di un attacco alla pace di tutta l'umanità che richiede una reazione decisa e solidale da parte di tutti noi per contrastare il dilagare dell'odio omicida in tutte le sue forme”. “Voglio tanto bene” alla Francia Nelle parole del telegramma giunto più tardi e indirizzato all’arcivescovo di Parigi, il cardinale André Vingt–Trois, c’è ovviamente spazio per l’invocazione a “Dio, Padre di misericordia”, cui Francesco affida le vittime e le loro famiglie, come ripete più volte nella conversazione telefonica: “Per questo sono commosso e addolorato e prego. Sono tanto vicino al popolo francese, tanto amato, sono vicino ai familiari delle vittime e prego per tutti loro (…) sono vicino a tutti quelli che soffrono e a tutta la Francia, cui voglio tanto bene”.
TERRORISMO
Papa Francesco La carta segreta da Roma
ROMANO BARTOLONI GIORNALISTA
Come dire basta dopo Parigi! Le stragi degli innocenti ormai violentano mezzo mondo, dall’Europa, sempre più nel mirino, all’Egitto, dallo Yemen alla Thailandia fino al principale teatro dei massacri, la Siria. La reazione è senza una bussola. L’Occidente, ma non solo, è spaccato in due. Tra chi predica l’attacco militare fino in fondo, e chi confida nelle ultime risorse della via diplomatica. Papa Francesco ha detto chiaro e tondo che è scoppiata la terza guerra mondiale. Proprio lui potrebbe essere l’arma segreta vincente, se incontrasse o andasse a trovare in pellegrinaggio gli ayatollah più ascoltati e disposti, e li invitasse a promuovere una campagna di mobilitazione generale per frenare la corsa del terrorismo. La storia è dalla sua parte. Il predecessore, Giovanni Paolo II è riuscito nella missione impossibile di essere protagonista determinante nella caduta del muro delle storiche divisioni. Bergoglio è rispettato e stimato in ogni parte del mondo e a prescindere dalle appartenenze religiose. L’Islam moderato, che conta la stragrande maggioranza dei popoli mussulmani, può essere risolutivo per salvarci dalle angosce del futuro, purchè si decida a scendere in campo, denunciando, smascherando, isolando, rinnegando e schiacciando la serpe che gli cresce in seno. Se alzasse, anche in ordine sparso, forte e chiara la voce di condanna della violenza e delle eresie, la causa del terrorismo potrebbe finire in briciole, svuotandone le motivazioni e ridimensionando la carica di attrazione anche tra i giovani europei. Altrimenti il perdurare dei silenzi o dei mezzi toni, non farebbe che alimentare i sospetti di omertà e compiacenze.
troppo, non offre soltanto meraviglie, ma anche questo. Probabilmente, c’è una presa di coscienza che Parigi, oggi, è una città pericolosa. La Francia sta dunque vivendo con angoscia queste drammatiche ore. E’ quanto sottolinea, un giovane italiano, Paolo Gandolfi, che vive in una cittadina a nord di Parigi: Lo choc purtroppo è fortissimo per tutti noi che viviamo questa situazione terribile. E l’angoscia è quella di vedere le nostre vite costantemente in pericolo dopo questa barbarie. Qui, c’è pochissima gente in giro e c’è veramente un misto di paura e di profonda angoscia … Io vivo a Parigi da un po’ di anni, ho tanti amici che erano in centro e si sono trovati in una situazione di angoscia, nella situazione di dover tornare a casa dopo questi terribili attentati. E quindi, si respira veramente un’ansia palpabile da parte di tutta la cittadinanza. Le preoccupazioni ci sono sempre state, soprattutto dopo quello che era già successo a gennaio, con l’altro terribile attentato a Charlie Hebdo che aveva colpito i giornalisti e altri cittadini. Sappiamo, per esempio, che il presidente Hollande aveva detto che erano riusciti a evitare altri attentati nei mesi scorsi. E quindi si vive – si convive – sempre con l’angoscia terribile che possa succedere qualcosa di grave, come purtroppo quello che è avvenuto ieri. Parigi adesso è veramente una città deserta, silenziosa, e anche attonita dopo quello che è successo. Dopo quello che è successo può cambiare, e come cambierà eventualmente, il rapporto della popolazione francese con la forte e numerosa comunità islamica presente nel Paese? Noi viviamo ogni giorno vicino a popolazione di qualunque tipo: islamici; cristiani, cattolici, e di qualunque altra religione, o anche con non credenti. Quindi, il fatto è che non bisogna lasciarsi prendere dal panico e bisogna convivere in pace quotidianamente, cercando sempre il dialogo tra le religioni e tra tutti. Qui, la presenza islamica è molto forte, ma per lo più si tratta di persone integrate, che vivono qui in maniera civile. Purtroppo, gli estremisti ci sono e vanno fermati in ogni modo. Può questo episodio così drammatico cambiare anche la percezione francese sulla politica estera del Paese? Certamente, il fatto che la Francia sia in prima linea, sempre in conflitti molto pericolosi e molto gravi, amplifica e complica le cose. La Francia è in prima linea in conflitti e in terre come in Siria in cui inter64
viene militarmente: questo può avere delle conseguenze. La politica estera è questa e quindi penso che abbia un peso rilevante. Bisognerebbe cercare di porre fine alle armi e cercare di far vincere la convivenza civile. SILVESTRI: strategia terrore è colpire la gente, difficile prevenire La strategia del terrore prende di mira ogni obiettivo, ora maggiormente quelli non protetti. E' quanto afferma Stefano Silvestri, presidente dell’Istituto Affari Internazionali, dopo gli attacchi a Parigi. Direi che il tentativo sia quello di una esportazione massiccia del terrore, quasi una strategia della tensione, attraverso queste cellule molteplici, che sono presenti nella società, e che attaccano indiscriminatamente. La caratteristica di questa nuova serie di attacchi di terrore è proprio questa: l’attacco indiscriminato per fare molti morti, ma non contro obiettivi politicamente o ideologicamente significativi: contro la società. Questa è una sorta di dichiarazione di guerra. Bisognerà vedere adesso come combattere questa guerra. Ci saranno molti modi, ma credo che tutto dovrà passare anche attraverso formule di solidarietà degli europei nei confronti delle vittime di tutto ciò.
lice di offrire la mia vita in nome del Signore”. Così ha parlato venerdì mattina 13 novembre a Roma, nel palazzo lateranense, l’eroico padre Jacques Mourad, che ha preso parte all’incontro dal titolo “I cristiani in Medio Oriente: quale futuro?”, promosso dal Centro pastorale per la Cooperazione missionaria tra le Chiese. Padre Mourad ha raccontato la sua prigionia in Siria nelle mani dell’Is, durata circa cinque mesi e terminata lo scorso settembre. Tra i relatori, anche il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, ha ribadito così le ragioni per cui una presenza cristiana in Medio Oriente è imprescindibile: Perché si perderebbe proprio la catena che ci collega con tutta la storia della fede cristiana, dai Patriarchi in poi. E quindi loro, lì, sono la presenza vivente di questa fede. Quindi, sì, possiamo sempre avere delle notizie, conoscere, ma se non abbiamo i cristiani … Per questo il Papa dice: un Medio Oriente senza cristiani non è più il Medio Oriente, è un’altra cosa.
Dopo gli attentati alla redazione di Charlie Hebdo e quelli che sono seguiti nei giorni successivi, i terroristi riescono nuovamente a colpire il centro di una capitale importante europea come Parigi. Cos’è mancato nel controllo, nella sicurezza? Questi sono attacchi molto difficili da bloccare, perché non mirano obiettivi sensibili, ma soltanto la popolazione normale, civile, dappertutto. Praticamente bisognerebbe sorvegliare ogni portone, ogni palazzo e diventa impossibile. Diciamo che l’unica speranza di bloccare queste cose sta nel prevenirle, riuscendo ad individuare la cellula, quello che fornisce le armi e così via, prima che l’evento accada. In questo caso evidentemente non ci si è riusciti, vista questa operazione. In altri casi, fortunatamente sì. Purtroppo, questo è un tipo di attacco molto difficile da bloccare.
I tragici fatti di Parigi testimoniano che la guerra non è poi così lontana, purtroppo. Allora, che cosa fare? Di fronte a questi abominevoli fatti, come quello di Parigi, a questa violenza insensata, inumana, oltre al ripudio di tutta la società internazionale, si dovrebbero anche studiare le misure per poter evitare queste cose. Da parte nostra, da parte dei cristiani, diciamo sempre: la violenza non può essere giustificata da nessun argomento e meno ancora da un’argomentazione religiosa. C’è un modo, secondo lei, attraverso il dialogo, per arrivare alla pace? Io credo che si stia facendo e che dobbiamo anche rendere grazie che molti dei loro dirigenti abbiano iniziato un lavoro di educazione e di annuncio della vera interpretazione della religione musulmana, secondo i dettami della fraternità, della convivenza e della pace nel mondo.
CARD. SANDRI: la violenza non ha mai giustificazione religiosa “Ho considerato la mia prigionia una sorta di ritiro spirituale, la preghiera mi ha dato conforto nei momenti più difficili. Ho avuto paura, ma sarei stato fe-
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Passiamo all’altra riva Il viaggio apostolico in terra d’Africa PAPA FRANCESCO Nei giorni scorsi ho compiuto il mio primo Viaggio apostolico in Africa. È bella l’Africa! Rendo grazie al Signore per questo suo grande dono, che mi ha permesso di visitare tre Paesi: dapprima il Kenia, poi l’Uganda e infine la Repubblica Centrafricana. Esprimo nuovamente la mia riconoscenza alle Autorità civili e ai Vescovi di queste Nazioni per avermi accolto, e ringrazio tutti coloro che in tanti modi hanno collaborato. Grazie di cuore! Kenia: la sfida globale della nostra epoca Il Kenia è un Paese che rappresenta bene la sfida globale della nostra epoca: tutelare il creato riformando il modello di sviluppo perché sia equo, inclusivo e sostenibile. Tutto questo trova riscontro in Nairobi, la più grande città dell’Africa orientale, dove convivono ricchezza e miseria: ma questo è uno scandalo! Non solo in Africa: anche qui, dappertutto. La convivenza tra ricchezza e miseria è uno scandalo, è una vergogna per l’umanità. A Nairobi ha sede proprio l’Ufficio delle Nazioni Unite per l’Ambiente, che ho visitato. In Kenia ho incontrato le Autorità e i Diplomatici, e anche gli abitanti di un quartiere popolare; ho incontrato i leader delle diverse confessioni cristiane e delle altre religioni, i sacerdoti e i consacrati, e ho incon-
trato i giovani, tanti giovani! In ogni occasione ho incoraggiato a fare tesoro della grande ricchezza di quel Paese: ricchezza naturale e spirituale, costituita dalle risorse della terra, dalle nuove generazioni e dai valori che formano la saggezza del popolo. In questo contesto così drammaticamente attuale ho avuto la gioia di portare la parola di speranza di Gesù: “Siate saldi nella fede, non abbiate paura”. Questo era il motto della visita. Una parola che viene vissuta ogni giorno da tante persone umili e semplici, con nobile dignità; una parola testimoniata in modo tragico ed eroico dai giovani dell’Università di Garissa, uccisi il 2 aprile scorso perché cristiani. Il loro sangue è seme di pace e di fraternità per il Kenia, per l’Africa e per il mondo intero. Uganda: una multiforme testimonianza Poi, in Uganda la mia visita è avvenuta nel segno dei Martiri di quel Paese, a 50 anni dalla loro storica canonizzazione, da parte del beato Paolo VI. Per questo il motto era: «Sarete miei testimoni» (At 1,8). Un motto che presuppone le parole immediatamente precedenti: «Avrete forza dallo Spirito Santo», perché è lo Spirito che anima il cuore e le mani dei discepoli missionari. E tutta la visita in Uganda si è svolta nel fervore della testimonianza animata dallo Spirito Santo. Testimonianza in senso esplicito è il servizio dei catechisti, che 66
trafricana sono minorenni, hanno meno di 18 anni: una promessa per andare avanti!
ho ringraziato e incoraggiato per il loro impegno, che spesso coinvolge anche le loro famiglie. Testimonianza è quella della carità, che ho toccato con mano nella Casa di Nalukolongo, ma che vede impegnate tante comunità e associazioni nel servizio ai più poveri, ai disabili, ai malati. Testimonianza è quella dei giovani che, malgrado le difficoltà, custodiscono il dono della speranza e cercano di vivere secondo il Vangelo e non secondo il mondo, andando contro-corrente. Testimoni sono i sacerdoti, i consacrati e le consacrate che rinnovano giorno per giorno il loro “sì” totale a Cristo e si dedicano con gioia al servizio del popolo santo di Dio. E c’è un altro gruppo di testimoni, ma ne parlerò dopo. Tutta questa multiforme testimonianza, animata dal medesimo Spirito Santo, è lievito per l’intera società, come dimostra l’opera efficace compiuta in Uganda nella lotta all’AIDS e nell’accoglienza dei rifugiati.
Una parola sui missionari Vorrei dire una parola sui missionari. Uomini e donne che hanno lasciato la patria, tutto… Da giovani se ne sono andati là, conducendo una vita di tanto tanto lavoro, alle volte dormendo sulla terra. A un certo momento ho trovato a Bangui una suora, era italiana. Si vedeva che era anziana: “Quanti anni ha?”, ho chiesto. “81” – “Ma, non tanto, due più di me”. - Questa suora era là da quando aveva 23-24 anni: tutta la vita! E come lei, tante. Era con una bambina. E la bambina, in italiano, le diceva: “Nonna”. E la suora mi ha detto: “Ma io, proprio non sono di qua, del Paese vicino, del Congo; ma sono venuta in canoa, con questa bambina”. Così sono i missionari: coraggiosi. “E cosa fa lei, suora?” – “Ma, io sono infermiera e poi ho studiato un po’ qui e sono diventata ostetrica e ho fatto nascere 3.280 bambini”. Così mi ha detto. Tutta una vita per la vita, per la vita degli altri. E come questa suora, ce ne sono tante, tante: tante suore, tanti preti, tanti religiosi che bruciano la vita per annunciare Gesù Cristo. E’ bello, vedere questo. È bello.
Repubblica Centroafricana: lascare la guerra, le divisioni, la miseria La terza tappa del viaggio è stata nella Repubblica Centrafricana, nel cuore geografico del continente: proprio, è il cuore dell’Africa. Questa visita era in realtà la prima nella mia intenzione, perché quel Paese sta cercando di uscire da un periodo molto difficile, di conflitti violenti e tanta sofferenza nella popolazione. Per questo ho voluto aprire proprio là, a Bangui, con una settimana di anticipo, la prima Porta Santa del Giubileo della Misericordia, come segno di fede e di speranza per quel popolo, e simbolicamente per tutte le popolazioni africane le più bisognose di riscatto e di conforto. L’invito di Gesù ai discepoli: «Passiamo all’altra riva» (Lc 8,22), era il motto per il Centrafrica. “Passare all’altra riva”, in senso civile, significa lasciare alle spalle la guerra, le divisioni, la miseria, e scegliere la pace, la riconciliazione, lo sviluppo. Ma questo presuppone un “passaggio” che avviene nelle coscienze, negli atteggiamenti e nelle intenzioni delle persone. E a questo livello è decisivo l’apporto delle comunità religiose. Perciò ho incontrato le Comunità Evangeliche e quella musulmana, condividendo la preghiera e l’impegno per la pace. Con i sacerdoti e i consacrati, ma anche con i giovani, abbiamo condiviso la gioia di sentire che il Signore risorto è con noi sulla barca, ed è Lui che la guida all’altra riva. E infine nell’ultima Messa, allo stadio di Bangui, nella festa dell’apostolo Andrea, abbiamo rinnovato l’impegno a seguire Gesù, nostra speranza, nostra pace, Volto della divina Misericordia. Quell’ultima Messa è stata meravigliosa: era piena di giovani, uno stadio di giovani! Ma più della metà della popolazione della Repubblica Cen-
Una parola sui giovani Io vorrei dire una parola ai giovani. Ma, ce ne sono pochi, perché la natalità è un lusso, sembra, in Europa: natalità zero, natalità 1%. Ma mi rivolgo ai giovani: pensate cosa fate della vostra vita. Pensate a questa suora e a tante come lei, che hanno dato la vita e tante sono morte, là. La missionarietà, non è fare proselitismo: mi diceva questa suora che le donne mussulmane vanno da loro perché sanno che le suore sono infermiere brave che le curano bene, e non fanno la catechesi per convertirle! Rendono testimonianza; poi a chi vuole fanno la catechesi. Ma la testimonianza: questa è la grande missionarietà eroica della Chiesa. Annunciare Gesù Cristo con la propria vita! Io mi rivolgo ai giovani: pensa a cosa vuoi fare tu della tua vita. È il momento di pensare e chiedere al Signore che ti faccia sentire la sua volontà. Ma non escludere, per favore, questa possibilità di diventare missionario, per portare l’amore, l’umanità, la fede in altri Paesi. Non per fare proselitismo: no. Quello lo fanno quanti cercano un’altra cosa. La fede si predica prima con la testimonianza e poi con la parola. Lentamente. Lodiamo insieme il Signore per questo pellegrinaggio in terra d’Africa, e lasciamoci guidare dalle sue parolechiave: “Siate saldi nella fede, non abbiate paura”; “Sarete miei testimoni”; “Passiamo all’altra riva”. 2 dicembre 2015 UDIENZA GENERALE
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Il diritto alla religione in terra africana da Windhoek
JEAN-BAPTISTE SOUROU GIORNALISTA E SCRITTORE
Dopo Accra in Ghana e Città del Capo in Sudafrica, l'Associazione africana di studio e ricerca su diritto e religione (Aclars) ha tenuto la sua terza conferenza annuale a Windhoek in Namibia. Composta da ricercatori e studiosi di religione e giuristi africani, l'Aclars studia la relazione tra religione e Stato, religione e Diritto nei vari paesi africani, con l'intento di facilitare ove necessario il dialogo tra governanti e leaders religiosi, da una parte, e tra le religioni a livello locale e continentale, dall'altra. L'incontro annuale è una occasione per i partecipanti di studiare quegli aspetti problematici che non permettono ai cittadini di vivere pienamente il loro diritto di praticare una religione e di promuovere le misure pratiche che permetterebbero alle religioni di aiutare la promozione umana. Provenienti dal Benin, Botswana, Egitto, Etiopia, Ghana, Kenya, Malawi, Marocco, Nigeria, Ruanda, Sudafrica, Uganda, Zambia, Zimbabwe, Gran Bretagna e Stati Uniti d'America, la sessantina di studiosi hanno dibattuto quest'anno attorno a “Libertà religiosa e pluralismo religioso in Africa: prospettive e limitazioni”, La serata di apertura ha visto riuniti attorno allo stesso tavolo i leaders religiosi delle varie denominazioni della Namibia che dovevano rispondere dalla loro prospettiva alle stesse domande fatte da un moderatore. Essi
alla fine hanno apprezzato l'iniziativa, confessando che era la prima volta dopo tantissimi anni che era loro offerta la possibilità di radunarsi e di ascoltarsi mutuamente. E' stata una grande sorpresa per gli ospiti. «Diciamo che lavoriamo per il bene dell'uomo, dei nostri fratelli e sorelle, per il bene di questa Nazione, ma mai, abbiamo avuto il coraggio, anzi l'umiltà di radunarci e di ascoltarci come oggi» ha dichiarato uno dei leaders. La situazione che sta creando la setta islamica Boko Haram nel nord della Nigeria, in Camerun e in Ciad è stata dibattuta, cosi come la paura seminata nel corno dell'Africa da gruppi islamici. Il Segretario del gruppo di concertazione dei movimenti religiosi presso il ministero dell'Interno e della Pubblica Sicurezza in Benin, Michel Alokpo, ha dichiarato come il paese non sia così «al riparo dei gruppi islamici radicali», perché «qualche tempo fa, con il sostegno di un ministro al governo, ignaro delle loro vere intenzioni, alcuni gruppi di Imam provenienti da Paesi arabi sono entrati in Benin. Ma ben presto sono stati allontanati perché le loro prediche non erano per mantenere la pace e la coesione sociale. Da noi, prosegue, nella stessa famiglia, si possono trovare musulmani, cristiani, addetti della Religione Tradizionale Africana; persone di fede diverse si sposano tra di loro, da sempre. Le 68
tra lo Stato e questi gruppi permetterebbe di proteggere le frange deboli e fragili. Persone come queste hanno bisogno di più attenzione da parte dei pastori, è in sostanza quello che ha condiviso con i partecipanti il vescovo luterano e ministro per l'Eradicazione della Povertà e il Welfare in Namibia, Zephania Kameeta, quando ha raccontato la storia ben triste e dolorosa di una mamma, fedele nella sua parrocchia, che gli ha raccontato come era costretta tutte le mattine ad alzarsi prestissimo per trovare un lavoro per dare da mangiare ai suoi piccoli, che a loro volta badavano a sé stessi per la colazione e per andare a scuola. Lei rientrava quasi sempre quando questi erano già addormentati. Poi avendo dovuto affittare una capanna presso un signore vecchio e non avendo davvero niente da pagargli alla fine del mese, era costretta a lasciargli ogni volta la sua primogenita. “Il mio cuore si frantuma e mi sento persa, ogni volta che vedo mia figlia uscire dalla stanza di quel vecchio. Quando il vescovo le ha chiesto: «ma quando ci vedi, noi tuoi pastori parlare di povertà in Chiesa che pensi?», la signora lo ha fissato e gli ha detto: «prego per voi». «Perché?» le ha chiesto il vescovo. «Prego perché Dio abbia pietà di voi, perché veramente non sapete quello che predicate, ha risposto la signora.
prediche di queste persone non manterrebbero quel clima. Allora sono state allontanate». Secondo il Signor Alokpo, «alcuni di questi predicatori radicali si nascondo sotto l'abito di ONG o di benefattori, con progetti di sviluppo interessanti e atterrano con intenzioni poco raccomandabili». Rammenta anche il fatto che i Beninesi che si recano alla Mecca ogni anno incontrano tutte le tendenze islamiche, ma «tocca allo Stato vegliare sempre, affinché la pace e la sicurezza del paese non siano minacciate». Gli studiosi hanno anche sottolineato quanto sia necessario aiutare le popolazioni a discernere di fronte ai sedicenti profeti cristiani che creano però un sincretismo subdolo e nocivo. Solo un confronto serio e senza paura,
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5 1 20SIA Corea: I sogni delle famiglie A
separate diventino realtà
Si è conclusa, lunedì 26 ottobre, la riunione delle famiglie separate da più di sessant’anni nel Sud e nel Nord della Penisola coreana a causa della guerra fratricida coreana 1950- 1953. Circa 640 sudcoreani e 330 nordcoreani divisi in due gruppi si sono abbracciati ed hann pianto a lungo durante la riunione svoltasi alla famosa località turistica di Monte Geumgang nella Corea del Nord: il primo gruppo dal 20 al 22 e il secondo gruppo dal 24 al 26 ottobre. La maggior parte dei partecipanti a queste riunioni erano anziani. Avevano anche 80 e 90 anni. Oggi, il più anziano della Corea del Sud è di 98 anni di età; dalla Corea del Nord, 88 anni . Koo Sang-yeon, 98, dalla Corea del Sud ha portato le scarpe nuove per le sue due figlie, Song-ok, di 71anni, e Seon-ok, di anni 68, per mantenere le promesse fatte quando erano ancora bambine. Insieme hanno pianto a lungo nel corso del loro storico incontro. Lee Soon-kyu, 85, ha incontrato suo marito, Oh In-se, 83, della Coera del Nord per la prima volta dopo sei decenni. Lee Suk-ju, 98, ha dato il cappotto nero che indossava al suo figlio,70 di età che vive in Corea del Nord. Dong-wook. “Padre, ti prego di vivere fino a 130 anni” - gli ha setto a voce alta-. Vivrò fino a 100 anni", ha risposto Dong-wook, man mano che si avvicinava il momento di dire addio. Questa, è stata la ventesima edizione. Sin dal primo vertice intercoreano tenutosi nel 2000 , questa era la prima dopo il mese di febbraio 2014. Finora sono stati circa 19.800
i familiari di entrambi le parti che hanno potuto agli incontri. Ci sono oggi ancora più di 66.000 familiari sudcoreani separati dalla guerra coreana, che si è conclusa in una tregua, non con un trattato di pace, lasciando la Corea del Sud e del Nord “tecnicamente” in guerra permanente. Le loro riunioni hanno acquisito particolare urgenza in quanto gran parte dei familiari sopravvissuti hanno raggiunto la soglia degli 80 anni e oltre. Circa la metà dei circa 130,000 sudcoreani in lista d'attesa per le riunioni sono già morti. Occorre rendere questi eventi regolari e più frequenti. Tutti i media della Corea del Sud hanno dato ogni giorno un ampio spazio per riportare notizie sulla riunione. Anche la Chiesa, costantemente impegnata a rendere autenticamente più umana la vita del popolo coreano, ispirata ancor più in profondità dalle parole pronun70
ciate da Papa Francesco quando ha concluso la sua storica visita in Corea con queste parole : «Tutti i coreani sono fratelli e sorelle, membri di un’unica famiglia e di un unico popolo» (Omelia, Messa nella cattedrale Myeong-dong, 18 agosto 2014), appoggia ogni iniziativa per la riunificazione delle famiglie ancora separate. Il cardinale Andrea Yeom Soo-jung, arcivescovo di Seoul, all’omelia tenuta durante la santa messa celebrata il 6 gennaio scorso nella cattedrale Myeongdong per la riconciliazione del popolo coreano ha insistito sulla necessità di questa riunione, dicendo: «I familiari separati sono molto anziani e stanno morendo senza incontrare i loro familiari. Rendere possibile loro riunione senza nessuna condizione. E’ un dovere umano. La legge naturale è la volontà di Dio». THOMAS HANN
Coree: accuse reciproche fra Seoul e Pyongyang, salta l’incontro di pace L’incontro di pace fra le due Coree che doveva tenersi questa mattina nella Freedom House della capitale sudcoreana è saltato all'ultimo momento a causa di "posizioni inconciliabili" sulla composizione delle delegazioni che avrebbero dovuto discutere della ripresa dei contatti diretti fra i due governi. Oggi - riferisce l'agenzia AsiaNews - Pyongyang non ha risposto alla quotidiana telefonata sulla "linea rossa", l'ultimo contatto rimasto fra i due lati della penisola coreana. Entrambi gli esecutivi si accusano a vicenda per l'annullamento dell'incontro, che doveva discutere la riapertura del complesso industriale congiunto di Kaeseong e la ripresa degli incontri delle famiglie divise dalla Guerra di Corea. Secondo Seoul, il Nord non ha voluto inviare come capo
della sua delegazione il leader del Dipartimento del Fronte Unito del Partito dei Lavoratori (che ha il rango di ministro). Per questo Seoul ha proposto di far incontrare due vice ministri, ma Pyongyang ha definito l'idea “una provocazione” e ha annullato ogni contatto. Secondo alcuni analisti, il vero problema sta nel fatto che all'interno della delegazione nordcoreana originale non c'era alcun militare: se fosse stata confermata, avrebbe dimostrato un significativo alleggerimento del clima di tensione anche bellica fomentato nei mesi scorsi dal regime stalinista di Kim Jong-un. Questo avrebbe scatenato una lotta fra fazioni all'interno del Nord, che ha poi condotto a questa situazione. I rapporti intercoreani hanno vissuto momenti di altissima preoc-
cupazione lo scorso marzo, quando le esercitazioni militari congiunte tra Washington e Seoul (annunciate con un anno di anticipo) sono state definite da Pyongyang “una provocazione e una prova generale di attacco contro di noi”. Inoltre, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite aveva approvato all'unanimità - quindi anche con il voto della Cina - una serie di risoluzioni economiche per punire il terzo test nucleare condotto dal regime il 12 febbraio. Le risoluzioni e l'isolamento sempre più acuto in cui si trova la Corea del Nord hanno distrutto la sua già fragile economia. Senza rapporti bilaterali con Pechino e con Seoul, il regime rischia il crollo totale dato che non ha più richieste di esportazioni e non ha modo di importare nulla dall'estero. (R.P.)
A Cebu la fede dell’Asia Cattolica da Roma
GABRIELLA CERASO GIORNALISTA RADIO VATICANA
“Cristo in voi, speranza della gloria”. E’ tratto da una Lettera di S. Paolo ai Colossesi il tema del prossimo 51.mo Congresso Eucaristico Internazionale, che si svolgerà dal 24 al 31 gennaio del 2016 a Cebu nelle Filippine, come annunciato tre anni fa dal Papa emerito Benedetto XVI. Approfondire la devozione all’Eucaristia, rinvigorire l’impegno missionario, avviare le celebrazioni per il quinto centenario (1521-2021) dell’inizio dell’evangelizzazione delle Filippine, sono le motivazioni della scelta di Cebu. “L’evento di Cebu, insieme alle Giornate mondiali della gioventù, della famiglia, ecc… diventa una risorsa straordinaria per testimoniare, attraverso la sua celebrazione, che l’Eucaristia non è solo la fonte della vita della Chiesa ma anche il luogo della sua proiezione nel mondo”. Così padre Vittore Boccardi, del Comitato per i Congressi Eucaristici Internazionali inquadra il prossimo Congresso nelle Filippine, evento che, dice, può sembrare una “reliquia del passato” ma in realtà “ha camminato nella storia contribuendo a ridisegnare il volto della Chiesa uscita dal Vaticano II, riportandola alla sua sorgente eucaristica”. Sarà uno straordinario evento per tutto l’est asiatico racconta mons. Josè S. Palma, arcivescovo di Cebu, città ospitante. L’Asia uno dei grandi motori della crescita mondiale sul fronte religioso resta da evangelizzare; la Chiesa cattolica è una piccola minoranza, nonostante sia il continente in cui è nato, ha vissuto, è morto ed è risorto Gesù. Il 51.mo Congresso eucaristico, quindi, potrebbe diventare lo specchio della Chiesa asiatica, nel senso che vedrà come la Chiesa cattolica svolge il suo compito di evangelizzazione. Poi i primi numeri sull’evento: “Ci aspettiamo circa 20 cardinali, 50 vescovi, e tutti i vescovi filippini che verranno per la Plenaria della Conferenza episcopale si riuniranno a Cebu. Non ci sarà nessuna attività a Manila, si svolgerà tutto a Cebu. Al 21 ottobre 2015, abbiamo già 8. 345 pellegrini che si sono registrati, in rappresentanza di 57 nazioni; abbiamo anche 5 mila volontari e, finora, 600 famiglie ospitanti che accoglieranno i pellegrini”. L’arcivescovo esprime tutta la sua gratitudine per il sup-
porto e le preghiere che i fedeli stanno dedicando a questo evento e poi rivela i frutti che vorrebbe portasse: “Promuovere la consapevolezza del ruolo centrale che l’Eucarestia occupa nella vita e nella missione della Chiesa cattolica; aiutare a migliorare la nostra comprensione della Liturgia e suscitare attenzione sulla dimensione sociale dell’Eucarestia” Sarà il Legato Pontificio il card. Charles Maun Bo, a presiedere la Messa di apertura del Congresso domenica 24 gennaio a Cebu, poi una settimana densa di comunione e di solidarietà con la Chiesa locale, ha spiegato l’arcivescovo Piero Marini, presidente del Comitato per i Congressi Eucaristici Internazionali: “Per una settimana intera, migliaia di pellegrini provenienti da tutti i continenti, celebreranno l’Eucaristia, pregheranno insieme, si uniranno in processione, parteciperanno alle Catechesi generali ascolteranno decine e decine di testimonianze, si confronteranno su importanti temi religiosi e potranno vivere un’autentica solidarietà ecclesiale”. Tre i profili che rendono l’appuntamento rilevante ha sottolineato ancora mons Marini: quello geografico, che vede Cebu, nel cuore dell’Asia, facile da raggiungere anche per i cristiani di solito più lontani; quello storicomissionario, perché si parte dalle cattoliche Filippine, per continuare a diffondere un cristianesimo che oggi, in Asia è ancora «un piccolo resto»; infine quello legato alla moderna evangelizzazione dell’Asia che nelle Filippine, sfidando il sentire comune, mostra una religione innestata sulle culture e religioni tradizionali, e non estranea alla vita del continente. 72
Francesco: mai più guerra! 70 anni fa la resa del Giappone “Mai più la guerra”, è l’appello rilanciato stamani dal Papa al termine dell’udienza generale, ricordando la fine della Seconda Guerra mondiale con l’atto di resa del Giappone, firmato nella Baia di Tokyo il 2 settembre 1945. Il servizio di Roberta Gisotti: “Il mondo di oggi non abbia più a sperimentare gli orrori e le spaventose sofferenze di simili tragedie”. Francesco prende atto delle tante guerre che l’umanità ancora sperimenta e che rendono questo appello di dolorosa attualità: “Questo è anche il permanente anelito dei popoli, in particolare di quelli che sono vittime dei vari sanguinosi conflitti in corso. Le minoranze perseguitate, i cristiani perseguitati, la follia della distruzione, e poi quelli che fabbricano e trafficano le armi, armi insanguinate, arme bagnate del sangue di tanti innocenti. Quindi, il “grido accorato”: “Mai più la guerra!” Un tema tabù quello delle armi, strumento di morte in ogni guerra, come osserva don Renato Sacco, coordinatore nazionale di Pax Christi, Movimento cattolico internazionale per la pace: Bisogna riconoscere che Papa Francesco ci mette inquietudine, non ci lascia tranquilli… Ci ricorda in tutte le occasioni che ci sono tragedie, che la guerra poi si fa con le armi e che si è responsabili nel produrle. Se guardiamo a questo mondo – il Medio Oriente, l’Iraq, la Siria, il Nord Africa, l’Africa centrale, e potremmo andare avanti – ci rendiamo conto che le armi sono l’anima perversa che permette le guerre: queste ultime rappresentano poi le fabbriche dei profughi che scappano da noi. E quindi, il Papa sveglia le coscienze – dobbiamo ringraziarlo di questo – e ci chiede di continuare ad impegnarci di più su questo tema.
abbiamo le nostre responsabilità, assieme ad altri Paesi: i grandi interessi delle armi sono quelli che muovono l’economia e la geografia mondiale. Non ci sono i soldi per la vita, a volte per gli ospedali, per le scuole o per i lavoratori, mentre ci sono, in Italia e nel mondo, tanti ma tanti soldi per le armi... Il Papa ricorda le minoranze perseguitate: tra queste, i cristiani in tante parti del mondo in fuga dalle guerre, guerre che appunto permettiamo… Io sono stato come Pax Christi, e anche io personalmente, moltissime volte nel nord dell’Iraq, e in questi Paesi di cui si parla – Erbil, Mosul, Qaraqosh, Qaramless – da dove i cristiani fuggono. Conosco benissimo questi luoghi: per me, quella tragedia nel nord dell’Iraq ha il volto di tanti amici… Però, davvero, abbiamo guardato dall’altra parte, abbiamo ignorato per tanti anni. Poi, abbiamo venduto armi anche lì e oggi le minoranze cristiane, e anche gli yazidi, stanno vivendo un inferno sulla terra. Il non guardare, o l’abituarci a questo, credo sia una grande tragedia. Pensiamo anche a tutti i rapiti – uno per tutti padre Dall’Oglio – ma vorrei anche ricordare la situazione della Palestina, dei cristiani in Palestina, e non solo. In questi giorni, il progetto del Muro, che tocca la comunità di Cremisan, dovrebbe svegliare le nostre coscienze, quelle delle nostre parrocchie e di noi parroci, e portarci a dire: “Ma la nostra pastorale tiene conto di questa situazione? Le nostre catechesi – come fa Papa Francesco – tengono conto delle tragedie di questi nostri fratelli dimenticati, oppressi e vittime di guerre, di tragedie o di epurazione etnicoreligiosa?” Forse la risposta è "no", e Papa Francesco ci tira la "giacchetta" su questo.
In genere, si parla di "corsa" al riarmo e di "piccoli passi" sulla via del disarmo. A che punto siamo nell’agenda internazionale dei Paesi grandi produttori e anche dei Paesi acquirenti di armi? Forse, a parole, sembra che si facciano tante cose… I fatti, invece, sono che le armi sono un grande business! Pensiamo all’Italia: siamo grandi esportatori di armi e le vendiamo a Paesi in guerra. Le abbiamo vendute alla Siria, a Israele, all’Arabia Saudita che le usa per bombardare lo Yemen. E sappiamo come l’Arabia Saudita sia molto legata al sedicente Stato islamico… E quindi
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SAN FRANCESCO D’ASSISI Il cantico delle creature nella enciclica “Laudato si’” da Roma
RANIERO CANTALAMESSA PREDICATORE DELLA CASA PONTIFICIA
Dedichiamo un po’ di attenzione anche a Francesco d’Assisi e al suo cantico delle creature che Papa Francesco, con felicissima intuizione, ha scelto come cornice spirituale per la sua enciclica. Che cosa possiamo imparare da lui, noi uomini d’oggi? Francesco è la prova vivente dell’apporto che la fede in Dio può dare allo sforzo comune per la salvaguardia del creato. Il suo amore per le creature è una conseguenza diretta della sua fede nella paternità universale di Dio. Non ha ancora le ragioni pratiche che abbiamo noi oggi per preoccuparci del futuro del pianeta: inquinamento atmosferico, scarsità di acqua pulita... Il suo è un ecologismo puro dagli scopi utilitaristici, per quanto legittimi, che abbiamo noi oggi. Le parole di Gesù «Uno solo è il vostro Padre, quello celeste; voi siete tutti fratelli» (cfr. Mt 23, 8-9), gli bastano. Esse non sono per lui un principio astratto; è l’orizzonte costante dentro cui vive
e pensa. Forte di questa certezza, egli ha voluto mettere il mondo intero «in stato di fraternità e in stato di lode». Le fonti francescane ci riferiscono i sentimenti con cui Francesco si accinse a scrivere il suo cantico: «Voglio, a lode di Dio e a mia consolazione e per edificazione del prossimo, comporre una nuova Lauda del Signore per le sue creature. Ogni giorno usiamo delle creature e senza di loro non possiamo vivere, e in esse il genere umano molto offende il Creatore. E ogni giorno ci mostriamo ingrati per questo grande beneficio, e non ne diamo lode, come dovremmo, al nostro Creatore e datore di ogni bene». E postosi a sedere, si concentrò a riflettere, e poi disse: «Altissimo, onnipotente, bon Segnore...» (Leggenda Perugina, 43; «Fonti Francescane», 1592). Le parole del santo che definisce bello il sole, bello fratello fuoco, chiarite e belle le stelle, sono l’eco 74
di quel «E Dio vide che tutto era bello», del racconto della creazione. Il peccato di fondo contro il creato, che precede tutti gli altri, è di non ascoltare la sua voce, condannarlo irrimediabilmente, direbbe san Paolo, alla vanità, all’insignificanza (cfr. Rom 8, 18 s.). Lo stesso Apostolo parla di un peccato fondamentale che chiama empietà, o «soffocare la verità». Dice che esso è il peccato di chi «pur conoscendo Dio non gli rende gloria e non gli dice grazie» come si conviene a Dio. Questo non è dunque soltanto il peccato degli atei che negano l’esistenza di Dio; è anche il peccato di quei credenti dal cui cuore non è uscito mai un entusiastico «Gloria a Dio nell’alto dei cieli», né un commosso «Grazie a te, Signore». La Chiesa ci mette sulle labbra le parole per farlo quando, nel Gloria della Messa, ci fa dire: «Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo, ti glorifichiamo, ti rendiamo grazie
«Gloria a Dio nell’alto dei cieli!». Francesco ci addita la strada per un cambiamento radicale nel nostro rapporto con il creato: essa consiste nel sostituire al possesso la contemplazione. Egli ha scoperto un modo diverso di godere delle cose che è quello di contemplarle, anziché possederle. Può gioire di tutte le cose, perché ha rinunciato a possederne alcuna. Le fonti francescane ci descrivono la situazione di Francesco quando compone il suo Cantico delle creature: «Non essendo in grado di sopportare di giorno la luce naturale, né durante la notte il chiarore del fuoco, stava sempre nell’oscurità in casa e nella cella. Non solo, ma soffriva notte e giorno così atroce dolore agli occhi, che quasi non poteva riposare e dormire, e ciò accresceva e peggiorava queste e le altre sue infermità» (Leggenda Perugina, 1614; «Fonti Francescane», 1591). Francesco canta la bellezza delle creature quando non è più in grado di vedere nessuna di esse e anzi la
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per la tua gloria immensa». «I cieli e la terra — dice spesso la Scrittura — sono pieni della sua gloria». Ne sono, per così dire, gravidi. Ma essi non possono, da soli, “sgravarsene”. Come la donna incinta, hanno bisogno anch’essi delle abili mani di una levatrice per dare alla luce ciò di cui sono “gravidi”. E queste “levatrici” della gloria di Dio dobbiamo essere noi. Quanto ha dovuto attendere l’universo, quale lunga rincorsa ha dovuto prendere, per giungere a questo punto! Milioni e miliardi di anni, durante i quali la materia, attraverso la sua opacità, avanzava faticosamente verso la luce della coscienza, come la linfa che dal sottosuolo sale verso la cima dell’albero per espandersi in fiore e frutto. Questa coscienza fu finalmente raggiunta, quando comparve nell’universo «il fenomeno umano». Ma ora che l’universo ha raggiunto il suo traguardo, esige che l’uomo compia il suo dovere, che assuma, per così dire, la direzione del coro e intoni per tutti il
semplice luce del sole o del fuoco gli procura atroci dolori! Il possesso esclude, la contemplazione include; il possesso divide, la contemplazione moltiplica. Uno solo può possedere un lago, un parco, e così tutti gli altri ne sono esclusi; migliaia possono contemplare quello stesso lago o parco, e tutti ne godono senza sottrarlo ad alcuno. Si tratta di un possesso più vero e profondo, un possedere dentro, non fuori, con l’anima, non solo con il corpo. Quanti latifondisti si sono mai fermati ad ammirare un fiore dei loro campi o ad accarezzare una spiga del loro grano? La contemplazione permette di possedere le cose senza accaparrarle. L’esempio di Francesco d’Assisi dimostra che l’atteggiamento religioso e dossologico nei confronti del creato non è senza conseguenze pratiche e operative; non è qualcosa campato in aria. Spinge anche a gesti concreti. Ecco come il primo biografo del Santo riferisce alcuni di questi gesti concreti del Poverello: «Abbraccia tutti gli esseri creati con un amore e una devozione quale non si è mai udito [...]. Quando i frati tagliano legna, proibisce loro di recidere del tutto l’albero, perché possa gettare nuovi germogli. E ordina che l’ortolano lasci incolti i confini attorno all’orto, affinché a suo tempo il verde delle erbe e lo splendore dei fiori cantino quanto è bello il Padre di tutto il creato. Vuole pure che nell’orto un’aiuola sia riservata alle erbe odorose e che producono fiori, perché richiamino a chi li osserva il ricordo della soavità eterna. Raccoglie perfino dalla strada i piccoli vermi, perché non siano calpestati, e alle api vuole che si somministri del miele e ottimo vino, affinché non muoiano di inedia nel rigore dell’inverno» (Celano, Vita Seconda, 165).
Alcune sue raccomandazioni sembrano scritte oggi, sotto la pressione degli ambientalisti. Egli disse un giorno: «Io non voglio essere ladro di elemosine» (Celano, Vita Seconda, 54), s’intende, ricevendone più del bisogno, sottraendole così a chi ne ha più bisogno di me. Oggi questa regola potrebbe avere un’applicazione quanto mai utile per
l’avvenire della terra. Anche noi dovremmo proporci: non voglio essere ladro di risorse, usandone più del dovuto e sottraendole così a chi verrà dopo di me. Certo, Francesco non aveva la visione globale e planetaria del problema ecologico, ma una visione locale, immediata. Pensava a quello 76
che poteva fare lui ed eventualmente i suoi frati. Anche in questo però egli ci insegna qualcosa. Uno slogan oggi molto di moda dice: Think globally, act locally, pensa globalmente, ma agisci localmente. Che senso ha, per esempio, prendersela con chi inquina l’atmosfera, gli oceani e le foreste, se io non esito a gettare in riva a un torrente o al mare, un sacchetto di plastica che rimarrà lì per secoli, se qualcuno non lo recupera, se butto dove capita, strada o bosco, quello di cui mi voglio liberare, o se imbratto le mura della mia città? La salvaguardia del creato, come la pace, si fa, direbbe il nostro Santo Padre Francesco, “artigianalmente”, cominciando subito da se stessi. La pace incomincia da te, si ripete spesso nei messaggi per la giornata della pace; anche la salvaguardia del creato comincia da te. Era quello che un rappresentante ortodosso affermava già nell’Assemblea ecumenica di Basilea del 1989 su “Giustizia, pace e salvaguardia del creato”: «Senza un cambiamento del cuore dell’uomo, l’ecologia non ha speranze di successo». Concludo la mia riflessione. Poche settimane prima della sua morte san Francesco aggiunse una strofa al suo Cantico, quella che comincia con le parole: «Laudato sii, mi Signore, per quelli che perdonano per lo tuo amore» (Leggenda Perugina, 84). Penso che se vivesse oggi egli aggiungerebbe un’altra strofa ancora al suo cantico: Laudato sii, mi Signore, per tutti quelli che lavorano per proteggere nostra sorella madre Terra, scienziati, politici, capi di tutte le religioni e uomini di buona volontà. Laudato sii, mi Signore per colui che, insieme con il mio nome, ha preso anche il mio messaggio e lo sta portando oggi a tutto il mondo!
Dalla ripugnanza alla misericordia da Milano
migratori senza precedenti che stanno modificando la fisionomia geopolitica di tante parti del mondo. Il percorso della modernità con le sue non poche contraddizioni, ma anche con le sue tante conquiste, sembra ormai giunto al capolinea. Ed ora, che ne sarà di noi e delle nostre terre? Come stare di fronte all’inedito che ci aspetta? San Francesco d’Assisi ha saputo affrontare con semplicità i profondi cambiamenti del proprio tempo. La sua insaziabile sete di infinito e di riuscita, dapprima ricercata nell’ideale cavalleresco e dell’amor cortese, ha trovato finalmente pace solo nell’incontro con Cristo, riconosciuto presente nell’umiltà dell’Eucaristia, nella Parola di Dio ascoltata e spiegata dal sacerdote, nei poveri ed in particolare nella fraternitas – parola chiave della spiritualità del nostro Santo. Mai da lui intesa come costruzione propria, ma come il riconoscimento di un dato: “il Signore mi diede dei fratelli” (2Test 14). Da allora tanti fratelli e numerose sorelle – in primis Chiara e le sue compagne –, attirati dalla sua testimonianza, hanno voluto vivere come lui una autentica sequela sine glossa di Cristo. . San Francesco è certamente uno dei “piccoli” (Mt 11,25) di
ANGELO CARD. SCOLA ARCIVESCOVO DI MILANO
Non ci è difficile sentire il santo di Assisi vicino alla nostra esistenza di uomini di oggi, cosiddetti “postmoderni”. Il suo tempo, per quanto distante cronologicamente dal nostro, presenta infatti significative analogie con il travaglio e la complessità della società plurale in cui la Provvidenza ci chiama a vivere. Epoca di grandi e profondi cambiamenti fu quella attraversata da san Francesco; cambiamenti di natura culturale, economica e sociale. Anche noi siamo testimoni di rivolgimenti vertiginosi e ormai tutti persuasi che un’epoca si è chiusa inesorabilmente. Molti fondamenti del vivere civile che per secoli hanno regolato l’umana convivenza sono oggi messi in questione: è un dato di fatto. Penso al significato del vero, del buono, del bello, al senso della vita e della morte, del matrimonio, della famiglia, dell’identità religiosa e culturale di una nazione, del rapporto con l’ambiente, della costruzione di un solido e durevole equilibrio tra pace, sviluppo e giustizia, ai processi 77
francescanesimo
Frate Francesco
cui parla Gesù nel vangelo odierno, ai quali il Padre celeste si compiace di rivelare i misteri del Regno. Infatti, è proprio alla luce dell’incontro con Cristo, emblematicamente rappresentato dalla agiografia francescana nelle parole che il Crocifisso rivolge a Francesco nella chiesa diroccata di san Damiano (2Cel VI, 10-11), che è possibile comprendere la compassione del Serafico Padre per l’uomo e la sua drammatica condizione. Basti un esempio. Il Santo, ormai al termine della sua vita, ammette: “Mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi” (gli ultimi, i rifiutati del suo tempo) e testimonia: “il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia”. Il suo percorso di conversione diviene così anche un percorso di accoglienza dei più poveri tanto che quanto “mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo” (2Test 1-3). L’ Anno Santo straordinario della misericordia, voluto provvidenzialmente dal Santo Padre, illumina l’attualità di frate Francesco che passa dalla ripugnanza alla tenerezza e alla misericordia. In questo tratto così peculiare della spiritualità dell’Assisiate vediamo anche un esempio efficace di quel nuovo umanesimo di cui tutti avvertiamo l’urgenza e su cui la Chiesa italiana rifletterà nel prossimo Convegno di Firenze. In questo tempo di travaglio, in cui tecnica e finanza rischiano di diventare gli arbitri indiscussi delle relazioni umane, Francesco d’Assisi, con la sua testimonianza di fraternitas evangelica, ci mostra che al centro della società deve esserci sempre la persona, affermata come bene in se stessa e nelle sue relazioni fondamentali, con gli altri, con il creato e con Dio. La straordinaria capacità di incontro del santo di Assisi con persone di diverse culture, condizione sociale e religioni – si pensi al celeberrimo incontro con il Sultano – ne fa per noi un sicuro punto di riferimento per vivere con coraggio nella società plurale, nel tempo del meticciato di culture, promuovendo la vita buona per tutti. Francesco è stato davvero «colui che nella sua vita riparò il tempio e… premuroso di impedire la caduta del suo popolo, fortificò la città contro un assedio» (Sir 50, 1.4); con ciò egli è stato anche un riformatore della vita in comune tra gli uomini. Lungo i secoli fino ad oggi egli continua ad essere riconosciuto come “un astro mattutino fra le nubi, come la luna nei giorni in cui è piena, come il sole sfolgorante” (Sir 50,6-7). Il Santo di Assisi fu promotore tra fazioni diverse
e avverse di perdono e di riconciliazione, come documenta una strofa del celeberrimo cantico di Frate Sole: “Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo Tuo amore” (Cant 10). Salutava ogni persona con le parole che l’Altissimo stesso gli rivelò: “il Signore ti dia Pace” (2Test 23). Lo stesso Cantico, legato agli ultimi anni della vita di Francesco, quando portava ormai nel suo corpo “le stigmate di Gesù” (Gal 6,17), rappresenta indubbiamente – come ha ricordato il Santo Padre nella sua enciclica Laudato si’ – un richiamo potente ed incisivo alla responsabilità per la casa comune che ciascuno deve avere. Francesco d’Assisi è davvero testimone di quella ecologia integrale (Laudato si’ 137-162) di cui abbiamo bisogno per vivere in profonda armonia con noi stessi, con gli altri, con la realtà e con Dio. Il Santo di Assisi, come afferma Papa Francesco, è “l’esempio per eccellenza della cura per ciò che è debole e di una ecologia integrale, vissuta con gioia e autenticità. … In lui si riscontra fino a che punto sono inseparabili la preoccupazione per la natura, la giustizia verso i poveri, l’impegno nella società e la pace interiore” (Laudato si’, 10). Cosa chiediamo dunque al Signore per l’intercessione di San Francesco? Ripetiamo dal profondo del cuore l’invocazione che ha concluso l’accensione della lampada: «Fa’ o Francesco che il popolo italiano, fedele alle radici cristiane, vivendo in comunione e fraternità, concorra con l’Europa al progresso dell’umanità, per il bene e la pace di tutti» (Preghiera del vescovo dopo l’accensione della lampada votiva). «Il Signore mostri il Suo volto ed abbia di noi misericordia». Per questo siamo qui. La lampada che continuerà ad ardere presso la tomba del Poverello, grazie al dono dell’olio, sarà una preghiera continua. Per tutti. Amen. 78
La mistica francescana da Roma
RAFFAELE DI MURO DOCENTE DI SPIRITUALITÀ FRANCESCANA
Nell’universo francescano, fatta salva l’originalità che ciascun personaggio palesa, è evidente che esistono dinamiche caratterizzanti uomini e donne mistici che si rifanno all’esempio del Poverello. Sulla sua scia, essi tendono anzitutto alla conformazione a Cristo, ossia alla contemplazione della sua kenosi che conduce al desiderio di imitazione, che, poi, si concretizza nel riproporre, nella singola esperienza spirituale, i tratti del Signore povero ed umile. Nasce e si sviluppa, dunque, una mistica della conformazione, consistente nel fare propri gli atteggiamenti e le virtù del Cristo che si dona per la salvezza dell’uomo. Ovviamente, in questo contesto grande risalto assumono l’attenzione e la riflessione circa la sua umanità. Note ed emblematiche sono queste parole dell’Assisiate: «O ammirabile altezza e stupenda degnazione! O umiltà sublime! O sublimità umile, che il Signore dell’universo, Dio e figlio di Dio, si umili al tal punto da nascondersi, per la nostra salvezza, sotto poca apparenza di pane. Guardate, fratelli, l’umiltà di Dio, e aprite a lui i vostri cuori, umiliatevi anche voi perché siate da lui esaltati. Nulla, dunque, trattenete per voi, affinché tutti e per intero vi accolga Colui che tutto a voi si offre» (Lettera a tutto l’Ordine, 27-28: FF 221). Possiamo affermare che, sull’esempio di Francesco, gli esponenti della mistica “serafica” non solo prendono in considerazione il mistero integrale di Cristo, valorizzando ogni espressione del suo vissuto e del suo insegnamento, ma collocano la loro attenzione in modo specifico sulla sua spoliazione, che raggiunge la massima espressione sul Calvario. Detta dimensione kenotica rappresenta un aspetto fondamentale degli autori e dei santi mistici appartenenti a questa scuola di spiritualità. Altra dominante della mistica francescana è la dimensione ascetico-purificativa, ossia la via di perfezione che conduce alla dimensione unitiva attraverso un itinerario di preparazione costante alla comunione profonda e totalizzante con l’Altissimo. Con il De Triplici via, San
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Bonaventura è il maestro indiscusso nell’individuazione e nella teorizzazione di un percorso progressivo verso l’unione mistica. Tuttavia, molti sono stati i personaggi che hanno parlato di un cammino di questo tipo, descrivendo vie più o meno elaborate, a seconda anche dei tempi in cui essi sono vissuti. In tutte queste figure emerge la necessità di una continua preparazione al vertice del vissuto spirituale, la mistica appunto, che mira a ridurre al massimo i nefasti effetti dei peccati, dei vizi e delle cattive inclinazioni. Termini “annullamento” o “annichilazione” esprimono metaforicamente il costante impegno a predisporsi al dono gratuito dell’unione mistica, che è pure frutto di una grande determinazione nel condurre un percorso ascetico. Ad esempio, San Benardino da Siena offre il suo prestigioso contributo circa il cammino che porta alla fase mistica. Ciò accade con il trattato De Spiritui Sancto, nel quale l’autorevole personaggio francescano fa comprendere l’azione del Paraclito nel percorso unitivo e della progressione nella perfezione cristiana del credente, costantemente trasformato dalla grazia divina nell’intelletto e nella volontà. Egli vince il laccio del peccato e del vizio e perviene ad una condizione di soavità e beatitudine che solo la presenza di Dio, misticamente sperimentata, può offrire. Anche il “senese” offre una via progressiva che conduce al vertice dell’esperienza cristiana e fa scuola soprattutto nel mondo della predicazione serafica del suo tempo. In definitiva, per i mistici francescani non c’è un mondo spirituale intimo che abbia un suo scomparto e resti isolato dai rapporti esterni. Esso deve mostrarsi, manifestarsi perché possa incidere con la sua dinamica nelle relazioni tra gli uomini. Non c’è vita spirituale, specialmente nella sua fase più alta, che non incida nel quotidiano feriale e non. Si tratta di una esperienza e una visione dell’unione intima con Cristo, aliena da ogni intimismo e autenticamente evangelica: dai frutti mostrati nelle opere si riconosce l’autenticità della vita interiore in unione con Cristo. La mistica francescana, inoltre, si caratterizza per l’apporto di alcuni personaggi che nella Chiesa si sono affermati per la singolarità del loro vissuto. Ad esempio, Angela da Foligno (mistica dell’estasi), Giuseppe da Copertino (il santo dei voli) e Pio da Pietrelcina (il frate delle stimmate) si segnalano non solo per la spettacolarità dei fenomeni da essi manifestati, ma soprattutto perché si sono affermati nel corso della Storia della spiritualità quali «campioni» in tema di unione trasformante. Essi abbinano semplicità ed umiltà ad un’esperienza spirituale senza precedenti, che li pone nella condizione di testimoniare le grandi opere, che Dio compie nei semplici, proprio sulla via tracciata dal Poverello.
Beatificati i due missionari martiri francescani conventuali da Roma
ANGELO PALERI POSTULATORE GENERALE OFM CONV.
Il 5 dicembre 2015 nello stadio di Chimbote (Perù) sono stati beatificato due missionari francescani conventuali ed un sacerdote diocesano fidei donum, uccisi in quella diocesi nel 1991 dai guerriglieri del movimento maoista Sendero Luminoso. Erano presenti il prefetto della congregazione delle cause dei santi cardinale Angelo Amato, i vescovi del Perù, il ministro generale OFMConv. Padre Marco Tasca e una delegazione di frati conventuali provenienti della Polonia e dall’Italia. I due frati conventuali uccisi a Pariacoto la sera del 9 agosto facevano parte della prima comunità che l’Ordine aveva aperto due anni prima nella zona che dalla costa dell’oceano Pacifico sale verso la pre-cordigliera fino alla cordigliera stessa. Fra Zbigniew Strzałkowski era arrivato in Perù alla fine di novembre 1988 insieme a fra Jarosław Wysoczański, mentre fra Michele Tomaszek li raggiunge nel luglio 1989. Dopo aver trascorso alcuni mesi in luoghi diversi, per apprendere la lingua castigliana e le tradizioni locali, alla fine di ottobre 1989 si trasferiscono definitivamente presso la chiesa parrocchiale di Pariacoto (a 1.300 metri sul livello del mare), che viene così affidata ufficialmente all’Ordine. Entrambi provenivano dalla parte meridionale della Polonia, dove erano nati rispettivamente nel 1958 e nel 1960, in diocesi suffraganee della chiesa metropolita di Cracovia; entrambi avevano studiato filosofia e teologia nel Seminario dei Frati Minori Conventuali a Cracovia, affiliato alla nostra Facoltà di San Bonaventura. Poi dopo le rispettive ordinazioni sacerdotali nel 1986 ed 1987, entrambi erano stati assegnati per una iniziale esperienza pastorale di un paio d’anni in due comunità della Provincia di S. Antonio di Padova e del B. Giacomo da Strepa, a cui appartenevano. Nel seminario minore di Legnica p. Zbigniew si era distinto per la sua capacità organizzativa (in particolare nelle riparazioni dell’edificio) e per l’attenzione anche alla salute dei quanti affidati alle sue cure. Nella parrocchia a Pieńsk invece p. Miguel si mette in risalto per l’attenzione verso i giovani ed i più piccoli, seguendoli nel proprio
cammino formativo e nelle diverse fasi della recezione dei sacramenti. Don Alessandro Dordi era invece nato a Gromo San Martino, comune di Gandellino, provincia e diocesi di Bergamo nel 1931. Come membro dell’istituto diocesano missionario, o per emergenze pastorali, Il Paradiso, divenuto sacerdote nel 1954, aveva servito come parroco per una dozzina d’anni nel Polesine che tentava di rialzarsi dopo la tragica esondazione del fiume Po del 1951, impegnandosi anche nella costruzione prima e nella conduzione poi di una scuola professionale. In seguito fu cappellano di emigrati italiani in Svizzera per un’altra dozzina d’anni a Le Locle, durante i quali fece anche un’esperienza di prete-operaio in una nota fabbrica di orologi. Finalmente nel 1980 arriva nella dio80
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mico che con i suoi programmi di formazione disturbava la rivolta armata del proletariato, decisero di passare al contrattacco. La sera del 9 agosto 1991, al termine della celebrazione Eucaristica, un gruppo di guerriglieri, che durante la giornata aveva preso posizione in vari luoghi del villaggio di Pariacoto, entrò con la forza in chiesa ed iniziò un processo sommario ai missionari di fronte al gruppo di fedeli presenti. Li si accusava di addormentare le coscienze della gente con la Bibbia, di essere agenti dell’imperialismo distribuendo gli aiuti della Caritas; di essere quindi meritevoli di morte. Rubando le camionette dei missionari, ve li fecero salire, prelevarono poi davanti alla municipalità il sindaco, che nel frattempo aveva avuto un simile processo per averli traditi. Portati poco fuori del paese (a circa un chilometro e mezzo) li fecero scendere dall’auto ed uccisi a bruciapelo con colpi alla testa. Soltanto dopo un po’ di tempo i fedeli e le religiose vi si recarono, e trovarono i corpi massacrati, con la scritta: “Così muoiono i lacchè dell’imperialismo”. Benché i funerali fossero un trionfo, con il corteo funebre che si fermava ad ogni cappella, perché i fedeli chiedevano di salutare personalmente i corpi dei Servi di Dio, Sendero Luminoso decise di continuare nel suo intento e domenica 25 agosto, mentre d. Sandro Dordi tornava dalla celebrazione Eucaristica pomeridiana a Vinzos, in direzione di Rinconada (dove avrebbe dovuto celebrare un’altra volta l’Eucaristia) gli tesero un’imboscata, bloccandogli la strada. Avvicinatisi alla sua camionetta, alcuni guerriglieri di Sendero Luminoso gli improvvisarono un processo sommario con gli stessi capi d’accusa; e quando d. Sandro scese dall’auto, gli spararono alla testa a distanza ravvicinata.
cesi di Chimbote, dove il vescovo locale gli assegna la parrocchia di Santa. Questa era estesa lungo la valle del fiume omonimo, che, nel distretto settentrionale della diocesi, si spingeva dalla costa verso l’interno per circa 30 chilometri fino alla pre-cordigliera. Fin dall’inizio si impegnò, secondo lo stile di vita impiegato nei periodi precedenti, anche nel lavoro manuale, collaborando per esempio dalla progettazione alla realizzazione di un acquedotto dal fiume Santa ai diversi villaggi che sorgevano lungo il suo corso. L’impegno pastorale di questi missionari nelle rispettive parrocchie, come di tutto il clero della diocesi di Chimbote, guidato dal vescovo locale, Luis Armando Bambarén Gastelumendi, includeva non solo l’ammini¬strazione dei sacramenti, ma soprattutto la formazione dei diversi gruppi di persone (giovani, donne, bambini, catechisti, animatori liturgici, responsabili zonali), ed infine l’assistenza alle popolazioni in maggiore necessità a causa della ricorrente siccità (secondo i noti alternarsi del Niño e della Niña lungo la costa peruana), tramite gli aiuti messi a disposizione dalla Caritas diocesana, sostenuta da quelle di altre nazioni. In quegli anni il movimento di ispirazione maoista Sendero Luminoso tentava di prendere sempre più il controllo del paese, sia dal punto di vista militare che civile, e, in alcune regioni più povere ed isolate, penetrava con sempre maggior vigore, senza incontrare alcuna resistenza efficace. Soltanto la Chiesa, con i suoi programmi di formazione, opponeva loro una certa resistenza con persone che invece si impegnavano insieme per migliorare la situazione del paese ed in particolare delle proprie comunità. Come parte di una offensiva, intesa ad eliminare il ne-
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di storia e di vita francescana
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da Roma
GIANFRANCO GRIECO DIRETTORE DI LUCE SERAFICA
Una rivista che si rispetti è in grado nel suo lungo arco di vita di scrivere o meglio anche di riscrivere e di interpretare la storia. Luce Serafica nei suoi giorni di luce e di tenebra (la seconda guerra mondiale in particolare - 1 settembre 1939- 25 aprile 1945) ha scritto una vera e lunga storia francescana che parte dal mese di marzo del 1925 ed approda all’oggi della nostra storia: 24 ottobre 2015. 90 anni di vita francescana ed ecclesiale, quindi; di storia e di arte; di agiografie e di cronache conventuali. Sfogliare queste pagine, come ho cercato di fare nello stendere questo lungo racconto, è stato a dir poco piacevole. Mi soni imbattuto in figure e in testi che hanno aperto e spaziato sugli orizzonti francescani conventuali della Terra di Lavorola Campania felix -. Luce Serafica nasce tra le due guerre (1915-1918; 1939- 1945). Sette anni dopo la conclusione della prima guerra mondiale e quattordici anni prima della seconda tragedia europea e mondiale.
Luce Serafica è il segno della rinascita della Provincia religiosa di Napoli. Anzi , ne interpreta la voglia del fare; del francescanesimo in uscita dopo le varie barbarie ( soppressione innocenziana del XVII secolo a quella piemontese 18151866); della crescita. Diventa, in quell’epoca, il punto di riferimento culturale e francescano del Mezzogiorno d’Italia. Della seconda guerra mondiale Luce Serafica ne fa solo alcuni brevi cenni. Non era nella logica e nella missione della rivista. Ad alcune voci amiche del regime fascista più per rispetto che per devozione- facevano seguito pagine di accorati appelli alla pace e alla solidarietà tra i popoli nella fedeltà al magistero di Pio XI e di Pio XII. Luce Serafica cammina con la storia del dopo guerra e con la rinascita e la crescita del Paese Italia degli anni cinquanta sino ai traguardi degli anni settanta - ottanta non cambiando il suo volto e il suo mandato, ma aprendo anche spazi alle nuove esigenze culturali, economiche e sociali. 82
Luce Serafica cammina ed individua i segni dei tempi: Concilio Vaticano II (1962-1965) e dopo Concilio sono la bussola quotidiana della informazione religiosa, culturale e francescana che raccoglie tra le sue pagine. Pio XII, Papa Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II illuminano con il loro fecondo magistero il nuovo cammino ecclesiale. Dal 1963 al 2005: inizio e fine del ministero di Papa Montini sino alla morte di Giovanni Paolo II (2 aprile 20105) Luce Serafica resta fedele al suo compito: quello di illuminare un “cammino” nuovo, segnato dalla testimonianza di santità dei santi antichi e nuovi: san Francesco, sant’Antonio, Beato Bonaventura da Potenza, Francesco Antonio Fasani, Antonio Lucci, Massimiliano Kolbe ecc.. e da nuovi studi di storia e di arte francescana (Ravello, Montella, san Lorenzo Maggiore e santa Chiara a Napoli) che hanno
SPECIALE LS 90 ANNI ancora oggi , dopo 90 anni, una scottante attualità: che cosa vogliamo; perché LUCE, perché Serafica. E la risposta era: è un dovere. Questa l’impaginazione del primo numero: san Francesco e il mezzogiorno d’Italia; il primo convento francescano del mezzogiorno san Lorenzo Maggiore; pensieri per la Vergine e per san Giuseppe Sposo; una riflessione su Roma che vive il Giubileo del 1925 e un articolo alla vigilia del VII centenario del transito del serafico padre san Francesco (34 ottobre 1226- 4 ottobre 1226). Dopo tre anni un primo bilancio; dieci anni dopo un secondo bilancio; nel gennaio-febbraio 1989, 62 anni dopo un terzo bilancio; ed oggi, 90 anni dopo, un quarto bilancio con gli interventi di questa Giornata di studio. I direttori e i primi anni di vita Bastano i loro nomi: Palatucci per 12 anni e poi, Cava, Gallo, Di Monda, Ciappetta, Gallo, Giustiniano, Sapere, Di Muro, Scognamiglio - D’ Alessandro e Grieco. Annata 1925- 26-27: 228 pagine, con articoli sull’ Anno Francescano firmato da padre Semeria; e poi articolo su
contribuito alla conoscenza artistica e monumentale di un mondo francescano oggi ormai lontano ma pur sempre a noi vicino. Tra momenti alti e nuove situazioni complesse, dopo alcuni anni di abbandono dal 1989 (numero 1-2) al 2006, dopo 16 anni di “cosa fare” Luce Serafica riprendeva a vivere con il contributo di religiosi della provincia attenti alle dinamiche ecclesiali e pastorali e di fedeli laici legati alla nostra spiritualità francescana ed ecclesiale. Dal 2014 - sono 6 i numeri di 96 pagine ciascuno uscite sino ad oggi - Luce Serafica ha intrapreso una nuova strada. E’ sotto i nostri occhi e guardiamo al futuro. La storia di LS e i precedenti. Le tre lettere tra i fratelli padre Antonio e padre Giuseppe Palatucci, provinciale il primo rettore del collegio serafico di Ravello, il secondo indicano molto bene il traguardi da raggiungere; il primo numero di 20 paginette (marzo 1925) con tre domande che conservano
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Girardelli da Muro Lucano (p. 9-13- 1926) e su Donato del Quercio (p. 133-135, 1927). Articolo poi su La lingua di sant’Antonio di Padova (15 febbraio) e sul rapporto Antonio di Padova e l’Italia nella rinnovazione morale del secolo XIII; studi di storia e di arte come il monastero di Montella e il bel san Lorenzo maggiore di Napoli , e il notiziario: informazioni brevi. Giungevano i primi applausi dai vescovi Elia Dalla Costa (Padova); cardinale La Fontaine, patriarca di Venezia; dei cardinali Mery del Val ed Ascalesi; il commento dell’antifona “Patriae lux”; e nel giugno 26 l’ enciclica “Rite espletis ” VII centenario della morte (p. 121- 140). Copertina a colori quella del mese di ottobre 1926 e articolo sulla città di Assisi e del suo santo; san Francesco e le virtù della obbedienza, della povertà e della castità; e, nel mese di novembre tutte le cronache delle celebrazioni francescane e un contributo su san Francesco in gloria e, nel mese di dicembre la rivista ospita un articolo su fra Francesco da Atrani (p.273-276). Nel gennaio de1927 il primo bilancio:” Ecco: nel nostro mezzogiorno si sente il bisogno di una rivista do cultura generale e noi, da vario tempo, pensiamo do trasformare a tale scopo LUCE SERAFICA che pur conservando la sua impronta francescana, risponde a quel bisogno. Deus et dies! Lasciamo fare a Dio e aspettiamo il tempo e l’ora” (p.10-11). Da Chieti giungeva nel frattempo il plauso dell’arcivescovo Monterisi, datata 22 novembre 1925. Si complimentava con il direttore per
il “ calore umano che le ha dato” “Nel meridione- rilevava il presule pugliese- pur non mancando gli elementi, manchiamo di organizzazione e di iniziative. Solo una rivista può “ preparare e accelerare l’auspicata fusione morale con le altre regioni italiane (p. 12). Iniziava così la vita di san Francesco a puntate. “Segni di gloria” era il titolo del capitolo primo (p. 13- 15). Seguivano articoli su San Giacomo della Marca, protettore di Napoli; il seguito sul monastero- convento di Montella dello storico, la notizia del beatificazione di Gian Francesco Burté, ofmconv., (17 ottobre 1226) martire della rivoluzione francese (p. 50-54) e un contributo storico sul beato Giovanni da Montecorvino ( 12471331), apostolo della Cina. O tre numeri estivi: luglio, agosto, settembre 1827, ospitavano articoli sul Fasani (p. 146-152), su sant’Antonio la la Madonna e su santa Veronica Giuliani (p. 170-174). È’ nell’agosto del 1927 che il direttore padre Giuseppe Palatucci, scrive il bel testo su “Ravello, gemma della divina costiera” (p. 175183), riproposta da padre Francesco Capobianco nel numero di gennaio-giugno 2015 sulla rivista il beato Bonaventura da Potenza. Ripercorrere questi 90 anni di vita di Luce Serafica nei particolari è facile e un po’ difficile insieme. Non vorrei essere noioso. Nel volume degli Atti che pubblicheremo raccoglieremo nei particolari questa lunga storia fatta di volti, di fatiche, di sacrifici, di profezia. Prima di concludere, dobbiamo fare alcune riflessioni che guardano al passato ma sono proiettate sul futuro. 84
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marzo) alla beatificazione 1971 e alla canonizzazione del Kolbe (ottobre-novembre 1982), di san Francesco Antonio Fasani da Lucera (maggio giugno 1986); e il numero speciale dedicato a “Santa chiara a Napoli tra fede e arte” (gennaio- febbraio 1987). 4. La rivista oggi: come farla e prima ancora perché farla, dopo le recenti crisi editoriali cattoliche? Fedeli alla nostra storia e al nostro carisma, perché come francescani conventuali abbiamo ancora tante cose da raccontare al mondo. Laudato si’ è l’ultima testimonianza che camminiamo sulla retta strada. Abbiamo ancora tante cose da dire su san Francesco e sui suoi innumerevoli discepoli. Abbiamo il dovere di raccontare queste nuove pagine di storia francescana. I Mirabilia Dei compiuti da frate Francesco non possono essere ripresi da altri, anche, ma non solo ed esclusivamente da altri. Lo Spirito di Assisi è nostro e non possiamo disperderlo o consegnarlo nella mani altrui. Per questo lavoriamo e nella fedeltà a questo nostro messaggio sempre verde, che non appassisce riprogrammiamo il nostro futuro.
1. Attorno a Luce Serafica si sono ritrovate le migliori intelligenze della religiosa provincia francescana della Campania e della Basilicata, partendo da padre Palatucci – era nato il 25 aprile 1892- che viene elevato alla dignità episcopale all’età di 45 anni, vescovo di Campagna 16 agosto 1937 sino al 31 marzo 1961, venerdì santo, 24 anni di ministero episcopale. 2. Da Ravello parte per l’intero Ordine serafico un messaggio culturale di notevole portata: Le edizioni di Luce Serafica con la pubblicazione de Il Serafico sentiero (1929) (2014, p.352, a cura di padre Renato Sapere) ; la vita del Beato Bonaventura da Potenza (1930) ; il diario spirituale francescano (1934). (Diario spirituale francescano, riproposto negli anni 80 da padre Renato Sapere e poi raccolto in un volume). Testi e grafica, quelli degli anni trenta, di incomparabile bellezza. 3. I numeri speciali. Ne cito solo alcuni: 1962, numero di sessanta pagine, dedicato alla Peregrinatio del beato Bonaventura da potenza (25 agosto -23 settembre 1962); i numeri dedicati al XX della morte) 14 agosto 1941- 1961) alla introduzione della causa (1960 -15
La religiosità di Carlo Levi da Venosa
ROCCO TALUCCI ARCIVESCOVO EMERITO DI BRINDISI
Risento parlare spesso di Carlo Levi per i tanti anniversari che si ricordano: quaranta dalla morte (Roma 4 gennaio 1975) , settanta dalla pubblicazione di “Cristo si è fermato ad Eboli” (1945) e ottanta dalla residenza forzata in Basilicata ( 1935-1936). Le sue opere parlano di lui in Basilicata. Il suo corpo riposa in Basilicata, in attesa della futura resurrezione. Questo spiega la preghiera su una tomba. Questo spiega la mia preghiera sulla sua tomba. Credeva Carlo Levi? Cristo si era fermato nella sua anima? penso di si, ma lui non lo riconosceva. Cristo però conosceva lui, la sua bontà, la sua solidarietà. E se "senza solidarietà non c'è fede", come dice Papa Francesco, con la solidarietà cammina in un certo modo la fede. Con questo non rendo cristiano Carlo Levi, ma certo non era lontano dal regno di Dio. Io ho conosciuto personalmente Carlo Levi. Chi lo vede medico, chi pittore, chi scrittore, chi politico. Io vedo l'uomo buono che amava l'uomo. Sono stato da lui, gli ho parlato, gli ho chiesto della sua religiosità Ho affrontato la mia ricerca su quale fosse la sua sensibilità religiosa. Levi voleva leggere il mio lavoro. Non ne ha avuto il tempo. Perciò mi sono portato ad Aliano e pregare sulla sua tomba. Nel 40° della sua morte, giacché tanti rispolverano i ricordi dell'illustre scrittore, pittore, medico, politico e confinato, io provo a dire quale religiosità e quale umanesimo ho scoperto in lui e nelle sue opere. 1. Un discorso sulla religiosità di Carlo Levi nel 40° anniversario della morte, suscita in me un senso di nostalgia culturale, che include un debito non risolto, ma anche un desiderio di nuova evangelizzazione volta al futuro perché l’interesse sulla religiosità di Carlo Levi sarebbe pura curiosità se non provenisse da una apertura di anima, da un bisogno di ricerca, da un desiderio di fede profonda che trova nella religiosità un segno che lega a Dio e al prossimo. Se certa cultura divide gli uomini in atei e credenti, noi
cristiani li distinguiamo in cercatori di Dio e in figli di Dio, in quanto Dio è in comune ad ogni uomo, al punto che l’antica filosofia qualificava l’uomo come “naturaliter religiosus”, religioso per natura. Nel rapporto creaturale con Dio, l’uomo coniuga una appartenenza a Dio anche quando non lo conosce o addirittura lo nega. E quando lo scoprirà si accorgerà che Dio gli era già vicino, anzi che lo cercava perché Dio, che è amore, è cercatore dell’uomo. Papa Francesco, nella veglia di Pasqua, parlando di novità di vita portata dal Risorto, affermava, tra l’altro, rivolgendosi all’uomo di oggi: “Se fino ad ora sei stato lontano da Lui, fa un piccolo passo: ti accoglierà a braccia aperte. Se sei indifferente, accetta di rischiare: non sarai deluso. Se ti sembra difficile seguirlo, non aver paura, affidati a Lui, stai sicuro che Lui ti è vicino, è con te e ti darà la pace che cerchi e la forza per vivere come Lui vuole”. Al centro della mia ricerca è l’uomo e Dio. L’uomo si apre ad un futuro trascendente in Dio e dà senso alla sua esistenza. Dio si apre all’incarnazione per rendere l’uomo protagonista della sua storia. Non manca, nella visione ateistica, l’affermazione della incompatibilità tra l’uomo e Dio, tra la libertà dell’uomo e la libertà di Dio, come se Dio distruggesse l’uomo, quindi l’uomo sarebbe un assurdo con Dio e sarebbe vero uomo senza Dio. Si è ipotizzata anche la morte di Dio per salvare l’uomo, cadendo nel rischio della morte dell’uomo senza il riferimento a Dio. Per alcuni umanesimo e teismo sono termini che si escludono a vicenda, per noi l’umanesimo vero è quello integrale, cioè aperto a Dio, 86
perché con Dio l’uomo, non solo, è vero uomo, ma è più uomo perché aperto al destino di vita eterna e non condannato al nulla dopo il suo protagonismo storico e umano. Antropologi e teologi si richiedono e si completano. 2. Carlo Levi è un uomo che ama l’uomo. Appartiene alla nostra storia, alla nostra cultura, l’ha fatta conoscere al mondo, desidera il riscatto sociale del Meridione, vuole liberare l’uomo da ogni soggezione, da ogni superstizione e da ogni religione. Vuole affermare l’uomo, rivendica per lui la giustizia sociale e non si apre alle altre dimensioni, è preso dal contingente e rimane chiuso al trascendente. Non nega Dio esplicitamente, non lo afferma ma resta un cantore dell’uomo. La posizione di Carlo Levi è di tanti ancora. La posizione cristiana è questa: chi ama l’uomo non può non amare Dio e chi ama Dio o lo incontra, non può non incontrare l’uomo. Carlo Levi è un uomo buono, ama l’arte e difende i diritti dell’uomo, conosce il tempo e non lo sciupa, lo impegna in cose assai importanti. Egli stesso racconta nel suo libro “Il futuro ha un cuore antico” (pg. 284) che una ragazza russa gli diceva che suo fratello, dopo aver letto “Cristo si è fermato a Eboli in una notte”, le confidava che “l’autore deve avere dei buoni sentimenti”. Un autore russo scrive di lui: “Vuole che gli uccelli possano volare in pace e gli uomini vivere magnificamente. Forse sono sogni, ma sogni come questi hanno la forza di destare le coscienze e di ren-
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letteratura
dere migliore la vita” (Ehrenberg, Perché gli uccelli volano in pace). Uomo libero, politicamente impegnato, rivolto al futuro, convinto della sua indipendenza spirituale, afferma ed ascolta l’uomo, pone l’uomo al centro della storia, liberato dagli antichi “vincoli sociali”. All’apertura profonda e sensibile verso l’uomo non corrisponde uguale apertura verso Dio. Carlo Levi non è un uomo religioso. Ebreo, non fu mai circonciso (rimase intero), né battezzato. La madre molto religiosa, ma non di chiesa, lo faceva pregare, ma lui non lo gradiva. Anche il prete lucano lo invitava al battesimo e lui si limitava ad offrire la sua collaborazione in chiesa. Ma non si ritrova in nessuna chiesa e in nessuna religione. Ricava il concetto della inaccessibilità; di Dio, da cui deriva il rifiuto degli idoli e di ogni forma esteriore del divino. Tutto ciò che è rituale lo vede in contrasto con la inacessibilità, quindi al rituale, ad ogni forma religiosa contrappone la libertà. È uno spirito libero e il senso religioso lo vede nell’uomo, nella vita e non nella forma, anche religiosa. Va detto che riconosce le Sacre Scritture. Parla di Abramo e di Mosè, del Mar Rosso e del Faraone. Descrive la Trinità e si occupa del peccato originale e della redenzione di Cristo. Molti i riferimenti evangelici, a volte molto indebiti, ma il suo conoscere non era credere. La stessa storia degli ebrei la vede solo come storia di libertà. Conosce la parola di Dio, ma non la riconosce come tale, perciò quella parola per lui non è vita. Ama la vita, ama la vita degli uomini, ne difende i diritti, il valore e la libertà. E’ tanto libero da esserlo anche da Dio, ignorando completamente di perdere la vera libertà e di chiudersi in una prigione umana, peggiore di quella di Regina Coeli da cui si sentiva “il respiro di quella libertà misteriosa che pur doveva esistere, fuori”. Si, veramente fuori, c’è la libertà, perché la libertà è Dio. . 3. La parola uomo è quella che ricorre di più, con maggiore frequenza, col desiderio di abolire tutte quelle frontiere che possono indurlo e limitarlo. Il problema dell’uomo è centrale e la sua liberazione, individuale e sociale, è il vero messaggio di Levi. Vede l’uomo vero con un cuore mite e un animo paziente. Il suo è un vero inno alla libertà, ma è un inno chiuso. Apprezza e considera la coscienza morale, ma considera la libertà che parte da Dio come esterna e mortificante. Questo perché relega il significato della vita al tempo della nostra esistenza temporale, al numero delle cose che in esso gli uomini riescono a fare. “La libertà è il senso della
vita di oggi e il modo per il futuro”, dirà nel “Il futuro ha un cuore antico”. Questa libertà apre all’amore, alla solidarietà, alla collaborazione, al rispetto, al servizio. Grande è la fiducia nell’uomo, che resta, e deve essere, l’artefice del suo destino. E’ utile dire che Levi collega felicemente il concetto di libertà a quello di pace. Per lui vera libertà e vera pace si identificano e diventano il sostrato che rende possibile la vita degli uomini. Ovviamente l’amore alla libertà diventa sdegno per la guerra e contro ogni sudditanza, fosse anche quella a Dio, che a volte produce le vittime del sacrificio, quando ha l’impressione di una civiltà che si impone e sembra avallata dalla religione, è allora che vede i contadini “senza religione e senza sacrifici”. La libertà per Levi è dunque tutto quanto contribuisce a rendere gli uomini più umani, più veramente uomini. E’ un vero umanesimo quello di Levi, ma molto ridotto e parziale. 4. E’ dal libro “ Paura della libertà” che ricaviamo spunti sul pensiero che Levi ha di Dio. Con l’espressione “ab jove principium” fa riferimento ad una divinità di origine, tanto vaga quanto inesistente. Difatti egli scrive: “Dovremo cominciare di lì, da quel punto inesistente, da cui nasce ogni cosa”. Ritiene che far derivare ogni cosa di umano dal sacro condiziona la libertà dell’uomo. Tende così a relegare il sacro nel punto più remoto, a nascondere Dio “al di là delle morali, fuori dal tempo e dallo spazio, nella assoluta trascendenza”, che poi significa l’estrema lontananza di Dio, al punto da non negarlo ma certamente da non affermarlo. Dalla scomparsa di Dio Levi fa nascere la libertà dell’uomo. Non si avverte la sua presenza, non è visto
come persona, non è il creatore, è un indistinto che sarà vero quanto più sarà lontano da noi. Il nome Dio è piuttosto una metafora, una metafora che ricopre e condanna la supremazia dello stato tiranno che rende schiavi gli uomini. Nel rapporto tra autorità e sudditi, vede il segno di una divinità lontana a cui corrisponde la schiavitù dell’uomo. Davanti a Dio vede l’uomo, lo vede schiavo e non libero. Di Dio ne riconosce la trascendenza come lontananza dal mondo senza un rapporto con l’uomo. Dio allora non va amato e adorato dall’uomo, anzi va odiato e ucciso. In questo distacco Dio potrà anche esistere: si confonderà meno con gli uomini, se sarà “separato, lontano, estraneo, straniero”. Scrive testualmente: il vero Dio “è un Iddio assolutamente trascendente che non ha nulla di comune con l’uomo (op. cit. pg. 32-36). Anche quando fa un riferimento a Gesù, nel quale non crede, né ha ricevuto il battesimo, che è prova di fede nella sua divinità, lo scopre solo come messaggero di amore, però si premura di affermare, a prova della sua tesi, “perché Gesù potesse parlare di amore dovette nascere senza padre” (pg. 50). Ironizza quasi sul sacrificio cruento di Gesù Cristo perché l’identificazione dell’uomo con Dio non può avvenire senza sangue umano e divino, senza il sangue di Cristo. Dice testualmente: “ Se perfino Cristo nasce dal sangue, se ogni uomo crede di diventare un dio attraverso la propria vera morte, come potrà arginarsi l’autorità dello stato senza uccisioni, stragi e guerre? Le bandiere non sono sacre se non tinte di sangue dei cittadini” (pg.88). Levi non parla esplicitamente di Dio ma è chiara la sua assenza nella origine, nella vita e nel destino dell’uomo. L’uomo è l’unica luce che, nella sua intelligenza e nella sua libertà, tenta di illuminare l’ombra d’origine e l’om88
5. Carlo Levi non è uomo religioso, non si riconosce in nessuna religione. Vaga, per non dire inesistente, è l’idea di Dio. L’unica religione per lui è la libertà dell’uomo. Era sua intenzione scrivere un libro sulla religione. La “ cruenta rivelazione” glielo impedì. Si domanda, nel libro “ Paura della libertà”, quale è il processo della religione. Ma la sua risposta non ha nulla a che vedere col rapporto creatura-creatore o figlioPadre, che poi si estrinseca nel culto, nella liturgia, nella storia religiosa, nel cammino verso Dio. Tutt’altro. Vede il processo religioso nella mutazione del “sacro nel sacrificale”. Cioè il sacro, visto come punto inconoscibile, inesprimibile, si trasforma in fatti e parole, in miti e riti esterni, divenendo piuttosto una “relegazione”, relegazione di Dio nel legame delle evocazioni e delle formule e relegazione dell’uomo libero nel legame col sacro. L’uomo non ha bisogno di questo rapporto perché non è mai solo. Davanti a lui sta l’altro, tutti gli altri, l’umanità. Questo rapporto umano e libero può essere ritenuto veramente “sacro e religioso”. Anche il concetto “ non c’è religione senza sacrificio” viene rigettato da Levi perché lega il senso del sacro alla rinuncia, al distacco, al distacco cruento: “è un atto di morte per poter essere vivi, è l’operazione religiosa”. Spiega così la presenza di religioni inoffensive che, lontane dalle origini, non fanno più sacrifici, ma offerte. Ci si libera di Dio a cui si rivolge come ad un pari a cui chiedere ma anche donare in cambio. Così Levi interpreta il grano gettato al passaggio della Madonna rurale, in Lucania, per ricordare alla terra avara di darci ancora il suo frutto. O le candele accese sotto le immagini dei santi perché, vedendo le fiamme, tengano presente il bisogno e non dimentichino le nostre anime. Resta che tra religione e libertà vede un contrasto inesauribile: la libertà è creatrice, la religione è sacrificio e abbandono. La stessa Bibbia, per noi libro di vita, lettera di Dio agli uomini, per lui è la mitologia della vita del popolo ebraico. Mito è anche il peccato originale e mitici sono i personaggi. Il peccato vero è che l’uomo legato alla legge diventa incapace di essere libero, al punto da affermare che “il
peccato originale, l’unico peccato, è la religione dell’uomo, o anche la vera religione è la libertà dell’uomo, e la libertà dell’uomo è soprattutto libertà di pensiero, e il “credere non è pensare ma adorare” (Paura della libertà pg. 112). Alcune applicazioni pratiche posso sintetizzarle così: - L’intercessione dei santi è vista come una superstizione e un inganno - La presenza del prete una profanazione con ironie sull’educazione impartita dai religiosi - La preghiera è qualcosa di incomprensibile - Il papato legato alle guerre e alle ingiustizie dei contadini, ignorando ogni missione morale e spirituale. Carlo Levi conosceva i canoni della religione, aveva tanti amici religiosi e che amavano la preghiera. Ma non volle mai capire il significato di queste espressioni dell’uomo. La sua unica preghiera era l’aspirazione alla libertà. La sua era una corsa verso la libertà da Dio, da religione, da strutture esterne. Libertà come affermazione all’infinito del pensiero umano (L’orologio pg. 54). 6. Una più approfondita valutazione critica di queste posizioni porterebbe a contemplare, nella visione cattolica, gli stessi elementi forti cari a Carlo Levi, l’uomo e la libertà, come capisaldi del Cristianesimo. Per l’uomo Cristo si è incarnato, Dio si è fatto uomo per salvarlo nella sua libertà che lo rende immagine sua, al punto da poter affermare che solo in Dio l’uomo è vero uomo ed è veramente libero nella scelta dell’amore che non muore. Il riconoscimento di Dio è il vero fondamento della dignità dell'uomo. Per i cristiani il Risorto è il Vivente nel quale tutti noi viviamo, è presente ovunque, non si ferma in nessun luogo e, se si ferma, è per stare accanto all’uomo. Carlo Levi è un uomo buono e un uomo libero. E’ giunto a non riconoscere Dio per riconoscere l’uomo. Ma siamo certi che, nella scelta dell’uomo e della sua libertà, è molto vicino al Regno di Dio.
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letteratura
bra futura. Dio invece (il Dio della storia, il Dio degli uomini, il Dio ragione unica del mondo e dell’uomo) nel pensiero di Levi, si riduce ad essere come una vaga figura, valevole solo per mascherare la sua acredine contro i “mille ideali statali che si riconoscono nelle mille vittime”.
libri
Immagini di Gesù Cristo nel cristianesimo primitivo di LORENZO GILARDI
Edoardo Scognamiglio, Immagini di Gesù Cristo nel cristianesimo primitivo, Cinisello Balsamo (Milano), San Paolo, 2014, 142, 14,00 euro L’autore, padre francescano conventuale, docente di Teologia dogmatica e di Dialogo interreligioso, ha pubblicato numerosi studi di ricerca teologica. In questo piccolo ma denso libro presenta una sintesi delle questioni che la riflessione teologica ha dovuto affrontare nei primi secoli del cristianesimo per salvaguardare la rivelazione in un contesto di conflitti e di persecuzioni. Questo approfondimento storico-dottrinale dell’evoluzione del dogma cristologico è integrato da un’attenzione al presente, alle istanze del dialogo con la cultura contemporanea e con le grandi religioni. In questo fecondo intreccio di prospettive, l’ autore mette in luce un elemento fondamentale della fede che non sempre è chiaramente affermato: l’esistenza di una «unica storia della rivelazione», del dialogo tra Dio e l’uomo; storia che ha in Cristo la sua pienezza e il suo compimento, e in cui tutte le storie delle religioni e delle culture trovano il loro senso ultimo e il criterio di discernimento. Il libro si compone di tre parti, che costituiscono come tre momenti di un’unica dinamica elaborativa. Nella prima vengono esposte le categorie fondamentali che hanno permesso il passaggio dai generi letterari degli autori del Nuovo Testamento alla sistemazione autorevole e vincolante della comunità cristiana. Vengono presentate e spiegate otto categorie teologiche o premesse: il kerygma, racconto della morte e risurrezione di Cristo; la tradizione viva, regula fidei della comunità battesimale e liturgica; il depositum fidei, da accogliere e conservare con buona fede; la storia, luogo teologico in cui appaiono i segni della presenza di Dio; la continuità e discontinuità con Israele; la realtà della parusia; la considerazione della ratio; e infine la presenza dello Spirito nelle testimonianze dei martiri e dei santi. Nella seconda parte viene presentata la teologia del Logos di alcuni Padri della Chiesa: Giustino, il quale sostiene che il Logos divino è in ogni uomo e cresce
con la fedeltà alla verità e all’amore; Clemente d’Alessandria, per il quale esiste un unico piano di salvezza che si esprime nei semi di bontà e di verità presenti nelle culture dell’umanità: semi che giungono a maturazione con l’accoglienza del Vangelo; Ireneo di Lione, per il quale dalla creazione alla parusia esiste un’unica storia della salvezza, che ha il centro nell’Incarnazione del Logos. Dopo aver messo in luce la possibilità di interpretazioni eterodosse, nella terza parte l’Autore espone il lungo processo conciliare di definizione del dogma e il metodo teologico seguito: «La teologia si fa ermeneutica e, in caso di dottrine fuorvianti, l’ermeneutica pretende il riconoscimento dello statuto teologico» (p. 89). Vengono illustrati brevemente i risultati dei concili di Nicea, con l’affermazione dell’essere di Cristo «dalla sostanza del Padre» e «della stessa sostanza»; di Efeso, in cui si afferma che il Verbo ha assunto carne umana, senza però che venga chiarita l’unione ipostatica delle due nature nella persona divina; di Calcedonia, in cui si approfondisce la dottrina di Efeso, ma non la si espli90
I SANTI DELLA MISERICORDIA. ITINERARI A ROMA E DINTORNI I santi della misericordia. Itinerari a Roma e dintorni Testi di Laura Badaracchi - foto di Stefano Dal Pozzolo Prefazione del cardinale Pietro Parolin edizioni Ecra, pp. 160, euro 14,00 Nel corso dei secoli a Roma sono vissuti molti santi che hanno incarnato il Vangelo della misericordia. Di questo passaggio o della venerazione nei loro confronti restano tracce in chiese, tombe, musei, stanze da scoprire o riscoprire. La Guida ai santi della misericordia suggerisce percorsi alternativi ai pellegrini nella Citta� eterna e dintorni, arricchiti da foto e spunti di meditazione sulla spiritualita� di Francesco d’Assisi e Ignazio di Loyola, Faustina Kowalska e Antonietta Meo, Filippo Neri e Camillo de Lellis, Rita e Brigida, Agostino e Alfonso, Benedetto e Scolastica, Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, i martiri Paolo, Bartolomeo, Lorenzo, Agnese, Cecilia, Cristina e molti altri. Perché un libro sui santi della misericordia? Perché la Roma cristiana, nella sua storia di fede bimillenaria, ha visto calpestare vicoli e sampietrini da credenti che hanno abbracciato con gioia il Vangelo e lo hanno vissuto concretamente. Di questo passaggio restano tracce ancora visibili in molte chiese, tombe, musei, stanze da scoprire o riscoprire insieme alla spiritualità “incarnata” di queste figure più o meno note e venerate. Questa Guida, pensata proprio in occasione del Giubileo della misericordia, propone alcuni percorsi spirituali e tappe alternative al classico pellegrinaggio nella Città eterna e dintorni. Un autentico itinerario alla scoperta della misericordia, dunque, sui passi di chi l’ha messa in pratica. Un agile strumento – ricco di informazioni, foto, curiosità – per i pellegrini e anche per chi è affascinato da uomini e donne che hanno fatto la storia, non solo del cristianesimo. Perché, come ricorda papa Bergoglio nella Bolla d’indizione dell’Anno santo straordinario, la misericordia di Dio «non è un’idea astratta, ma una realtà concreta». Come ricorda nella prefazione il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato di Sua Santità papa Francesco, «la misericordia non è “buonismo”, semplicemente perché non è opera nostra. I santi conoscono per esperienza diretta questa verità e l’hanno testimoniata con la vita; hanno compreso nei fatti che la misericordia di Dio è luce di amore e tenerezza, portatrice intrinseca del Suo perdono. È la via privilegiata per favorire la comprensione tra le differenze e per far scaturire la pace dai conflitti. Non si tratta di buone intenzioni: nella loro carne viva i santi – uomini, donne, adolescenti e bambini, di cui si ripercorrono le vicende storiche e il cammino spirituale in queste pagine – hanno avuto lo sguardo mite di Cristo sulla realtà, sulle situazioni concrete, anzitutto sulle persone che hanno incrociato il loro cammino terreno».
In ogni capitolo: mini-bio del santo o della santa, alcune sue frasi sulla misericordia, la sua presenza a Roma, pillole d’arte, curiosità, informazioni, contatti.
cita ancora completamente. A questo riguardo, l’Autore fa notare che «lo sviluppo ontologico della cristologia segue lo stesso processo della fede, evolvendosi in un linguaggio sempre più cristallizzato» (p. 102). Il concetto di unione ipostatica è stato poi definito a Costantinopoli nel 553. Il percorso dell’A. si conclude con la semantica teologica dei termini «persona» e «natura», che hanno avuto un ruolo determinante nella cristologia e nella teologia
trinitaria. Risalendo nella storia, padre Scognamiglio presenta l’interpretazione tomista dei due termini, che è diventata comune nel linguaggio ecclesiale: «Persona significa quanto di più nobile c’è in tutto l’universo, cioè il sussistente di natura razionale» (p. 119). Questo libro si fa apprezzare per la serietà con cui vengono trattati i temi e per la chiarezza dell’esposizione, ed è rivolto soprattutto agli studiosi della teologia e della storia della filosofia.
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libri
Anno della Misericordia e sacramenti
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lla luce dell'Anno della Misericordia che ci apprestiamo a celebrare, spero che tutti i sacramenti possano essere oggetto di studio e di approfondimento in ogni realtà parrocchiale e conventuale. Padre Giacomo Verrengia con quest'ultima pubblicazione, ci aiuta a riflettere in modo semplice ma efficace sul grande dono del Battesimo, dell'Eucaristia, della Cresima, della Penitenza, dell'Unzione, del Matrimonio e dell'Ordine sacro. La grazia di Cristo, il dono dello Spirito, la stessa carità e il bene comune passano per questa via privilegiata rappresentata dalla vita sacramentale della Chiesa. Tuttavia, resta aperta una domanda: "Ci crediamo veramente?". Papa Francesco pone questo interrogativo; «Qual è il nostro atteggiamento di fronte a questi doni [...]? Spesso siamo troppo aridi, indifferenti, distaccati e invece di trasmettere fraternità, trasmettiamo malumore, freddezza, egoismo. E con malumore, freddezza, egoismo non si può far crescere la Chiesa; la Chiesa cresce sol-
tanto con l'amore che viene dallo Spirito Santo. Il Signore ci invita ad aprirci alla comunione con lui, -nei sacramenti, nei carismi e nella carità, per vivere in maniera degna della nostra vocazione cristiana!». EDOARDO SCOGNAMIGLIO
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E V E N T I 2015
Madrid, 10 novembre incontro CIMP Napoli, 3 dicembre, Lectio Divina
Maddaloni, 8 dicembre 2015 Messa con Il padre vescovo di Caserta Giovanni D’Alise per la solennità della dell’Immacolta
Aversa, 5 dicembre, Serata di evangelizzazione
Maddaloni, novembre attività al Centro Studi Francescani Benevento, incontro con i postulanti
Maddaloni, ottobre 2015 Partecipazione al Corso di Yoga organizzato dal Centro Studi Francescani
Npoli, 12 dicembre, Apertura porta santa
Maddaloni, dicembre 2015 Partecipazione al Forum sulla Città organizzato dal Centro Studi Francescani
Portici, 28 novembre Ritiro di Avvento