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Mettersi in gioco _ Gianluca Biggio pag

Gianluca Biggio

Psicologo, Psicoterapeuta psicoanalitico, Ordinario Funzioni di Training

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Mettersi in gioco

Mettersi in gioco è una locuzione semplice e complessa al tempo stesso. È semplice perché ognuno di noi la utilizza per esprimere la volontà di entrare negli eventi facendo la propria parte. Un equivalente di entrare nelle danze, di scendere in campo, di partecipare a un qualche evento sociale.

È complessa perché la parola “gioco” sottintende parallelamente qualcosa di vero e di illusorio, come è la natura del gioco medesimo; qualcosa di non concreto che diventa reale in quanto illusione condivisa cui tutti credono. È complessa per le mille valenze che il gioco può avere, da quella ludico-edonistica (giochiamo per divertirci) a quella più misteriosa di gioco come accadere regolato da istanze che non si conoscono a priori (il gioco della vita).

D’altra parte, mettersi in gioco allude anche a un’intenzione attiva di buttarsi negli avvenimenti, magari rischiando vittorie e sconfitte... e qui andiamo sul versante del gioco come confronto, competizione e gara tra molti attori (i giochi olimpici, i giochi istituzionali).

Chi di noi dopo un evento imprevisto negativo non ha pensato di giocare ancora, rimettersi in gioco in qualche progetto? Questo può avvenire per un singolo individuo, ma anche per un gruppo sociale o politico, magari dopo una sconfitta.

Allora possiamo capire come il gioco declinato nelle sue molteplici forme abbia sempre un aspetto accomunante: quello dell’energia vitale. Rimettersi in gioco vuol dire ritornare a vivere e sperare. Potremmo dire che giocare, prima ancora di rimettersi in gioco, sia stata per tutti noi un’esperienza vitale. Il gioco infatti come ci dicono gli antropologi, gli psicologi, ma anche gli esperti di etologia, ovvero del comportamento animale, è una funzione biologica necessaria per acquisire determinate funzioni vitali. Gioca il gattino con il filo, così come i piccoli dei grandi predatori con oggetti forniti dai genitori, per allenarsi alla caccia. Giocano gli uomini per imparare abilità fisiche: vi ricordate l’intramontabile gioco della luna o della campana disegnata nei cortili dai bambini? È molto più di un passatempo perché racchiude in sé un’attività di socializzazione, l’apprendimento delle regole, l’allenamento alla destrezza fisica (saltare senza pestare le righe), l’affinamento di capacità cenestesiche (la precisione nel tirare la gerla dentro la casella giusta) e così via...

Queste essenziali abilità di base, se ci pensate, preludono al grande gioco sociale dove il risultato arriva se sai superare con destrezza le regole, aspettare il tuo turno, competere correttamente con gli altri.

Ma qualcuno dirà che esiste anche il gioco passatempo come i solitari con le carte vere o video, le parole crociate, i giochi cinesi con le piccole biglie che devono cadere in dei piccolissimi buchi o come gli shanghai, dove occorre togliere dei bastoncini da un mucchio senza far muovere nulla.È vero, sono passatempi; ma il nome è riduttivo del valore di questi passatempi così come è riduttivo oggi chiamare entertainment la visione di un bel film.

In realtà, la vitalità del gioco è sempre presente come sperimentazione di abilità: la pazienza, la destrezza, l’attesa, la fantasia. Ecco, insomma, giocare è sempre creare qualcosa di nuovo dentro di sé. Anche gli stessi giochi digitali possono rientrare in tutte le categorie qui menzionate. È una destrezza virtualizzata e visiva più focalizzata, se vogliamo, ma quanto potrebbe essere più fecondo l’arricchimento virtuale se accompagnato da quello del gioco reale!

E quindi, alla fine di questa chiacchierata, non possiamo che dire: mettiamoci in gioco (quello sano) e viva il gioco!

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