Francis Ford Coppola a Bernalda

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BERNALDA (MATERA) L CINEMA? Ăˆ come il mito di Prome-

teo, l’eroe che rubò il fuoco agli dei, lo regalò all’umanitĂ e fu punito, incatenato. Il fuoco è il cinema, la tecnologia che ci diverte, ci stupisce, ma poi arrivano i soldi che incatenano, costringono chi lo fa a ripetersi all’infinito. PerchĂŠ lo scopo non è creare, ma portare a casa i dollari spesi. E quando tutto è programmato, l’arte, la fantasia, sparisconoÂť. Passare mezza giornata in compagnia di sei Oscar incorniciati da una folta barba bianca fa sempre un certo effetto. Anche se Francis Coppola, settantasei anni ben portati nel fisico e splendidamente nelle idee e nella conversazione (titolo di uno dei suoi film che ama di piĂš), gioca il carisma di un rapporto semplice, diretto, quasi paterno. Qui, a Bernalda, il paese di suo nonno Agostino in

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cui si rifugia perlomeno un mese all’anno, tra Matera e lo Jonio, profondo Sud che vive un certo boom turistico, nel 2004 comprò Palazzo Margherita, magione di pregio, per trasformarla in resort di lusso. Ed è da qui, seduti a tavola insieme a zio Antonio, novantanove anni portati da Dio e musicista come Carmine, padre del regista nato a Detroit (di qui il nickname Ford ormai quasi abbandonato, OES) che inizia la nostra chiacchierata. Dunque il suo è quasi un ritorno a casa. ÂŤA Bernalda ci venni la prima volta nel 1962, fui il primo della famiglia da quando mio nonno l’aveva lasciata, nel 1904, per cercare fortuna in America. Lui non ci tornò mai piĂš, morĂŹ cieco nel 1945. Avevo sei anni. Lui amava i suoi nipoti, ci riconosceva toccandoci la faccia con le mani. Avevo sentito tante storie in famiglia, da mio padre e dai suoi sei fratelli, sulla Lucania e su Bernaldabella, che in casa nostra era una parola unica, affettuosa. E quindi a ventidue anni me ne venni qui su un ferryboat da Dubrovnik, ero studente all’Ucla ma giĂ lavoravo a un film. Sapevo forse dieci parole di italiano: “Sono Francesco Coppola, nipote di Agostino Coppola, nato a Bernaldaâ€?. “Benvenutoâ€?. Mi portarono nella casa vicina a quella dove aveva abitato nonno, ci vivevano in dieci in una stanza ed erano gentilissimi. Non c’era posto per dormire, e cosĂŹ mi dissero: “Ci sono due sposini novelli, hanno una casa a Taranto, vai a dormire da loroâ€?. Giunti a una casa piccolissima mi presentano alla coppia. La moglie subito scompare e il marito, in pigiama, mi dice: “Signor Franco si accomodiâ€?, e torna a letto. Ho dormito con lui. La moglie la rividi al mattino col caffè. Ăˆ una storia del 1962 ma sembra dell’Ottocento. Poi me ne andai a Napoli dai parenti di mia madre (Itala Pennino, figlia di un autore di sceneggiate, OES), e al NV TJD TUPSF di un suo cugino c’era Riccardo Muti che si esercitava al piano. Ăˆ parente nostro pure luiÂť. Ma quando è nata l’idea di comprare questo palazzo? ÂŤQuando ero a CinecittĂ a girare *M 1BESJOP , nel ’90, c’era un at-

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