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MATILDE DI CANOSSA LA “GRANCONTESSA” di Francesco Martani
Con il Patrocinio di: Comune di San Benedetto Po Assessorato alla Cultura Comune di Zola Predosa Assessorato alla Cultura Galleria Zanini, San Benedetto Po Fondazione di Ca’ la Ghironda Collezione d’Arte Moderna e Contemporanea Zola Predosa - Bologna COMITATO SCIENTIFICO PROGETTO SCULTURA Francesco Martani Federico Capitani SAGGI ED INTERVENTI Don Albino Menegozzo Marco Giavazzi Scilla Lui Mauro Mazzali Claudio Cerritelli Francesco Martani FOTO Luciano Tamassia IMPAGINAZIONE Lucia Gombi STAMPA - Ferrara Si ringrazia per il contributo:
Roberto Mazzetti
Tutti i diritti riservati: vietata la riproduzione anche parziale di testi e di illustrazioni.
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MATILDE DI CANOSSA, LA “GRANCONTESSA”
A SAN BENEDETTO PO a cura di Francesco Martani
San Benedetto Po - Mantova 5
MATILDE DI CANOSSA LA “GRANCONTESSA” di Francesco Martani
Presentazione
Matilde di Canossa, la “Grancontessa” L’aggettivo “GRANDE” si addice a questa donna straordinaria. Matilde è stata GRANDE come donna, come politica, come cristiana e come credente. Grande donna per aver mediato in favore della pace tra le due potenze del suo tempo, la Chiesa e l’Impero. Grande politica per aver governato il suo feudo con forte mitezza. Grande cristiana per aver sostenuto papa Gregorio VII nella riforma della Chiesa e averla difesa per trent’anni dopo la morte del papa. Grande credente per aver sempre ritenuto che il suo potere era un dono di Dio, come si rileva nella sua firma: “Mathilda Dei gratia si quid est”. Matilde, in questa abbazia, meritava un grande monumento, nel grande chiostro di San Benedetto, nel grande chiostro polironiano. don Albino Menegozzo parroco
San Benedetto Po 31 agosto 2015
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San Benedetto Po
Comune di San Benedetto Po Provincia di Mantova Settore Affari Generali e Cultura Via E. Ferri, 79
tel. 0376/623011 – fax 0376/623021 e-mail: protocollo.sanbenedetto@legalmailpa.it sito internet: www.comune.san-benedetto-po.mn.it
P.IVA e Cod. fisc. 00272230202
Prof. Francesco Martani Via Emilia Ponente, 24 40133 Bologna
OGGETTO: STATUA MATILDE DI CANOSSA.
Egregio professore,
è con profonda stima e riconoscenza che desidero ringraziarLa per l’impegno pro-
fuso nella realizzazione della statua equestre dedicata a Matilde di Canossa, in occasione del nove centenario della morte della Grancontessa.
Il monumento si inserisce perfettamente nel contesto delle architetture di quella
parte del complesso monastico delimitato dagli edifici più rappresentativi dello stesso: la basilica, il refettorio e il chiostro di San Benedetto.
Matilde si colloca idealmente nel cuore del monastero da lei tanto amato, in un
dialogo perfetto tra le superfici in cotto degli edifici quattrocenteschi e le forme rinascimentali di Giulio Romano, per un viaggio nella storia millenaria del cenobio.
La statua arricchisce in questo modo il centro storico del paese elevandolo da
borgo a piccola città d’arte.
Grazie per il suo costante impegno che contribuisce a diffondere la conoscenza
del nostro prezioso patrimonio. Cordiali saluti
IL SINDACO
Dott. Marco Giavazzi 7
MATILDE DI CANOSSA LA “GRANCONTESSA” di Francesco Martani
Il ritorno di Matilde di Scilla Lui 1115-2015: sono trascorsi ormai 900 anni dalla morte di Matilde di Canossa. Dopo tutto questo tempo la grancontessa “ritorna” al paese di San Benedetto e al monastero di famiglia fondato dal nonno Tedaldo, grazie al monumento del prof. Francesco Martani. Quest’opera maestosa, che chiude il chiostro di San Benedetto, ci mostra una Matilde a cavallo, nella sua veste di grande viaggiatrice. Comunemente si pensa al Medioevo come ad un’epoca statica di servi della gleba ancorati alla terra. In realtà questo periodo storico fu caratterizzato da grandi viaggi e pellegrinaggi (Santiago di Compostela, Roma, Tours). Matilde vive itinerante tra Italia, Germania, Francia ed ecco che questo cavallo è il simbolo che più la rappresenta. E’ donna d’Europa, la sua corte diventa il centro del mondo politico dell’epoca. Viaggia così tanto in vita che nemmeno in morte la grancontessa sembra volersi quietare. Seppellita in Polirone viene collocata in Santa Maria, poi la traslatio nel monastero, infine in San Pietro. Niente di meglio, allora, di un’opera che la mostri indissolubilmente legata al suo destriero perché, come succedeva anticamente, anche oggi le immagini d’arte devono parlare anche ai più semplici attraverso i simboli. Passato e presente vengono, inoltre, collegati da quest’opera di Martani che da’ modo a tutti noi sanbenedettini di essere maggiormente consapevoli che un passato così glorioso ci appartiene e deve forgiare il nostro presente. Infatti questa “presenza” di Matilde a San Benedetto suggerisce, oltre al viaggio geografico, anche un viaggio nello spirito, inducendoci a capire ciò che è importante. Donna di fede, fuori dagli schemi, capace di azioni ispirate che superano la vita contemplativa, condottiera di eserciti, donna sola davanti alle scintille della guerra, questo rappresenta la Matilde di Martani che svetta altera sul suo cavallo e con lo spadone sulla piazza di San Benedetto. Essa impone a tutti noi un “supplemento d’anima”. La sua visione, infatti, suggerisce e stimola uno slancio etico, in un mondo in cui c’è assoluta fame di senso civico e morale. Incanta, dunque, quest’opera che non è pura decorazione, ma stimola l’intima riflessione su ciò che è importante e fondante nella nostra vita. E’ chiaro che Martani, attraverso il richiamo alla nostra identità matildica e alla nostra appartenenza storica vuole porci in stretto contatto con l’assoluto. Ci offre con la sua opera unica, perché non esistono altri monumenti di Matilde a cavallo, un’intuizione di ciò che la nostra vita è chiamata ad essere: un atto di amore e dedizione come lo fu il viaggio, unico e irripetibile, della grancontessa su questa nostra Terra.
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MATILDE DI CANOSSA LA “GRANCONTESSA” di Francesco Martani
Francesco, il Po e la scultura di Matilde di Canossa Ho vissuto sino a vent’anni a San Benedetto Po, poi lo studio e il lavoro mi hanno portato altrove, ma ho sempre amato la mia terra perché è la terra dei miei avi ma è anche la terra che sin da bambino, i miei genitori mi hanno insegnato a riconoscere come luogo più caro, più amato dalla Contessa Matilde di Canossa, che lo aveva scelto come il luogo della propria sepoltura nel monastero di San Benedetto, sulla riva del Po accanto ai numerosi monaci che non l’avrebbero mai dimenticata. In altri termini è rimasta in me l’ossessione di sentirmi un suddito di Matilde, perché nel tempo tutti coloro che conoscevano il luogo della mia provenienza mi parlavano di una donna vissuta tanti anni fa, che aveva riportato sofferenze e gioie, ma colmato di ammirazione tutti coloro che vissero dopo di Lei, quando era a capo di uno degli stati feudali più grandi e agguerriti del medioevo. Ma chi ha conosciuto, tra di noi, Matilde di Canossa?: nessuno. Il Prof. Paolo Golinelli, docente di storia medioevale all’università di Verona, e il Prof. Vito Fumagalli, storico medioevalista dell’Università di Bologna, sono gli uomini che più hanno studiato le immagini di un mito nei secoli, soprattutto Paolo Golinelli descrisse “I mille volti di Matilde”. Matilde è una delle donne italiane che ha preso più parte alla nostra storia e che ha lasciato un profondo segno. Ella visse in un periodo di intrighi e scomuniche: già allora occorreva portare i pantaloni. Aveva solo quindici anni quando entrò per la prima volta in battaglia a fianco della madre. Era una donna di grande carattere. Oggi le donne hanno assunto un ruolo importante nelle società civile e democratica, non solo come madri, ma soprattutto come sostenitrici di cultura, del credo, della coscienza libera, della verità e dei rapporti sociali. Di Matilde di Canossa sono state scritte varie monografie, ma come riferisce Paolo Golinelli, ancora resta molto da scoprire, o se noto, da studiare, analizzare e confrontare. Quest’anno, 2015, ricorrono i novecento anni della sua scomparsa, del suo mito e del simbolo della libertà delle donne. Essa è stata studiata sotto molti aspetti da tutta l’Europa, ma dell’iconografia rivolta all’immagine di Matilde ancora si possono ricorrere mille vie. Essa è ritenuta donna di Pace, ma anche di potere a livello internazionale. Già nell’età liceale percepivo la carenza, a San Benedetto Po, di una sua figura scultorea. La scultura di Matilde viene inserita in uno spazio aperto, e ripropone con forza ed esigenze estetiche la funzione pubblica, quale duttile strumento per connotare i luoghi, gli spazi, ed i percorsi museali.
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MATILDE DI CANOSSA LA “GRANCONTESSA” di Francesco Martani
Essa dialoga ed interagisce con l’ambiente, sottolinea o arricchisce la naturale bellezza museale e della Basilica. Il materiale scelto per la sua realizzazione è di nuova rivelazione, permessa con raspe ed abrasivi, dopo aver levigato le superfici del materiale adottato per ammorbidire la sorda materia, poliuretano, cercando di entrare in contatto con l’inconscio, liberandomi dagli impulsi fondamentali e dagli atavici desideri, rimanendo sempre fedele all’intelletto. Posso affermare che la scultura è per natura “invadente”, perché penetra con forza nello spazio, ma lo conquista solo in parte, perché condiviso con l’osservatore. La scultura però è anche esigente, perché chiede di essere osservata da tutti i lati ed esige che le si giri attorno, nel raggiungimento della correlazione di tutte le percezioni. Michelangelo e il Bernini contrariamente, hanno sempre controllato il disegno delle loro opere nella profondità della materia, ma dalla posizione frontale ideale: esigevano, infatti, un osservatore statico, in una posizione stazionaria dalla quale esplorare la veduta principale. Ma la grande dote della scultura di Matilde di Canossa sarà l’immortalità. La Grancontessa ora riposa in Vaticano, in un monumento effettuato dal più grande scultore del seicento italiano, Gian Lorenzo Bernini, che utilizzava scenograficamente la luce. La scultura, poi, si può accarezzare, perché l’effetto dirompente provocato da essa è unico ed imparagonabile a qualsiasi altro linguaggio artistico. Filippo Tommaso Marinetti nel “Manifesto della scultura” (1912) ha creato uno stile del movimento in modo da dar vigore costruttivo e sintetico, attraverso la compenetrazione dei piani affinché essa rappresentasse più che il corpo della scultura, la sua azione. La figura di Matilde di Canossa a cavallo, a mio avviso, è parte integrante dell’Abazia in quanto la sua individualità porta il ricordo perenne del complesso abaziale e museale di San Benendetto Po. La presenza di una spada conficcata nella terra, da cui tutto proviene e ritorna, dà significato al proposito di Pace della Grancontessa, tra la Chiesa e lo Stato. Essa aveva combattuto per Dio, e dopo tante vittorie visse per la Pace.
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MATILDE DI CANOSSA LA “GRANCONTESSA” di Francesco Martani
Il grido della Grancontessa, del Po e della mia ultima voce Francesco vorrebbe essere un gigante preistorico, al quale la vita ormai sfugge, lenta ma inesorabile, e nell’ultimo rantolo, ormai agghiacciante, solleva la testa verso il cielo, la mia Matilde di Canossa, che incarna, più di ogni altra sua invenzione plastica e scultorea, dei novecento anni precedenti il secolo della fine, la fase di un’epoca, o meglio di un secolo; ma di più la fine di una cultura, che nell’uomo moderno cullava tutte le sue proprie speranze di vedere realizzato, l’eroico, il definitivo, il principe dell’universo, depositario della sapienza che ordina le magnifiche sorti e progressive della realtà. Matilde il corpo che non sta a procombere, ci fissa, sotto il peso di un destino, dove l’unica via per trascendere è stata nel superamento della storia, perché aldilà di ogni narrazione, si è posta la sola e vera rigenerazione vitale. Ogni racconto ci ha sempre inchiodato alla soggezione del tempo, aprendo epoche fittizie e limitative, e ricordandoci l’antica frattura, nel nostro rapporto con l’origine. Matilde, Figlia di Bonifacio ( m. 1052) e Beatrice (m. 1076), moglie due volte, e Madre di una figlia, che morì durante l’infanzia, Contessa di terre in tutta l’Italia settentrionale, Toscana, Emilia Romagna e Lombardia, Mecenate di arti, di architettura, di ingegneria, di giurisprudenza, sostenitrice del movimento di riforma della Chiesa alla fine del secolo XI, fu Seguace Confidente di Papa Gregorio VII (1073 – 1085), Comandante militare stratega per la causa di Roma contro Enrico IV (1050 – 1106), Re di Germania e Imperatore del Sacro Romano Impero (1084 – 1105), alza, verso l’immensità cosmica, il grido di amore fra Stato e Chiesa, di Pace. Dalla realtà del mondo Matilde richiama gli Etruschi, i nonni, e qui io Francesco ho cercato di cogliere il dato più misterioso prima e dopo la storia, il silenzio, che il dato stesso della scultura, l’ombra della notte, che è l’emblema di questo esserci e che qui Tamassia, fotografo multimediale ci propone, è l’emblema di questo “esserci” solo per “assenza” e che io ho ereditato da Alberto Giacometti. Qui nella donna a cavallo, in Matilde, c’è l’immagine di un potere, che attraverso la sua libertà, sotto gli impulsi Divini nello sviluppo della realtà ci porta a Dio, nella creazione e nello sviluppo della realtà. La mia Matilde è una donna della fertilità, che scaturisce direttamente dalle ragioni delle Antiche Madri; è donna generosa, armoniosa e sensuale; la cui oggettività plastica ha la “tattilità” della incarnazione. La mia Matilde è nata felice e serena; il suo cavallo non è imbestialito come nella Guernica di Picasso. Picasso ha realizzato un’opera di segno implicitamente politico; io mantovano, sanbenedettino, se avessi imitato Picasso avrei tradito la mia fede, non il soggetto non l’emblemicità della forma. Per me terra, materia e forma sono il mio argomento.
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L’architettura della forma, la sua armonia, la carica vitalistica, misurano lo spazio, come l’uomo di Leonardo. Il cavallo è teso perché parla il linguaggio della positività feconda della vita sulla morte, vita identificata totalmente come una impura impudica ostentazione orgasmica. Il cavallo è per Matilde come l’Angelo che guida l’Uomo di San Matteo; in quella Cavallerizza vi è la libertà. Quando ho progettato la scultura di Matilde di Canossa sapevo l’analogia con la creazione; l’arte ha in potenza il dono di rendere visibile ciò che invisibilmente è all’origine dell’esistenza dell’universo. Quando, dopo molti disegni ho cercato di dare forma alla scultura, vi è stato in me un tormento, che ha cercato di maturare in una reintegrazione tra essere e vita, e dunque si è compiuto il miracolo di diventare forma; e mentre operavo e manipolavo, ho sentito il peso della libertà umana, ho sentito una sofferenza cosmica, che tende a diventare segno di una tragedia più alta che è nel tutto e che da vita alla creazione. Il cavallo di Matilde tende il collo, come se una forza misteriosa lo stesse trasformando, con uno spasmo innaturale incontenibile, indomabile, che annuncia le mutazioni genetiche degli animali e degli esseri umani. La Grancontessa e il suo cavallo sono vitali; il cavallo con il cavaliere entrano in simbiosi e rappresenta la metafora di un potere che è dato all’uomo sulla realtà; una potenza “data” coessenziale che gli viene dall’esterno, come un sogno di onnipotenza profetica. In questa scultura ho ritrovato me stesso. Cavallo e Cavallerizza sono desiderosi di luce, di salvezza, di incontri stupefacenti dove la morfologia, che dietro la precarietà cova una preghiera, e attraverso la luce mistica dell’apocalisse, torna a noi come rivelazione di quella in cui Dio si cala e promette al guerriero la Resurrezione. Questa scultura martaniana, dopo novecento anni dalla morte di Matilde, si espone in tutta la sua nudità e lascia il deserto oltre di sé; il deserto della contemplazione Divina e del silenzio.
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Studio scientifico su una scultura da erigere a San Benedetto Po San Benedetto in Polirone ha un Monastero con un’Abbazia maestosa per imponenza, vetustà e bellezza architettonica . Qui a San Benedetto assistiamo alla valorizzazione delle aree antistanti la Basilica a mezzo di un monumento di bellezza evocata dal gioco delle forme e per una maggiore comunicabilità. Matilde di Canossa è vissuta dal 1047 al 1115, e nessuna immagine morfologica delle sue sembianze, all’epoca, sono giunte sino a noi. Molti ritratti sono stati effettuati, ed ognuno è stato interpretato dalla fantasia degli artisti. Lo storico Paolo Golinelli, medioevalista, è colui che più ha studiato, ricercato e lumeggiato, la figura di Matilde di Canossa, raffigurando più volte “i mille volti di Matilde e immagini di un mito nei secoli” ed ha idealmente completato l’analisi di varie “vitae Mathildis”. Il cronista del secolo ci preannuncia l’esistere “in rerum natura” dell’avvenuta incarnazione di una vera e propria immagine di donna, di spiccata forza interiore, appellativo, che tra i molti che furono attribuiti alla contessa nel corso dei secoli, meglio degli altri serve a presentarcela come modello di donna forte, in tutto e per tutto. Dante Alighieri scelse Matilde come “fior da fiore”, incarnazione della felicità terrena come custode del paradiso terrestre. In quest’era moderna, anzi contemporanea, a mille anni di distanza, ogni realismo è stato sacrificato, in parte, a favore dei giochi formali, dalla qualità delle nuove morfologie, perché questa nuova evocazione celebrativa riguarda soprattutto lo spazio pubblico attinente con la figura celebrata. La scultura nuova, evocativa del passato si incammina su sentieri, fino ad un ventennio fa, inesplorati; più specificatamente si è cercato di tenere insieme lo spazio e il tempo in una stessa immagine, in modo da farle respirare un’area internazionale, europea, avendo Matilde varcato con la propria fama i confini internazionali (soprattutto in Germania). Tale scultura si trasforma in leggerezza ed armonia. Compaiono quindi asimmetrie, e, nel silenzio evocativo, si deve misurare la sua vita attraverso il suo primo parametro: concetto di sintesi, in modo che sia leggera nel portamento, libera dalla retorica, dalla monumentalità, e soprattutto dalla dittatura della materia e del modellato. A conclusione qui sostengo che la modulazione della forma plastica suggerisce le movenze autentiche, senza depauperare la verità ottica, di quanto modellato nella tensione astratta delle linee, che racchiudono l’immagine iconografica della donna religiosa, forte, madre, sposa e condottiera.
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Tale immagine è proposta nella sua serena naturalità, a cavallo, “immagine equestre”, quale ossequio al dinamismo della forma, alle tensioni muscolari dei corpi, alla velocità di pensiero, esprimendo in tal senso sentimenti ed aspirazioni che l’uomo moderno coltiva con passione, per amore della vita. Il suo ruolo pertanto non è solo lo stimolo dell’eredità storica, in quanto paladina del rapporto Chiesa e Stato, ma è la significativa testimonianza della dimensione collettiva dell’arte, perché la scultura vive, suscita sentimenti e colloquia, solo se sa trasmettere emozioni. L’arte è emozione, bellezza, stupore, e sentimenti, che và condivisa con il più ampio pubblico, portandola negli spazi pubblici più belli, (come nel nostro paese San Benedetto Po, che ha mille anni di nascita), nei negozi, negli hotel, nei ristoranti, nei caffè, perché è cultura come deve essere, non solo degli enti pubblici ma anche privati. San Benedetto Po ha una tradizione culturale che risale al Medioevo ed oggi si ripropone in senso della contemporaneità attraverso schemi che a volte necessitano di scelte forti e controcorrenti di ieri. La nuova rete virtuale delle comunicazione deve consegnare, attraverso il dialogo con la natura, alle nuove generazioni un ambiente sano, per dare sempre più vita al corpo ed allo spirito. In questi ultimi anni con le ristrutturazioni del Monastero e le relazioni che si sono susseguite con altri paesi nazionali ed internazionali, l’espressione del territorio e della natura umana richiama alla mente la trasmissione delle nuove conoscenze, ed invita le generazioni future a riflettere maggiormente sui temi Istituzionali. L’arte viaggia sul filo della bellezza attraverso immagini, atte a captare e richiamare maggior numero di visitatori, al fine di condurre una maggiore managerialità nel nostro paese e superare al meglio le difficoltà istituzionali, e portare la nostra economia locale prettamente agricola un tempo, oggi industrializzata, verso una nuovo trend di sostegno, quali l’economia turistica, enogastronomica, (strada dei vini e dei sapori) a vocazione artistica per le bellezze architettoniche, e raccontare una storia diversa, più nuova (vedi la scultura di una nuova Matilde, che dall’alto dell’argine vecchio osserva la scia di quelle bellezze naturali ed artistiche che l’hanno preceduta, per consegnarle alla nuova contemporaneità attraverso un nuovo marketing del territorio san benedettino).
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Matilde di Canossa a cavallo Questa mia immagine di Matilde di Canossa nasce dalla coscienza di una cultura, e del perpetuo dialogo tra passato e presente. La memoria del passato si manifesta ed è riconosciuta dai critici che richiamano la scultura arcaica - greca. Ho ritenuto allontanarmi dagli schemi finora effettuati, perché, con le eliminazioni di ogni elemento accessorio, che corrisponde al bisogno di concentrazione come assoluta modalità di interiorizzare al massimo la forma, e per darle nuove capacità espressive esaurienti, senza dispersione o deformazione che conserverebbero l’ancoraggio al simbolo. In tal modo vi è un equilibrio fra fisicità e astrazione, poiché la fisicità è una costruzione effimera. La femminilità della nostra amazzone, e guerriera, rimane e rimarrà stabilmente, e avrà un punto di partenza irrinunciabile. Le masse infatti si dispongono attorno ad un asse centrale con più sensibili trasgressioni delle simmetrie. La scultura femminile della contessa vive di contrafforti aperti, fra profili, emergenze, piegature e incavi disuguali tra certi accumuli, e il dispiegarsi di certi volumi, e da queste alternanze discendono toni espressivi e un senso di accesa carnalità, di vitalità e pulsazione che conferiscono all’immagine della Contessa l’appellativo anche di donna contemporanea. L’immagine che nasce ci conduce a certe opere di Henry Moore . Di Matilde di Canossa sono state descritte varie monografie, ma come riferisce il più grande storico medioevale, che ha studiato nella maggior parte della sua vita il periodo canossiano, Paolo Golinelli, “ancora resta molto da scoprire o se è noto da studiare, da analizzare e confrontare”. Il Prof. Paolo Golinelli nel suo libro I mille volti di Matilde di Canossa descrive la Grancontessa di cui ricorrono quest’anno, 2015, i novecento anni della sua scomparsa come mito, e simbolo di libertà delle donne. Essa è stata dipinta sotto mille aspetti da tutta l’Europa, ma dell’iconografia rivolta all’immagine di Matilde si possono ricorrere mille vie. Essa è stata pensata nei vari secoli in vari modelli. Matilde, modello femminile di forte volontà e forte mente, tanto da essere considerata donna-uomo, perché “prima di scendere in campo tu combattesti e vincesti il tuo povero e sublime cuore di donna” (Gianni Nencioni). Il sottoscritto, come artista, ritiene che Matilde di Canossa possa essere considerata modello femminile di donna moderna. Matilde è una donna che combatte col cuore, in questo nuovo secolo, per cercare la pace che otterrà solo attraverso tante lotte e sofferenze. Questa mia scultura della Grancontessa cavalca un destriero focoso con un profilo femminile ed una armatura che sfida i secoli trascorsi per proiettarsi, come sopra detto, modello di donna per ottenere la pace.
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APPARATI FOTOGRAFICI
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Tomba di Matilde a San Benedetto Po
Paolo Farinati 1524 – 1606 olio su tela Tomba di Matilde a San Benedetto Po 18
Rivisitazione di Matilde di Canossa
Francesco Martani (su dipinto di Paolo Farinati) – 2007 olio e acrilico su tela cm. 170x120 Museo Polironiano – San Benedetto Po
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Matilde guerriera
(scolpita ? 1633), nel 1755 collocata sul frontale neoclassico dell’ingresso del Monastero di San Benedetto Po
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Complesso abbaziale
vista panoramica San Benedetto Po
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STUDI PREPARATORI DELLA SCULTURA: DISEGNI
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Studi preparatori della scultura: disegni
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Studi preparatori della scultura: disegni
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Studi preparatori della scultura: disegni
Bozzetto preparatorio in bronzo
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FASI DI MODELLAGGIO DELLA SCULTURA
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FASI DI MODELLAGGIO DELLA SCULTURA
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Fase iniziale
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FASI DI MODELLAGGIO DELLA SCULTURA
3
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Ultima fase di modellazione
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FASE PREPARATORIA PER IL TRASPORTO NEL LUOGO INDUSTRIALE
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FASE PREPARATORIA PER IL TRASPORTO NEL LUOGO INDUSTRIALE
Francesco Martani regge parti sezionate della scultura
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VARIE FASI DI RIFINITURA
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varie fasi di rifinitura
Fasi di rifinitura
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STUDIO COMPUTERIZZATO POSIZIONAMENTO DELLA SCULTURA
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STUDIO COMPUTERIZZATO POSIZIONAMENTO DELLA SCULTURA
Foto Luciano Tamassia: Abbazia e prospetto Grancontessa
Foto Luciano Tamassia: primo piano scultura Grancontessa 36
MATILDE DI CANOSSA LA “GRANCONTESSA� di Francesco Martani
25 luglio 2015 San Benedetto Po (MN)
Inaugurazione scultura di Matilde di Canossa: la Grancontessa a cavallo Presenti da sinistra: Padre Vincenzo Benetollo O.P., Annalisa Baroni (Consigliere Regione Lombardia), Cristina Cappellini (Assessore alla Cultura di Regione Lombardia), Anna Maria Caleffi (Sindaco di Quingentole), Dominque Blanc (Delegata del Comune di Le Castellet), F. Martani, dietro di lui Gabriel Tambon (Sindaco di Le Castellet), Alessandro Pastacci (Presidente della Provincia di Mantova), dietro di lui Federica Stolfinati (Sindaco di Schivenoglia), davanti a lui Daniela Besutti (Sindaco di Pieve Coriano), Sua Eccellenza Monignor Roberto Busti (Vescovo di Mantova), Marco Giavazzi (Sindaco del Comune di San Benedetto Po), dietro di lui Valerio Primavori (Sindaco di Ostiglia), Marco Macciantelli (docente U.B.), Salsi Maria Elena (Ass. Cultura Comune di Canossa), Franco Albinelli (Vice Sindaco Comune di Reggiolo), Danilo Morini (Ass. Cultura Comune di Quattrocastella), Claudio Terzi (Sindaco Comune di Gonzaga), Sergio Faioni (Sindaco Comune di Revere).
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Matilde di Canossa: La Grancontessa di fronte all’Abbazia Francesco Martani scultore 38
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L’amore per l’arte di Mauro Mazzali Conosco Francesco Martani da circa 40 anni e credo di avere in comune con lui, oltre ad essere nato in riva al Po, l’amore per l’arte. Il Po ha questa caratteristica, essere una lunga via d’acqua che mette in contatto diverse città di grande importanza storica e levatura culturale. La loro notorietà internazionale, per quanto concerne la storia dell’arte, é dovuta alla presenza di architetti, pittori e scultori alla corte dei regnanti di Torino, Pavia, Cremona, Piacenza, Parma Mantova, Ferrara e, subito dopo l’incontro con il mare, di Venezia. Basti pensare agli architetti Guarino Guarini e Vanvitelli alla corte dei Savoia, al romanico inarrivabile della capitale dei Longobardi e alla sua Certosa costruita sulla via d’acqua per Milano, al matrimonio ineguagliabile tra pittura e musica degli Stradivari nei quadri di Baschenis, allo meraviglia che provocano i Farnese a cavallo in piazza a Piacenza, alle pitture di Correggio e del Parmigianino nella Città di Maria Luigia, alla magia del Palazzo Ducale e del Te che, da un lato Giulio Romano e dall’altro Andrea Mantegna con la loro arte hanno consegnato allo stupore dell’umanità. A Ferrara ancora oggi sembra di entrare in un quadro di De Chirico, camminando lentamente lungo Corso Ercole I° d’Este. L’officina ferrarese (Cosmè Tura, Ercole de’Roberti, Francesco del Cossa e poi Dosso Dossi) tanto amata dal prof. Longhi é stata per anni motivo di lezione di storia dell’arte nelle aule dell’Universitá di Bologna. Noi tutti abbiamo, avuto la fortuna di sentirne parlare da Francesco Arcangeli che con le sue dotte considerazioni collocava Bologna al centro di quella incredibile unità culturale che si sviluppava da secoli nella pianura padana. Francesco Martani è figlio di tutto ciò: padano di nascita e bolognese di adozione. È da sempre curioso indagatore del mistero, tutto umano, dell’espressione artistica. Il suo atteggiamento nei confronti della fenomenologia dell’opera d’arte è quello multiforme e sfaccettato dell’uomo rinascimentale: un po’ scienziato e un po’ poeta. Ecco che da questo matrimonio è scaturita una personalità complessa e in continua ricerca che anche nella professione che ha intrapreso per motivi scientifico/umanitari, ovvero il medico odontoiatra, ha trovato riconoscimenti e fama. Avere la fortuna di andare a scuola, anche in un piccolo paese ma dalla forte identità monumentale come San Benedetto Po, comporta una continua riflessione sull’opera d’arte, sul perché della creatività e se, corroborata dalla sensibilità personale, sulla produzione artistica. I maestri che fin dai primi,anni di scuola hanno contribuito alla formazione di Francesco Martani non potevano prescindere dal citare Giulio Romano, Antonio Begarelli, Giovanni Maria Piantavigna, tutti nomi eclatanti della “fabbrica” di San Benedetto in Polirone. In quella incredibile Abbazia in cui trovò eterno riposo Matilde di Canossa prima di essere traslata in S.Pietro in Vaticano, il giovane Francesco ha potuto respira-
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re il senso della grande creatività che solo i grandi artisti possono trasmettere. Ha fatto tesoro di questa grande esperienza e ha dato corpo ai propri sentimenti adottando tutte le tecniche sperimentabili, dalla pittura alla scultura alle installazioni, in definitiva a tutto ciò che il contemporaneo ci permette di ammirare. La sua operatività è riscontrabile in diverse operazioni monumentali collocate anche nel circondario bolognese e documentata dagli innumerevoli cataloghi che testimoniano la partecipazione a mostre nazionali e internazionali tra le quali si ricorda la Biennale di Venezia. Della sua opera hanno, scritto i più autorevoli storici e critici d’arte. Francesco Martani è da considerarsi un protagonista della cultura italiana dal secondo novecento alla contemporaneità.
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Francesco Martani, empatie del profondo di Claudio Cerritelli Dell’attività poliedrica e multiforme di Francesco Martani, disseminata nei territori della pittura e della scultura, ho sempre apprezzato il versante che si è soliti indicare con il termine “immagine informale”. Questa definizione comporta un dato referenziale che affonda nella memoria inconscia del paesaggio, nei flussi inesplicabili che l’artista capta dai sommovimenti interni della natura, dalle forme magmatiche che essa racchiude come genetico divenire della materia, flusso immaginativo sospinto dal ritmo biologico interiore. Nel corso della sua lunga avventura pittorica, Martani esprime attimi e bagliori del colore con modi esecutivi che privilegiano l’immediatezza del fare e i suoi imprevedibili tragitti sulla superficie. Infatti, ho più volte sottolineato che il fondamento della sua visione ha origine nell’atto di abbandonarsi al brivido della materia, ai suoi umori segreti e controversi, ai continui slanci della fantasia che sono - come ha dichiarato l’artista-espressioni della sua anima artistica. L’espressività “informale” del colore produce sensazioni cangianti della luce, movimenti della vibrazione universale, amplificazione sensoriale dell’emozione creativa che oscilla tra l’orizzonte del conoscibile e la risonanza dell’invisibile. L’arte di Martani è - infatti - legata alle metamorfosi dello spazio, al gesto irripetibile che fissa forme instabili, visioni fluide, scorrimenti della materia che svelano il rapporto tra la coscienza del reale e la percezione dell’oltre. Dagli anni Ottanta del secolo scorso fino alle soglie dell’attualità, Martani ha frequentato gli universi paralleli della scienza e dell’arte creando congiunzioni sempre diverse tra le due discipline. Questa connessione ha permesso all’artista di esprimere sinestesie tattili, memorie di stratificazioni geologiche, misteriosi sedimenti corporei che rimandano ai percorsi inesplicabili del pensiero, ai palpiti psichici dei colori in movimento. L’immagine è vissuta in uno stato di continua sollecitazione, non è mai definitivo il suo modo di rivelarsi sulla superficie, la materia agisce allo stato embrionale, produce scissioni all’interno della sua instabile struttura, del suo fugace apparire come identità in via di definizione. In questo processo di stratificazioni percettive, l’artista non perde mai di vista i nutrimenti del vissuto, avverte l’importanza di legare l’arte alle inquietudini dell’esistenza, anche a costo di sconvolgere gli equilibri raggiunti, infatti, più che la stabilità dei canoni informali, conta l’idea di pittura come soglia dell’ignoto, luogo di continua trasformazione fisica e mentale. Nel periodo più recente la tensione informale di Martani si riconferma come una delle attitudini persistenti del suo cercare immagini oltre il visibile, la natura del colore che spande e si rapprende continua a essere il vero soggetto della pittura, ogni vibrazione si dilata in tutte le direzioni creando spaesamenti legati alle sedimentazioni del
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subcosciente. Inoltre, Martani si confronta con le nuove ricerche delle neuroscienze proponendo analogie tra le forme pittoriche e le morfologie dei cosiddetti “neuroni a specchio”. E’ evidente che il rapporto con la scienza è metaforico, ma non è certo estraneo alla dimensione intellettuale e creativa di Martani, pittore e uomo di scienza, artista che congiunge differenti funzioni di ricerca nell’ipotesi della sua singolare sintesi immaginativa. Molteplici sono gli impulsi che legano le morfologie terrestri alla dimensione del “pensiero neuronale”, il che significa trasformare pittoricamente le relazioni con il mondo esterno in una visione percettiva unitaria, attraverso la quale l’immagine registra le risonanze cromatiche dei movimenti del pensiero. Diverse opere indicano il profondo contatto emotivo che l’artista coltiva restituendo all’osservatore le vibrazioni cerebrali attraverso il divenire dei colori, come se le morfologie della pittura fossero in profondo contatto con le proprietà fisico-cromatiche presenti nel paesaggio. L’ipotesi che Martani indica nei dipinti dedicati alle morfologie dei “neuroni a specchio” coinvolge sia la memoria immediata del visibile, sia la libera associazione delle percezioni. L’empatia tra le cellule cerebrali e il rispecchiamento emotivo e cognitivo del paesaggio si legano nel luogo dell’opera, collegandosi alla totalità dell’esistente. Questo rapporto empatico avviene attraverso un tipo di “affettività percettiva” che si apre verso nuovi mondi, infatti Martani ama dire che i suoi dati sensoriali derivano dalle forme che lo circondano, dalle energie che gli invia la natura, proprio perché l’arte “esiste solo nel cervello di chi è in grado di accoglierla”.
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NUOVA EDILIZIA SCULTOREA SYNTECH POLIUREA SPRAY è una resina fluida bicomponente, facente parte della famiglia delle “impermeabilizzazioni continue con Elastomeri Poliuretanici”. La reazione di polimerizzazione è simile a quella che porta alla formazione dei poliuretani. Ottenuta per poliaddizione di un diisocianato alifatico o aromatico con una diammina è caratterizzata strutturalmente dalla ripetizione di unità RNH(CO) NHR’, in pratica una molecola di urea bisostituita. Concepita e sviluppata nei laboratori della NASA, come prodotto da applicare nelle condizioni più estreme su manufatti realizzati o installati su altri pianeti, oltre alla terra, SYNTECH POLIURA SPRAY, per le sue eccezionali proprietà chimiche, fisiche, meccaniche e prestazionali, viene utilizzata da oltre un ventennio nel mercato mondiale, per: l’impermeabilizzazione, la pavimentazione, la protezione del calcestruzzo, delle superfici metalliche, delle superfici in vetroresina, dei contenitori per alimenti e acqua potabile, la protezione e l’incapsulamento del fibrocemento, per i rivestimenti in genere di vasche e contenitori vari. Caratterizzata da una elevatissima flessibilità applicativa (dal 400 al 600%), SYNTECH POLIUREA SPRAY è un prodotto che reticola immediatamente (3¬10’’), anche a basse temperature (fino a ¬15°C e oltre) ed è disponibile in due diverse formulazioni entrambe di natura Aromatica: SYNTECH POLIUREA SPRAY 400 (applicabile su quasi tutti i tipi di supporti esistenti) SYNTECH POLIUREA SPRAY SPUR (specifica per il ripristino impermeabilizzante di vecchie guaine bituminose senza la loro asportazione)
SYNTECH POLIUREA SPRAY viene applicata a spruzzo per uno spessore non inferiore a 2 mm (consumo minimo: 2,1 kg/m²) con particolarissime e specifiche pompe airless bimixer ad alta pressione (circa 210 bar) che vaporizzano il prodotto a caldo (circa 70°C) su svariate tipologie di materiali e supporti (calcestruzzo, vecchie guaine bituminose, gres porcellanato, ceramica, cotto, mattonelle in graniglia, legno, ferro, lamiera, lamiera zincata, polistirolo, poliuretano, ecc..), anche con geometrie complesse, previo opportuna e minuziosa preparazione del supporto e stesura dello specifico primer epossidico SYNTECH POLIUREA PRIMER, caricato o meno, in base alle tipologia del supporto, di micro-quarzo sferoidale tedesco per favorire la perfetta adesione di SYNTECH POLIUREA SPRAY. Và detto che, per quanto precisa possa essere l’applicazione la poliurea va considerata come una membrana impermeabilizzante “non a vista” e può presentare colature, rigonfiamenti o inestetismi sulle riprese, sui giunti e in alcuni punti particolarmente difficili da raggiungere durante la spruzzatura. Detti fenomeni non compromettono la funzionalità della poliurea e la tenuta impermeabile della stessa e possono comunque essere risolti facilmente con particolari tecniche. Nei casi in cui si a richiesta una finitura “ a vista”, la superficie viene trattata con vernice Top Coating, garantendo infinite possibilità cromatiche. Il Top Coating è un componente con ottime caratteristiche meccaniche ed è progettato per resistere ai raggi UV e a a tutte le condizioni atmosferiche.
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Francesco Martani foto di Paolo Mazzanti
BIOGRAFIA Francesco Martani nasce a Mantova nel 1931, trascorre l’infanzia a San Benedetto Po, dove frequenta la scuola media. Copia i classici e dipinge paesaggi e figure del mondo rurale. Dal 1948 al 1952 frequenta a Mantova il Liceo e la Scuola di disegno del Professor Tegon. Nell’autunno del 1952 si iscrive alla facoltà di medicina e chirurgia dell’Università di Bologna. Non abbandona però mai la tavolozza: sono di questi anni tanti paesaggi, i ritratti di contadini, nature morte. Nel periodo universitario frequenta la Scuola del Disegno Anatomico dell’Istituto Ortopedico Rizzoli, diretta dal Professor Renato Scoto. Da quel periodo nascono i primi modelli del corpo umano e continuerà ad operare sulla creta e sul marmo per sempre, onde ottenere le sue tante morfologie umane o della natura. Conseguita la laurea per scopi scientifici ed artistici fa lunghi sog-
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giorni a Parigi, Ginevra e negli Stati Uniti (1958). Aderisce poi spontaneamente ai suggerimenti dell’Informale Internazionale. Vive e lavora a Bologna, ma opera in qualsiasi paese del mondo venga a trovarsi. Martani scultore così afferma: “Nella scultura mi sento vicinissimo agli operai, bagnati dal grande fiume padano, il mio Po, là dove quei sterratori sono riusciti, nei millenni, con le loro carriole, a costringere il grande Polirone tra i suoi argini, rubandone il suo letto; come loro mi sento un plebeo. La mia arte scultorea è uscita da Pietrasanta, da quel crogiuolo di marmisti e formatori che duramente ma oculatamente si impegnano ogni giorno sulla materia della natura, della nostra terra. In pittura volo sempre sopra le nuvole; in scultura, preferisco il corpo a corpo: mi trasformo quando sono sul marmo o sulla creta; voglio un rapporto diretto; voglio agire e togliere nel blocco di pietra il superfluo, o modellare la creta in modo franco e deciso. Già da bambino andavo a raccogliere la creta sulle rive del Po, e modellavo le forme che più mi attiravano, gli animali e la natura in genere, che ammiravo intensamente in quell’ansa del grande fiume dove esse dispiegavano le proprie morfologie. La bellezza del corpo femminile, mi ha sempre caricato di pulsioni per la sua forma sostanziosa. Il movente sessuale di quelle forme non è mai stato però puramente carnale, ma fortissimamente poetico, anche se un momento delle mie espressioni. Ho sempre cercato in ogni forma di esprimere sentimenti sensoriali e sensitivi. Ho affrontato temi classici e moderni, rifiutando sempre l’obbedienze a regole, quasi con senso di ribellione alla codificazione, perché sono sempre stato rivolto ad una infinità di cose. I personaggi da me creati sono sempre stati misurati con cadenze fini. Le mie forme sono sempre riconducibili alla verità della terra. I miei soggetti mi hanno sempre permesso di manifestare atteggiamenti che mettessero in rilievo la tensione del corpo, la loro totale appartenenza alla verità del reale, per chiamare le ombre e le luci. Nelle immagini delle opere polivalenti, ho sempre cercato che esse racchiudessero un lievito di poesia. Nel carattere della mia scultura, ho voluto sempre ricorrere ad una materia che fosse strettamente legata ad un definito rigore. Questo mio cammino riunisce una fatica di quarant’anni, giungendo sino all’utopia della scultura inneggiante Matilde di Canossa,opera in poliurea oltre tre metri di altezza. Non ho mai affrontato un tema senza una ragione, senza un riscontro diretto con la intenzione dei miei propositi. Oggi, ormai, vivo quel momento importante dell’esistenza umana, il momento cioè in cui l’uomo si pone con sempre maggior frequenza i grandi interrogativi della fine”.
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INDICE
Matilde di Canossa, la “Grancontessa” pag. 6 Don Albino Menegozzo, ultimo Abate della Parrocchia di San Benedetto Po Statua di Matilde di Canossa pag. 7 Marco Giavazzi Sindaco del Comune di San Benedetto Po Il ritorno di Matilde pag. 8 Scilla Lui, docente alle medie superiori di San Benedetto Po Francesco, il Po e la scultura di Matilde di Canossa
pag. 9
Francesco Martani Il grido della Grancontessa, del Po e della mia ultima voce
pag. 11
Studio scientifico su una scultura da erigere a San Benedetto Po Francesco Martani pag. 13 Matilde di Canossa a cavallo pag. 15 Francesco Martani Apparati fotografici
pag. 17
Studi preparatori della scultura: disegni
pag. 23
Fasi di modellaggio della scultura
pag. 27
Fase preparatoria per il trasporto nel luogo industriale
pag. 31
Vari fasi di rifinitura
pag. 33
Francesco Martani scultore, L’amore per l’arte
pag. 39
Mauro Mazzali già Direttore dell’Accademia di Belle Arti di Bologna Francesco Martani, empatie del profondo Claudio Cerritelli, Critico e storico dell’arte contemporanea, docente presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, Milano
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Nuova edilizia scultorea pag. 43
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Biografia
pag. 44
Monografie
pag. 47
Bibliografia essenziale
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