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Numero 1/2016 - Trimestrale - Poste Italiane S.p.a. - Spedizione in abbonamento postale - D.L.353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 2 - CNS/CBPA/sud/BENEVENTO/109/2007

Luceerafica S Rivista francescana fondata a Ravello nel 1925

Il coraggio dei profeti

Pasqua Gerusalemme misericordia e pace

I beati martiri del Per첫

La Terra dei Fuochi brucia ancora



Editoriale Gianfranco Grieco

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l lamento per la distruzione del tempio di Gerusalemme faceva esclamare al salmista: “Non ci sono più profeti e tra noi nessuno sa fino a quando” (Sal 73). Questo lamento che si trasforma in grido per il grande vuoto che accerchia il nostro mondo inquieto e violento e in rendimento di grazie perché in questi giorni siamo stati, non certo

Pensavo all’ Icona della Madre di Dio di Kazan – il Patriarca Kirill a Cuba ha fatto dono di una copia di questa splendida immagine a Papa Francesco che nell’agosto 2004 san Giovanni Paolo II restituiva al patriarca Alessio II. Una delegazione pontificia guidata dal cardinale Walter Kasper consegnava al Patriarca di tutte le Russie questa Icona mariana. Dal 28 al 31 agosto di quell’anno si susseguivano divine liturgie nella cattedrale della Dormizione e nella cattedrale cattolica dell’Immacolata concezione. Già da allora si parlava di un incontro tra il Vescovo di Roma e il Patriarca della Chiesa Ortodossa di Mosca. Nel 2003 si ritornava a parlare di una osta di Giovanni Paolo II in Mongolia proprio per incontrare in un territorio neutro Alessio II. Voci inquiete parlavano poi di Ginevra

Finalmente, ci vediamo, siamo fratelli. È chiaro che questa è la volontà di Dio. Oggi è un giorno di grazia. L’incontro con Kirill un dono di Dio Papa Francesco

Anche se le nostre difficoltà non si sono ancora appianate c’è la possibilità di incontrarci e questo è bello Patriarca Kirill

spettatori indifferenti, di un incontro tra due Profeti del nostro tempo, chiamati a cambiare la storia della modernità plurale. I profeti, il buon Dio, li manda come e quando vuole. E in questa stagione di grande e sofferente siccità, Papa Francesco e il Patriarca Kirill, hanno dato una svolta storica geopolitica e religiosa ai nostri giorni inquieti, invitandoci alla preghiera e all’azione. Preghiera e azione sono due componenti essenziali della dinamica spirituale dell’umana intelligenza. Alzare gli occhi al cielo e agire per il bene comune diventa, per tutti, ogni giorno, un impegno che cambia il volto del mondo. Camminare insieme, quindi . L’unità su fa camminando insieme – ha detto Papa Francesco - dopo lo storico incontro con Kirill. Ogni cammino però, parte da lontano ed ha i suoi profeti. Nella Chiesa di Dio c’è chi semina e chi raccoglie e tutto è dono di grazia.

e di Pannonhalma, in Ungheria. Poi, all’improvviso, il lampo a ciel sereno. La sosta a Cuba prima di raggiungere il Messico. La Dichiarazione comune firmata – come ha amato sottolineare papa Francesco - da due Vescovi, ha toni squisitamente pastorali e tocca a livello planetario i temi più scottanti del momento storico che il mondo di oggi vive. A Cuba si è accesa una LUCE che le due Chiese devono ora saper seguire. Sarà il coraggio dei profeti ad illuminare il buio di quelle economie globali che non hanno il coraggio di mettere al primo posto il bene della casa comune basato sulla pace, sulla giustizia, sulla condivisione e sulla solidarietà.



EDITORIALE Ci scrivono... Anno Santo della Misericordia Giubileo: dopo 500 anni Intervista a Mons Angelo Scola Presentazione del libro del Papa Padre Pio “carezza” della Misericordia di Dio Migliaia di fedeli in San Pietro Il benvenuto di Card. Angelo Comastri I Santi della Misericordia Il Papa ai frati cappuccini Intervista a Padre Raniero Cantalemssa Incontro Papa-Kirill Cattolici e Ortodossi Mosca ora è meno lontana La testimonianza di P. Ibrahim Faltas Pasqua a Gerusalemme Il Papa in Sinagoga Intervista a Renzo Gattegna Papa Francesco a Greccio In dialogo con i cristiani del Medio Oriente Concluso l’anno della vita consacrata Ecumenismo 75° anno Kolbiano 1941-2016 Testimoni della fede DOSSIER SUL MONDO 2016 Europa America Africa Asia Fermate il genocidio dei cristiani Speciale fra Ludovico Il francecso riconciliato nel catico di frate sole Senza fraternità non c’è ecologia 2018 l’anno dell’università francescana Convegno internazinale sul francescanesimo La vita ritrovata del beatissimo Francesco Trivelle e referendum Terra dei Fuochi La rete segreta di Giovanni Palatucci Morto Ettore Scola Giuseppe De Luca e Giovanni Battista Montini Lo specchio interiore di Venanzio Manciocchi Eventi

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ci scrivono...

La foto dei lettori

Caro Fra Gianfranco Il Signore ti dia pace! Nelle scorse settimane ho ricevuto l’invito a partecipare alla giornata di studio organizzata in occasione dei 90 anni di LUCE SERAFICA, evento tenutosi a Ravello lo scorso 24 ottobre. In quei giorni ero impegnato al Sinodo dei Vescovi e non ho potuto partecipare. Plaudo comunque all’iniziativa con la speranza che la rivista possa continuare a diffondere il messaggio del Poverello di Assisi e semmai a rilanciarl con rinnovato slancio missionario. Mi è gradita l’occasione per salutari fraternamente e augurati ogni bene nel Signore. Fra Marco Tasta, Ministro generale Roma 11 dicembre 2015 Caro padre Gianfranco Ho ricevuto il volume su padre Bonaventura Mansi, che aiuta a far luce sulla bellissima pagina di Assisi durante la guerra. Ti ringrazio di cuore e ti auguro un buon Natale Marco Bartoli Roma, 15 dicembre 2015 Molto Reverendo Padre Abbiamo ricevuto il bellissimo volume a riguardo del Beato. Grazie infinite, assieme agli auguri di buon Natale. Sono interessato a conoscere la rivista LUCE SREAFICA. Grazie se vorrà mandarmene copia. Padre Guerino Vitali Colle San Maurizio, 73 - 2406 - Lenna (Bergamo) Santo Natale 2014 Roma, 16 gennaio 2016 Caro padre Gianfranco grazie per la bella LUCE SERAFICA che arriva a casa come un dono, Leggerla vuol dire per noi inserirci in quel filone di cultura ecclesiale e francescana di cui abbiamo estremo bisogno. Auguri per il suo lavoro. Famiglia Barbi

COMITATO DI REDAZIONE Orlando Todisco Edoardo Scognamiglio Iman Sabbah Emanuela Vinai Assunta Cefola Emanuela Bambara Giacomo Auriemma Mohammad Djafarzadeh Boutros Naaman Hanno collaborato: Gianfranco Grieco, Fèlène Destombes, Orazio La Rocca, P. Ibrahim Faltas, Edoardo Scognamiglio, Raffaele Di Muro, Paolo Fiasconaro, Jean-Baptiste Sourou, Mohammad Djafarzadeh,Giovanni Cerro, Nicola Gori, Elisabetta Lo Iacono, Pietro Dommarco, Giovanni Preziosi, Luca Pellegrini, Giorgio Agnisola

Foto di copertina L’Osservatore Romano Il presente numero di LUCE SERAFICA è stato chiuso in tipografia il 25 febbraio 2016

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a misericordia è “la carta di identità” di Dio: così Papa Francesco nel libro-intervista “Il nome di Dio è misericordia”, da martedì 12 gennaio 2016 in libreria. Il volume riporta una conversazione del Pontefice con Andrea Tornielli, vaticanista del quotidiano La Stampa e coordinatore del sito web Vatican Insider. Suddiviso in nove capitoli e 40 domande, il libro – edito da Piemme – ha la copertina autografa di Papa Francesco. La prima copia del volume, in italiano, è stata consegnata ieri pomeriggio al Pontefice, presso Casa Santa Marta.

sazione che nasce tra i due, in vista del Giubileo straordinario che si aprirà cinque mesi dopo. Oggi, i frutti di quel dialogo sono raccolti nel libro “Il nome di Dio è misericordia”. Capitolo 1: è tempo di misericordia Preghiera, riflessione sui Pontefici precedenti e un’immagine della Chiesa come “ospedale da campo” che “riscalda i cuori delle persone con la vicinanza e la prossimità”: sono questi i tre fattori, spiega il Papa, che lo hanno spinto ad indire un Giubileo della misericordia. “La nostra epoca è un tempo opportuno” per questo, dice, perché oggi si vive un duplice dramma: si è smarrito il senso del peccato e lo si considera anche incurabile, inguaribile, imperdonabile. Per questo, l’umanità ferita da tante “malattie sociali” – povertà, esclusione, schiavitù del terzo millennio, relativismo – ha bisogno di misericordia, di quella “carta di identità di Dio”, di Colui “rimane sempre fedele” anche se il peccatore lo rinnega.

Intervista registrata lo scorso luglio Luglio 2015, Casa Santa Marta: Papa Francesco è da poco rientrato dal suo viaggio apostolico in Ecuador, Bolivia e Paraguay. È un pomeriggio afoso quando riceve il giornalista Andrea Tornielli, munito di tre registratori. Su un tavolino davanti a sé, il Pontefice ha una concordanza della Bibbia e le citazioni dei Padri della Chiesa. La misericordia è il tema della conver7

anno santo della misericordia

“Misericorida, carta d’identità di Dio”


Giubileo: dopo 500 anni torna la placchetta del pellegrino

procurarsene una copia. Una piccola placchetta di piombo raffigurante i Santi Pietro e Paolo, cucita solitamente sui mantelli. Era il "Testimonium", il simbolo che portavano gli antichi pellegrini che dopo mesi di pericoloso cammino, finalmente giungevano a Roma per visitare le tombe dei due Apostoli. E proprio in occasione del Giubileo della Misericordia questo simbolo viene riproposto ai tanti fedeli che arrivano nella città eterna per vivere questo grande evento della Chiesa. L’arcivescovo domenicano francese mons. mons. Jean

In occasione del Giubileo della Misericordia torna, dopo oltre 500 anni, il "Testimonium", la placchetta che dal 12.mo al 16.mo secolo portava con sé ogni pellegrino: era l'antico "lasciapassare" che dimostrava la veridicità del pellegrinaggio e che, nel lungo cammino dei pellegrini garantiva loro l'ospitalità nei conventi e negli ostelli lungo la via. L'originale in bronzo è custodito nella Biblioteca Apostolica Vaticana. Oggi i pellegrini possono

La grazia della vergogna rende il peccatore consapevole del peccato Centrale poi la riflessione del Papa sul tema della vergogna, intesa come “una grazia” perché rende il peccatore consapevole del proprio peccato. E particolare la sottolineatura del così detto “apostolato dell’orecchio”, ossia della capacità dei confessori di “ascoltare con pazienza” perché oggi le persone “cercano soprattutto qualcuno che sia disposto a donare il proprio tempo per ascoltare i loro drammi e le loro difficoltà”. Tra l’altro – nota il Papa – è per questo che tanti si rivolgono ai chiromanti. Il Pontefice rimarca inoltre “che se il confessore non può assolvere, dia comunque una benedizione, anche senza assoluzione sacramentale”, perché “l’amore di Dio c’è anche per chi non è nella disposizione di ricevere il Sacramento”.

dizio: per l’incontro con la misericordia” di Dio, senza la quale “il mondo non esisterebbe”. Per questo, sottolinea il Pontefice, il confessionale non deve essere né “una tintoria”, in cui lavare via a secco il peccato come una semplice macchia, né “una sala di tortura” in cui scontrarsi con “l’eccesso di curiosità” di alcuni confessori, curiosità a volte “un po’ malata”, morbosa, che trasforma la confessione in un interrogatorio. Capitolo 3: riconoscersi peccatori. Il cuore a pezzi è offerta gradita a Dio Invece, “nel dialogo con il confessore bisogna essere ascoltati, non interrogati” e quindi il sacerdote deve “consigliare con delicatezza”. Ma per ottenere la misericordia di Dio, ribadisce nuovamente Francesco, è importante riconoscersi peccatori, perché “il cuore a pezzi è l’offerta più gradita al Signore, è il segno che siamo coscienti del nostro bisogno di perdono, di misericordia”. Il Papa ricorda, poi, che la misericordia di Dio è “infinitamente più grande del nostro peccato” , perché il Signore “ci primerea”, “ci anticipa, ci attende” sempre “con il suo perdono, con la sua grazia”. “Il solo fatto che una persona vada al confessionale – spiega Francesco – indica che c’è già un inizio di pentimento”. E a volte vale di più “la presenza impacciata ed umile di un penitente che fa fatica a parlare, piuttosto che le tante parole di qualcuno che descrive il suo pentimento”.

Essere confessori è una grande responsabilità “Abbiate tenerezza con queste persone – dice il Papa ai sacerdoti – non allontanatele”, perché “la gente soffre” e “essere confessori è una grande responsabilità”. Al riguardo, il Pontefice cita il caso di sua nipote: “Io ho una nipote che ha sposato civilmente un uomo prima che lui potesse avere il processo di nullità matrimoniale – racconta – Quest’uomo era tanto religioso che tutte le domeniche, andando a Messa, andava al confessionale e diceva al sacerdote: ‘Io so che lei non mi può assolvere, ma ho peccato in questo e in quest’altro, mi dia una benedizione’. Questo è un uomo religiosamente Capitolo 4: anche il Papa ha bisogno della miseriformato”. cordia di Dio Capitolo 2: confessione non è tintoria, né tortura. Dal suo canto, il Papa si definisce “un uomo che ha Ascoltare, non interrogare bisogno della misericordia di Dio” e offre alcuni D’altronde, si va al confessionale “non per essere consigli al penitente e al confessore: al primo, suggiudicati”, ma per “qualcosa di più grande del giu- gerisce di non essere superbo, ma di “guardare con 8


Vaticana,m spiega così l’iniziativa: Questa placchetta ha un’importanza storica. È una manifestazione della fede che i pellegrini avevano arrivando a Roma attraverso questi pellegrinaggi. È una cosa importante e anche storica anche dal punto di vista numismatico perché è un qualcosa che precede la nascita delle medaglie devozionali: da questa placchetta, successivamente, saranno fatte poi le medaglie devozionali che adoperiamo tuttora e la medaglistica papale. Ma soprattutto è una testimonianza di fede”.

Scola: Papa Francesco ci insegna che con Dio pentirsi conta più del peccare

per questa ragione sottolinea molto questo fatto impressionante: Dio parte dal punto in cui noi paradossalmente col peccato ci poniamo più lontani da lui e viene a riprenderci, a tirarci fuori, se siamo appena disponibili con la sua misericordia. “La misericordia c’è – dice il Papa – ma bisogna che noi accettiamo di fare questo passo di fronte all’abbraccio del Padre”. Quindi, il fattore che può sembrare allontanarci di più da Dio, che è il peccato, se è riconosciuto diventa l’occasione cui Dio si serve per riportarci a Lui. Questa cosa mi impressiona molto, così come mi impressiona l’affermazione che Dio cerca sempre lo spiraglio attraverso il quale insinuarsi nel nostro cuore, nella nostra mente e farci vedere la tenerezza profonda che apre a una serenità, a una pace che ci può far guardare il futuro – anche in una società complessa come la nostra – con grande speranza.

Presso il Cineteatro Stella di Milano, il cardinale Angelo Scola, arcivescovo della diocesi ambrosiana, è intervenuto alla presentazione del volume di Papa Francesco "Il nome di Dio è Misericordia. Il porporato ha così spiegato gli aspetti del libro lo hanno colpito di più: E’ la natura profonda di un racconto, una testimonianza da parte del Santo Padre, in cui emergono delle dimensioni umanissime, legate alla misericordia di Dio. Molto mi hanno impressionato le sue considerazioni su come il Dio buono e Padre ci raccoglie anche a partire dal nostro peccato, se domandiamo perdono. Le considerazioni che il Santo Padre sviluppa sulla confessione, ma in particolare la forte centratura sulle figure di Santi e sulle sue esperienze personali di incontro, anche con gente molto umile, che – lui dice – lo hanno aperto e spalancato a capire il valore della realtà grande, del dono grande della misericordia e la sua capacità di far emergere la verità dell’uomo, vincendo e sconfiggendo nell’uomo il male. Questo è ciò che mi ha colpito di più.

E, infatti, il Papa ripete più volte che il Signore ci anticipa, ci attende sempre… Laddove noi arriviamo, Lui è già presente. E questo è molto importante. Un ultimo aspetto che mi ha colpito molto è che lui identifica molto bene la moralità, l’essere morali, con la capacità di ripresa: qualunque sia la lontananza in cui ci siamo messi, attraverso il peccato, la misericordia ci consente sempre di riprendere. Il male vinto da Gesù può consentire a noi, che cadiamo nel peccato, di ripartire. Ecco, questo tema della ripresa, che è più importante dell’impeccabilità, secondo me è una nota che dà grande speranza ai cristiani. Può dare grande speranza a noi cristiani...

Il Papa scrive che la nostra epoca è un tempo opportuno proprio per riscoprire la misericordia, perché oggi si è smarrito il senso del peccato, ma allo stesso tempo lo si considera spesso imperdonabile… Certo, questi sono due limiti che lui vede, anche all’interno della comunità cristiana. E proprio 9

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Louis Bruguès, archivista bibliotecario di Santa Romana Chiesa: “ Secondo me questa placchetta è l’illustrazione della fedeltà: naturalmente alla fede, è la sua prova concreta, fisica. Ma è anche fedeltà alla storia. Dunque noi vogliamo rendere omaggio alle generazioni precedenti che hanno voluto fare questo viaggio così pericoloso. I "Testimonium" si diffusero a Roma e negli altri Santuari europei frequentati dai pellegrini intorno al XII secolo, per poi scomparire verso il XVI. Giancarlo Alteri, conservatore emerito del Medagliere della Biblioteca


sincerità a se stesso ed al proprio peccato”, così da ricevere il dono della misericordia di Dio. Ai confessori, invece, Francesco consiglia di pensare innanzitutto ai propri peccati, poi di ascoltare “con tenerezza”, senza “scagliare mai la prima pietra”, ma cercando di “assomigliare a Dio nella sua misericordia”. Come modello, il Pontefice cita il padre che va incontro al figliol prodigo e lo abbraccia, prim’ancora che il giovane ammetta i suoi peccati. “Questo è l’amore di Dio – sottolinea il Papa – Questa è la sua sovrabbondante misericordia”. Capitolo 5: Chiesa condanna il peccato, ma abbraccia il peccatore Di fronte a chi, poi, a volte, afferma che nella Chiesa c’è “troppa misericordia”, il Papa risponde sottolineando che “la Chiesa condanna il peccato”, ma “allo stesso tempo abbraccia il peccatore che si riconosce tale, gli parla della misericordia infinita di Dio”. Bisogna perdonare “set-

tanta volte sette, cioè sempre”, dice Papa Francesco perché “Dio è un padre premuroso, attento, pronto ad accogliere qualsiasi persona che muova un passo o che abbia il desiderio di muovere un passo” verso di Lui, e “nessun peccato umano, per quanto grave, può prevalere sulla misericordia e limitarla”. La Chiesa, quindi, “non è al mondo per condannare, ma per permettere l’incontro con quell’amore viscerale che è la misericordia di Dio”.

Chiesa sia “in uscita”, “ospedale da campo” per i bisognosi di perdono Per fare questo, però, essa deve essere “Chiesa in uscita”, “ospedale da campo che va incontro ai tanti ‘feriti’ bisognosi di ascolto, comprensione, perdono e amore”. È importante, infatti, “accogliere con delicatezza chi si ha di fronte, non ferire la sua dignità”, afferma Papa Francesco, citando un’esperienza personale, risalente ai tempi in cui era parroco in Argentina: una donna 10

che si prostituiva per mantenere i suoi figli, lo ringraziò perché il futuro Papa l’aveva sempre chiamata “signora”. Capitolo 6: non leccarsi le ferite del peccato, ma muoversi verso Dio E ancora, Francesco mette in guardia dall’atteggiamento di chi dispera “della possibilità di essere perdonato” e preferisce leccarsi le ferite del peccato, impedendone di fatto la guarigione. “Questa è una malattia narcisista che porta l’amarezza”, nota il Papa, e in cui si riscontra “un piacere nell’amarezza, un piacere ammalato”. Al contrario, “la medicina c’è”: basta solo muovere un passo verso Dio o avere almeno il desiderio di muoverlo, “prendendo sul serio la propria condizione”, senza credersi “autosufficienti” e senza dimenticare le nostre origini, “il fango da cui siamo stati tratti, il nostro niente”. E questo “vale soprattutto per i consacrati”, sottolinea il Papa. Nella vita, infatti, l’im-


HA SCRITTO «Papa Francesco ha voluto che l'Anno Santo della Misericordia si celebrasse senza kermesse né gigantismi e soprattutto che le Porte Sante fossero aperte in tutte le diocesi del mondo" perché il Giubileo possa essere vissuto pienamente nelle Chiese particolari». GIAN GUIDO VECCHI, Corsera Roma 14 dicembre 2015, p.1

portante non è “non cadere mai”, bensì “rialzarsi sempre”. Questo, allora, è il compito della Chiesa: “Far percepire alle persone che è sempre possibile ricominciare se soltanto permettiamo a Gesù di perdonarci”.

Delicatezza e non emarginazione, per le persone omosessuali Rispondendo, poi, ad una domanda sulle persone omosessuali, il Papa spiega quanto detto nel 2013, durante la conferenza stampa di ritorno da Rio de Janeiro, ovvero “Se una persona è gay, cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla?”. “Avevo parafrasato a memoria il Catechismo della Chiesa cattolica – dice Francesco – dove si spiega che queste persone vanno trattate con delicatezza e non si devono emarginare”. Il Papa apprezza la dicitura “persone omosessuali” perché – spiega – “prima c’è la persona, nella sua interezza e dignità”, che “non è definita soltanto dalla sua tendenza omosessuale”. “Io preferi-

Misericordia è dottrina, è primo attributo di Dio Quanto al rapporto tra verità, dottrina e misericordia, Francesco spiega: “Io amo piuttosto dire: la misericordia è vera”, “è il primo attributo di Dio”. “Poi si possono fare riflessioni teologiche su dottrina e misericordia – aggiunge – ma senza dimenticare che la misericordia è dottrina”. A tal proposito, il Papa cita “i dottori della legge, i principali oppositori di Gesù, che lo sfidano in nome della dottrina”: essi seguono una logica di pensiero e di fede che guarda “alla paura di perdere i giusti, i già salvati”. Gesù, invece, segue un’altra logica: quella che redime il peccato, accoglie, abbraccia, trasforma il male in bene, la condanna in salvezza. È la logica di un Dio che è amore, spiega il Papa, un Dio che vuole la salvezza di tutti gli uomini, che non si ferma “a studiare a tavolino la situazione”, valutando i pro e i contro. Per il Signore, ciò che conta davvero è “raggiungere i lontani e salvarli”, sanare e integrare “gli emarginati che stanno fuori” dalla società. 11

Logica di Dio è logica dell’amore che scandalizza i “dottori della legge” Certo, sottolinea Francesco: questa logica può scandalizzare, allora come oggi, provocando “il mugugno” di chi è abituato ai propri “schemi mentali ed alla propria purità ritualistica”, invece di “lasciarsi sorprendere” da un amore più grande. Al contrario, è proprio questa logica la strada che il Signore ci indica di fronte alle persone che “soffrono nel fisico e nello spirito”, per vincere così “pregiudizi e rigidezze” ed evitare di giudicare e condannare “dall’alto della propria sicurezza”. Andare verso gli emarginati ed i peccatori - aggiunge il Papa - non significa permettere ai lupi di entrare nel gregge, bensì cercare di raggiungere tutti testimoniando la misericordia, senza mai cadere nella tentazione di sentirci “i giusti o i perfetti”. Adesione formale alle regole porta a degradazione dello stupore Chi si scopre “ammalato nell’anima”, infatti, deve trovare porte aperte, non chiuse; accoglienza, non giudizio o condanna; aiuto, non emargi-nazione. I cristiani che “spengono ciò che lo Spirito Santo accende nel cuore di un peccatore”, spiega Francesco, sono come i dottori della legge, “sepolcri imbiancati” che, con ipocrisia, vivevano attaccati alla lettera della legge, sapevano solo chiudere porte, segnare confini, ma trascuravano l’amore. Se prevale l’adesione formale alle regole – mette in guardia il Papa – allora si verifica “la degradazione dello stupore”, ossia il venir meno dello stupore di fronte alla salvezza donata da Dio, e

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sco che le persone omosessuali vengano a confessarsi, che restino vicine al Signore, che si possa pregare insieme”, aggiunge il Papa.


ciò ci spinge a credere di “poter fare da soli, di essere noi i protagonisti”. Questo atteggiamento “è alla base del clericalismo” e porta i ministri di Dio a credersi “padroni della dottrina, titolari di un potere”.

Legge della Chiesa è inclusiva, non esclusiva La Chiesa non deve mai essere così, afferma il Papa, non deve avere l’atteggiamento di chi impone “pesanti fardelli” sulle spalle della gente, senza volerli muovere “neppure con un dito”. “Ad alcune persone tanto rigide – dice il Papa – farebbe bene una scivolata perché così, riconoscendosi peccatori, incontrerebbero Gesù”. “La grande legge della Chiesa – infatti - è quella dell’et et e non quella dell’aut aut”. A tal proposito Francesco cita esempi negativi, come i cinquemila dollari richiesti ad una donna per un processo di accertamento di nullità matrimoniale o come il funerale in Chiesa rifiutato ad un bambino perché non battezzato. Capitolo 7: corruzione, peccato elevato a sistema. Peccatori sì, corrotti no! Ampia, poi, la riflessione di Francesco sulla corruzione, definita come “il peccato elevato a sistema e divenuto abito mentale, modo di vivere”. Il corrotto pecca e non si pente, dice il Papa, finge di essere cristiano e con la sua doppia vita dà scandalo, crede di non dover più chiedere perdono, passa la vita in mezzo alle scorciatoie dell’opportunismo, a prezzo della dignità sua e degli altri. Con la sua “faccia da santarellino”, il corrotto evade le tasse, licenzia i dipendenti per

non assumerli definitivamente, sfrutta il lavoro nero e poi si vanta delle sue furbizie con gli amici o magari va a Messa la domenica, ma poi pretende una tangente sul lavoro. E “spesso non si accorge del suo stato” come “chi ha l’alito pesante”. “Peccatori sì, corrotti no!”, esorta il Papa, invitando a pregare, durante il Giubileo, perché Dio faccia breccia nel cuore dei corrotti, donando loro “la grazia della vergogna”.

Giustizia non basta da sola, serve misericordia Poi, il Pontefice ricorda che la misericordia è “un elemento indispensabile” perché vi sia fratellanza tra gli uomini. La giustizia da sola, infatti, non basta: con la misericordia, Dio va oltre la giustizia, “la ingloba e la supera” nell’amore. “Non c’è giustizia senza perdono – dice ancora Francesco, sulla scia di Giovanni Paolo II – e la capacità di perdono sta alla base di ogni progetto di una società futura, più giusta e solidale”. Non solo: “la misericordia contagia l’umanità” e ciò si riflette “nella giustizia terrena, nelle norme giudiziarie”. Basti pensare al crescente rifiuto della pena di morte che si registra a livello mondiale. Famiglia, prima scuola di misericordia “Con la misericordia la giustizia è più giusta”, sottolinea ancora il Papa, rimarcando che questo non significa “essere di manica larga, spalancare le porte delle carceri a chi si è macchiato di reati gravi”, bensì aiutare chi è caduto a rialzarsi, perché Dio “perdona tutto”, “fa miracoli anche con la nostra miseria” e la 12

sua misericordia “sarà sempre più grande di ogni peccato”, tanto che nessuno può porvi un limite. Il Pontefice ricorda, poi, che la famiglia “è la prima scuola della misericordia”, perché in essa “si è amati e si impara ad amare, si è perdonati e si impara a perdonare”. Capitolo 8: compassione vince globalizzazione dell’indifferenza Quanto alle caratteristiche dell’amore infinito di Dio, Papa Bergoglio ricorda che Dio ci ama con compassione e misericordia; la prima ha un volto più umano, la seconda invece è divina. Infatti, Gesù non guarda alla realtà dall’esterno, “come se scattasse una fotografia”, ma “si lascia coinvolgere”. Di questa compassione c’è bisogno oggi, spiega il Papa, e ce n’è bisogno per vincere “la globalizzazione dell’indifferenza”. Capitolo 9: praticare opere di misericordia, è in gioco credibilità dei cristiani A conclusione del libro-intervista, il Papa si sofferma sulle opere di misericordia, corporali e spirituali: “Sono attuali e sempre valide – dice – restano alla base dell’esame di coscienza ed aiutano ad aprirsi alla misericordia di Dio”. Di qui, l’esortazione a servire Gesù “in ogni persona emarginata”, esclusa, affamata, assetata, nuda, carcerata, malata, disoccupata, perseguitata, profuga. Nell’accoglienza dell’emarginato, ferito nel corpo, e del peccatore, ferito nell’anima, si gioca infatti “la credibilità dei cristiani”, conclude il Pontefice. Perché in fondo, come diceva San Giovanni della Croce, “alla sera della vita, saremo giudicati sull’amore”.


Il volume “Il nome di Dio è Misericordia” è stato presentato martedì 12 gennaio 2016 all’Augustinianum a due passi da Piazza San Pietro. All’evento editoriale sono intervenuti assieme all’autore della conversazione con il Papa, il vaticanista Andrea Tornielli, il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, l’attore e regista Roberto Benigni. Toccante la testimonianza del carcerato Zhang Agostino Jianqing. La presentazione è stata moderata dal direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi. Gli interventi sono stati preceduti dal saluto di don Giuseppe Costa, direttore della Libreria Editrice Vaticana.

Lombadi: un valido sussidio per il Giubileo della misericordia Un libro per approfondire il mistero della Misericordia di Dio e capire cosa questa rappresenti nella vita e nel Pontificato di Papa Francesco. E’ il significato più profondo del libro “Il nome di Dio è Misericordia” nato dall’intervista, o meglio come ha precisato padre Federico Lombardi, dalla conversazione del Pontefice con il vaticanista Andrea Tornielli. Pubblicato nell’Anno Santo, il volume – edito in 86 Paesi – rappresenta secondo il direttore della Sala Stampa Vaticana un valido sussi-

dio per il Giubileo della Misericordia: “Questo libro-conversazione è preziosissimo proprio nel contesto di questo anno giubilare. Con questo libro-conversazione noi abbiamo la sua esperienza della misericordia, nella sua vita sacerdotale, nel suo ministero, nella sua spiritualità”.

Parolin: entrare nel mistero della misericordia “Chi è alla ricerca di rivelazioni – ha esordito il cardinale Pietro Parolin nel suo intervento – rimarrà forse deluso”, il volume infatti vuole “prendere quasi per mano il lettore per entrare nel mistero della Misericordia” che, sottolinea il segretario di Stato riecheggiando Francesco, è “la carta d’identità del cristiano”: “Il volume, che si legge agevolmente, ha una caratteristica che è peculiare del suo principale autore, cioè il Papa. E’ infatti un libro che apre delle porte, che le vuole mantenere aperte e intende indicare delle possibilità; che desidera almeno far balenare, se non far brillare, il dono gratuito dell’infinita misericordia di Dio, “senza il quale il mondo non esisterebbe” – come ebbe a dire una vecchietta all’allora mons. Bergoglio, da poco vescovo ausiliare di Buenos Aires”. Il libro, ha ripreso il porporato, non dà risposte definitive, né scende nella casistica ma “allarga 13

lo sguardo verso l’incontro con l’infinito amore di Dio” che supera le logiche umane. E ha ravvisato che Francesco non solo ci ricorda che viviamo in un mondo che ha smarrito il senso del peccato, ma che ha sempre più bisogno di misericordia. Quindi, il cardinale Parolin ha messo l’accento sull’importanza della misericordia non solo nella conversione personale ma pure nelle relazioni tra gli Stati e i popoli. Ne è convinto Papa Francesco, ha detto il porporato, come ne era convinto san Giovanni Paolo II in particolare dopo gli attentati dell’11 settembre: “Il messaggio del Papa, il messaggio cristiano della misericordia e del perdono, le tante porte sante che vengono spalancate, il richiamo a lasciarci abbracciare dall’amore di Dio è qualcosa che non riguarda soltanto la conversione di ciascuno di noi, la salvezza dell’anima di ogni singola persona; è qualcosa che ci riguarda anche come popolo, come società, come Paese e può aiutarci a costruire rapporti nuovi e più fraterni perché chi ha sperimentato di su sé il sovrabbondare della grazia nell’abbraccio di misericordia, chi è stato e continua a essere perdonato, può restituire almeno un po’ ciò che ha gratuitamente ricevuto”. E’ un libro commovente, ha detto ancora, perché mostra che l’abbraccio di Gesù ci rialza se ci abbandoniamo all’amore di Dio.

anno santo della misericordia

Libro del Papa gioia e commozione


Zhang: caro Papa, grazie per la tenerezza che ci mostri Commozione ha destato il successivo intervento, la testimonianza di Zhang Agostino Jianqing, giovane carcerato di origini cinesi, detenuto a Padova, che ha raccontato come dopo anni di violenza ha trovato la fede proprio in carcere, attraverso un volontario che lo ha portato all’incontro con il Signore: “Dopo il Battesimo, ho capito tutta la misericordia di cui sono stato oggetto, anche quando non me ne rendevo conto. E questo libro di Papa Francesco mi ha aiutato a comprendere meglio quello che mi è accaduto. Ecco perché il nome 'Zhang Agostino': Agostino perché pensando ad Agostino, alla sua storia, mi ha particolarmente commosso sua madre, Santa Monica, per tutte le lacrime che aveva versato per suo figlio, sperando di ritrovare il figlio perduto. E’ un po’ come la mia situazione: pensando alla mia mamma e al fiume di lacrime che ha versato per me, sperando che io potessi ritrovare il senso della mia vita”.Zhang Agostino ha quindi ringraziato con parole toccanti il Papa, che ha potuto incontrare proprio per la pubblicazione del libro, per la sua costante attenzione e cura verso i carcerati: “Caro Papa Francesco, grazie per l’affezione e la tenerezza che non manchi mai di testimoniarci. Grazie per la tua instancabile testimonianza. Grazie per le pagine di questo libro dalle quali emerge il cuore di un pastore misericordioso. Ti ricordiamo sempre nelle nostre preghiere”.

Benigni: la misericordia una virtù attiva Dal registro della commozione a quello della gioia prorompente: l’ultimo intervento, molto atteso, è stato quello dell’attore e regista Roberto Benigni che, destando gli applausi dei presenti, ha subito fatto notare che solo con un Papa come Francesco poteva esserci una presentazione di un libro in Vaticano con un cardinale veneto, un carcerato cinese e un comico toscano. L’attore ha innanzitutto confidato i sentimenti che gli ha suscitato la lettura del libro: “E’ un libro in cui diciamo che ci accarezza, che ci abbraccia, che ci ‘misericordia’, che è un termine inventato dal Papa. Misericordia – attenzione! – che non è una virtù così, che sta seduta in poltrona … è una virtù attiva, che si muove: guardate il Papa, non sta mai fermo! Che muove non solo il cuore, ma anche le braccia, le gambe, i calcagni, le ginocchia, muove il corpo e l’anima, non sta ferma mai! Va incontro ai miseri, va incontro alla povertà, non sta fermo un secondo...”. Benigni ha proseguito la sua riflessione sulla Misericordia evidenziando che questa, assieme al perdono, è il messaggio più forte che sta emergendo dal Pontificato di Francesco “E la misericordia di Francesco – attenzione! – non è che è una visione sdolcinata, così accondiscendente o peggio ancora 14

‘buonista’ della vita: no! E’ una virtù severa, è una sfida vera ma non soltanto religiosa-teologica: è una sfida sociale, politica! Quello che sta facendo Francesco è impressionante. E come fa, Francesco, a vincere questa sfida, diciamo, incredibile? Cos’è che gli dà la forza? Proprio la medicina della misericordia. Lui, lo vedete, la va a cercare tra gli sconfitti, tra gli ultimi degli ultimi. Dov’è andato pubblicamente quando ha cominciato il suo Pontificato? A Lampedusa, dove arrivano proprio gli ultimi degli ultimi. E dove ha aperto le Porte Sante del giubileo? In Centrafrica, a Bangui, nel luogo più povero dei poveri dei poveri del mondo: proprio nel luogo più povero, va a trovare la vicinanza – Francesco – del dolore del mondo, della sofferenza, perché lì, in mezzo al dolore nasce la misericordia". In un mondo che chiede la condanna, ha ripreso il mattatore toscano, Francesco vuole invece la misericordia. E non vede contrapposizione con la giustizia:“E allora, dice, se si perdona tutto, però, allora la giustizia che ci sta a fare? Ma, la misericordia – ce lo dice Francesco – è la giustizia più grande. La giustizia è il minimo della misericordia. La misericordia non cancella la giustizia: non la abolisce, non la corrompe. Va oltre. Un mondo con solo la giustizia sarebbe un mondo freddo, no? Si sente che l’uomo non ha solo bisogno di giustizia: ha bisogno anche di qualcos’altro. E si sente che nel libro Francesco ce lo fa sentire perché è proprio la fonte del suo Pontificato, la misericordia...”.


Il mondo “ha bisogno come il pane” della misericordia di Dio, quella misericordia di cui san Pio da Pietrelcina fu un tale “servitore” da diventare per milioni di persone una “carezza vivente del Padre”. Lo ha affermato Papa Francesco alle decine di migliaia di persone appartenenti ai gruppi di preghiera di Padre Pio, giunte da molte parti del mondo all’udienza in Piazza San Pietro, sabato mattina 6 febbraio 2016. Siate - ha detto loro Francesco - delle “centrali di misericordia” che provvedano “l’energia dell’amore” alla Chiesa e al mondo. Padre Pio – ha continuato- non ha girato il mondo, perché per lui il mondo aveva le dimensioni di un confessionale e perché era il mondo che girava e continua a girare attorno a lui, a quasi 50 anni dalla sua morte, per gustare l’impagabile gioia di sentire la propria anima riappacificata con Dio. Perché lui, di Dio, era la “carezza”.

Il profumo del perdono Papa Francesco trova una espressione dolcissima, e in piena sintonia con il Giubileo, per ridire ciò che di san Pio da Pietrelcina si conosce anche dove spesso non si sa nient’altro della Chiesa. Davanti a Francesco si presenta una Piazza affollata da oltre 60 mila devoti del frate cappuccino provenienti da mille posti. Fra loro il Papa gira a lungo in papamobile prima di salire sul sagrato e porre in risalto il perché del grande amore che attornia Padre Pio. Vi ha aiutato – afferma- a scoprire e sperimentare “la bellezza del perdono”, una “scienza che dobbiamo imparare tutti i giorni”: “Possiamo proprio dire che Padre Pio è stato un servitore della misericordia. Lo è stato a tempo pieno, praticando, talvolta fino allo sfinimento, ‘l’apostolato dell’ascolto’. E’ diventato, attraverso il

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Padre Pio, “carezza” della misericordia di Dio per tutti


ministero della Confessione, una carezza vivente del Padre, che guarisce le ferite del peccato e rinfranca il cuore con la pace. San Pio non si è mai stancato di accogliere le persone e di ascoltarle, di spendere tempo e forze per diffondere il profumo del perdono del Signore”. Chi prega non fa affari La forza per vivere quel suo ministero speciale, ricorda il Papa, Padre Pio la traeva da una intensissima vita interiore, contagiosa al punto tale da suscitare quei “gruppi di preghiera” che il frate amava chiamare “vivai di fede”, “focolai d’amore”. Perché “la preghiera – ribadisce Francesco citando Padre Pio – è forza che muove il mondo”: “La preghiera, allora, non è una buona pratica per mettersi un po’ di pace nel cuore; e nemmeno un mezzo devoto per ottenere da Dio quel che ci serve. Se fosse così, sarebbe mossa da un sottile egoismo. 'Ma io prego per star bene, come se prendessi un’aspirina': no, non è così. Io prego per ottenere questo: ma questo è fare un affare. Non è così. La preghiera è un’altra cosa. E’ un’altra cosa. La preghiera, invece, è un’opera di misericordia spirituale, che vuole portare tutto al cuore di Dio”. La preghiera fa miracoli Francesco trova altre espressioni per incidere a fondo in chi lo ascolta la potenza della preghiera. È “una chiave che apre il cuore di Dio”, una “chiave facile”, “comune”, perché – sostiene – “il cuore di Dio non è blindato con tanti mezzi di sicurezza”, perché, semplicemente, è “un cuore di padre”. E dunque … “… i gruppi di preghiera siano delle 'centrali di misericordia': centrali sempre aperte e attive, che con la potenza umile della preghiera provvedano la luce di Dio al mondo e l’energia dell’amore alla Chiesa. (…) Siate sempre apostoli gioiosi della preghiera! La preghiera fa dei miracoli. L’Apostolato della preghiera fa miracoli”.

sco definisce “straordinaria” per effetto del preciso approccio ai malati che indusse Padre Pio a volere un ospedale: “Curare la malattia, ma prendersi cura del malato. Può succedere che, mentre si medicano le ferite del corpo, si aggravino le ferite dell’anima, che sono più lente e spesso difficili da sanare. Anche i moribondi, a volte apparentemente incoscienti, partecipano alla preghiera fatta con fede vicino a loro, e si affidano a Dio”.

“Voglio venire da Padre Pio” E questa considerazione riporta alla mente del Papa il ricordo di un suo amico prete, costretto in coma da molto tempo. Un doloroso stato di incoscienza e un nodo complesso dal punto di vista medico, che un giorno si sciolse grazie all’intervento di un altro sacerdote che riuscì a comunicare col malato invitandolo ad affidarsi serenamente a Dio: “Tanta gente ha bisogno, tanti malati che si litigano parole, che si diano carezze, che diano loro forza per portare avanti la malattia o andare all’incontro con il Signore: hanno bisogno di essere aiutati a fidarsi del Signore. Sono tanto grato a voi e a quanti servono gli Accanto ai malati ammalati con competenza, amore e fede Se i gruppi di preghiera di Padre Pio sono la viva”.Le ultime parole di Francesco sono un samisericordia spirituale fatta persona, la “Casa luto che si trasforma in un invito. “Chiunque Sollievo della Sofferenza” – polo sanitario di ec- venga nella vostra bella terra” – e “io - dice cellenza non solo pugliese – da 60 anni incarna ho voglia di andarci – possa “trovare anche in l’opera di misericordia corporale, che France- voi un riflesso della luce del Cielo”. 16


Da dove venite? Siamo di Catania. Cosa vuol dire per voi essere qui oggi? Appena abbiamo avuto la notizia che c’era Padre Pio non abbiamo esitato un attimo ad essere presenti qui per condividere questo momento di preghiera.

Migliaia di fedeli in San Pietro per Padre Pio e Leopoldo Mandić

Tu sei molto giovane. Quale messaggio ti arriva da questo frate? Sicuramente un messaggio di grandissima misericordia che lui ha sempre trasmesso nella sua vita. Questo è quello che ci trasmette. Padre Pio e Padre Leopoldo in questi giorni sono le figure importanti per il Giubileo perché sono stati dei bravi confessori durante la loro vita. In questi giorni sono qui Roma anche per celebrare il Giubileo con tutto il popolo credente che è venuto per pregare insieme questi grandi santi della Chiesa.

I tantissimi fedeli presenti sabato mattina 6 febbraio in Piazza San Pietro hanno accolto venerdì pomeriggio le spoglie di Padre Pio e San Leopoldo Mandić, giunte in Vaticano con una lunga processione partita dalla Chiesa di San Salvatore in Lauro. Ad accogliere le reliquie il cardinale arciprete Angelo Comastri. Le due teche, poste davanti all'Altare della Confessione, sono rimaste nella Basilica di San Pietro fino al giorno 11 febbraio. Decine di migliaia i fedeli accorsi su Via della Conciliazione per attendere il passaggio delle reliquie di San Pio da Pietrelcina e San Leopoldo Mandić, entrambi confessori e scelti dal Papa come figure di riferimento per questo Giubileo della Misericordia: partite dalla Chiesa di San Salvatore in Lauro sono giunte in una lunga processione, fino alla Basilica San Pietro. Grande la gioia tra la gente. Queste le loro emozioni:

Signora, da dove viene? Dalla provincia di Sassari. Perché siete venuti qui? Noi siamo devoti, siamo del Gruppo di preghiera di Padre Pio, il nostro santo protettore e non potevamo non venire! Il cardinale Comastri ha ricordato che San Pio e San Leopoldo non hanno operato solo sulla terra ma continuano ad operare in cielo … Penso che stanno operando molto più ora di quando erano sulla terra, perché come diceva padre Pio: “Farò più rumore da morto che da vivo”. Penso che con tutta questa gente presente, da quando è partito da San Giovanni Rotondo, si è sentito anche lungo la strada questo rumore! 17

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È un incontro d’amore che già San Pio e San Leopoldo hanno fatto. Più che l’uomo che si avvicina a Dio, è Dio che si avvicina all’uomo, questa è la cosa importante. Questo è l’atto di misericordia; questa profondità d’amore che Dio ha per noi e che in questo momento intenso di spiritualità ci porta in questo cammino di misericordia e di conversione. Oggi per noi è un gran giorno di festa. Padre Pio è stato molto significativo nella nostra vita; è lui che piano piano ci ha portato ad amare Gesù.


Il benvenuto del cardinale Comastri A dare loro il benvenuto c’era il cardinale Angelo Comastri, arciprete della Basilica di San Pietro. Questi alcuni passaggi del suo discorso: “I Santi in Paradiso non possono dormire, ma ci seguono, ci accompagnano, ci difendono, ci aiutano nel cammino della nostra continua conversione e ci aspettano nella festa dei santi: nella festa del pieno compimento delle Beatitudini. Come è consolante questo pensiero! E in questo momento, Padre Pio e Padre Leopoldo ci parlano attraverso la loro vita. Essi hanno vissuto pienamente le Beatitudini e ci indicano la strada per sperimentarle anche noi”. Il cardinale Comastri ha quindi sottolineato il grande cuore misericordioso dei due santi che trascorrevano giorni interi al confessionale senza lamentarsi mai: “Padre Pio e Padre Leopoldo hanno lasciato passare un fiume di Misericordia nelle loro mani restando anche 16 e più ore al giorno nel Confessionale. È impressionante questo fatto. Quante persone hanno ritrovato la Grazia di Dio per mezzo di loro! Quanti hanno ritrovato la pace! Quanti hanno ritrovato la fede e la gioia di credere in Gesù! Questi giorni, benedetti dalla loro presenza tra noi, siano occasione propizia per ritornare al Signore e per ritrovare il fervore della fede e l'entusiasmo missionario che ha caratterizzato tutta la vita di questi due santi, che sulle orme di San Francesco hanno seguito fedelmente Gesù”.

I Santi della misericordia

Sono stati migliaia e migliaia i fedeli che da mercoledì 3 febbraio hanno sostato in preghiera a san Lorenzo al Verano davanti alle spoglie mortali dei due "Santi della Misericordia": San Pio da Pietrelcina e San Leopoldo Mandić, giunte a Roma mercoledì 3 febbraio.. Alle 16 di venerdì 5, le reliquie sono state accompagnate processionalmente dalla chiesa di San Salvatore in Lauro nella Basilica di San Pietro, dove sabato mattina alle 10.00 in Piazza San Pietro, Papa Francesco ha concesso una speciale udienza ai Gruppi di Preghiera di Padre Pio e ai dipendenti della Casa Sollievo della Sofferenza. : Prima al Verano, poi nel cuore di Roma e da venerdì 5 all’11 febbraio in San Pietro. Giovani e anziani, donne e uomini giunti da tutto il mondo: hanno atteso in fila per ore, pregando in silenzio, ripercorrono la propria vita di fede, poi portano un omaggio floreale ai due testimoni dell’amore misericordioso di Dio.. Transennato sin dall’alba l'itinerario interessato dalla processione: le reliquie dei due santi francescani cappuccini , ad accoglierle, sul sagrato della basilica di san Pietro era, il cardinale arciprete Angelo Comastri. Seguiva l’esposizione nella navata centrale, dinanzi all’altare della Confessione. Apertura straordinaria stasera fino alle 21.00 di venerdì 5. Hanno dato il loro valido contributo anche i volontari del Giubileo, che accompagnano i partecipanti per le 4 soste previste lungo il tragitto. 60mila erano i fedeli sabato mattina per la solenne celebrazione giubilare presieduta da Papa Francesco. 18


“Gli Angeli di Padre Pio”

Il ministro della Provincia cappuccina di Sant’Angelo e Padre Pio ha inoltre spiegato a Papa Francesco che quest’iniziativa è solo l’ultima di una serie di opere di carità intraprese dai confratelli del Santo stigmatizzato, che portano avanti una missione in uno dei Paesi più poveri del mondo, il Ciad. A Foggia hanno attivato una mensa dei poveri che ogni giorno fornisce circa 200 pasti caldi.

Nella stessa San Giovanni Rotondo hanno istituito una rete di centri di riabilitazione specializzata per i bambini, con un presidio residenziale di eccellenza denominato “Gli Angeli di Padre Pio” e dotato di 65 posti letto, oltre che delle più avanzate attrezzature tecnologiche. In questo presidio sono stati trattati di recente anche i feriti di guerra della Libia e dell’Ucraina.

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Da Foggia al Ciad


I vertici dei Cappuccini in Vaticano

Dono per il Giubileo

La simbolica consegna del dono è avvenuta venerdì mattina 5 febbraio nel corso di un’udienza concessa dal Papa nella sua biblioteca privata, al ministro provinciale, fr. Francesco Colacelli, accompagnato dal guardiano del Convento di San Giovanni Rotondo fr. Francesco Langi, dal rettore del Santuario fr. Francesco Dileo e dal ministro della Provincia romana dei Cappuccini, fr. Gianfranco Palmisani.

Il ministro provinciale ha simbolicamente donato al Papa la chiave dell’immobile e gli ha illustrato il progetto, spiegandogli che si tratta di una struttura di proprietà dei frati annessa alla chiesa parrocchiale di San Francesco d’Assisi, attualmente in fase di ristrutturazione per renderla idonea al nuovo scopo, che diverrà operativa nel più breve tempo possibile e, comunque, nell’ambito del Giubileo straordinario della Misericordia.

Una lunga processione di anime

Intitolata al Papa casa per migranti

Sono stati migliaia e migliaia i fedeli che da mercoledì 3 febbraio hanno sostato in preghiera a san Lo- Si chiamerà “Casa Papa Francesco. Padre Pio renzo al Verano davanti alle spoglie mortali dei due per le famiglie dei migranti”, sarà realizzata "Santi della Misericordia": San Pio da Pietrelcina e a San Giovanni Rotondo e offrirà ospitalità San Leopoldo Mandić, giunte a Roma mercoledì 3 a cinque famiglie di profughi senza fissa difebbraio.. Alle 16 di venerdì 5, le reliquie sono state mora. È il dono che, idealmente, i Frati Miaccompagnate processionalmente dalla chiesa di nori Cappuccini della Provincia religiosa di San Salvatore in Lauro nella Basilica di San Pietro, Sant’Angelo e Padre Pio hanno voluto fare dove sabato mattina alle 10.00 in Piazza San Pietro, al Papa come segno concreto per ricordare Papa Francesco ha concesso una speciale udienza ai l’onore che egli ha riservato al loro santo Gruppi di Preghiera di Padre Pio e ai dipendenti Confratello, scegliendolo come modello di della Casa Sollievo della Sofferenza. : Prima al Ve- misericordia. rano, poi nel cuore di Roma e da venerdì 5 all’11 febbraio in San Pietro. Giovani e anziani, donne e uomini giunti da tutto il mondo: hanno atteso in fila per ore, pregando in silenzio, ripercorrono la propria vita di fede, poi portano un omaggio floreale ai due testimoni dell’amore misericordioso di Dio.. Transennato sin dall’alba l'itinerario interessato dalla processione: le reliquie dei due santi francescani cappuccini , ad accoglierle, sul sagrato della basilica di san Pietro era, il cardinale arciprete Angelo Comastri. Seguiva l’esposizione nella navata centrale, dinanzi all’altare della Confessione. Apertura straordinaria stasera fino alle 21.00 di venerdì 5. Hanno dato il loro valido contributo anche i volontari del Giubileo, che accompagnano i partecipanti per le 4 soste previste lungo il tragitto. 60mila erano i fedeli sabato mattina per la solenne celebrazione giubilare presieduta da Papa Francesco. 20


Siate uomini di perdono, di riconciliazione, di pace. Lo ha ribadito con forza il Papa Francesco martedì mattina 9 febbraio 2016 nella Basilica Vaticana nella Messa con i Frati Minori Cappuccini di tutto il mondo, giunti in occasione della traslazione in San Pietro delle spoglie dei due Santi dell’Ordine francescano: Padre Pio e Padre

Leopoldo Mandić. Francesco ha sottolineato che “quando qualcuno si dimentica la necessità che ha di perdono, lentamente si dimentica di Dio” e sua volta non “sa perdonare”. In una Basilica immersa nella preghiera e nel raccoglimento il Papa ha centrato la sua omelia sul perdono. Prendendo spunto dalla liturgia del giorno ha parlato di due atteggiamenti: quello “di grandezza davanti a Dio”, ovvero “l’umiltà di Re Salomone”, e quello di “meschinità” dei “dottori della legge” ripiegati sui meri precetti: “La vostra tradizione, di Cappuccini, è una tradizione di perdono, di dare il perdono. Tra di voi ci

Il vero Giubileo tocca le tasche l'usura è peccato grave “Se il Giubileo non arriva alle tasche non è un vero Giubileo”. Lo ha affermato Papa Francesco che ha dedicato la catechesi dell’udienza generale del primo giorno di Quaresima al significato del Giubileo, un periodo che nella Bibbia favoriva un ritorno all’uguaglianza e alla solidarietà reciproca. Invitando a usare con generosità dei propri beni, il Papa ha pregato perché il Giubileo cancelli il ricorso all’usura”, “un peccato – ha detto – che grida al cospetto di Dio”. Papa Francesco Udienza generale 10 febbraio 2016 sono tanti bravi confessori: è perché si sentono peccatori, come il nostro fra Cristoforo. Sanno che sono grandi peccatori, e davanti alla grandezza di Dio continuamente pregano: Ascolta, Signore, e perdona. E perché sanno pregare così, sanno perdonare". “Quando qualcuno si dimentica la necessità che ha di perdono - ha evidenziato - lentamente si dimentica di Dio, si dimentica di chiedere perdono e non sa perdonare”. “L’umile - ha proseguito - quello che si sente peccatore, è un gran perdonatore nel confessionale”, gli altri invece come i dottori della legge che si sentono “i puri”, “i maestri”, sanno invece soltanto "condannare": “Vi parlo come fratello, e in voi vorrei parlare a tutti i confessori, in quest’Anno della Misericordia specialmente: il confessionale è per perdonare. E se tu non puoi dare l’assoluzione - faccio questa ipotesi - per favore, non bastonare. Quello che viene, viene a cercare conforto, perdono, pace nella sua

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anima; che trovi un padre che lo abbracci e gli dica: “Ma, Dio ti vuole bene”. “Siate uomini di perdono, di riconciliazione, di pace”, ha detto. Francesco per poi ricordare quante volte i sacerdoti hanno sentito dire “non vado mai a confessarmi, perché una volta mi hanno fatto queste domande”. Poi ha raccontato l’incontro con un grande confessore e distinto tra "parole" e "gesti" che chiedono il perdono, come quando una persona si avvicina al confessionale: “è perché sente qualcosa che gli pesa, che vuole togliersi”, forse non sa come dirlo ha spiegato - ma “lo dice con il gesto di avvicinarsi”. “Non è necessario fare delle domande”: “Il perdono è un seme, è una carezza di Dio. Abbiate fiducia nel perdono di Dio. Non cadete nel pelagianismo, eh? Tu devi fare questo, questo, questo, questo ” Il Papa ha poi lanciato un monito spiegando che si è o “ grandi perdonatori” o “grandi condannatori”: “O fai l’ufficio di Gesù, che perdona dando la vita, la preghiera, tante ore lì, seduto, come quei due, lì; o fai l’ufficio del diavolo che condanna, accusa … “

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Ai frati cappuccini il perdono è una tenerezza di Dio


Padre Cantalamessa

Papa Francesco dono immenso per la Chiesa Papa Francesco ha celebrato nella Basilica Vaticana martedì mattina 9 febbraio la Messa con i Cappuccini di tutto il mondo, giunti in occasione della traslazione in San Pietro delle spoglie di due Santi dell’Ordine francescano: Padre Pio e Padre Leopoldo Mandić. Su questo storico evento padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia e Cappuccino ha così riposto ad alcune domande:: E’ un grande evento, una grande gioia per tutto l’Ordine. E’ un’occasione per vedere il Papa per molti di loro, per celebrare con lui. E, certamente, non si può negare che c’è una gioia. Vorrei che non fosse trionfalismo, perché questo sarebbe proprio sbagliato, però siamo felici di aver dato alla Chiesa due persone che – soprattutto nell’Anno della Misericordia – sono veramente dei modelli di confessori misericordiosi.

DA ROMA A PIETRELCINA CON SOSTA A BENEVENTO Da giovedì 11 a domenica 14 febbraio dopo 100 anni dalla nascita il copro di san Pio , dopo Roma, ha sostato nel paese del Beneventano che ha dato i natali a Francesco Forgione. Oltre 200 mila i fedeli che giorno e notte hanno stato in preghiera davanti all’urna trasparente del frate con le stimmate. Liturgie, veglie, processioni e tante iniziative devozionali che hanno segnato i cuori. Domenica 14 febbraio la sosta orante nella cattedrale di Benevento, con la solenne concelebrazione eucaristica dell’arcivescovo Andrea Muggione. Le celebrazioni a Pietrelcina sono state presiedute dai cardinale Conastri e Sepe.


mettersi al di sopra di tutto. Certo bisogna educare la pietà popolare, però vorrei essere abbastanza semplice per poter imitare quella gente che ha quella fiducia in Dio, anche nell’intercessione dei Santi. Padre Pio e Padre Leopoldo, due Santi della misericordia molto differenti. E’ il volto della misericordia che si declina in modi diversi … Sì, si declina secondo le personalità di chi l’amministra. Certamente, però, Padre Leopoldo e Padre Pio erano diversi, ma tutti e due convergenti, nel senso che il Signore usava il carattere di ognuno per poter ottenere i frutti che voleva: Padre Leopoldo era largo, generoso, buono, accogliente con tutti, talmente di manica larga che qualcuno lo rimproverava; e Padre Pio, al contrario, si sa che alle volte era brusco nell’accogliere i penitenti e qualche volta li rimandava indietro anche in malo modo senza assoluzione. Ma a mio parere la spiegazione c’è. A parte il carattere di Padre Pio, lui aveva il dono mistico di saper scrutare i cuori. Lui leggeva i cuori, sapeva bene che le persone poi, in questo modo, sarebbero state

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indotte a riflettere meglio, ad essere meno superficiali, a non andare lì solo per vedere lui. Di fatti, la maggioranza, poi, tornava a confessarsi con altre disposizioni di cuore. Noi sacerdoti dobbiamo imitare Padre Pio, soprattutto nella sua eroica dedizione al Sacramento, non tanto nei modi bruschi che lasciamo ai Santi mistici che sanno come usarli. Padre Pio è un martire della Confessione, perché contrariamente a quello che pensa la gente - che sia piacevole ascoltare i peccati degli altri - il ministero della Confessione è uno dei più pesanti e schiaccianti che ci sia per un sacerdote. Io ammiro immensamente persone che passano ore ed ore come Padre Pio - fino a 19, 20 ore al giorno – in confessionale. Non significa solo sentire i peccati della gente, ma è tutto un mondo di sofferenza che lì si riversa sul sacerdote - l’umanità sofferente, sanguinante, che viene lì a chiedere misericordia - e il sacerdote deve spogliarsi di se stesso, se è stanco, se è caldo lì dentro, se è freddo, per ascoltare le persone. E’ un vero martirio ed io credo che questi due Santi spiritualmente siano due martiri della Confessione.

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Abbiamo visto la gioia e la fede di tante persone per l’arrivo a Roma delle spoglie di Padre Pio e Padre Leopoldo. Ma qualche giornale ha titolato: “E’ tornato il Medioevo”… “E’ tornato il Medioevo” potrebbe anche significare è tornato San Francesco! Pure il grande San Francesco era del Medioevo. Non penso che qualcuno avrebbe qualcosa in contrario se avessimo un altro San Francesco oggi. Dire il Medioevo, quindi, è una cosa molto ambigua, perché il Medioevo può essere anche una cosa positiva, bellissima. Cosa dire di questo? Certamente la pietà popolare ha dei caratteri che non sono fatti per soddisfare i palati sopraffini, colti, qualche volta secolarizzati del nostro mondo. Disprezzare, però, quello che il popolo ama è, secondo me, un insulto al popolo. Non possiamo appellarci al popolo ogni volta che si discute su qualcosa, come fanno i partiti che si riferiscono sempre al popolo - tutto è popolare, i partiti popolari, la voce del popolo, voce di Dio… - e poi quando il popolo si muove, come in questi casi, diventa “pecorone”, da Medioevo. Credo che ci sia un po’ di presunzione in tutto questo, un



Padre Destivelle: nuova pagina di storia da Città del Vaticano

HÈLÈNE DESTOMBES GIORNALISTA RADIO VATICANA

Ha avuto risonanza mondiale l’annuncio dello storico incontro tra Papa Francesco e il Patriarca Kirill di Mosca e di tutta la Russia svoltosi il 12 febbraio a Cuba. Un evento di straordinaria importanza di cui ci parla il padre domenicano Hyacinthe Destivelle, responsabile della sezione orientale del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, intervistato da Hélène Destombes: Un incontro desiderato e preparato da molto, molto tempo; i progetti c’erano da 25 anni, ma non sono mai andati in porto. Negli ultimi anni, le relazioni si sono molto intensificate, in particolare a partire dal Pontificato di Papa Francesco. Il Patriarca Kirill aveva manifestato da tempo il desiderio di incontrare Papa Francesco, quasi fin dalla sua elezione; il

metropolita Hilarion ha dato un forte contributo alla realizzazione di questo progetto: l’anno scorso, è venuto in Vaticano a più riprese… Un lavoro al quale ha contribuito anche Papa Benedetto XVI, creando soprattutto un’atmosfera di fiducia… Sì, è vero. Purtroppo, questo progetto non si è potuto realizzare durante il Pontificato di Papa Benedetto. Quello che aveva impedito l’incontro finora era un certo timore da parte del Patriarcato di Mosca, il timore del “proselitismo” cattolico in Russia, il timore anche di quello che chiamano “il metodo dell’uniatismo” , in particolare in Ucraina. Credo che questi timori siano stati superati e che gli ortodossi russi si rendano conto che da parte della Chiesa cattolica non c’è alcuna intenzione di fare proselitismo in Russia e che altrettanto non c’è alcun desiderio di riprendere il

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“metodo dell’uniatismo”, che consiste nel ri-annettere alcune parti della Chiesa ortodossa alla Chiesa cattolica. Attualmente, la Chiesa cattolica promuove un metodo diverso per raggiungere l’unità, che è quello ecumenico, un metodo cioè che non consiste nel riannettere una parte della Chiesa ortodossa alla Chiesa cattolica, ma che prevede un cammino che vogliamo fare insieme, un cammino di fratellanza, di collaborazione in diversi ambiti, un percorso di dialogo teologico e anche di carità, quello che chiamiamo il “dialogo della carità” … Tutto questo dovrà contribuire a riavvicinarci, gli uni con gli altri. Credo che lo scopo di tutto questo movimento ecumenico, di questo processo di unità è quello di riuscire, un giorno, cattolici e ortodossi, a fare la Comunione dallo stesso Corpo e Sangue di Cristo: questo è quello che conta.

abbraccio ecumenico

Incontro Papa-Kirill


Si può parlare di “normalizzazione delle relazioni”? Di una nuova pagina che si apre nei rapporti tra le due Chiese? Penso che si possa parlare in effetti di una nuova fase: questo evento è un punto d’arrivo, perché ci sono voluti molti anni per completare questo progetto; ma è al contempo anche un punto di partenza nei rapporti, nella misura in cui da adesso possiamo avere rapporti normali e fondati sulla fiducia. L’approccio di Papa Francesco è nella promozione di una cultura dell’incontro, e questo incontro sarà un momento particolarmente importante nel Pontificato di Papa Francesco: la Chiesa ortodossa russa infatti è una Chiesa molto importante nel mondo cristiano. E’ una delle Chiese più grandi, nella Chiesa ortodossa è al quinto posto, considerando che il “primus inter pares” nell’ortodossia – il Patriarcato Ecumenico, e quindi attualmente il Patriarca Bartolomeo, Patriarca di Costantinopoli, gode del primato d’onore nel plenum delle Chiese ortodosse; sicuramente la Santa Sede ha un legame particolare con il Patriarcato Ecumenico che – mi sembra – non possa essere paragonato ad alcun altro rapporto con le altre Chiese ortodosse. Detto questo, il Patriarcato di Mosca per il numero di fedeli rappresenta una questione di particolare importanza per quanto riguarda le relazioni ecumeniche, perché raggruppa quasi due terzi del mondo ortodosso. In occasione dell’incontro del 12 febbraio è prevista la firma di una Dichiarazione comune: cosa dobbiamo aspettarci? E’ una Dichiarazione comune che verosimilmente riprenderà i temi particolarmente cari al dialogo cattolico-ortodosso in generale. Non è una Dichiarazione che si incentra su un aspetto teologico in particolare;

Con Kirill una conversazione tra fratelli "E’ stata una conversazione di fratelli": così il Papa ha commentato l’incontro all’Avana con il Patriarca di Mosca Kirill, parlando con i giornalisti durante il volo verso il Messico. “Io mi sono sentito davanti a un fratello e anche lui mi ha detto lo stesso. Due vescovi che parlano della situazione delle loro Chiese e sulla situazione del mondo, delle guerre, dell’ortodossia, del prossimo Sinodo pan ortodosso … Io vi dico, davvero, io sentivo una gioia interiore che era proprio del Signore”. Il Papa ha ribadito la libertà dell’incontro lodando la capacità dei due traduttori e spiegando che si è trattato di un colloquio a “sei occhi” perché presenti anche il metropolita Hilarion e il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani. Francesco ha spiegato che si è parlato di un programma di “possibili attività in comune” perché ha detto - “l’unità si fa camminando”: “Una volta io ho detto che se l’unità si fa nello studio, studiando la teologia e il resto ... verrà il Signore e ancora noi staremo facendo l’unità. L’unità si fa camminando, camminando: che almeno il Signore, quando verrà, ci trovi camminando”. Centrale la Dichiarazione congiunta firmata dopo l’incontro. Il Papa ne ha spiegato il senso “Ci saranno tante interpretazioni, eh?: tante. Ma non è una dichiarazione sociologica, è una dichiarazione pastorale, incluso quando si parla del secolarismo e di cose chiare, della manipolazione biogenetica e di tutte queste cose. Ma è ‘pastorale’: due vescovi che si sono incontrati con preoccupazione pastorale. E io sono rimasto felice”. Sentito il ringraziamento per il presidente Castro, per l’accoglienza e la disponibilità ricevuta: “Avevo parlato con lui di questo incontro, l’altra volta, ed era disposto a fare tutto e abbiamo visto che ha preparato tutto per questo”.

non è una Dichiarazione che apre a prospettive teologiche particolari, perché il dialogo teologico si svolge nell’ambito della Commissione internazionale del dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme. Nella Dichiarazione si parla degli ambiti di collaborazione e di dialogo che non hanno carattere teologico ma che pure sono molto importanti per il riavvicinamento delle Chiese: la questione della persecuzione dei cristiani in Medio Oriente, la questione della famiglia, la questione della secolarizzazione, del ruolo che i cristiani possono ricoprire nelle società secolarizzate; la questione dei giovani, della vita in termini generali … tutti questi aspetti sono particolarmente importanti, soprattutto nel dialogo con la Chiesa ortodossa russa. 26

Oggi c’è una reale sfida: parlare e lavorare insieme, a una sola voce… Sì, il concetto di fondo di questo incontro e sicuramente anche della Dichiarazione è di affermare che non siamo “concorrenti”, ma “fratelli”, in particolare fratelli dei nostri fratelli ortodossi con i quali condividiamo la medesima successione apostolica, la stessa concezione di Chiesa, la stessa concezione dei Sacramenti: noi riconosciamo tutti i Sacramenti ortodossi e gli ortodossi riconoscono a loro volta tutti i Sacramenti cattolici. Per questo, abbiamo grande interesse a lavorare insieme per testimoniare insieme il Cristo. Ecco, alla fine, lo scopo di questo incontro tra il Patriarca e Papa Francesco: testimoniare insieme il cristianesimo nel mondo di oggi.


uniti di fronte alle sfide del mondo

HA SCRITTO

L'ECUMENISMO ORA NON SARÀ PIÙ COME PRIMA

«E’ un evento che dà grande gioia a tutti i cristiani e – certo – in particolar modo ai cattolici e agli ortodossi russi, perché è un evento che si aspettava da 50 anni. E poi di colpo, in questi ultimi tempi, si è intravista la possibilità. L’incontro è avvenuto in un luogo anonimo, in un aeroporto, senza la folla che poteva applaudire il Papa e il Patriarca. Così l’incontro è avvenuto e questo è il miracolo! Dovuto, però, e questo dobbiamo dirlo, da un lato, alla testardaggine santa di Papa Francesco, che nell’ecumenismo avanza non semplicemente dicendo “quando lo Spirito vorrà” o “come lo Spirito vorrà”; ma facendosi completamente docile allo Spirito Santo e con audacia facendo gesti e dicendo parole che sembravano impossibili solo qualche anno fa. E poi è stato possibile anche grazie al Patriarca, il quale – lo conosciamo bene, io tra l’altro lo conosco personalmente perché è venuto a Bose ai nostri convegni – è stato sempre uomo ecumenico, che ha lavorato molto per la comunione e per lo scambio della Chiesa ortodossa con le Chiese europee. E’ stato possibile l’impossibile! L’ecumenismo non sarà più come prima fra le due Chiese” .ENZO BIANCHI Priore della comunità ecumenica di Bose

Il testo della Dichiarazione comune firmata all’Avana da Papa Francesco e dal Patriarca Kirill conta 5 pagine divise in 30 punti.

Da cuore a cuore Un testo semplice e forte: “Con gioia – affermano Francesco e Kirill - ci siamo ritrovati come fratelli nella fede cristiana che si incontrano per «parlare a viva voce» (2 Gv 12), da cuore a cuore”. “Incontrandoci lontano dalle antiche contese del ‘Vecchio Mondo’, sentiamo con particolare forza la necessità di un lavoro comune tra cattolici e ortodossi, chiamati, condolcezza e rispetto, a rendere conto al mondo della speranza che è in noi (cfr 1 Pt 3, 15)”. Porre fine a persecuzione cristiani e a guerre in Siria e Iraq Rispondere insieme alle sfide del mondo contem- “Il nostro sguardo – affermano Francesco e Kirill - si poraneo rivolge in primo luogo verso le regioni del mondo Il testo deplora “la perdita dell’unità, conseguenza dove i cristiani sono vittime di persecuzione”, testidella debolezza umana e del peccato”, e nella consa- moni di unità nella sofferenza e nel martirio. “In pevolezza “della permanenza di numerosi ostacoli” si molti paesi del Medio Oriente e del Nord Africa i noaugura che questo incontro “possa contribuire al ri- stri fratelli e sorelle in Cristo vengono sterminati per stabilimento” dell’unità voluta da Dio. Lo scopo è ri- famiglie, villaggi e città intere. Le loro chiese sono despondere “insieme alle sfide del mondo vastate e saccheggiate barbaramente, i loro oggetti contemporaneo. Ortodossi e cattolici devono impa- sacri profanati, i loro monumenti distrutti. In Siria, rare a dare una concorde testimonianza alla verità in in Iraq e in altri paesi del Medio Oriente, constaambiti in cui questo è possibile e necessario”. tiamo con dolore l’esodo massiccio dei cristiani” e di 27

abbraccio ecumenico

CATTOLICI E ORTODOSSI


altre comunità religiose. “Chiediamo alla comunità internazionale di agire urgentemente per prevenire l’ulteriore espulsione dei cristiani dal Medio Oriente” e “porre fine alla violenza e al terrorismo”, assicurando nello stesso tempo “un aiuto umanitario su larga scala alle popolazioni martoriate e ai tanti rifugiati nei Paesi confinanti”. Si lancia un appello per la liberazione delle persone rapite.

Famiglia, vita, eutanasia Si esprime poi la preoccupazione per la crisi della famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna: “Ci rammarichiamo che altre forme di convivenza siano ormai poste allo stesso livello di questa unione, mentre il concetto di paternità e di maternità … viene estromesso dalla coscienza pubblica”. Chiediamo a tutti di rispettare il diritto inalienabile alla vita. Milioni di bambini sono privati della posDialogo interreligioso indispensabile sibilità stessa di nascere nel mondo. La voce del san“In quest’epoca inquietante – afferma la Dichiara- gue di bambini non nati grida verso Dio (cfr Gen zione - il dialogo interreligioso è indispensabile” e “i 4, 10)”. Preoccupazione anche per lo sviluppo delleader religiosi hanno la responsabilità particolare di l’eutanasia e delle tecniche di procreazione medicaleducare i loro fedeli” a rispettare le altre fedi: “Sono mente assistita”. Francesco e Kirill si rivolgono assolutamente inaccettabili i tentativi di giustificare quindi ai giovani cristiani perché non abbiano azioni criminali con slogan religiosi. Nessun crimine paura di “andare controcorrente, difendendo la vepuò essere commesso in nome di Dio”. rità di Dio”. Libertà religiosa sempre più minacciata Si esprime poi la preoccupazione “per la situazione in tanti Paesi in cui i cristiani si scontrano sempre più frequentemente con una restrizione della libertà religiosa, del diritto di testimoniare le proprie convinzioni e la possibilità di vivere conformemente ad esse”. Si afferma “che la trasformazione di alcuni Paesi in società secolarizzate, estranee ad ogni riferimento a Dio ed alla sua verità, costituisce una grave minaccia per la libertà religiosa. È per noi fonte di inquietudine l’attuale limitazione dei diritti dei cristiani, se non addirittura la loro discriminazione, quando alcune forze politiche, guidate dall’ideologia di un secolarismo tante volte assai aggressivo, cercano di spingerli ai margini della vita pubblica”. In questo senso, Francesco e Kirill invitano a rimanere vigili contro un’integrazione europea “che non sarebbe rispettosa delle identità religiose” nella convinzione “che l’Europa debba restare fedele alle sue radici cristiane”. Solidarietà con i poveri e i migranti C’è quindi l’appello a non rimanere indifferenti “alla sorte di milioni di migranti e di rifugiati che bussano alla porta dei Paesi ricchi. Il consumo sfrenato, come si vede in alcuni Paesi più sviluppati, sta esaurendo gradualmente le risorse del nostro pianeta. La crescente disuguaglianza nella distribuzione dei beni terreni aumenta il sentimento d’ingiustizia nei confronti del sistema di relazioni internazionali”. “Le Chiese cristiane sono chiamate a difendere le esigenze della giustizia, il rispetto per le tradizioni dei popoli e un’autentica solidarietà con tutti coloro che soffrono”.

No a proselitismo e uniatismo La Dichiarazione auspica che l’incontro “possa anche contribuire alla riconciliazione, là dove esistono tensioni tra greco-cattolici e ortodossi”. Si esclude ogni forma di proselitismo. “Oggi è chiaro – si afferma - che il metodo dell’uniatismo del passato, inteso come unione di una comunità all’altra, staccandola dalla sua Chiesa, non è un modo che permette di ristabilire l’unità. Tuttavia – si sottolinea - le comunità ecclesiali apparse in queste circostanze storiche hanno il diritto di esistere e di intraprendere tutto ciò che è necessario per soddisfare le esigenze spirituali dei loro fedeli, cercando nello stesso tempo di vivere in pace con i loro vicini. Ortodossi e greco-cattolici hanno bisogno di riconciliarsi e di trovare forme di convivenza reciprocamente accettabili”. Pace in Ucraina Si lancia quindi un appello per la fine delle violenze in Ucraina che hanno già causato “molte vittime” gettando la società “in una grave crisi economica ed umanitaria”. Si auspica che “lo scisma tra i fedeli ortodossi in Ucraina possa essere superato sulla base delle norme canoniche esistenti”. Fratelli non concorrenti “Non siamo concorrenti ma fratelli – concludono Francesco e Kirill - e da questo concetto devono essere guidate tutte le nostre azioni reciproche e verso il mondo esterno. Esortiamo i cattolici e gli ortodossi di tutti i paesi ad imparare a vivere insieme nella pace e nell’amore”. 28


dalla Città del Vaticano

ORAZIO LA ROCCA VATICANISTA LA REPUBBLICA

Un grande, grandissimo capolavoro di portata storica, ma lontano dalla sua cornice naturale. Sono tante le parole con cui si può raccontare l'evento più importante del Giubileo della Misericordia, l'incontro tra papa Francesco e il Patriarca ortodosso russo Kirill. L'evento, coltivato e portato a buon fine dal sapiente riservato lavoro delle diplomazie delle Chiese cattolica ed ortodossa, avvenuto venerdì scorso 12 febbraio a Cuba, data e luogo già inserite d'autorità nel registro degli avvenimenti più importanti che cambieranno il corso della storia cristiana di questo tormentato inizio di terzo millennio. Un incontro che di fatto cancella ben 962 anni di totale lontananza tra il Papa di Roma e la maggiore guida spirituale delle chiese ortodosse, un muro che dallo Scisma del 1054 ha tenuto diviso l'intero universo cristiano, creando scandalo, dolore, incomprensione, tra i circa 2 miliardi e mezzo di fedeli cristiani. Una gigantesca ferita nel cuore del cristianesimo che ha prodotto nei secoli la nascita di una miriade di chiese contrapposte e – purtroppo spesso e volentieri – le une contro le altre armate sulla spinta di reciproche scomuniche, di accuse e di condanne bilaterali, ma anche di “concorrenza” sleale a causa di lotte fratricide i cui frutti amari ancora oggi si toccano con mano persino davanti al Santo Sepolcro di Gerusalemme dove fu sepolto Gesù. Basti pensare che fin dall'occupazione musulmana di Gerusalemme per evitare scontri tra le varie

componenti cristiane le chiavi del portone di ingresso da secoli sono in mano ad una famiglia islamica che ha la responsabilità di aprire e di chiudere l'accesso al Sepolcro. L'interno della basilica, poi, è rigorosamente diviso tra tutte le componenti cristiane, che con altrettanto rigore si sono “spartite” le aree della basilica della Natività di Betlemme. L'incontro Bargoglio - Kirill porrà fine a tutto questo? Speriamo di sì, pur senza escludere che la strada della definitiva unione dei cristiani come era prima del tragico anno 1054 è ancora lunga. Va detto che di passi ne sono stati compiuti già tanti, specialmente da parte della Chiesa cattolica fautrice di una politica del dialogo e dell'ecumenismo grazie al Concilio Vaticano II voluto da Giovanni XXIII e completato da Paolo VI, il Papa che nel 1964 nel suo primo storico viaggio in Terra Santa incontrando Atenagora, il Patriarca di Costantinopoli, lo abbracciò come un “fratello”. Evento impensabile senza la svolta conciliare che portò all'annullamento delle reciproche scomuniche. Da allora tutti gli altri Papi hanno continuato nella strada tracciata da Giovanni XXIII e Paolo VI, specialmente Giovanni Paolo II e Benedetto XVI (Giovanni Paolo I guidò la Chiesa solo per 33 giorni), che hanno favorito gli incontri praticamente con tutte le chiese ortodosse, specialmente col Patriarcato di Costantinopoli, ad eccezione della Chiesa ortodossa russa, a causa di una osti29

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Mosca ora è meno lontana


nata opposizione dei predecessori di Kirill. Un “niet” che ha impedito a Wojtyla e Ratzinger di incontrare a Mosca il Patriarca ortodosso, guida di oltre 200 milioni di cristiani russi. Con l'annunciato incontro di Cuba tanti muri si apprestano a cadere, tante distanze saranno colmate, grazie ad una sapiente opera diplomatica favorita, per uno strano “scherzo” del destino (o della Divina Provvidenza?), anche da un leader politico come il presidente russo Vladimir Putin (ex capo del Kgb, il famigerato servizio segreto dell'ex impero sovietico che lottò inutilmente contro la religione, specialmente quella cattolica) e dall'attuale presidente cubano Raul Castro, che non ha mai nascosto di essere ateo, guida di uno degli ultimissimi regimi comunisti insieme alla Cina e alla Corea del Nord, altri paesi che i papi di Roma fi-

nora hanno cercato di visitare, ma senza successo. E' innegabile che anche la simbolica, apparentemente incomprensibile, congiunzione astrale Putin- Castro abbia portato all'incontro di venerdì prossimo a Cuba, in un terreno “neutro”, lontano sia da Roma che da Mosca. Una cornice innaturale per papa Francesco e il Patriarca Kirill, ma che ha portato ad una svolta nei rapporti tra cattolici ed ortodossi russi impensabile fino a venerdì scorso, il giorno dell'annuncio ufficiale dell'incontro cubano. Cornice o non cornice, il corso dei tormentati rapporti tra cattolici ed ortodossi è cambiato, e Mosca per il Papa di Roma è meno lontana. Come pure il Vaticano per il Patriarca Russo. Basta saper aspettare e far lavorare anche atei ed ex atei, come insegnano Raul Castro e Vladimir Putin. 30


La testimonianza di padre Ibrahyim Faltras La Terra Santa soffre la mancanza di pellegrini: i luoghi sacri sono vuoti e i cristiani impegnati nel settore del turismo, pensano di andare via. Solo dall’Italia si stima nell'ultimo anno un calo di partenze di oltre il 40%. Non è solo un problema economico-sociale ma una minaccia di perdita di valore dei luoghi della vita di Gesù. La questione è riemersa in occasione del Giubileo degli Operatori dei pellegrinaggi e dei Santuari che a San Giovanni in Laterano, il 20 gennaio 2016, hanno aperto le giornate di stu-

dio e di preghiera. Questa, la forte testimonianza di padre Ibrahim Faltas, francescano della Custodia di Terrasanta rilasciata a Gabriella Ceraso: Veramente, il 2015 è stato un anno molto difficile per tutta la Terra Santa, per i pellegrini … Possiamo dire che ne sono venuti meno della metà rispetto

all’anno precedente e questo ci danneggia molto. Danneggia anche la presenza dei cristiani perché sapete che la maggior parte dei cristiani lavorano nel settore del turismo: hanno alberghi, hanno ristoranti, sono guide, e in questo momento tutti gli alberghi e tutti i santuari sono vuoti. La gente piange e tanti sono diventati disoccupati e per questo vanno via dalla Terra Santa. Questo è il problema.

c’è la stessa situazione. Adesso in Turchia, dopo i recenti attentati .Sono problemi grossi, problemi sempre legati alla paura .Per questo io dico alla gente: ‘Vincete la paura. Dovete tornare come pellegrini. Veramente, non è mai successo nulla a un pellegrino, qua: palestinesi e israeliani rispettano i pellegrini, rispettano i turisti. Nella seconda Intifada, io ero a Betlemme quando doveva entrare un gruppo: hanno interrotto gli scontri per fare entrare il gruppo’. Io dico alla gente che non deve dar retta ai media che sempre trasmettono notizie di questi problemi, di attentati … E poi, gli attentati avvengono in luoghi lontani da Betlemme e da Gerusalemme... La maggior parte in questo momento si verificano a Hebron, a Gaza.

Rispetto al passato – sappiamo che lei ha vissuto anche la seconda Intifada – com’è la situazione? Quest’anno è peggio della seconda Intifada: sono passato nei giorni scorsi di metà gennaio dal Getsemani. Prima entravano tra le 5 mila e le 6 mila persone al giorno. A metà gennaio era vuoto: non c’era nessuno, pro- E muoversi per le città, per le strade, com’è, per voi? prio nessuno. Tutto tranquillo. Noi stiamo viQuanta responsabilità hanno i vendo un momento molto media, anche, nel raccontare calmo. La gente va, viene, non quello che accade lì? siamo in guerra. I media raccontano sempre le cose negative, non raccontano Certo, bisogna ribadirlo e bisomai le cose positive, perché le gna forse anche ribadire che se cose negative fanno notizia. Una non si prega nei luoghi di Gesù guerra fa notizia, un attentato fa non si ha neanche la forza per notizia, ma un incontro di pace superare le difficoltà di oggi... non fa notizia. E poi penso che la Certo. Preghiamo anche per i gente abbia paura non soltanto di cristiani: se non vengono i turivenire in Terra Santa, ma anche sti, se non vengono i pellegrini, di venire in tutto il Medio veramente la gente va via, sta anOriente. In Egitto, in Giordania dando via … 31

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INTERVISTA La Terra Santa è vuota i luoghi sacri sembrano musei


Reportage Pasqua a Gerusalemme misericordia e pace da Gerusalemme

ORAZIO LAROCCA GIORNALISTA LA REPUBBLICA

E’ la città santa della misericordia e della pace e mai come in questi giorni questa divina presenza il pellegrino la tocca con mano. Papa Francesco ha voluto che il “suo” Giubileo straordinario della Misericordia venisse celebrato non solo a Roma e in san Pietro, ma in tutte le diocesi, nei grandi e piccoli santuari e nelle sedi di comunità dove sono state aperte su delega dei vescovi locali Porta Sante speciali per lucrare il tradizionale perdono giubilare (ospedali, carceri, scuole) senza andare per forza nelle grandi basiliche romane e in san Pietro. Una opportunità che ha preso piede in tutte le Chiese cattoliche in comunione col Papa, al di là di riti e di tradizioni locali. Porte Sante, quindi, sono state aperte – dopo quella storica inaugurata dal Pontefice per la prima volta in Africa, una settimana prima del via ufficiale del Giubileo dalla Porta Santa dell'8 dicembre scorso – in tutta Italia, in Europa e in tutti gli altri Continenti. Ad Haifa, in Galilea Anche in Terra Santa dove risiedono le più antiche comunità cristiane di rito orientale da sempre fedeli al Papa di Roma come i Melkiti, i Maroniti, gli Armeni. E così nelle lontane terre dove Gesù visse e predicò, e gli apostoli iniziarono a muovere i primi passi che portarono alla nascita della Chiesa, un prete sposato della chiesa Maronita, padre di 2 figli, ha aperto con gesti solenni la Porta Santa di Haifa, in Galilea, Israele del nord, l'area forse a maggiore concentrazione di arabi cristiani della Terra Santa. Analoghi riti giubilari si stanno ripetendo anche da parte di pellegrini e ammalati radunati al Monte delle Beatitudini, alla Casa di san Pietro, al Villaggio della Maddalena. E con piacevoli sorprese da parte di Sudamericani, e persino cinesi, giapponesi, coreani del Sud rigorosamente in fila davanti alla Porta Santa del Getsemani, alla basilica delle 12 Nazioni dell'Orto degli Ulivi; al Santo Sepolcro, sul Golgota, dove però latitano gli europei, italiani in testa per “paura” - ingiustificata lamentano i francescani 32


UNA CONFIDENZA DI PAOLO VI

Si suole attribuire a Paolo VI una confidenza, che sarebbe suonata press' a poco in questi termini: «Riuscire a mettere in mano a tutti i cristiani uno stesso testo della Sacra Scrittura e portarli a celebrare la Pasqua del Signore ogni anno nello stesso giorno, tutti insieme, basterebbe per dare senso a un intero pontificato». Il dolore di vedere da secoli disuniti i cristiani già ai preliminari esterni dell' unità, quali lo stesso tenore letterale della Bibbia e la data convenzionale in cui celebrano la solennità centrale del loro culto a Dio, suggeriva all' acuta sensibilità spirituale del grande Pontefice quell' espressione alquanto paradossale e quasi delusa. Gli erano ovviamente note le inveterate discussioni e le complicate diatribe con cui gli eruditi e i teologi motivavano e difendevano da secoli, in entrambi i casi, le perduranti divergenze tra i cristiani. Ma ciò non gli impediva di scorgere lo scandaloso spettacolo di divisione che i responsabili delle Chiese offrivano e imponevano sia ai fedeli che agli increduli, trasformando in oggetto di disputa confessionale, più o meno gretta, perfino i simboli primi e più trasparenti della loro unica fede: la Sacra Scrittura e la Pasqua. della Custodia di Terra Santa – di attentati. Una latitanza che penalizza i luoghi di Gesù e i 150 mila arabocristiani che vi abitano, che però sperano tanto che proprio nel corso di questo Anno Santo della Misericordia la situazione possa cambiare sulla spinta dei grandi appuntamenti giubilari, come le prossime celebrazioni pasquali per le quali cattolici ed ortodossi appena un mese fa hanno per la prima volta auspicato di poter celebrare, “almeno nella stessa data”, la Pasqua del Nostro Signore. Una possibilità che lo storico primo avvenuto incontro a Cuba del 12 febbraio tra Papa Francesco e il patriarca della Chiesa ortodosso russa Kirill potrà accelerare in maniera imprevedibile, rompendo una dolorosa separazione che dura ormai di circa 1000 anni. Anche questo è il Giubileo della Misericordia celebrato per la prima volta in tutto il mondo e, con particolare calore in Terra Santa alle Porte Sante di Gerusalemme, Betlemme, Nazareth e nelle comunità cattoliche orientali, malgrado le paure ed i venti di guerra che da troppo tempo ormai minacciano le popolazioni locali, dove però – assicurano le autorità israeliane e gli stessi francescani della Custodia di Terra Santa – ai pellegrini non è stato mai fatto mai niente di male. A partire dalla Galilea, la regione dell'inizio della predicazione di Cristo, sede ad Haifa della Chiesa cattolica Maronita, circa 4 mila fedeli, autonomi in materia di riti e sul celibato sacerdotale. I pastori maroniti – che parlano l'aramaico, la lingua di Gesù - possono infatti sposarsi, come padre Jousef Jacob, 39 anni, titolare della cattedrale di S. Luigi IX.

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LE FOTO DI GERUSALEMME SONO DI MARINA CIOCCOLONI Una grande festa “L'apertura della Porta Santa – racconta – è stata una grande festa e un motivo di preghiera e raccoglimento dedicati al Giubileo, anche con tanti giovani e bambini”, ma qui in Galilea, “l'Anno Santo non ha mosso grandi folle, speriamo che cambi, specie se arriveranno pellegrini dall'Italia e dall'Europa, magari con l'aiuto del Vaticano”. Il Giubileo porterà pace in Terra Santa? “Lo spero e per l'Anno Santo preghiamo proprio per la pace nel mondo”, risponde padre Jacob, ma senza eccessive attese. Dai Maroniti, ai cattolici Melkiti, 15 mila fedeli (80 mila in Galilea seguiti da 32 preti), guidati dal vescovo George Bacouni. La Porta santa Melkita è a sant’Elia, la Chiesa bizantina di Haifa. “Sono rimasto sorpreso – racconta Babouni - per la partecipazione dei Melkiti al Giubileo, un rito per loro non usuale”. Per il vescovo, che ha aperto anche un'altra Porta Santa a Melia, villaggio melkita al confine libanese, “è ancora presto per parlare di partecipazione, ma le persecuzioni dei cristiani mediorientali per mano di estremisti islamici non aiutano a creare un clima favorevole, anche per l'Anno santo”. Ma gli arabi cristiani di Israele – tiene a precisare - “vivono in buone condizioni”. La Porta Santa più importante della Galilea è all'Annunciazione di Nazareth, il luogo del “sì” della giovane Maria all'Arcangelo Gabriele, dove è stata celebrata la Giornata del Malato con l'aiuto dell'Unitalsi. La Porta – inaugurata dal Patriarca latino, Fuad Twal – è aperta tutti i giorni, “è un simbolo di pace e di misericordia, attraversarla è un dovere morale”, ma i pellegrini cattolici finora arrivati – lamentano i religiosi del Santuario – sono stati pochi e le altre confessioni cristiane sono indifferenti. In altri periodi l'affluenza è

massiccia”. Da Nazareth al Monte delle Beatitudini, dove – spiega suor Mary Rose Muscat, francescana maltese -, le parole del Discorso della Montagna di Gesù, incise lungo i viali e nelle pareti della chiesa, “sono in sintonia col Giubileo della Misericordia al quale stiamo dedicando incontri e convegni. I pellegrinaggi sono aumentati, ma gli italiani sono ancora pochi. Per il Giubileo del malato qui alle Beatitudini sosteranno migliaia di ammalati accompagnati dai volontari dell'Unitalsi”. Presso il lago di Tiberiade Altra importante tappa giubilare è la Chiesa della Moltiplicazione dei Pani e dei Pesci presso il lago di Tiberiade, aperta malgrado sia stata oggetto di un attentato incendiario da parte di fanatici ebrei, subito arrestati dalle autorità israeliane. Cafarnao, e' tra i siti più frequentati della Terra Santa, sede della casa di san Pietro e di una Sinagoga del 5 secolo d.C. edificata sul posto dove – secondo la tradizione – predicò Gesù. “Visitare questi luoghi è obbligatorio per ogni cristiano, il Giubileo lo è ancora di più, ma la paura frena gli arrivi”, dice padre Quirico Calelle, francescano, parroco di san Giovanni d'Acri. Come pure il villaggio di Maria Maddalena, dove i Legionari di Cristo hanno avviato interessanti scavi archeologici diretti da padre Kelly Eamon ed ora è sede del centro di spiritualità “Duc in Altum”, dedicato alle donne del Vangelo, che ospiterà incontri sul Giubileo, e un luogo di preghiera interreligioso sul tracciato stradale originario dei tempi di Gesù. La tappa giubilare più importante in Terra Santa è, comunque, la Porta Santa della basilica del Getsemani, all'Orto degli Ulivi, inaugurata la notte del 23 dicembre scorso dal patriarca latino Fouad Twal. “E' stata una celebra34


Si scelgano anche le donne Rito della lavanda dei piedi Papa Francesco ha deciso di apportare un cambiamento nelle rubriche del Messale Romano relative al Rito della “Lavanda dei piedi” contenuto nella Messa in Coena Domini: d’ora in poi, tra le persone scelte dai vescovi e dai sacerdoti potranno esserci anche le donne. Il Papa lo spiega in una Lettera al cardinale Robert Sarah, prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. Il dicastero vaticano ha quindi emesso un apposito decreto. Esprimere la carità senza confini di Gesù “Esprimere pienamente il significato del gesto compiuto da Gesù nel Cenacolo, il suo donarsi ‘fino alla fine’, per la salvezza del mondo, la sua carità senza confini”: Papa Francesco spiega così, nella lettera al cardinale Sarah, la decisione di modificare la rubrica del Messale Romano che indica le persone prescelte per ricevere la Lavanda dei piedi durante la Messa in Coena Domini, nel Giovedì Santo. Tra i fedeli prescelti anche donne La decisione del Papa, presa “dopo attenta ponderazione”, spiega lo stesso Pontefice, fa in modo che “d’ora in poi i pastori della Chiesa possano scegliere i partecipanti al rito tra tutti i membri del popolo di Dio”. Se prima, infatti, essi dovevano essere uomini o ragazzi, ora – spiega il decreto della Congregazione per il Culto Divino - potranno essere sia uomini che donne, “e convenientemente giovani e anziani, sani e malati, chierici, consacrati e laici”, inclusi coniugati e celibi. Tale “gruppetto di fedeli – sottolinea il Dicastero, senza specificarne il numero – dovrà rappresentare la varietà e l’unità di ogni porzione del popolo di Dio”. Spiegare adeguatamene il significato del rito ai prescelti Il Santo Padre raccomanda, inoltre, che “ai prescelti venga fornita un’adeguata spiegazione del significato del rito stesso ai prescelti”. A questi ultimi – scrive il segretario della Congregazione per il Culto Divino, mons. Arthur Roche, in un articolo per L’Osservatore Romano – spetta offrire con semplicità la propria disponibilità. Spetta poi a chi cura le celebrazioni liturgiche preparare e disporre ogni cosa per aiutare tutti a partecipare fruttuosamente a questo momento: è la vita di ogni discepolo del Signore l’anamnesi del ‘comandamento nuovo’ ascoltato nel Vangelo”. Gesto già compiuto da Papa Francesco Da ricordare che Papa Francesco ha già compiuto il rito della Lavanda dei piedi su alcune donne, ad esempio nel Giovedì Santo del 2015, quando ha celebrato la Santa Messa in Coena Domini nel carcere di Rebibbia.

zione bella e suggestiva e da quel giorno la nostra chiesa è meta di pellegrini provenienti da tante parti del mondo, specialmente, con nostra sorpresa dall'estremo Oriente come Cina, Giappone, Corea del Sud e tutta l'America Latina”, racconta il custode del Getsemani, padre Benito Chiquè, francescano argentino, che ha conosciuto “molto bene – confessa – Papa Francesco quando era vescovo e cardinale a Buenos Aires, dove ha svolto una missione pastorale vicino ai poveri con la stessa costanza ed intensità con cui ora sta svolgendo il ministero petrino accanto ai più bisognosi”. Presso la basilica del Getsemani è stato inoltre allestito il centro di raccolta dei malati che l'11 febbraio hanno partecipato al Giubileo dei malati accompagnati dall' Unitalsi. Prima di essere trasportati alla Porta Santa di Nazareth – fa sapere padre Benito – il giorno prima “riceveranno l'imposizione delle ceneri qui all'Orto degli Ulivi”. Un cammino giubilare sino alla Striscia di Gaza Questo, in estrema sintesi, il cammino giubilare della Terra Santa. Ma i cristiani che vivono nelle comunità di tutto il Medio Oriente possono lucrare l'indulgenza attraversando le Porte Sante aperte – su decreto pontificio – anche nella cattedrale melkita di Amman, in Giordania; nella cattedrale maronita di Nicosia, a Cipro; nella parrocchia di san Francesco ad Aleppo (Siria) e nella chiesa della Sacra Famiglia a Gaza, nella Striscia di Gaza in Palestina, dove il Giubileo finora è stato celebrato dai 200 cattolici locali guidati dal parroco, padre Mario Da Silva. Ma se gli europei, a partire dagli italiani, non si faranno condizionare dai terroristi islamici – avvertono i frati francescani della Custodia di Terra Santa – l'Anno Santo nella terra di Cristo non decollerà.

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Papa Francesco in Sinagoga Ebrei e cristiani un’unica famiglia Papa Francesco in Sinagoga: ebrei e cristiani un'unica famiglia. Mai dimenticare Shoah “Ebrei e cristiani, fratelli e sorelle nell’unica famiglia di Dio, che li protegge come suo popolo”. E’ un messaggio di amicizia, dialogo, profonda condivisione che il Papa lascia alla comunità ebraica di Roma nella sua visita al Tempio Maggiore. Un momento definito storico dai protagonisti e in continuità con l’abbraccio che portò qui per la prima volta Giovanni Paolo II nel 1986 e poi Benedetto XVI nel 2010. Ad accogliere Francesco i rappresentanti dell’ebraismo mondiale oltre ai membri della comunità presente a Roma da ventidue secoli. Gesti e parole indelebili hanno scandito la presenza nella Sinagoga di Roma del terzo Papa della storia, argentino e con un passato di amicizia profonda con gli ebrei, citata e apprezzata dai presenti. Il clima è subito di famiglia sin dall’arrivo, poco prima delle ore 16.00. Col Papa il saluto di pace dell'intera Chiesa cattolica Giovani, donne, anziani avvicinano Francesco per una parola e una stretta di mano e lo accompagnano nell’omaggio che rende alla loro storia dolorosa, rappresentata dalle lapidi in memoria della deportazione dell’ottobre del 1943 e dell’attentato terroristico del 1982. Poi in una Sinagoga stracolma, il Papa, tra l’entusiasmo della comunità, abbraccia il Rabbino capo Riccardo Di Segni e tanti presenti. Commovente in particolare l’incontro con i sopravvissuti all’Olocausto. “Oggi scriviamo ancora una volta la storia”. Così la presidente della Comunità romana Ruth Dureghello insieme con le altre autorità che prendono la parola.”Oggi dimostriamo”, aggiunge, che “il dialogo tra fedi è possibile”, anzi, davanti al terrorismo e alle nuove persecuzioni, a cui non possiamo restare indifferenti, lanciamo un "messaggio nuovo", condivisibile anche dall'islam:“La fede non genera odio, la fede non sparge sangue, la fede richiama al dialogo”.

Ebrei, cattolici e musulmani insieme per migliorare il mondo “Insieme dobbiamo denunciare gli orrori, insieme dobbiamo collaborare nel quotidiano”, afferma dal canto suo il Rabbino Capo Di Segni. E dialogo interreligioso, rispetto, impegno comune come fratelli, sono le prime parole pronunciate da Papa Francesco nel suo discorso:“Nel dialogo interreligioso è fondamentale che ci incontriamo come fratelli e sorelle davanti al nostro Creatore e a Lui rendiamo lode, che ci rispettiamo e apprezziamo a vicenda e cerchiamo di collaborare. E nel dialogo ebraico - cristiano c’è un legame unico e peculiare, in virtù delle radici ebraiche del cristianesimo: ebrei e cristiani devono dunque sentirsi fratelli, uniti dallo stesso Dio e da un ricco patrimonio spirituale comune (cfr Dich. Nostra aetate, 4), sul quale basarsi e continuare a costruire il futuro”. Le sfide del mondo di oggi: ecologia integrale, pace, giustizia La dimensione teologica del dialogo, sancita dal Concilio Vaticano II, merita di essere sempre più approfondita, sottolinea il Papa, ma è anche l’oggi ad interpellare le due fedi. Con voi - dice "fratelli e sorelle maggiori nella fede”, secondo l’espressione di Giovanni Paolo II di 30 anni fa, appartenenti all’unica "famiglia di Dio", siamo chiamati ad assumerci "le nostre responsabilità per la città di Roma", senza perdere di vista però le "grandi sfide del mondo". “Un’ecologia integrale”, il cui significato è racchiuso nella Bibbia, e che “è ormai prioritaria”, e poi l’impegno per la pace e la giustizia da rafforzare:“La violenza dell’uomo sull’uomo è in contraddizione con ogni religione degna di questo nome, e in particolare con le tre grandi religioni monoteistiche. La vita è sacra, quale dono di Dio". Da qui una preghiera accorata da fare insieme: “Né la violenza né la morte avranno mai l’ultima parola davanti a Dio, che è il Dio dell’amore e della vita. Noi dobbiamo pregarlo con insistenza affinché ci aiuti a praticare in Europa, in Terra Santa, in 36


Gattegna: cordialità contagiosa Un evento di grande significato nel dialogo di amicizia e fraternità tra ebrei e cristiani. All’indomani della visita di Papa Francesco alla Sinagoga di Roma - a 30 anni dalla storica visita di Giovanni Paolo II nel Tempio maggiore - Alessandro Gisotti ha chiesto un commento a Renzo Gattegna, presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane (Ucei): “E’ la terza visita di un Papa in Sinagoga e quindi anche noi abbiamo recepito un senso di continuità rispetto ai Pontificati precedenti: è una tradizione consolidata, questa visita … Quello che voglio aggiungere è che c’è una continuità nel progresso, perché il dialogo interreligioso tra ebrei e cattolici è proseguito nel frattempo e si vedono dei risultati anche nelle ultime dichiarazioni di questo Pontefice che ha detto cose molto importanti per gli ebrei, dal punto di vista delle radici ebraiche del cristianesimo e dal punto di vista della pratica rinuncia della Chiesa a tentare qualsiasi tipo di conversione”.

Si vede che è un pastore che ha un’amicizia con la comunità ebraica - in particolare ovviamente quella di Buenos Aires - che viene da lontano… Sì, sì: lo ha dichiarato espressamente. Ha un interesse molto accentuato per tutto ciò che riguarda l’ebraismo, proprio perché vive il suo cattolicesimo come una religione che ha le sue radici nell’ebraismo. Una frase così taglia corto il discorso di qualsiasi tipo di pregiudizio, qualsiasi tipo di diffidenza; qualsiasi ostilità viene completamente neutralizzata da un’impostazione del genere. Noi siamo una generazione fortunata, perché questa svolta dal punto di vista teologico - religioso, che poi però ha anche dei risvolti nella vita di tutti i giorni, nella vita civile, deve essere trasmessa a tutta la popolazione. Ora che questo è fatto, bisogna far partecipare tutta la popolazione a questo e non lasciare indietro le persone meno fortunate che hanno meno possibilità di studiare e leggere tutti i documenti che vengono emessi.

Ovviamente, i discorsi hanno avuto una grande importanza, quelli del Papa come quello del Rabbino capo Di Segni e non solo. Il clima, però, ha colpito: questa cordialità … Sì, questo c’era stato anche nelle precedenti visite. Questo Papa ha un calore comunicativo particolare, quindi è un po’ contagioso nei gesti, nei modi di comportarsi! Lui ha manifestato un grande entusiasmo per essere tra di noi ed è stato ricambiato.

Secondo lei, c’è un valore, anche una proiezione che travalica i pur importanti rapporti tra cattolici ed ebrei, nell’incontro di ieri, specie in un momento in cui c’è chi addirittura usa il nome di Dio per giustificare la violenza? Il messaggio è che ebrei e cristiani, nella ricerca della pace e nella ricerca della pacifica convivenza, nella ricerca della comprensione, dell’accettazione di religioni diverse, sono alleati in questo; anche 37

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Medio Oriente, in Africa e in ogni altra parte del turo. La Shoah ci insegna che occorre sempre mondo la logica della pace, della riconciliazione, massima vigilanza, per poter intervenire tempedel perdono, della vita”. stivamente in difesa della dignità umana e della pace”. La Shoah: una lezione per presente e futuro Ma l’ultima parola di Francesco in questa giorInevitabile e commovente il riferimento del Papa nata memorabile è ancora una volta di gratitualla Shoah. I volti dei pochi protagonisti soprav- dine, per 50 anni di rinnovata fiducia, amicizia e vissuti ce li ha di fronte. “E' una disumana bar- comprensione reciproca. “Sia il Signore”, è la barie perpetrata in nome di una ideologia che preghiera finale del Pontefice, “a condurre il novoleva sostituire l'uomo a Dio”. Mai dimenti- stro cammino verso un futuro buono, migliore”, carla, è il suo accorato appello: “E il passato ci Lui che su di noi ha progetti di salvezza."Shalom deve servire da lezione per il presente e per il fu- alechem!".


perché invece sia gli ebrei sia i cristiani vengono visti da alcune frange estremiste che sono diventate molto violente … vedono chi non è della stessa religione come un infedele la cui vita praticamente non vale più niente, e vengono uccise ogni giorno – lo vediamo – centinaia o migliaia di persone, in nome di Dio. Allora, in nome di Dio – secondo noi – questo assolutamente è vietato, non si può fare e non è credibile ed è qualcosa che dev’essere completamente sradicata dalle menti!

accogliere, per portare la solidarietà, per dare un sorriso e - come ha detto Ruth - per prendere anche esempio da chi durante la Shoah non rimase indifferente – non c’erano solo i delatori e quelli che portavano le persone nei forni crematori - ma c’erano anche coloro che salvavano e hanno rischiato la loro vita. Questo oggi è il nostro ruolo. Questo è il momento in cui noi dobbiamo capire quel è il nostro ruolo per aiutare i più poveri. A livello internazionale, in tutto il mondo, un incontro che almeno formalmente è l’incontro di vescovo e la comunità ebraica della società chiaramente c’è molto più di questo - quale eco può avere? È sorprendente come qualcuno metteva in dubbio se fosse utile confermare il Giubileo: non solo lo abbiamo confermato, ma durante questo - in una giornata così importante, come quella del 17 gennaio celebrata dalla Conferenza episcopale come la Giornata del dialogo ebraico-cristiano - si è voluto fare un incontro nel momento forse più pericoloso. Abbiamo affrontato a testa alta, con il sorriso, con serenità, con fedeli di diverse religioni – c’erano anche i rappresentanti del mondo islamico – abbiamo dimostrato che possiamo e dob-

Sulla giornata di domenica pomeriggiop 17 gennaio 2016, questo è stato il il commento di Riccardo Pacifici, già presidente della comunità ebraica di Roma: Era una bella giornata a Roma, non è solo un problema di metafora; c’era una luce, un bel sole invernale che voleva dare speranza alle tenebre di chi cerca di mettere il terrore, la paura. Quando consegnai la lettera al Pontefice - circa un anno e mezzo fa a Piazza Santa Maria in Trastevere, grazie agli amici di Sant’Egidio, per invitarlo alla Sinagoga insieme al Rabbino capo - disse subito di sì, ma il momento internazionale era diverso, le aspettative erano diverse in quella visita. Da un anno e mezzo a questa parte, purtroppo tante cose sono accadute: gli attentati terroristici a Parigi, a Copenaghen, a Tolosa, nel frattempo abbiamo avuto anche Istanbul e, come ha detto la presidente Dureghello, gli attentati in Israele guidati da quella stessa ideologia in nome di Allah: “Allah akbar”, così si presentano prima di compiere gli omicidi. Vorrebbero cercare di interrompere tutto questo. Penso che stiamo dando un esempio dove le religioni - come ha detto il Rabbino Di Segni nel suo discorso - non sono qui oggi per convincersi della verità l’uno dell’altro, ma per capire come insieme, con i valori comuni, cosa si può fare per il benessere comune. Oggi siamo di fronte a sfide importanti che non riguardano solamente la lotta al terrorismo, ma anche il disagio delle persone, i migranti, le famiglie che non arrivano alla fine del mese e che nello stesso tempo - percepiscono gli arrivi dei nuovi migranti, dei disperati, come una minaccia. Questo provoca nello stesso tempo, in questo anno e mezzo, un’ulteriore avanzata - anche in percentuali molto forti - delle forze xenofobe, razziste, non solo antisemite, ma soprattutto contro gli altri, contro gli immigrati. Oggi credo che noi possiamo rilanciare con forza, con l’abbraccio, con il sorriso, l’idea che insieme dobbiamo trovare delle sfide per

biamo stare insieme. Stiamo mandando un messaggio che vuole lanciare questa sfida, forte, senza alcuna paura, posso dire anche con l’orgoglio. A mio avviso, abbiamo la necessità - lancio un messaggio e spero che venga compreso - di rafforzare le nostre identità. Questo lo dobbiamo fare nelle scuole, facendo capire ai giovani chi siamo, da dove veniamo per accogliere meglio gli altri e spiegare come abbiamo costruito le nostre democrazie. 38


13 APRILE 1986 Giovanni Paolo II alla Sinagoga di Roma Sino passati quasi 30 anni dalla storica visita di san Giovanni Paolo II. Era il 13 aprile 1986. In quella storica occasione Papa Wojtyła affermava di raccogliere l’eredità di Giovanni XXIII che nel 1959, passando in macchina davanti al Tempio Maggiore di Roma, faceva fermare l’auto per salutare la folla di ebrei. Giovanni Paolo II ricordava anche che l’allora Rabbino capo della Comunità ebraica di Roma, Elio Toaff, aveva partecipato alla veglia di preghiera prima della morte di Papa Roncalli, un Pontefice aperto a tutti e in particolare ai fratelli ebrei. Diceva testualmente il Papa polacco:“Il Rabbino capo, nella notte che ha preceduto la morte di Papa Giovanni, non ha esitato ad andare a Piazza san Pietro, accompagnato da un gruppo di fedeli ebrei, per pregare e vegliare, mescolato tra la folla dei cattolici e di altri cristiani, quasi a rendere testimonianza, in modo silenzioso ma così efficace, alla grandezza d’animo di quel Pontefice, aperto a tutti senza distinzione, e in particolare ai fratelli ebrei. L’abbraccio di Giovanni Paolo II con il Rabbino Elio Toaff, entrambi testimoni dell’orrore del nazismo, abbatteva un plurisecolare muro di incomprensione. Toccanti le parole con cui il Rabbino capo della Comunità ebraica di Roma si rivolgeva al Pontefice:“Santità, come Rabbino capo di questa comunità, la cui storia si conta in millenni, desidero esprimerle la viva soddisfazione per il gesto da lei voluto e da lei oggi compiuto di venire, per la prima volta nella storia della Chiesa, in visita ad una Sinagoga. Gesto destinato a passare alla storia”.

17 GENNAIO 2010 Benedetto XVI al Tempio Maggiore di Roma Ed era storica, 24 anni dopo quella giornata, anche la visita di Benedetto XVI alla Sinagoga di Roma. Era il 17 gennaio del 2010. Il Pontefice rievocava la tragedia della Shoah e ribadiva l’irrevocabilità del cammino di amicizia tra ebrei e cattolici intrapreso con il Concilio Vaticano II. Possano per sempre essere sanate – sottolineava Papa Benedetto - le piaghe dell’antisemitismo e dell’antigiudaismo. E poi indicava, tra i campi di collaborazione, il riconoscimento dell’unico Dio “contro la tentazione di costruirsi altri idoli”:“Nel nostro mondo molti non conoscono Dio o lo ritengono superfluo, senza rilevanza per la vita; sono stati fabbricati così altri e nuovi dei a cui l’uomo si inchina. Risvegliare nella nostra società l’apertura alla dimensione trascendente, testimoniare l’unico Dio è un servizio prezioso che ebrei e cristiani possono e devono offrire assieme”. 39

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Le due visite precedenti


Papa Francesco davanti al presepe di Greccio Riscoprire Gesù nei piccoli e negli umili

Padre Silvestri cambiare il cuore Sulla visita del Papa il padre guardiano del Santuario di Greccio Alfredo Silvestri ha detto: “ Noi eravamo nel Santuario ed abbiamo visto il Santo Padre scendere dalle scale e fermarsi subito alla Grotta del Presepe in silenzio. Tutto si è svolto in silenzio. Abbiamo visitato la Grotta del Presepe, poi siamo andati al dormitorio di San Francesco – dove dormiva Francesco - poi siamo saliti sopra al dormitorio di San Bonaventura, abbiamo visitato la prima cappella dedicata a San Francesco risalente al 1228. Infine si è recato in chiesa per una piccola preghiera. La visita si è conclusa in pochissimo tempo”.

Chiedere a Dio la grazia di vedere la Stella che ci porta a Gesù: questa la preghiera di Papa Francesco durante la sua visita a sorpresa compiuta nel pomeriggio del 4 gennaio 2016 al santuario di Greccio, in provincia di Rieti, là dove si è diffusa in tutto il mondo grazie a San Francesco la tradizione del Presepe. Una sorpresa per tutti E’ stata una vera sorpresa per tutti. Papa Francesco è arrivato in auto al Santuario per visitare la Grotta del Presepe e i luoghi in cui è stato San Francesco. Prima però ha incontrato un gruppo di giovani della Diocesi reatina che qui stavano concludendo un Meeting. “Il vescovo – ha esordito il Papa tra i giovani sbalorditi - mi ha fatto capire che in questi giorni natalizi era una cosa buona venire a pregare a Greccio. E sono venuto a pregare. Ma non mi spiego – ha aggiunto scherzando - con quale bugia vi ha attirato qui!”. Il segno dell'umiltà di Dio Quindi, ha svolto una breve riflessione sui segni del Natale. Il primo segno è quello che gli Angeli indicano ai pastori: un bambino appena nato posto su una mangiatoia. E’ “la piccolezza di Dio – ha detto il Papa - Dio si è abbassato, si è annientato per essere uno come noi, per camminare davanti a noi”. Questa piccolezza, questa mitezza di un bambino, è “l’umiltà di Dio che va contro l’orgoglio, la sufficienza, la superbia”. Il Papa ha invitato a porsi la domanda: “La mia vita è una vita mite, umile, che non ‘spuzza’ sotto al naso, che non è orgogliosa?”. Lasciarsi guidare dalla Stella Un altro segno – ha detto - è la Stella dei Re Magi: “Il cielo è pieno di stelle” ma loro ne hanno vista “una speciale, una Stella che li muoveva a lasciare tante cose e a incominciare un cammino” che non sapevano dove li portasse. “Quando nella nostra vita - ha commentato - non troviamo qualche

Qual è stato il suo rapporto con la gente? È stato avvicinato? Sì, fuori nel piazzale c’erano 15 -20 persone. Lui si è fermato, ha chiesto di pregare per lui. Lei cosa ha percepito nei gesti del Papa venendo al Santuario? La grande semplicità e il grande amore per i luoghi francescani, nella sua semplicità, senza dire parole. Il 2 gennaio di 32 anni fa, qui a Greccio c’è stata la visita di Giovanni Paolo II. Sicuramente nel nostro cuore qualcosa deve cambiare, prima di tutto in noi stessi. stella speciale che ci chiama a fare qualcosa di più, qualcosa di buono, a intraprendere un cammino, anche a prendere una decisione … qualcosa non va. E dobbiamo chiedere la grazia di scoprire la Stella che Dio oggi vuol farmi vedere, perché quella Stella mi condurrà a Gesù”. Scoprire Gesù nei piccoli e nei poveri “Ma i Magi – ha proseguito - sono stati furbi, perché si sono lasciati guidare dalla Stella” e hanno capito che non li conduceva nel palazzo di Erode con tutto il suo splendore. “Mi auguro – ha concluso che la vostra vita venga accompagnata sempre da questi due segnali, che sono un dono di Dio: che non vi manchi la Stella e non vi manchi l’umiltà di riscoprire Gesù nei piccoli, nei poveri, negli umili, nei poveri, in quelli che sono scartati dalla società e anche dalla propria vita”. 40


luoghi francescani


Vescovo di Rieti grande commozione Prima di recarsi al Santuario di Greccio Papa Francesco è andato a Rieti, dal vescovo della città, mons. Domenico Pompili. Come ha detto lui scherzosamente: “Sono una persona ben educata e prima di andare a Greccio sono passato a salutare il vescovo”. E così siamo andati, sulla sua Focus, verso Greccio nel primissimo pomeriggio. Abbiamo approfittato del fatto che in questi giorni lì, presso il Santuario, si teneva un Meeting dei giovani della diocesi - che si concludeva proprio ieri intorno alle 15 - per andare a fare una sorpresa anche ai ragazzi, che si sono visti arrivare dal fondo della sala il Papa. E’ stato veramente un momento intenso: chi piangeva, chi rideva, chi non credeva ai suoi occhi e se li stropicciava, pensando che stesse vedendo qualcosa di irreale. Comunque, anche lì, il Papa ha avuto la bontà di fermarsi qualche istante. Ha svolto anche due brevi, ma suggestive riflessioni, sulla stella che va cercata e sul bambino che è il segno non solo dell’incarnazione, ma anche di ciò che è marginale, secondario, e va riscoperto. E poi finalmente siamo andati al Santuario, che era l’oggetto della sua visita, stando per qualche minuto in silenzio davanti a quel bellissimo affresco medievale, che raffigura da un lato Francesco che, rivestito di una semplice dalmatica, si inginocchia davanti al Presepe e dove, in primo piano, c’è la Vergine Maria che allatta il bambinello. E’ stato un momento toccante, soprattutto quando il Papa si è chinato sull’altare per baciarlo. E’ stata una piccola catechesi sul tempo di Natale… Sì, direi quasi anticipando i temi dell’Epifania. La Stella vista come simbolo del desiderio, vista come la vocazione di ciascuno, per la quale – ha aggiunto – occorre saper fare anche delle scelte importanti. E parlando a dei giovani evidentemente questo era un invito ad assumersi la responsabilità della chiamata e a saper andare anche, se necessario, controcorrente. Poi quel riferimento al bambino, visto non semplicemente come l’immagine della "kenosis" di Dio, del suo abbassamento, ma anche come la scelta di ciò che è meno appariscente, di quello che non è così in primo piano e che invece va coltivato. E per questo ha raccomandato ai giovani di saper stare accanto alle persone bisognose, a quelli che sono in difficoltà. Tra l’altro, tra i 150 giovani, c’erano una decina di extracomunitari di fede islamica, che sono stati molto contenti di poter avere questo contatto ravvicinato. Fanno parte di un progetto di accoglienza di un paesino della nostra diocesi a Colle Giove. Mons. Pompili, la presenza del Papa può dare forza all’intera comunità reatina che sul piano economico e del lavoro vive un periodo di crisi? Certamente. Questa è una provincia che, come tutte le realtà del nostro Paese, ha una situazione di difficoltà economica. E certamente l’invito, e ancor prima la presenza del Papa, è un incoraggiamento ad iniziare bene l’anno, riscoprendo quelle che sono le radici del nostro territorio che ha nella cifra francescana, secondo me, il suo dna. Un dna peraltro da condividere, perché il "Francesco da Rieti", come uso dire scherzosamente, rispetto al Francesco d’Assisi in qualche modo, è il Francesco ancor più delle origini, delle scelte sine glossa. Il Presepe in questo senso è una di queste, perché la sua interpretazione così essenziale, ridotta all’asino, al bue e al bambinello, è un invito a contemplare la scena della natività, facendo leva sulla nostra immaginazione, senza voler dispiegare tutto il nostro sguardo, ma volendo cogliere solo qualche elemento che susciti e coinvolga anche la dimensione emotiva della persona. Un episodio simpatico. In auto con il Papa, da Rieti a Greccio, a lei mons. Pompili è squillato il cellulare. Il Papa le ha detto: “Risponda pure”… Sì, in realtà non avevo messo la suoneria, come purtroppo accade. Lui, però, non si è scomposto e ha detto: “Rispondi”. Ho detto: “Ma è un sacerdote …”. E poi ha subito aggiunto: “Comunque bisogna richiamarlo. In giornata, però!”. Come per dire che bisognava non farlo aspettare. 42


Eravamo alla conclusione del Meeting, era il momento dell’incontro, subito dopo pranzo, per i saluti e ci è stata annunciata una sorpresa. Ci siamo riuniti, quindi, di nuovo tutti nel salone, dove si sono svolti tutti gli incontri, e tutto ci aspettavamo tranne che dalla porta arrivasse quest’uomo vestito di bianco ... Può immaginare allora il boato dei ragazzi, la contentezza, l’emozione ed anche le lacrime di gioia. E’ stato veramente un momento di forte commozione. Che cosa vi ha detto il Papa? Il Papa ci ha indicato, attraverso i segni del Natale, un percorso per il quotidiano, per la vita dei giovani: delle cose da inseguire; il cercare di non dimenticare mai che Dio si è fatto piccolo a Natale, per presentarsi all’uomo, e che quindi a partire dalle cose piccole si possono fare poi grandi cose. Del resto lo slogan del Meeting riprendeva quello che diceva san Francesco: “Partite dal necessario e vi troverete a fare alla fine anche l’impossibile”. E da voi quali sollecitazioni sono arrivate al Papa? L’attimo è stato breve e intenso, quindi non c’è stato un momento in cui i ragazzi hanno potuto interpellare il Papa. E’ stato molto bello il fatto che il Santo Padre, nell’abbraccio finale con i ragazzi, li abbia invitati a pregare per lui. Questo ha sicuramente commosso tutti. C’è stato un saluto che noi speriamo sia un arrivederci. 43

luoghi francescani

La testimonianza di David


IN DIALOGO Il patriarca siro-cattolico Ignatius II Younan: Aiutiamo i cristiani del Medio Oriente da NAPOLI

EDOARDO SCOGNAMIGLIO TEOLOGO

Il 27 gennaio 2016, il patriarca dei siro-cattolici, sua beatitudine Ignatius III Younan, ha fatto visita alla nostra comunità francescana di S. Lorenzo Maggiore in Napoli che, attraverso il Centro Studi Francescani per il Dialogo interreligioso e le Culture di Maddaloni, è da sempre impegnata per il dialogo, la pace, l’unità tra i cristiani e la solidarietà verso gli ultimi, soprattutto nei confronti dei cristiani perseguitati. Nel saluto iniziale, il patriarca Yousuf dei siro-cattolici, mentre presiedeva la veglia vespertina di preghiera organizzata per la pace in Medio Oriente, ha ricordato l’incontro avuto con papa Francesco a Roma, e ha ringraziato la comunità francescana di Maddaloni per la bella accoglienza riservata a lui, ai rappresentanti della fondazione pontificia “Aiuto alla Chiesa che soffre”, e per aver sostenuto con la preghiera e le opere di carità la Chiesa in Siria e in Iraq. «Come patriarca, devo prendermi cura dei fedeli siro-cattolici che sono in Medio Oriente e nella diaspora. È un compito difficile, arduo, complesso. Da più di 350 anni la collaborazione tra il nostro patriarcato e il vescovo di Roma è sempre più forte. La notte del 6 agosto 2014, migliaia di cristiani nel nord dell’Iraq sono stati cacciati via dall’Isis. I profughi si sono rifugiati in tende e grotte per sfuggire alle persecuzioni, presso la valle di Ninive. Ricordo una bimba, rifugiata in una tenda, Myriam. Alla domanda “Che cosa provi per le persone che ti hanno cacciato via dalla tua casa?”, ha così risposto: “Io non provo sentimenti di odio. Sarà Gesù a giudicarli. Però, desidero tornare a casa mia con la mia famiglia”. La condizione dei profughi cristiani in Siria, in Libano, in Iraq, in Turchia, in Giordania, è drammatica. Intere comunità di monaci sono state cacciate dai conventi. La nostra gente – inno-

cente – voleva vivere nella propria terra con dignità e legata alla propria fede. I cristiani del Medio Oriente non sono dei convertiti al cristianesimo, ma sono – siamo – i discendenti delle prime comunità cristiane. Tuttavia, siamo diventati come delle piccole minoranze. Abbiamo molto sofferto per mantenere la nostra fede in Cristo. Siamo delle minoranze che soffrono, anzi, che sopravvivono malgrado tutte le persecuzioni. So che i cristiani in Europa, soprattutto in Italia, sono molto vicini alla nostra gente per sostenere la costruzione di case, di scuole, di ospedali e di chiese in Siria, in Libano e in Turchia. Per questo, abbiamo bisogno anzitutto della vostra preghiera e poi della vostra carità. Questa sera, pregare assieme la Vergine Maria, Madre di Gesù, significa mettersi sotto la sua materna protezione e implorare dal Padre il dono dello Spirito Santo per la grazia stessa di Gesù Cristo, nostro Signore e Maestro. Questa sera voglio invocare Gesù nella sua stessa lingua, l’aramaico, e impetrare per voi e per la mia gente il dono della pace. So che molti di voi pregano per l’unità tra i cristiani e per la pace tra i popoli e le diverse comunità religiose». A sua Beatitudine Ignazio III abbiamo chiesto di raccontarci come si vive l’ecumenismo dalle sue parti. Ci ha risposto così: «Personalmente, posso testimoniare che nella mia terra – io vivo a Beirut, anche se viaggio molto tra la Siria, la Turchia e l’Iraq – l’ecumenismo è un dato di fatto, uno stile di vita che ogni giorno pratichiamo. Cattolici di ogni rito, ortodossi e protestanti delle Chiese più eterogenee, hanno tante occasioni per incontrarsi e pregare assieme. Soprattutto con gli ortodossi, ci unisce una fede antichissima e solidissima. Professiamo lo stesso Signore e celebriamo la stessa eucaristia che non può dividerci solo perché non si riconosce il primato del vescovo di Roma, anche se per noi è un elemento molto importante». A proposito del dialogo con l’islam, il patriarca 44


ha dato delle risposte molto concrete e chiare: «La convivenza con i musulmani è buona in Libano e in Giordania, così come anche in Palestina. Nelle nostre piccole comunità della Siria, nonostante i devastamenti dell’Isis, cristiani e musulmani sono fuggiti assieme e si sostengono nei lunghi viaggi della speranza. Stanno sulle stesse carovane, hanno lo stesso desiderio: sopravvivere alla povertà e alle torture. Voglio ricordare a voi tutti che in Siria non solamente i cristiani sono in fuga, bensì ogni etnia o confessione religiosa. Il potere è attualmente retto da un solo partito politico, il Baas, cui appartiene la minoranza alawita, per cui la maggioranza musulmana sunnita ritiene di essere stata messa da parte e trattata ingiustamente e vuole riprendere il potere. Dunque, c’è grande paura che possa deflagare un conflitto dai connotati religiosi, con conseguenze anche nefaste. Quindi, è una situazione difficile per tutti». Sulle migrazioni dei cristiani in Occidente, il patriarca è apparso molto preoccupato. «Certamente, i cristiani in Medio Oriente sono sempre più una minoranza. Dobbiamo aiutare queste comunità a rafforzarsi nella fede ma anche dal punto di vista sociale, economico e politico. Molti mi chiedono come fanno i cristiani a restare in Siria. Beh, è il caso di dire che sopravvivono e che stiamo cercando, con l’attuale governo, un dialogo sincero e concreto. Hassad, per noi, in questo momento, è l’unico che può garantire un po’ di ordine e di pace. In Occidente si giudica diversamente la sua politica e il suo modo di gestire i profughi e le persecuzioni da parte dell’Isis. Bisogna stare sul campo per capire quali e quante difficoltà politiche ma anche militari si affrontano per garantire delle giornate di pace e di vita ordinaria. In Siria si vive con la paura delle bombe, degli attentati, delle perse-

cuzioni. In Iraq si fanno sentire le comunità musulmane sciite che chiedono maggiore autonomia. Intanto, però, gli estremisti islamici fanno guerra a tutti: cristiani e musulmani». Un giudizio molto radicale è stato espresso dal patriarca a proposito dell’Isis e nei riguardi di ogni terrorista e forma di violenza. «Non c’è pace nelle nostre terre. Chi vive come me in Medio Oriente sa bene che il dialogo interreligioso non è primariamente una questione teologica o religiosa, bensì geo-politica. Si fanno guerre nel nome di Dio. Ma di quale Dio? La violenza generata dall’Isis è una vera e propria ideologia: sono negati i diritti fondamentali della persona umana, tra cui la libertà religiosa. Chi uccide in nome di Dio non è un vero cristiano né ebreo né musulmano. In Medio Oriente ci sono tante minoranze interreligiose che vanno tutelate e rispettate. Da soli non ce la possiamo fare. Abbiamo bisogno dell’intervento radicale dell’Onu e dell’Europa. Papa Francesco è molto sensibile al tema della libertà religiosa: noi lo ringraziamo e confidiamo sempre di più nel suo sostegno. In Medio Oriente c’è il pericolo che i giovani cristiani vadano via per cercare altrove una vita più dignitosa, così come stanno facendo tanti profughi. La soluzione non può essere questa. Dobbiamo aiutare i profughi a ritornare in patria e a ricostruire assieme le città, i villaggi, le case, per una vita più umana e dignitosa. Da soli non ce la possiamo fare. Abbiamo bisogno dell’aiuto della Chiesa e degli Stati più democratici e influenti sulla scena politica a livello mondiale. Molti giovani terroristi sono il frutto di una mancata educazione alla pace, al dialogo, al rispetto degli altri, a una vera conoscenza della propria fede. Molto lavoro è da fare anche dal punto di vista pedagogico, soprattutto nelle scuole». 45


Concluso l’anno della vita consacrata Il Papa: “vostro non è status sociale, evitate chiacchiere” Evitare il “terrorismo delle chiacchiere”, che costituiscono “una bomba”. Non pensare ai soldi, che non danno la speranza vera riposta “solo” nel Signore, e pregare per il dono di nuove vocazioni, perché le comunità invecchiano e i monasteri sempre più spesso sono “portati avanti da 4-5 suore vecchiette”. Questa l’esortazione di Papa Francesco nel ricevere in Aula Paolo VI il 1° febbario 2016 i partecipanti al Giubileo della Vita Consacrata, che ricorreva nella festa della Presentazione del Signore. Il Pontefice ha presieduto nel pomeriggio del 2 la santa messa per i consacrati in occasione del loro Giubileo, nella ventesima Giornata ad essi dedicata, e a chiusura dell’Anno della Vita Consacrata. L’obbedienza forte non è quella “militare”, non è “disciplina”, ma è “donazione del cuore”, come quella del Figlio di Dio “che si è annientato, si è fatto uomo per obbedienza fino alla morte di Croce”. Papa Francesco ancora una volta ha scelto di consegnare il discorso preparato, affidandolo al cardinale Joao Braz de Aviz, prefetto della Congregazione per la Vita Consacrata, e incontrando 5 mila consacrati - in chiusura dell’Anno ad essi dedicato, iniziato il 30 novembre 2014 - ha parlato a braccio di ciò che gli è venuto ”dal cuore”. Siate uomini e donne profeti Ha riflettuto sui concetti di profezia, prossimità e speranza che costituiscono per loro il mandato del Pontefice. Ha ricordato che Cristo “non è stato anarchico, non ha chiamato i suoi a fare una forza di resistenza contro i suoi nemici”, ha scelto “l’obbedienza” al Padre. Questa è la “profezia” di fronte all’anarchia che, ha spiegato, è “figlia del diavolo”: “La profezia è dire alla gente che c’è una strada di felicità, di grandezza, una strada che ti riempie di gioia, che è proprio la strada di Gesù. È la strada di essere vicino a Gesù. È un dono, è un carisma la profezia e lo si deve chiedere allo Spirito Santo: che io sappia dire quella parola, in quel momento giusto; che io faccia quella cosa in quel momento giusto; che la mia vita, tutta, sia una profezia. Uomini e donne profeti”.

ha invitato a essere uomini e donne consacrate non per allontanarsi “dalla gente e avere tutte le comodità”: “No, per avvicinarmi e capire la vita dei cristiani e dei non cristiani, le sofferenze, i problemi, le tante cose che si capiscono soltanto se un uomo e una donna consacrati diventano prossimo: nella prossimità”. Essere consacrati non è uno status Ha invitato a guardare a Santa Teresa del Bambino Gesù, Patrona delle missioni, che “con il suo cuore ardente” e le lettere che riceveva dai missionari era “più prossima alla gente”. Diventare consacrati, ha sottolineato, “non significa salire uno, due, tre scalini nella società”:“Per i consacrati non è uno status di vita che mi fa guardare gli altri così, con distacco. La vita consacrata mi deve portare alla vicinanza con la gente: vicinanza fisica, spirituale, conoscere la gente”. Evitare terrorismo delle chiacchiere, sono una ‘bomba’ E l’altro, il “vero prossimo”, può essere colui che si incontra nei “quartieri poveri”, ma anche “il fratello o la sorella della comunità”, anelando alla virtù “forse più difficile” - come diceva l’Apostolo Giacomo - “del dominare la lingua”: “Un modo di allontanarsi dai fratelli e dalle sorelle della comunità è proprio questo: il terrorismo delle chiacchiere. Sentite bene: non le chiacchiere, il terrorismo delle chiacchiere. Perché chi chiacchiera è un terrorista. È un terrorista dentro la propria comunità, perché butta come una bomba la parola contro questo, contro quello, e poi se va tranquillo. Distrugge! Chi fa questo distrugge, come una bomba”.

Impegno per l’Anno della Misericordia Perché “la bomba di una chiacchiera” nella comunità non è prossimità, “è fare la guerra”, allontanarsi, “provocare distanze” e anarchia:“E se, in questo Anno della Misericordia, ognuno di voi riuscisse a non fare mai il terrorista chiacchierone o Avvicinarsi alla gente, cristiani e non cristiani chiacchierona, sarebbe un successo per la Chiesa, Soffermandosi poi sulla parola “prossimità”, il Papa un successo di santità grande! Fatevi coraggio!". 46


Il calo delle vocazioni Passando al concetto di speranza e riallacciandosi alle parole di saluto del cardinale Joao Braz de Aviz, che aveva presentato al Santo Padre i partecipanti all’incontro internazionale dedicato in questi giorni a Roma al tema “Vita Consacrata in comunione”, il Papa si è soffermato sul calo delle vocazioni, sulle comunità che invecchiano, sui monasteri “portati avanti da 4-5 suore vecchiette”: “Alcune Congregazioni fanno l’esperimento della 'inseminazione artificiale'. Che cosa fanno? Accolgono … 'Ma sì, vieni, vieni, vieni …'. E poi, i problemi che ci sono lì dentro … No. Si deve accogliere con serietà! Si deve discernere bene se questa è una vera vocazione e aiutarla a crescere. E credo che contro la tentazione di perdere la speranza, che ci dà questa sterilità, dobbiamo pregare di più. E pregare senza stancarci”.

ligiosa vede che non ha figli e nipoti e incomincia a essere sempre più piccola, si attacca ai soldi. E voi sapete che i soldi sono lo sterco del diavolo. Quando non possono avere la grazia di avere vocazioni e figli, pensano che i soldi salveranno la vita e pensano alla vecchiaia: che non manchi questo, che non manchi quest’altro … E così non c’è speranza! La speranza è solo nel Signore! I soldi non te la daranno mai. Al contrario: ti butteranno giù”. Il ruolo delle consacrate nella Chiesa Quindi, un pensiero speciale alle consacrate, a “cosa sarebbe la Chiesa se non ci fossero le suore”, che si trovano negli ospedali, nei collegi, nelle parrocchie, nei quartieri, nelle missioni, ma anche nei cimiteri. Si tratta di donne che assieme a tanti uomini hanno dato la loro vita per il Signore, magari lontani dalle loro terre d’origine: “Hanno preso le malattie, queste febbri di quei Paesi, hanno bruciato la vita … Tu dici: questi sono santi! Questi sono semi! Dobbiamo dire al Signore che scenda un po’ su questi cimiteri e veda cosa hanno fatto i nostri antenati e ci dia più vocazioni, perché ne abbiamo bisogno”.

Vera speranza solo nel Signore non nei soldi Il Signore “non mancherà la sua promessa”, ma – ha esortato ancora Francesco – l’invito è a pregare con l’“intensità” con cui lo faceva Anna, madre di Samuele, invocando il dono di un figlio. “Perché c’è un pericolo”: “Quando una Congregazione re47


ecumenismo

Il card. Koch auspica superamento contrasti tra anglicani Cinque giorni di lavoro intenso a porte chiuse. Alla fine i primati delle 38 Province anglicane riuniti a Canterbury dall’arcivescovo Justin Welby hanno deciso di “sospendere” per un periodo di tre anni la Chiesa episcopale statunitense (Tec), la branca della Chiesa anglicana a stelle e strisce, che nel 2003 ha ordinato il suo primo vescovo dichiaratamente gay, Gene Robison. Lo si apprende da un comunicato finale - ripreso dall'agenzia Sir - che è stato diffuso il 14 gennaio sera, prima della conferenza stampa di venerdì 15. Il documento era trapelato e così i primati hanno deciso di pubblicarlo integralmente in anticipo per evitare “speculazioni”.

I motivi della sospensione per la dottrina sul matrimonio I recenti sviluppi nella Chiesa episcopale rispetto ad un cambiamento nel loro canone sul matrimonio – scrivono i primati anglicani – rappresenta un fondamentale allontanamento dalla fede e dall’insegnamento seguito dalla maggioranza delle nostre Province sulla dottrina del matrimonio”. I Primati ribadiscono che, alla luce dell’insegnamento della Scrittura, la Chiesa “sostiene il matrimonio come una unione fedele per tutta la vita tra un uomo e una donna”. E aggiungono: rompere autonomamente con questo insegnamento è considerato da “molti di noi” come “un allontanamento dalla responsabilità reciproca e dalla interdipendenza implicita” che esiste nella Comunione anglicana. Da qui la decisione di sospendere la Chiesa episcopale per un periodo di tre anni.

Chiesa anglicana Usa fuori dagli organismi ecumenici e interreligiosi In concreto, la Chiesa statunitense non può più rappresentare la Comunione anglicana negli organismi ecumenici e interreligiosi; i loro membri non possono essere nominati o eletti ad un Comitato interno permanente e durante la partecipazione ad incontri della Comunione anglicana, non possono prendere parte al processo decisionale. Decisione, quest’ultima, significativa, visto che nel 2018 è prevista la Lambeth Conference. È stata infine decisa anche la costituzione di un gruppo di lavoro per ristabilire i rapporti e la fiducia reciproca tra le Chiese. Per un commento a questa vicenda il cardinale elvetico Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, ha rilevato: ”Tanto per incominciare, questa è una faccenda interna degli anglicani. Dal canto mio posso dire che sono contento che non si sia arrivati a una scissione ma solo a una sospensione temporanea. Spero che questo tempo possa essere utilizzato per ritrovare una più profonda unità nella Comunione anglicana: infatti, in questa epoca ecumenica in cui siamo tutti alla ricerca di unità, ogni nuova separazione rappresenta un grosso pericolo e una grande sfida. Credo che noi proseguiremo nel nostro dialogo, visto che gli argomenti principali di questo dialogo riguardano appunto le stesse questioni, cioè da un lato i rapporti tra Chiesa locale e Chiesa universale e dall’altro come trovare una maggiore unità nel trattare le differenze etiche: questi sono gli argomenti principali del nostro dialogo che ora sono diventati visibili nella Comunione anglicana. Sarebbe bello se il dialogo tra noi riuscisse a essere d’aiuto alla comunità anglicana, perché ritrovi la sua unità”.


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194 20 6 Massimiliano, al secolo Raimondo Kolbe, nasce a Zdunska Wola in Polonia il giorno 8 gennaio1894. La sua famiglia di origine è molto povera e vive di stenti. Comprende di essere chiamato alla vita francescana, dopo aver ascoltato una predicazione di Francesco da parte di un frate. Entra, dunque, nel seminario di Leopoli e inizia il noviziato il 4 settembre 1910, emettendo la professione semplice l’anno successivo. Dal 1912 al 1919 vive il suo periodo a Roma, nel Collegio dei frati minori conventuali in S. Teodoro. In questo tempo accadono fatti davvero molto importanti: il 16 ottobre 1917, con altri sei confratelli, fonda la Milizia dell’Immacolata (approvata da Benedetto XV nel marzo del 1919), è ordinato presbitero il 28 aprile 1918 e il 22 luglio 1919 si laurea dottore in teologia. Fa ritorno in patria e nell’ottobre dello stesso anno inizia ad insegnare teologia a Cracovia. La sua salute è malferma ed è costretto ad affrontare lunghi periodi in sanatorio. Inizia in Polonia, nel 1922, la pubblicazione della rivista mariana Il Cavaliere dell’Immacolata che porta avanti lodevolmente per diversi anni. Nel 1927 fonda la prima Città dell’Immacolata: si tratta di una cittadella che arriva ad essere abitata da oltre settecento religiosi che si dedicano alla stampa ed alla diffusione del Cavaliere. Dal 1930 al 1936 è missionario in Giappone ed anche lì fonda la Città dell’Immacolata che redige e diffonde Il Cavaliere. Il suo apostolato è davvero pionieristico e riscuote abbondanti frutti. Rientra in Polonia nella prima Città dove è superiore. Le

da Roma

RAFFAELE DI MURO DOCENTE DI SPIRITUALITÀ FRANCESCANA

Nel lager di Auschwitz brilla ancora la luce KOLBE 75 anni fa nel campo di concentramento di Auschwitz veniva ucciso il sacerdote cattolico francescano conventuale padre Massimiliano Maria Kolbe. Era il 14 agosto 1941, vigilia della solennità di Maria assunta in cielo. Aveva solo 47 anni. Padre Kolbe è particolarmente legato alla religiosa provincia dei Frati Minori Conventuali dei Napoli. Suoi compagni di studio e cofondatori della movimento mariano della Milizia dell’Immacolata sono stati fra Antonio Mansi morto nel 1918 (prossimamente prepareremo gli eventi da celebrare a Roma e a Ravelllo nel corso del 2018) e padre Enrico Granata, entrambi religiosi esemplari della provincia religiosa partenopea. Padre Kolbe ha avuto con la città di Ravello un rapporto particolare. Infatti nel 1919 il giovane Kolbe sostava a Ravello nel convento di san Francesco dal 4 giugno al giorno 8 luglio. Il motivo era quello di rivistare i luoghi di fra Antonio Mansi che egli reputava un santo e conoscere da vicino la famiglia Mansi. (Gianfranco Grieco, Kolbe. Una luce nel Lager di Auschwitz. Nel 1919: san Massimiliano nel convento di Ravello, 2009, p.64) 49


autorità tedesche lo perseguitano per la sua attività di stampa e per il suo sacerdozio senza frontiere. Arrestato una prima volta il 19 settembre 1939, viene internato in Auschwitz il 17 febbraio 1941 e il successivo 14 agosto muore donando la sua vita per un padre di famiglia condannato a morte. Quest’anno ricorre il 75° anniversario del suo martirio. San Massimiliano Kolbe è protagonista di un percorso di fede caratterizzato, in modo netto e costante, dal dono di sé che si manifesta con la sofferenza. Anzitutto è chiamato ad accogliere le fatiche provenienti dal suo fisico spesso malato e spossato. Abbiamo già constatato come siano stati duri i tempi di ricovero in sanatorio, accompagnati dall’incertezza per il futuro e dal dubbio circa il prosieguo del suo cammino vocazionale e missionario. Tutto offre al Signore come espressione del suo amore ed a sostegno della Chiesa e dell’umanità. La santità del francescano polacco è contrassegnata anche da fatiche che riguardano il suo mondo interiore. La croce che porta in modo rilevante è quella dell’incomprensione: egli è un vero e proprio esploratore riguardo nuove forme di apostolato ed è artefice di una missione caratterizzata dall’uso dei media, che per il suo tempo è da considerarsi senza precedenti. Non tutti i confratelli comprendono la portata della sua profezia. Ogni opera che compie nel nome dell’Immacolata è foriera di un indiscutibile successo, ma è anche il frutto del superamento di pregiudizi e chiusure che fanno male al cuore. La stessa missione giapponese, che lo vede ottimo apostolo in terra d’Asia, raggiunge risultati davvero straordinari. Tuttavia, il suo stile di totale ed incondizionata donazione ed estrema povertà personale spesso non è capito e ciò rappresenta una vera e propria prova. Il culmine del mistero della sofferenza di P. Kolbe si registra in quel di Auschwitz, dove dolore fisico e spirituale raggiungono il culmine parimenti alla testimonianza che dona con il martirio. Insomma, tra lui e la croce vi è un legame indissolubile e continuo. Infatti, i suoi articoli, le meditazioni e le numerose lettere da lui composti trattano spesso questa tematica.Massimiliano è «l’apostolo della croce»: è colui che per tutta la sua esistenza ha compiuto un allenamento costante ad aderire ad ogni genere di prova come motivo di conformazione a Cristo Signore. È proprio l’affidamento a lui, con la mediazione e l’intercessione materna di Maria, il segreto del suo assumere con gioia e di-

sponibilità ogni tipo di dolore che, secondo il suo agire e il suo pensiero, non è espressione di frustrazione o mortificazione, ma di continuo somigliare a Cristo Signore, di un costante porsi nella mani di Maria che lo conduce mirabilmente al porto della santità. Gli scritti che precedono la sua morte evidenziano che P. Kolbe si è progressivamente preparato al dono di sé in Auschwitz. Parla dell’importanza della croce quotidiana e di come ormai il Signore lo renda pronto a tutto pur di annunciare e testimoniare la fede. La guerra, la fame, gli stenti e la prigionia sono da lui accolti con la prospettiva di poter portare a tanti sofferenti conforto spirituale e la pace che promana dalla comunione con l’Altissimo, vale a dire come motivo di evangelizzazione in un luogo di disperazione e morte. Non teme la sofferenza, che ormai ha assunto come vero e proprio stile di vita, in forza del fatto che essa rappresenta per lui il modo per associarsi sempre al Redentore ed all’Immacolata, meravigliosi modelli per chi desidera offrire a Dio e ai fratelli la propria vita in ogni tempo e in tutte le circostante. Il martire polacco, attraverso il suo pensiero e il suo esempio, fa comprendere il grande valore della sofferenza oggi. In un tempo in cui l’uomo cerca di esorcizzare in tutti i modi il dolore, il santo ne afferma il valore santificante e missionario. Accogliere con amore e pazienza le prove quotidiane, pone il credente nelle condizioni di camminare verso la propria santificazione e di contribuire all’apostolato della Chiesa con continui atti di offerta della propria fatica fisica o interiore. Lungi dall’essere motivo di depressione o di infelicità, il soffrire diventa, secondo l’attualissimo messaggio di Kolbe, un itinerario di conformazione al Crocifisso, una splendida via per testimoniare e trasmettere la fede e motivo di conversione per tanti fratelli che non hanno ancora fatto esperienza dell’amore misericordioso di Dio. S. Massimiliano insegna che l’amore è la vera essenza della creatura umana, ciò che la nobilita, la impreziosisce e la rende più dignitosa. La carità è per lui ed è per noi la dimensione più rilevante dell’esistenza. Egli afferma la bellezza della sua umanità e l’amore di Dio contro l’odio e la distruzione del fratello. Egli conferma ai cristiani ed agli uomini di oggi che è fondamentale testimoniare l’amore fino al dono di sé: l’umanità trova piena realizzazione nell’essere riflesso dell’amore di Dio. È quanto il martire di Auschwitz grida anche ai fratelli di oggi. 50


da CHIMBOTE (PERU)

nello stadio di Chimbote: caldo a 35 gradi. Uno spettacolo straordinario: 500 i sacerdoti concelebranti, tra una folla di 25 mila fedeli e 60 Vescovi, di cui 10 polacchi. Ha presieduto la cerimonia l’inviato del Papa card. Angelo Amato, prefetto della congregazione delle cause di santi. Erano presenti tre ministri del Perù, ambasciatori e autorità. Un imponente palco con la grande gigantografia dei martiri veniva svelato al momento della proclamazione, tra l'applauso dei fedeli. Molto toccanti la presentazione e il racconto della vita dei martiri da parte del postulatore padre Angelo Paleri, l’omelia del cardinale Amato e gli interventi del ministro generale padre Marco Tasca, del vescovo di Bergamo e dei Presidenti delle Conferenze Episcopali della Polonia e del Perù. Musica, canti e inno dei Martiri composto per l’occasione hanno caratterizzato una cerimonia vissuta con intensa partecipazione e commozione e lo stadio per una mattinata è stato il cuore palpitante dei fedeli peruviani che si sono stretti ai loro “Martiri della fede e testimoni della speranza”.

PAOLO FIASCONARO NOSTRO INVIATO

Una grande scritta:“Benvenuti nella terra dei martiri” ci accoglie alla fine dell’autostrada. siamo ospiti nella casa di spiritualità Paz y Bien gestita dai francescani conventuali polacchi. Dopo due ore di riposo partecipiamo alla Messa della veglia nella cattedrale di Chimbote presieduta dal Presidente della Conferenza Episcopale Peruviana. Durante la celebrazione della santa messa egli chiama sull’altare i parenti dei martiri e il superstite padre Jarek che lo ha definito “un martire frustrato”. Il 5 dicembre il grande evento della beatificazione

Nella città del martirio Domenica 6 abbiamo partecipato alla grande festa nel paese di 6 mila abitanti in Pariacoto dinanzi 51

Testimoni della fede

Miguel e Zbigniew beati martiri del nuovo mondo


saliti in montagna per inginocchiarci dinanzi al luogo dove furono trucidati i confratelli. Grande commozione ed anche qualche lacrima nel ricordo della loro testimonianza. Lunedì 7 altra celebrazione a Lima nella parrocchia francescana conventuale di Santa Maria della Pietà con la santa messa di ringraziamento presieduta dal ministro generale fra Marco Tasca. Anche qui grande partecipazione dei fedeli della parrocchia. Il giorno 8 alle 17,00 solenne celebrazione di ringraziamento nella grande cattedrale di Lima, gremita di fedeli e presieduta dall’Arcivescovo di Lima Card. Cipriani. Un grande evento storico per il Perù e anche per l’Ordine serafico dei Minori Conventuali. A noi la grande eredità ed anche l’opportunità di ripartire da questi “campioni e testimoni di fede” per fare animazione missionaria tra e con la nostra gente.

alla chiesa parrocchiale e il convento dove hanno vissuto i confratelli martiri. 12 Vescovi, 100 sacerdoti e 5 mila fedeli abbiamo vissuto con intensa partecipazione la celebrazione dinanzi alla nuova cappella dove sono stati sistemati i nuovi Beati. Abbiamo incontrato anche suor Berta, colei che era salita nella camionetta dei terroristi per capire dove li portavano … e poi fatta scendere dopo il ponte per poi bruciarlo. Nel pomeriggio, dopo l’agape fraterna con canti e danze popolari siamo


Europa 2016 Sguardi sul mondo ONU Civili, principali vittime delle guerre nel silenzio internazionale I civili sono le principali vittime delle guerre di oggi nell’indifferenza della comunità internazionale: è la forte denuncia di mons. Bernardito Auza, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu, intervenuto l 19 gennaio 2016 al dibattito del Consiglio di Sicurezza sulla protezione dei civili nei conflitti armati.

più forte possibile questa barbarie”; poi chiama in causa la comunità internazionale affinché “faccia tutto il possibile per porre fine a questi crimini, anche con l’utilizzo legittimo della forza, così da bloccare le atrocità di massa ed i crimini di guerra”. Assicurare alla giustizia i responsabili di questi crimini In terzo luogo, mons. Auza auspica un rafforzamento ed una maggiore implementazione degli strumenti e delle disposizioni varate dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu per “proteggere i civili nei conflitti armati ed assicurare alla giustizia i responsabili di tali crimini”, ma – sottolinea il presule – “la comunità internazionale ed i singoli Stati devono avere la volontà e la disponibilità ad usare tale strumenti”. Negli ultimi due suggerimenti, infine, l’osservatore permanente chiede l’accertamento delle responsabilità e ribadisce che “le popolazioni civili colpite dai crimini di guerra meritano tutto l’aiuto possibile”.

Vittime civili aumentate dal 5 al 90 per cento dall’inizio del ‘900 All’inizio del ‘900, i civili uccisi nei conflitti armati erano pari al 5 per cento della popolazione; negli anni ’90, la percentuale ha superato il 90 per cento. Parte da questo drammatico dato l’intervento di mons. Auza che denuncia il costante aumento di “attacchi deliberati ed indiscriminati” contro civili innocenti. Tale “tristissimo sviluppo”, spiega il presule, comporta conseguenze a livello mondiale: “enormi quantità di vittime civili, inclusi i bambini; migrazioni di massa; crisi dei rifugiati; la distruzione intenzionale di infrastrutture mediche e civili, come le scuole; l’uso di civili come armi da guerra attraverso la loro privazione di cibo e di prime necessità, il totale disprezzo della sicurezza di operatori umanitari e giornalisti; le nette violazioni della legge internazionale umanitaria”.

Gratitudine per i Paesi che aiutano migranti e rifugiati A nome di Papa Francesco, poi, il presule si dice grato ai Paesi – come Libano, Giordania, Italia, Grecia e Turchia - alle comunità ed agli individui che “tendono una mano in segno di solidarietà all’umanità sofferente”, “sforzandosi ed impegnandosi a salvare vite umane”. Ma non basta: di fronte alla sfida di “movimenti di massa di migranti e rifugiati”, occorre l’aiuto “dell’intera comunità internazionale”, perché “problemi interdipendenti possono essere risolti solo ristabilendo la pace attraverso il dialogo ed i negoziati”, così da evitare di “ricorrere ancora una volta alla guerra”.

Denunciare senza eccezioni questa barbarie, nessuno resti indifferente La responsabilità di tutto questo, ribadisce l’osservatore permanente, riguarda “l’intera comunità internazionale, implicata in tali crimini odiosi con il silenzio o l’indifferenza”, oppure con la produzione e la fornitura di armi o ancora con la loro vendita, sia legale che al mercato nero. Si tratta di una responsabilità, sottolinea mons. Auza, che “va ben oltre il massacro diretto di civili”. Di qui, il richiamo affinché “nessuno rimanga indifferente di fronte a tale tragedia” ed “agisca con la massima urgenza”. Sei, in particolare, le soluzioni suggerite da mons. Auza: in primo luogo, il presule chiede di “denunciare senza eccezioni e nel modo

Vincere il male con il bene, l’indifferenza con la solidarietà Infine, l’osservatore permanente esorta a “vincere il male con il bene, combattendo l’indifferenza con la solidarietà ed guardando oltre i meri interessi nazionali e geopolitici, così da risparmiare al mondo il flagello bellico”.

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Forum di Davos non dimenticare i poveri Il mondo imprenditoriale non si faccia “anestetizzare” dalla cultura del benessere, non dimentichi i poveri e crei un’occupazione dignitosa per la persona umana affinché nel lavoro non sia “rimpiazzata da una macchina senz’anima”. Questi gli auspici del Papa nel messaggio al Forum Economico Mondiale di Davos, apertosi il 20 gennaio 2016i nella località svizzera, e dedicato al tema: “Padroneggiare la quarta rivoluzione industriale”. La lettera di Francesco, indirizzata al prof. Klaus Schwab, fondatore e presidente esecutivo del Forum, è stata consegnata dal cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace. Non lasciarsi anestetizzare dal benessere “Non dimenticate i poveri”: il consumismo non procura “la felicità di una vita piena”. Questo l’“appello” di Papa Francesco ai dirigenti del mondo degli affari, ma anche una “sfida primaria” per loro. Non dobbiamo mai permettere, scrive il Pontefice, che “la cultura del benessere ci anestetizzi”, ci faccia pensare soltanto ai “privilegi”, rendendoci incapaci di provare “compassione” dinanzi al grido di dolore degli altri e di piangere davanti ai drammi a cui assistiamo. Perché piangere significa “partecipare” alle sofferenze degli altri e “rendersi conto che le nostre stesse azioni sono causa di ingiustizia e disuguaglianza”. Uomo guidi sviluppo tecnologico, non il contrario Ringraziando il presidente del Forum per l’incontro “che cerca – sottolinea - di incoraggiare una continua responsabilità sociale ed ambientale” attraverso un “dialogo costruttivo” con tanti leader internazionali, Francesco mette in luce la necessità odierna di dar vita a “nuovi modelli imprenditoriali che, nel promuovere lo sviluppo di tecnologie avanzate, siano anche in grado di utilizzarle per creare un lavoro dignitoso per tutti, sostenere e consolidare i diritti sociali e proteggere l’ambiente”. L’uomo, ribadisce il Papa, “deve guidare lo sviluppo tecnologico, senza lasciarsi dominare da esso”. Disoccupazione oggi riguarda centinaia di milioni di persone L’avvio della cosiddetta “quarta rivoluzione industriale”, nota il Papa, è stato accompagnato da una crescente percezione “dell’inevitabilità di una drastica riduzione nel numero dei posti di lavoro”: l’Organizzazione Internazionale per il Lavoro indica che attualmente “la disoccupazione riguarda centinaia di milioni di persone”. La “finanziarizzazione” e la “tecnologizzazione” delle economie nazionali e globale - aggiunge il Pontefice - hanno prodotto profondi cambiamenti nel campo del lavoro: le diminuite opportunità per un’occupazione “vantaggiosa e dignitosa”, insieme a una “riduzione della copertura previdenziale”, stanno causando una “preoccupante crescita della disuguaglianza e della povertà” in diversi Paesi.


AM ER 20 IC 16 A MISSIONARIO DI PACE PER ABBRACCIARE CHI SOFFRE

MESSICO Un viaggio nel cuore dell'America Un viaggio che ha permesso a Papa Francesco di toccare tutte le realtà del Messico. Dal 12 febbraio sera, Francesco ha sostato nel Paese latinoamericano fino al 17. Di particolare impatto la messa a Ciudad Juarez, a poche decine di metri dal confine con gli Usa. Il viaggio è stato presentato così nella Sala Stampa vaticana, qualche giorno prima: Città del Messico, le regioni dove sono gli indios, il nord caratterizzato dalla violenza e dal filo spinato che separa con gli Usa. Il Papa ha toccato tutte le anime di questo immenso Paese. Molti i trasferimenti con le cinque papa mobili. Grandii bagni di folla. Punto centrale, stata la visita alla Basilica della Nostra Signora di Guadalupe, da sempre venerata dal Papa. “Ha parlato del suo affetto, della sua devozione per la Madonna di Guadalupe, per la sua consapevolezza che questa devozione significa per i messicani – non solo per i cattolici, ma per tutti i messicani e per tutti i latinoamericani e gli americani. Quindi, è un momento alto del viaggio, la celebrazione della Messa alla Basilica di Guadalupe”. Anche la visita ad un ospedale pediatrico, dove Francesco ha incontrato il personale e i piccoli pazienti, alcuni malati gravi. L’incontro con famiglie e giovani, il confronto con le autorità e il clero. Da notare anche la Messa con gli indigeni nel Chapas, il Papa ha infatti autorizzato ufficialmente l'uso delle lingue indigene nella Liturgia, come ha affermato padre Lombardi: ““Questa Messa è stata pensata soprattutto per le comunità indigene del Chiapas. E infatti nella Messa che era quella del lunedì della prima settimana di Quaresima, quella normalmente prevista dalla liturgia, però ci sono molti elementi indigeni: letture, canti e parti della Messa sono nelle lingue locali. Ci sono, se ho capito, almeno tre lingue indigene”. Il Papa poi ha passato una intera giornata a Ciudad Juarez, nel nord, terra difficile, caratterizzata da violenze e sparizioni. Nel carcere vedrà 700 detenuti, poi celebrerà la Messa dal palco a 80 metri dalla frontiera. Sono attese centinaia di migliaia di persone e, al di là del filo spinato, dunque in territorio statunitense, altri 50 mila fedeli ascolteranno le parole del Pontefice. Ancora padre Lombardi : “E’stata una tappa molto, molto forte, anche come significato. Ricordiamo che il Papa aveva detto che aveva pensato di entrare negli Stati Uniti dal Messico. Il fatto cioè di questa presenza sul confine è qualcosa che teneva molto presente nel suo cuore. Insomma, sa che questo è un luogo estremamente significativo delle problematiche sociali e umane”. 55

Vengo come “missionario della misericordia e della pace”. In video messaggio al popolo messicano in cui sottolinea che è suo grande desiderio abbracciare la gente e in particolare quelli che soffrono Papa Francesco ribadisce la sua devozione filiale per la Vergine Maria e confida la sua grande gioia nel poter recarsi al Santuario della Madonna di Guadalupe. “ Cosa vuole il Papa con questo viaggio?” Francesco esordisce con questa domanda nel video-messaggio rivolto al popolo messicano. “La risposta – afferma – è immediata e semplice: desidero venire come missionario della misericordia e della pace; incontrarmi con voi per confessare insieme la nostra fede in Dio e condividere una verità fondamentale nella nostra vita: che Dio ci ama molto, che ci ama con un amore infinito, aldilà dei nostri meriti”. Il Papa sottolinea di voler “stare il più vicino possibile” alla gente, “in modo speciale a coloro che soffrono, per abbracciarli e dire loro che Gesù li ama molto, che Lui sempre sta al loro fianco”. “Mi rallegra sapere – prosegue il Papa – che vi state preparando al viaggio pregando molto”. La preghiera, dice, “allarga il nostro cuore e lo prepara a ricevere i doni di Dio”. La preghiera, ribadisce, “illumina i nostri occhi, per saper vedere gli altri così come li vede Dio, per amare come ama Dio”. E ringrazia quanti pregano per lui, “perché – evidenzia – ne ho bisogno”. Francesco confida dunque uno dei suoi “desideri più grandi”: “Poter visitare la casa della Vergine Maria”. “Come un figlio in più – afferma – mi avvicinerò alla Madre e porrò ai suoi piedi tutto quello che mi porto nel cuore”. E’ “bello – soggiunge – poter visitare la casa materna e sentire la tenerezza della sua presenza benevola. Lì la guarderò negli occhi e la supplicherò perché non smetta di guardarci con misericordia, perché Lei è la nostra Madre del Cielo”. A lei, conclude il Papa, “affido da ora il mio viaggio e tutti voi, miei cari fratelli messicani”.


A C I R 6 F 1 A 20 Burkina Faso 29 vittime il bilancio dell’attacco all’hotel E’ di almeno 29 morti di 18 nazionalità diverse, 56 feriti, 126 ostaggi liberati e quattro terroristi uccisi, il bilancio dell'assalto terroristico all'Hotel Splendid e al caffè-ristorante Cappuccino di Ouagadougou, capitale del Burkina Faso. Lo ha confermato il primo ministro del Paese africano, Paul Kaba Thieba. Tra le vittime figurano otto canadesi, uno statunitense, due cittadini svizzeri e due francesi e un bimbo italiano. L'attacco partito venerdì sera 15 gennaio 2016 si è concluso sabato 16 con l’intervento delle Forze speciali francesi, presenti nel Paese. Al Qaeda nel Maghreb ha rivendicato l’attacco definendolo “Una vendetta contro la Francia e i miscredenti occidentali”. Questa è la testimonianza di padre Philippe Zongo, responsabile della Comunità di Sant’Egidio in Burkina Faso: Quello che è successo in Burkina riporta a quello che è accaduto a Jakarta qualche giorno prima e a quello che è successo a Istanbul … Possiamo dire che questo colpisce tutta l’umanità. Io penso che colpire questo luogo significhi ferire l’umanità, ferire i rapporti di convivenza che esistono da anni tra musulmani e cristiani. E c’è il rischio, anche, che dopo questo attentato, si facciano interpretazioni sbagliate, spostando il problema su un livello religioso. Ma io credo che non sia un problema religioso e bisogna essere attenti a non fomentare l’odio. Questi attacchi, al Qaeda li compie per tutelare il proprio terreno rispetto all’Is. Tra l’altro, anche al Qaeda nel deserto cerca di proteggere i propri interessi, e cioè il traffico delle armi, il traffico di esseri umani …

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Al Qaeda ha rivendicato l’attacco affermando che si tratta di una vendetta contro la Francia: quindi c’è un’escalation del terrorismo jihadista anche nel Burkina Faso, oppure è stato un fatto inaspettato? No, no: non è stato un fatto inaspettato. Si poteva aspettarselo, perché ci sono stati già due episodi precedenti. Tre agenti sono stati uccisi da una cinquantina di persone e poi, verso la frontiera del Mali c’è stato anche un attacco e alcune persone addirittura sono state sgozzate, come fa l’Is; anche, nel Nord due persone, due austriaci sono state rapiti. Questi episodi ci fanno capire che è un inizio. Quindi, non possiamo dire che è un’escalation, però bisogna iniziare a lavorare adesso per evitare che l’escalation ci sia veramente, come è successo altrove. A Ouagadougou c’è la base delle Forze speciali francesi attive nell’operazione in tutto il Sahel per fermare il jihadismo. Quindi, si è scelto un bersaglio internazionale proprio per fermare l’avanzata delle Forze occidentali? Diciamo che sì, c’è la presenza dell’esercito francese; e poi, ci sono anche soldati statunitensi perché la zona del Burkina Faso è una zona strategica: nel Sud dell’Algeria e nel Nord del Mali, del Niger e del Burkina Faso c’è proprio la culla del terrorismo, operano lì. Allora avere una base in Burkina Faso aiuta a respingere un po’ per poterli poi bloccare. Ma che ci sia un attacco contro la Forza francese presente, io dire di no, perché i morti appartengono a 18 nazionalità. Quindi, alla fine, quando colpiscono, colpiscono tutti! Poi, questo modo di colpire nulla può fare all’esercito francese; come dico e tengo a ripetere, è per motivi


BURKINA FASO Vescovi condannano attacco a Ouagadougou “Le ferite inferte a persone concrete sono sentite dalla nazione intera. Nel vivere il lutto nazionale, vi invitiamo a ricordare e a pregare per le vittime, i feriti, le loro famiglie e i loro amici” afferma un comunicato della Conferenza episcopale del Burkina Faso e Niger, ripreso dall'agenzia Fides, nel quale si invitano i fedeli a pregare per le vittime degli assalti perpetrati a Ouagadougou nella notte tra il 15 e il 16 gennaio, da membri di Aqmi (Al Qaida nel Maghreb Islamico). “La nostra sola arma è la preghiera” sottolineano i vescovi. “Possano tutti i credenti accrescere l’ardore della preghiera come abbiamo fatto in altre circostanze. La nostra invocazione per l’unità nazionale resterà sempre la nostra forza” conclude il comunicato. Il bilancio dell’assalto all’Hotel Splendid e al vicino bar-ristorante “Le Cappuccino” è di 30 vittime. Tre assalitori sono stati uccisi nello scontro a fuoco per liberare gli ostaggi nell’hotel, mentre secondo alcune fonti altri tre terroristi sarebbero riusciti a fuggire.

di interesse, perché anche loro ci guadagnano con la guerra, con la violenza. La guerra è diventata ormai un lavoro, un mestiere: alla fine, in questi gruppi terroristici tanti si arruolano perché non hanno niente da fare, è un modo per guadagnarsi qualcosa per sopravvivere. L’attacco è stato rivendicato da al Qaeda; poi abbiamo anche le infiltrazioni del sedicente Stato islamico e di Boko Haram, che opera nell’area del Sahel. Quindi il Sahel sta diventando un epicentro del terrorismo di matrice islamica? Sì, questo è molto vero e possiamo sottolinearlo, per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica e della comunità internazionale sulla necessità di intervenire presto, perché il Sahel è a rischio, può diven-

tare la vera culla del terrorismo come è successo in Siria e in Iraq. Ora si stanno utilizzando tutti i mezzi forti per combattere l’Is. Penso che prima di arrivare al livello della Siria o dell’Iraq, sia necessario agire ora. Il presidente Roch Marc Christian Kaboré ha fatto una dichiarazione subito dopo l’attacco, invitandoci a essere coraggiosi, cioè, il Paese non deve lasciarsi intimidire. Il presidente aveva già rivolto un appello al presidente del Mali, chiedendo di costituire un fronte comune per lottare contro il terrorismo, perché il terrorismo va fermato adesso, trovando i mezzi; e poi il “come” si vedrà nei prossimi mesi, perché si sono dati almeno sei mesi per quello che riguarda il Burkina Faso, per avere un esercito forte che sappia proteggere le persone e i beni del Paese.


Elezioini, Migrazioni Lotta al terrorismo da Cotonou, Benin

JEAN-BAPTISTE SOUROU GIORNALISTA E SCRITTORE

Tre capitoli importanti aspettano l’Africa in quest’anno: le elezioni, le migrazioni e la lotta al terrorismo. Le elezioni sul continente sono sempre uno di quei momenti dove si scopre meglio l’attaccamento delle popolazioni alla patria. Esse sono occasioni che spesso gli osservatori stranieri chiamano “periodi di rischio”, ma a guardare da vicino è un momento di festa, visto l’impegno col quale la gente va esercitare il proprio diritto al cambiamento. Per non parlare delle coloratissime campagne elettorali. Sono le elezioni mal organizzate, truccate per mantenere qualcuno al potere il problema. Non il voto in se. Perché per molti elettori andare al voto è un dovere sacro e da quando si sono stabiliti governi democratici in alcuni Paesi, ogni scadenza elettorale rivela la profonda volontà di cambiamento e di progresso degli Africani. Chi apre il ballo Apre il ballo quest’anno la Repubblica Centrafricana con le presidenziali e le legislative, il 14 Febbraio. Seguiranno l’Uganda, il Niger, il Benin, il Congo, Capo Verde, Gibuti, il Ciad, Zambia, Gabon, Gambia, Ghana, la Guinea equatoriale e forse la Repubblica democratica del Congo. Se le elezioni saranno ben organizzate, cioè trasparenti e libere, l’Africa intera ne guadagnerà in stabilità e sviluppo. Se le aspirazioni delle popolazioni non verranno rispettate, le file di migranti non cesseranno di crescere perché il continente sarà ancora meno ospitale per i propri figli. Certo il malgoverno non è l’unica causa delle vittime nel deserto e nel mediterraneo. La storia recente del continente, le sue relazioni con delle potenze estere, la loro manomessa sulle miniere, lo sfruttamento selvaggio e sconsiderato delle risorse naturali e dell’ambiante «hanno un impatto negativo sugli africani e minaccia le loro prospettive di poter vivere in 58

pace», affermava un vescovo nigeriano durante il secondo sinodo dei vescovi per l’Africa. Secondo lui, «il degrado ambientale in Africa è legato a questo problema» e « i Paesi vengono distrutti dalla deforestazione, da fuoriuscite di petrolio, scarichi di sostanze tossiche


… L’erosione provocata dall’uomo spazza via terreni agricoli, devasta strade e insabbia le sorgenti d’acqua. Questi fattori impoveriscono ulteriormente le comunità africane e aggravano le tensioni e conflitti» e gettano sulle strade della migrazione migliaia di uomini, bambini, giovani e donne. «L’Africa non è povera per scelta» ha scritto una ragazza italiana delle Medie, a termine di un corso di formazione dedicato al continente. Di recente i partecipanti ad una conferenza internazionale sui drammi delle migrazioni. Organizzata dalla Chiesa cattolica in Africa tenutasi a Brazzaville (Congo) hanno affermato che «non si può impedire alle persone di migrare, è un diritto umano, ma è importante attaccare le cause delle migrazioni forzate». Scrivere la propria storia Purtroppo L’Africa non è risparmiata dalle violenze

terroristiche. Da quando, a nome dell’importazione della democrazia, le primavere arabe sono state suscitate in alcuni Paesi e guidate da potenze straniere, con fini non sempre dichiarati, le armi stanno circolando nella zona del Sahara e finiscono in mani poco raccomandabili. I gruppi fondamentalisti tra cui Boko Haram seminano terrore in vaste zone come il Nord della Nigeria, del Camerun e il Sud del Ciad. Tutto questo minaccia la stabilità di intere zone geografiche e economiche. L’Africa dovrà cercare soluzioni come è stato sottolineato al summit dell’Unione Africa ad Addis- Abbeba (Etiopia) di fine Gennaio. L’augurio è che in ognuna di queste tappe o campo di lavoro, l’Africa dimostri ancora in quest’anno di avere le capacità di scrivere la propria storia per poter diventare una terra dove ogni Africano è libero di vivere, girare e sognare il proprio futuro.

Il silenzio assordante dei leader africani


A I AS016 2

Sciiti e Sunniti Il risveglio degli imperi In Iran vivono circa 120. mila cristiani, soprattutto nel centro e nel nord-ovest del Paese. La maggior parte sono di etnia armena e di fede gregoriana nella città di Isfahan e di Tabriz, mentre i cattolici sono prevalentemente a Tehran.

da Roma

MOHAMMAD DJAFARZADEH ARCHITETTO E STORICO

Durante il suo viaggio di ritorno dalla Mecca a Medina il profeta Maometto ordinò ai suoi seguaci di radunarsi intorno ad una torre costruita dalle selle dei cammelli. Poi fece salire sulla cima della torre suo nipote Ali-ibne-Abutaleb, che era il suo primo discepolo, nonché marito di sua figlia Fatima. Una storia travagliata Al momento che Ali era visibile ai tutti i suoi fedeli, Il profeta dichiarò che dopo la sua morte Ali sarebbe stato il suo successore e la guida dei musulmani. Ma dopo la morte di Maometto venne messo in discussione la sua volontà. Si riunirono i capi delle tribù presenti sull¬a Penisola Arabica, attuale L’Arabia Saudita, per decidere chi doveva diventare la guida dei musulmani. Furono loro a giudicare Ali troppo giovane e non all’altezza di un ruolo cosi importante e venne eletto Abubaker. Questo evento divenne il primo motivo per creare delle discordanze tra musulmani, pro Ali e pro Abubaker. Ma dopo la scomparsa di Abubaker, i capi delle tribù fecero eleggere Usman escludendo ancora Ali, per continuare dopo Usman, con un altro capo di nome Omar, aumentando la spaccatura tra le due fazioni. La morte di Omar,fu occasione per eleggere Ali ormai sessantenne, anche per evitare ulteriori divisioni, come il capo dei musulmani. Il suo regno non durò molto a causa di un attentato da parte di un suo nemico di nome Ibne Moljam che lo colpì di spalla alla testa , mentre stava pre-

gando in moschea. Ali nel letto della morte disse ai vari capi delle tribù che solo i discendenti del Maometto e quindi i suoi figli potevano prendere il suo posto. A seguito della morte di Ali, diversamente dalla volontà espresso da Ali, i capi delle tribù scelsero Moaviye della tribù di Bani Ommayedi. Il figlio maggiore di Ali, Hassan, venne ucciso per avvelenamento. Ma anche il figlio minore Hossein fu massacrato con tutta la sua famiglia dal governatore di Karbala di nome Yazid. Questi ultimi eventi ed in particolare l’uccisione di Hussein e la sua famiglia, sono oggi la ragione della scissione tra musulmani in due gruppi: gli Sciiti che sono i sostenitori della continuità della discendenza di Maometto, ossia da Ali fino al dodicesimo Imam come legittimi successori al profeta; mentre i Sunniti, riconoscono solo Abubaker, Usman, Omar ed in fine Ali come i successori di Maometto. Furono soprattutto gli iraniani, gli iracheni e le diverse comunità in Siria, nell’attuale Turchia, in Afganistan, nel Libano, nella Palestina ed ecc. a seguire lo Sciismo. Ma la maggioranza degli arabi e il resto delle popolazioni distribuite nei paesi 60


Un sacerdote cattolico distribuisce la santa comunione durante la messa del primo giorno dell'anno 2016 nella chiesa armena di San Sarkis di Teheran.

conquistati dai vari Califfi arabi a proclamarsi Sunniti. Con il passare del tempo, gli Sciiti accusarono i Sunniti di aver assassinato tutti i successivi discendenti di Ali, tranne il dodicesimo che risalì al cielo per volontà di Dio ed ora si attende il suo ritorno da Messia. Questa breve storia racconta in sintesi il motivo della discordia tra i Sciiti e Sunniti, sin dagli albori della diffusione dell’Islam. Da quell’epoca ad oggi non ci sono stati scontri tra i Sciiti e Sunniti che sono vissuti in armonia nelle varie nazioni, recandosi perfino insieme al pellegrinaggio a Kabaa nella città di Mecca in Arabia Saudita. Attualmente la maggioranza dei musulmani sono sunniti e sono in buona parte nei paesi africani e in parte anche nelle altre nazioni asiatici, mentre gli sciiti, sono presenti maggiormente in Iran, in Iraq, in Afganistan, in

Sudan, in India, in Indonesia, in Malesia ed altri Paesi. Gli ultimi 40 anni Nei ultimi quarant’anni, ma soprattutto dopo la caduta della monarchia dei Pahlavi in Iran, a seguito della vittoria della rivoluzione iraniana nel 1979, è venuto a mancare nell’area del golfo Persico un importante alleato dell’Occidente una nazione strategicamente importante con più di mille km di confine con l’Unione Sovietica, anti comunista e militarmente forte nell’area del Golfo Persico. L’isolamento del regime della Repubblica Islamica dell’Iran esercitato da parte dell’occidente e degli Stati Uniti, parallelamente al fallimento dei sovietici in Afganistan per mano dei Mojahedin Afgani, ha aperto una gara tra pretendenti nell’ aria del Golfo per occupare il posto rimasto vuoto dai iraniani.

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Fu Saddam Hussein, musulmano sunnita, che governava in un paese di maggioranza sciita, a candidarsi. Infatti. sostenuto dagli Stati Uniti e dalla Francia, invadeva l’ Iran per consumare una guerra logorante che durava otto anni senza vinti e senza vincitori, ma con il fallimento delle mire di Saddam Hussein per dimostrare la sua potenza nel conquistare un accesso diretto sul Golfo Persico. Il successivo tentativo di Saddam fu l’invasione in Kuwait, un’importante alleato dell’Occidente, incassando un’altro fallimento a seguito dell’intervento militare congiunto dell’Occidente e la conseguenza divisione del territorio dell’Iraq in varie zone controllato indirettamente dalle forze navali occidentali, le base americane in Kuwait, in Arabia Saudita e in Turchia. Fu il turno di Bin Laden, uno dei membri della famiglia reale Saudita, capo dei Mojahedin afghana e l’eroe della guerra contro i sovietici, di tentare con l’ala sunnita ed oltranzista afgana-pakistana, chiamati talebani, di formare in Afghanistan un stato islamico sunnita al fianco dell’Iran con un stato islamico sciita. L’intervento militare americano insieme ad alcuni Paesi europei prima in Afganistan e poi in Iraq, non solo non ha posto fine al terrorismo capeggiato da Bin Laden anche dopo l’uccisione di Saddam, ma al contrario, contribuì all’estensione del terrorismo anche in Iraq. Essendo la popolazione irachena di maggioranza sciita, ha avuto subito il sostengo dell’Iran, infuriando i Sunniti. La candidatura degli Sciiti al governo dell’Iraq, ha intensificato la battaglia del terrorismo in questo Paese divenendo più forte grazie al totale disordine in seguito del ritiro di buona parte delle nazioni partecipanti all’invasione in Iraq. Paesi totalmente disordinati Nel frattempo le cosiddette Primavere Arabe e di conseguenza la caduta di Mubarak in Egitto, di Ben Ali in Tunisia, di Gheddafi in Libia, tutti Paesi di maggioranza sunnita, ha prodotto altri nuovi Iraq e altri nuovi Afghanistan, rendendo questi Paesi totalmente disordinati dal punto di vista politico, economico e sociale ma soprattutto privo dei governi capaci di mantenere la sicurezza e la legalità. Invece il terrorismo, approfittando della situazione di crisi in questi Paesi e sotto la falsa bandiera dell’Islam è riuscito a creare una vera e propria organizzazione allo scopo

di creare l’antico Impero degli Arabi, Il Califato. La guerra civile in Siria ha dato ulteriore possibilità alla presenza dei seguaci di Bin Laden e ad altre sigle che fanno parte di diverse tribù locali al vasto inserimento dell’Isis nato in Iraq, buona parte addestrati dagli ex militari dell’esercito di Saddam Hussein e di Gaddafi, forti di armi e di denaro per la vendita del petrolio sul mercato nero. Il fronte dei sostenitori del Califato ha aperto un altro capitolo con più denaro e una organizzazione più ampia, richiamando l’attenzione su di se da due Paesi anche loro alla ricerca delle vecchie glorie e dei loro antichi imperi. Si tratta dell’Arabia Saudita che sogna l’impero dell’Islam Arabo e della Turchia, nostalgici dell’Impero Bizantino. Tutti si sono candidati a conquistare la supremazia nell’area, anche grazie all’incapacità dell’occidente di esercitare una politica di pace e di far tacere le armi. Il sogno dell’Impero ha contagiato l’Occidente Il sogno dell’impero ha contagiato anche l’Occidentale: i francesi, ex colonizzatori dell’Africa, intervengono in Siria e in Libia, prima a fianco dei cosiddetti ribelli contro Gheddafi e poi contro Bashir Assad, ed ora, invece, contro i ribelli e l’infiltrazione dell’Isis. Ma anche l’Italia nostalgica del suo impero, dopo aver comprato i nuovi caccia bombardieri, si è candidato ad intervenire in Libia. Questa sconcertante situazione con milioni di disperati che fuggono da questi Paesi martoriati, ha messo in repentaglio non solo la sicurezza e la stabilità di una vasta e importante area geografica, non solo dal punto di vista energetico per via del petrolio, ma anche la pace e la sicurezza internazionale. L’Europa e gli Stati Uniti si sono accorti che forse l’Iran sciita malgrado gli inutili embarghi esercitati da ben 40 anni, è l’unico Paese che forte della sua stabilita politica e in parte anche economica, invece di avvicinarsi a loro, sta diventando, sempre di più vicino ad altri due potenze, la Russia e la Cina, per non parlare di Korea del Sud e dell’india. La fine delle sanzioni contro l’Iran ha provocato un coro di proteste da parte dell’Arabia Saudita, del Katar e ovviamente di Israele e dei loro alleati distribuiti nelle varie lobby occidentali. Probabilmente la riapertura dell’Occidente e degli Stati Uniti è stata la campanella d’allarme per dei Paesi che hanno interpretato questo evento come una scelta strategica e l’unico valido interlocutore nell’area. Forse, l’attività terroristica di questi ultimi due anni a seguito del dialogo con l’Iran, si è intensificata non solo nell’area, ma anche con i recenti attentati in Francia in Germania e altrove per intimidire l’Occidente a non proseguire la sua politica di apertura all’Iran? 62


PAPA INCONTRA ROHANI

Il ruolo dell’Iran per la pace Il ruolo dell’Iran nello scacchiere geopolitico mediorientale, lotta al terrorismo, dialogo interreligioso. Su questi temi principali si è svolto martedì mattina 26 gennaio 2015 l’incontro in Vaticano tra Papa Francesco e il presidente dell’Iran, Hassan Rouhani. Durante i “cordiali colloqui”, informa una nota ufficiale, “si sono evidenziati i valori spirituali comuni e si è poi fatto riferimento al buono stato dei rapporti tra la Santa Sede e la Repubblica Islamica dell’Iran, alla vita della Chiesa nel Paese e all’azione della Santa Sede in favore della promozione della dignità della persona umana e della libertà religiosa”. Inoltre, prosegue il comunicato, “ci si è poi soffermati sulla conclusione e l’applicazione dell’Accordo sul Nucleare e si è rilevato l’importante ruolo che l’Iran è chiamato a svolgere, insieme ad altri Paesi della Regione, per promuovere adeguate soluzioni politiche alle problematiche che affliggono il Medio Oriente, contrastando la diffusione del terrorismo e il traffico di armi. Al riguardo, è stata ricordata l’importanza del dialogo interreligioso e la responsabilità delle comunità religiose nella promozione della riconciliazione, della tolleranza e della pace”. Dopo l’udienza con il Papa, il presidente iraniano si è intrattenuto con il cardinale segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, accompagnato dal segretario per i Rapporti con gli Stati, l’arcivescovo Paul Gallagher.

Papa Francesco, Rohani e le prossime elezioni negli Stati Uniti Malgrado questi attacchi il rapporto con l’Iran si è intensificato e le sanzioni sono state rimosse molto prima dei tempi previsti. Il viaggio del presidente iraniano Rohani in Europa è stata la dimostrazione di una maggiore apertura tra Europa e Iran. E’ stato di una importanza assoluta l’incontro tra Papa Francesco e Rohani, proprio in questo momento che il terrorismo vorrebbe aprire una guerra di falsa matrice religiosa tra Oriente e Occidente. Gli appelli di Papa Francesco alla fratellanza, alla pacifica convivenza tra popoli di fedi religiose diverse, sono stati accolti dal presidente di un paese musulmano sciita, proveniente da un’area sconvolta dalle guerre cappeggiati dai falsi profeti che offendono anche la maggioranza dei musulmani sunniti, che nella spietata crudeltà hanno trovato i mezzi per raggiungere loro obbiettivi. Le prossime elezioni presidenziali in Usa saranno molto importanti per contribuire ad una possibile normalizzazione della situazione in quell’ area e in tutte le zone martoriate dove la dignità dell’uomo è soggiogata all’interesse di pochi e dove la pace e la sicurezza auspicate da tutte le fedi religiose sembra ancora un sogno.

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“Fermate il genocidio dei cristiani” L’appello del Patriarca Sako di Baghdad “È tempo di assumersi la responsabilità prima che questo conflitto si estenda per altri lunghi anni; questo è il tempo giusto per unire le forze e tenersi per mano, cristiani, musulmani, di fermare i massacri e le distruzioni. È il tempo di stabilire pace e giustizia. Così facendo saremo i promotori di un punto di svolta in questa terra, degni di raggiungere sicurezza e pace per il nostro popolo. Vi preghiamo di fare quanto è nelle vostre possibilità per fermare questo genocidio prima che sia troppo tardi”. È l’accorato appello che il Patriarca caldeo di Baghdad, Louis Raphael I Sako lancia al presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, in una lettera a lui indirizzata nei giorni in cui a Strasburgo discute del sistematico massacro delle minoranze religiose ad opera dell’Isis.

a sua detta, da “una ben concertata agenda da parte dell’Iraq di spingere i cristiani e le altre minoranze religiose a lasciare la propria terra”. A ciò si aggiungano le azioni del sedicente Stato Islamico (Is) contro cristiani e yazidi scacciati dalle loro case a Mosul e nella Piana di Ninive. Un comportamento contro le minoranze che può essere definito “genocidio”.

Patriarca Sako contro gli "attori esterni" del conflitto Nella prossima sessione del Parlamento europeo che si svolgerà dall’1 al 4 febbraio sempre a Strasburgo riporta l'agenzia Sir - dovrebbe essere votata anche una risoluzione sull’argomento. Nella lettera il patriarca caldeo si scaglia contro gli “attori esterni” del conflitto, rei di intervenire solo per “la loro personale ambizione nella Regione. Essi hanno usato democrazia e libertà come copertura per privarci delle nostre risorse naturali, pace e libertà creando caos e terrorismo in Iraq e nel Medio Oriente”.

Appello per un governo iracheno forte Nella lettera Mar Sako riferisce anche esempi di violazioni e di offese contro i cristiani, non ascrivibili all’Islam in generale, di gruppi fondamentalisti: “il divieto di fare auguri di Natale ai cristiani, la distruzione dell’albero di Natale in diversi centri commerciali, il rifiuto di costruttori di edificare case e monasteri per i cristiani ritenuti infedeli, l’espropriazione da parte di alcune milizie di case e proprietà cristiane a Baghdad, l’invito alle donne cristiane Tra gli iracheni cresce l'ossessione per la durata del di indossare il velo seguendo l’esempio della conflitto Vergine Maria”. Davanti a tutto ciò il Patriarca Questo ha comportato, tra le altre cose “il falli- caldeo invoca la necessità di “avere un Governo mento del sistema scolastico e il peggioramento di forte, un’istruzione aperta, leader religiosi muquello educativo; l’aumento della disoccupazione; sulmani che si oppongano ai fanatici e che ci il deterioramento della situazione economica e facciano sentire cittadini di questa nazione, con della sicurezza; la caduta dei servizi pubblici”. stessi diritti e doveri”. Oggi, denuncia Mar Sako, “in Iraq ci sono migliaia di morti, milioni di profughi e di sfollati interni, Per l'Iraq il federalismo è la soluzione più adatta case e strutture distrutte, e nelle persone cresce Da Mar Sako anche l’idea che “il federalismo sia l’ossessione per la durata del conflitto”. attualmente la soluzioni più accettabile capace di tenere unito l’Iraq” e la convinzione che “la cultura Cristiani e minoranze spinti a lasciare l'Iraq della tolleranza e del rispetto sia il modo migliore Il Patriarca non esita, poi, a puntare l’indice contro per smantellare il terrorismo alle radici e opporsi l’agonia dei cristiani e degli altri gruppi etnici causata, all’estremismo”. 64


speciale fra ludovico

A M I R P


V

aro Fra Ludovico

Era domenica 26 giugno 1960, quando Mons. Giuseppe Maria Palatucci OFMConv., Vescovo di Campagna (Salerno) scriveva di suo pugno questa testimonianza si fra Ludovico e la consegnava all’archivio del convento di Ravello con questo titolo:”Ricordi della vita di fra Ludovico Di Nardo laico professo dei Frati Minori Conventuali morto santamente a Ravello il 20 marzo 1942. Era nato a S. Eufemia Maiella (Chieti) il 24 settembre 1858. Entrò nell’Ordine, il 2 febbraio 1887, nel convento di S. Antonio a Portici. Professo semplice, il 2 febbraio 1888. Professo solenne, il 26 aprile 1891. Dopo la Professione semplice fu mandato a Ravello, ove stette fino alla morte. In attesa di portare nella chiesa francescana conventuale di Ravello i resti di fra Ludovico, dopo il restauro della tomba dei Frati Minori Conventuali collocata nel cimitero di Ravello, presentiamo questo testo “nascosto” dell’indimenticabile vescovo Palatucci che con Ravello, con il Beato Bonaventura, con il venerabile Donato del Quercio, con i fratelli Antonio e Bonaventura Mansi, tutti sepolti nella chiesa di san Francesco, ha nutrito per tutta la vita una particolare predilezione, senza dimenticare che padre Giuseppe Palatucci insieme con il fratello Antonio sono stati nel 1925 i fondatori della nostra rivista LUCE SERAFICA.

ottobre 1923, quando dai Superiori e in particolare da mio fratello P. Antonio, allora Ministro della Provincia di Napoli, fui richiamato in Provincia e destinato a Rettore del Collegio Serafico di Ravello, ove fui dal 22 ottobre 1923 fino alla mattina del 16 gennaio 1938, quando partii per Campagna, della cui Diocesi fui nominato Vescovo, il 20 settembre 1937. Perciò, fui qui a Ravello e con Fra’ Ludovico, per circa sedici anni. In tutta la Costiera era ritenuto un religioso santo In tutto quel tempo, ebbi l’agio di conoscerlo molto intimamente e ne ammirai sempre le virtù non comuni, che mi confermavano il buon nome che egli si era fatto presso il popolo di tutta la Costiera di Amalfi e anche fuori, ovunque egli era andato. Infatti in Costiera egli era ritenuto un santo religioso, di vita esemplare ed edificante, per la sua vita umile di fratello laico e tanto edificante nella semplicità francescana, nei lunghi anni dalla Professione Religiosa fino alla morte, lunghi anni che egli passò qui a Ravello. Presso la Tomba del nostro Beato, si temprò nello spirito dell’obbedienza e dell’umiltà in modo mirabile, in continuo sacrificio per il maggior bene del Convento e per l’edificazione delle anime, in

Omaggio per frate Ludovico La scritta del retro a matita è: Foto Franco Tortora Pagani 1/18x24. Il mio collega ha ritenuto importante evidenziarla, a mio parere è solo un appunto fatto in epoca successiva (?) forse anche piuttosto recentemente, per indicare il numero di copie (1) la dimensione (18x24) e il nome dello studio fotografico. Ritengo non abbia un'importanza particolare, ma si è ritenuto opportuno conservare la memoria e le tracce inerenti a questa riproduzione, è molto probabile che da questo originale si sia tratto qualche "santino" o qualche immagine per donate a persone che avevano avuto la fortuna di conoscerlo. Molto più importante è la scritta sul verso "Omaggio per il Frate Ludovico de Nardi 21.8.1928 Pasquale Savastano fotografo Amalfi (Maiori)". Quello di Savastano era uno studio fotografico operante in zona con sede ad Amalfi, Maiori e poi anche a Minori, ed ha operato in costiera fino agli anni 60 del '900, con i figli che ne avevano proseguito la tradizione.

+ Mons. Giuseppe Maria Palatucci Vescovo di Campagna (Salerno) Lo conobbi qui a Ravello, quando venni la prima volta nel 1907 per il Noviziato, che io feci qui presso la Tomba del nostro B. BONAVENTURA da Potenza, dal 16 gennaio 1908 al 16 gennaio 1909, e poi, subito dopo la Professione Semplice, partii per Roma, per lo studio della Filosofia presso la Pontificia Università Gregoriana e per la Sacra Teologia che studiai presso la nostra Pontificia Facoltà Teologica in via S. Teodoro, e poi - eccetto il tempo in cui fui militare durante la guerra 1915 – 1918 – rimasi a Roma fino al 21 66


speciale fra ludovico

O P O D

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Il fotografo Sevastano

tutta questa Costiera. Proprio così! E nei lunghi anni che io fui a Ravello, insieme con lui ebbi spesso l’occasione di notare questo spirito di lui. Quando egli si presentava a me come a superiore, notavo questo spirito, che traspariva dall’atteggiamento umile e rispettosissimo. Così, per esempio, appena si presentava, toglieva sempre lo zucchetto e lo faceva con un atteggiamento, che rivelava la fede con cui vedeva nel superiore il Signore stesso. Ed era la fede che egli attingeva da Gesù Sacramentato. Con la faccia per terra dinnanzi all’altare Spesso l’ho sorpreso nelle tarde ore di notte e nelle primissime ore del mattino, in chiesa, prostrato con la faccia per terra innanzi all’altare del Santissimo. Veramente filiale era la devozione di lui all’Immacolata, e al Serafico Padre S. Francesco. Era poi devotissimo del Confratello S. Antonio e del nostro Beato Bonaventura. Ne parlava spesso con i fedeli, tanto che molti, anziché Fra’ Ludovico, chiamavano lui “ S. Antonio”: “Mo’ vene S. Antonio”…”dove vai, S. Anto’?”. E nel nome di S. Antonio otteneva spesso grazie. Così, per esempio, mi narrava come, una volta, nel tornare da Nocera dei Pagani, tutto stanco, attendeva il passaggio della tramvia, a una fermata facoltativa; ma il tramviere, nel vedere il frate, per dispetto, non solo non fermò il tram, ma per dispetto tirò avanti. Fra’ Ludovico esclamò: “ S. Anto’, pensaci tu!”, ed ecco che all’improvviso il tram si fermò a dispetto del tramviere; e fu così inaspettata la fermata che i viaggiatori notarono come la fermata era avvenuta immediatamente ed inaspettatamente subito dopo che il tramviere aveva negato la fermata al frate. Sant’Antonio non paga il biglietto Così pure, una volta, capitò al vaporetto che da Amalfi andava a Salerno e Fra’ Ludovico non aveva fatto il biglietto perché, conosciutissimo come egli era, nessuno glielo domandava mai: una volta, però, o che l’incaricato dei biglietti non lo conoscesse, o che, quella mattina fosse di malumore, insisteva che Fra’ Ludovico pagasse il biglietto. Così discutendo, il vaporetto si fermò da sé, inaspettatamente, tanto che l’inaspettata fermata fu notata dai presenti e messa in relazione all’insistenza dell’incaricato nel richiedere il biglietto al

Vi sono poche notizie sul fotografo Savastano. Non si conosce la data di inizio dell'attività ma la stessa è stata portata avanti dalla figlia fino agli anni 70. Avevano uno studio fotografico nella zona del Lungomare nella palazzina prima dello slargo dove c'è la chiesetta di San Giacomo. Esistono in giro foto soprattutto di paesaggi della costiera e molto frequentemente faceva foto per le feste patronali, infatti vi sono foto delle processioni dei vari paesi della Costiera. Pare che per qualche tempo abbia avuto anche un punto di riferimento in Amalfi. Dovrebbe aver collaborato anche con Rossellini quando ha girato i suoi film in Costiera ed in particolare a Maiori: "L'amore" con la Magnani, "La macchina ammazza cattivi" e "Viaggio in Italia" con la Bergman (dove a Maiori fu girata proprio la scena finale con la processione). buon frate; e questi, nello scendere a Maiori disse al bigliettaio: “ Ricordati che S. Antonio non paga il biglietto”. E mentre chiedeva la carità per il Convento e per i frati, specialmente per i Fratini poveri, tante volte, egli stesso, col mio permesso, faceva la carità a chi ne aveva bisogno. E la faceva con tanto amore che commoveva gli astanti. Provvedeva con amore alle necessità del Convento e del Collegio e ai lavori per i restauri. E tutto faceva con autentico spirito francescano, con tutto amore e con amoroso sacrificio. Ricordo, a proposito, che una volta, quando io da solo dovevo attendere a vari uffici e faccende, gli dissi: “Fra’ Ludovico, vedi quante cose mi tocca fare!”. Ed egli mi rispose: “ E ringrazia Dio che le puoi fare!”. Così l’umile fratello laico, senza accorgersene, mi dava la giusta risposta secondo lo spirito della Regola del Serafico Padre, che dice appunto: “ Fratres, quibus gratiam dedit Dominus laborandi, laborent fideliter et devote….”. Così lavorava egli stesso, l’instancabile Fra’ Ludovico, secondo lo spirito del Serafico Padre S. Francesco, e sull’esempio di S. Antonio e del B. Bonaventura. Ebbe cura dei bisogni del convento e segnatamente dei restauri della chiesa: e a proposito, notiamo che fece far lui la bella balaustra di marmo, ampliando lo spazio innanzi all’altare maggiore. Spirito di semplicità Ma l’edificazione più bella egli la curò per le anime. E fu davvero edificante con l’esempio che diede sempre ai Confratelli e a tutta la Costiera 68


con la vita santa e con l’apostolato, che egli svolgeva con la semplicità della parola sua, sempre animata dallo Spirito di Dio. Così, dava spesso certe risposte a persone anche distinte per posizione sociale e per cultura, in un modo così semplice e insieme tanto efficace che scoteva tante anime addormentate e le richiamava alla vita pratica cristiana. Vi era, sì, in lui, alle volte, un modo di fare che si sarebbe detto impazienza o superbia; ma non era né impazienza né superbia: era quello spirito di semplicità con cui manifestava il suo pensiero con tutta schiettezza e senza vera superbia, ma per lo zelo con cui voleva veder fare il bene in tutto e per tutto. Era lo zelo per la causa del bene che lo moveva a pregare e a parlare, sempre con l’anima elevata in Dio e sorretta dalla devozione alla Madonna e a S. Antonio e al Beato. Aveva sempre in bocca il nome di Maria E a proposito della devozione alla Madonna, ricordo che aveva sempre in bocca il nome di Maria, sempre dico per dire spessissimo; tanto che i fedeli, specialmente le donne nei paesi della Costiera, quando lo sentivano passare lo chiamavano indifferentemente “S. Antonio” e anche “Maria Maria”! Considerate superficialmente, queste cose potranno sembrare cosucce di poco conto, e sciocchezzuole da femminucce; ma considerate nella luce dei Santi, rivelano un’anima non comune per santità di vita e per apostolato per la salvezza delle anime. Si vedeva, così, in Fra’ Ludovico l’uomo di Dio secondo lo spirito dell’umiltà e della semplicità propria del figlio di S. Francesco; e proprio per questo si notava in lui l’ardore serafico per la salvezza delle anime. Ma tutto questo che ho detto è un sommario di quanto si può ancora raccogliere e dire di lui. Ecco perché raccomando, ancora una volta, ai miei Confratelli di Ravello, di raccogliere tutte quelle notizie, che è ancora possibile raccogliere dalla bocca di quanti conobbero lui. Lo raccomandai subito dopo la morte; ma finora non è stato fatto. Ebbene, per non continuare in questa negligenza, mi son permesso di incaricare il P. Vincenzo M. Stefanelli di raccoglier lui in questo libro quanti altri ricordi è possibile ancora raccogliere. E questo sia a gloria di Dio, a onore dell’Imma69

CONDIZIONI DEL MANUFATTO La foto, raffigurante il frate Ludovico Di Nardo, di dimensioni 60x85 cm (circa), si presentava ad una prima osservazione con grosse lacune coloristiche in diversi punti, in particolare nella zona inferiore della foto, ed in special modo nella parte centrale. Con buona probabilità, il danno, nel corso degli anni è stato causato da acqua ed umidità che si è infiltrata come conseguenza di una non corretta conservazione. Tale situazione ha creato delle lacune coloristiche ed un forte scolorimento della foto nelle parti interessate, lasciando solo una debole traccia visiva di quello che era l’originale. Vi era lungo tutto il margine destro una piegatura della foto, fatta per adattarla ad una cornice più piccola, provocando ulteriori danni. Risultavano in più punti diverse parti mancanti oltre a strappi ed abrasioni varie. Si presentavano inoltre problemi di muffe e gore di umidità particolarmente nella parte inferiore, determinate dalle infiltrazioni di cui abbiamo relazionato in precedenza. La carta era imbrunita a causa della forte esposizione alla luce diretta del sole, cosicché il colore a seguito di tutte queste vicissitudini si presentava molto friabile e delicato, quindi difficile da trattate.


INTERVENTO DI RESTAURO

La prima fase è consistita in una pulitura meccanica eseguita con pennelli morbidi, e gomma wishab; successivamente, visto lo stato di acidità in cui versava il supporto cartaceo, si e proceduto alla deacidificazione tamponando il verso della foto con una soluzione di acqua distillata e carbonato di calcio, riportando la carta ad un ph normale. In seguito, sempre dal verso si e provveduto a neutralizzare le muffe con soluzione al 2% di biotin sciolto in acqua demineralizzata, mentre le macchie più resistenti sono state sbiancate o eliminate del tutto tramite l’ausilio di sbiancanti quali l’acqua ossigenata al 3% e gel di metilcellulosa, che con il loro potere penetravano dal verso in maniera costante e controllata hanno provveduto a schiarire macchie ed aloni. Strappi e lacerazioni sono stati rattoppati con carta giapponese e thilose, poi, sempre con fogli di carta giapponese sovrapposti in più strati ed incollati con metilcellulosa, si è provveduto ad una prima fase di rifodero del retro. In seguito si è foderato il retro con cartoncino a ph neutro e non acido, coadiuvato da una soluzione di metilcellulosa disciolta in acqua, al 40 %. Come ulteriore intervento si è a lasciato aperto uno spazio di pochi centimetri nella foderatura per evidenziare e recuperare una scritta presente nel retro della foto. Gli interventi che hanno riguardato il recto si sono limitati a ridurre ed eliminare le pieghe tramite l’ausilio del termocauterio, a rattoppare e stuccare le lacune con pappette di metilcellulosa, a risarcire le parti mancanti, ed infine a riscostruire le lacune coloristiche mediante l’ausilio di pastelli, ed acquerelli addizionati con leganti naturali, per meglio favorire la stabilità e l’aderenza coloristica. L'intervento è stato ultimato con il montaggio all'interno di una nuova cornice, di adeguate dimensioni con un retro pannello di cartoncino anti muffa ed acid free, per una più adeguata conservazione nel tempo. L'intervento è stato realizzato grazie alla collaborazione tra i Maestri Restauratori Clemente Gianluca e Savo Agnello nell'anno 2015.

Foto tessera di padre Giuseppe Palatucci ripresa dall’archivio di Ravello. Nel 1942 padre Giuseppe aveva chiesto il visto per un viaggio in Polonia.


RAVELLO 1940 Ferdinando Schiavo con due ospiti di riguardo. A destra fra Ludovico Di Nardo (1852-1942) apostolo della costiera, mentre scende dal convento di san Francesco


colata e di S. Francesco, e di S. Antonio e del Beato Bonaventura, e a onore anche del carissimo Fra’ Ludovico, che ha una grande parte nel rifiorimento della vita francescana in questo Convento e Collegio e in tutta la nostra Provincia, che in questi ultimi quaranta anni o poco più, ha avuto un mirabile rifiorimento, tanto che i circa otto conventi della Provincia nel 1922 crebbero presto e oggi sono più di una quarantina, e dalla Provincia Francescana di Napoli si son formate le altre due Provincie delle Puglie e delle Calabrie. E di tutto questo rifiorimento ne vada lode anche ai miei fratelli P. Antonio e P. Alfonso che ressero per lunghi anni la Provincia in quel tempo di risurrezione; e ne vada lode anche all’attuale Provinciale P. M. Bonaventura Mansi, che lodevolmente continua quell’opera santa per il maggior bene della nostra Provincia e di tutto il Mezzogiorno d’Italia.

tazzoni, portano per la lampada votiva al caro Confratello il B. Bonaventura da Potenza, a lui, cioè, che è la vera gloria di questo Convento. Infatti, se questo Convento si gloria di essere stato fondato dal Serafico Padre S. Francesco nel 1222, si gloria anche di aver ospitato il B. Bonaventura negli ultimi anni e di essere onorato dal Sepolcro di Lui, da quel Sepolcro, donde, in ultima analisi, è venuto alla nostra Provincia Francescana di Napoli e a tutto il Mezzogiorno d’Italia, il grande rifiorimento della vita Francescana in questi ultimi decenni, segnatamente dal 1922 a oggi! Che l’Immacolata e S. Francesco, S. Antonio e il B. Bonaventura e l’anima santa del nostro Fra’ Ludovico ci ottengano di veder sempre più e sempre meglio crescere questo rifiorimento stesso, in modo che non solo la nostra Provincia Francescana, ma anche tutto l’Ordine Nostro si inquadri in quella grandiosa opera di risurrezione di tutta la Chiesa e di tutto il mondo, secondo il grande MesSono lieto di aver scritto queste pagine saggio dell’Immacolata a Fatima: “Finalmente il E sono lieto di avere scritto queste pagine oggi, do- mio Cuore Immacolato trionferà, la Russia si conmenica 26 giugno 1960, in occasione della mia ve- vertirà, e un periodo di pace sarà dato al mondo”. nuta a Ravello, per partecipare all’offerta dell’olio, Ravello, domenica 26 giugno 1960. che - ormai è il terzo anno – i Potentini, con a + Giuseppe Maria Palatucci OFMConv. capo l’Arcivescovo-Vescovo Mons. Augusto BerVescovo di Campagna (Salerno).


Il Francesco riconciliato nel cantico di frate Sole Un testo tornato di stretta attualità dopo l’enciclica «Laudato si’» GIOVANNI CERRO

Sull’origine del Cantico di frate Sole di san Francesco possediamo due versioni molto diverse, entrambe tramandate dalla Compilazione di Assisi, una raccolta delle memorie di frate Leone, confessore, compagno e segretario del santo negli ultimi anni della sua vita. La prima versione racconta di un Francesco sereno, mosso da un amore contemplativo per la creazione e attento a rispettare tutte le creature di Dio, dalle più piccole alle più grandi: quando cammina fa attenzione a non calpestare in modo maldestro le pietre, raccomanda al frate incaricato della raccolta della legna di non tagliare completamente gli alberi e consiglia al frate ortolano di tenere un piccolo giardino dove far nascere erbe odorose e fiori. È in tale contesto di esaltazione delle meraviglie del mondo che Francesco, poco prima di morire, avrebbe scritto le lodi al Signore per le sue creature. La seconda versione, invece, ci restituisce un Francesco tormentato e sofferente: il santo si trova a San Damiano, è gravemente malato e quasi del tutto cieco, trascorre i suoi giorni al buio in una cella infestata dai topi, che sia lui sia i suoi compagni credono inviati dal demonio per disturbarlo. Una notte, dopo aver invocato il Signore affinché lo renda capace di sopportare con pazienza la sua condizione, viene rinfrancato dalla promessa del regno dei cieli. Il mattino successivo comunica così ai compagni un componimento pensato per essere cantato, come è confermato dal manoscritto 338 della Biblioteca comunale di Assisi, in cui sono state lasciate tre righe libere per la melodia. Nel suo ultimo libro tradotto in italiano (Il Cantico di frate Sole. Francesco d’Assisi riconciliato, traduzione di Paolo Canali, introduzione di Attilio Bartoli Langeli, Milano, Edizioni Biblioteca Francescana, 2015, pagine 121, euro 16), il medievista francese Jacques Dalarun propende per la seconda versione: il canto servirebbe soprattutto come terapia per alleviare le sofferenze nel

momento del congedo dalla vita terrena. La traduzione italiana del volume non poteva essere pubblicata in un momento più propizio, in cui il Cantico è oggetto di un rinnovato interesse grazie all’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco. È lo stesso Dalarun a riconoscere che «a otto secoli di distanza, i due Francesco parlano della stessa cosa». L’autore si cimenta con il commento del testo quasi parola per parola, integrandolo costantemente con altre fonti francescane e corredandolo con un ricco apparato iconografico. Il commento si sviluppa in tre atti, come un dramma in cui strofa dopo strofa entrano in scena le diverse creature in un movimento dall’alto verso il basso. Dalarun sottolinea che il poema umbro fa riferimento non solo a fonti bibliche, soprattutto il Cantico dei tre fanciulli nella fornace del libro di Daniele, il salmo 148 e l’Apocalisse, ma anche alle conoscenze scientifiche dell’epoca diffuse a livello popolare. Se la disposizione dei corpi celesti (il sole, la luna e le stelle) segue il modello di san Paolo nella prima lettera ai Corinzi (15, 4041), l’articolazione del mondo sublunare nei quattro elementi (aria, acqua, fuoco e terra) riprende la fisica medievale di derivazione aristotelica. Le entità del mondo celeste e di quello sublunare vengono personificate e a ognuna sono attribuite virtù proprie, legate al genere di appartenenza: l’acqua, femminile, è «multo utile et humile e pretiosa e casta»,

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Papa nomina don Felice Accrocca nuovo arcivescovo di Benevento

mentre il fuoco, maschile, è «bello et iocundo e robustoso e forte». Se si confronta il Cantico con l’altro scritto di Francesco dedicato alle Lodi di Dio altissimo, giuntoci in forma autografa, si nota che le caratteristiche delle creature ripropongono quelle del Creatore. Ai due estremi della cosmogonia del Cantico vi sono, da una parte, «messor lo frate Sole», che come ricorda la Compilazione di Assisi è la più bella tra tutte le creature e la più simile a Dio, dall’altra, «sora nostra matre Terra», che costituisce il fondamento di tutta la costruzione di Francesco. È proprio la terra lo strumento di cui il santo di Assisi si serve, secondo Dalarun, per operare un rovesciamento dei valori sociali dominanti. Mentre nella società bassomedievale i rapporti di potere dipendono fondamentalmente dal possesso della terra e dal suo uso, la rivoluzione francescana consiste nell’affermare che l’uomo non deve dominare e sfruttare la terra, ma che è essa stessa che «ci sustenta e governa». Oltre a essere sorella, la terra è una buona madre che si prende cura amorevolmente dei propri figli, offrendo loro il nutrimento necessario. Questa considerazione non prelude, però, a una celebrazione della natura in senso moderno, termine che del resto non compare mai negli scritti di Francesco. A essere esaltata per Dalarun non è la natura in sé, ma la natura in quanto creazione: la fraternità universale che lega tutte le cose esistenti deriva dalla loro subordinazione a un unico principio creatore, cioè Dio. Mentre non vi sono dubbi che il destinatario delle lodi sia il Creatore, non è altrettanto semplice individuare il soggetto da cui proviene il canto. Non sembra essere l’uomo, come testimoniano due particolari: anzitutto, la prima strofa, in cui si sostiene che egli non è degno di nominare l’Altissimo, secondo una formula tipica della teologia negativa; quindi, l’invocazione «Laudato sie, mi’ Signore», che è impersonale. Non sono nemmeno le creature a tessere l’elogio di Dio: secondo l’autore, i “per” e i “cum” di cui è disseminato il testo possiederebbero un valore eminentemente strumentale. Il Signore viene lodato “per mezzo” delle sue creature. Nell’interpretazione di Dalarun, il Cantico è dunque il «canto di Dio, potenza estroversa di vita, che crea il mondo nella circolarità di una benedizione che attraversa e trascina con sé tutte le creature». È così che l’universo pacificato e solidale cantato da Francesco contiene anche un’ammonizione morale: ci ricorda che quando l’uomo rifiuta la fraternità tra i viventi e dimentica la misericordia mette a rischio l’armonia dell’intera creazione.

Papa Francesco ha nominato in data 18 febbraio 2016 nuovo arcivescovo metropolita di Benevento don Felice Accrocca, del clero della diocesi di Latina-Terracina-Sezze-Priverno, parroco, vicario episcopale per la Pastorale e docente di Storia Medievale presso la Pontificia Università Gregoriana. Succede a mons. Andrea Mugione, che lascia per raggiunti limiti di età. Don Felice Accrocca è nato il 2 dicembre 1959 a Cori, in provincia di Latina, nella diocesi di Latina-Terracina-SezzePriverno. Dopo la maturità scientifica ha frequentato i corsi teologici presso il Pontificio Collegio Leoniano di Anagni. Successivamente ha conseguito la Laurea in Lettere all'Università degli Studi di Roma "La Sapienza" e il Dottorato in Storia Ecclesiastica presso la Pontificia Università Gregoriana. È stato ordinato presbitero a Cori il 12 luglio 1986, incardinandosi nella diocesi di Latina-Terracina-Sezze-Priverno. Dopo l’ordinazione ha svolto i seguenti incarichi pastorali più significativi: viceparroco della parrocchia S. Maria Assunta in Cielo, a Cisterna (1986-1989); parroco della parrocchia S. Luca, a Latina (1989-2004); moderatore della Curia Vescovile (2001-2003); parroco della parrocchia S. Pio X, a Latina (2003-2012); assistente diocesano dell'Azione Cattolica (20032007); segretario del Sinodo Diocesano (2005-2012). È stato anche coordinatore della Consulta Diocesana delle Aggregazioni Laicali e caporedattore del mensile della Diocesi "Chiesa Pontina". Attualmente è direttore della Scuola Diocesana di Teologia “Paolo VI” (dal 1994); vicario episcopale per la Pastorale diocesana (dal 1999); responsabile dei seminaristi diocesani (dal 2007); parroco della parrocchia Sacro Cuore e amministratore parrocchiale di S. Pio X, a Latina (dal 2012). Partecipa come relatore in molti convegni in Italia e all'Estero, specialmente sul Francescanesimo. Ha all’attivo numerose pubblicazioni, tra libri, articoli e saggi. Per noi francescani conventuali della religiosa provincia di Campania e di Basilicata avere don Felice accanto a noi vuol dire dare una spinta nuova al mondo francescano che opera nell’Italia meridionale. Benvenuto don Felice. 74


Senza fraternità non c’è ecologia L’arcivescovo Rodríguez Carballo parla dell’ispirazione francescana della Laudato sì’ da Roma

NICOLA GORI GIORNALISTA VATICANISTA

Francesco di Assisi era convinto che i beni e la terra fossero un’eredità comune a tutti gli uomini. In questo senso, non ne ammetteva l’uso riservato solo a pochi: per lui il ricco e il povero avevano la stessa dignità in quanto fratelli dell’unico Padre. Quanto c’è di questa visione nella Laudato si’? Lo abbiamo chiesto all’arcivescovo José Rodríguez Carballo, già ministro generale dei frati minori e dal 2013 segretario della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica. Perché il Papa ha scelto Francesco d’Assisi come ispiratore dell’enciclica? In una enciclica sulla cura della casa comune, il Pontefice non avrebbe potuto ispirarsi a un modello che meglio potesse motivarci. Parlando di ecologia, il poverello è per i cristiani in generale — in particolare per Papa Francesco — e anche per molti che non sono cristiani, non solo il «santo patrono di tutti quelli che studiano e lavorano nel campo dell’ecologia», ma «l’esempio per eccellenza della cura per ciò che è debole e di una ecologia integrale, vissuta con gioia e autenticità». Di fatto, egli visse in ogni momento una relazione armoniosa con Dio, con gli altri, specialmente con i più poveri, con la natura e con se stesso. Questa relazione è veramente il cuore della ecologia integrale, oggetto della Laudato si’. Nell’attenzione ai più poveri e abbandonati e alla creazione, per scoprire in tutto il Signore, san Francesco si presenta a noi come un vero maestro.

con la libertà di chi vive senza nulla di proprio e con una esistenza aperta alla trascendenza, agli altri e alla creazione, san Francesco ci mette in guardia da un comportamento dominato da un narcisismo sterile e patologico, che ci porta a distruggere la creazione e ignorare il mandato che l’uomo ha ricevuto di averne cura, di custodirla, assisterla e proteggerla. Un mandato che esige un’attenzione particolare a quelli che hanno uguale dignità, i più poveri, gli ultimi, dei quali il Signore ci chiederà conto, come chiese conto a Caino di suo fratello Abele. Come evidenzia il Papa nell’enciclica e in molti suoi discorsi, l’attualità di Caino è, purtroppo, evidente. Oggi, come allora, ci comportiamo come coloro che non accolgono i fratelli, promuovendo la cultura dello scarto. D’altra parte, il nostro rapporto con la terra è quello di chi si sente potente dominatore, consumatore insaziabile o sfruttatore senza scrupoli delle sue risorse; e il nostro rapporto con l’ambiente è quello di chi non ha freni né conosce limiti, senza preoccuparsi della casa comune e di coloro che verranno.

Da che cosa nasceva la sua visione? Poiché tutto ha origine dal Creatore, tutto per san Francesco era “fratello” e “sorella”. E poiché tutto è “sacramento” e immagine dell’«Altissimo, onnipotente, bon Signore», poiché tutto di lui «porta significatione» — come afferma nel Cantico delle creature — tutto era da lui trattato con somma cura e riverenza. E tutto era incorporato nella lode al Signore. Con una vita contrassegnata dall’essenziale,

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Il 2018 sarà l’anno dell’università francescana da Roma

ELISABETTA LO IACONO GIORNALISTA

La nuova realtà accademica nasce con l’incoraggiamento di Papa Francesco Nella solennità di tutti i santi francescani – 29 novembre 2015 - i ministri generali fra Marco Tasca (OFMConv), fra Mauro Jöhri (OFMCapp), fra Michael Perry (OFM) e fra Nicholas Polichnowski (TOR) hanno annunciato l’avvio di un percorso comune per la costituzione, entro il 2018, della Pontificia Università Francescana. Ne abbiamo parlato con fra Marco Tasca, Ministro Generale dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali e Gran Cancelliere della Pontificia Facoltà Teologica “San Bonaventura”.

turare questa consapevolezza dopo quei tentativi fallimentari? Io credo si tratti sostanzialmente di tre elementi che hanno fatto maturare questa consapevolezza. In primo luogo la diffusa convinzione che apparteniamo a un unico Ordine francescano che poi, storicamente, ha assunto connotazioni e accentuazioni diverse; poi la necessità di unire le forze per offrire un centro accademico di eccellenza; infine l’incoraggiamento di papa Francesco che, nella sua visita ad Assisi il 4 ottobre del 2013, ci disse con grande chiarezza: “vi voglio vedere insieme”. Un messaggio forte, che è stato indubbiamente di grande sprone ed ecco che adesso è arrivato il momento di camminare davvero insieme.

Il sogno di camminare verso la riunificazione degli Ordini francescani

Padre Tasca, a quanto pare sono state profetiche le sue parole pronunciate l’anno scorso, durante le celebrazioni per il 50° anniversario dell’attuale sede del Seraphicum, quando disse di sognare “un’unica Università francescana al servizio della Chiesa e del mondo”. Lo scorso 29 novembre l’annuncio ufficiale dell’avvio di un percorso comune delle diverse famiglie francescane. Cosa è successo in questo anno? In questo tempo è emerso che si tratta di un sogno comune anche ai frati minori e ai cappuccini, un sogno che io ho espresso ma che, evidentemente, è frutto di una sensibilità pienamente condivisa alla quale ho dato semplicemente voce. Tanto che subito dopo, ma proprio subito, ho trovato pieno accoglimento da parte degli altri Ordini, come si trattasse di una cosa naturale, che risultava ovvia a tutti. Già negli anni ’70 era stato intrapreso, per il perseguimento di questo obiettivo, un lavoro deciso ma evidentemente non decisivo. Cosa ha fatto, oggi, ma-

Si dice che papa Francesco abbia accolto molto favorevolmente la notizia di questa volontà che si sta concretizzando… Sì, credo non sia un segreto che quando chi di dovere ha dato al papa questa notizia l’ha accolta con grande gioia. Questo è ciò che il papa si aspetta da noi, un cammino comune che adesso prenderà la connotazione di una Università francescana. Una collaborazione che, peraltro, abbiamo già avviato supiù fronti, ad esempio stiamo lavorando assieme per una presenza comune dei tre Ordini francescani a Gerusalemme; c’è il sogno di vedere una presenza comune anche in una esperienza come Taizé; il prosieguo della collaborazione per la formazione di nuovi missionari a Bruxelles. Insomma ci sono ante esperienze condotte assieme, credo che adesso si tratti di continuare a crescere su questa strada. 76


prium” che è appunto questo, ovvero cosa possiamo dire, oggi, come cristiani e come francescani sulla giustizia, sulla pace, sulla salvaguardia del creato? L’enciclica Laudato si’ di papa Francesco è per noi una sfida enorme. Bisogna far sì che ci siano frati, laici, uomini e donne con spirito francescano che riflettano su questi aspetti, bisogna tematizzare alcune questioni che lo stesso papa Francesco ci offre, pensiamo al grido dei poveri al quale il pontefice richiama quasi quotidianamente. Oppure pensiamo alla cosiddetta economia di comunione e alla necessità di elaborare una proposta. Credo siano anche queste le grandi sfide che possono caratterizzare la nuova Università francescana.

Un grande progetto per una Università francescana nata dalla comune volontà dei diversi Ordini, sulla spinta e sotto il pontificato di un papa di nome Francesco … è una prospettiva indubbiamente suggestiva! Ma, realisticamente, quali possono essere le difficoltà nel mettere assieme le diverse realtà? Io credo che la grande sfida stia nel pensare, più che ai singoli Ordini, alla tradizione francescana nel suo complesso. Non dobbiamo limitarci a guardare ai nostri Ordini, alla divisione del 1517, bensì al periodo precedente, nella consapevolezza che come francescani abbiamo una grande storia da raccontare a livello culturale. Mi pare importante riprendere le nostre comuni origini e su queste costruire il futuro. Io credo che recuperare i tantissimi elementi francescani e della nostra tradizione sino al XVI secolo, rappresenti una valida chiave di lettura. C’è poi un’altra grande sfida da tenere in considerazione: la presenza di tutti e tre gli Ordini - che principalmente lavoreranno in questa Università - nei cinque continenti deve impegnarci a coinvolgere tutta la famiglia francescana del mondo per accogliere idee, proposte e sogni.

Un’ultima domanda: dopo questo passo decisamente significativo per il frazionato mondo francescano, si può cominciare a pensare anche a una futura riunificazione degli Ordini? L’Università francescana potrebbe rappresentare un terreno di sperimentazione? Certo, io lo dico sempre ai frati che mi chiedono come vedo il futuro: io vedo le famiglie francescane unite. Abbiamo la stessa Regola noi conventuali con i minori e con i cappuccini. Ci differenziano aspetti che non sono secondari, questo è vero, però è altrettanto vero che abbiamo tante cose in comune, una grande storia da raccontare che ci permette anche di sognare una grande storia da costruire assieme, nella nostra comune identità francescana. Questo è il mio sogno: arrivare un giorno a essere un’unica famiglia, avvertendo chiaramente come il carisma che ci unisce sia decisamente molto più importante delle cose che ci hanno diviso nel tempo.

Nell’ampio e qualificato panorama accademico, qual è il contributo formativo e il servizio che l’Università francescana potrebbe offrire alla Chiesa e al mondo? Penso ad esempio all’ambito della giustizia e della pace. Noi francescani abbiamo una storia bellissima da questo punto di vista, eppure per tanti aspetti l’abbiamo un po’ persa di vista. Certamente sarà una università costituita dagli indirizzi di teologia, filosofia, diritto, ma dovremo tenere conto del nostro “pro-

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Convegno internazionale sul francescanesimo delle origini e su Tommaso da Celano Tra i relatori il medievista francese Jacques Dalarun, autore del ritrovamento del manoscritto del primo biografo di frate Francesco La Pontificia Facoltà teologica “San Bonaventura” Seraphicum ha proposto per venerdì (29 gennaio) un convegno internazionale dal titolo “Tommaso da Celano, agiografo di san Francesco”, per offrire sia nuovi elementi sul francescanesimo delle origini sia alla “positio” delle virtù su Tommaso, chiamato beato dal popolo, specie dalla gente della Marsica, ma ancora senza un ufficiale riconoscimento. Sono stati offerti nuovi contributi sul francescanesimo delle origini e sulla figura di san Francesco; le relazioni hanno permesso di ripercorrere l’opera agiografica e la vita di Tommaso da Celano, apportando ulteriori contributi sulla figura di questo frate abruzzese vissuto alla sequela evangelica del cristiano di Assisi. Altro elemento di interesse è stata la presenza di noti francescanisti, tra i quali il professor Jacques Dalarun, medievista francese, autore del ritrovamento del manoscritto di Tommaso da Celano. “Il motivo che ci ha spinti a pensare e a progettare questo convegno - ha spiegato il preside fra Domenico Paoletti - è stato il ritrovamento di quella che ormai è conosciuta come la Vita ritrovata del beatissimo Francesco, uno scritto attribuito al frate abruzzese, ammiratore, compagno, seguace e primo biografo del

poverello di Assisi. Una scoperta che, a detta degli studiosi, è la più importante dell’ultimo secolo”. Nel corso del convegno, infatti, il professor Dalarun ha tenuto una relazione su “Il nuovo Francesco nella Vita ritrovata di Tommaso da Celano”, l’opera ritenuta l’anello mancante tra la cosiddetta Vita prima, risalente al 1229, e la Vita seconda del 1247. “Si tratta di un appuntamento a carattere internazionale – ha aggiunto il preside Paoletti – per raccogliere nuovi elementi anche sull’opera, la vita, il culto e la devozione a fra Tommaso nel corso dei secoli. E’ stato presentato, proprio perché aggiornatoo lo status quaestionis del negotium sanctitatis per riprendere la positio con gli elementi e le prospettive offerti dalle ricerche degli studiosi, dei teologi e dal dibattito congressuale. Con l’intento di contribuire al riconoscimento ufficiale di fra Tommaso da Celano agli onori degli altari”. L’evento, promosso con la collaborazione della Provincia d’Abruzzo e Molise dei Frati Minori Conventuali, ha visto la significativa partecipazione delle comunità di Celano, Tagliacozzo e Castelvecchio Subequo con i rispettivi sindaci. Presente anche il senatore Filippo Piccone di Celano, segno tangibile di una diffusa e radicata devozione verso il frate minore abruzzese. 78


La scoperta Presentato il ritrovato manoscritto sulla vita di San Francesco Una recente scoperta letteraria (cfr. Luce Serafica, 2, 2015, p. 73-74) getta nuova luce sulla figura e sulla grandezza spirituale di Francesco d’Assisi. L’importante ritrovamento è stato presentato, per la prima volta in Italia, domenica 15 giugno a Bologna.

“Tra povertà e creazione, sembra una vita di Francesco scritta per Papa Francesco, perché sono i temi più cari al Pontefice”. Parole, queste, di Jacque Dalarun, professore di storia Medioevale al Centro nazionale di ricerca francese. È stato lui a scoprire, lo scorso anno presso un mercante d’arte americano, l’antico documento con la seconda ‘leggenda’ in assoluto scritta sul poverello di Assisi. Era l’anello mancante, di cui si ipotizzava l’esistenza, ma che ancora non era stato scoperto. L’opera è di Tommaso da Celano, a cui si deve anche la ‘Vita Prima’ redatta su commissione di Papa Gregorio IX. “Con il tempo che passa – rileva - Tommaso da Celano ha approfondito la vita di Francesco e ci ha lasciato una vita sì un po’ più breve ma aggiornata e soprattutto più meditata, più approfondita e quasi più intima”. Nel XIII secolo fiorirono una ventina di ‘leggende’ intorno a San Francesco ma quest’ultima, appena ritrovata, appare tra le più fresche e profonde. “Il tema della povertà è sviluppato in un modo incredibile per ben far capire che la povertà di Francesco non è una povertà simbolica, non è una figura spiri-

tuale: è la realtà sociale dei poveri. Francesco chiamava tutte le creature sorelle e fratelli ‘propter unicum principium’. Perché tutti abbiamo un unico principio, un’unica origine”. Entro fine mese di giugno 2015 il manoscritto è stato digitalizzato e accessibile a tutti sul sito della Biblioteca nazionale di Francia. E’ già stato pubblicato con il testo in latino e una versione in francese. Per l’italiano bisognerà aspettare la fine di quest’anno. Dal 25 al 27 settembre a Bologna si svolgerà il Festival Francescano dedicato a “Sorella Terra”: per l’occasione il professor Jacque Dalarun presenterà un suo libro sul “Cantico delle Creature”. “Ho cercato di capire la sua dimensione storica – sottolinea -; ho cercato di capire in che momento preciso della sua vita Francesco lo ha scritto e qual era la sua disposizione mentale. Era un uomo gioioso? Era un uomo afflitto? Cosa ha voluto dirci rispetto al contesto che viveva? Che in realtà era il contesto della malattia, dell’avvicinamento della morte e il fatto che lui era assolutamente cieco. Quindi questo inno al sole viene dal più buio più profondo”.

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Foto d’archivio Benedetto Croce (Pescasseroli 1866- Napoli 1952) e Carlo Sforza a Ravello nel 1944. Due anni prima, nel 1942, scriveva il celebre saggio: “Perché non possiamo non dirci cristiani”, che una rilettura la merita a prescindere e che stranamente anche nel pieno della controversia sulle “radici cristiane” delle’Europa, è stato di rado ricordato dai paladini della laicità di Stato.

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ITALIA

Trivelle e referendum da Potenza

nostro Paese, trasferendo il potere decisionale dalle Regioni allo Stato. Per tutta risposta, nel gennaio del 2015 le Regioni Abruzzo, Calabria, Campania, Lombardia, Marche, Puglia e Veneto hanno impugnato alcune parti dell’articolo 38 dello “Sblocca Italia” dinanzi la Corte Costituzionale, al fine di riacquisire voce in capitolo nei diversi procedimenti avanzati dalle principali compagnie petrolifere. Nel frattempo, il Coordinamento nazionale No Triv - sulla spinta di numerose associazioni attive su tutto il territorio nazionale - ha avviato un percorso di mediazione ed informazione con l’obiettivo di promuovere un referendum in materia. Per farlo si rendeva necessario coinvolgere 5 Consigli regionali. La risposta è stata positiva. Infatti, nel mese di settembre 2015, i Consigli regionali di Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna e Veneto hanno depositato presso il competente Ufficio Centrale per il Referendum della Cassazione ben sei quesiti referendari contenenti norme di abrograzione di alcune parti dell'articolo 35 del decreto Sviluppo e dell'articolo 38 della legge “Sblocca Italia”. Il primo - emanato dal governo Monti - riguarda il rilascio di autorizzazioni alla prospezione, ricerca e concessione di idrocarburi entro le 12 miglia dalla costa. Il secondo, invece, riguarda gli aspetti legati all'esclusione delle Regioni nei processi autorizzativi, all'approvazione di un Piano delle aree

PIETRO DOMMARCO GIORNALISTA E SCRITTORE

Il 19 gennaio 2016 la Corte Costituzionale ha ufficialmente dichiarato ammissibile il referendum sulle trivellazioni a mare, proposta da associazioni, comitati e cittadini, con il sostegno di dieci Consigli regionali. È il primo nella storia della Repubblica italiana. In una data da stabilirsi tra la metà di aprile e quella di giugno, i cittadini saranno chiamati a decidere se salvare o meno “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”, i progetti petroliferi già autorizzati che prevedono l’estrazione di idrocarburi in mare, entro le 12 miglia dalla costa. Poco più di 22 chilometri. Il come e il perché si è arrivati ad un referendum su questo tema - che da qualche anno sta coinvolgendo un dibattito nazionale, politico e sociale - meritano di essere raccontati. No Triv Sul finire del 2014, come abbiamo già raccontato su queste pagine, il governo Renzi ha convertito in legge - la n.164 dell’11 novembre 2014 - il decreto “Sblocca Italia”. Una norma che ha reso strategici tutti i progetti relativi alla ricerca e all’estrazione di petrolio e gas nel

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entro le quali autorizzare ricerca, prospezioni, permessi di ricerca e concessioni di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi e alla durata delle concessioni. In poche parole l'obiettivo principale dei sei quesiti referendari - validati due mesi dopo dalla stessa Cassazione - era quello di rimodulare l'impianto normativo attivato dalla legge “Sblocca Italia”, disinnescandolo. Il Governo Renzi risponde alla proposta referendaria approvando un corposo emendamento alla Legge di Stabilità ripristinando il divieto di ricerca ed estrazione di idrocarburi entro le 12 miglia dalla costa ma salvando i progetti già approvati; accettando di dare parzialmente spazio alle Regioni nei procedimenti autorizzativi seppur con parere decisorio non vincolante; cancellando, sia il carattere strategico delle opere petrolifere, sia il Piano delle aree. Due modifiche che sollevano più di un dubbio. La cancellazione del “carattere di interesse strategico […] di pubblica utilità, urgenti e indifferibili” per tutti i progetti di prospezione, ricerca e coltivazione di gas e greggio in terraferma ed in mare ha il solo obiettivo di neutralizzare il ricorso depositato dalle 7 Regioni alla Corte Costituzionale contro il decreto “Sblocca Italia”, in attesa che il Parlamento approvi definitivamente la modifica del Titolo V della Costituzione e dell’articolo 117 che consentirebbe allo Stato di decidere autonomamente in materia energetica e per il quale ad ottobre di quest’anno i cittadini voteranno un nuovo referendum, questa volta costituzionale. Abolire il Piano delle aree significa, al contempo, favorire le principali compagnie petrolifere che operano in Italia nello sviluppo dei loro progetti senza alcun vincolo. A questo punto la Cassazione prende atto delle modifiche apportate dal Governo, fa marcia indietro, ed accetta solo uno dei sei quesiti referendari - relativo al divieto di ricerca ed estrazione di idrocarburi entro le 12 miglia dalla costa - perché i cinque quesiti esclusi vengono ritenuti soddisfatti dalla nuova Legge di Stabilità. I cittadini saranno pertanto chiamati a decidere se salvare o meno i progetti di estrazione di gas e petrolio già autorizzati entro le 12 miglia dalla costa, “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”. Nel frattempo, le Regioni Marche, Basilicata, Liguria, Marche, Puglia, Sardegna

e Veneto, il 25 gennaio, hanno sollevano conflitto di attribuzione nei confronti del Parlamento cercando di riabilitare i referendum dichiarati inammissibili. 19 comuni coinvolti Il referendum sulle trivellazioni entro le 12 miglia, in ogni caso, non escludono tutti gli altri progetti petroliferi giacenti presso il ministero dello Sviluppo economico oltre le 12 miglia marine e soprattutto in terraferma. Le ultime autorizzazioni riguardano la provincia di Ascoli dove, a Ripatransone, la società Apennine energy vorrebbe trivellare un pozzo esplorativo per la ricerca di gas in mezzo alle vigne del Piceno, luogo di produzione di vini Doc e Docg. A cavallo tra la Basilicata e la Campania, invece, la compagnia petrolifera Shell ha depositato i progetti di Valutazione d’Impatto Ambientale per 3 istanze di ricerca di idrocarburi. Sono 19 i Comuni coinvolti, tra la Basilicata (in val d’Agri e nel Melandro) e la Campania (nel vallo di Diano). In questo modo, il raddoppio delle estrazioni nazionali di greggio e gas passa soprattutto dal territorio lucano e dalle aree limitrofe dell’Appennino meridionale ad alto rischio sismico, in presenza di bacini idrici fondamentali per gli usi potabili ed irrigui. In merito a questi progetti la Regione Basilicata - che ha sostenuto il percorso referendario in difesa del mare - non si è ancora pronunciata. A dimostrazione che in terraferma gli interessi delle multinazionali hanno un peso maggiore. Nel mare Adriatico poi, sono a rischio le isole Tremiti, un vero e proprio paradiso nazionale minacciato dalla politica fossile del Governo, che disattende i dettami del Santo Padre, esposti in una preghiera a margine dell’enciclica Laudato Sì, “Risana la nostra vita, affinché proteggiamo il mondo e non lo deprediamo, affinché seminiamo bellezza e non inquinamento e distruzione.” Focus / Box Incassato il referendum alcuni comitati e le associazioni in difesa del territorio stanno pensando ad un nuovo referendum. A proporlo il coordinamento abruzzese “No Ombrina” che il 17 gennaio ha lanciato la una campagna referendaria sociale “Trivelle Zero”, sia in terra che in mare, e che coinvolgerebbe anche i Paesi stranieri che si affacciano sul mare Adriatico.

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Terra dei fuochi avvelenata due volte

I NUMERI 55 I COMUNI - Nella prima fase sono stati localizzati 55 comuni della Regione Campania. O-14 -Le età. Anche neonati e adolescenti del mirino del report Iss. 322 - I casi. Tumori tra 2006 e 2010 osservati in una parte dello studio. 150 – I linfomi che hanno colpito gli abitanti della zona.

da Caserta

GIANFRANCO GRIECO INVIATO

Più morti, più tumori, più bambini, perfino neonati di un anno che si ammalano. Tutto è più in negativo in questa splendida terra di lavoro ferita a morte. L’allarme di metà gennaio 2016 si rinnova e arriva, questa volta, dall’autorevole Istituto superiore della Sanità, che raccomanda:”Risanate l’ambiente e cessino immediatamente le pratiche illegali di smaltimento e combustine dei rifiuti”. Continua la tragedia ambientale della terra dei fuochi, un’area che fino a due anni fa comprendeva 55 comuni della Campania. In questo ampio territorio infetto, smaltimenti illegali, discariche abusive, rifiuti tossici, veleni industriali sepolti e ritrovati sarebbero responsabili dei danni alla salute e della mortalità di migliaia di persone. Ora, l’area di monitoraggio si è allargata fino a comprendere 88 comuni. L’allarme presentato ai responsabili del territorio e alla stampa regionale, nazionale, e internazionale è contenuto nell’aggiornamento al monitoraggio epidemiologico del rapporto dell’ Istituto Superiore della Sanità che prende origine dallo Studio Sentieri. Ad essere colpiti sono soprattutto i dati che riguar-

dano l’infanzia. Per i bambini si registra “ un eccesso di incidenza dei tumori fino a 14 anni e anche da 0 a 19”. Sempre per la fascia adolescenziale si registra l’incidenza dei ricoveri che rivela un numero maggiore a causa dei tumori del sistema nervoso centrale. Tutto questo accadrebbe sia nelle provincia di Napoli che in quella di Caserta., mentre di ammalati di leucemia risulterebbero altri bambini del territorio della terra di lavoro. Uno studio si riferisce a 322 casi osservati nel periodo 1996-2010: Di questi casi, i tumori del sistema nervoso centrale sono stati 51, il 29 per cento in più rispetto alla media dell’Italia meridionale. Nel gruppo dei linfomi, 150 i casi sotto la lente di ingrandimento e 81 le leucemie sempre nella zona interessata dagli sversamenti illegali.

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HA DETTO Nel primo anno di vita, nella terra dei fuochi di area partenopea il rapporto registra 97 bambini ricoverati per patologia oncologiche, con una incidenza in eccesso del 15 per cento. Anche le leucemie dimostrerebbero una percentuale maggiore di quella del meridione. “Il nostro è stato solo un aggiornamento previsto dalla legge e del 2014- spiega Loredana Musumeci che dirige il dipartimento ambiente e prevenzione primaria dell’Istituto Superiore della Sanità – Si confermano dati ggià divulgati. Infatti abbiamo solo ribadito: l’inquinamento ambientale è una possibile causa o concausa di questo aumento dell’incidenza. Per poter avvalorare questa ipotesi il successivo step sarà l’analisi di uno o due comuni al massimo, solo allora potremo dire se l’inquinamento ci farà morire di più”. Alla Musumeci segue il commento critico del direttore del registro tumori della Asl Napoli 3 sud Mario Fusco, l’autorità più informata sul tema del territorio:” Ancora una volta manca una analisi epidemiologica accurata e mirata su microaree geografiche. Tengo a ribadire che finora la prima causa di decesso di mortalità oncologica è il mancato accesso alle cure e la qualità carente dei

NEWS BUONE NOTIZIE DA NAPOLI E INTERLAND Da siti di Pompei e di Ercolano giugno finalmente buone notizie. Buone notizia anche dal sito di Bagnol i e di Appel a Napoli. Sarà la volta buona? Speriamo di siti. Per troppi anni Pompei ha attraversato periodi buoi. Ercolano, grazia a Dio, di meno. Ora Si attende la risurrezione di Bagnoli e di nuove iniziative per l’occupazione a Napoli. I giovani aspettano. Quando arriverà la loro ora?

“Mi capita continuamente di celebrare funerali di persone uccise dal cancro: bisogna cercare i materiali radioattivi nel terreno”. Don Maurizio Patriciello Parroco del Parco Verde di Caivano – Napoli

protocolli …. Morire o sopravvivere in alcune zone, dipende anche da dove ci si cura. Una cosa è l’istituto tumori. Un’altra è una struttura privata dove manca l’esperienza oncologica … Il rischio ambientale non lo nego. Ma il tumore è la patologia con il maggior numero di fattori di rischio. Di certo non c’è solo quello che deriva dall’inquinamento. Il reale indicatore è l’incidenza oncologia. Abbiamo già iniziato sulle microaree e con la geolocalizzazione dei siti di smaltimento illegale segnalati dell’Arpac: a febbraio arriveranno i primi dati”. “Il governo chieda scusa alle mamme che hanno portato i loro figli al cimitero”- grida Don Maurizio Patricielo, apostolo di questa terra martoriata – Aspetto che chiami Renzi. Urge un piano come per l’Ilva di Taranto”. Se non si prendono decisioni concrete la terra dei fuochi resta avvelenata due volte: la diossina e il rimpianto per aver fatto quanto si doveva fare. Rinviare è peccato grave. 84


da Roma

CHI È

GIOVANNI PREZIOSI

Giovanni Preziosi nasce 45 anni fa a Torre del Greco, in provincia di Napoli, da genitori irpini. Trascorre la sua infanzia ad Avellino frequentando con profitto le scuole di primo e di secondo grado, prima di intraprendere gli studi universitari presso l’ateneo salernitano dove si laurea in Scienze Politiche discutendo una tesi in Storia Contemporanea con il prof. Luigi Rossi dal titolo: Tra storia e politica: Avellino e l’Abbazia di Montevergine dagli anni del consenso al fascismo alla legge truffa. Nel corso di questi anni coltiva varie passioni, tra le quali quella per il giornalismo, scrivendo per varie testate locali e nazionali, tra le quali: Il Popolo della Campania, Cronache Meridionali, La Civiltà Cattolica, Zenit, L’Osservatore Romano e Vatican Insider-La Stampa di cui è attualmente una delle firme più apprezzate delle pagine culturali. Dal 2013, è anche condirettore della Rivista telematica di Storia, Pensiero e Cultura del Cristianesimo Christianitas e responsabile della sezione relativa all’età contemporanea. Fin dalla sua laurea i suoi interessi scientifici si sono concentrati sui problemi socio-politici che hanno caratterizzato il secondo conflitto mondiale, con particolare riguardo a quel filone storiografico relativo all’opera di assistenza e ospitalità negli ambienti ecclesiastici ad opera di tanti religiosi e religiose a beneficio dei perseguitati, indipendentemente dalla loro fede religiosa o dal loro colore politico. Ha compiuto, pertanto, importanti studi su tale argomento avviando una serie di ricerche i cui risultati sono confluiti nel volume dato alle stampe nel 2006 dal titolo: Sulle tracce dei fascisti in fuga. La vera storia degli uomini del duce durante i loro anni di clandestinità e nell’ottobre 2014 il saggio L’Affaire Palatucci “Giusto” o collaborazionista dei nazisti? Un dettagliato reportage tra storia e cronaca alla luce di alcuni documenti inediti e delle testimonianze dei sopravvissuti, nonché in altri svariati articoli pubblicati su giornali di rilievo nazionale.

STORICO

È intitolato emblematicamente La rete segreta di Palatucci. I fatti, i retroscena, le testimonianze e i documenti inediti che smentiscono l'accusa di collaborazionismo con i nazisti (CreateSpace Independent Publishing Platform, 2015, pagine 242), frutto di una paziente e minuziosa spigolatura di oltre due anni all’interno di vari fondi archivistici pubblici e privati, compresa la fitta corrispondenza del vescovo di Campagna, mons. Giuseppe Maria Palatucci, ha preso spunto dalla querelle sollevata nell’estate del 2013 dal Primo Levi Center di New York in merito alla vicenda del salvataggio degli ebrei ad opera del giovane responsabile dell’Ufficio stranieri della Questura di Fiume Giovanni Palatucci che, secondo quanto asseriscono i suoi detrattori, non sarebbe affatto da considerare la versione italiana di Oskar Schindler così come abbiamo imparato a conoscerlo finora – nonostante abbia ricevuto l’alta onorificenza di Giusto tra le Nazioni dal Tribunale del Bene di Yad Vashem – ma, al contrario, soltanto un oscuro funzionario che eseguì pedissequamente gli ordini superiori, al punto da essere annoverato addirittura tra quella folta schiera di collaborazionisti dei tedeschi che non si facevano alcuno scrupolo nel denunciare chiunque non appartenesse alla razza ariana. Insomma tutte le testimonianze e i documenti accreditati dai vari studi compiuti finora non sarebbero altro se non una colossale costruzione mitologica fomentata dallo zio dell’ex questore di Fiume, il vescovo di Campagna mons. Giuseppe Maria Palatucci, francescano conventuale dell’alma provincia di Napoli, col preciso intento di assicurare una lauta pensione di guerra ai genitori. Dopo aver letto con comprensibile sconcerto le conclusioni, a dire il vero alquanto capziose, a cui sono pervenuti questi illustri studiosi d’oltreoceano, fatte passare dai maggiori mass-media internazionali come scoperte sensazionali, in assoluto dispregio della ragione e del metodo storiografico, subito ci è parso di ravvisare qualche incongruenza di troppo tale da far ritenere che que-

sta imponente campagna mediatica, orchestrata ad hoc negli Stati Uniti, perseguiva un disegno ben preciso: demolire ab imis la figura di Palatucci per colpire, in realtà, con allusioni più o meno dissimulate, il pontificato di Pio XII. S’imponeva, dunque, una riflessione più accurata in grado di focalizzare meglio alcuni aspetti che, nel corso di questi anni, ci è parso siano rimasti ai margini del dibattito storiografico.

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storia

La rete segreta di Giovanni Palatucci


Un eroe e un giusto Ci siamo chiesti, perciò: chi era Giovanni Palatucci? Un eroe, un “Giusto”, un collaboratore dei nazisti nella persecuzione degli ebrei, un fedele esecutore degli ordini superiori, o forse più semplicemente un uomo che, constatando la perfidia dei nazifascisti che si consumava quotidianamente sotto i suoi occhi ai danni di tante persone innocenti, che avevano la sola “colpa” di appartenere ad una razza diversa, pur nel timore di essere scoperto, non riuscì a restare indifferente e cercò, per quanto gli era possibile, di impedire questo scempio? Il metodo che ha ispirato questo lavoro è stato quello tipico del ricercatore scrupoloso e puntiglioso, per cui il materiale raccolto è passato al vaglio di una preventiva critica obiettiva avulsa da qualsiasi strumentalizzazione, nel tentativo di ricostruire i fatti così come si sono realmente svolti. Da qui ci siamo mossi, poi, per indagare a fondo i motivi, che a nostro avviso, hanno indotto i ricercatori newyorkesi a sollevare questo enorme vespaio di polemiche. Partendo da questo presupposto, dipanando l’ingarbugliata matassa dell’ingente materiale raccolto, non senza qualche difficoltà, abbiamo cercato di approfondire questa complessa vicenda, riuscendo a mettere insieme una serie di documenti e testimonianze perlopiù inedite come quelle che hanno riguardato, ad esempio, la cosiddetta “fidanzata” ebrea di Palatucci, Maria “Mika” Eisler che, insieme alla madre Dragica Braun, furono “protette” dal giovane commissario di origini irpine il quale si preoccupò dapprima di farle ospitare a Fiume nel villino della signora Giulia Zagabria, al civico 6 di via Milano e poi, col precipitare degli eventi, prima di accompagnarle al confine elvetico, per metterle al riparo da ogni pericolo, le fece trasferire in una località più appartata quale era Laurana dove, il 30 aprile successivo, presero alloggio nella Villa Maria nella frazione di Oprino numero 135. Qui Maria e Dragica si fermarono, tuttavia, fino ai principi di agosto del 1943, dopodiché, in seguito ai clamorosi rivolgimenti politici che avevano condotto alla defenestrazione di Mussolini, nel timore di una violenta ritorsione tedesca, ricorrendo allo stesso stratagemma che adoperava quando inviava i suoi “protetti” ebrei dallo zio vescovo a Campagna, il 6 agosto del 1943, Palatucci, per precauzione, decise di farle trasferire a Serramazzoni, un paesino adagiato sull’Appennino modenese dove, appena cinque giorni dopo il loro arrivo, saranno raggiunte da un’altra famiglia ebrea, per la precisione quella di Carl Selan con la moglie Lotte Eisner e le loro due figlie Edna e Mira che, in precedenza come loro, per sicu-

rezza, dopo essere giunti a Fiume, si erano trasferititi anch’essi a Laurana, dove avevano trovato un appartamento, neanche a farlo apposta accanto a quello delle Eisler, al civico 144 di via Oprino. Grazie alla testimonianza che ci ha fornito la signora Edna Selan Epstein, abbiamo appreso che «ai primi di agosto del 1941, un militare italiano ha preso me, mia madre e la mia sorellina e ci ha condotti oltre il confine, affermando che eravamo la moglie e le sue due piccole figlie … Dall’agosto del 1941 fino al mese di settembre del 1943, poco più di due anni, abbiamo vissuto in una piccola città lungo la costa adriatica, Laurana, non molti chilometri a est di entrambe Abbazia e Fiume dove prestava servizio il commissario Giovanni Palatucci. Lui era molto più di un gentiluomo dell’Italia meridionale. Era anche una persona coraggiosa con uno spiccato senso etico. I miei genitori lo conoscevano molto bene. Mi hanno fatto capire negli anni successivi che eravamo sotto la sua “protezione” mentre vivevamo a Laurana». Lettera alla zio vescovo di Campagna Poi, quando la situazione incominciò a prendere una brutta piega, Palatucci consigliò sia ai Selan che alle Eisler di prendere seriamente in considerazione l’eventualità di lasciare Laurana e recarsi in Italia. Difatti, quando nell’estate del ‘42 la “soluzione finale del popolo ebraico” entrò a pieno regime, il 21 dicembre di quell’anno, Palatucci decise di ricorrere all’aiuto allo zio vescovo di Campagna, scrivendogli un’accorata lettera nella quale, tra gli altri, raccomandava proprio queste due famiglie, dichiarando: «Carissimo zio, […] Per 86


suo soggiorno in Jugoslavia, siamo riusciti a ricostruire anche la storia inedita delle missioni segrete a beneficio dei profughi polacchi compiute dalla contessa Potocka con l’aiuto determinante del loro cappellano il francescano Atanazy Dydek, della Santa Sede, attraverso il referente romano della St. Raphaels-Verein ( Opera S. Raffaele), il prete pallottino don Giancarlo Centioni che all’epoca, sfruttando gli ampi margini di manovra che aveva ricoprendo le funzioni di cappellano militare della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, lavorava gomito a gomito con questa rete di assistenza clandestina e finanche di Giovanni Palatucci, al quale si rivolse nell’agosto del ’42 per rinnovare un documento mentre era in procinto di partire per Roma allo scopo di raccogliere fondi per la colonia polacca,. «A tal fine – scrive nel suo diario – sono andata a Sušak con qualche difficoltà, perché il mio documento non era più valido, lo stesso documento era stato utilizzato a Roma, e mi era stato rilasciato dal prefetto di Fiume per intervento di Bastianiani. Ho dovuto rinnovare questo documento, e nel frattempo presso la Questura di Fiume ho appreso da un funzionario di polizia disposto molto compiacente – il quale ripetutamente mi ha dato una mano, anche andando contro le regole – che ero stata inclusa in una “lista”, e che non dovevo attraversare il confine con l’Italia, perché c’era una condanna contro di me ordinata dal controspionaggio. Questo provvedimento era stato emesso proprio in quei giorni, perciò mi consigliò che era fondamentale per me agire contro questo provvedimento per non assumere una forma peggiore e compromettere la mia situazione, (per cui) mi suggerì di sottoporre la questione a Bastianiani» Tuttavia, dopo essere riuscita a procurarsi un prestito a Sušak, per le colonie di Spalato e Cirquenizza, dalla moglie dell’ex ministro jugoslavo e Bano della Croazia Viktor Ružić, visto che il lasciapassare che le era stato rilasciato per recarsi a Zara era ancora valido, decise di tentare la fortuna su suggerimento dello stesso Palatucci, che le spiegò perfino lo stratagemma per aggirare i controlli alla frontiera.

quanto riguarda i miei protetti la situazione è la seguente (…). Vi ricordo i nomi: Braun in Eisler Dragica (Carolina) e figlia Eisler Maria, nipote Jurak Nada, Selan ing. Carlo e moglie, Eisner Lotta con due bambine. Essi puntano alle province di Perugia e Pesaro. […]. Per il momento occorre appoggiare nel più efficace dei modi la loro domanda, che verrà presentata fra qualche giorno». Difatti, dopo la capitolazione di Mussolini, la famiglia Selan si recò a Perugia dove, per un breve periodo, Edna e la sorellina Mira furono ospitate, sotto mentite spoglie, in un convento di suore con l’aiuto di una loro conoscente, Renée Mogan, figlia di Maximiliana Sachs de Gric, sorella primogenita del noto diplomatico e legale della curia fiumana Niels Sachs de Gric, molto amico di Palatucci che, in seguito, sarà protagonista di un altro rocambolesco salvataggio che riguarderà la famiglia dell’altra sorella, Lily Kremsir col nipotino Igor ed il figlio Boris. La rete di assistenza clandestina Dai documenti in nostro possesso, rinvenuti negli archivi della Croce Rossa Internazionale, inoltre, è emerso che l’allora reggente della questura di Fiume aveva allacciato buoni rapporti anche con la responsabile della Croce Rossa e “patrona” della comunità polacca di Malinska, nei pressi dell’isola di Veglia (l’odierna Krk), la contessa Maria Tarnowska, vedova del conte Artur Antoni Potocki e discendente di una delle più blasonate e influenti famiglie dell’aristocrazia polacca. Compulsando attentamente questi fondi archivistici ed il diario della contessa scritto durante il

Dai documenti alle testimonianze Tuttavia, in questo volume, oltre a queste importanti documentazioni cartacee sono state attentamente esaminate anche le testimonianze fornite da Franco Avallone, figlio della Guardia Scelta di P.S. della questura di Fiume Raffaele Avallone, collaboratore di Palatucci che ha delineato, con dovizia di particolari, le missioni segrete compiute dal padre e dalla madre su indicazione del responsabile dell’Ufficio Stranieri della questura fiumana in collaborazione con il rabbino di Sušak Otto

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Monumento dedicato a Giovanni Palatucci, voluto dalla sezione di Tortona dell'Associazione Nazionale della Polizia di Stato, in collaborazione con la locale polizia stradale e il patrocinio del comune di Tortona

Deutsch;. Senza contare, poi quelle rese dalla signora Magda Lipschitz Heimler, figlia di Eugenio Lipschitz, internato nel Campo di Campagna; dalla prof.ssa Elena Scarpa, figlia di Carmelo Mario Scarpa un funzionario della questura di Milano di origini salernitane che, per alcuni anni aveva collaborato attivamente presso l’ufficio stranieri di Fiume proprio con Palatucci; di Raffaele Ricciardelli, figlio dell’amico e collega del giovane questore di Fiume, il capo dell’Ufficio Politico della questura di Trieste Feliciano Ricciardelli; della profuga istriana Miriana Tramontina, nipote di Feliciana Tremani, amica di Palatucci e direttrice dell’Opera Nazionale Maternità e Infanzia; della signora Antonia Galandauer, all’epoca dei fatti qui narrati rifugiata insieme ai propri familiari a Bagnacavallo, nel cuore della Bassa Romagna e tanto altro ancora. Dopo aver esaminato attentamente tutta questa copiosa documentazione, si può quindi concludere, senza tema di smentita, che l’amaro epilogo dell’affaire Palatucci dimostra, al di là di ogni ragionevole dubbio, l’assoluta inconsistenza e fragilità dell’assioma postulato dagli epigoni del negazionismo palatucciano tout court. L’ex questore di Fiume non fu affatto un “collaborazionista dei nazisti” e tanto meno – come sostengono pervicacemente i suoi detrattori d’ogni risma e conio – un ufficiale «con un forte senso del dovere che ha applicato le leggi razziali con grande zelo, perché ha pensato che fosse la cosa giusta da fare».

No alle forti pressioni Anch’egli, infatti, si sarebbe potuto salvare se solo avesse prestato ascolto alle forti pressioni esercitate nei suoi confronti dai suoi amici e benefattori, che lo esortavano a ritornare dai suoi cari oppure a varcare la frontiera elvetica per mettersi sotto l’ala protettiva degli Alleati, ma non lo fece perché, evidentemente, la sua coscienza glielo impediva e, consapevole del grave rischio a cui andava incontro preferì restare al suo posto nella città quarnerina per completare la sua opera e non lasciare in balia del destino tante persone che correvano ancora seri pericoli. Purtroppo, sembra che qualcuno, per il semplice gusto della polemica, abbia dimenticato troppo in fretta questo piccolo particolare. Sembrerà paradossale ma un plauso, a questo punto, riteniamo di doverlo tributare a tutti coloro i quali da qualche anno a questa parte hanno sollevato questo vespaio di polemiche nei confronti di Giovanni Palatucci perché, per una sorta di eterogenesi dei fini, più o meno inconsapevolmente, hanno aperto nuove piste di ricerca che hanno contribuito a far emergere documenti e testimonianze inedite che, com’era prevedibile, hanno finito per confermare quanto fin qui si era sempre saputo, e cioè che l’ex questore reggente di Fiume è stato un uomo “Giusto” e, pertanto, ha meritato l’alta onorificenza che gli è stata conferita da Yad Vashem nel 1990. 88


con cui accompagniamo oggi la scomparsa di Scola. “Ha saputo raccontare i suoi personaggi con infinita tenerezza”: così Arianna Prevedello, responsabile della comunicazione per l’Associazione cattolica esercenti cinema (Acec), ricorda il regista Ettore Scola: “Era ‘tanto amato’, mi vien da dire, quasi parafrasando il titolo di uno suo famoso film... Era amato da tantissime generazioni, perché è stato un personaggio che ci ha donato tanto. Aveva una tenerezza infinita nel raccontare alcuni personaggi, sempre nel contesto dei legami della famiglia e dell’affettività. E li sapeva raccontare a tutto tondo, mostrandoci anche cosa avevano dentro. Credeva in alcuni valori importanti. La sua scomparsa è una grande perdita. I suoi film ci hanno cambiato e ci hanno, soprattutto, emozionato”.

da Roma

LUCA PELLEGRINI GIORNALISTA RADIO VATICANA

Aveva 84 anni, Ettore Scola, morto a Roma il 19 gennaio scorso. Maestro del cinema italiano, ultimo di una generazione indimenticabile di registi e uomini di cultura. Tanti capolavori nella sua filmografia, dedicata soprattutto all'Italia e agli italiani, che ha saputo ritrarre con ironia, verità e passione. Era nato a Trevico in provincia di Avellino il 10 maggio 1931. Figura schiva ma di fortissima personalità, giornalista, vignettista, sceneggiatore, scrittore: venivano prima di tutto la parola e il testo nel suo lavoro, e, con il lavoro della scrittura, affilatissimo e ironico, conoscendo man mano la brillantezza della commedia e tutto il gotha degli attori italiani che la incarnavano, debuttò alla regia, dopo aver scritto decine e decine di film, nel 1964 con "Se permette parliamo di donne" e inanellando presto, con l'arrivo degli anni Settanta - i suoi migliori - e poi nella decade successiva, una serie di titoli indimenticabili, assicurandosi la partecipazione straordinaria di attori e attrici, tra i quali Gassman, Tognazzi, Sordi, Manfredi, Giannini, Monica Vitti e Stefania Sandrelli. Per ricordarne soltanto alcuni, di titoli: "Il commissario Pepe", "Dramma della gelosia", "C'eravamo tanto amati", "Brutti, sporchi e cattivi", "La terrazza", "La famiglia", "Il mondo nuovo". Affrontò generi disparati, ma rimanendo sempre un acuto osservatore - senza alcuna critica, ma con giusto rilievo etico - perché per lui il cinema era un "faretto che va su certi argomenti e li illumina". Maestro nell'inseguire e descrivere le dinamiche umane, familiari, sociali e politiche che guidano i comportamenti, spesso alti e spesso bassi, degli italiani, che corrono nel boom economico, intrallazzano quando la politica occupa spazi inappropriati negli anni della crisi, scherzano e piangono e sanno avere anche sentimenti nobili. Sempre attento e ironico indagatore delle rivalità e contrapposizioni che dividono le generazioni, creano ceti sociali, ma che sono il fatto quotidiano. Pur interessandogli molto, però, anche ciò che è accaduto ieri, cosa che ha fatto nel suo ultimo lavoro, "Com'è strano chiamarsi Federico", dedicato al grande amico Fellini. Un rimpianto per chi non c'è più e per un mondo, questa volta, passato e irripetibile. Quello stesso rimpianto

HA DETTO Una giornata particolare. Un lutto nel cuore ma un ricordo indelebile nella memoria collettiva. Ettore scola se n’e’ andato, un altro grande maestro esce di scena, lascia la vita ed entra nella storia di un’ Italia che attraverso i suoi film ha capito un po’ di più di sé e degli italiani. Ettore scola e’ cresciuto fra la meglio gioventù’ del cinema cominciando a scrivere e a disegnare sul Marc’Aurelio, la rivista satirica dove lavoravano anche Steno e Fellini… scarabocchi, diceva lui, vignette, bozzetti, che lo accompagnarono sempre nel suo lavoro… scriveva per toto’ e sordi, collaborava con la radio e continuò con le sceneggiature di alcune opere di Risi e Pietrangeli… fu Vittorio Gassman a spingerlo sul set e a metterlo dietro la camera da presa… da allora i film di Scola divennero sempre più grande cinema che si distingueva per quel misto di dramma e commedia , sarcasmo e cattiveria ma anche di lucida visione di un paese che scopriva nel peggio le sue doti migliori. Nell’Italia di quegli anni si sono formati gli autori che sono diventati maestri per tutti e una generazione di attori memorabili. Ettore scola ha lavorato con molti di loro perché a quei tempi il cinema era una grande famiglia che si trovava sul set di giorno e nelle trattorie di notte in una Roma che era un naturale teatro di sopravvivenza quotidiana… lacrime e risate… vita piena… dove la cinepresa di Ettore Scola sapeva cogliere attimi fuggenti che fermava nelle scene dei suoi film … i nostri film, che non dobbiamo mai dimenticare MARGHERITA FERRANDINO GIORNALISTA TG3

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cinema

Morto a 84 anni Ettore Scola maestro di cinema e di ironia


libri

Giuseppe De Luca e Giovanni Battista Montini Il volume (GIUSEPPE DE LUCA-GIOVANNI BATTISTA MONTINI, Carteggio, 1930-1962, a cura di Paolo Vian, Istituto Paolo VI-Edizioni Studium, Brescia-Roma ,Quaderni del¬l’Istituto, 12), pp. L - 294, 64 tavole f.t.) raccoglie e presenta il ricco carteggio intercorso tra Giuseppe De Luca e Giovanni Battista Montini: 215 documenti (cartoline, biglietti, lettere, telegrammi e appunti) dal 1930 al 1962. Il carteggio era stato reso noto fino ad oggi solo in modo parziale dagli estratti di Romana Guarnieri nel 1974 e di Luisa Mangoni nel 1989 (ROMANA GUARNIERI, Don Giuseppe De Luca tra cronaca e storia, 1898-1962, Il Mulino, Bologna 1974 e LUISA MANGONI, In partibus infidelium. Don Giuseppe De Luca: il mondo cattolico e la cultura italiana del Novecento, Einaudi, Torino 1989). Esso fu sicuramente più consistente di quanto risulti dagli Archivi, poiché molte lacune sono inspiegabili; inoltre, i due sacerdoti ebbero certamente occasione di incon¬trarsi personalmente e telefonicamente. Non si conoscono il momento e le circostanze in cui sia avvenuto l'incontro; è certo che il loro rapporto durò, seppur difficile e complesso, tutta la vita, fino alla scomparsa di De Luca il 19 marzo 1962. I documenti riportati nel volume consentono di ripercorrere momenti di un'amicizia che si consoliderà nel tempo: De Luca, infatti, rimase accanto a Montini, dai tempi della gioventù fino al periodo dell'episcopato milanese di quest'ultimo, come fedele amico, al quale poter confidare i propri pensieri, gli sfoghi ed i sogni più personali. Ciò che li legava era soprattutto l'ansia di far risplendere la verità di Cristo nel mondo, partendo dalla cultura, dove la ragione s'incontra con la fede. Per entrambi, infatti, ogni ricerca disinteressata del vero è da considerarsi ricerca di Dio. Dallo scambio epistolare emergono, nello stesso tempo, i tratti di una profonda differenza tra i due personaggi, che si presenta come diversità di vita, di carattere, di formazione e di progetti. Montini, d'indole pacata e riflessiva, era figlio della

borghesia cattolica lombarda, improntata ad una tradizione di cattolicesimo liberale, legata a un filone bonomelliano e caratterizzata dall'impegno laicale nel giornalismo cat¬tolico. Arrivò al sacerdozio prescindendo dall'educazione in Seminario e sen¬tendo l'influenza dei Padri oratoriani della Pace di Brescia, in particolare di p. Giulio Bevilacqua e di p. Paolo Caresana. L'incontro con Roma non lo trasformò ed intraprese, dopo una breve parentesi alla Nunziatura di Varsavia, il lavoro alla Segreteria di Stato e contemporaneamente anche l'assistenza nazionale della FUCI, fino all'episcopato milanese (1955-1963). La vita di Montini, come sottolinea il curatore del libro, fu un'esistenza che dall'individualità si aprì alla comunità. De Luca, di carattere impulsivo e ribelle, nacque in terra di Basilicata e visse in un clima di cristianesimo sociologico. A 13 anni andò a Ferentino e poi al Seminario Romano di Sant'Apollonio. Per un anno, dal 1913 al 1914, visse in Vaticano e in seguito al Seminario presso San Giovanni in Laterano. Si formò, così, in un ambiente popolato da prelati e sentì, quasi uno strazio, la ferita della crisi modernista. Furono anni di studio intenso e disordinato che gli causarono un tracollo nervoso nel 1925, portandolo ad una situazione opposta a quella di Montini: dalla comunità all'individualità. 90


Intraprese lavori ed opere di alto impegno culturale: il lavoro negli uffici della congre¬gazione per la chiesa orientale, la collaborazione a varie iniziative editoriali. Nel 1945 inaugurò le attività delle edizioni di storia e letteratura e nel 1951 terminò il primo volume dell'«Archivio Italiano per la Storia della Pietà». La diversità tra Montini e De Luca fu quindi notevole: nel primo periodo dell'amicizia Montini sembrò assumere l'atteggiamento dell'ascoltatore più che del loquace interlocutore. Si presentarono, infatti, anche motivi di aperta di¬vergenza d'idee: a tale proposito sono assai significative le famose lettere del 19 novembre 1930 e del 29 luglio 1932. («Il giorno 18 nov. 1930 ha segnato la fine di ogni mia velleità riguardo a ciò che poteva essere mia partecipazione alle forme ora vigenti di attività collettiva», scriveva De Luca riconfermando più tardi la sua posizione: «Ma se amico mi vuoi essere, non devi disprezzarmi le mie "follie", e giungere, dove nessuno è mai giunto, a interpretare la mia rinuncia per un gesto d'uomo più avido e più insofferente»). Quando, nel dicembre del 1937, Montini divenne Sostituto della Segreteria di Stato, De Luca intravide in lui un amico che con autorità potesse difendere ed aiutare il suo lavoro. Egli sapeva che Montini era uno «dei pochissimi prelati alti che amano leggere» e si curava, di conseguenza, di inviargli i propri volumi. Quando, poi, Montini nel 1955 andò a Milano, il

carteggio riprese vigore in modo del tutto confidenziale ed amichevole. Infatti gli ultimi anni furono per De Luca difficili: anni di grandi sogni, di bilanci, di domande e di dubbi sul senso della propria vita. Ed il futuro papa gli rimase accanto, mostrandosi spiritualmente il più forte, cercando di offrirgli risposte ed incitandolo al lavoro. L'ultimo messaggio fu un telegramma spedito da Montini il giorno in cui De Luca si spegneva a 64 anni. Paolo VI serberà sempre di lui un vivo ricordo, tanto che più volte ne parlerà pubblicamente. Pur essendo stati due uomini fatti per non comprendersi, la loro amicizia fu qualcosa di molto profondo ed autentico. Il legame affettivo, sacerdotale e culturale che li univa seppe sempre andar oltre le differenze di carattere, di idee e d'intenti: segno, questo, di rispetto e di stima reciproca. Montini fu consapevole che De Luca, col suo sogno di «far nascere il desiderio e, se si può ed Egli aiuta, l'amore di Cristo nella cosiddetta alta cultura», era un isolato nel mondo ecclesiastico romano e seppe sempre acco¬gliere i suoi sfoghi, offrendogli un punto d'appoggio e d'intesa. Egli stesso, infatti, credeva nel medesimo ideale dell'amico, «nell'umile fatto, che si può essere con l'erudizione più spinta, con la poesia più nuova, ed essere con Cristo e con la Chiesa». La pubblicazione del carteggio è preceduta da un'ampia introduzione ed è corredata da un preciso apparato di note e di indici, nonché di illustrazioni. (p. g.)

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arte

Lo specchio interiore di Venanzio Manciocchi da Napoli

GIORGIO AGNISOLA SCRITTORE E CRITICO D’ARTE

Difficile inquadrare nell’ambito dell’arte italiana presente la pittura di Venanzio Manciocchi, artista pontino dal percorso ispirato ed essenzialmente solitario, da sempre teso ad un avvertimento interno dell’arte e della vita. Il punto di origine della sua avventura artistica è proprio tale avvertimento, che si nutre di percezioni silenziose e intense dello spazio e della forma, di sguardi riflessi nella natura della sua terra: quel luminoso dispiegarsi di coste dune pinete all’ombra del Circeo e del suo mito. Qui Manciocchi ha costruito la sua storia di artista e di uomo, coltivando negli anni una segreta aspirazione: dare forma alla luce, dare spirito alla materia, cogliendo nei rilievi e nei cromatismi della pasta d’olio la via di percorsi intimi, di spinte verso un oltre che si intuisce profondamente intrecciato con la realtà vista e indagata con lo sguardo dell’anima. L’arte nasce appunto dallo sguardo. E’ poi nel chiuso dello studio - un luogo ingombro di tele fino all’inverosimile, ricavato a misura sul retro più tranquillo della sua casa di Borgo Grappa, uno dei più suggestivi abitati della bonifica - che l’artista esercita il suo rispecchiamento psicologico ed emozionale. E’ un muovere il suo

Foglianoarte ha pubblicato nel mese di gennaio 2016 il bel volume dedicato a Venanzio Manciocchi Opere 1966-2015 a cura di Giorgio Agnisola (p. 158) Testi e immagini parlano di un artista che da 50 traduce le emozioni in bellezza e il battito del cuore in luci proiettate verso il futuro. Si parte dallo specchio interiore per approdare al Limine sacri per poi immergersi tra i paesaggi in alluminio. Tutto è bellezza nell’arte di Venanzio. Eguono una antologia critica; la biografia, le mostre personali e la bibliografia essenziale dentro materia e colori con una tensione che in prima istanza potrebbe dirsi informale e che in effetti proviene da lontano. L’informale, sappiamo, nasce da una libertà espressiva e in origine da una rinuncia alla realtà visibile, da un recupero poi, neppure necessario, di quella realtà letta come dall’interno, in un mondo protetto dalle pareti dell’anima. In Manciocchi tale spinta c’è, indubbiamente; ma il suo sentire appare sostanzialmente differente. Nei piani e nei rilievi di una materia spessa e pastosa egli ritrova l’illuminazione visiva avendo come termometro e bus-


sola il proprio occhio interno. Ma la natura resta il punto ineludibile di riferimento. Talune scelte stilistiche lo hanno condotto negli anni ad affiancarsi agli esiti di una conosciuta pittura postbellica, come quella del Fronte nuovo delle arti, di Morlotti soprattutto, del periodo informale. Ma se Morlotti e Mattioli, Santomaso e Novelli sono presenti nella memoria dell’artista (che muove comunque dalla lezione espressionista e metafisica), differente è il suo registro. Garantisce, riguardo alla sua unicità, la sua contestualizzazione, il costante riferimento ad una terra, quella pontina, assunta a luogo elettivo dei suoi transiti spirituali. Siamo dunque all’interno non tanto e non solo di un’astrazione naturalistica, quanto di una pittura che, come ha affermato Antonella Soldaini in occasione di una delle prime personali dell’artista, è in linea con quella tradizione paesaggistica che ha come sfondo la campagna laziale,in cui l’artista compie, come si è scritto, un vero e proprio viaggio interiore, a cui lega il suo spirito credente, con un sentire che è anche un sentire religioso. D’altra parte Manciocchi ha coltivato la sua arte con un profilo di singolare autonomia operativa. Sovente egli realizza da sé i supporti e le tele, utilizzando tessuti a grossa trama; sovente da sé costruisce le cornici ed elabora materiali originali per la pittura. Interviene sulla tela anche con i mezzi meno canonici, manipolando aggregando alterando la superficie. Il fine è ri-vedere, anzi ri-sentire l’emozione visiva per ritrovarla sulla tela carica del primigenio, intimistico stupore. Di recente l’artista ha sperimentato l’utilizzo di materiali nuovi, come l’alluminio, si è applicato a varie tecniche, come il collage e l’incisione, ha realizzato in-

stallazioni e sculture, ma in generale la sua arte si è affidata sostanzialmente all’olio. Manciocchi è, dunque, sostanzialmente un pittore.

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E V E N T I 2016

Il Patriarca siro-cattolico Ignace Youssif III Younan a San Lorenzo Maggiore - Napoli per testimoniare il dramma della sua comunitĂ

Maddaloni 2016, Forum sulle Religioni,




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