Numero I/2010 - Trimestrale - Poste Italiane S.p.a. - Spedizione in abbonamento postale - D.L.353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 2 - CNS/CBPA/sud/BENEVENTO/109/2007
Luce Serafica
A servizio della vita
Le luci del Natale...
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Editoriale
Sommario 1/2010 3 Editoriale di Paolo D’Alessandro 4 Finestra sul mondo di Felice Autieri 5 Voci di Chiesa La redazione 6 Famiglia oggi di Gianfranco Grieco 7 Psicologia di Caterina Crispo 8 Orizzonte giovani di Enzo Picazio 9 Dialogo di Edoardo Scognamiglio 10 Missioni di Giambattista Buonamano 11 Liturgia di Giuseppe Falanga 12 Spiritualità di Raffaele di Muro 13 Asterischi francescani di Orlando Todisco 14 Arte di Paolo D’Alessandro 15 Cinema di Giuseppina Costantino 16 Sport di Marco Santamaria 17 Eventi La redazione 18 In book La redazione 19 Fumetti di Mario Ferrone
E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi
(Gv 1,14)
Cari lettori, auguri di buon Natale e di un felice anno nuovo. Abbiamo bisogno di Gesù, il Principe della pace, per ritrovare la nostra serenità e vivere nella gioia più vera. Nel Verbo venuto ad abitare in mezzo a noi trova comprensione il senso cristiano del Natale. Al centro di questa antichissima festa vi è il mistero dell’incarnazione di Dio. Cristo è la vera Luce del Natale che ci permette di spegnere qualsiasi altra luce del consumismo e delle false attese del nostro tempo. Siamo abituati a immaginare il Natale come festa delle luci: senza alcun dubbio è necessario celebrare il Natale come festa della Luce. È, infatti, il Cristo-Luce a illuminare la notte dell’umanità. Nel Bambino di Betlemme si rivela il volto del Padre, il volto del Dio invisibile (cf. Gv 14,9-11). È a questo Dio-Bambino che noi affidiamo le speranze dell’umanità, la nostra storia, le attese dei giovani, delle famiglie… Troverete la nostra rivista rinnovata nella grafica e nei contenuti, con la possibilità di consultare nuove rubriche. Facciamo gli auguri al neo eletto Ministro Provinciale di Napoli, fra Edoardo Scognamiglio che, insieme al suo Definitorio, molto ha investito per la collaborazione a più mani e per il potenziamento di Luce Serafica come strumento di comunione e di informazione non solo tra le comunità conventuali, ma anche per tutte le realtà pastorali, religiose e culturali che orbitano attorno al nostro impegno apostolico e missionario. Un grazie va a fra Raffaele Di Muro che, per diverso tempo, sostenuto dalla comunità francescana di Benevento, si è prodigato per la stampa e la diffusione di Luce Serafica. Inizia per me una nuova esperienza, quella di Direttore: spero di saper interpretare al meglio le richieste dei nostri lettori e di contribuire a dare un nuovo slancio alla rivista. PAOLO D’ALESSANDRO
Luce Serafica Periodico francescano del Mezzogiorno d’Italia dei Frati Minori Conventuali della Provincia Napoletana Autorizzazione del Tribunale di Benevento n. 3 del 24/04/2006 Anno V – n. 1/2010 Abbonamento annuale 20 euro. CCP: 73170060, intestato a Luce Serafica, Piazza Dogana, 13 – 82100 Benevento Direttore Responsabile Raffaele Di Muro Direttore Paolo D’Alessandro Stampa Laurenziana S.r.l. (Na)
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FINESTRA SUL MONDO di Felice Autieri
La speranza La conclusione del XX secolo e l’inizio di un nuovo secolo ha nno comportato lo sviluppo di teorie “apocalittiche” che negli ultimi tempi sono state avallate anche da film che, giocando su timori ancestrali di una parte dell’opinione pubblica, tendano ad alimentare questo filone “da fine del mondo”. Possiamo chiederci che significato ha per un cristiano questo filone “modaiolo” che si ripresenta ciclicamente nell’opinione pubblica tanto da influenzarne gli strati più fragili o per lo meno più sensibili a questo argomento, e che significato ha la “speranza” radicata in Cristo nella sua morte e resurrezione. Eppure vorremmo ripartire proprio dal secolo che ci ha lasciati per rivisitarne brevemente le ragioni di una speranza da rivalutare nelle sue forme e nei suoi contenuti. Potrebbe sembrare strano parlare della “speranza” nel XX secolo, il cosiddetto “secolo breve”, che ci ha offerto una serie di eventi che hanno mutato drasticamente la storia dell’umanità, talvolta capovolgendo gli stessi valori, gli stessi riferimenti religiosi o politici che sembravano immutabili o quanto meno duraturi per molto tempo. Come le scoperte scientifiche in campo medico, civile, militare in-
dustriale del XIX secolo, sembrava poter porre le basi per ulteriori conquiste dell’umanità. Questa “conquista” è stato il presupposto
ideologico di tutta una serie di tragedie che avrebbe segnato lo sviluppo storico dell’umanità. L’illuminismo e il positivismo avevano imposto l’analisi della società svincolata da qualsiasi valore spirituale, soppiantandoli dai nuovi valori che avevano l’unica chiave di lettura nella sola ragione umana. In questo costrutto ideologico non c’era posto 4
per Dio e neanche per un pallido riferimento al trascendente. In conclusione, venendo meno il riferimento con il trascendente, l’uomo si è sentito svincolato da qualsivoglia tipo di riferimento morale con tutto ciò che ne è conseguito. Si pone l’accento su una visione “idolatrica dell’ego” dell’uomo con tutto ciò che ne è comportato: l’uomo è buono e nulla gli è impossibile. Il “piattume” che ne è scaturito oggi si esprime con un’assenza sostanziale di valori che ci spingono, ancora una volta, a ribadire l’unicità della salvezza attraverso la croce di Cristo, non come luogo di sofferenza ma come esperienza di speranza, dove non è interessante se nel 2012 ci sarà la fine del mondo, ma in che modo avremo dato ascolto alla sua parola di salvezza.
VOCI DI CHIESA La redazione
I cercatori di Dio: alcune domande e sfide per l’uomo post-moderno La Commissione episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi della Cei ha consegnato alla stampa – nella solennità della Pasqua 2009 (12 aprile) – un sussidio offerto a chiunque voglia farne oggetto di lettura personale, oltre che come punto di partenza per dialoghi destinati al primo annuncio della fede in Gesù Cristo, all’interno di un itinerario che possa introdurre all’esperienza della vita cristiana della chiesa. Il Consiglio episcopale permanente ne approvò la pubblicazione già nella sessione del 22/25 settembre 2008. Il documento s’intitola Lettera ai cercatori di Dio.
fruitori di un pensiero che prova a orientare la persona a un orizzonte di vita più vasto. Evidentemente, il contesto della post-modernità in cui s’inserisce la riflessione sui cercatori di Dio tiene conto di quel smarrimento di senso, capace di attanagliare il cuore di tutti – credenti e non –, che trova nella metafora del frammento e nell’immagine della società liquida due simboli molto efficaci ed eloquenti.
CHI SONO I CERCATORI DI DIO? Tutti coloro che sono alla ricerca del volto del Dio vivente. Lo sono i credenti, che crescono nella conoscenza della fede proprio a partire da domande sempre nuove, e quanti – pur non credendo – avvertono la profondità degli interrogativi su Dio e sulle cose ultime. La lettera è rivolta a quanti si riconoscono pellegrini di Dio e cercano il suo volto (cf. Sal 27), nonché a coloro che, animati da buona volontà, sono alla ricerca di un orizzonte ultimo e nuovo di senso e di fontalità della vita stessa. In tale prospettiva, i cercatori sono pensatori di senso,
PERCHÉ LE DOMANDE? C’è, in ciascuno di noi, un’inquietudine positiva che non s’apre semplicemente all’angoscia, bensì alla ricerca, al desiderio, al bisogno di compimento, e trova attraverso il cammino di fede e il pensiero forme d’appagamento e di crescita per il proprio sé. Il documento sui Cercatori di Dio nasce anche con l’intento d’istituire una sorta di cattedra con i non credenti, con quanti hanno abbandonato sì ogni ricerca – almeno
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espressamente – di Dio, ma che comunque sono in grado di condividere valori universali come la giustizia, la pace, la bellezza, la solidarietà… “Ricercare”, d’altronde, vuol dire “pensare la fede” e “interrogarsi” circa i valori ultimi dell’esistenza e del nostro stare nel mondo. La lettera si costituisce in tre grandi parti: Le domande che ci uniscono (felicità e sofferenza, amore e fallimenti, lavoro e festa, giustizia e pace, la sfida di Dio); La speranza che è in noi (Gesù, il Cristo, Dio Padre, Figlio e Spirito, la chiesa di Dio, la vita secondo lo Spirito); Come incontrare il Dio di Gesù Cristo (la preghiera, l’ascolto della Parola di Dio, i sacramenti luogo dell’incontro con Dio, il servizio, la vita eterna). La lettera contiene sia una premessa – sul Cristo che ha dato senso e speranza alla nostra vita e su come leggere il testo stesso (invito a riflettere assieme sulle domande, dare testimonianza e rendere ragione della speranza, l’incontro possibile con Gesù), sia un approfondimento dei contenuti costituito da un’appendice bibliografia con rimando ai diversi catechismi e ad alcuni testi significativi di introduzione alla fede ben noti in ambito teologico perché legati ai nomi di K. Rahner, J. Ratzinger, W. Kasper, H.U. von Balthasar, B. Forte e N. Bussi.
FAMIGLIA OGGI di Gianfranco Grieco
Celebrare nella famiglia e nella vita Che senso ha oggi parlare di famiglia, di amore, di fedeltà, di collaborazione, di comunione? Di quali significati si rivestono queste parole antiche e pur sempre nuove? E poi, che cosa vuol dire oggi parlare di sentimenti, di sesso, di educazione sessuale e meglio di educazione all’amore? Sappiamo di entrare in un labirinto senza uscita, ma, proviamo, ad analizzare questo caotico cambiamento di rotta che porta sempre più alla secolarizzazione, al relativismo, al liberalismo, a quella perdita di valori che fino ad oggi hanno orientato il nostro stile di vita umano, religioso e cristiano. Oggi le coscienze sono profondamente disturbate e deviate. Si presentano con superficialità nuovi modelli di vita. Il soggettivismo etico porta lontano dalla condivisione dei progetti. Alla idea originale di famiglia si propongono altre proposte di <famiglie>: famiglia monoparentale; famiglia omosessuale; ideologia del <genere> (maschile, femminile e variabile); le loby gay. Molti matrimoni celebrati in chiesa risultano nulli sin dall’inizio. Che fine hanno fatto le <associazioni familiari> cattoliche e laiche che condividono i temi <sensibili> della famiglia e della vita? Di fronte a questa rivoluzione culturale globalizzata i credenti devono saper rispondere con proposte coraggiose e vigorose. Preparasi al matrimonio vuol dire percorrere insieme un <catecumenato prematrimoniale> che porti alla reciproca conoscenza e alla gradualità di recezione per conoscersi sia nei pregi che nei difetti. Non è più opportuno parlare di <corsi prematrimoniale>, ma di <itinerario>, di <cammino> che inizia dal primo giorno di fidanzamento sino all’altare per il <sì> a Dio e alla chiesa. È in questo tempo di pre-
parazione che deve crescere il <dialogo di coppia> e di <accoglienza della vita>. Lo Stato venga seriamente in aiuto alla coppia con sussidi governativi e con abitazioni a basso costo, altrimenti la famiglia, soprattutto quella giovane, è lasciata in balia di se stessa e questo nuoce sia alla coppia che alla società. La famiglia sana crea alla società meno problemi della famiglia malata. Droga, alcol, sesso, aborto, divorzio, la pillola del giorno dopo, la RU 246 che annulla la 194 passando dalla cucina al bagno, presentano drammi umani e non conquiste di civiltà. Non sono diritti, questi, ma delitti. La priorità delle priorità e quindi l’emergenza educativa: occorre formare l’uomo nuovo e la donna nuova. Dobbiamo creare eventi e dare risonanza mediatica alle nostre proposte in favore della famiglia e della vita. Dobbiamo creare opinione e mobilitare le coscienze, come qualche anno fa, si è fatto con il <Family day>. Solo così, faremo la nostra parte in favore della famiglia e della vita. 6
PSICOLOGIA di Caterina Crispo
Il valore della coscienza Nel linguaggio comune, s’intende per coscienza la consapevolezza dell’ambiente circostante e la facoltà d’interagire con esso; ciò in contrasto all’inconsapevolezza. L’espressione “livelli di coscienza” indica che la coscienza pare variare a seconda dei diversi stati mentali (quali ad esempio l’immaginazione ed i sogni ad occhi aperti). L’incoscienza si definisce, per negazione, come lo stato mentale nel quale la coscienza è assente. In alcuni filoni di pensiero, soprattutto religiosi, la coscienza non si estingue dopo la morte ed è presente anche prima della nascita. Ma, appena oltre la percezione comune, la coscienza è ben difficile da definire o individuare. Molte tradizioni culturali e religiose situano la coscienza in un’anima separata dal corpo. Per contro, molti scienziati e filosofi considerano la coscienza qualcosa d’inseparabile dalle funzioni neurali del cervello.
e processi soggettivi. Essi sono stati di consapevolezza di sé, interiori, qualitativi e individuali. La coscienza è allora quella cosa che comincia ad apparire al mattino, quando dallo stato di sogno e di sonno passiamo allo stato di veglia e permane per tutta la durata del giorno fino a sera, quando, tornando a dormire, diventiamo incoscienti. Questo è per me il significato del termine “coscienza”». QUALCHE DISTINZIONE Un’ulteriore distinzione occorre fare tra il concetto di coscienza e quello di autocoscienza nel senso che, quest’ultima, appare al termine di un processo sempre più complesso rispetto alla prima iniziale presa di coscienza nella quale sappiamo confusamente che siamo ma non ancora chi siamo. La psicologia ha ormai accertato che solo nel secondo anno di vita il bambino entra nella fase della autocoscienza riferendosi a sé come “io”: è questo il primo contenuto di identità, quello di esprimere la componente riflessiva che il soggetto sviluppa su di sé e di cui la grammatica è espressione e codificazione». All’inizio del processo il bambino, invece, è cosciente del mondo esterno ma parla di sé in terza persona poiché non è ancora in grado d’identificare la sua soggettività pensante con l’oggettività del suo stesso corpo: quell’oggetto che è il più vicino a lui e da cui proviene un flusso continuo di sensazioni. Quando sarà in grado d’identificare le sensazioni e percezioni di sé con il proprio corpo avrà acquisito quella forma di coscienza superiore che è l’autocoscienza. Insieme ad autocoscienza, si usa il termine di autoconsapevolezza intesa come l’esplicito riconoscimento della propria esistenza ma non ancora sviluppata come io.
ALCUNE DOMANDE Le domande sull’origine e la definizione della coscienza sono alla base di importanti questioni etiche. Ad esempio: in che senso è possibile dire che alcuni animali sono coscienti? In quale momento dello sviluppo fetale inizia la coscienza? È possibile immaginare macchine coscienti? Domande tanto più centrali in quanto coinvolgono direttamente il nostro modo di rapportarci agli altri, siano essi animali, embrioni umani o, magari in futuro, macchine intelligenti. In vero, il termine ha assunto nel corso della storia della filosofia significati particolari e specifici distinguendosi dal vocabolo generico di consapevolezza al quale viene talvolta assimilato. In questo senso, il filosofo statunitense John Searle accomuna la coscienza alla consapevolezza di sé: «La coscienza consiste in una serie di stati
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ORIZZONTE GIOVANI di Enzo Picazio
Un Dio dal cuore giovane Parlando ai giovani a Sidney, durante la Giornata Mondiale della Gioventù 2009, il santo Padre Benedetto XVI ha detto che quando si sperimenta una gioia grande, non la si può tenere per sé. La gioia della festa e l’entusiasmo spirituale, sperimentati durante quei giorni, sono stati un segno eloquente della presenza dello Spirito di Cristo. È stata questa l’idea di fondo che ha fatto nascere questa nuova rubrica “orizzonte giovani”, sorta dal desiderio di voler esplorare non solo lo sconfinato pianeta giovanile ma soprattutto di annunciare, testimoniare, quell’amore che riceviamo direttamente da Cristo, vivo nella Parola e nell’Eucaristia. Comprendendo che tutti cerchiamo la felicità, trovandola spesso in vie che deteriorano l’anima, ci siamo chiesti: perché non far conoscere Gesù a tutti coloro che incontriamo
“sulle nostre strade” e “per strada”, specialmente i giovani? L’attenzione ai giovani verso cui vorremmo volgere il nostro sguardo nasce dall’esigenza di dare un nuovo slancio della pastorale giovanile per
favorire la piena soggettività delle nuove generazioni nella missione della Chiesa e il loro coinvolgimento nel cammino globale della Chiesa italiana. Per definire con maggior profondità la fenomenologia del mondo giovanile è necessario, dunque, intervenire attraverso una rifondazione del tessuto aggregativo e formativo. Non si tratta di aggiornare le solite cose con operazioni di facciata, ma di cogliere la sfida dei nuovi giovani e scrivere in essa la ricchezza del vangelo. Guardare il vissuto dei giovani con determinati chiavi di lettura ci permette non solo di dialogare, di capire e di farsi capire, ma anche di valorizzare ciò che di buono e di importante percepiamo nei giovani. È vero che oggi siamo di fronte a cambiamenti altrettanto radicali che ancora di più esigono che il mondo giovanile sia ascoltato, osservato, 8
studiato e coinvolto con una nuova attenzione globale. Forse si deve riscrivere anche la teoria, comunque sicuramente occorre entrare maggiormente in dialogo con i nuovi modelli culturali che colorano il mondo giovanile. Quali sono gli elementi che caratterizzano maggiormente le giovani generazioni così da determinarne modi di vita, di pensiero, di ricerca e di speranza? È possibile trovare le coordinate culturali di questo mondo giovanile, così che poi si possa giungere a una pastorale giovanile culturalmente attrezzata? All’interno di queste domande vogliamo avviare una nuova lettura o, più semplicemente, riproporci il cammino di mutua interrogazione tra fede e vita. Ripartiamo ancora dalla Parola di Dio, che è maestra nel metodo e nell’offrire quella esperienza di fede che ha sempre saputo fare i conti con le culture in cui si è incarnata.
DIALOGO di Edoardo Scognamiglio
Imparare a comunicare: il dialogo, questione di vita o di morte La formazione al dialogo e alla comunicazione interpersonale è una delle istanze più importanti del nostro tempo. Viviamo su autostrade d’informazioni e siamo esperti della rete internet e delle relazioni virtuali tramite i net work, tra cui Face Book. La Chiesa cattolica, che per sua natura è dialogica – perché vive dell’amore trinitario e delle relazioni interpersonali (con il Padre, per mezzo dello Spirito, in Cristo) –, è chiamata a offrire il suo contributo per una pedagogia del dialogo. La comunicazione, infatti, a partire dall’evento della Parola che si è fatta carne, non è una semplice informazione o trasmissione di un dato o di una verità, bensì un vissuto storico che si fa relazione, che crea comunione. LA COMUNICAZIONE È SEMPRE UN EVENTO
Oggi, la comunicazione è diventata sempre più virtuale: avviene per email, mediante i messaggi cellulari, con chatt, e quanto altro la rete informatica permette di costruire con grande efficacia e seduzione. Occorre curare la qualità delle relazioni, il contenuto e la forma della comunicazione. Il dialogo, quindi, è sempre un evento che coinvolge personalmente coloro che si mettono in comunicazione. Le esperienze di dialogo tendono a impoverirsi perché viene meno la relazione interpersonale, l’incontro
tra volti, e l’informazione prende il sopravvento sulla comunicazione come forma di comunione tra soggetti. Spesso dimentichiamo che la comunicazione è sempre un avvenimento, cioè qualcosa di nuovo. IDENTITÀ E ASCOLTO Alla luce del pluralismo religioso e dell’interculturalità, la formazione al dialogo richiede la maturazione del senso della propria identità (culturale, religiosa, sociale) e un’attenzione critica a ogni forma di alterità e di diversità. Il ventaglio delle relazioni interpersonali può favorire un tipo di educazione che permette di scoprire le diversità, le alterità, le differenze (di lingue, di popoli, culture, di religioni) come una grande risorsa per la propria crescita e non come un ostacolo per la propria identità che è, comunque, chiamata a rafforzarsi e a maturare nei contenuti e nelle modalità espressive. In questa pedagogia del dialogo è compreso altresì il processo di formazione all’ascolto e il recupero del silenzio come elemento fondante della comunicazione (verbale e non). GLI ELEMENTI DELLA COMUNICAZIONE Sono questi i fattori essenziali della comunicazione: l’emittente (o trasmittente), il ricevente (o destina-
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tario), il codice (l’insieme dei segnali, dei simboli e dei segni, attraverso i quali si veicola il messaggio), un messaggio (o contenuto, cioè l’insieme delle informazioni), un effetto e il contesto di trasmissione. La comunicazione avviene nel tempo, per cui è un processo storico, in divenire, che accoglie o produce effetti a breve, a medio o
anche a lungo termine. Il dialogo esige sempre l’interazione (scambi di messaggi tra comunicanti). È lo spazio o luogo attraverso cui avviene la ridondanza dei messaggi, la frequenza, la costanza e la sistematicità delle informazioni. Tuttavia, gli esiti della comunicazione possono verificarsi anche in modo inconscio ed essere indiretti e mediati. Ciò, per esempio, avviene, nel caso della comunicazione non verbale (o anche analogica), attraverso la visione di un’opera d’arte, l’uso dell’immaginazione, o l’aver visto un segno particolare, un gesto, un evento…
MISSIONI di Giambattista Buonamano
La missione filippina: Vocazione e santità Nelle Filippine i giovani ancora avvertono il desiderio di seguire Gesù Cristo. La Missione ha un’attenzione particolare verso i poveri e i malati. P. Enrique Montero ci racconta eventi e attività vissuti in questi ultimi mesi. SEGUIRE GESÙ CRISTO Carissimi, riporto alcuni eventi lieti che hanno caratterizzato l’anno 2009. Il giorno 18 marzo, 8 postulanti hanno iniziato il noviziato sotto la guida di fra Gerard Lofranco come Maestro e di Fra Daniel Sugatan come Assistente. Il 19 marzo, 2 novizi hanno emesso la professione temporanea nella chiesa di St. Joseph Formation House a Tagaytay. Nel Seminario di S. Maximilian Kolbe, Multinational (Paranaque), risiedono attualmente 6 professi temporanei sotto la guida di fra Dennis Vargas, rettore, e di fra Timothy Navarro come Assistente. I professi temporanei studiano la Teologia. Qui risiedono anche 2 frati di professione solenne che si preparano per l’ordinazione diaconale. Il 13 giugno, 13 giovani hanno iniziato il primo anno di postulato, mentre altri 9 hanno cominciato il loro secondo anno. Tutti quanti abitano nella Casa di Formazione di San Giuseppe, Tagaytay, sotto la guida di fra Ireneus Daep come Direttore e di fra Mateo Faraon come Assistente. Speriamo in Dio che, entro
la fine del presente anno, avremo l’ordinazione sacerdotale del Diacono fra Gabriel Pangilinan, come pure l’ordinazione diaconale di fra John Nathan Maagma e di Fra Josel Martinez.
CLINICA SANT’ANTONIO DI PADOVA La Clinica Sant’Antonio continua il suo servizio ai più poveri della nostra zona con il lavoro fedele ed efficiente dei nostri medici e di altre persone volontarie. L’orario di lavoro è giornaliero: lunedì, mercoledì e venerdì l’intera giornata, mentre martedì e giovedì mezza giornata. Una media di 80 persone al giorno ricevono i servizi medici, la maggior parte dei quali sono bambini. Le attività giornaliere della Clinica sono: la consulta medica regolare, l’attenzione dentale, il servizio di laboratorio. Durante l’estate ci sono anche chirurgie minori come rimozione di cisti, circoncisione, mammografia. Durante l’estate vengono offerti anche dei corsi per la formazione alla buona salute. Purtroppo, in questi ultimi mesi il servizio di assistenza medica e le 10
medicine per i pazienti di tubercolosi è stato sospeso perché le medicine necessarie non sono disponibili, neanche da parte del governo. Più di cento pazienti sono in attesa che un bel giorno questo servizio venga ripreso. Chiediamo l’aiuto di amici e benefattori per poter risolvere questa lamentevole mancanza. La Clinica sta organizzando diverse attività per le feste di Natale allo scopo di donare alimenti, vestiti e regali a circa 300 famiglie della nostra zona. Anche per questa attivita il personale della Clinica sta chiedendo un aiuto dai benefattori. Alcuni mesi fa la Clinica ha avuto bisogno di diversi miglioramenti della struttura: studi dei medici, la direzione, il soffitto, ecc. EDUCAZIONE SANITARIA La prevenzione è la forma primaria di approccio ad una malattia a così elevato tasso di diffusione. La Clinica, oltre alle cure, offre regole comportamentali semplici, ma fondamentali, per evitare il contagio e la diffusione della tubercolosi. Lo staff della clinica è inoltre sempre a disposizione di chi avesse dubbi in merito. PROFILASSI E CURA Il paziente affetto da tubercolosi che spontaneamente si rivolge alla clinica per le cure del caso, si impegna ad accettare le indicazioni della clinica stessa Il paziente verrà seguito per un minimo di sei mesi e verrà sottoposto a cure secondo parere medico e come indicato nel “Programma Governativo Filippino”.
LITURGIA di Giuseppe Falanga
Cristo, Luce delle genti... Il Natale che celebriamo ci conduce verso la luce. Cristo è la luce delle genti, quella luce che illumina ogni uomo. È la stella radiosa del mattino che dissipa le tenebre della notte e della morte. Eppure, la Verità che si è fatta carne non s’impone con forza e violenza. In realtà, si manifesta, si rivela, nella fragilità di un bimbo. Perché possiamo nasconderci a noi stessi ma non alla presenza di Dio. La Verità è Cristo che ha vinto la morte e più non muore. A questa vita nuova siamo chiamati. LA FESTA DELLA VITA Il Natale è la festa della vita, della libertà. Così, ogni essere umano ha il diritto di nascere, di crescere, di esprimersi, di raggiungere degli scopi, di creare comunione, di essere felice, di conoscere la gioia. Essere liberi significa vivere in Cristo, agire secondo la sua volontà. Essere pieni di gioia, vuol dire, invece, aver incontrato Cristo nella propria vita, per strada, almeno una volta, nel volto di un povero o di un fratello in difficoltà. Anche il sorriso di un bambino o l’apprensione di una mamma ci esprimono il senso della gioia e della libertà: perché si tratta di amare donando la vita. Ecco che cos’è la libertà: amare donando la vita! Amare fino alla morte di croce. Amare nella speranza di cambiare, di creare futuro. Cristo è stato un uomo libero. Li-
bero da ogni compromesso, dai poteri politici, dal fascino dei soldi, dall’illusione delle ricchezze, dei facili guadagni. Libero per amare, per dedicarsi al Padre e a noi. L’UOMO NUOVO Quando Paolo, nelle sue lettere, ci parla dell’uomo nuovo si riferisce all’esperienza dello Spirito che il cristiano fa mediante il battesimo, cioè nella partecipazione alla morte e risurrezione di Gesù. Il Natale ha molto da dirci sull’uomo nuovo: perché il bambino di Betlemme è nudo, spogliato, abbassato, povero, senza veli, senza maschere. È lì attaccato al seno della Madre, adorato da Giuseppe, contemplato da angeli e santi, ma pure da gente comune, da pastori, dalla povera gente. Stranamente, la situazione dell’indigenza, della povertà, può farci capire di più il mistero del Natale. Perché Dio parla nella povertà. Perché Dio si è spogliato. Una parola che spesso pronunciamo, soprattutto noi sacerdoti, è kenosis. In greco significa svuotamento o anche abbassamento. È una realtà che troviamo descritta nell’inno di Paolo ai Filippesi in 2,6-11. Cristo Gesù pur essendo nella forma di Dio spogliò-svuotò-abbassò se stesso.
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Dio dona se stesso grazie al suo infinito amore: <Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito> (Gv 3,16). Dio dona se stesso non solo in modo invisibile, nell’intimo dei cuori umani. Dona se stesso anche in modo palese: “rivela” veramente l’eterno mistero del suo amore nelle tenebre della notte di Betlemme. L’ETICA DEL DONO Il Natale ci rivela l’etica del dono, l’etica dell’accoglienza, l’etica dell’ospitalità senza riserve. L’augurio più bello che possiamo scambiarci per le festività natalizie è carico di speranza e di fiducia: che il Cristo possa regnare nelle nostre case, essere accolto povero e bimbo nei poveri della strada e nei bimbi ignudi e affamati che incontriamo di fretta nei quartieri e nei vicoli delle città. Spegniamo, allora, tutte le false luci del Natale e lasciamoci illuminare dall’unica Luce, quella che splende per ogni uomo: il Verbo della vita, Gesù, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo. O Bimbo di Betlemme, messia atteso nei secoli, luce delle genti: donaci di accoglierti giorno per giorno, sulle strade della vita, e di adorarti sempre e in ogni luogo. Amen. Alleluia.
SPIRITUALITÀ di Raffaele Di Muro
Santa Chiara ci insegna a vivere il Natale Di seguito riportiamo un brano della vita di Santa Chiara, ammalata e provata, che può aiutarci e vivere il Natale con amore e concentrazione. “In quell’ora del Natale, quando il mondo giubila con gli angeli per il Bambino appena nato, tutte le Donne si avviano per il Mattutino al luogo della preghiera, lasciando sola la Madre gravata dalle infermità. E, avendo cominciato a pensare a Gesù piccolino e a dolersi molto di non poter partecipare al canto delle sue lodi, sospirando gli dice: “Signore Iddio, eccomi lasciata qui sola per Te!”. Ed ecco, all’improvviso, cominciò a risuonare alle sue orecchie il meraviglioso concerto che si faceva nella chiesa di San Francesco. Udiva i frati salmeggiare nel giubilo, seguiva le armonie dei cantori, percepiva perfino il suono degli strumenti. Il luogo non era affatto così vicino da consentire umanamente la percezione di quei suoni: o quella celebrazione solenne fu resa divinamente sonora fino a raggiungerla, oppure il suo udito fu rafforzato oltre ogni umana possibilità. Anzi, cosa che supera questo prodigio di udito, ella fu degna di vedere perfino il presepio del Signore. Quando, al mattino, le figlie andarono da lei, la beata Chiara disse: “Benedetto il Signore Gesù Cristo, che non mi ha lasciata sola,
quando voi mi avete abbandonata! Ho proprio udito, per grazia di Cristo, tutte quelle cerimonie che sono state celebrate questa notte nella
chiesa di Santo Francesco” (Dalla Leggenda di Santa Chiara Vergine 29, Fonti Francescane 3212). La Santa di Assisi ci invita a vivere il Natale con il presepe negli occhi e nel cuore, il che vuol dire che questa ricorrenza non deve essere solo un mero fatto consumistico, ma un meditare sul significato dell’Incarnazione e della Natività per rinvigorire il nostro vissuto spirituale. È bello, inoltre, non viverlo in modo intimistico, ma in comunione con tutta la Chiesa: tutti insieme – questo è proprio il significato dell’Avvento – atten12
diamo la venuta definitiva di Cristo, nel ricordo della sua prima venuta. E’ importante riscoprire il valore delle celebrazioni liturgiche: esse sono il memoriale dei misteri di Gesù e ci aiutano ad approfondirli e contemplarli. Festeggiare il Natale deve avere delle ripercussioni pratiche nella nostra spiritualità che partano dall’approfondimento della nostra fede, dalla preghiera e dallo sguardo contemplativo sul Signore Gesù e sul amore per l’umanità: Santa Chiara ci aiuta a farlo. Ci lasceremo coinvolgere dal suo esempio? A monte di questi percorso vi è la costante preghiera, l’attenzione continua ai divini misteri, la pratica assidua delle virtù che caratterizzano un vero e proprio itinerario ascetico e la massima disponibilità all’azione della grazia: è l’eredità che Chiara lascia non solo alle consorelle ma anche all’uomo di oggi, vista la validità di tutti questi elementi che portano alla santità. L’itinerario spirituale della Santa parte dall’iniziativa di Dio, dalla sua chiamata. Segue la risposta dell’uomo che si concretizza nell’imitazione del Cristo povero e crocifisso. Il suo sguardo è rivolto costantemente verso il Verbo incarnata del cui mistero ella ha una visione unitaria poiché ne contempla l’abbassamento, ma anche la gloria e la maestà.
ASTERISCHI FRANCESCANI di Orlando Todisco
Il Natale di Francesco Greccio - Natale del 1223 Era il dicembre del 1223. Francesco mandò due frati da un certo Giovanni Vellita, il padrone del monte, dove era il romitorio. Grande amico di Francesco e buon cristiano, Giovanni ascoltò e esaudì la richiesta di preparare per la notte di Natale, proprio in quella grotta, il fieno, un bue e un asino; la pietra per la messa c’era, quella sulla quale Francesco aveva riposato. E’ la notte di Natale. Tutto è pronto. Pastori e contadini, con le torce in mano, sono tutti lì, in attesa. Celebrante il parroco di Greccio. Al Vangelo, che proclamò con voce ferma, Francesco prese la parola e con calore parlò del re povero, del bambino nato nella grotta, della madre poverella e dunque del fiume d’amore che scorre e ci raggiunge. A molti parve che nella mangiatoia si accendesse una grande luce e, secondo il racconto della Leggenda dei tre compagni, il bambino sembrava vivo tra le braccia di Francesco. Betlemme non è solo in Palestina. Betlemme è là dove il Bambino guarda e sorride. Greccio è Betlemme. Seminar morte per la conquista di quei luoghi santi è confondere la geografia della terra con la geografia del cielo. Le crociate non hanno conquistato quei luoghi. Li hanno coperto di vergogna. Ieri come oggi.
Giuseppe e il presepe Accanto o dietro la mangiatoia, Giuseppe. Egli amava intensamente Maria. Conturbatus, dice il Vangelo. Turbato, da cosa, perché? È il nostro occhio senza luce che ci ha indotto a pensare che Giuseppe dubitasse di Maria, o a immaginarlo veccho, con la barba e il bastone. Egli era consapevole che il mistero aveva preso dimora in Maria. E di fronte al mistero l’ebreo doveva tenersi a distanza (Es 3, 5): il Sancta santorum era in fondo al tempio, luogo inaccessibile al popolo. Per questo l’angelo gli dice: Giuseppe, non temere di portare Maria nella tua casa. Sì, è vero (gar=perché), quello che nasce in lei viene dallo Spirito. Sii il suo custode. Giuseppe l’ombra che avvolge la luce, perché non sia dissipata o profanata. È la luce senza la quale la notte è solo notte. Il Natale è la notte della luce.
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ARTE di Paolo D’Alessandro
Il presepe napoletano tra sacro e profano Nel periodo di Natale la nostra contemplazione del Verbo incarnato passa attraverso la secolare tradizione del presepe. Esso esprime non solo l’arte ma anche la fede di un popolo. Ripercorrere la storia del presepe, in particolare di quello napoletano, significa ripercorrere la storia stessa di Napoli. Fu san Gaetano da Thiene, religioso veneto che visse a Napoli dal 1533 al 1547, amico del cardinale Gian Pietro Carafa, poi papa Pio IV, a immettere nel presepe l’elemento corale popolare, favorendo l’introduzione di figure tratte dalla vita quotidiana che nascevano dall’estro dei devoti. I personaggi erano vestiti non come i giudei all’epoca di Gesù, ma con abiti del Cinquecento. Si ebbero così presepi “canonici” con i personaggi del Vangelo, e quelli “familiari”, con l’aggiunta dei vari personaggi della vita cittadina. Questa innovazione ebbe un tale riscontro da far ritenere che il santo fosse l’inventore del presepe napoletano. Nel Seicento abbiamo il passaggio del presepe dal culto in chiesa alla devozione privata. Di conseguenza, sotto l’aspetto artistico, assistiamo al cambiamento dalle grandi figure presepiali di legno immobili a quelle più piccole snodabili, detto “pastore” con la testa e le estremità di legno, costituito da una struttura in filo di ferro coperto da cascame di canapa, la “stoppa”. D’ora in poi saranno i canoni estetici della moda del tempo a
condizionare le scene del presepe, e non più quelli liturgici. È in questo periodo, infatti, che compare nel presepe, l’episodio della «taverna». L’osteria fu rappresentata con l’esposizione delle varie merci da parte degli osti: salami, salsicce, capretti, cacciagione e, sotto un albero verde, i vari vini esposti. Si vedevano anche
i mezzi maiali, i quarti di vaccina e vitelloni. Molti ricchi borghesi napoletani iniziarono ad acquistare dall’aristocrazia decaduta interi feudi, e con essi il titolo nobiliare. Il presepe diventa così rappresentazione espressiva dell’ascesa borghese. Le ricche scenografie di questo periodo, che comprendevano interi borghi rurali, masserie, mulini, erano una riproduzione in piccolo dei territori acquisiti, e la folla dei pastori che li popolavano rappresentavano gli abitanti di quelle proprietà. Nel Settecento siamo nel periodo d’oro del presepe napoletano; caratterizzato da un’accentuata modernità, eleganza e preziosità. Le figure presepiali diventano caricaturali con i loro caratteristici costumi dagli in14
numerevoli dettagli, frutto della cultura illuministica del tempo. S’iniziò a produrre figure con teste e arti in terracotta con occhi di vetro, ottenendo quindi maggiore espressività e possibilità di posture e situazioni; si stabilisce inoltre la “misura terzina” (circa 40 cm) per creare maggiore armonia d’insieme. Il massimo splendore, anche scenografico, del presepe napoletano si ebbe con Carlo III di Borbone (1734-59), poi Carlo III di Spagna) che ne fece strumento di propaganda religiosa favorendo la moda dei grandi presepi privati nelle dimore principesche e borghesi. Tuttavia il consenso popolare mutò il fine religioso e morale in “scena di genere” introducendo una variata corte dei miracoli con personaggi eleganti e straccioni, taverne e mercati ricchi di frutta, ortaggi e animali; cortei di orientali, mori e odalische, cani, cammelli, elefanti e scene di vita familiare e sociale. Gli usi, i costumi e i mestieri del popolo napoletano erano ambientati non più in una remota Palestina, ma nei vicoli della città, come si può ammirare nel “presepe Cuciniello” esposto al Museo di San Martino. È questo il “presepe napoletano”: tradizionalismo e nello stesso tempo antitradizionale, religioso e altrettanto laico, contemplativo e altrettanto rumoroso e dissacrante, in grado di accrescersi continuamente di nuove figure.
CINEMA di Giuseppina Costantino
La paura per il futuro Regista: Roland Emmerich Titolo originale: 2012 Durata: 158' Genere: Fantascienza, Drammatico Nazione: U.S.A. Lingua originale: inglese Anno: 2009 Uscita: 13 Novembre 2009 Attori: John Cusack, Woody Harrelson, Thandie Newton, Johann Urb, Amanda Peet, Oliver Platt, Danny Glover, Chiwetel Ejiofor, George Segal, Jimi Mistry Soggetto: Harald Kloser, Roland Emmerich Sceneggiatura: Roland Emmerich, Harald Kloser
La sceneggiatura che Kloser ed Emmerich hanno scritto è, per molti versi, la più imponente avventura che Emmerich abbia mai tentato. Per portare tutto sullo schermo, mette assieme effetti speciali e visivi, che, come dice il regista, gli hanno offerto la possibilità di scegliere il modo migliore di realizzare una scena. “L’obiettivo è che lo spettatore non sia in
TRAMA DI 2012 Il 2012 è l’anno in cui, secondo il calendario Maja, avrà luogo la fine del mondo. Mentre la fatidica data si avvicina, il Professor West viene a conoscenza di alcune tempeste solari di forte intensità che hanno colpito il pianeta. Lo scienziato prova a dare l’allarme, ma viene osteggiato dalla comunità scientifica, non riuscendo a comunicare le informazioni in suo possesso al presidente degli Stati Uniti d’America. Intanto, il tempo passa e le catastrofi si fanno sempre più frequenti... Il film è ricco di azioni, avvincente, molto fantastico più che realistico.
grado di riconoscere quello che abbiamo realizzato concretamente e quello che invece è un effetto visivo creato con il computer”, spiega lo scenografo Barry Chusid. “La speranza è che si guardi il film e ci si chieda dove hanno trovato
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la montagna per costruire tutte queste cose?”. Per esempio, i realizzatori hanno costruito alcuni set esterni con il pavimento tremolante, dei set giganteschi poggiati su delle sospensioni che il regista poteva azionare mentre gli attori ci correvano sopra. “Roland ha preso un’intera strada cittadina, con delle palme, il cemento, le facciate degli edifici e ha messo tutto su queste sospensioni giganti, dicendo che dovevamo correrci sopra, arrivare alla macchina e partire”, ricorda Cusack. Alla fine, come sostiene l’attore, “mi sono trovato in mezzo all’acqua, il fuoco, la terra, nuvole di cenere e terremoti, insomma praticamente tutto quello che si può immaginare. Ho guidato qualsiasi veicolo immaginabile in mezzo a ogni disastro immaginabile. È stato decisamente intenso”. Di questo film tanto atteso, si può affermare: “Tanto rumore per nulla”. A volte basta poco per creare panico e paura tra la gente. Il film non coglie alcuna possibile proiezione realistica per il futuro... Certamente, i disastri ecologici costituiscono un monito per noi.
SPORT di Marco Santamaria
XXI Giochi olimpiaci invernali Diventare amici nello sport È la manifestazione sportiva più importante del 2010, insieme ai Mondiali di Calcio, e per due settimane riaccenderà lo spirito olimpico. I XXI Giochi Olimpici invernali si disputeranno a Vancouver, quattro anni dopo l’edizione italiana di Torino, dal 12 al 28 febbraio 2010. Sarà la terza manifestazione olimpica a svolgersi nel territorio delle Foglia d’acero, dopo Montreal 1976 e Calgary 1988. La XXI Olimpiade Invernale è stata assegnata a Vancouver il 2 luglio 2003 durante il 115° congresso del Cio svoltosi a Praga. La città canadese ha vinto la concorrenza di Salisburgo e PyeongChang. Le gare si svolgeranno a Vancouver per quanto riguarda le discipline da ghiaccio, mentre per quelle da neve si gareggerà nei dintorni della città. Il 23 aprile 2005 è stato presentato il logo ufficiale della XXI Olimpiade Invernale, che è stato chiamato Ilaanaq, termine della lingua inuktitut parlata dagli Inuit che significa “amico”, e rappresenta un inukshuk una figura formata da sassi impilati usata per segnalare una direzione o come pietra miliare dalle popolazioni del Canada artico (analogo all’ometto utilizzato dagli escursionisti e dagli alpinisti). L’inukshuk olimpico è formato da cinque parti, tante quanti sono i cinque cerchi olimpici, di cui riprende anche i colori: la testa è verde, la linea delle
braccia è nera, il tronco è blu, la gamba sinistra è rossa mentre la destra è gialla. Il numero dei paesi partecipanti a questa edizione dei Giochi olimpici invernali è ancora sconosciuto, ma sono stati stimati intorno ad ottanta. I paesi di seguito elencati presentano almeno un atleta qualificato. Ghana, Bahamas, Gabon, Malta ed Isole Cayman faranno il loro debutto. Saranno quindici le discipline ad animare i quindici giorni di gare: biathlon, bob, combinata nordica, curling, freestyle, hochey su ghiaccio, pattinaggio artistico, pattinaggio di velocità, salto con gli sci, sci alpino, sci di fondo, short track, skeleton e snowboard. Non resta che augurare un in bocca al lupo a tutti gli atleti, soprattutto agli azzurri. Che possano portare a casa tante medaglie!
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EVENTI La redazione Filippine, clinica di Santâ&#x20AC;&#x2122;Antonio (21 ottobre 2009)
Definitorio provinciale da sinistra: p. Giambattista Buonamano, p. Felice Autieri, p. Edoardo Scognamiglio, p. Angelo Palumbo, p. Agnello Stoia, p. Emanuele Iovannella.
P. Edoardo Scognamiglio Neo eletto Ministro Provinciale di Napoli
Elezione del nuovo Ministro Provinciale di Napoli (Castellammare, 26 marzo 2009). Foto di gruppo dei frati capitolari e non.
Filippine, giovani della parrocchia San Lorenzo
Lioni, 5 dicembre 2009 Incontro con gli studenti per il dialogo interreligioso Filippine, visita alla comunitĂ di Tagaytay (20 ottobre 2009)
Montella, incontro di pastorale giovanile (25 aprile 2009)
Ischia, 19 novembre 2009 Lectio divina sul discepolo di GesĂš
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IN BOOK La redazione P. Branca, Guerra e pace nel Corano, Edizioni Messaggero, Padova 2009, euro 9. Contenuto Di fronte a fatti come quelli dell’11 settembre 2001, all’orrore e all’indignazione conviene affiancare un’approfondita riflessione sul tessuto sociale nel quale ha potuto crescere un odio tanto assoluto e distruttivo. Si tratta di capire come mai l’islam possa essere così facilmente ed efficacemente strumentalizzato; dire che l’islam e i musulmani siano “per loro stessa natura” fanatici e aggressivi è un giudizio sbrigativo e molto discutibile. Sebbene faticoso, l’apertura al confronto, è uno sforzo irrinunciabile, un indispensabile confronto sull’essenza delle nostre rispettive identità religiose, senza pretendere di ignorare gli altri o di ridurli forzatamente alla propria misura. Il libro esce per la nuova collana “hiwar-dialogo” diretta dal teologo padre Edoardo Scognamiglio, Ofm conv.
U. Galimberti, I vizi capitali e i nuovi vizi, Feltrinelli, Milano 2008, pp. 128, euro 6. Contenuto Il libro presenta i vizi capitali riletti alla luce della contemporaneità e una squenza di “nuovi vizi” che coincidono con “tendenze collettive” a cui l’individuo riesce a opporre deboli resistenze, pena l’esclusione sociale. Umberto Galimberti prende le mosse dai vizi capitali: Accidia, Avarizia, Gola, Invidia, Ira, Lussuria, Superbia. Identificati come “abiti del male” da Aristotele, come “opposizione della volontà dell’uomo alla volontà divina” nel Medioevo, appaiono infine come manifestazione psicopatologica nel Novecento. E anche i “nuovi vizi” (la sociopatia, la spudoratezza, il consumismo, il conformismo, la sessomania, il culto del vuoto) appaiono non come caratteristiche della personalità, ma come momenti di dissolvimento della personalità.
C.M. Martini, Le ali della libertà. L’uomo in ricerca e la scelta della fede, Piemme, Casale Monferrato 2009, pagine 109, euro 15. Contenuto Il cardinal Martini tratteggia il percorso che ogni uomo può affrontare per scegliere di vivere la fede cristiana. Attraverso la ricca filigrana della Lettera ai Romani, Martini riflette sul come usare le parole antiche della Scrittura per comunicare oggi i contenuti eterni e universali del messaggio d'amore di Gesù. Occorre non distanziarsi dal vocabolario biblico ed evangelico, ma ridirlo in maniera comprensibile, quasi colloquiale, affinché l’essenza dell’annuncio arrivi a tutti. È un lavoro lungo e impegnativo, che presuppone di aver interiorizzato tutto il messaggio a cui - con profonda libertà interiore - si è scelto di aderire. È un profondo scavo in se stessi, che richiede di essere talmente penetrati dal Mistero di Gesù da poterlo raccontare in tutte le forme possibili, sia quelle più classiche sia quelle più moderne, senza tradire il pensiero fondamentale. . 18
FUMETTI di Mario Ferrone
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