Numero 1/2011 - Trimestrale - Poste Italiane S.p.a. - Spedizione in abbonamento postale - D.L.353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 2 - CNS/CBPA/sud/BENEVENTO/109/2007
Luce Serafica
Il Natale festa dell’umanità
Spirituale o materiale?
Una sola famiglia
L’ora dei fatti
Assisi nuovo incontro
L’Epifania del Signore
Editoriale
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Numero 1/2011 - Trimestrale - Poste Italiane S.p.a. - Spedizione in abbonamento postale - D.L.353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 2 - CNS/CBPA/sud/BENEVENTO/109/2007
Sommario 1/2011 Editoriale di Edoardo Scognamiglio Finestra sul mondo di Felice Autieri Voci di Chiesa La redazione Famiglia oggi di Gianfranco Grieco Psicologia di Caterina Crispo Orizzonte giovani di Luciano Pugliese Dialogo di Edoardo Scognamiglio Missioni di Giambattista Buonamano Dabar di Carmine Vitale Pastorale di Antonio Vetrano Liturgia di Giuseppe Falanga Formazione di Simone Schiavone Cultura e società di Vincenzo Picazio Vocazione di Alfredo Avallone Asterischi francescani di Orlando Todisco Spiritualità di Raffaele di Muro Arte di Paolo D’Alessandro Mass-Media di Giuseppe Cappello Eventi La redazione Sport La redazione Cinema di Giuseppina Costantino In book La redazione Fumetti La redazione
Il Natale, la festa dell’umanità
Luce Serafica
Il Natale festa dell’umanità
Spirituale o materiale?
Una sola famiglia
L’ora dei fatti
Assisi nuovo incontro
L’Epifania del Signore
Luce Serafica Periodico francescano del Mezzogiorno d’Italia dei Frati Minori Conventuali della Provincia Napoletana Autorizzazione del Tribunale di Benevento n. 3 del 24/04/2006 Anno VII – n. 1/2011
Abbonamento annuale 20 euro. CCP: 15576804, intestato a Luce Serafica, Periodico francescano, Convento S. Lorenzo Maggiore – Via Tribunali, 316 – 80138 Napoli Direttore Responsabile Raffaele Di Muro Direttore Paolo D’Alessandro E-mail: pdart@libero.it 3
Cari lettori, buon Natale! Gesù, il Verbo della vita, è il Figlio di Dio. Egli è venuto in mezzo a noi per rivelarci il volto del Padre (cf. Gv 14,9) e per donare luce all’umanità. Il Natale è la festa della vita: perché Dio condivide le nostre fragilità e riempie di gioia e di speranza tutto quello che facciamo e siamo. Il Natale è, altresì, l’incontro con quel Dio che si fa debole perché Onnipotente e Santo, Creatore e Redentore. Ritorniamo all’essenziale, alle cose che contano: l’amore, la comunione, l’amicizia, la gioia, la verità, i rapporti autentici, la famiglia, la vita spirituale. Alla luce della grande crisi culturale ed economica, politica e sociale, che stiamo vivendo, non possiamo non ritornare all’essenziale: Dio-uomo. La presenza dell’Emmanuele ci libera dalla cultura dell’effimero e dell’immanenza e ci garantisce un grande futuro: essere in comunione con il Padre. Questa comunione è sì, dono, ma anche impegno, cioè frutto di una fede che pratica la giustizia, che cerca la via della solidarietà e del perdono, che segue i percorsi di riconciliazione e di condivisione. Meno luci, dunque, a Natale, e più Luce: lasciamo che il Verbo venuto nella carne – carne di Dio – illumini non solo le coscienze e i cuori, ma altresì le nostre famiglie, le comunità, le città, le nostre relazioni, ogni abitante del mondo… Il Natale è la festa dell’umanità tutta accolta e redenta in Cristo, fasciata e nutrita dal nostro impegno, dall’amore per i fratelli, finanche per i nemici... Nell’augurarci un buon anno, proviamo a riflettere con maggior spirito critico sul senso cristiano del Natale e dell’amore verso il prossimo. Ci sia per noi un tempo di pace e di fratellanza universale! Edoardo Scognamiglio
FINESTRA SUL MONDO di Felice Autieri
Natale “spirituale” o “materiale” Il mese di novembre con la sua umidità, le sue piogge e il suo freddo ci fa capire che l’inverno non è più una possibilità, ma una realtà. Lentamente ci avviciniamo al mese di dicembre con le due celebrazioni liturgiche quali quella dell’Immacolata e del Santo Natale. Per chi come me inizia ad avere la sua età, i ricordi vanno indietro all’infanzia e all’adolescenza, quando i primi giorni di dicembre ci facevano presagire il periodo delle vacanze natalizie e la possibilità di gustare in pienezza, con la famiglia e gli amici, il Natale. In genere, da bravi meridionali, siamo ancora legati alle nostre belle “tradizioni” e a quella meravigliosa convivialità che porto con me come tra i ricordi più belli degli anni che furono. Con il Natale, e gli aspetti più familiari di questa ricorrenza, potremmo soffermarci sullo stantìo discorso circa il contrasto tra l’evidente consumismo e il significato più prettamente religioso della celebrazione del Natale. Sinceramente non so a cosa questo possa servire. Infatti, si suppone che chi chieda l’abbonamento a una rivista a carattere religioso, per certi valori, questi temi siano stati già ampiamente dibattuti o maturati nel proprio percorso umano e spirituale. Pertanto ritengo di andare oltre, e ripartire da un Natale in cui possiamo essere testimoni autentici di che cosa significa per me, per la mia vita, che nasce Gesù, senza tante parole e senza eccessivo rumore. Non dimentichiamo che nelle rappresentazioni più tradizionali, il bambinello e la presenza di S. Giu-
seppe e della Vergine Maria sono silenziosi, non fanno rumore, eppure la Sacra famiglia è ancora capace con i suoi apparenti silenzi di far emergere dal nostro cuore la parte più vera e sincera di noi. Allora, più che creare nei nostri cuori e intorno a noi la classica divisione tra il Natale “spirituale” e “materiale”, preghiamo Gesù che nasce affinché ci doni la grazia della gioiosa testimonianza tra i nostri familiari, tra i nostri amici, tra i colleghi di lavoro, di un Natale “religioso”, quello autenticamente vero: perché non sia una semplice “tradizione”, così come molti cattolici da sempre sono abituati a celebrare o vivere secondo le ben note modalità. Per noi la celebrazione del Natale, pur con i suoi meravigliosi risvolti umani della festività, di4
venta l’inno di gioia al bambino Gesù che nasce: Dio si è incarnato in questa nostra storia. Noi stiamo parlando di Gesù, il figlio di Dio, ovvero di Colui che ha parlato e sa parlare al mio cuore e mi dona la speranza fondata non su dimensioni umane, ma sulla volontà di Dio che attraverso suo Figlio mi annuncia in modo chiaro, senza mezzi termini, che se voglio nulla è più come prima e che l’Amore di Dio attraverso suo Figlio è capace di parlare alla mia vita, a quello che sono e a quello che faccio, che vivo oggi. Auguri! Preghiamo che il Signore ci dia sempre questa certezza non soltanto in queste festività natalizie, ma per tutto l’anno nelle diverse situazioni che possiamo vivere, che Gesù è questo è l’Emmanuele, il Dio fedele, che resta sempre con noi.
VOCI DI CHIESA La redazione
Una sola famiglia umana È questo il titolo del messaggio di papa Benedetto XVI per la giornata mondiale del migrante e del rifugiato del 2011. Tale giornata è un’occasione per riflettere su un tema legato al crescente fenomeno della migrazione, di pregare affinché i cuori si aprano all’accoglienza cristiana e di operare perché crescano nel mondo la giustizia e la carità, colonne per la costruzione di una pace autentica e duratura. “Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34) è l’invito che il Signore ci rivolge con forza e ci rinnova costantemente: se il Padre ci chiama ad essere figli amati nel suo Figlio prediletto, ci chiama anche a riconoscerci tutti come fratelli in Cristo. Scrive papa Benedetto: «Da questo legame profondo tra tutti gli esseri umani nasce il tema che ho scelto quest’anno per la nostra riflessione: “Una sola famiglia umana”, una sola famiglia di fratelli e sorelle in società che si fanno sempre più multietniche
e interculturali, dove anche le persone di varie religioni sono spinte al dialogo, perché si possa trovare una serena e fruttuosa convivenza nel rispetto delle legittime differenze. Il Concilio Vaticano II afferma che “tutti i popoli costituiscono una sola comunità. Essi hanno una sola origine poiché Dio ha fatto abitare l’intero genere umano su tutta la faccia della terra (cf. At 17,26); essi hanno anche un solo fine ultimo, Dio, del quale la provvidenza, la testimonianza di bontà e il disegno di salvezza si estendono a tutti” (NA 1). Così, noi “non viviamo gli uni accanto agli altri per caso; stiamo tutti percorrendo uno stesso cammino come uomini e quindi come fratelli e sorelle” (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2008, 6). La strada è la stessa, quella della vita, ma le situazioni che attraversiamo in questo percorso sono diverse: molti devono affrontare la difficile esperienza della migrazione, nelle sue di-
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verse espressioni: interne o internazionali, permanenti o stagionali, economiche o politiche, volontarie o forzate. In vari casi la partenza dal proprio Paese è spinta da diverse forme di persecuzione, così che la fuga diventa necessaria». Nel suo messaggio, papa Benedetto sottolinea il fenomeno della globalizzazione quale caratteristica della nostra epoca: non è solo un processo socio-economico, ma comporta anche un’umanità che diviene sempre più interconnessa, superando confini geografici e culturali. A questo proposito, la Chiesa non cessa di ricordare che il senso profondo di questo processo epocale e il suo criterio etico fondamentale sono dati proprio dall’unità della famiglia umana e dal suo sviluppo nel bene. «Alla luce del tema “Una sola famiglia umana”, va considerata specificamente la situazione dei rifugiati e degli altri migranti forzati, che sono una parte rilevante del fenomeno migratorio. Nei confronti di queste persone, che fuggono da violenze e persecuzioni, la Comunità internazionale ha assunto impegni precisi. Il rispetto dei loro diritti, come pure delle giuste preoccupazioni per la sicurezza e la coesione sociale, favoriscono una convivenza stabile e armoniosa. Anche nel caso dei migranti forzati la solidarietà si alimenta alla “riserva” di amore che nasce dal considerarci una sola famiglia umana e, per i fedeli cattolici, membri del Corpo mistico di Cristo: ci troviamo infatti a dipendere gli uni dagli altri, tutti responsabili dei fratelli e delle sorelle in umanità e, per chi crede, nella fede».
FAMIGLIA OGGI di Gianfranco Grieco
Adesso è l’ora dei fatti «Adesso è l’ora dei fatti». È stato questo lo slogan coniato a conclusione dei lavori della Conferenza Nazionale della Famiglia, svoltasi a Milano nei giorni 8-9-10 novembre 2010. Le migliaia di aderenti alle associazioni scese in campo, hanno ribadito come il tempo delle verifiche si sia concluso ed è giunto il tempo di agire. Il bilancio e l’appello delle aggregazioni familiari riunite nel Forum hanno parlato chiaro: «Bene i contenuti dei tre giorni di Milano, ma le richieste siano messe in pratica». Più flessibilità nel lavoro, riforma fiscale, educazione, consultori, inclusione, sostegno a chi si misura con la disabilità, minori, affido, immigrati, media: queste le sfide del prossimo futuro. I punti fermi sono stati tanti. Primo fra tutti la famiglia entrata a pieno titolo nell’Agenda del Paese come «capitale sociale» e non come «costo». Nel comunicato il Forum che raccoglie oltre 40 associazioni familiari ha elencato con chiarezza i punti su cui ora bisogna impegnarsi e lavorare. Il più urgente è la riforma del fisco in chiave familiare. Sul fattore Famiglia – ha detto il presidente del Forum Francesco Belletti – «chiediamo un tempestivo dibattito e scelte coerenti in tempi brevi».
Secondo punto: le politiche specificamente familiari devono essere mirate alla promozione dei nuclei socialmente responsabili. «La famiglia dell’art. 29 della Costituzione italiana - ha sostenuto il Forum - consente di garantire e di promuovere la cittadinanza attiva delle famiglie». Due sono state le richieste fondamentali: «finanziare il Fondo per la non autosufficienza, sostenendo così in modo mirato le famiglie con carichi assistenziali; e una rapida definizione a livello nazionale dei livelli essenziali delle prestazioni per sostenere il federalismo fiscale con scelte nazionali di garanzia». Ha precisato ancora Belletti: «Chiediamo che si proceda rapidamente alla stesura del patto nazionale di politiche per la famiglia a partire dalla bozza elaborata dal Comitato scientifico della conferenza del Forum largamente condivisa, integrata dalle molte proposte emerse nel corso dei lavori». Un piano che «per essere credibile, ha però bisogno anche che siano definiti tempi certi, risorse certe per l’attuazione di quanto previsto, pur nella gradualità del medio periodo (3-5 anni) e chiarezza nelle priorità degli obiettivi».
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PSICOLOGIA di Caterina Crispo
La crisi dei bambini: non solo angoscia
Le crisi d’angoscia sono una normale fase della vita di un bambino, nella quale il piccolo sperimenta la paura di staccarsi dalla madre. E il sonno diventa un distacco per lui angosciante. Si tratta di una normale fase della vita di un lattante, nella quale il piccolo sperimenta la paura di staccarsi dalla madre. Si chiamano anche crisi dell’ottavo mese perché all’incirca verso questa età (ma anche prima, come si vede) il lattante mostra i segni di una paura che prima non aveva: - non sorride più con gli estranei; - piange quando il pediatra lo visita; - si fa più fatica a fargli prendere sonno; - si sveglia più volte durante la notte e non vuole riaddormentarsi (e le prova tutte per stare sveglio: piange, vuole giocare, cerca da mangiare o da bere). Perché fa così? Secondo Spitz, lo psicologo infantile che per primo ha studiato l’argomento, è perché ha individuato nella madre l’og-
getto del suo amore e non vuole perderla; si calmerà quando imparerà che tutto ciò da cui si stacca addormentandosi lo ritroverà al mattino al risveglio. Ma ci vuole tempo e pazienza! Una cosa è sicuramente utile: la routine. Essere abitudinari negli orari, fare sempre le stesse cose prima di addormentarlo (es., bagnetto, fiaba, passeggiata, coccole), evitare giochi troppo agitati alla sera (che invece è il momento in cui il papà lo strapazza di più), sono tutte cose che aiutano a passare una notte più tranquilla. Altro fenomeno diffuso nei primi tre anni di vita del neonato è quello delle crisi nervose. I bambini vivono una fase evolutiva caratterizzata dallo sperimentare i limiti e le differenze fra sé e l’ambiente; è una sorta di sfida che mettono in pratica nei loro comportamenti al fine di provare e consapevolizzare a che punto esiste il limite tra il Sé e il non Sé. È una fase di crescita importantis-
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sima, in cui dalla dipendenza quasi totale dall’adulto di riferimento (in genere la mamma e il papà) tendono ad essere indipendenti, nei pensieri, nelle emozioni e nei comportamenti. La sicurezza che l’adulto sia presente, anche senza vederlo, è un passo necessario per promuovere lo sviluppo dell’autonomia e della fiducia in sé e nell’altro. Questi elementi ci aiutano a capire perché un bambino, nel momento del capriccio, pur tendendo a rifiutare il contatto di mamma e papà, nel contempo cerca la sicurezza e la cura delle stesse figure da cui si distacca. Se, in altri termini, il bimbo, mentre la allontana subito dopo chiede la presenza di un genitore, è bene assecondarlo: sarà in altri momenti e con modalità diverse, come il racconto di una fiaba tema, un disegno parlato o un cartone, che aiuterà il bambino a interiorizzare positivamente il passaggio dalla fase della dipendenza a quella dell’autonomia. Occorre rispettare il ritmo personale del bambino. Le crisi notturne del bambino, che magari desidera ancora dormire con i genitori, non devono spaventare: sono fisiologiche, così come quelle del sonno e dei comportamenti.
ORIZZONTE GIOVANI di Luciano Pugliese
«Il Signore mi donò dei fratelli» Il Convegno nazionale per i formatori araldini Grande attesa ma grande è stata anche l’esperienza vissuta a Monopoli dal 5 al 7 Novembre 2010 per il Convegno per formatori araldini (oltre 200 gli animatori presenti e un buon numero di frati). Il tema del corso è stato Uno sguardo...così? Questo corso è uno degli appuntamenti più importanti per la crescita degli animatori degli araldini della famiglia francescana di tutta Italia, ed è stato anche occasione di riflessione sul proprio personale cammino di fede e sul proprio servizio fondato sull’inesauribile voglia di testimoniare ai più piccoli la grande esperienza d’Amore vissuta in Cristo. In questi giorni è stato presentato il nuovo testo formativo per animatori araldini dell’anno fraterno 2010-2011. Il week-end si è aperto con la consueta cena tipica del venerdì sera con i prodotti offerti da ogni regione d’Italia. Ad aprire il convegno sono stati i saluti del Delegato Nazionale Gifra per l’Araldinato, Michele Santoro, seguiti dalla presentazione del sussidio Missione...Creazione che ha come tema il Cantico delle Creature del serafico padre San Francesco. Per quest’anno gli araldini sono chiamati ad azionare la missione in favore di ogni creatura seguendo passo dopo passo l’esempio di Francesco e l'Amore del nostro Creatore. Il giorno successivo, dopo la celebrazione eucaristica, guidati da fra Arcangelo Devanna, frate cappuccino, abbiamo fatto un’esperienza straoridinaria. Gli animatori hanno poi partecipato a un momento dinamico-formativo alla ricerca degli ostacoli che impediscono ai nostri cuori di essere completamente liberi. Partendo dal brano del Vangelo di Marco del giovane ricco (Mc 10,17-22), hanno im-
parato quanto sia importante l’ascolto del fratello ponendo Gesù Cristo come esempio per le proprie vite, amando come lui ama e non stancandosi mai di portare la propria testimonianza. Gli animatori hanno poi cercato di delineare la figura del buon formatore sull’esempio di Madre Teresa di Calcutta che insegna a offrirci come matita nelle mani di Dio: Lui pensa, Lui scrive, attraverso le nostre persone. Nel pomeriggio abbiamo vissuto il secondo momento dinamico-formativo, nel quale i ragazzi hanno avuto la possibilità di confrontarsi con problematiche che spesso si presentano nei gruppi, e riflettere su come affrontarli e superarli. A seguire la veglia di preghiera presieduta da fra Gianfranco Pasquariello che ha focalizzato l’attenzione sul compito dell’animatore che deve essere capace di annunciare Dio custodendo coloro i quali Lui ci affida e dando loro l’esempio con il coraggio e la forza che solo il Signore può darci. A fine giornata le fraternità della Campania hanno organizzato una serata d’animazione giocando tutti insieme ad Araldopoli. L’ultimo giorno di corso è stato aperto dalla celebrazone eucaristica domenicale ed è proseguito con un deserto attivo: si è lavorato con dei veri e propri laboratori con lo scopo di cacciare fuori le paure di ogni animatore grazie a diverse attività manuali (pittura, scultura, foto, poesia, ecc…). Alla fine, con il proprio lavoro creativo realizzato, si è allestita una semplice ma interessantissima, bella ed emozionante mostra. “Se provi a volare ti accorgi che qualche stella sta lì per te e sfiorandola sei più libero, sei più libero. E corri, dai tutto per essere fino in fondo quello che sei”.
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www.gifracampaniabasilicata.org 8
DIALOGO di Edoardo Scognamiglio
Assisi nuovo incontro: il dialogo tra cristiani e musulmani Si è svolto ad Assisi, lo scorso 16 ottobre 2010, l’incontro per il dialogo tra cristiani e musulmani, sulle orme di Francesco, il Poverello, che si recò dal sultano d’Egitto in segno di amicizia e di fratellanza. L’evento è stato preparato dal Cefid diretto da fra Silvestro Bejan e dal Centro Studi Francescani di Maddaloni, con la partecipazione dei musulmani della Coreis e di alti esponenti della Giordania. Il custode del Sacro Convento, p. Giuseppe Piemontese, ha salutato i partecipanti alla giornata del dialogo islamocristiano richiamando la spiritualità di san Francesco e la sua disponibilità ad accogliere ogni uomo nel nome di Gesù Cristo. L’anziano Abd alWahid Pallavicini ha sottolineato l’importanza dei temi comuni che cristiani e musulmani devono riscoprire, tra cui l’unicità di Dio, l’amore per il prossimo e la santità. L’ambasciatrice di Giordania ha sottolineato la forte amicizia che lega cristiani e musulmani nella propria terra. Più volte è riemerso nei dialoghi il bisogno di far rispettare la libertà religiosa. Una religione è credibile nella misura in cui lascia liberi i propri adepti. Interessante la relazione storica del professore Marioli che ha evidenziato l’originalità di Francesco nel tentare di aprire un corridoio in Terra Santa affinché i pellegrini potessero visitare i luoghi di Cristo senza spargimento di sangue.
2. Un passo in avanti Assisi ha fatto fare alla Chiesa uno straordinario balzo in avanti verso le religioni non cristiane che ci apparivano vivere fino a quel momento in un altro pianeta nonostante l’insegnamento di Papa Paolo VI (nella sua prima enciclica «Ecclesiam suam») e del Concilio Vaticano II (la dichiarazione «Nostra aetate»). L’incontro, se non addirittura lo scontro delle religioni, è senza dubbio una delle sfide più grandi della nostra epoca, ancora più grande di quella dell’ateismo. Non ritorno mai da certi Paesi a prevalenza musulmana, buddista o induista, senza chiedermi con intensità: che cosa ha voluto fare Dio con Gesù Cristo quando vedo il cristianesimo così diminuito o anzi sempre più diminuire in proporzione, in un continente in piena esplosione demografica come l’Asia? Un tale interrogativo è salutare, poiché riguarda la questione fondamentale della salvezza; essa è la punta di diamante che santifica e fortifica le nostre ragioni di essere cristiani. Assisi è stato il simbolo, la realizzazione di ciò che deve essere il compito della Chiesa, per vocazione propria in un mondo in stato flagrante di pluralismo religioso: professare l’unità del mistero della salvezza in Gesù Cristo. Soffermandosi sul mistero di unità della famiglia umana fondato al tempo stesso sulla creazione e sulla redenzione in Gesù Cristo, Giovanni Paolo II disse: «Le differenze sono un elemento meno importante rispetto all’unità che, al contrario, è radicale, fondamentale e determinante». Assisi ha permesso, così, a uomini e a donne di testimoniare un’esperienza autentica di Dio nel cuore delle loro religioni. È con questo “Spirito” che è stato celebrato l’incontro per il dialogo tra cristiani e musulmani.
1. Nel ricordo dello “Spirito di Assisi” Il dialogo tra cristiani e musulmani avviene non solo in ambito accademico ma anche attraverso l’incontro di persone e comunità che cercano di condividere gli stessi ideali e medesimi valori. La giornata si è svolta nel ricordo dello “Spirito di Assisi” che vide, per iniziativa di Giovanni Paolo II, il 27 ottobre 1986, riuniti ad Assisi la maggior parte dei rappresentanti delle religioni per pregare per la pace. Dal 27 ottobre 1986 questo «Spirito» si è diffuso un po’ ovunque, conserva la forza viva del momento in cui si è scaturito. Quando, alla fine di una grigia mattinata, l’arcobaleno è apparso nel cielo di Assisi, i capi religiosi riuniti dall’audacia profetica di uno di essi, Giovanni Paolo II, vi hanno scorto un richiamo pressante alla vita fraterna: nessuno poteva più dubitare che la preghiera avesse provocato quel segno manifesto dell’intesa tra Dio e i discendenti di Noè.
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MISSIONI di Gianbattista Buonamano
La Missione filippina del Beato Bonaventura Il Paese delle meraviglie Sorvolando la baia di Manila, l’immensa metropoli (12 milioni di abitanti!) si mostra con tutto il suo fascino maliardo e contraddittorio. Adagiata tra il mare e una vasta laguna, l’orizzonte coronato da colline, sfoggia, orgogliosa, i suoi grattacieli, la skyway, le città-mercato, mentre non riesce a nascondere la vergogna delle ampie baraccopoli e del liquamoso fiume che l’attraversa, unendo la laguna al mare. All’aeroporto una folla di gente aspetta l’arrivo di qualche congiunto. Durante il tragitto osservo, come le altre volte, ciò che scorre davanti ai miei occhi. I jeepneys: variopinti mezzi di trasporto pubblico. Modello di vecchie jeep lasciate dall’esercito americano, dopo la seconda guerra mondiale, trasformate, allungate, dipinte dalla fantasia dei Filippini. I passeggeri si accalcano all’unica entrata posteriore e tutti trovano posto, perfino sui paraurti, aggrappati non si sa a che cosa.. I tricycles, motocarrozzette che scorrazzano ogni dove, si contano fino a dieci persone, accomodati, si fa per dire, su un solo tricycle. Che dire dei bus? Rombanti, strombazzanti, imbellettati di freschi colori, in realtà vecchi e pericolosi, sfrecciano nel grande traffico della capitale. Manila è una città rumorosa dove convivono ricchezza ed estrema povertà. Il caldo è devastante. Nel centro storico, Intramuros, sussistono ancora resti dell’architettura spagnola coloniale. Nelle altre zone hanno preso il sopravvento le costruzioni moderne in stile americano. Quartiere degli affari, elegante e residenziale, Makati
raggruppa bar, locali notturni e ristoranti di ogni genere. Ma è anche la Città dei bassifondi, rifugio dei poveri disperati, gente che non ha niente, tanti bambini malnutriti, tanti giovani che si dibattono nell’ignoranza, nell’abbandono spesso nella violenza. I centri commerciali,“santuari” del consumismo di Metro Manila, creano uno scioccante contrasto con ciò che si vede nelle baraccopoli: ovunque aria condizionata, negozi, di alta moda, ristoranti di ogni nazionalità, anche italiana, supermercati con ogni bene, sale cinematografiche, saloni di bellezza. Anche in Italia si vedono cose simili! È il consumismo esasperato. Nelle Filippine si fa “scuola” di consumismo: nel giro di pochi chilometri si incontrano diversi di questi “mostri” del consumismo. Una folla si aggira ovunque. Sono le stridenti contraddizioni che si osservano e ti lasciano alquanto sconvolto. La scena cambia quando si entra in una baraccopoli. Nelle baraccopoli o “squatter area” Appena si entra in un villaggio, un nuvolo di bambini ti assalta tra grida festose e cerca la mano del padre e la porta alla propria fronte in segno di rispetto, saluto, richiesta di benedizione. I maschietti sono quasi tutti a torso nudo e scalzi, i più piccoli completamente nudi. Le bambine con poveri vestitini ma puliti. Impressionante lo scenario: baracche appoggiate le une alle altre, quattro pezzi di compensato, cartoni, lamiere arrugginite per tetto, stretti sentieri, rigagnoli di liquami puzzolenti, da piccole finestre 10
o porte si affacciano uno, due, tre … cinque volti. Un sorriso, un saluto. I filippini sorridono sempre. In ogni tugurio, 8/10 mq, una, due famiglie: 10/15 persone. Quando si intravede un ruscello, in realtà è una fogna a cielo aperto. Un ingegnoso, quanto precario, sistema di palafitte e ponticelli rende abitabile quella bolgia infernale. Qua e là capannelli di persone intenti a giocare d’azzardo. Qualche uomo accarezza con insistenza un gallo, che tiene in braccio. Un gruppetto incita due galli al combattimento. Sono queste le “squatter area”. Sono terre demaniali, occupate abusivamente da gente proveniente dalle province, emigrazione interna, in cerca di “fortuna” nella metropoli. Il fenomeno dell’inurbamento, moltiplica problemi, senza risolverne uno. L’incremento della popolazione della capitale ha cifre esponenziali. La povertà diventa miseria: si cerca di sopravvivere. In una di queste aree, della parrocchia di S. Agostino, un pomeriggio caldissimo, abbiamo celebrato la S. Messa (street Mass). In questa area è iniziato anche è il “feeding progamme”, programma nutrizionale per bambini. Dove la speranza non muore Gesù andava attorno per tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, predicando il vangelo del
regno e curando ogni malattia e infermità. Vedendo le folle ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore (Mt 9,35-37). Guardando la realtà, appena sopra descritta, mi sono ritornate alla mente l’atteggiamento di Gesù, “ebbe compassione”, cioè dimostrò tutta la sua tenerezza, compassione e prossimità. Sono sicuramente questi i motivi per cui non si resta inermi a guardare ma a realizzare opere e progetti di promozione degli ultimi… Centri per street children; Centri per ragazzine abusate sessualmente e per ragazze madri… Di bambini di strada, nella metropoli se ne contano diverse migliaia. Si dice addirittura 50.000. Li trovi ovunque. Vivono, meglio dire sopravvivono, di espedienti, organizzati in piccole bande. Passano le notti, umide, spesso piovose, sui marciapiedi, cercano di ripararsi con cartoni. Di giorno si disperdono per le vie, in cerca di fortuna. Nelle Filippine si stimano esserci più di 6 milioni di bambini malnutriti, al punto da poter compromettere la loro salute e da danneggiare persino le capacità mentali. Secondo una recente indagine, il 66% dei bambini sotto i 6 anni non gode di alcuna forma di assistenza e oltre 200mila vivono nelle strade “esposti a influenze negative”.
Una triste realtà Secondo l’Unicef, almeno 60mila sono vulnerabili ad abusi e sfruttamento sessuale, il 10%-15% dei crimini sessuali contro i bambini commessi nel Paese sono perpetrati da stranieri. La maggior parte dei turisti sessuali che si recano nelle Filippine è giapponese, sudcoreana, statunitense, australiana, inglese, tedesca e di altri Paesi europei. Secondo stime affidabili, nelle Filippine le prostitute sono 300.000-500.000, delle quali 75.000100.000 sono minorenni. Le Filippine si collocano, quindi, al quarto posto nel mondo per la prostituzione dei bambini. Le ragioni sono molteplici. A prescindere dalla richiesta dei turisti, c’è la disperata situazione finanziaria nella quale si trova la gente povera, resa più grave dalla crisi economica dell’Asia. Un numero sempre più elevato di bambini è costretto alla prostituzione per poter sopravvivere. La stampa ha persino riportato la notizia di bambini che si sono prostituiti per procurarsi acqua potabile pulita. C’è la convinzione largamente diffusa che i bambini contraggano l’infezione da virus HIV meno facilmente. Per i bambini le conseguenze possono essere fatali. Il loro sistema immunitario spesso è già indebolito dalla povertà e il rischio di infezione è particolarmente alto se sono forzati ad
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un rapporto sessuale con adulti poiché, oltre al danno mentale, essi subiscono gravi lesioni fisiche. La prostituzione è illegale nelle Filippine, primo paese asiatico a introdurre una legge contro l’abuso sessuale sui bambini. Chiunque costringa alla prostituzione o abusi di bambini di età inferiore ai 12 anni può essere punito con la reclusione fino a 30 anni o con la pena di morte. Impegno evangelico e umanitario Nei giorni di permanenza nella missione ho potuto visitare le case della missione, incontrare i frati e i giovani in formazione. Ho avuto la possibilità di vivere con loro alcuni momenti di vita fraterna e missionaria entrando in contatto con la realtà locale. Ho visto come nella difficile situazione sociale si inserisce l’impegno evangelico e umanitario dei nostri frati delle due parrocchie di S. Massimiliano e S. Agostino. Le due parrocchie comprendono due estese squatter area, dove si sta operando nel segno della solidarietà e della promozione umana. Nella Parrocchia di S. Massimiliano, a Novaliches, il Centro medico “St. Anthony Clinic” si occupa in particolare della prevenzione e cura della TBC. La tubercolosi (TBC) è una malattia curabile che però continua ad essere una delle cause principali di morte nelle Filippine.
DABAR di Carmine Vitale
Epifania del Signore «Siamo venuti per adorarlo» (Mt 2,2) I magi arrivarono a Betlemme perché si lasciarono docilmente guidare dalla stella. Essi, al vedere l’astro splendere, provarono una grandissima gioia. È la gioia di chi si mette in cammino come cercatore di verità e di bene. È la gioia di chi vuole scoprire il senso divino delle cose, della sua stessa vita. È la gioia di chi si lascia guidare da Dio. Epifania, festa della luce, del Mistero, della manifestazione del Signore nella sua gloria. I magi sembrano dirci, come vuole la tradizione cristiana orientale, “Non è la conoscenza che illumina il Mistero, ma è il Mistero che illumina la conoscenza”. 1. Lasciarsi guidare da Dio Lasciarsi guidare da Dio: è qui il segreto del Natale-Epifania, festa della Luce, della rivelazione di Dio. Quando si è consapevoli di essere condotti dal Signore, il cuore sperimenta una gioia immensa e una pace vera: da qui nasce il desiderio vivo di prostrarsi innanzi al bambino di Betlemme. Se in questo bambino, che Maria stringe fra le braccia, i magi riconoscono e adorano l’atteso delle genti annunziato dai profeti, noi oggi possiamo adorarlo nell’Eucaristia e riconoscerlo come nostro Creatore e Salvatore, unico Signore. I doni che i magi offrono al Messia simboleggiano la vera adorazione. Mediante l’oro, infatti, essi ne sottolineano la regale divinità. Con l’incenso, invece, i magi lo confessano quale sa-
cerdote della nuova alleanza. Infine, offrendogli la mirra, questi nobili d’Oriente celebrano il profeta che verserà il proprio sangue per riconciliare l’umanità con il Padre. Epifania, dunque, festa della Luce, del Dono: Cristo viene per noi, per la nostra salvezza. Tutto ciò che l’immaginario collettivo – nel tempo – ha riempito dell’Epifania con ricordi nostalgici, acquisti compulsivi per doni e regali, quasi creando una sorta di alone magico attorno al presepe e ai suoi personaggi, non fa altro che svilire il senso liturgico del Natale e dell’Epifania: due feste che trovano il loro significato solamente alla luce del Cristo crocifisso (messo a morte nella carne) e risorto (reso vivo nello spirito). È quanto ci ricorderà la liturgia di oggi nell’annunzio della pasqua: centro di tutto l’anno liturgico è il triduo del Signore crocifisso, sepolto e risorto. Nel Cristo, luce di tutti i popoli, Dio rivela al mondo il mistero della salvezza. 2. Rivestirsi di luce La prima lettura racchiude una carica profetica ad ampio raggio: la salvezza è annunciata a tutte le genti a partire da Gerusalemme, la città santa. Tutti i popoli sono in cammino verso la città della pace. Da qui l’invito rivolto dal profeta: “Alzati, rivèstiti di luce, perché viene la tua luce”. Ci troviamo nella terza parte del libro del profeta Isaia. L’orizzonte 12
storico è piuttosto quello palestinese anziché quello dell’esilio. L’interesse è centrato su Gerusalemme che si trova in uno stato miserevole, sprovvista del tempio, ma alla quale viene predetto un meraviglioso futuro. La ricostruzione del tempio incontra difficoltà. La comunità, rientrata dall’esilio, è in preda alla sfiducia e alla sconforto, e in più non mancano lotte intestine, nonché difficoltà di ordine morale e religioso. Vi sono alcuni giudei che praticano l’idolatria e dei capi del po-
polo che sono inetti e indifferenti. In questa parte della profezia di Isaia si insiste sull’osservanza della legge morale, si combatte il sincretismo religioso e la salvezza annunciata è ritardata dalle colpe della comunità.
L’odierno brano contiene un accenno importante alla gloria della nuova Gerusalemme: il futuro splendente del popolo eletto si realizza nell’oggi dell’annuncio. Domina l’immagine personificata di Gerusalemme: da qui l’invito rivoltole dal profeta a risorgere dalla sua misera condizione e a trasfigurarsi in una luce. In effetti, come un grande visionario, il profeta oppone l’immagine della squallida condizione del tempo immediatamente seguente al rimpatrio da Babilonia con la nuova visione del
futuro: Gerusalemme è avvolta dalla luce di Dio, dalla sua gloria, per divenire il centro universale della religione e punto d’incontro di tutti i popoli. La descrizione è altamente idealizzata e visionaria, ricca di ardite immagini e pervasa da un pathos irruente, fino a gettare uno sguardo sul futuro escatologico di Gerusalemme e a farne percepire la realizzazione nell’oggi. Si assiste a una vera e propria teofania: Jhwh viene a visitare con la sua gloria (kabod-doxa) la città devastata e le mura diroccate del tempio di Gerusalemme. Il profeta scorge improvvisamente, in visione, la Gerusalemme messianica, trasformata dalla presenza di Dio. Così, le antiche speranze trovano, in questa profezia, la loro pienezza e realizzazione. Le glorie e le paure precedenti sono oramai finite: Dio fa una cosa nuova. A causa della certezza della fede del profeta, il futuro sembra realizzato nel momento presente. Il richiamo alle tenebre che ricoprono la terra e all’oscurità che avvolge i popoli vuole significare lo stato di abbandono e di morte diffuso non solo in Gerusalemme ma in ogni luogo della terra, come anche riferirsi al caos delle origini. Mentre il profeta contempla il mondo immerso nelle tenebre, la città di Gerusalemme inizia a brillare di splendore perché è investita dalla gloria divina e diventa il centro mondiale del culto divino. È un’aurora miracolosa, in cui Dio stesso fa spuntare l’alba emettendo la luce della sua gloria per illuminare Gerusalemme e con essa tutto il mondo. La luce significa salvezza e prosperità. Le tenebre indicano l’assenza della salvezza, nonché l’ignoranza e lo smarrimento nel quale si trovano i popoli pagani. La terminologia non
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solo ricorda la descrizione delle tenebre prima della creazione del mondo (cf. Gen 1,2), ma altresì prima dell’apparizione del principe messianico (cf. Is 9,1). La luce è Cristo. È questo il significato dell’Epifania. La visione continua e il profeta immagina Gerusalemme come una madre che vede ritornare i suoi figli. È una visione immensa: perché tra i figli di Gerusalemme sono compresi tutti i popoli della terra. Si assiste a una processione di carovane e di navi verso la città santa che trasporteranno metalli preziosi e ricchezze incomparabili. Oramai Gerusalemme è vista come il centro del mondo. Il pellegrinaggio è come una visita fatta da un vassallo al suo sovrano con l’omaggio del tributo e dei doni. È questa la terza e definitiva riunione, più gloriosa di quella dell’esodo dall’Egitto e dell’esodo da Babilonia. In questa processione, le donne sono portate in braccio come bambini perché non si stanchino. Per ricchezze del mare s’intendono i tesori delle città marinare della Grecia e della Fenicia. Le risorse più rare e pregiate dell’Oriente affluiscono dal deserto, portate dalle carovane. Madian ed Efa sono regioni della costa nord-occidentale della penisola arabica (cf. Gen 25,1-4). In esse vivevano i discendenti di Abramo. Saba si trova a sud-ovest dell’Arabia, celebrata per l’oro (cf. 1Re 10,2; Ez 27,22) e l’incenso (cf. Ger 6,20). L’oro serviva a preparare i vasi sacri per il culto, e l’incenso era usato nelle cerimonie del tempio di Gerusalemme. Forse, era in costruzione il secondo tempio di Gerusalemme. Questa liturgia, per noi, oggi, riguarda la processione dei popoli della terra verso Gesù Cristo, luce delle genti!
PASTORALE di Antonio Vetrano
Ricomincio da Te! La vera festa del Natale Si avvicina il Natale… Insieme celebriamo la vera follia del cristianesimo, la non-festa che, se presa sul serio, ci dovrebbe far mettere tutti in ginocchio ad adorare l’infinita misura di Dio. Un bambino! La nascita di un bambino… di cui sappiamo già come andrà a finire la storia. È l’unico bambino, di cui, appena nato, pensiamo sin da subito la “brutta fine” che farà! Le ragioni per scoraggiarsi non mancano, e la nostra fragile storia - fatta di armi e di violenza - continua a dettare legge. Non è cambiato molto in questi duemila anni di cristianesimo: il Regno sembra essere un bel progetto rimasto sulla carta, un pio desiderio di qualche sognatore. Il Natale di Gesù, invece, è una provocazione alla nostra tiepida fede, che sfida la nostra fragile contemporaneità, che sfida il nostro cristianesimo miope, fatto di piccoli progetti. Cristo è re: significa che lui avrà l’ultima parola sulla storia, su ogni storia, sulla mia storia personale! Cristo è re: significa non arrendersi all’evidenza della sconfitta di Dio e dell’uomo; significa credere che il mondo non sta precipitando nel caos, ma nell’abbraccio tenerissimo del Padre. Cristo è re: significa creare “spazi di rappresentanza” del Regno, proprio laddove stiamo vivendo la nostra vocazione alla vita; “piccoli spazi pubblicitari” per dire agli smarriti di cuore: ecco, Dio vi ama. Cristo è re: significa che le comunità guardano avanti, al di là, e al di dentro, dei nostri limiti e dei nostri sforzi, affinché,
sempre, il metro di giudizio del nostro essere Chiesa sia la realizzazione del Regno. È tangibile, però, quanto questa “regalità” contraddica la nostra visione di Dio. È re sconfitto, fragile, appeso nudo a una croce, osteso, mostrato, sfigurato, piagato, arreso. Sconfitto. Ma per impressionante gesto di amore ed evidente dono di sé. Per raccontare Dio, per raccontarsi. E l’uomo replica. “No, grazie!”. Forse preferiamo un Dio giudice severo – con cui prendersela! –, “egoista”, bastante a se stesso, un potente da convincere. E da tenersi buono. Forse l’idea “pagana” di Dio (che ci facciamo) ci soddisfa maggiormente perché ci assomiglia di più, non ci costringe a conversione, ci chiede superstizione; non piega i nostri affetti, li solletica… Poi, tutti concordiamo nel ritenere “un segno di debolezza” il dover dipendere dagli altri. Il potente è colui che “salva se stesso”, può permettersi di pensare solo a sé, ha i mezzi per essere soddisfatto, senza avere bisogno degli altri! Dio è ciò che non possiamo permetterci di essere, il più potente dei potenti, che può tutto, che non ha bisogno di niente e di nessuno. Per dimostrare di essere veramente Dio, Gesù deve mostrarsi egoista … perché, nel nostro mondo piccino, Dio è il Sommo “egoista” bastante a se stesso, beato nella sua perfetta solitudine! E Dio diventa la proiezione dei nostri più nascosti e inconfessati desideri. È ciò che ammiriamo nel potente, nell’uomo politico riuscito, ricco e sicuro. Al14
lora cerchiamo di sedurlo, di corromperlo, di manipolarlo. Quanto non ci dispiacerebbe un bel finale della storia con “l’arrivo dei nostri”, come nei film western degli anni Sessanta! No, il nostro Dio non salva se stesso, salva noi, salva me. Si dona. Si relaziona. Si apre a noi, a me. È che Dio arriva quando meno te lo aspetti. Magari lo cerchi tutta la vita, o credi di cercarlo, o sei convinto di averlo trovato, e quindi dormi sugli allori. E, intanto, la vita ti passa addosso. Oppure non ci pensi, travolto dalle cose da fare: è che Dio è evidente e misterioso, accessibile e nascosto, già e non ancora... È che la nostra vita passa, con i suoi desideri, le sue delusioni, le sue paure, le sue ironie, i suoi entusiasmi e i suoi fallimenti. Passa e fatichiamo a tenerla ferma in un “punto”, un “punto fermo” qualsiasi, attorno cui far girare tutto il resto. È che, intorno, tanto pessimismo: tutti “gufano”, ma tanto. E
anche a voler essere ottimisti e a vedere sempre il bicchiere mezzo pieno c’è l’ansia: la tua tredicesima è meno dello scorso anno; i tassi del mutuo mandano sul lastrico le persone (“solo” trentamila persone si sono viste pignorare la casa. Dichiara candidamente l’associazione dei bancari: “è un dato fisiologico”. Già: spiegatelo ai trentamila!); tuo figlio ha trent’anni e non trova lavoro per più di sei mesi; si perde il lavoro; tutti sono così carichi di tensione che scattano appena li sfiori... Per tutte queste ragioni abbiamo assoluto bisogno di fermarci. Ho bisogno di fermarmi. Almeno qualche minuto, di guardare dove stiamo andando, di trovare dove agganciare tutte le nostre vicende. Detesto il Natale. Detesto le “feste terribili”. Capiamoci: non il Natale che è lo “stupore” a cui vogliamo prepararci, no. Detesto lo “sgorbio” che ne abbiamo fatto! La fiera insopportabile dei buoni sentimenti,
la sagra dell’ipocrisia del politically correct – che fà del Natale “una festa di compleanno senza festeggiato” –, la sceneggiata della mielosa retorica, anche, a volte, delle nostre messe di mezzanotte piene di “fedeli-una-tantum”. Io voglio prepararmi, ho necessità assoluta di costruirmi una culla per il mio Dio! Non siamo qui a far finta che Gesù nasce: è già nato nella storia, e tornerà nella gloria. Chiede di nascere in me! Ho bisogno di capire come posso trovare il Dio diventato accessibile, fatto volto, divenuto incontrabile. Voglio poterlo vedere questo Dio consegnato, arreso, palese, nascosto in mezzo agli sguardi e ai volti di tanti neonati. A questo punto sono poche quattro settimane. Lo so. Ma voglio provarci ancora. Perché purtroppo capita di celebrare “cento natali” senza che mai una volta Dio nasca nei nostri cuori! Come? Non lo so. Io ci provo. Cerco di farlo ritagliandomi uno spazio quotidiano alla preghiera, per meditare la Parola. Alcuni tra voi riescono a prendersi un paio d’ore di silenzio e di preghiera, altri fanno una piccola deviazione, andando al lavoro, per entrare in una chiesa, per passare davanti a un’edicola e affidarsi (e affidare!). Se vissuti bene, aiutano anche i simboli del Natale cristiano. Con la stessa religiosità della nonna: preparare un presepe, addobbare un albero, partecipare alla novena. Facciamo qualcosa, una piccola cosa, per chiederci se Cristo è nato in noi, per non lasciarci travolgere dalle parole e dalle cose che ognuno vive. Ma, permettetemi, ad aggravare la nostra situazione – non dobbiamo solo combattere contro la dimenticanza, ci tocca pure combattere contro il finto natale – c’è il “Natale tarocco”. Non
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capisco perchè una festa splendida, la festa che celebra la notizia dell’inaudito di Dio che irrompe nel mondo, sia stata travolta dalla melassa del buonismo natalizio. È un dramma, il Natale. È la storia di un Dio presente e di un uomo assente. Non c’è proprio nulla da festeggiare: noi umani non abbiamo fatto una gran bella figura, la prima volta! Natale è un pugno nello stomaco. Una provocazione. Un evento che obbliga a schierarsi. Natale è l’arrendevolezza di Dio, che ci obbliga a conversione. Quindi: viva i regali, viva la festa. Ma che sia autentico ciò che facciamo. Che sia presente il festeggiato, Dio, alle nostre ipercaloriche cene e ai succulenti pranzi. Che i bimbi capiscano che è il Suo compleanno, e a noi fanno i regali. In questi anni ho visto con sgomento che il Natale, per i poveri veri, per chi ha subito un abbandono, un trauma, un lutto, è diventato una festa proprio odiosa e insostenibile. Di fronte alle immagini stereotipate della famiglia felice intorno all’albero – e armonia e canti di angeli che ci propinano i media –, chi, invece, vive affettività fragili e solitudini, è travolto da un insostenibile dolore. E questo mi fa impazzire di rabbia. Il Dio dei poveri, il Dio che viene per i pastori – gli emarginati del tempo –, il Dio che non nasce nel Tempio di Gerusalemme, ma nella grotta di Betlemme… viene sostituto dal Dio piccino del nostro ipocrita buonismo. Se i nonni soli, se le persone abbandonate, se i feriti dalla vita non hanno un sussulto di speranza nella notte di Natale, significa che il nostro annuncio è ambiguo, travolto, e sostituito da un inutile messaggio di generica pace. Esagero? Voglia Dio che sia così.
LITURGIA di Giuseppe Falanga
Nella mia carne... Il tempo di Natale «L’abisso del tuo farti uomo strappa alle mie labbra parole sviscerate» (Beata Angela da Foligno) Il Tempo di Natale è la seconda parte del “ciclo della manifestazione del Signore” di cui fa parte anche l’Avvento. Questo tempo liturgico va dalla solennità di Natale (25 dicembre) alla festa del Battesimo del Signore (domenica dopo l’Epifania). È un tempo liturgico che è radicato nelle tradizioni popolari ed è profondamente sentito anche ai nostri giorni. Basta vedere come cambia nell’imminenza di queste festività l’aspetto delle nostre città per accorgersene. Questo non è un male e non dobbiamo nemmeno condannare tutto questo come “vuoto consumismo”. Anche nelle manifestazioni esteriori, infatti, si può nascondere qualcosa di autentico che, qualora valorizzato e indirizzato correttamente, può essere l’espressione di un desiderio che non è detto non possa trovare una risposta nell’annuncio evangelico. Tuttavia, occorre fare attenzione a non attribuire a questo tempo liturgico dei significati che non gli appartengono. Se, come dicevamo, le tradizioni e le manifestazioni esteriori possono essere un bene, tuttavia sono esse a doversi lasciar illuminare dalla celebrazione del Natale e non essere loro a imporre alla celebrazione liturgica dei contenuti che non le sono propri. 1. Natività ed Epifania Nel Tempo di Natale possiamo in-
dividuare innanzitutto due “feste” principali che fanno da cornice a tutto questo tempo liturgico e, insieme, ne esprimono bene, il mistero che vi si celebra. Queste due feste sono la Natività del Signore (25 dicembre) e l’Epifania (6 gennaio). Esse sono in stretto rapporto tra di loro e celebrano sottolineature differenti del medesimo mistero dell’incarnazione e della manifestazione del Signore. Nella loro origine, tuttavia, queste feste liturgiche nascono in modo distinto (IV secolo). L’Epifania nasce in Oriente (dove oggi si celebra principalmente il mistero del Battesimo del Signore) e il Natale in Occidente: un influsso reciproco porta in un secondo momento ad assumere entrambe le feste sia in Oriente che in Occidente mantenendo le varie sottolineature che le due tradizioni attribuivano all’una e all’al- per sua natura, avvenuto una volta tra. per tutte e irrepetibile, la Chiesa Per cogliere l’autentico significato oggi celebra l’unione dell’umanità della celebrazione del Tempo di con la divinità che si è realizzata Natale occorre fare attenzione a nell’incarnazione del Verbo e che non separare le due dimensioni di oggi continua ad attuarsi nella vita cui Natività ed Epifania sono por- dei credenti. È quanto si afferma in tatrici, ma a tenerle strettamente un testo liturgico del Tempo di Naunite tra di loro. tale: «La nostra debolezza è assunta dal Verbo, l’uomo mortale è innal2. «Per questo misterioso scambio zato a dignità perenne e noi, uniti di doni» a te in comunione mirabile, condiAl centro della celebrazione del vidiamo la tua vita immortale» Natale-Epifania sta certamente (Prefazio di Natale III). Leone l’evento storico dell’incarnazione Magno, in un famoso sermone, didel Verbo. Ma non si tratta di una ceva: «Riconosci, cristiano, la tua semplice commemorazione di un dignità e, reso partecipe della nafatto storico del passato. Infatti, ra- tura divina, non voler tornare aldicandosi in un evento fondante, l’abiezione di un tempo con una 16
condotta indegna. Ricordati che, strappato al potere delle tenebre, sei stato trasferito nella luce del Regno di Dio. Con il sacramento del Battesimo sei diventato tempio dello Spirito Santo!» (Tractatus XXI,3). In questa prospettiva possiamo cogliere il senso più profondo della celebrazione del Natale: esso è la celebrazione dell’incarnazione di Cristo in questo mondo, in questa società, mediante il “parto” della Chiesa-Madre. 3. «È apparsa la gloria di Dio» I testi liturgici che abbiamo brevemente preso in considerazione ci salvano dal rischio di rinchiudere la celebrazione del Tempo di Na-
tale nei confini troppo stretti di un “presepe”, e ci donano uno sguardo contemplativo sulla storia, uno sguardo che sa riconoscere nell’oggi di ogni tempo e di ogni uomo e donna l’incarnazione del Verbo. Sarà semmai il “presepe” a lasciarsi attrarre verso orizzonti più ampi e più ricchi. Certamente, nulla sarebbe possibile senza la nascita di Gesù a Betlemme duemila anni fa, ma la celebrazione liturgica del Natale non può essere ridotta a un nostalgico ricordo di un fatto commovente e toccante del passato. Quel “fatto” ha trasfigurato la storia, ha fatto nascere un mondo nuovo, una nuova creazione. Celebrando
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il Natale oggi, noi celebriamo il nostro essere “resi figli” in colui che è il “primogenito” e il “pioniere” (cf. Eb 2,10), che ci guida al compimento della nostra “vocazione celeste”. I Padri della Chiesa d’Oriente, parlando del senso dell’incarnazione, dicevano che «Dio si è fatto l’uomo, perché l’uomo diventi Dio». Qui sta il senso della nostra celebrazione del Natale oggi: è in noi che il Cristo oggi deve nascere, nella sua Chiesa. Noi non attendiamo più una nascita del Cristo nella carne… ma attendiamo il compimento quando tutto e in tutti sarà Cristo (cf. Col 3,11).
FORMAZIONE di Simone Schiavone
Chiamati a seguire Cristo... Ripercorrere le tappe della conversione e della vita evangelica di san Francesco non è stata un’impresa facile per i primi storiografi dell’Ordine (Tommaso da Celano, Giuliano da Spira e Enrico d’Avranches, frate Giovanni da Perugia, i primi Tre compagni), le cui biografie scamparono all’azione distruttiva concomitante con la redazione della Legenda maior di san Bonaventura da Bagnoregio, approvata dal Capitolo generale del 1266. Non è, d’altronde, differente il quadro offerto dalla storiografia contemporanea che tenta di scardinare la grande e unica esperienza di conversione del Santo in più tappe che, nella terminologia proposta (tra gli altri: svolta esistenziale, mutamento e cambiamento esteriore), assumono ciascuna una sua connotazione ben precisa. Se la proficua, quanto ricca di dettagli, fioritura di studi specialistici continua a fare di Francesco un personaggio rappresentativo del Medioevo, dall’altro la sua eredità spirituale e l’ardente testimonianza evangelica dell’Ordine dei frati mi-
nori non mancano di donare alla Chiesa, giovani disposti come l’uomo e il mercante nel Vangelo di Matteo (13,44-46) a rinunciare a tutto per il tesoro nascosto nel campo, per la perla di grande valore. Nell’anno di noviziato da poco intrapreso, riconoscere il volto di Cristo e seguire le sue orme e i suoi insegnamenti ci viene naturale dal tempio del Serafico Padre. Con questo chiaro e ambìto obiettivo dell’esperienza religiosa di Francesco è opportuno conoscere e far propri i sentimenti dei primi tempi piuttosto che la conformazione a Cristo, sul monte Verna, per evitare di affaticare questa nuova fase del cammino di ricerca umana e spirituale. Il Testamento, l’ultimo scritto che Francesco ci ha lasciato a pochi mesi dalla sua morte (1226), rappresenta il testo di riferimento iniziale e principale per accedere alla sua vicenda. Così, anche noi siamo stati chiamati a confrontare la nostra esperienza di misericordia ricevuta e insieme donata, attraverso la quale abbiamo avvertito la
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vicinanza del Signore, con quella che Francesco visse tra i lebbrosi nei quali sperimentò come la amarezza iniziale si mutasse in dolcezza di animo e di corpo (cf. Testamento, 1-2). La strada è vivere tra gli ultimi, dei quali la società di oggi ci offre una eterogeneità di forme non più esclusivamente legate alle povertà materiali; la fatica personale è avvertire la propria miseria e scoprire la grazia di essere una creatura, nonostante tutto amata e accolta da un Amore incondizionato, unico e senza eguali, quello di Cristo povero e crocifisso, redentore e salvatore dell’umanità segnata dal peccato. Francesco ci invita a un amore misericordioso: gratuitamente avete ricevuto e gratuitamente date (cf. Mt 10,8). È tra il servizio volontario ai ciechi e ai disabili e la vita fraterna che abbiamo il primo banco di prova nel servire e amare il prossimo, quello cioè a noi più vicino, per poi annunciare al mondo di averlo incontrato e di averlo conosciuto, per rivederlo ancora nel volto del fratello.
COSTUME E SOCIETÀ di Vincenzo Picazio
Vacanze a rate... a tutti i costi!
Italiani prudenti, timorosi di perdere il lavoro e angosciati per le aspettative economiche, ma al tempo stesso speranzosi che tempi migliori siano vicini e desiderosi di partire, viaggiare e staccare la spina: questa l’immagine che arriva da interviste, inchieste e sondaggi realizzati da diversi istituti di ricerca i quali dimostrano anche che, pur di partire, gli italiani sono pronti a pagare le vacanze a rate. Se, da un lato, la Cgia di Mestre sostiene che meno di un italiano su quattro trascorrerà quest’anno qualche giorno fuori casa, tanto che se nel 2009 la percentuale di quanti partivano era del 29,4% e quest’anno è del 23,3% (e il 41% non partirà per motivazioni economiche), per il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, questo Natale sarà in affanno per le difficoltà economiche del Paese ma non sarà un Natale freddo e non ci sarà una caduta dei consumi. Negative sono le previsioni di Confesercenti-Swg secondo le quali i viaggi vedranno una flessione dell’8%. In realtà, se si ascoltano gli operatori del settore, le cose non vanno poi malissimo anche se la prudenza è sempre d'obbligo. “Le vendite di Natale e Capodanno stanno andando bene ma temiamo
quel che accadrà dal 10 gennaio 2011 in poi”, spiega Alberto Corti, responsabile di Federviaggio-Confturismo. La situazione economica è quella politica, infatti, fanno temere a molti operatori un 2011 non facile. “Quando c’é una crisi di governo – spiega Corti – i consumatori restano alla finestra, mentre riprendono a viaggiare subito dopo le elezioni, quando si registra un a sorta di effetto euforico”. Per le vacanze di Natale e Capodanno molte destinazioni sono già state vendute grazie agli sconti e alle offerte proposte dalle prenotazioni anticipate e gli operatori si augurano che altro ancora verrà venduto 15-20 giorni prima della data di partenza o, ancora più, sotto la data di partenza grazie ai last minute. Le prenotazioni anticipate sono un toccasana per gli operatori del settore che così ottimizzano gli impegni di spesa e migliorano la marginalità. Oltre alle tradizionali località di montagna, che stanno andando molto bene, positive sono le vendite per le destinazioni di lungo raggio (S. Domingo, Caraibi, Messico) e c’é stata, dopo un periodo di sonnolenza, una ripresa anche dell’Oceano indiano (Maldive innanzitutto, che hanno trascinato la ripresa anche di
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Mauritius e Seychelles). Sempre bene continuano ad andare le cosiddette mete a corto raggio e le crociere, che non conoscono momenti di stallo. Anche per il presidente di Assoturismo-Confesercenti, Alberto Albonetti, “la prossima stagione invernale sarà di sopravvivenza: gli utili delle imprese turistiche diminuiscono di anno in anno poiché vengono diminuiti i prezzi pur di far arrivare turisti'”. L’amministratore di Viaggi dell’Elefante, Enrico Ducrot, registra, invece, vendite con il segno più ma anche una propensione degli italiani al risparmio: “Anche se la maggior parte delle vendite riguarda le date dal 25 al 29 dicembre, segnaliamo un incremento di richieste per la prima settimana di gennaio incentivate da un costo dei servizi a terra più contenuto e, per le famiglie, dalla riapertura delle scuole del 10 gennaio. Evidenziamo, a differenza degli anni scorsi, prenotazioni anche per la settimana dal 10 al 18 gennaio caratterizzata da bassi costi. Infine, notiamo che alcuni preferiscono spostare le vacanze di Natale e Capodanno nei mesi di marzo e aprile, programmandole con anticipo e scegliendo periodi a costi più contenuti”.
VOCAZIONE di Alfredo Avallone
La vocazione sacerdotale e l’identità cristiana Sull’onda dell’anno sacerdotale abbiamo considerato due grandi sfide di questa vocazione nel contesto odierno: vivere il tempo sempre orientato alle occasioni di Dio e non alle opportunità personalmente vantaggioso; vivere le relazioni sempre orientate al dono di Dio di cui sono responsabile e non alla difesa di sé. Ogni vocazione è, infatti, dentro questa libertà responsabile di Gesù… è frutto di chi ha assolto con responsabilità il proprio ministero nella Chiesa consumando il tempo nella volontà di Dio e vivendo le relazioni umane con attenzione e cura somma… Tutto questo è motivo di profonda gratitudine per quanti ci hanno fatto crescere in santità e grazia proprio quando eravamo nei peccati! Perché i sacerdoti manifestino il volto di Gesù Cristo buon pastore oggi sarà però necessario considerare una ulteriore sfida: avere una forte identità di figlio di Dio! Esimi studiosi hanno più volte stimmatizzato la società contemporanea e l’identità degli individui che la compongono come “fragile” ed “incerta”. Anche nell’ambito cristiano e sacerdotale, pur resistendo ad alcuni movimenti filosofici e anche culturali attraverso un forte impianto concettuale e un attento impegno educativo, si fa sempre più evidente la presenza di “identità deboli”. In questa sede non vogliamo considerare il problema sempre più scottante – perché più mediatico – dell’identità sessuale e delle perversioni… Parliamo, invece, del più innocuo – perché meno mediatico – vivere appoggiati, più che a Dio e alla
Chiesa (esperienza di fede), alla realizzazione di sé ed al ruolo nella Chiesa (esperienza autoreferenziali) per dare stabilità ai propri comportamenti e vincere le insicurezze... e delle conseguenze disastrose quando si affaccia l’esperienza del fallimento. Non saranno da leggere in questo contesto alcune affermazione di papa Benedetto XVI quando, rivolgendosi ai suoi sacerdoti, ha stigmatizzato forme di arrivismo e d’individualismo come segno del “malessere sacerdotale”? Ecco la terza fondamentale consapevolezza e sfida: è necessario riscoprire la “forza dell’identità cristiana” e la “bellezza dell’identità sacerdotale”. L’anno sacerdotale è stato fortemente voluto da papa Benedetto XVI proprio come una feconda occasione per riscoprire l’identità dei sacri ministri, che «spinge i sacerdoti a essere presenti, identificabili e riconoscibili sia per il giudizio di fede, sia per le virtù personali, sia anche per l’abito, negli ambiti della cultura e della carità, da sempre al cuore della missione della Chiesa» (Benedetto XVI, Discorso alla Plenaria del Clero, 16 marzo 2009). L’importanza, dunque, di vigilare su se stessi, di continuare una “formazione integrale” con docilità e nella comunione ecclesiale per una buona qualità di vita umana (inteso nel senso della società, cioè di una casa ordinata, il cibo, il vestito,…), ma anche di una armoniosa qualità di vita ecclesiale (dove trovano spazio le diverse mediazioni ecclesiali…): certo è che una buona ed armoniosa qualità di vita personale è direttamente legata e connessa 20
alla qualità delle relazioni nel presbiterio e con il Vescovo prima, nella comunità poi. L’evangelista Giovanni, facendoci entrare nel mistero trinitario di amore, evidenzia anche questo aspetto, il senso e l’identità della propria vita, come una delle consapevolezze fondamentali di Gesù Cristo fino alla fine: “Sapendo che egli era venuto da Dio e a Dio ritornava” (Gv 13,3). L’espressione del v. 3 rimanda a un argomento molto vasto che attraversa tutto il IV Vangelo fin sulla bocca di Pilato: «Di dove sei?» (19,9), quello dell’origine teologica ed enigmatica di Gesù – espressa dai verbi “venire”, “uscire”, “discendere” – (cf. Gv 8,14). Gesù ha una consapevolezza piena della sua origine divina, della sua dignità e del suo ritorno al Padre cosa che dice anche l’angolatura da cui guarda il mondo: la relazione profonda, intima, personale, immediata col Padre (cf. Gv 16,27; 17,8). Questa consapevolezza dice anche il modo con cui Gesù sta nel mondo: come “servo” e come “pellegrino e forestiero”, da “povero”. Ecco la terza grande sfida per la vocazione sacerdotale, ma anche per ogni altra vocazione cristiana: riscoprire il senso e l’identità profonda della propria vita di figlio di Dio!
ASTERISCHI FRANCESCANI di Orlando Todisco
La commozione del Natale La commozione del presepe ritorna immutata ogni anno. Due i momenti in particolare: uno relativo a ciò che accade attorno alla grotta, l’altro relativo a ciò che accade all’interno della grotta. 1. La commozione intorno alla grotta Un’onda di smarrimento e di gioia avvolge la grotta. Piccoli e grandi, re magi e umili pastori, portano i loro doni, frammenti di luce che tracciano un percorso. Sono i bagliori delle fiaccole dei contadini e dei pastori che il 25 dicembre del 1223 a Greccio con Francesco vollero rivivere la venuta al mondo del Figlio di Dio. Nonostante che Innocenzo III, nel 1207, in una lettera all’arcivescovo di Gnesa in Polonia, avesse proibito certi eccessi del clero nei drammi liturgici del Natale, Francesco pregò Giovanni Velita, signore di Greccio, perché allestisse il presepe. “In maniera sobria” – gli disse, in obbedienza al precetto papale – solo con la mangiatoia, il fieno, il bue e l’asino, in una grotta in mezzo agli alberi del bosco. 2. La commozione dentro la grotta Secondo l’astronomia greca, e nella versione di Aristotele, il primo cielo ruota intorno al motore immobile e, nel desiderio di avvicinarsi e perdersi in esso, dà vita all’universo, prodotto del suo amore; o anche, il mondo è il modo con cui il primo cielo dice il suo amore al motore immobile. È la vista dell’amato che rende il primo mobile gravido dell’universo, proteso verso colui che è la perfezione: il motore immobile. È il vertice della spiritualità pagana. Tutto si muove verso il motore supremo, perché, in quanto perfezione assoluta, tutto attrae a sé. E tuttavia tale motore supremo “resta immobile”. Tutto si muove verso di lui, ma lui, il motore immobile, non si “com-muove”. Il superiore non va verso l’inferiore. Nell’ottica cristiana Dio non è il motore immobile che attende, ma colui che per primo si muove verso la creatura, la cerca e gode di starle accanto. Dal cielo discende in terra verso la creatura che da sempre si muove verso di lui. Ecco la co-mozione della grotta. Dio verso di noi, noi verso di lui. Il nostro è un “Dio carnale”, e cioè si com-muove facilmente. Ammirando il re del cielo che
nella povertà prende dimora tra noi, Francesco quella notte si com-mosse profondamente, anzi ad alcuni parve che “il bambino aprisse gli occhi e gli sorridesse”. Il bacio del lebbroso è il gesto più denso di significato del taglio di civiltà inferto da Francesco all’immagine greca dell’uomo: il sano si avvicina all’ammalato, il ricco al povero, senza più la paura antica di perdere donandosi, di diventare meno nobile condividendo la vita dell’umile. Si afferma la strana convinzione di salire scendendo, di guadagnare donando, di divenire simili a Dio proprio in questo “umiliarsi”. È il messaggio francescano del Presepe. È il nuovo volto della libertà dello spirito che scendendo negli abissi dell’essere non può non risalire più trasparente e ricco, capace di ampliare lo spazio della famiglia umana, dove non c’è chi serve e chi ubbidisce, perché tutti servi e padroni al tempo stesso. Chi, davanti a un re, non si sentirebbe orgoglioso e insieme imbarazzato, quasi insignificante? Sì, le nostre opere, i nostri saperi, sono modestissimi doni che non pretendono arricchire il re, che giace nella grotta, ma farlo sorridere, riscaldandolo nel cuore della notte. Essi dicono la nostra com-mozione. Come esprimerla, altrimenti? Non abbiamo altro modo che dirigendoci assieme a tutti gli altri, in fraternità, verso la grotta della vita e lì depositare umilmente i nostri doni, con un po’ di rossore, perché avremmo potuto portare qualcosa in più. Proviamo a metterli nelle mani di Maria, non certo gridando, ma sussurrando, che è il linguaggio della commozione.
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SPIRITUALITÀ di Raffaele di Muro
Con Santa Chiara contempliamo la Natività Chiara d’Assisi dimostra di essere molto legata alla liturgia del Natale, al punto che il Signore le dona miracolosamente di vivere le celebrazioni natalizie della Basilica di San Francesco alle quali non può partecipare perché inferma. Questo episodio è così raccontato dal suo biografo: «In quell’ora del Natale, quando il mondo giubila con gli angeli per il Bambino appena nato, tutte le donne si avviano per il Mattutino al luogo della preghiera, lasciando sola la madre gravata dalle infermità. E, avendo cominciato a pensare a Gesù piccolino e a dolersi molto di non poter partecipare al canto delle sue lodi, sospirando gli dice: “Signore Iddio, eccomi lasciata qui sola per Te!”. Ed ecco, all’improvviso, cominciò a risuonare alle sue orecchie il meraviglioso concerto che si faceva nella chiesa di San Francesco. Udiva i frati salmeggiare nel giubilo, seguiva le armonie dei cantori, percepiva perfino il suono degli strumenti. Il luogo non era affatto così vicino da consentire umanamente la percezione di quei suoni: o quella celebrazione solenne fu resa divinamente sonora fino a raggiungerla, oppure il suo udito fu rafforzato oltre ogni umana pos-
sibilità. Anzi, cosa che supera questo prodigio di udito, ella fu degna di vedere perfino il presepio del Signore» (Dalla Leggenda di Santa Chiara vergine, 29: FF 32113212). In sostanza, la Santa di Assisi ci invita a celebrare il Na-
tale con il santo e caro presepe negli occhi e nel cuore, il che vuol dire che questa ricorrenza non deve essere solo un mero fatto consumistico, ma un meditare sincero sul significato dell’incarnazione e della Natività per rinvigorire il nostro vissuto spirituale. È bello, inoltre, non viverlo in modo intimistico, ma in comunione con tutta la Chiesa: tutti insieme – questo è proprio il significato dell’Avvento – attendiamo la venuta definitiva di Cristo, nel ricordo della prima. È importante riscoprire il valore delle celebrazioni liturgiche: esse sono il memoriale dei misteri di Gesù e ci aiutano ad approfondirli e contemplarli. Festeggiare il Natale deve avere delle ripercussioni pratiche nella nostra spiritualità che partano dall’approfondimento della nostra fede, dalla preghiera e dallo sguardo contemplativo sul Signore Gesù e sul amore per l’umanità. Secondo l’esempio di Chiara, meditare sull’umanità del Cristo vuol dire adorarlo costantemente nel nostro cuore e trasmettere al mondo l’amore che da lui promana. Secondo questa logica, la riflessione adorante sul mistero della Natività può contribuire alla nostra trasformazione interiore. Conformiamoci come la Santa a Cristo che si offre per la salvezza del mondo facendoci dono per i fratelli. 22
ARTE
di Paolo D’Alessandro
L’Angelo dell’Annuncio ai pastori nel presepe napoletano del ’700 La presenza degli angeli è una costante nella rappresentazione del presepe. L’angelo, dal greco ànghelos, significa messaggero, e l’angelo dell’annuncio ai pastori circa il lieto evento della nascita del Salvatore lo troviamo, come fonte letteraria, nel brano dell’evangelista Luca: «In quella stessa regione c’erano dei pastori che stavano nei campi e di notte facevano la guardia al loro gregge. E un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore risplendé intorno a loro, e furono presi da gran timore. L’angelo disse loro: “Non temete, perché io vi porto la buona notizia di una grande gioia che tutto il popolo avrà: Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è il Cristo, il Signore. E questo vi servirà di segno: troverete un bambino avvolto in fasce e coricato in una mangiatoia”. E a un tratto vi fu con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: “Gloria a Dio nei luoghi altissimi, e pace in terra agli uomini che egli gradisce!”» Lc 2,8-14. Nel presepe napoletano del Settecento quest’Annuncio ai pastori è raffigurato poco distante dalla scena della Natività, ambientato tra semplici e rozze capanne con pastori e mandriani, intenti alcuni a lavorare, altri a dormire, sorpresi dall’improvvisa comparsa dell’angelo annunciante, e animato da numerosi animali, pecore, capre e bovini. L’angelo dell’annuncio ai pastori, come possiamo notare nello splendido esemplare del Presepe Cuciniello allestito nel Museo Nazionale di San Martino in Napoli (vedi foto), attribuito a Giovan Battista Polidoro, appare discosto rispetto alla Gloria di angeli e cherubini che lentamente discendono dal cielo a incorniciare la Natività, ambientata al riparo del rudere di un tempio pagano. Esso è vestito di seta sottilissima e floscia, l’“ormesino”, che facilita il ricco drappeggio. I colori sono tenui e richiamano la delicata policromia delle larghe ali di legno intagliato, e dipinte di bianco con leggeri tocchi celesti, rosa, verdi, secondo i canoni dell’iconografia tradizionale. Ha un lungo camice scollato di tinta rossa, con un vortice di fasce svolazzanti dai colori azzurro e ocra. Con un ampio gesto della mano sinistra indica la rustica cascina, dove i pastori immersi nel sonno riceveranno la Novella in un’atmosfera raccolta e silente. Mentre con
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la destra indica il luogo della nascita del Salvatore. Il vortice dei drappeggi, dei gesti, dell’invisibile “Soffio” che anima quest’angelo dell’annuncio ai pastori, coinvolge anche noi che lo osserviamo, spronandoci ad accorrere ad adorare il Cristo che si è fatto fragile e indifeso per donarci la pace, che in greco è “eirene”, cioè il ristabilito, pacifico e filiale rapporto con Dio, e quindi il partecipare a quella felicità che Dio possiede in maniera totale e perfetta. E questa pace è offerta ad ognuno di noi e a tutti gli uomini, poiché tutti gli uomini sono oggetto della benevolenza divina. A noi, allora, non resta che diventare come i pastori dell’annuncio, cioè con l’animo ricolmo della semplicità di Dio per comprendere e accettare quest’universalità dell’amore e della salvezza divina.
MASS-MEDIA di Giuseppe Cappello
Radio Kolbe tra passato e presente Frequenze FM: Zona vulture-melfese FM 98.00, Campania e comuni vesuviani Fm 100.400, Napoli centro Fm 93.600 Storia e finalità della radio Radio Kolbe è uno strumento di proprietà dei Frati Minori Conventuali della Provincia Religiosa di Napoli e nasce nel 1990 per volontà di un gruppetto di frati che, per forte convinzione religiosa e sociale, insieme ad altri amici animati da una comune passione per il mezzo radiofonico, sperimentano l’impor-
tanza di essere vicini alle famiglie, in particolare dove ci sono anziani ed ammalati. Il consenso creatosi intorno all’emittente, anche grazie all’appro-
vazione di un capitolo straordinario tenutosi a Nocera inferiore ha ottenuto la benedizione del padre Provinciale. Nel 1990 iniziarono, così,ufficialmente, 24 ore su 24, i programmi di Radio Kolbe dagli studi del Convento S. Francesco in Benevento. Nel 2005 viene trasferita la regia della radio presso il Convento S. Antonio in Melfi, grazie
alla fattiva disponibilità e collaborazione del Vescovo di Melfi Mons. Gianfranco Todisco. Radio Kolbe non è una radio commerciale ma una radio comunitaria. E’ associata
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al CO.RA.L.LO. (Consorzio Radiotelevisioni Libere Locali) che riunisce a livello nazionale più di 400 radio e una ventina di televisioni di orientamento cattolico. Radio Kolbe è una radio per la famiglia e propone a qualsiasi componente motivo di ascolto durante la giornata. In modo particolare gli anziani e gli ammalati la trovano indispensabile compagna, specialmente nella parte religiosa; le casalinghe, poi, e chi ha possibilità di lavorare ascoltando la radio, affermano che i programmi del mattino con l’informazione in diretta e gli ospiti in studio sono una finestra
locale e nazionale indispensabile per conoscere i fatti, gli appuntamenti, la vita comunitaria e le iniziative dei nostri paesi. I giovani, infine, la preferiscono nei programmi pomeridiani e serali con contenuti prevalentemente musi-
tatori. Qualunque associazione pubblica o privata, ente culturale, ente religioso, può usufruire di un proprio spazio informativo nel palinsesto delle trasmissioni di Radio Kolbe, secondo le modalità stabilite caso per caso, purchè rispettosi dei
principi etici e religiosi di codesta emittente. Siamo una radio giovane che vuole coltivare e realizzare idee innovative per migliorare e aumentare giorno dopo giorno il già consolidato rapporto con il pubblico.
Sintonizza cali, attenti il più possibile ai singoli pezzi. Accanto alla tradizionale radice cattolica e francescana che diede origine alla nostra storia, è cresciuta nel tempo un’attenzione per la musica ma anche qualcosa in più della musica, ovvero l’informazione a cui si affianca lo staff nazionale di Radio InBlu e Radio Vaticana. Lo sport, con gli approfondimenti, la cultura, con programmi e rubriche relative alla poesia, al cinema, all’informazione culturale, e altro ancora. Radio Kolbe ha ospitato nei suoi studi molte associazioni di volontariato, da quelle locali a quelle di taratura regionale della Campania e Basilicata, così da essere, nel nostro piccolo, un importante “megafono” di ciò che è positivo. Radio Kolbe non è una radio commerciale, è una radio «no profit», esclude qualsiasi tipo di pubblicità, contando sulla generosità e sensibilità dei radioascol-
Evangelizzare on air Dopo anni di assenza dal panorama delle emittenti campane, riprendono le trasmissioni locali della storica Radio Kolbe, radio dei frati minori conventuali di Napoli. L’inaugurazione si è avuta lo scorso 4 ottobre, presso la Chiesa di Santa Maria degli Angeli, in Nocera Superiore. La sua nascita risale a quasi quarant’anni fa, nel periodo dei cosiddetti “cento fiori”, con il fiorire di radio libere in seguito alla liberalizzazione dell’etere, sancita dalla Corte Costituzionale. Ora ha sede tra le mura del convento dei frati minori di Sant’Antonio, a Nocera Inferiore. Agli inizi a guidarla era padre Luigi Ricciardi, ma venuto a mancare, la radio dei frati aveva smesso di trasmettere. Solo qualche mese fa, sotto la spinta di padre Michele Alfano e con la collaborazione della gioventù francescana, sta riprendendo vigore. Guidata da fra Roberto Sdino e da un’equipe di collaboratori, la radio sta prendendo forma con un ampio panorama di offerte culturali. Il suo palinsesto, ancora in definizione, già si presenta con un aspetto leggero e fruibile a tutti, pur mantenendo la sua identità di radio cattolica con obiettivi di evangelizzazione. La radio prende il nome del santo martire Massimiliano Maria Kolbe, originario della Polonia e patrono dei radioamatori, che si offrì di prendere il posto di un padre di famiglia, destinato al bunker della fame, nel campo di concentramento di Auschwitz. Trasmette in streaming su: www.radiokolbeweb.it Frequenze FM: Napoli centro: 93,400 Zone vesuviane: 100,400 Agro nocerino sarnese: 93,700. Sofia Russo
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EVENTI La redazione
12 dicembre 2010 - Basilica San Lorenzo Maggiore (Na), Il Cardinale
tiello 10 - Salerno 3 dicembre 20 litato di fra Domenico Spor co ac Lettorato e
8 dicembre 2010 - Sa Processione dell’Immaclerno olata
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re - Nocera Inferio 4 ottobre 2010della radio locale Inaugurazione
11 novembre Momento della2010 - Maiori Lectio Divina
7 dicembre 2010 - Melfi Inaugurazione del salone dell’Immacolta
29 novembre 2010 - Portici Giubileo dei frati 26
Radio Kolbe - Melfi, Interviste a personaggi del mondo religioso, politico e sociale.
Crescenzio Sepe incontra l’unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti sezione di Napoli
ovembre 2010 - Benevento La promessa degli araldini
3 dicembre 2010 - Salerno, Restauro Chiesa San Gaetano
8 dicembre 2010 Maddaloni - Chiesa San Consacrazione dei Militi Francesco
010 - Salernola pace 21 ottobre 2um enica per Preghiera ec
11 dicembre 20 Accoglienza G 10 - Salerno iFra
Fra Andrea e Fra Simone Novizi ad Assisi
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SPORT La redazione
Le incertezze del calciomercato NAPOLI, 6 dicembre 2010 – Il calciomercato del Napoli subirà alcuni importanti scossoni durante la sessione invernale. Nel dettaglio, gli azzurri si stanno muovendo soprattutto per rinforzare la difesa: secondo indiscrezioni de La Nazione, il club di De Laurentiis starebbe trattando con la Fiorentina lo scambio tra Santacroce e Felipe. Il Corriere dello Sport, invece, riporta l’interesse dei partenopei per Federico Fernandez, stopper dell’Estudiantes. Pare che degli emissari del Napoli siano partiti alla volta del Sudamerica con l’obiettivo di imprimere la svolta decisiva alla trattativa per il difensore argentino.
Calciomercato Inter Milito potrebbe dire sì a Mourinho MILANO, 6 dicembre 2010 – Un incontro rimandato di sei mesi, quello tra José Mourinho e Diego Milito. Secondo il Corriere dello Sport, l’ex tecnico dell’Inter sarebbe tornato alla carica per il centravanti argentino, già vicino al Real Madrid la scorsa estate dopo la conquista del Triplete. L’allenatore portoghese lo vorrebbe con sè già dal mercato invernale per sopperire alla mancanza di Higuain, costretto a fermarsi circa due mesi per un’ernia discale. E a questo punto, di fronte alla nuova offensiva del Real, Moratti potrebbe anche pensarci vista la situazione del 31enne, infortunato ed inutile alla causa nerazzurra in questa stagione.
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CINEMA di Giuseppina Costantino
Torino Film Festival Il Torino Film Festival (26 novembre - 4 dicembre) si è aperto con Contre Toi della giovane Lola Doillon (figlia del regista Jacques) e si è chiuso con Hereafter del probabile candidato ai prossimi Oscar Clint Eastwood. In mezzo, la sezione Festa Mobile (30 titoli inediti in Italia, come 127 Hours di Danny Boyle, in arrivo a marzo 2011), Rapporto Confidenziale (dedicata al genere horror) e la giovane Torino 28, riservata ad autori alla prima, seconda o terza opera. Tutti registi al momento ignorati dalla distribuzione italiana, insomma, e proprio per questo da tenere d’occhio a Torino. Vi consigliamo 3 pellicole. Winter's Bone di Debra Granik Ree Dolly (Jennifer Lawrence) è
una diciassettenne in un mare di guai: la madre è preda della depressione, il padre spacciatore è scomparso, e ora la loro casa rischia di essere confiscata. Sembra il classico film da “pugno nello stomaco”? Lo è. Da vedere subito perché: sentiremo presto parlare di Jennifer Lawrence, lodata dalla critica e con 5 film in uscita nel 2011. Vampires di Vincent Lannoo Chi l’ha detto che i vampiri abitano solo in Transilvania? Il (finto) documentario di Lanoo segue la vita di una famiglia di succhiasangue del Belgio, esseri dalle pulsioni molto umane: litigano con i vicini di casa, per esempio. E hanno una figlia adolescente che si suicida continuamente nel tentativo di diventare una comune mortale.
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Da vedere subito perché: non è necessario essere un’adolescente strepitante e trovare attraente Robert Pattinson per apprezzare il film. Four Lions di Christopher Morris I quattro musulmani residenti a Londra del film non hanno di che lamentarsi: hanno tutti un lavoro, una famiglia, dei figli. Ma il loro sogno è un altro: formare una cellula di terroristi suicidi. Conservando tutte le idiosincrasie che li rendono ridicoli, maldestri e improbabili, naturalmente. Incrociamo le dita: si favoleggia di una prossima distribuzione italiana. Da vedere subito perché: Morris, autore televisivo al suo primo lungometraggio, ha avuto il coraggio di (far) ridere su un tema così forte. E solo per questo merita fiducia.
IN BOOK La redazione E. Scognamiglio, Il signore ha manifestato la sua salvezza. Lectio divina per il tempo di Avvento-Natale. Anno A, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2010. Il volume si concentra sull’attualizzazione della Parola, sul richiamo dell’autentico spirito cristiano e sul senso liturgico di questo tempo forte, proponendo anche un invito alla preghiera dei fedeli da celebrare nelle comunità, nelle famiglie e nei gruppi biblici e nelle varie assemblee liturgiche. Il richiamo ad alcuni testimoni ha lo scopo di mettere in discussione la nostra fede, il modo con il quale viviamo i valori del Vangelo e facciamo nostro il realismo dell’incarnazione.
G. Matino, La culla vuota. Lettera a Gesù, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2010. “Osservavo il presepe, la culla vuota mi provocava: sentivo che era possibile afferrare con un dito la verità che ti sta dinanzi e farla diventare motore della vita. Sì, sentivo che potevo rinascere di nuovo, ritornare bambino, con la potenza delle parole semplici, squarci di senso in tempo di non senso. Forse fu la nostalgia, il suono delle zampogne, forse il desiderio di aprire come un bambino i sentieri dell'anima e ritrovare nuovi orizzonti, forse per gioco, iniziai a scrivere. Come Nicodemo nella notte dei suoi ragionamenti intrapresi il mio percorso: Caro Gesù...”.
V. Albisetti, Felici nonostante tutto, Ed. Paoline, Milano 2010.
L. Irigaray, Il mistero di Maria, Ed. Paoline, Milano 2010.
In questo libro, Albisetti ripercorre il suo cammino di psicologo-scrittore, i primi testi di successo, la lunga esperienza e il contatto con i lettori. Inoltre offre numerosi spunti di riflessione sui grandi temi della vita, che hanno da sempre appassionato l’Autore: la vita e la morte, il concetto di immortalità, il dolore e le ferite della vita, le relazioni, le scelte e le loro conseguenze, la coppia.
L’intento della filosofa Luce Irigaray, nel pieno rispetto della parola che la Chiesa pronuncia sulla Madre di Dio, è quello di parlare a tutti, credenti e non credenti, per avvicinare il lettore a questa figura che, proprio perché pienamente umana, è stata in grado di accogliere e dare carne al totalmente divino. Il centro significante del breve scritto è l’umanità piena di Maria, o meglio, la sua femminilità totale e accolta, il suo essere donna e quindi custode del soffio generativo, del legame profondo tra essere umano e natura che il peccato originale ha spezzato. Una parola “universale”, che si avvale di molteplici apporti culturali, nella volontà di svincolare Maria da una tradizione che il pensiero moderno tende a considerare mortificante nei confronti del femminile.
AA.VV., Il mondo, gli altri e io Le grandi domande per capire il mondo, Ed. Messaggero, Padova 2010. I bambini dagli otto ai dodici anni sono formidabili. Pongono domande vere e importanti sul mondo, sulla vita, su se stessi. Gli adulti devono trovare le parole per rispondere con semplicità. Il libro presenta 120 domande di bambini raggruppate in cinque capitoli: famiglia, sentimenti, vita e morte, società,
mondo. Le risposte non hanno la pretesa di essere definitive, cercano piuttosto di offrire spunti di riflessione affinché ogni bambino trovi la sua risposta. Destinatari: Bambini dagli otto ai dodici anni, genitori, educatori, catechisti. 30
FUMETTI La redazione
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www.fratiminoriconventualinapoli.it www.centrostudifrancescani.it