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Luigi Di Francesco L' AR C HIT ET T UR A D EL F ER RO E L’A RC H EO LO GI A I N D US T RI AL E
Ing.Luigi Di Francesco
1 L'ARCHITETTURA DEL FERRO E L’ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE
Sommario L'ARCHITETTURA DEL FERRO E L’ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE .................................................................... 0 1.
CENNI STORICI ........................................................................................................................................ 3
2.
DALL’AVVENTO DELL'INGEGNERIA AGLI SVILUPPI DEL NOVECENTO ........................................................ 5 Le serre ...................................................................................................................................................... 9
3.
SCHÖNBRUNN PALM HOUSE, VIENNA. ..................................................................................................11
4.
THE WINTER GARDEN. ...........................................................................................................................12
5.
. LE GRANDI ESPOSIZIONI .......................................................................................................................13
6.
LA TORRE EIFFEL ....................................................................................................................................16
7.
GALERIE DES MACHINES ........................................................................................................................20
8.
LES HALLES ............................................................................................................................................24
9.
IL LIBERTY ..............................................................................................................................................26
10.
LA DIFFUSIONE DEL LIBERTY ..............................................................................................................29
11.
LE COSTRUZION IN FERRO IN ITALIA ...................................................................................................37
PONTE REAL FERDINANDO SUL GARIGLIANO .............................................................................................37 Il progetto e la realizzazione ......................................................................................................................38 La distruzione e il restauro.........................................................................................................................39 IL PONTE MARIA CRISTINA.........................................................................................................................42 LA GALLERIA UMBERTO I ...........................................................................................................................46 12.
L’ACCIAIO OGGI .................................................................................................................................52
13.
LE STRUTTURE GEODETICHE ..............................................................................................................55
14.
COSTRUZIONI IN ACCIAIO IN ZONA SISMICA ......................................................................................57
15.
P.L. NERVI ..........................................................................................................................................59
16.
CALATRAVA .......................................................................................................................................61
17. CHE BOLLE ! .......................................................................................................................................65 Ing.Luigi Di Francesco
2 18.
IL RESTAURO......................................................................................................................................67
19.
Arsenale di Venezia............................................................................................................................69
20.
Il Museo Nazionale di Pietrarsa ..........................................................................................................72
Il Museo ....................................................................................................................................................72 La struttura del museo ..............................................................................................................................74 21.
Polo siderurgico di Mongiana .............................................................................................................76
CENNI STORICI ...........................................................................................................................................76 Metodo di lavorazione...............................................................................................................................77 Periodo francese .......................................................................................................................................77 I Borbone ..................................................................................................................................................78 Organizzazione del lavoro all'interno della Ferriera....................................................................................78 La chiusura della ferriera ...........................................................................................................................79
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3 L'architettura del ferro è un tipo di produzione architettonica che si diffonde in Europa tra la fine del Settecento e la prima metà dell'Ottocento. I luoghi di maggiore diffusione di questa tecnologia applicata all'architettura sono la Francia e l'Inghilterra, sebbene abbia avuto una buona diffusione anche in Italia.
1. CENNI STORICI
L'idea di realizzare travi in metallo appare in embrione già in epoca classica; sono state, infatti, trovate tracce di travi metalliche con sezione 13 x 30 cm e lunghezza di 4,5 metri in un tempio di Agrigento (470 a.C. circa), poste a rinforzo degli architravi lapidei.
Nel medioevo la Chronica Monasterii Casinensis, redatta da Leone di Ostia (circa 1046-1115) descrive alcune ipotesi di 'travi' in bronzo.
Nel Rinascimento F. Veranzio da Sebenico propugna nuovamente l'uso del bronzo per la realizzazione di ponti e preconizza l'idea della sezione a doppio T, suggerendo la realizzazione di una trave formata da due lamiere metalliche, disposte a 'coltello', tenute distanziate da setti. Sempre nel Rinascimento sono perfezionati gli altiforni che permettono di ottenere la fusione e colata del minerale ferroso entro stampi.
Nel 1770 J. B. de Rondelet impiega l'acciaio sotto forma di barre e tiranti per rinforzare le precarie strutture della chiesa di Saint Geneviève a Parigi. Sempre Rondelet, nel 1802, suggerisce la sostituzione delle travi in legno dei solai con elementi in 'ferro dolce', ma non essendo ancora consuete le sezioni a doppio T avverte l'impossibilità di realizzare travi a sezione rettangolare piena in acciaio in virtù dell'elevato peso e quantità di materiale necessario, per cui propone l'impiego di un sistema con elemento orizzontale in trazione e sovrastante elemento arcuato in tensione.
Nel 1772 l'inglese Dodd impiega, per la prima volta, colonne in ghisa nella chiesa di Sant'Anna a Liverpool, mentre il primo e completo impiego strutturale del metallo nelle costruzioni si deve ad A. Darby III che realizza, su progetto di T. Pritchard, il ponte in ghisa ad arco di Coalbrookdale (1779).
Figura 1 ponte in ghisa ad arco di Coalbrookdale Nel 1801 T. Telford progetta, ma non realizza, un ponte sul Tamigi a Londra formato da un'unica arcata metallica di 183 metri di luce e nello stesso anno M. Boulton e J. Watt realizzano la filanda di Ing.Luigi Di Francesco
4 Salford (Manchester), a sette piani, con struttura portante mista formata da murature perimetrali esterne in mattoni, pilastri interni in ghisa e travi in acciaio.
L'inglese E. Hodgkinson, nella prima metà dell'Ottocento, pone in atto una serie di sperimentazioni sulla trave a doppio T in ghisa sulla base delle precedenti esperienze compiute da T. Tredgold. Le sezioni utilizzate da Hodgkinson permettevano la realizzazione di travi fino a 15 metri di luce, con sezione a T asimmetrica e doppio T snella. J. Nash, nel 1818, realizza il Padiglione Reale di Brighton, fantastico complesso di edifici in stile orientale con cupole a bulbo; è costruito utilizzando la ghisa nelle strutture portanti verticali, nelle travi, nelle centine delle cupole e nelle decorazioni. Nel frattempo l'acciaio trova sempre maggiore applicazione nei ponti, in maniera particolare in quelli sospesi a funi. Il primo esempio di ponte di grande luce sospeso è quello sul Tweed di 110 metri di luce progettato da S. Brown a cui faranno seguito le esperienze di I. K. Brunell, i ponti di Telford sul Menai e sul Comway, quelli di M. Séguin e il ponte sulla Sarnetall a Friburgo di 273 metri di luce, progettato da Charley nel 1834. L'idea del ponte sospeso a funi metalliche sarà poi ripresa ed ampliata nell'America Settentrionale con il ponte di Brooklin (New York, 1876) progettato da Loeblin.
Figura 2 Padiglione Reale di Brighton Con queste opere inizia la crisi del Classicismo con la consapevolezza che l'architettura deve essere in sintonia con lo spirito del tempo , ora delineato dalle conseguenze delle rivoluzione industrialeche ha cambiato i sistemi di produzione, sostituendo la lavorazione a mano con quella a macchina, ha individuato nuove fonti di energia, ha reso più economici alcuni consumi indispensabili. Molto spesso il ferro viene soprattutto utilizzato in ambito urbano solo per struttura portante e per le coperture, mentre all'esterno è mascherato da un rivestimento murario in forme eclettiche. Si crea una separazione tra due figure di progettisti:
L'architetto, educato all' Ecole des Beaux-Arts dove segue studi accademici e ha appreso gli stili storici, che è incaricato dell'aspetto esteriore del costruito
L'ingegnere, educato all' Ecole Polytecnique (1794) con criteri scientifici, che è responsabile dell'ideazione dei sistemi statici.
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Figura 3- Ponte sul Firth of Forth in Scozia (1881-1889). B. Bakler e J. Fowler – Luce 521 m – campata centrale 105 m
Figura 4 - Ponte sul Firth of Forth, fase realizzativa.
2. DALL’AVVENTO DELL'INGEGNERIA AGLI SVILUPPI DEL NOVECENTO Tra la fine del 700 e gli inizi dell’800 le nuove tecnologie rendono disponibili elementi costruttivi metallici, ma le armature metalliche sono, nella prima fase del neoclassico e neogotico, occultate da altri materiali, fin quando non si svilupperà un'autentica poetica dell'architettura del ferro e vetro che costituirà una chiara svolta con il passato. L'opera dei protagonisti di quella che si può definire “architettura dell'ingegneria” si distanzia dai vari revival e grazie alla sua matrice tecnologica riesce a produrre forme innovative. L'architettura dell'ingegneria ebbe tre campi di applicazione: Ing.Luigi Di Francesco
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la produzione di ponti in ferro
la realizzazione di edifici ad armatura metallica
la realizzazione di coperture in ferro e vetro.
Le tipologie edilizie che gli ingegneri sviluppano sono essenzialmente le gallerie urbane, che collegano parti differenti della città con un percorso pedonale coperto, le serre botaniche che valsero come settore di sperimentazione, le stazioni ferroviarie, i grandi magazzini e le strutture per le grandi esposizioni.
Figura 5 Un ingresso della metropolitana a Parigi, in stile Liberty di Hector Guimard Inizialmente gli architetti si rivolgono agli ingegneri per la sola realizzazione di coperture in ferro e vetro su invasi strutturati da elementi stilistici tradizionali, ottenuti in muratura ed in stile eclettico. Diversamente l’acciaio viene usato per realizzare lo scheletro dell’edificio che l’architetto ricopre con tamponature decorate secondo antichi stilemi. E’ una fase in cui l’attività dell’ingegnere si limita alla mera tecnica. Quando però, viceversa, la conformazione strutturale interna si manifesta all'esterno, non parliamo più di ingegneria o di tecnica, ma dell'architettura che ha fatto proprie modalità della scienza e tecnica delle costruzioni. Lo sviluppo dell'ingegneria è essenzialmente legato ai processi di industrializzazione che si avviano in Inghilterra alla fine del XVIII secolo e che si diffondono rapidamente in molte altre nazioni. Un passo importante nell'istituzione del nuovo ordine degli Ingegneri si ebbe nel 1794, con la fondazione della École polytechnique e l'istituzione, presso la medesima università, di un corso in Scienza delle costruzioni. Tale sviluppo è reso possibile grazie sia agli studi teorici di cui un pioniere è Claude-Louis Navier con le pubblicazioni ed i corsi all'Ecole Polytecnique, dove gli succederà Adhémar Jean Claude Barré De Saint-Venant, sia con le innovazioni nella metallurgia, a partire dalla produzione in larga scala della ghisa da parte di Darby aveva scoperto la ghisa e alle varie innovazione nella produzione di ferro forgiato ed acciaio.
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7 La rivoluzione industriale e l’emergere di esigenze diverse a quelle del passato (necessità di grandi opere legate alle continua evoluzione dei sistemi di trasporto ponti canali strade ferrovie ) contribuiscono a creare una profonda frattura tra i compiti dell’ architetto (artista) e quelli dell’ingegnere (tecnico-scientifico). Infatti, le importanti innovazioni tecnologiche legate alla Rivoluzione industriale, portarono ad un notevole incremento della produzione di acciaio e ghisa, con una sensibile riduzione dei costi; questi materiali, in passato utilizzati in architettura solo per la realizzazione di elementi accessori (grappe, ancoraggi, tiranti), trovarono quindi una maggiore applicazione anche nell'edilizia, dove furono utilizzati essenzialmente per la realizzazione di ponti in ferro, di edifici con scheletro metallico e di coperture trasparenti in acciaio e vetro. Pertanto, gli impieghi più spettacolari e importanti di questa nuova tecnologia sono ponti, serre, edifici per Esposizioni universali, capannoni industriali, stazioni ferroviarie, mercati coperti, e gallerie per il pubblico passeggio. La maggior parte degli architetti , durante tutto il XIX secolo e una gran parte del XX , si oppongano risolutamente a tutte le nuove tecniche e a tutti i materiali nuovi, sforzandosi di continuare un'architettura di derivazione rinascimentale, contribuirà ad accreditare il l loro passatismo, mentre gli contribuirà ad accreditare il loro passatismo, mentre gli ingegneri con loro ponti le loro stazioni, i loro padiglioni d'esposizione appariranno sempre più come i costruttori dell'avvenire legati all'idea allora dominante del progresso ottenuto attraverso la scienza e la ragione. Nel corso dell’Ottocento solo l’ingegnere è in grado di dare risposte alle pesanti richieste della società in continua e velocissima evoluzione. Le richieste riguardano principalmente la realizzazione di strutture e di edifici funzionali, semplici ed economici . In tale contesto il campo operativo dell’architetto diviene marginale e il suo compito si riduce a quello di “ decorare ” e “ rivestire ” le strutture progettate dagli ingegneri e la sua figura le strutture progettate dagli ingegneri e la sua figura si allontana dai bisogni concreti della società . L’ottocento è il secolo delle grandi costruzioni ingegneristiche. Tuttavia, inizialmente, l'applicazione di questi nuovi materiali da costruzione non porterà alla formazione di uno stile completamente autonomo dai vari revival ottocenteschi, ma spesso si limiterà alla realizzazione di coperture su invasi neoclassici, neogotici o neorinascimentali. Perfino le opere realizzate interamente in ferro non raggiungeranno mai una vera indipendenza dai gusti, dalle forme e dal senso dell'architettura eclettica ottocentesca. Caso emblematico è quello della Torre Eiffel a Parigi, dove gli archi che si aprono dalla base fino al primo livello della torre, posto a circa 50 metri d'altezza, non sono portanti, ma sono appesi alla struttura. Questi elementi, evidentemente privi di qualsiasi funzione statica, rappresentano quindi una sorta di inutile dipendenza dalle forme classiche. Difatti l'architettura dell'ingegneria ottocentesca non si staccò mai dall'eclettismo storicistico, assurgendo al ruolo di stile architettonico a sé; essa si limitò a realizzare coperture su invasi Ing.Luigi Di Francesco
8 neoclassici, neogotici o neorinascimentali, manifestando appunto il contrasto, l'incoerenza tra invaso e copertura. Perfino il Palazzo di Cristallo o la Torre Eiffel, interamente realizzate in ferro, non sono indipendenti dai gusti, dalle forme e dal senso dell'architettura eclettica. Sul finire dell'Ottocento le costruzioni in acciaio trovano grande fortuna negli Stati Uniti d'America ed in particolar modo a Chicago, dove furono realizzati i primi grattacieli del mondo. Ben presto questa tecnica costruttiva si diffonderà rapidamente in tutto il Paese, in particolare a New York, dove, col nuovo secolo, sorgeranno edifici alti anche più di trecento metri.
Figura 6 Kew Gardens, London Kew Gardens, London I Royal Botanic Gardens di Kew (Giardini Botanici Reali di Kew), più noti come Kew Gardens, sono un esteso complesso di serre e giardini ubicati tra Richmond upon Thames e Kew, a circa 10 km a sud-ovest di Londra, in Inghilterra. I Kew Gardens, i giardini della Kew House, sono rappresentati da un complesso di giardini, serre, orti botanici, piccole pagode d’epoca, famosi per possedere una delle più varie collezioni floreali del mondo. I giardini sono oggi elencati nella lista dell’UNESCO come Patrimonio dell’Umanità. Situati al sud di Londra, precisamente presso Richmond upon Thames, i Kew Gardens nascono nel XVIII secolo con il piccolo giardino della Kew House creato da un nobile dell’epoca, Sir Capel di Tewkesbury. Per tradizione, l’area aveva già conosciuto una intensa ristrutturazione sin dal XIV secolo per via del Palazzo Reale e successivamente del Richmond Palace di Enrico VII. La facilità del trasporto lungo il fiume Tamigi portò infatti la nobiltà dell’epoca a scegliere la zona come nuova residenza. Fu così che ebbero inizio diversi passaggi di proprietà tra i nobili della zona, sino ad arrivare appunto alla famiglia Capel e al piccolo giardino esotico costruito in onore di Dorothy Bennett, moglie di Sir Capel. Prima della seconda metà del XIX secolo i giardini subirono diverse ampliamenti e sviluppi, grazie inizialmente alla Principessa Augusta di Hannover e a Giorgio III . Nel 1840 i giardini ebbero ufficialmente riconosciuto lo status di Orto botanico nazionale. Sotto la direzione di William Hooker la superficie dei giardini fu incrementata sino a 30 ha e l'annesso arboretum si estese sino ai 130 ha attuali. Nel corso del XIX secolo i Kew Gardens furono il luogo in cui per la prima volta lo sforzo di coltivare l'albero della gomma fuori dal Sud America fu coronato da successo. Ing.Luigi Di Francesco
9 Nel luglio 2003, i Kew Gardens sono stati inseriti nella lista dei Patrimoni dell'umanità dall'UNESCO.
Figura 7 -Interno della Palm House Kew Gardens è al giorno d'oggi un centro di ricerca botanica di primo livello, un terreno di addestramento per giardinieri professionisti, nonché una popolare attrazione per i visitatori. La struttura dei Kew Gardens si presenta suddivisa in diverse aree: la sua entrata tra Broad Walk (uno splendido sentiero che si riversa direttamente alla Palm House), l’Orangery, uno splendido edificio bianco, uno dei primi ad essere costruiti e disegnato da Sir William Chambers, così chiamato per essere stato ideato per ospitare delle piante di arancio; oggi ospita un’elegante cafe- Figura 8 -Palm House ristorante, e il Nash Conservatory dallo stile di un tempio greco, una delle prime serre in vetro del Kew Gardens (originariamente uno dei due Pavillion disegnati da John Nash per Buckingham Palace).
Le serre La Palm House fu costruita dall'architetto Decimus Burton tra il 1841 e il 1849, e fu la prima grande opera architettonica che utilizzava strutture in ferro su larga scala. È divenuta il simbolo dei Kew gardens. Fu creata specificamente per ospitare le collezioni di palme esotiche che nell'epoca vittoriana venivano introdotte in Europa. Al suo interno sono state ricreate condizioni simili a quelle Ing.Luigi Di Francesco
10 della foresta tropicale. Ospita numerose specie di palme e cicadi, suddivise per aree geografiche, molte delle quali minacciate di estinzione nel loro ambiente naturale.
Figura 9 Temperate house La Temperate house è costituita da un blocco centrale, costruito tra il 1859 e il 1869, alle cui estremità si trovano due serre ottagonali, aggiunte tra il 1860 and 1899. L'intera struttura copre un'area di 4.880 m², circa il doppio di quella della Palm House. Ospita numerose specie delle diverse zone temperate del mondo. Tra di esse merita un cenno particolare la Jubaea chilensis, la più grande palma indoor del mondo.
Figura 10 Veduta invernale dei Kew Gardens. Da sinistra verso destra si notano il People and Plants Museum, la torre del Victoria Gate, la Palm House e la Waterlily House
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3. SCHÖNBRUNN PALM HOUSE, VIENNA. La serra delle palme nel parco del castello di Schönbrunn è la struttura più grande di questo tipo esistente in Europa. Ospita numerose piante mediterranee, tropicali e subtropicali. L'imperatore Francesco Giuseppe ordinò la costruzione della serra nel 1882. Per l'architetto incaricato Franz Segenschmid fu un bell'impegno: con una lunghezza di 111 metri, 2.500 metri quadrati di terreno e 4.900 metri quadrati di superficie vetrata è la serra delle palme più grande del continente europeo. Per realizzarla furono utilizzate niente meno che 45.000 lastre di vetro.
Figura 11 - Alcune immagini della Palm House
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4. THE WINTER GARDEN. Le Serre Reali di Laeken (in olandese: Koninklijke Serres van Laeken, in francese: Serres Royales de Laeken), un vasto complesso di serre riscaldate costruito tra il 1874 e il 1895 è nel parco del castello reale di Laeken a Bruxelles Inizialmente concepito da Guglielmo I come un vasto aranceto, il sito ha assunto l'aspetto attuale sotto Leopoldo II, con l'aggiunta della cupola. Winter Garden costituito da una trentina di padiglioni, la creazione della zona di botanica la progettazione delle rocce decorative è dovuta da paesaggista John Wills. Le sette serre, furono costruite dall'architetto Balat, in collaborazione con il suo allievo Victor Horta,che diverrà, poi, un famoso architetto dell’artnoveau.. Il complesso fu terminato con il completamento della cosiddetta 'Chiesa di ferro', una serra a cupola che in origine doveva servire come cappella reale. La superficie complessiva di questo immenso complesso è di 2,5 ettari (270.000 metri quadrati). Sono necessari 800.000 litri (oltre 200.000 galloni US) di olio combustibile all'anno per riscaldare gli edifici.
Figura 12 The Winter Garden dome,(la cupola del WinterGarden).
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Figura 13 Interno del Wintergarden.
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5. . LE GRANDI ESPOSIZIONI L’occasione per sperimentare nuove forme e sfruttare appieno le potenzialità dell’acciaio furono le grandi esposizioni di Londra e Parigi, tra le cui principali opere vi sono l il Crystal Palace a Londra di Paxton e la Torre Eiffel a Parigi.
Figura 14- Crystal Palace
Il Crystal Palace a Londra di Paxton, costruito in occasione dell'Esposizione Universale di Londra del 1851, concretizza i temi del progresso delle scienze, delle tecnologie, in essa la struttura metallica assume valenza architettonica e non puramente tecnica, pur con un apparato decorativo ancora storicista.
Per la realizzazione del padiglione inglese fu bandito un concorso internazionale. Nessun progetto fu ritenuto valido e fu realizzato l'edificio progettato da Joseph Paxton, giardiniere costruttore di serre. L'edificio, realizzato in soli nove mesi, è estremamente schematico: l'impianto è simmetrico e fortemente longitudinale, composto da tre ordini secondo una sezione trasversale a gradoni che determinano cinque navate interne. Grazie al suo enorme volume trasparente e alla quasi totale assenza di ornamentazione, il Crystal Palace, contribuì in maniera determinante a creare l’estetica dell’architettura moderna. Un’estetica che si basava soprattutto sulla prevalenza dei vuoti (lastre di vetro) sui pieni (elementi metallici), e sull’intenzione di intendere lo spazio esterno e lo spazio interno come una sola cosa. Il successo del progetto di Paxton è individuabile anche nell'utilizzo di blocchi modulari ripetenti, relativamente piccoli, modulari e facili da trasportare, per cui furono ideati speciali sistemi costruttivi che ne facilitassero il Figura 15- Pianta e prospetto del Crystal Palace
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montaggio.L’impiego di componenti prefabbricati fu fondamentale perché il Comitato di Valutazione desse il suo benestare alla
14 realizzazione, in considerazione dei precedenti ritardi nell’organizzazione dell’Expo e della necessità di accelerare i tempi (l’opera fu infatti realizzata in 9 mesi). Notevole fu lo sforzo organizzativo e logistico in quanto i diversi elementi della struttura erano realizzati in posti diversi,:
le travi in ghisa e il vetro a Birmingham,
le colonne in ghisa da Dudley,
i componenti in legno da Chelsea.
Per ottimizzare la produzione e costruzione dell'edificio si impegnò per standardizzare i componenti strutturali: per esempio le colonne cave in ghisa avevano diametro esterno unitario e costante e, in funzione dei carichi, variava lo spessore della ghisa.
Figura 16 -Veduta esterna del Crystal Palace
Figura 17 - Il carrello ideato da Paxton per la posa delle lastre di vetro della copertura. 80operai riuscirono a posarne 18900 a settimana. Ing.Luigi Di Francesco
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Figura 18 - Fasi di costruzione del Crystal Palace
Figura 19 superiore del C. P.
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Galleria
Figura 20 - Vista d'insieme del C. P.
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6. LA TORRE EIFFEL L'opera di maggior impatto fu, tuttavia, la torre Eiffel. La torre venne realizzata come entrata per
Figura 22 -Torre Eiffel scorcio
Figura 21 - T.Eiffel
l'Esposizione Universale del 1889, organizzata per celebrare il centenario della Rivoluzione Francese. La torre venne concepita come belvedere dal quale osservare il panorama di Parigi, da smontare dopo l'esposizione. Varie vicende l'hanno poi portata a divenire l'autentico simbolo di Parigi.
Figura 23 - Fase di costruzione della T.E.
Nel 1858 la prima grande realizzazione di Eiffel, in collaborazione con Paul Régnauld, fu il ponte SaintJean (noto come la passerelle) a Bordeaux, sulla Garonna, lungo 509,69 metri. Qui, a soli ventisei anni, assunse la direzione del cantiere. Eiffel utilizzò allora per la prima volta l'aria compressa per la realizzazione delle fondazioni a pile tubolari, costituite ognuna da due colonne in anelli di ghisa di 3,60 metri di diametro, affondate a 16-17 metri al di sotto del livello medio delle acque
Il ponte, collegamento delle linee ferroviarie della Compagnie des chemins de fer du Midi e della Compagnie du chemin de fer de Paris à Orléans, valse a Eiffel una prima notorietà nel campo delle costruzioni metalliche. .Nel 1866 Gustave Eiffel decise di fondare la propria società, acquisendo alcune officine di costruzione metalliche vicino a Parigi, a Levallois-Perret, allora nel dipartimento della Senna. L'impresa ottenne allora molte importanti commesse per viadotti e edifici a struttura metallica in varie parte del mondo, tra cui: Ponte di Frynaudour a QuemperFigura 24 - La passerella di Bordeaux
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17 Guézennec (Côtes-d'Armor); Ponte metallico di Girona, in Catalonia.
Figura 25- Ponte di Frynaudour
Figura 26 - Ponte di Girona L'apice della celebrità fu raggiunto con la costruzione della Torre in occasione dell'Esposizione Universale di Parigi del 1889. Tra le fonti di ispirazione, va citata la Galleria Vittorio Emanuele II di Milano, con le sue strutture di ferro a vista. La struttura, che con i suoi 324 m è la più alta di Parigi, venne costruita in meno di due anni, dal 1887 al 1889; sarebbe dovuta servire da entrata all'Esposizione Universale del 1889, una Fiera Mondiale organizzata per celebrare il centenario della Rivoluzione francese. Inaugurata il 31 marzo del 1889, fu aperta ufficialmente il 6 maggio dello stesso anno dopo appena 2 anni, 2 mesi e 5 giorni di lavori. Ing.Luigi Di Francesco
18 Trecento metalmeccanici assemblarono i 18 038 pezzi di ferro forgiato, utilizzando 2 milioni e mezzo di bulloni (che furono sostituiti, durante la costruzione stessa, con rivetti incandescenti). Considerate le condizioni di sicurezza esistenti a quell'epoca, è sorprendente osservare che solo un operaio abbia perso la vita durante i lavori del cantiere (durante l'installazione degli ascensori).
Con i suoi 320 m di altezza ha mantenuto il record di costruzione più alta del mondo fino al 1930, anno in cui fu completato il Chrysler Building di New York. Inizialmente osteggiata dall'élite artistica e letteraria della città, che con tale gesto tentava, in realtà, di affermare il proprio diritto alla contestazione, nel 1909 rischiò di essere demolita. Fu risparmiata unicamente perché si rivelò una piattaforma ideale per le antenne di trasmissione necessarie alla nuova scienza della radiotelegrafia. La costruzione al tempo era così ardita che più volte Eiffel dovette intervenire per rassicurare i Parigini che temevano che prima o poi sarebbe potuta crollare. La costruzione venne eseguita da oltre 300 operai che nei due anni di lavoro furono in grado di montare la sua struttura in acciaio di circa 10000 tonnellate di peso, collegando gli otre 18000 pezzi che la componevano, con ben 2.500.000 bulloni. A lavori ultimati la torre fece registrare un’altezza totale di 304 metri, con 3 piani posti rispettivamente a 57, 115 e 276 metri di altezza. Per raggiungere la sommità si devono salire 1665 scalini o utilizzare due ascensori panoramici, sicuramente più comodi.
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19 L'ingegnere Gustave Eiffel decise di far incidere, sotto la balconata del primo piano della torre, i nomi di 72 cittadini francesi - soprattutto scienziati e ingegneri - in segno di riconoscimento per i loro studi. I nomi, ben visibili dal suolo, si trovano su tutti i quattro lati della torre (18 per ciascun lato); erano stati ricoperti di vernice all'inizio del XX secolo, ma vennero recuperati e restaurati tra il 1986 ed il 1987. Curiosamente dell'elenco non fa parte nessuna donna: critiche furono in particolare mosse per l'esclusione della matematica Sophie Germain le cui ricerche sulla teoria dell'elasticitĂ furono cruciali per la costruzione della torre stessa.
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7. GALERIE DES MACHINES Edificio innovatore è la Galerie des Machines. La galleria delle Macchine è un edificio realizzato dall'architetto francese Ferdinand Dutert, con l'aiuto degli ingegneri Contamin, Pierron e Charton, in occasione dell'Esposizione Universale del 1889 tenutasi a Parigi. La necessità di creare un grande ambiente unico, senza pilastri, porta il progettista a realizzare una struttura metallica, sperimentando l'arco a tre cerniere.
Figura 27 - La facciata della Galerie d.M.
Figura 28 - Disegni strutturali della G.de M.
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Figura 29 - La Galerie des Machines agli inizi del 900
Figura 30 - La Galerie des Machines in un'immagine d'epoca Il primo disegno di Dutert prendeva spunto dai precedenti edifici delle Esposizioni parigine, con una struttura a cinque gallerie. Ci è oscura la scelta finale di realizzare un’unica galleria, coperta da un’immensa struttura reticolare in acciaio, alta 110,6 metri, ma viene principalmente etichettata come idea di Dutert. La struttura si sviluppava principalmente in larghezza, regalando alla vista un pregevole effetto di imponenza. La produzione dei prefabbricati in acciaio venne affidata alla FivesLille Company, che forniva le travi componibili con bulloni, direttamente il cantiere. Ing.Luigi Di Francesco
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Figura 31 Padiglione centrale delle Gallerie des Machines, Exposition Universelle di Parigi del 1889, da Louis Béroud (1852-1930). La copertura era realizzata mediante archi a sesto acuto a cerniere, due al suolo e una all'estremo superiore, in modo da compensare la dilatazione e il ritiro dell’acciaio nel caso di variazioni di temperatura. Questa particolare realizzazione di arco a tre cerniere, risultava staticamente perfetta per coprire grandi luci, ottenendo una struttura non labile ed in perfetto equilibrio. Si trattava di enormi semiarchi in acciaio, incernierati al suolo nell'estremo inferiore ed incernierati ad un altro semiarco all'estremità superiore. Si era in presenza di un'audacissima soluzione ingegneristica. Questo sistema permetteva di scaricare enormi quantità di peso al suolo, ed era una soluzione che probabilmente fu suggerita da Contamin 1 e Pierron. 1
Victor Contamin (1840-1893) è stato un ingegnere strutturista francese, esperto della resistenza di materiali, come ferro e acciaio . Egli è conosciuto per la Galerie des Machine dell’Exposition Universelle ( 1889) diParigi . Ha anche sperimentato l'uso di cemento armato .
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Figura 32 - Interno della galleria
Figura 33 - Cerniera base di un arco
I principali elementi innovativi e di spessore furono gli arconi, ripetuti venti volte in modo da dividere i 421 metri in 19 campate. Era la larghezza di 111 metri di ciascun arco la vera peculiarità tecnica della Galleria. Tale apertura fu resa possibile dall’impiego dell’acciaio, un nuovo materiale in questo periodo, che stava gradualmente rimpiazzando il ferro battuto. Le particolari caratteristiche dell’acciaio erano chiaramente la duttilità, la resistenza meccanica, l’alto carico di snervamento. Il materiale era buono, ma i processi di produzione limitavano fortemente lo spessore delle lamine. L'elemento più massiccio era di una lamina di 10 mm, anche se spesso era ridotta a 7 mm. Dove lo sforzo era maggiore, più di sei lamine venivano imbullonate insieme. Il sistema adoperato era quello dell’arco reticolare, semplice da realizzare e allo stesso tempo efficace dal punto di vista statico. Inoltre il design accurato della travatura degli archi, descriveva delle curve gentili, morbide, appena accentuate. Tutta questa accortezza di matrice ingegneristica era stata appositamente studiata nei minimi dettagli dagli ingegneri che lavorarono al progetto della Galleria. Tutti gli sforzi erano stati minuziosamente calcolati e ogni elemento era in grado di sopportare il carico distribuito su esso senza problemi. Grazie alle moderne tecnologie e ai sistemi di calcolo avanzati attuali, si è ricostruito il sistema adoperato per la Galleria per la realizzazione dello scheletro d’acciaio, con grande meraviglia legata alla straordinaria capacità degli ingegneri coinvolti nel progetto. È stato attentamente trattato anche il discorso legato alla sicurezza, che Dutert e Contamin avevano probabilmente grossolanamente esaminato. Infatti si crede che non avessero tenuto adeguatamente in considerazione la possibilità di deformazione dell’acciaio e i problemi legati alla sua flessione sotto compressione. La deformazione dell'acciaio era sicuramente conosciuta, ma loro non potevano essere in grado di quantificare le conseguenze della flessione quando si avevano delle simili configurazioni di travi. Loro avrebbero dovuto sapere che tale problema era sproporzionatamente grande per una struttura di tali dimensioni. Diverse fonti affermano che l'impiego dell'acciaio era stato deciso successivamente a degli esperimenti e tentativi per raggiungere le prestazioni desiderate. Victor Contamin nacque a Parigi nel 1840 . Fu ammesso alla École centrale des arts et produce a Parigi nel 1857, laureandosi nel 1860. La prima esperienza di lavoro di Contamin fu in Spagna . Nel 1863 entra a far parte del Chemins de Fer du Nord compagnia ferroviaria come progettista associato. Fu successivamente promosso Ispettore , Ingegnere ( 1876) ed Ingegnere Capo ( 1890) . Insegnò inoltre Meccanica Applicata presso l' Ecole Centrale 1865-1873 , e tenuto poi la cattedra di resistenza applicata fino 1891. Come un esperto riconosciuto sulla resistenza dei materiali , nel 1886 Contamin fu incaricato de controllo delle strutture metalliche nell’ esposizione del 1889. Fu lui a studiare tutti i progetti in termini di requisiti di resistenza delle costruzioni , anche come responsabile per il controllo in accettazione dei materiali , delle prove di carico e del monitoraggio delle strutture in ferro in fase di erezione. La Galerie des Machines fu riutilizzata nel 1900 per una successiva mostra , e demolita nel 1910 . Gli storici dell’arte sono concordi nel dare a Victor Contamin gran parte del merito della ideazione della G.d.M, in quanto principalmente opera ingegneristica. Tuttavia, più di recente, gli sautori hanno dato maggior credito al Dutert . Eugène Hénard , che assistitè Dutert , disse che il Palais des Machines combinava con successo l'aspetto estetico con gli aspetti ingegneristici, due elementi complementari.
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8. LES HALLES La zona al centro di Parigi, fungeva da mercato giĂ dal 1183
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Il primo progetto Boffrand per la realizzazione del mercato coperto (1748) ne consacrava simbolicamente la centralità con una architettura maestosa cui avrebbe aderito Napoleone I attraveso l'idea di un « Louvre del Popolo ». Per moltissimi anni il piano viene messo a punto, discusso, sconfessato; tra furiose polemiche Victor Baltard inizia nel 1854 i lavori di edificazione: dodici padiglioni in ferro separati da strade coperte, un capolavoro di leggerezza e trasparenza che acquisterà presto valore di modello, una nuova tipologia nata dalle trasformazioni economiche e sociali, cui guarderanno architetti e amministratori di tutta Europa. Nel 1854 l'architetto Victor Baltard riprogettò l'area, realizzando una struttura modulare a padiglioni in acciaio e vetro. L’area ha svolto questa funzione fino agli anni settanta quando i mercati generali sono stati trasferiti nella periferia della città. Per più di 800 anni Les Halles è stato il " ventre " di Parigi (così chiamato da Zola in uno dei suoi romanzi ) . Tutti i prodotti freschi richiesti dalla capitale si trovava in questo luogo. Nel corso del 19degli anni ’60 è apparso chiaro che i mercati erano troppo grandi, un peso per la città in continua espansione, la flotta di camion necessari intasavano il traffico. Si decise di spostare il mercato in una posizione più comoda fuori dei confini della città. A centroventi anni dalla sua realizzazione il mercato viene distrutto; i padiglioni non hanno una ruga, ma nonostante l'ondata di proteste vengono demoliti. Il « buco » dà origine ad una dei più dibattuti concorsi internazionali ed è ancora luogo di sperimentazione architettoniche.
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9. IL LIBERTY
Figura 34 -Progetto di Viollet le Duc per un edificio in muratura co pilastri in ferro. L’architettura, per tutto l’Ottocento, pur con motivazioni diverse, si era caratterizzata per il revival storicistico. Alla lunga, tale pedissequa applicazione di un formalismo stilistico senza alcuna ispirazione, iniziò a mostrare la sua stanchezza. Alla fine dell’Ottocento iniziarono le prime reazioni, che portarono in Europa alla nascita dell’architettura liberty, e in America alla nascita dell’architettura organica. Il liberty fu un movimento stilistico che coinvolse il gusto di un’intera epoca: quella belle époque, che caratterizzò l’Europa fino alla vigilia della Prima Guerra Mondiale. Esso nacque proprio in ambito architettonico, grazie al belga Victor Horta. Lo stile era molto decorativo, e si basava su invenzioni stilistiche che non avevano più nulla in comune con gli stili del passato. Negando tutto quell’apparato decorativo di colonne, capitelli o murature medievali, il liberty si basava sulla linea «a colpo di frusta» . Dal Belgio, dove fu chiamato «Art Nouveau», questo nuovo stile si diffuse in tutta Europa, prendendo vari nomi, che ne sottolineavano in ogni caso il carattere di novità: «liberty», in Inghilterra; «jugendstil», in Germania; «secessione», in Austria; «modernismo» in Spagna. In Italia, prima che si affermasse l’attuale denominazione di liberty, fu chiamato stile «floreale», poiché le decorazioni erano realizzate soprattutto con motivi vegetali. Il liberty coinvolse, oltre l’architettura, soprattutto la produzione di oggetti d’arredamento a produzione industriale. Proprio con il liberty, si può dire, nacque il design industriale. Si prese, in Ing.Luigi Di Francesco
27 questo periodo, maggior coscienza delle possibilità offerte dalle catene di montaggio, e la anacronistica polemica per un ritorno all’artigianato fu superata dalla dimostrazione che, anche con la produzione industriale, se opportunamente usata, si potevano ottenere oggetti di qualità. Nasceva così, per la prima volta, l’industrial design. La rivoluzione stilistica avviene nell’ultimo ventennio del secolo per merito di alcuni artisti attivi a Bruxelles quali Ferrand Khnoppff, Jan Toorop e alcuni pittori aderenti al gruppo “ Les Vingt ” (detti anche “Les XX”) quali giocheranno un ruolo importante per la diffusione dei principi del Movimento
delle Arts Crafts. AccantoKhnoppff a loro Figura 35and – Opere di Ferrand lavora la figura di Victor Horta, la cui opera era il corrispondente architettonico delle creazioni lineari dei pittori. Horta nasce a Gent nel 1861, studia arte e architettura presso l’accademia della sua città. Successivamente va a Parigi a fare un tirocinio quindi ritorna a Bruxelles per studiare all’Ecole des Beaux Arts. Dopo le prime case degli anni ottanta, peraltro di scarso interesse, nel 1892 progetta e realizza l’Hotel Tassel, opera che aprirà la strada all’Art Nouveau. E’ una casa a schiera di città, di tre piani, con una facciata molto stretta, caratterizzata da un volume centrale. L’edificio, che è un’opera straordinaria per la sua sintesi tra architettura e arti decorative, presenta i nuovi principi formali soprattutto all’interno, nell’ampio ingresso con la scala. “ Le innovazioni principali consistono nella schietta espressione della struttura metallica e nell’ ornamento a viticcio che gradualmente si trasforma in un corrimano dalle forme vegetali. Horta è uno dei primi architetti che fa uso del ferro nell’edilizia residenziale, ma è il trattamento del materiale che è innovativo. Il ferro, infatti, viene trattato come un filamento organico che si insinua nell’edificio e nella trasmutazione varia le sue forme diventando un corrimano, un pilastro, un apparecchio illuminante Non c’è più Ing.Luigi Di Francesco
28 differenza tra struttura e decorazione, tra strutture tridimensionali e apparati decorativi bidimensionali, ma tutti gli elementi concorrono, in una unica straordinaria sintesi ed in una continuità di forme, a definire il carattere dell’edificio. L’estetica delle forme organiche a “viticcio” domina tutti gli elementi architettonici e tutti gli spazi.
La Maison du Peuple, rispetto ai precedenti edifici residenziali di Horta. È caratterizzata da una diminuzione degli apparati più propriamente decorativi ed una enfatizzazione dei cara tteri “strutturali” , evidenziati, in particolare, dall’uso del ferro. Tali innovazioni emergono con maggiore forza e chiarezza proprio perché non sono più solo le strutture in vista e i materiali decorativi a sottostare alle nuove regole organiche, ma è l’intero edificio che, nella sua fluidità di pianta e di alzati, determina una straordinaria continuità espressiva.
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10. LA DIFFUSIONE DEL LIBERTY L’uso del ferro e delle grandi vetrate è uno degli elementi caratteristici del Liberty che troviamo nelle opere dei grandi architetti, ma anche nelle costruzioni più comuni, e nei centri urbani più lontani dalle grandi metropoli. E’ interessante vedere come si possa ritrovare nell’ architettura comune come ad esempio nel refettorio di un istituto scolastico retto da suore orsoline in un piccolo villaggio belga.
Figura 36 Winter Garden a Onze-Lieve-Vrouw-Waver L'Istituto delle Orsoline nel piccolo villaggio di Onze - Lieve- Vrouw - Waver ( OLVWD ) in Belgio, è una prestigiosa scuola fondata nel 1841. L'architettura del complesso dell'Istituto e il monastero è unico nella sua combinazione di diversi stili come il neoclassicismo , neogotico , neoromanico , stile Impero e Art Nouveau .
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30 L'Istituto dispone di un magnifico giardino set " Wintertuin " Inverno in stile art nouveau . Tuttavia a i più ignorano questo capolavoro che è stato costruito nel 1900 e serve come zona di accoglienza per i visitatori che vengono a visitare gli studenti dell'Istituto. Una delle ragioni per la mancanza di consapevolezza su questo magnifico giardino d'inverno è dovuto al fatto che visitatori occasionali, turisti e curiosi non sono ammessi. La lunga e magnifica copertura in vetro colorato del conservatorio è un classico esempio la bellezza abbagliante di architettura Art Nouveau, con influenze dell'arte giapponese . E 'un raro e forse unico esempio di istituzione educativa cattolica in stile Liberty. Il modello e il designo di tutta la vetrata sono stati creati con dettagli minuziosi , producendo una magnifica miscela di luce e colore . Altri pannelli dal design floreale formano le pareti e l' intero tetto in vetro colorato e le finestre sono divise tematicamente . La parete di vetro ad est rivolto, verso il sole del mattino mostra il sole che sorge su un lago con fiori di iris ed un airone che cattura un pesce, mentre la parete sul lato opposto è più scura e rappresenta la notte con la luna che si riflette dai monti sul lago, mentre si chiudono ninfee ed iris e un gufo vola. La zona centrale ha fiori che sbocciano con rondini, che annunciano l'arrivo della primavera . I mobili , i pavimenti, le pareti e la veranda sono tutti in armonia con l'ambiente circostante . Le finiture e gli arredi , anche dopo più di 100 anni , hanno mantenuto il colore originale e sono in condizioni superbe .
Purtroppo l'identità dell'architetto di questo magnifico giardino d'inverno non è noto.
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11. LE COSTRUZION IN FERRO IN ITALIA
Anche in Italia non mancano esempi di costruzioni in acciaio sia nel campo dei ponti, sia nel settore dell’edilizia civile.
PONTE REAL FERDINANDO SUL GARIGLIANO l ponte borbonico "Real Ferdinando" sul Garigliano (1832), è un ponte sospeso situato nei pressi dell'area archeologica di Minturnae (Minturno), sul confine fluviale che dal 1927 Lazio e Campania
Fu il primo ponte sospeso realizzato in Italia, a catenaria di ferro, e secondo ponte in Europa (ma primo ponte sospeso nell'Europa continentale), dato che il primato assoluto europeo spetta alla Gran Bretagna (1824). Fu esempio di architettura industriale del Regno delle Due Sicilie che dal punto di vista tecnico costruttivo era per quei tempi all'avanguardia in Europa. Un ponte simile, il Ponte delle Catene, fu costruito a Lucca circa 10 anni dopo. L'idea progetto Luigi Giura 1826 altezza colonne
7.00
inaugurato
1832 diametro colonne
2.50
distrutto
1943 lunghezza catene
129.50
ricostruito
1998 larghezza impalcato
5.50
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38 La primogenitura dell'idea di un ponte sospeso in ferro la si deve allo spirito poliedrico e innovatore di Carminantonio Lippi che avanzò la proposta in una serie di cinque memorie, la prima delle quali risale al 1817. lunghezza impalcato 80.40
L'idea del Lippi risultava anticipatrice sia per la tipologia che per l’utilizzo del ferro quale materiale costruttivo primario. L'idea, pur sostenuta dal proverbiale spirito battagliero dello scienziato proponente, inizialmente non ebbe però sufficiente credito. Il Lippi, in qualità di esperto mineralogista e grazie ai viaggi che un decennio prima aveva condotto nell'Europa settentrionale, colse con largo anticipo rispetto all'ambiente scientifico italiano, le reali potenzialità del ferro nel campo dell’edilizia, mostrando al contempo una notevole sagacia imprenditoriale.» Quella del Lippi, fu un’ipotesi di ricerca che gli ingegneri del Corpo borbonico di Ponti e Strade non seppero cogliere in quegli anni. L'ingegner Ignazio Stile, incaricato della relazione, utilizzando argomentazioni speciose, riuscì addirittura a bollare la tipologia come retrograda, in quanto espressione tecnologica di civiltà da lui considerate culturalmente arretrate (il riferimento è al Perù con ponti di corda degli Inca e ai ponti tibetani della Cina himalayana). Ecco come l'ingegner Stile si esprimeva negativamente sul progetto: « I viaggiatori ne dicono che tal generazione di Ponti vien costumata da' Cinesi, e da' Peruani. I primi con verace catene, e colle funi i secondi. [...] I cinesi, però, ed i Peruani, non sono le nazioni le più culte della terra, e perciò i loro prodotti risentir debbono della debolezza de’ loro ingegni. Ecco perché gli Europei che da più tempo trafficano nella Cina e nel Perù, e che dal p.mo momento han riportata tra noi l’esistenza di tali ponti non han creduto esser ben fatto imitarli, e l'hanno trascurati, e messi nel numero delle cose di cui non debba farsene conto [...] » Nel 1825, l'ingegner Luigi Giura2, riprendendo l'innovativa idea della realizzazione del ponte sospeso, così recisamente accantonata, scelse come modello di riferimento, in un primo momento, il ponte dell’Unione sul fiume Tweed (1820) presso Paxton in Scozia, anche per il successo che tale struttura aveva riscosso nell’ambiente culturale napoletano (come testimoniano i trattati di architettura di Francesco De Cesare e di Nicola d'Apuzzo). Nel 1828, dopo numerosi viaggi condotti in Inghilterra e in Francia, presentò un progetto differente dalla prima ipotesi e che faceva riferimento, apportandone numerose variazioni, al "Pont des Invalides" di Parigi, che presentava difetti di stabilità prima ancora di essere portato a termine.
Il progetto e la realizzazione Su incarico di Francesco I di Borbone, padre di Ferdinando II, la progettazione fu affidata all'ingegner Luigi Giura, che ne diresse anche l'esecuzione. Sostituì la fragile scafa risolvendo, almeno per un secolo, l'attraversamento del fiume. I lavori furono iniziati nel 1828 e terminati il 30 aprile 1832: l'inaugurazione alla presenza del re avvenne dieci giorni dopo, il 10 maggio 1832: il sovrano si pose al centro della campata e ordinò che sul ponte passassero due squadroni di lancieri al trotto e ben sedici traini d'artiglieria.
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Ispettore del Corpo Ponti e Strade del Regno delle Due Sicilie, è noto per la progettazione e realizzazione del secondo ponte sospeso d'Europa (1832), nonché primo ponte sospeso nell'Europa continentale. Nasce nel 1795 a Maschito, piccolo centro arbëreshë nel Vulture-Melfese in Basilicata. Dopo aver appreso i primi studi a Maschito, si spostò a Napoli per frequentare i corsi universitari. Risulta nel gruppetto iniziale di studenti presso la Scuola di applicazione in Ponti e Strade promossa dal re Gioacchino Murat con Decreto del 4 marzo 1811, diretta da Carlo Afan de Rivera e antenata, a tutti gli effetti, della Facoltà di Ingegneria della Università Federico II di Napoli.
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39 I componenti costruttivi metallici erano stati prodotti nelle ferriere calabresi di Cardinale, di proprietĂ del generale Carlo Filangieri, principe di Satriano e duca di Cardinale. La spesa fu di 75 000 ducati, a carico del regno.
La distruzione e il restauro Il 14 ottobre 1943 la campata fu minata in due punti e fatta saltare in aria dall'esercito tedesco, attestato lungo la linea Gustav e in ritirata verso Roma dopo l'armistizio. Tuttavia i piloni e le relative basi non subirono danni irreparabili. Il ponte è stato restaurato con un progetto di archeologia industriale finanziato dalla Comunità Europea Il ponte è, finalmente, aperto alle visite del pubblico in concomitanza con gli orari del vicino Comprensorio Archeologico Minturnae.
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Il ponte come appariva prima di essere distrutto .
IL PONTE MARIA CRISTINA Il Ponte sul Garigliano non fu l’unico ponte sospeso costruito da Luigi Giura, a Solopaca sul Calore fino alla fine della seconda guerra mondiale era presente un altro ponte simile. L'antico ponte intitolato a Maria Cristina di Savoia, moglie di Ferdinando II, venne distrutto dai tedeschi e ricostruito in cemento armato tra il 1946-1947. Oggi rimangono i ruderi di uno dei primi esempi in Italia di ponte sospeso in ferro;costruito dall'architettto Luigi Giura, inaugurato il 5 Aprile 1835 da Ferdinando II di Borbone e dalla regina Maria Cristina di Savoia come ricorda la lapide inserita all'interno del pilastro destro posto oggi a ridosso del terrapieno.
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Figura 37 - Ponte Maria Cristina sul Calore La costruzione di un ponte sul fiume Calore che unisse la Valle Telesina al Taburno fu una impresa provata numerose volte ma mai portata a termine a causa delle continue piene che impedivano qualsiasi cantiere. Nella prima metà del XVII secolo, si diede inizio all'edificazione di un ponte in località "pedastri viecchi". Completati i due pilastri sulle sponde ed il primo pilone centrale, no si riuscì a portare a termine anche il secondo pilone per le numerose difficoltà incontrate. Nel 1812 si tentò di piantare il secondo pilone senza riuscirci mentre nel 1815 finalmente si riuscì a piantarlo ma l'ennesima alluvione lo sradicò come se non fosse mai stato costruito. Nel 1828 le province del Molise e di Terra di Lavoro si accordarono per dividersi le spese per la costruzione di un nuovo ponte, chiedendo al Re Ferdinando II che fossero stati adottati gli stessi criteri per il ponte che allora si era iniziato a costruire sul Garigliano. Il Re accettò ed incaricò dell'opera lo stesso progettista, l'ingegnere Luigi Giura. Questi a seguito dei suoi sondaggi decise di non costruire il ponte dove erano già i piloni ma di spostarsi a circa 1 km di distanza dove il suolo roccioso delle sponde assicurava un solido ancoraggio per un ponte pensile. I lavori cominciarono nel luglio 1832 e non subirono imprevisti grazie ai meticolosi e puntigliosi calcoli del Giura che arrivò addirittura a calcolare gli effetti che le variazioni di temperatura avrebbero avuto sulle catene di ferro. Il ponte venne fornito anche di un custode che impediva il passaggio di mezzi superiori alle 2,5 tonnellate. Ing.Luigi Di Francesco
44 Il 4 ottobre 1943 i tedeschi in risalita fecero saltare l'antico ponte pensile provocando anche la morte di diverse persone. La ricostruzione avvenne nello stesso sito della precedente architettura ma con una struttura completamente diversa ed in cemento armato. A guardia di quel ponte vennero posizionati quattro leoni in pietra. Leoni che restarono a fare la guardia sul fiume Calore anche sul ponte ricostruito in seguito ai bombardamenti Alleati del 1943. I quattro leoni sono poi scomparsi tra il 7 e l’8 luglio 2003 quando vennero trafugati i primi due leoni, a cui seguÏ il furto degli altri due tra il 30 e 31 luglio. Infine, seguÏ, il furto dei basamenti in pietra, avvenuto nella notte tra il 2 e il 3 novembre dello stesso anno.
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45 IL PONTE DI PADERNO SULL’ADDA Il ponte in ferro di Paderno d’Adda rappresenta un reperto di archeologia industriale del XIX secolo di indiscusso valore storico, ingegneristico ed architettonico. Costruito dalla Società Nazionale delle Officine di Savigliano (SNOS) tra il 1887 ed il 1889, esso offre un collegamento ferroviario e stradale tra le province di Lecco e Bergamo, poco a nord-ovest di Milano, scavalcando il fiume Adda tra i comuni di Paderno d’Adda e Calusco d’Adda, ad una quota di circa 85 m sul livello delle piene. Il ponte, progettato dall'ingegnere svizzero Jules Röthlisberger (1851-1911)[1] e realizzato dalla Società Nazionale Officine di Savigliano[2] (il cui ufficio tecnico era diretto da Röthlisberger), è lungo 266 metri e si eleva a 85 metri al di sopra del livello del fiume.
Figura 38- Il ponte di Paderno sull'Adda Fu tra i primi esempi di costruzione che utilizzò la teoria dell’ellisse di elasticità e venne successivamente studiato a livello europeo. Esso è formato da un'unica campata in travi di ferro da 150 metri di corda, che sostiene, tramite 7 piloni sempre in ferro, un'impalcatura a due livelli di percorribilità, il primo ferroviario e il secondo (6,3 metri più in alto) stradale. La sede stradale è larga cinque metri ed è a singola corsia. Nel più basso dei due livelli del ponte passa la linea ferroviaria elettrificata Seregno–Bergamo, mentre sul livello superiore si trova la strada carrabile che collega la provincia di Lecco a quella diBergamo. La campata è costituita da due archi parabolici simmetrici e affiancati, leggermente inclinati tra loro e a sezione variabile più snella verso la cima.
Figura 39 - vedute della via di corsa inferiore adibita al transito ferroviario
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46 Il ponte risultò un'opera di ingegneria imponente per l'epoca, con 100.000 chiodi ribattuti che reggono le oltre 2.500 tonnellate della complessa struttura a maglie triangolari degli archi, dei piloni e dei due livelli percorribili. Il doppio arco da solo pesa oltre 1.320 tonnellate, mentre la travata principale raggiunge le 950 tonnellate e i piloni ammontano a 245 tonnellate. Per le sue peculiarità tecniche, il ponte è considerato un capolavoro di archeologia industriale italiana, nonché una delle più notevoli strutture realizzate dall'ingegneria ottocentesca. All'epoca della sua costruzione, il ponte San Michele era il più grande ponte ad arco al mondo per dimensioni e il quinto in totale per ampiezza di luce.
IL PROGETTISTA L'autore del «ponte di Paderno» - l'Ing. Giulio Rothlisberger - nasce a Neuchatel (Svizzera) il 17 febbraio 1851 e compie gli studi presso il Politecnico di Zurigo, dove apprende gli insegnamenti dell'ingegnere tedesco Karl Culmann, considerato il fondatore della “statica grafica”. Diplomatosi nel 1872, si dedica subito alla progettazione di costruzioni meccaniche. Nel suo ufficio tecnico entrano a far parte anche gli ingegneri Paul Simons e Moritz Prohst con i quali disegna strutture ardite di viadotti a pile metalliche, nonché archi tralicciati alcuni dei quali ancora in funzione. A partire dal 1885 l'ing. Rothlisherger passa alle dipendenze delle «Officine di Savigliano» dove per 25 anni ricopre il ruolo di capo ufficio tecnico e dove lavora alla progettazione di ponti in Svizzera, in Ungheria, in Romania. Agli inizi del secolo una malattia lo costringe a lasciare il prestigioso incarico, ma lavora ancora come consulente fino al 1911, quando, all’età di sessant'anni, muore di polmonite nella sua abitazione di Chaumont.
LA GALLERIA UMBERTO I La Galleria Umberto I è una galleria commerciale costruita a Napoli tra il 1887 e il 1890. La zona su cui sorge la Galleria era già intensamente urbanizzata nel XVI secolo ed era caratterizzata da un groviglio di strade parallele raccordate da brevi vicoli, che da via Toledo sboccavano di fronte a Castel Nuovo. Questi vicoli godevano di cattiva fama in quanto vi si trovavano taverne, case di malaffare e vi si consumavano delitti di ogni genere. La fama conquistata nei secoli dalla zona si mantenne per quasi tutto l'Ottocento. Negli anni ottanta del XIX secolo il degrado toccò punte estreme: nei vicoli si levavano edifici a sei piani, la situazione igienica era pessima e non fa meraviglia che tra il 1835 ed il 1884 in questa area si fossero verificate ben nove epidemie di colera. Sotto la spinta dell'opinione pubblica, dopo l'epidemia del 1884 si cominciò a considerare un intervento governativo. Figura 40 La Galleria Umberto 1° vista dall'alto
Nel 1885 fu approvata la Legge per il risanamento della città di Napoli (quel periodo fu appunto detto del risanamento). Furono presentate Ing.Luigi Di Francesco
47 varie proposte, il progetto che risultò vincente fu quello dell'ingegner Emmanuele Rocco, poi ripreso da Antonio Curri ed ampliato da Ernesto di Mauro successivamente. Tale progetto prevedeva una galleria a quattro braccia che si intersecavano in una crociera ottagonale coperta da una cupola. Le demolizioni degli edifici preesistenti (ad esclusione del palazzo Capone) iniziarono il 1 maggio 1887 ed il 5 novembre dello stesso anno fu posta la prima pietra dell'edificio. Nel giro di tre anni, precisamente il 19 novembre 1890, la nuova galleria veniva inaugurata.
Tipico esempio di architettura umbertina - simile alla Galleria Vittorio Emanuelea Milano la Galleria di Napoli è uno degli edifici del genere più imponenti d'Italia, per la maestosità dell'architettura in ferro e vetro e le grandiose proporzioni La Galleria è caratterizzata da una splendida copertura trasparente a struttura di ferro, con una cupola alta 57 metri e mezzo, impostata su un ottagono di 36 metri. Da notare anche il bel pavimento, a marmi policromi. Famosa in passato come luogo di ritrovo di artisti e intellettuali, la Galleria è ancora oggi uno dei siti più frequentati della città.
Figura 42 In terno della galleria Umberto I
Figura 41 Particolare del soffitto dell'ingresso principale
L'ingresso principale, che si apre su via San Carlo, è costituito da una facciata ad esedra, che in basso presenta un porticato architravato, retto da colonne di travertino e due archi ciechi, l'uno d'accesso alla galleria, l'altro aperto sull'ambulacro. Seguono un ordine di finestre a serliana, separate da coppie di lesene dal capitello composito, ed un secondo piano con finestre a bifora e lesene simili alle precedenti. L'attico presenta coppie di finestre quadrate e lesene dal capitello tuscanico, quest'ultime tra le finestre sono scanalate.
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Figura 43 Vista verso il San Carlo
Figura 44 dell'interno
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Visuale
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INTERNO L'interno della galleria è costituito da due strade che si incrociano ortogonalmente, coperte da una struttura in ferro e vetro. Le delimitano alcuni palazzi, quattro dei quali con accesso dall'ottagono centrale. Le loro facciate rispecchiano quella principale, infatti l'ordine inferiore è diviso da grandi lesene lisce, dipinte a finto marmo che inquadrano gli ingressi dei negozi e dei soprastanti mezzanini. Seguono al primo piano le serliane, al secondo le bifore, nell'attico le finestre quadrate.
Figura 45 La cupola della Galleria vista dall'interno
La volta, in vetro e ferro, progettata da Paolo Boubée, riesce ad armonizzarsi perfettamente con la struttura in muratura, a ciò contribuisce lo stretto rapporto fra le strutture portanti in muratura e quelle in ferro. Negli otto pennacchi della cupola otto figure femminili in rame sostengono lampadari. Gli ampi ventagli posti nelle testate dei bracci recano complesse scene in stucco, tutte in relazione con la musica. Sul tamburo della cupola, decorato con finestre a semicerchio, è visibile la Stella di Davide, riproposta in tutte e quattro le finestre. La ragione della sua presenza è dovuta al fatto che la Galleria Umberto I è la sede storica della massoneria napoletana, in particolare della loggia massonica Grande Oriente d'Italia. La stella di David in questo caso - oltre essere sé stessa - in quanto è formata da due triangoli invertiti, rappresenta il simbolo della massoneria. . Nel pavimento sotto la cupola si trovano mosaici con venti e segni dello zodiaco firmati dalla ditta Padoan di Venezia, che li realizzò nel 1952 a sostituzione degli originali danneggiati dal calpestio e dalla guerra. I bombardamenti provocarono la distruzione di tutte le coperture in vetro. Nel braccio verso via Verdi si trova una scritta che ricorda la locanda Moriconi che nel 1787 aveva ospitato Goethe.
Figura 46 - La cupola della galleria U.I°
La Galleria oggi Progettata anche con l'intento di essere essa stessa un'opera monumentale, al pari delle altre circostanti (Maschio Angioino, Real Teatro San Carlo, Palazzo Reale, Basilica di San Francesco Di Paola)[2] la galleria Umberto I, sin dalla sua costruzione, divenne immediatamente un fondamentale polo commerciale della città di Napoli, grazie anche all'ubicazione che la vede circondata dalle Ing.Luigi Di Francesco
50 strade dello struscio quali Via Toledo, Via Santa Brigida e la non lontana Via Medina. Anche per la sua vicinanza a importanti luoghi della cultura e della politica, la Galleria ben presto divenne anche centro mondano della città. Questa ha ospitato per oltre 50 anni gli sciuscià, i lustrascarpe della città. Farsi lustrare le scarpe all'interno della galleria, era una usanza consentita agli uomini chic della città di Napoli. All'interno della Galleria ci sono gli ingressi di quattro stabili, strutturati su tre piani, di cui i primi due sono utilizzati quasi unicamente per le attività commerciali presenti in Galleria (per lo più negozi di moda e abbigliamento, ristoranti e caffè), mentre l'ultimo piano resta destinato ad abitazioni private o alberghi. L'interno degli edifici ha recentemente subito un intervento di restauro che ha riportato all'aspetto originario le molte sculture decorative, gli imponenti busti e le caratteristiche decorazioni liberty.
Figura 47 - La galleria Umberto 1° da piazza Plebiscito
Figura 48 - scorcio dell'interno della galleria Umberto 1° Ing.Luigi Di Francesco
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Col tempo le costruzioni in acciaio si sono sempre pi첫 diffuse, anche se spesso mantenendo forme e stilemi del passato come i pilastri di questa stazione della metropolitana di Napoli costruita nel1925
Figura 49 - La stazione della Metropolitana di Campi Flegrei a Napoli
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12. L’ACCIAIO OGGI Grazie alla loro leggerezza le strutture in acciaio consentono soluzioni efficienti sia dal punto di vista acustico che termico permettendo l’integrazione di tutti i materiali più innovativi idonei allo scopo. Le strutture in acciaio non precludono l’uso degli altri materiali da costruzione come legno e vetro e permettono verniciature, trattamenti per la resistenza al fuoco e finiture superficiali di ogni tipo. Dal punto di vista statico le strutture in acciaio si vanno diffondendo specialmente per le grandi strutture, perché sono intrinsecamente più sicure e sono sismicamente più prestanti. Le giunzioni, spesso a vista, consentono un facile controllo, anche dopo diversi anni. I materiali e la loro qualità sono testati a priori e non dipendono da miscelazioni o da condizioni atmosferiche, ed hanno un’elevata duttilità che permette loro di resistere facilmente oltre il limite elastico.
Figura 50 - attacco in fondazione di un pilastro in acciaio
Figura 52 - Copertura con struttura reticolare
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Figura 51 - Nodo di una struttura in acciaio
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Figura 53 -Disegni costruttivi e realizzazione di un nodo in acciaio Nella costruzione di strutture di grande luce sono spesso usate le travi reticolari, in particolare nella realizzazione di edifici industriali. Le travi reticolari sono strutture formate da aste rettilinee, mutuamente collegate a cerniera ai loro estremi in punti chiamati nodi secondo una disposizione geometrica ordinata in modo tale da formare un sistema indeformabile.
Le strutture reticolari offrono una delle più antiche soluzioni al problema delle coperture. Esse hanno tratto la propria origine dalla necessità di impiegare strutture sempre più leggere per superare luci sempre più grandi. La travatura è formata da due elementi continui chiamati correnti, e da un'anima scomposta in elementi lineari. Di questi ultimi, alcuni sono disposti in verticale, altri inclinati. Gli elementi verticali vengono denominati montanti, quelli inclinati vengono chiamati diagonali. Tenendo conto del meccanismo resistente della struttura reticolare è possibile ridurre il numero delle aste al minimo strettamente necessario, disponendole a triangolo, con lati e angoli simili per garantire una regolare distribuzione degli sforzi, ed un’elevata rigidezza strutturale.
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Figura 54 - Ponte in ferro con struttura reticolare
Figura 55 - Capriata Palladiana
L’impossibilità di coprire, mediante tali schemi semplici, luci sempre più grandi ha condotto via via all’inserimento di ulteriori elementi strutturali al fine di aumentarne la rigidezza e la luce libera, con la realizzazione di elementi sempre più complessi. La caratteristica fondamentale di una struttura reticolare spaziale in acciaio è la conformazione del nodo di giunzione, il quale permette di modellare nelle forme sia grandi che piccole strutture. Sono realizzabili strutture reticolari spaziali di forme piramidali, curvilinee, cilindriche, coniche e sferiche. Le strutture reticolari spaziali in acciaio sono utilizzabili sia in copertura che in parete o per altre soluzioni tecnologiche. Un altro vantaggio è la leggerezza e robustezza, senza tralasciare l'estetica.
Figura 56 - Travi reticolari spaziali
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13. LE STRUTTURE GEODETICHE
Una cupola geodetica è una struttura emisferica composta da una rete di travi giacenti su cerchi massimi (geodetiche). Le geodetiche si intersecano formando elementi triangolari che giacciono approssimativamente sulla superficie di una sfera; i triangoli sono tutti molto simili tra loro ed essendo rigidi garantiscono la robustezza locale, mentre le geodetiche formate dai loro lati distribuiscono gli sforzi locali sull'intera struttura. La cupola geodetica è l'unica struttura che diventa proporzionalmente più resistente all'aumentare delle dimensioni. Quando la struttura forma una sfera completa, viene detta sfera geodetica. Fra tutte le strutture costruite con elementi lineari, la cupola geodetica è quella con il massimo rapporto fra volume racchiuso e peso (massimo volume con il minimo peso): strutturalmente sono molto più forti di quanto sembrerebbe guardando le travi che le costituiscono. Durante la costruzione di una cupola geodetica c'è un momento in cui la struttura raggiunge la "massa critica" necessaria e si assesta distribuendo i carichi, sostenendo in seguito i ponteggi ad essa fissati, per la prosecuzione della costruzione. Il progetto tradizionale, con carta e matita, di una cupola geodetica è molto complesso, in parte perché non esistono progetti standard di cupole geodetiche pronti, da scalare dimensionalmente secondo le necessità, ma ogni cupola deve essere progettata da zero in base alle dimensioni, alla forma e ai materiali. Esistono dei criteri di progettazione basati sull'adattamento di solidi platonici, come l'icosaedro: essenzialmente consistono nel proiettare le facce del solido sulla superficie della sfera che lo circoscrive. Non c'è un modo perfetto di eseguire una simile operazione, perché non è possibile conservare contemporaneamente i lati e gli angoli originali, e il risultato è una soluzione di compromesso basata su triangoli e geodetiche solo approssimativamente regolari. Il progetto di geodetiche si può estendere a superfici di forma qualsiasi, purché curva e convessa; in questi casi però si rende necessario calcolare separatamente ogni trave della struttura, facendo lievitare i costi. A causa delle difficoltà di progetto delle cupole geodetiche i costruttori tendono a standardizzarle e a costruire solo pochi modelli di dimensioni prefissate. Il calcolo computerizzato di strutture complesse (come la struttura geodetica) ha reso molto più veloce e semplice il corretto dimensionamento strutturale, e la previsione del comportamento della struttura ad eventi concomitanti, come il sisma la neve ed il vento. Naturalmente previa costituzione di un corretto modello di calcolo, fatto che non è necessariamente banale. Uguale situazione si ha realizzando disegni tecnici di strutture geodetiche, che sono di difficile realizzazione con carta e matita; il disegno CAD di modellazione tridimensionale assistita da calcolatore aiuta in maniera sostanziale la realizzazione del disegno, e per via indotta la successiva realizzazione CAD di progettazione assistita da calcolatore. Ing.Luigi Di Francesco
56 La prima cupola geodetica propriamente detta fu progettata poco dopo la prima guerra mondiale da Walter Bauersfeld, ingegnere capo delle industrie ottiche Carl Zeiss, per alloggiare il proiettore di un planetario: la cupola fu brevettata e costruita nel 1922 dalla ditta Dykerhoff e Wydmann sul tetto degli impianti Zeiss di Jena, in Germania, e aperta al pubblico nello stesso anno. Circa trent'anni dopo, R. Buckminster Fuller riscoprì l'idea apparentemente da solo e battezzò la cupola "geodetica" dopo una serie di esperimenti sul campo con Kenneth Snelson e altri al Black Mountain College nei tardi anni quaranta. Sebbene non si possa affermare che Fuller sia l'inventore della cupola geodetica egli sfruttò e sviluppò l'idea, ricevendo un brevetto americano. La cupola geodetica affascinò Fuller perché era estremamente resistente rispetto al proprio peso, perché la sua struttura "triangolare" era intrinsecamente stabile e perché racchiudeva il massimo volume possibile con la minima superficie; sperava che la sua cupola contribuisse a risolvere la crisi degli alloggi postbellica. Infatti da un punto di vista ingegneristico le cupole geodetiche sono molto superiori alle tradizionali costruzioni costituite da parallelepidi e formate da pilastri, travi e solai: le costruzioni tradizionali usano i materiali in modo molto meno efficiente, sono molto più pesanti e molto meno stabili. Tuttavia le costruzioni geodetiche presentano anche degli svantaggi: le loro reazioni agli stress sono molto diverse e possono confondere gli ingegneri: alcune tensostrutture si contraggono mantenendo la loro forma se caricate, altre invece no. Per esempio, una cupola a Princeton fu colpita da una forte nevicata: lo sforzo supplementare dato dal peso della neve fu distribuito fra tutte le travi e alcune di esse uscirono dai supporti dal lato opposto a quello dove era concentrato il peso. A tutt'oggi il comportamento delle forze di trazione e compressione nelle varie strutture geodetiche non è ancora ben compreso. La cupola geodetica fu adottata con successo per usi industriali specialistici, come la cupola della Union Tank Car Company di Baton Rouge, in Louisiana, costruita nel 1958, ed altri edifici speciali come la cupola Henry Kaiser e osservatori meteorologici, auditorium, magazzini; in breve tempo questo tipo di cupola batté tutti i record di superficie coperta, di volume racchiuso e di velocità di costruzione. L'esercito americano, sfruttando la stabilità di questa struttura, sperimentò modelli di cupola prefabbricati trasportabili da elicotteri.
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Figura 57- Esempi di cupole geodetiche Vantaggi delle cupole geodetiche Queste cupole sono molto resistenti, e sono tanto più resistenti quanto più sono grandi. La struttura base può essere eretta molto rapidamente con elementi leggeri e una piccola squadra di operai: cupole di 50 metri di diametro sono state costruite in zone isolate con materiali di fortuna e senza l'uso di una gru. La cupola è anche aerodinamica, e può reggere forti carichi eolici, come quelli creati dagli uragani. È possibile riscaldarle con l'energia solare montando una striscia di finestre attraverso la cupola: più sarà necessario riscaldarla, più dovrà essere ampio il settore finestrato, per ricevere calore per la maggior parte dell'anno.
14. COSTRUZIONI IN ACCIAIO IN ZONA SISMICA In Italia le prime Norme che hanno trattato la materia sismica sono la Legge di novembre del 1971 e quella di febbraio del 1974. Dopo qualche anno dal terremoto in Friuli (1976), il Decreto MLP del 14 luglio 1984 ha introdotto una classificazione, piuttosto generica, del territorio nazionale in aree a basso e ad alto rischio sismico, da allora la normativa e la classificazione sono state costantemente aggiornata fino alle attuali N.T.C. 2008. Tuttavia per quanto la normativa sia aggiornata ai metodi di costruzione più recenti ed agli indirizzi europei in materia (c.d. Euronorme) da tempo è stata evidenziata la fragilità del patrimonio costruito in Italia. Tale fragilità non contraddistingue soltanto il patrimonio storico e monumentale, ma anche e soprattutto edifici di realizzazione recente, sia perché costruiti in zone non ritenute sismiche fino alle ultime classificazioni del territorio, sia perché costruite secondo normative oggi ritenute non del tutto sufficienti a garantire una resistenza abbastanza elevata, ovvero perché spesso costruite senza rispettare le normative precedenti la NTC 2008, che pure avrebbe consentito loro una soddisfacente capacità di resistenza.
Figura 58 -MUSEO ENZO FERRARI. Nuova area espositiva dall’andamento sinuoso, realizzata con struttura portante in travi reticolari spaziali in acciaio. La struttura non ha riportato danni nel recente terremoto dell’Emilia.
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I terremoti più recenti hanno distrutto o reso inagibile, un numero di edifici sproporzionato rispetto all’intensità degli eventi sismici che sono stati sì di forte entità, ma non paragonabili ad eventi tellurici molto più forti accaduti in Giappone e negli USA che, pure, non hanno fatto danni tanto elevati. In tali paesi le costruzioni in genere e quelle antisismiche in particolare, sono realizzate prevalentemente con struttura in acciaio.
58 Le strutture in acciaio garantiscono la possibilità di assorbire l’energia sismica, utilizzando le elevate riserve plastiche tipiche del materiale, tramite l’uso di dettagli costruttivi decisamente meno onerosi rispetto a quelli che sarebbe necessario prevedere con altri materiali. Inoltre, le costruzioni metalliche sono caratterizzate da pesi strutturali decisamente inferiori rispetto alle soluzioni costruttive con materiali tradizionali, riducendo perciò l’entità delle forze inerziali generate dal sisma sulla struttura e garantendo al contempo una più efficace capacità di dissipare l’azione sismica. Il progetto del nuovo ristorante aziendale della Ferrari intende essere un’opera formalmente distinta dall’ambiente industriale che lo circonda, e rappresentare un luogo la cui architettura favorisca lo svago dei dipendenti durante il pranzo, un luogo che aiuti a socializzare attraverso luce, trasparenza, innovazione volumetrica e spaziale.
Figura 59 - MARANELLO (MO), 2008. Ristorante aziendale Ferrari S.p.A. – Volume ellittico con rivestimenti e strutture portanti in carpenteria metallica. Situazione post-sisma: nessun danno.
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15. P.L. NERVI
L’ing. PierLuigi Nervi, nato a Sondrio nel 1891, oltre a molte opere, realizzò il progetto e costruzione dell’Hangar di Orbetello, il quale ospitò gli idrovolanti S.55, autori delle famose trasvolate Atlantiche e Mediterrane. Questo Hangar venne costruito negli anni trenta e la peculiarità di questa costruzione era la totale assenza di pilastri al suo interno e tutta la struttura poggiava su un numero limitato di pilastri. Tutto questo fu possibile adottando la tecnica costruttiva di travi incrociate a forma geodetica, una soluzione innovativa per l’epoca. Purtroppo, di tale “monumento” non v’è più traccia, al termine della seconda guerra mondiale, i tedeschi in ritirata minarono le basi di questa opera distruggendola. L'idea principale del lavoro di Nervi è la staticità , ha detto : "Sempre nel mio lavoro di ingegneria ho osservato che i suggerimenti statici interpretati e definiti con paziente opera di ricerca e di proporzionamento sono le più efficaci fonti di ispirazione architettonica . Per me questa regola è assoluta e non ci sono eccezioni " . Nato a Sondrio nel 1891 , Nervi è stato uno dei maestri indiscussi di architetture strutturali nel panorama internazionale ed ingegnere di edifici straordinari , la cui produzione abbracciato gran parte del ventesimo secolo . Le sue soluzioni tecnico-strutturali hanno dato vita ad alcune delle più belle opere di architettura contemporanea . Laureato in ingegneria civile a Bologna nel 1913 , Nervi Ing.Luigi Di Francesco
60 si è rivolto , nel corso della sua carriera professionale , per la progettazione e calcolo di strutture architettoniche , al cemento armato, l’hangar di Orbetello è una delle rare strutture in acciaio.
Lo stadio Berta di Firenze , il Palazzo delle Esposizioni di Torino , l' Ambasciata d'Italia a Brasilia , le opere realizzate a Roma per le Olimpiadi del 1960, il grattacielo Pirelli a Milano , la sede dell'UNESCO a Parigi , la stazione degli autobus del ponte George Washington a New York , il ponte Risorgimento a Verona , il grattacielo Victoria Square a Montreal, la Cattedrale di St. Mary a San Francisco, la sala delle udienze pontificie nella Città del Vaticano : sono alcune delle spettacolari progetti di Pier Luigi Nervi. La natura riserva una miriade di ispirazioni per uno spirito contemplatore , ma nell'atto della creazione e della costruzione ci sono anche i vincoli imposti dalle leggi fisiche che limitano la creatività dell'artista . Pier Luigi Nervi sapeva, nel corso della sua vita di costruttore , come superare questi vincoli in maniera brillante ed esteticamente stupefacente. Per Nervi l'arte non è concepibile solo come estetica, ma è pura funzionalità e statico . L'attenzione al controllo tecnico ed economico ha fatto con successo anche i progetti per hangar, realizzati per la Regia Aeronautica Italiana : gli hangar costruiti per l' idrovolante dall'aeroporto di Marsala e l'aeroporto di Pantelleria sono ancora oggi in buone condizioni . La sapienza di coniugare arte e scienza, tecnica ed eleganza, senza mai perdere di vista funzione e costi, ha permesso a Pier Luigi Nervi di essere uno dei più grandi architetti del XX secolo .
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16. CALATRAVA
Lo stile di Calatrava combina una concezione visuale dell'architettura all'interazione con i principi dell'ingegneria; i suoi lavori spesso sono ispirati alle forme ed alle strutture che si trovano in natura. Ha disegnato numerose stazioni ferroviarie. La stazione per treni ad alta velocità pensata da Calatrava è una struttura prestigiosa, che riflette in maniera chiara le ambizioni del cliente. Come sul punto di librarsi in volo, questa imponente scultura all'aperto simboleggia pienamente il dinamismo della regione Rhône-Alpes e la sua visione del futuro. Calatrava ha progettato due dei tre ponti che attualmente attraversano il Trinity River di Dallas, Texas, mentre un terzo è in fase di progetto. Quando anche quest'ultimo sarà ultimato Dallas sarà l'unica città del mondo ad avere tre ponti di Calatrava, insieme a Reggio Emilia dove all'inizio del 2007 sono stati ultimati i tre viadotti lungo il nuovo asse attrezzato. Sempre a Reggio Emilia saranno realizzati la copertura del nuovo casello dell'autostrada A1 e la Stazione Mediopadana TAV. Da architetto, si limita il più delle volte a produrre degli schizzi realizzati ad acquarello, sulla base dei quali il personale del suo studio sviluppa il progetto architettonico e strutturale.
Figura 60 Calatrava è conosciuto per il suo design organico, come per L'Umbracle nella sua Ciutad de les Arts i les Ciències a Valencia
Figura 61 Ponte dell' Alamillo a Siviglia
I progetti di Calatrava sono stati spesso oggetto di critica per ritardi nella realizzazione e per eccessivi costi rispetto ai budget previsti. A Valencia la realizzazione della Ciutat de les Arts i les Ciències (la Città delle Arti e delle Scienze) commissionata nel 1996, è durata 21 anni ed ha superato i costi iniziali di 587 milioni di euro con un incremento di oltre il 188% del budget iniziale di Ing.Luigi Di Francesco
62 311 milioni di euro, che è così quasi triplicato lasciando un buco nelle finanze della città di 700 mila euro . All'architetto è stata notificata una citazione con la richiesta di 3.8 milioni di euro per danni erariali per le pecche di progettazione del Ponte della Costituzione che collega piazzale Roma alla stazione Santa Lucia a Venezia. Il proprietario di una cantina nei Paesi Baschi, La Bodega Ysios, ha chiesto 2 milioni di euro di risarcimento per la ricostruzione del tetto dal quale entrava acqua. Ad Oviedo, in Spagna, una sala conferenza, il Palacio de Congresos da lui progettata ha subito un crollo. Ad Haarlemmermeer, vicino ad Amsterdam, i costi per la costruzione di tre ponti sono quasi raddoppiati[6] e milioni di manutenzione sono stati spesi dal 2004. A Bilbao dall'inaugurazione di un ponte di vetro 50 persone hanno già chiesto il risarcimento per danni causati dal fondo scivoloso. Sempre a Bilbao nel progetto di un areoporto, La Paloma, non è stata prevista la sala di attesa. A Chicago il progetto di un ambizioso grattacielo, il Chicago Spire, è stato sospeso per problemi finanziari conseguenti la crisi economica del 2008-2013. A Roma, la realizzazione della città dello sport di Torvergata prevista per i i mondiali di nuoto del 2009 è rimasta incompiuta. Anche uno dei ponti di Dallas ha creato qualche problema a Calatrava: Il blog Front Burner, giornale politico e culturale dell’area di Dallas-Forth Worth, si domandava: “Is our Calatrava bridge a copy of Reggio Emilia’s?” (Il nostro ponte di Calatrava è una copia di quello di Reggio?).Mentre il giornalista Patrick Kennedy sbeffeggiava il progetto affermando: “Credo di aver già visto quell’arco da qualche parte…”. Un anno dopo The Dallas Morning News, il più importante quotidiano locale, rincara la dose chiedendo senza mezze misure: “Did we just buy the world’s most expensive knockoff bridge?” (Abbiamo appena comprato la copia di ponte più costosa del mondo?). Difatti il ponte è una copia di quelli realizzati dall’Architetto a Reggio Emilia
Figura 62 - Il ponte di Reggio Emilia, a sinistra, e quello di Dallas, a destra
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Figura 63 - Vista laterale del ponte sul Trinity Quello sul fiume Trinity è solo uno dei cinque ponti che Calatrava avrebbe voluto realizzare a Dallas. Ma anche negli Stati Uniti hanno i loro problemi di bilancio e così, dal progetto originario, si è scesi prima a tre ponti e poi a due. Anche perchè soltanto per il primo ponte sono stati spesi 182 milioni di dollari: più di quanto siano costate tutte le opere reggiane legate all’alta velocità messe assieme, stazione compresa.
Il PONTE DELLA COSTITUZIONE A VENEZIA
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64 Con due milioni di euro e 74 travetti di vetro temperato, Venezia avrebbe aggiunto al suo splendore artistico unico al mondo, anche un pezzo di arte contemporanea per mano di quello che è l’architetto, ingegnere e scultore valenciano tra i più famosi e discussi al mondo, Santiago Calatrava. L’archistar di Benimámet negli ultimi vent’anni ha ridisegnato il volto della Spagna a colpi di progetti milionari e attingendo dalla generosa cassa dei contributi europei per le infrastrutture. Tuttavia a Venezia il Ponte della Costituzione, soprannominata “la passerella di luce”, l’opera del 2004 che congiunge le due rive di Canal Grande, rappresenta tutto ciò che può andar male quando si vuole piantare un pezzo di modernariato nella vetusta e fragile pietra veneziana. Il preventivo iniziale col sorgere di decine di problemi (prima le carrozzelle dei disabili, poi la pericolosità dei gradini sdrucciolevoli) produsse un conto salatissimo di ben 10 milioni di euro, pagato dall’allora sindaco Massimo Cacciari. Una polemica che ora ritorna alla ribalta, dopo quasi dieci anni d’indagini, Carmine Scarano, procuratore veneto della Corte dei Conti italiana, ha deciso di chiedere la comparizione per il 13 novembre prossimo di Calatrava e di tre ingegneri: dovranno rispondere di danno erariale per 4 milioni di euro.
A parte questo il Ponte di Calatrava, è un continuo salasso per le casse comunali per la frequente rottura dei gradini di vetro che richiede continui interventi. I gradini unici e delicatissimi, l’uno diverso dall’altro, devono ogni volta essere rifatti appositamente in fabbrica - senza “scorte” per abbassare i costi - e montati artigianalmente. Quelli attualmente rotti sono ben 14. Il prezzo per la sostituzione di ogni gradino varia da 4 a 7 mila euro, in base al tipo di rottura e alla complessità della sostituzione, anche perché, per procedere l’intervento, è necessario realizzare una sorta di ponteggio esterno protettivo per evitare che, durante la lavorazione, pezzi possano cadere dall’alto in Canal Grande.
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17. CHE BOLLE ! Progetto di: Massimiliano Fuksas Committente: Giuseppe e Cristina Nardini Designer interni: Doriana O. Mandrelli
Le "bolle" costituiscono l’intervento di ampliamento dello stabilimento della distilleria Bortolo Nardini di Bassano del Grappa. L’ampliamento è formato da un centro di ricerca con laboratori, uffici, un polo multimediale e una sala conferenze, vicino allo stabilimento. L’architetto ha scelto di non toccare il verde e gli alberi nel rispetto della natura che caratterizza il prodotto ed il marchio della distilleria. La configurazione delle ‘bolle' si ispira agli alambicchi che rappresentano gli impianti di lavoro della distilleria e, nel contempo, proiettano la ditta verso il futuro. Il progetto si compone di due parti una “sospesa”, formata da due bolle ellissoidali trasparenti che racchiudono i laboratori del centro di ricerca, e l'altro “sommerso”, uno spazio ricavato nel terreno, che ospita un auditorium di 100 posti a sedere.
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18. IL RESTAURO Agli inizi dell’Ottocento, soprattutto in Francia, ci si pose il problema della conservazione di quell’immenso patrimonio d’arte rappresentato dagli edifici sorti nel medioevo, in particolare chiese e cattedrali. Edifici che, in molti casi, avevano subìto devastazioni o guasti, anche per le posizioni anticlericali espresse dalla Rivoluzione Francese. Il primo architetto che operò in maniera scientifica nel campo del restauro, fu il francese Viollet Le Duc. La sua posizione fu quella definita del restauro «di ripristino». In pratica egli, con i suoi interventi, cercava di riportare l’edificio a quella condizione iniziale che ne caratterizzava la nascita. Facendo ciò, cancellava tutti gli interventi posteriori e i loro segni, cercando di riportare l’edificio ad una ideale omogeneità stilistica. In qualche caso, completava anche gli edifici di parti, che magari non erano mai storicamente esistite, ma che potevano rendere più compiuto l’organismo architettonico. Nel far ciò soprassedeva alla verità storica dell’edificio, per perseguire un fine estetico che riconosceva solo nella purezza dello stile. Il suo metodo di lavoro era tuttavia rigoroso, e possibile solo grazie alla grande conoscenza che aveva acquisito dei principi architettonici medievali, così che i suoi interventi finivano per essere plausibili, anche quando erano dei falsi storici. Di contro a questa concezione del restauro, l’inglese John Ruskin sostenne invece la necessità di un restauro più attento alla storia che non all’estetica. Condannava l’intervento di ripristino operato da Viollet Le Duc, proponendo solo la manutenzione degli edifici, ma evitando alcun intervento di tipo intensivo. Diceva, anzi, che era preferibile che gli edifici cadessero, se giungevano a tale limite, piuttosto che tenerli artificiosamente in piedi con interventi che cambiavano la sostanza e la materia dell’edificio. Figura 64 Uno dei progetti di Viollet le Duc, che esemplifica l’idea di combinare Architettura gotica e strutture in ferro
Le posizioni di Viollet Le Duc e Ruskin, già da allora, hanno sintetizzato le problematiche connesse al restauro. Infatti, generalizzando il discorso, si può dire che due sono gli aspetti da considerare in un intervento di restauro: quello artistico e quello storico. Un edificio, soprattutto se ha avuto una lunga vita, non è mai giunto a noi senza subire alterazioni nel corso dei secoli. Così che esso è oggi divenuto un insieme molto Figura 65 Il Museo dell'Università di Oxford di Storia Naturale rinomato per la complesso ed articolato di parti, che sua spettacolare architettura neo-gotica. magari hanno anche stili diversi. Ing.Luigi Di Francesco
68 Così che, ad esempio, in uno stesso palazzo è facile trovare un cortile rinascimentale, una facciata barocca, degli elementi gotici e così via, in un insieme che non ha quindi più una sua unità stilistica. Molti edifici sono sorti proprio con aggiunte successive, in tempi diversi. Il Duomo di Milano, iniziato in stile gotico alla fine del Trecento, è stato ultimato solo nell’Ottocento, così che alcune sue parti sono ad esempio rinascimentali e non più gotiche, perché nel frattempo era cambiato lo stile architettonico, e così via. In pratica questo edificio non ha mai avuto una unità stilistica. Altri edifici, anche se l’hanno avuta, l’hanno poi persa per interventi successivi. Molto frequente è il caso di chiese romaniche che, nel corso del Seicento o Settecento, sono state rivestite di stucchi barocchi, che ne hanno totalmente modificato l’aspetto. In questo caso, un intervento di restauro deve conservare gli stucchi barocchi, o toglierli per far apparire la chiesa nel suo aspetto medievale? Nel primo caso avremmo un restauro rispettoso della storia dell’edificio, considerando importanti anche le aggiunte posteriori, nel secondo caso, invece, se togliamo gli stucchi, effettuiamo un restauro di ripristino. La cultura del restauro architettonico si è, da allora, mossa tra questi due estremi. Se appare teoricamente più congrua la posizione storicista, di fatto, la maggior parte dei restauri effettuati nella pratica, hanno spesso praticato il ripristino come tecnica di intervento. Molti non hanno saputo resistere alla tentazione di riportare in luce qualcosa di nascosto, così che spesso si sono ripristinati edifici medievali, demolendo apparati decorativi barocchi molto più artistici delle nude murature poi scoperte. In piena contraddizione con i suoi principi, tuttavia, J. Ruskin collaborò alla creazione di un “falso”: Il Museo dell'Università di Oxford di Storia Naturale. L'edificio neogotico è stato progettato dagli architetti irlandesi Thomas Newenham Deane e Benjamin Woodward . Il progetto del museo è stato direttamente influenzato dagli scritti di critico John Ruskin , che si è impegnato a darei suoi suggerimenti durante la costruzione . E 'stato costruito nel 1861 . Il museo è costituito da una grande corte quadrata con un tetto in vetro , sostenuto da pilastri in ghisa , che dividono l’edificio in tre navate . I portici al piano terra ed al primo piano dell'edificio , sono realizzati Figura 66 Il Museo dell'Università di Oxford di Storia Naturale con colonne in pietra ognuna ricavata da una roccia britannica diversa , scelta dal geologo John Phillips ( il Custode del Museo ) . La decorazione della pietra e pilastri in ferro incorporano forme naturali come foglie e rami, e combinano lo stile preraffaellita con il ruolo scientifico della costruzione . Statue di uomini illustri della scienza stanno intorno alla corte del piano terra della - da Aristotele e Bacone fino alla Darwin e Linneo.
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19. Arsenale di Venezia L’Arsenale di Venezia occupa un superficie pari a circa il 20% dell’intera area cittadina ed è da sempre oggetto di una serie di progetti di riqualificazione. In mancanza di un intervento complessivo, dovuto principalmente a lungaggini burocratiche e alla difficoltà di reperire finanziamenti, si è assistito nel corso degli anni a una serie di interventi volti soprattutto alla messa in sicurezza e al recupero strutturale degli edifici. Nell'ambito di un progetto iniziato nella prima metà degli anni ’80, la Soprintendenza ha restaurato, in tempi diversi, le Corderie e le Artiglierie. I lavori sono stati finanziati dall’UNESCO . Più recentemente il Consorzio Venezia Nuova ha effettuato importanti interventi di messa in sicurezza e rifacimento delle coperture dei capannoni di San Cristoforo collocati nell’area nord dell’Arsenale. Nel 1983 furono intrapresi i restauri delle Corderie che segnarono anche l’avvio di una fase di studio dell’Arsenale e di programmazione. In quegli anni, infatti, venne fatto un primo rilievo topografico del complesso, furono intrapresi studi di molte architetture, furono catalogati i materiali e le attrezzature di interesse storico . Vennero eseguiti rilievi fotogrammetrici e sulle restituzioni grafiche, furono sviluppate tavole tematiche analitiche per i caratteri costruttivi, per i materiali costitutivi e per le diverse forme di alterazione presenti sulle superfici architettoniche, redatte dopo accurate indagini visive e specialistiche. I primi interventi nelle Corderie riguardarono le strutture portanti del tetto e il manto di copertura, dallo sviluppo complessivo di circa 8.000 mq; nel restauro venne posta ogni attenzione alla conservazione dei legni e dell’assetto delle capriate, quasi tutte originali, limitando al massimo la sostituzione delle parti costitutive e lo smontaggio dei nodi. Negli anni successivi vennero realizzati il pavimento e i serramenti e restaurati i portoni; furono consolidate le scale metalliche, rendendole sicure per l’uso, e analogamente si operò sulle ringhiere dei ballatoi; si procedette quindi al restauro delle superfici parietali interne intonacate e di tutte le strutture metalliche, testimonianza delle attività svolte nel tempo all’interno dell’edificio; venne studiato il microclima e i processi di risalita capillare dell’umidità mediante un monitoraggio continuo per diciotto mesi e, sempre per le problematiche dell’umidità furono testate alcune tecniche di difesa (barriera chimica ed elettroforesi attiva e passiva). Nel corso dei restauri furono condotti studi sulle strutture e sulle superfici architettoniche, in particolare sono state studiate:
le capriate, con indagini dendrocronologiche e analisi del comportamento statico;
le fondazioni, con sondaggi estesi e rilevazioni, per determinarne le caratteristiche materiche e morfologiche e per indagarne le stratificazioni storiche;
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le tessiture murarie, specialmente su quelle delle colonne, caratterizzate da una tecnica costruttiva e da una conformazione dei laterizi singolare; le strutture in calcestruzzo armato dei soppalchi realizzate nel 1915;
gli intonaci, con lo studio e la classificazione di quelli presenti, con l’analisi dei fenomeni del degrado e la schedatura degli interessanti “graffiti” presenti al piano superiore.
Sempre nel 1983 furono avviati i restauri di alcuni tra i più rappresentativi manufatti architettonicoscultorei del complesso arsenalizio: la Porta di terra e i portali del Reparto Artiglierie e delle Sale d’Armi.
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La porta d’acqua dell’Arsenale in un dipinto del Canaletto (1697 - 1768) ed oggi
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20. Il Museo Nazionale di Pietrarsa . Pietrarsa è uno dei luoghi simbolo della storia delle Ferrovie dello Stato Italiane, un ponte teso tra passato e presente che congiunge idealmente la Bayard ai sofisticati e velocissimi treni dell’Alta Velocità Oggi il museo regala ai propri visitatori un affascinante viaggio nel tempo tra le locomotive e i treni che hanno unito l’Italia dal1839 ai nostri giorni. Uno spazio espositivo non riservato alle memorie del passato, né solo agli interessi degli specialisti e degli addetti ai lavori, ma aperto alla curiosità dei giovani e di tutti coloro che vedono nel treno uno strumento insostituibile per il futuro del trasporto pubblico. Sotto l’aspetto più propriamente storico-architettonico è quanto mai adatto all’uso cui è stato destinato, trattandosi in origine delle antiche officine borboniche nate nel 1840 per volere di Ferdinando II di Borbone, in un’area prima chiamata “Pietra Bianca” e in seguito “Pietrarsa” dopo un’eruzione del Vesuvio che aveva portato la lava fino a quel punto della costa. Una statua (una delle più grandi realizzate in ghisa in Italia), posta nel piazzale del complesso, mostra re Ferdinando nell’atto di indicare il luogo dove costruire le prime officine ferroviarie delle Due Sicilie e dell’intera Penisola. Un’iscrizione ricorda che lo scopo del sovrano era di svincolare lo sviluppo tecnico e industriale del Regno dall’intelligenza straniera.
Il Museo Si sviluppa in un’area di 36mila metri quadrati, di cui 14mila coperti. Si articola in padiglioni e settori in cui è esposto materiale di assoluto valore, tra cui: la riproduzione fedele della Bayard, il treno inaugurale della prima tratta ferroviaria Napoli Portici del 1939; 25 locomotive a vapore; 6 locomotori elettrici; 12 rotabili tra automotrici elettriche/nafta (le cosiddette. littorine), diverse tipologie di carrozze (postale, detenuti, centoporte) tra cui la carrozza n° 10 dell’ex Treno Reale (oggi treno Presidenziale); 5 locomotori diesel; 25 modelli in scala di treni/carrozze/ plastici di stazioni ferroviarie; plastico “Brunetti” meglio noto come plastico del “Trecentotreni”; arredi sala d’attesa della Stazione ferroviaria di Roma Trastevere del 1905. Il Museo è uno dei più importanti centri di archeologia industriale del nostro Paese e polo nazionale di cultura ferroviaria. E ancora una sede espositiva unica nel panorama nazionale, per la singolarità e ricchezza dei contenuti in mostra, nonché per l’assoluta affinità tra la storia delle sue Ing.Luigi Di Francesco
73 architetture e la storia in essa raccontata. Il museo di Pietrarsa entra di diritto nel circuito dei principali musei ferroviari d’Europa.
Il museo ferroviario è stato realizzato laddove sorgeva il reale opificio borbonico di Pietrarsa, struttura concepita da Ferdinando II di Borbone nel 1840 come industria siderurgica e dal 1845 come fabbrica di locomotive a vapore. L'attività ebbe inizio con il montaggio in loco di 7 locomotive, utilizzando le parti componenti costruite in Inghilterra secondo uno dei precedenti modelli inglesi acquistati nel 1843. Il 22 maggio di quell'anno, Ferdinando II emanò un editto nel quale tra l'altro riportava: «È volere di Sua maestà che lo stabilimento di Pietrarsa si occupi della costruzione delle locomotive, nonché delle riparazioni e dei bisogni per le locomotive stesse degli accessori dei carri e dei wagons che percorreranno la nuova strada ferrata Napoli-Capua». Nel 1853 a Pietrarsa prestavano la loro opera circa 700 operai facendo dell'Opificio il primo e più importante nucleo industriale italiano oltre mezzo secolo prima che nascesse la Fiat e 44 anni prima della Breda. La località, anticamente detta Pietra Bianca, fu denominata Pietrarsa nel 1631, quando, a seguito dell'eruzione del 1631, la lava del Vesuvio giunse fino alla linea di costa. Le Officine Meccaniche di Pietrarsa sono state il primo opificio italiano che si è specializzato nella costruzione, manutenzione, riparazione di materiale ferroviario. Anche per la costruzione degli edifici e dei capannoni realizzati in pietra si utilizzarono i più avanzati canoni costruttivi a disposizione come, ad esempio, le grandi capriate in legno a sostegno delle coperture. Il risultato è un'architettura che ha saputo unire estetica e funzionalità. Le Officine di Pietrarsa hanno, senza dubbio, rappresentano un prezioso esempio di architettura industriale della metà dell'Ottocento. Sorte su un'area adiacente alla prima ferrovia del nostro Paese, la Napoli - Portici, inaugurata, sempre da Ferdinando II il 3 ottobre 1839.Lo stabilimento fu uno degli emblemi del processo di industrializzazione avviato dal sovrano, sulla scia dei successi delle applicazioni della macchina a vapore al settore dei trasporti. Il 3 ottobre 1839 viene, infatti, inaugurato, nel regno delle Due Sicilie, il primo tratto ferroviario italiano: la linea Napoli-Portici lunga 7.411 metri. Il percorso viene compiuto in 11 minuti da due convogli trainati da locomotive gemelle, la Bayard e Ing.Luigi Di Francesco
74 la Vesuvio, progettate dall'ing. Armand Bayard de la Vingtrie, sul prototipo della famosa Rocket dell'inglese George Stephenson. Al loro sorgere, le officine rappresentavano un esempio tecnologicamente avanzato di una politica economica tendente a favorire lo sviluppo industriale: in appena due anni dalla costruzione vi lavoravano 200 operai ed erano state realizzate la Torneria e i locali accessori e istituita la scuola per Ufficiali Macchinisti per la Marina del Regno. Il 18 maggio 1852 viene fusa a Pietrarsa la colossale statua in ghisa di Re Ferdinando II, raffigurato nell'atto di ordinare la fondazione delle officine: alta 4.50 mt.., è una delle più grandi statue in ghisa fuse in Italia e si trova attualmente nel piazzale antistante il museo. Nel 1853 Pietrarsa, completo di tutti i reparti di lavorazione, con 619 operai, diveniva il primo nucleo industriale della penisola. Con l'unità d'Italia, la fabbrica passò al governo italiano continuando la sua attività di centro di costruzione e riparazione delle grandi locomotive a vapore. Durante il regime mussoliniano, nonostante la dura repressione all'interno della fabbrica, la resistenza al fascismo da parte dei ferrovieri di Pietrarsa, l'ha resa avanguardia del movimento operaio napoletano. Dopo la seconda guerra mondiale, però, la diffusione delle locomotive diesel ed elettriche determinò il declino di Pietrarsa, fini a quando, il 20 dicembre 1975 le Officine cessarono la loro attività con un'ultima riparazione eseguita su una locomotiva - la 640.088. Le Ferrovie decisero, così, di creare a Portici, simbolo della prima ferrovia italiana, e precisamente a Pietrarsa, emblema anche storico di lotte e di conquiste operaie, il Museo Nazionale Ferroviario Italiano, inaugurato nel 1989 in occasione del centocinquantenario delle Ferrovie italiane.
La struttura del museo La struttura ebbe varie visite importanti tra cui lo zar di Russia, Nicola I, che manifestò l'intenzione di prendere Pietrarsa a modello per il complesso ferroviario di Kronstadt . Con l'Unità d'Italia, dal 1861 l'opificio di Pietrarsa entrò in una fase difficile; una relazione dell'ingegnere Grandis, voluta dal governo piemontese dipingeva negativamente l'attività e la redditività dell'opificio consigliandone addirittura la vendita o la demolizione. L'anno dopo avveniva la cessione della gestione alla ditta Bozza; ciò portò alla riduzione dei posti di lavoro, a scioperi e gravi disordini repressi nel sangue. Il 6 agosto 1863 una carica di bersaglieri provocava 7 morti e 20 feriti gravi. Tuttavia, nonostante la parziale dismissione degli impianti, nel successivo decennio vennero prodotte oltre 150 locomotive. Il ridimensionamento di Pietrarsa continuò fino alla riduzione a 100 dei posti di lavoro fino a che nel 1877 lo Stato assunse direttamente la gestione sotto la direzione dell'ingegnere Passerini risollevandone le sorti e migliorandone la produttività; da allora e fino al 1885 vennero prodotte ulteriori 110 locomotive, oltre 800 carri merci e quasi 300 carrozze viaggiatori oltre a parti di ricambio per rotabili. Nel 1905 in seguito alla statalizzazione delle ferrovie entrò a far parte delle infrastrutture primarie delle nuove Ferrovie dello Stato divenendo una delle officine di Grandi Riparazioni specializzata in particolare nel settore delle locomotive a vapore.
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75 Secondo i dati forniti dall'album ufficiale, delle Locomotive ed Automotrici in servizio ed in costruzione al 30 giugno 1914, edito nel 1915 dalle Ferrovie dello Stato, a Pietrarsa, tra il 1867 e il 1888erano state prodotte, per le Meridionali, la Rete Mediterranea, la Rete Adriatica, la Rete Sicula e la Società della Ferrovia Sicula Occidentale, ben 185 locomotive a vapore con tender dei gruppi (secondo immatricolazione FS) FS 120, FS 155, FS 185, FS 190, FS 200, FS 206, 215, FS265, FS 268, FS 385, FS 391, 420. Successivamente al 1888 le ordinazioni risultano rivolte a fabbriche estere o del Nord Italia indicando un nuovo indirizzo di utilizzazione dell'opificio come impianto di manutenzione e riparazione. Con l'avvento dei nuovi sistemi di trazione elettrica e poi diesel, ebbe inizio il lento ma inesorabile declino, culminato il 15 novembre 1975 con il decreto di chiusura e la decisione di fare di Pietrarsa un museo ferroviario a tutti gli effetti, sfruttando i vecchi capannoni della prima fabbrica di locomotive d'Italia. L'inaugurazione avvenne il 7 ottobre 1989 in occasione del 150º anniversario delle ferrovie italiane. Successivamente chiuso dopo un lungo periodo di ristrutturazione, il museo è stato riaperto il 19 dicembre del 2007.
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21. Polo siderurgico di Mongiana
CENNI STORICI Mongiana è un piccolo comune ai piedi del Monte Pecoraro, ad un’altitudine di 920 metri circa s.l.m. Durante il dominio borbonico, nella seconda metà del 18esimo secolo (dall’8 marzo 1771), a Mongiana era attiva un’imponente fabbrica d’armi che faceva di questo centro uno dei più importanti del meridione dal punto di vista industriale (Mongiana si può definire il primo centro siderurgico italiano, e per certi aspetti il primo a livello europeo). Ed è proprio attorno a questo complesso che si sviluppò il centro abitato. Gli operai costruirono le loro dimore dapprima in legno nei pressi della fonderia e si creò così un vero e proprio paese. Le ferriere, sviluppate sempre più dai Borboni, utilizzavano la limonite (materiale contenente ferro) proveniente da Stilo e sfruttavano i vicini boschi per ricavare carbone per i forni delle fabbriche. Il prodotto finito veniva spedito a Napoli, capitale del Regno, dal porto di Pizzo. Il complesso decadde perché il nuovo stato unitario, sorto dopo l’impresa garibaldina a metà ottocento, puntò sulle industrie settentrionali. Figura 67 Real decreto del Regno delle due sicilie per l'amministrazione custodia dei boschi diSerra San Bruno e Mongiana
Il Polo siderurgico di Mongiana o Villaggio Siderurgico di Mongiana stato un importante complesso siderurgico realizzato a Mongiana (Calabria) nel 1770 - 1771 da parte della dinastia dei Borbone di Napoli. Parte integrante del complesso industriale e militare del Regno delle Due Sicilie, e impianto di base per la produzione di materiali e semilavorati ferrosi poi rifiniti sia in loco , Figura 68 Timbro di carteggio di Mongiana durante il Regno delle Due Sicilie
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che presso il polo siderurgico di Pietrarsa, arrivò nel 1860 a dare lavoro a circa 1.500 operai. Travolto dalle vicende legate al processo di unificazione politica della penisola italiana, fu messo in secondo piano da parte del governo sabaudo, ed iniziò un rapido declino, che lo portò a cessare le
77 proprie attività nel 1881. Nel 2013, dopo il restauro, diventa un museo. Le Reali Ferriere di Mongiana costituivano, tra il 1840 e il 1860, una vero e proprio distretto industriale, che inglobava anche attività estrattive, nelle cave minerarie di Stilo, e un complesso di segherie tra Nardodipace e Pazzano, che fornivano legname per gli altiforni. Erano, in altre parole, un'industria metallurgica, che riusciva a lavorare oltre 1.100 kg di ghisa all'anno, come nessun'altra industria riusciva a fare in Italia. Erano quindi l'industria metallurgica più grande d'Italia, un'industria statale appartenente ai Re della dinastia napoletana dei Borbone, che governavano l'autonomo Regno delle Due Sicilie. Il loro rapido declino, dopo la conquista militare del Regno delle Due Sicilie da parte di Garibaldi e dell'esercito savoiardo, sembra la metafora stessa del destino del Mezzogiorno. Come è testimoniato dalla documentazione ancora custodita presso l'Achivio di Stato di Catanzaro, nel 1861 le Ferriere furono privatizzate dai Savoia e affidate al garibaldino Achille Fezzari, un ex barbiere genovese, che le condusse in maniera disastrosa, fino a portarle in fallimento già nel 1874. Lo Stato italiano non intervenne a correggere quel pessimo esempio di privatizzazione, nè fu mai interessato a rilanciare, a Mongiana, la produzione metallurgica, poichè tutte le risorse nazionali furono convogliate verso lo sviluppo industriale del triangolo del Nord-Ovest Nell’ultimo anno del Regno, il 1860, la produzione toccò le 40.000 cantaja di ghisa. Le ferriere, sviluppate sempre più dai Borboni, utilizzavano la limonite (materiale contenente ferro) proveniente da Stilo e sfruttavano i vicini boschi per ricavare carbone per i forni delle fabbriche. Il prodotto finito veniva spedito a Napoli, capitale del Regno, dal porto di Pizzo. Il complesso decadde perché il nuovo stato unitario, sorto dopo l’impresa garibaldina a metà ottocento, puntò sulle industrie settentrionali. Nell’ultimo anno del Regno, il 1860, la produzione toccò le 40.000 cantaja di ghisa.
Metodo di lavorazione I metodi di lavorazione non erano però moderni e la produzione quindi all'inizio fu modesta, per ovviare a ciò un gruppo di studiosi fu mandato a studiare in Europa centrale gli altri centri siderurgici. Fu migliorata la combustione negli altiforni, fu razionalizzato il ciclo produttivo e furono aperte anche nuove miniere nel comune di Pazzano.
Periodo francese A partire dal 1806 la Calabria è sotto il controllo dei francesi e il Ministero della Guerra e Marina francese diventa il proprietario del complesso e nel 1808 il nuovo direttore è il capitano Ritucci, sostituito il 1811 dal Carrascosa e dal 1814 al 1816 Nicolò Landi. In questo periodo si migliorano i forni fusori, vengono emessi regolamenti per lo sfruttamento boschivo, in più il polo venne restaurato e raddoppiato in dimensioni e la costruzione di un complesso più moderno dislocato nell'area delle Vecchie ferriere di Stilo: Piano della Chiesa. In questa zona si costruiscono nuove ferriere tra cui la Robinson (alla confluenza tra l'Allaro e il Ninfo), una fonderia di cannoni e una fabbrica di fucili nella quale se ne fabbricavano solo i componenti. Fu potenziato il collegamento stradale tra le miniere di Pazzano e Mongiana. Migliorano anche le condizioni dei lavoratori: orario ridotto lavoro, assistenza medica, pensione e istruzione pubblica. Il periodo francese quindi è stato motivo di crescita e sviluppo per il polo siderurgico calabrese e per tutti i suoi abitanti.
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I Borbone Grazie ai cambiamenti apportati durante il periodo di governo francese di Gioacchino Murat, si passa a una fase di produzione anche ad usi civili: il ferro per la ferrovia NapoliPortici, il ponte Real Ferdinando sul Garigliano e Cristina sul Calore. Il capitano D'Agostino nominato "Istitutore delle fonderie" e il suo allievo Panzera, a conoscenza dei miglioramenti della siderurgia in Francia nel 1838 grazie a un loro viaggio iniziano a modernizzare il complesso calabrese con l'utilizzo di carbone di Faggio ed altre tecniche innovative, le quali trovarono realtà nelle fusioni a partire dal 23 luglio del 1841. D'Agostino fu promosso a Primo Maggiore e Panzera Capo-Fonditore. Lo stesso anno vengono completati i lavori della nuova fonderia Ferdinandea, iniziati nel lontano 1789. Nel 1852 viene fatta costruire ad opera dell'Ingegnere e Architetto Domenico Fortunato Savino, una nuova fabbrica d'armi in sostituzione alla fabbrica di fucili del periodo francese: la Fabbrica d'armi di Mongiana. Fucile modello Mongiana
Le ferriere allora attive erano: Cubilotto, San Bruno, San Carlo, san Ferdinando, San Francesco, Santa Teresa e la Real Principe successivamente Robinson.
Organizzazione del lavoro all'interno della Ferriera Il regolamento per le miniere del ferro dei Reali Stabilimenti di Mongiana, datato 13 aprile 1845, è un documento abbastanza raro, poiché in molte nazioni, riguardate oggi come più progredite, spesso non esisteva alcun regolamento e le condizioni di lavoro dei minatori non erano sicuramente
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79 invidiabili. Generalmente, si provvedeva mediante avvisi pubblici a stabilire i doveri, più che i diritti dei minatori. L'organizzazione operaia a Mongiana era ovviamente piramidale, dai garzoni al capo-galleria, ed aveva al vertice il Capitano delle miniere, responsabile dell'esplorazione. Il Regolamento rappresenta un'interessante fusione tra la logica militare-burocratica e la volontà di coinvolgere gli stessi operai nella gestione della produzione, soprattutto per quanto riguardava il controllo delle varie fasi lavorative. D'altra parte, le norme che regolavano l'organizzazione del lavoro erano quanto mai avanzate e soddisfacenti per l'epoca e le paghe erano discrete. La giornata lavorativa era già di sole otto ore, ben lungi dalle sedici applicate in altre nazioni (es. l'Inghilterra, la Germania e gli USA) ed inferiore alle dieci-undici vigenti nel Regno. Per i compiti più disagevoli questo limite poteva essere ulteriormente ridotto. Esisteva una cassa di previdenza per gli infortuni sul lavoro. Poco frequenti gli infortuni ed abbastanza contenuta la percentuale di morte sul lavoro, per nulla paragonabile ai tassi dell'industria privata. A partire dal 1840 fu destinato a Mongiana un chirurgo, ma dai documenti non si evince che abbia avuto particolarmente da fare. A parte l'epidemia di colera del 1848, che non investì, comunque, la sola Mongiana, non vi è traccia di malattie epidemiche, né risulta che la popolazione risentisse delle malattie tipiche della maggior parte delle imprese industriali dell'epoca. Da rilevare, poi, la pressoché assoluta assenza di alcolismo. Manca totalmente lo sfruttamento delle donne, mentre il lavoro minorile è limitato a funzioni gregarie, con orari di lavoro molto miti. Oltre al chirurgo, risiedeva a Mongiana stabilmente un farmacista con funzioni di medico, nonché alcuni insegnantiche istruivano i figli degli operai all'intemo della Fabbrica di armi. Il verbale di esami della scuola primaria, gratuita, di Mongiana del 1859 ci descrive due classi, in totale venti alunni, per i quali è previsto un esame secondo uno dei tre metodi in uso (simultaneo, mutuo o individuale), nove materie (Leggere e scrivere; Aritmetica; Religione; Galateo; Grammatica italiana; Dettato; Disegno lineare; Agricoltura; Arti) ed i nomi degli alunni che si sono particolarmente distinti nella varie materie, ma anche di coloro che hanno raggiunto risultati non soddisfacenti, con l'indicazione dei motivi.
La chiusura della ferriera Alla caduta del Regno e con il suo inserimento nello Stato Italiano fu progressivamente diminuita la produzione, privilegiando le industrie del Nord Italia, Nel 1860, in occasione dell’annessione al Piemonte, Mongiana fu teatro di una sommossa contro il nuovo governo, guidata dagli operai delle Ferriere: scesero in piazza, assaltando la sede della Guardia Nazionale, calpestando il tricolore, quindi, sequestrando la tromba al capomulattiere, chiamarono a raccolta l’intera popolazione, che si riversò per le strade inalberando la bandiera bianca con i gigli, infransero lo stemma sabaudo posto nella casa del governatore, scendendo alla fonderia, presero la statua di Francesco II e la portarono in processione per il paese, collocandola nella sua vecchia posizione. Al colonnello garibaldino Massimino destò viva impressione soprattutto la partecipazione delle donne.
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80 Con legge 21 agosto 1862 n. 793 la Mongiana viene inclusa tra i beni demaniali da alienare; undici anni dopo, con legge 23 giugno 1873 verrà sanata definitivamente la vendita dello stabilimento
Figura 69 Stemma della direzione di Mongiana durante il Regno d'Italia
Figura 70I ruderi del polo siderurgico di Mongiana in una foto di inizio XX secolo
A Catanzaro, sul banco del banditore, prima che la candela si spenga, Achille Fazzari, ex sarto, ex garibaldino carbonaro, deputato, si aggiudica tutto il complesso. Peggio non poteva andare. Fazzari non è un imprenditore, anzi è assolutamente incompetente: Mongiana è completamente abbandonata; Ferdinandea diventa un'oasi privata dove il deputato ospiterà l'intellighenzia del momento e sarà effettivamente quel "luogo di villeggiatura" che invece con Ferdinando II non fu mai tale. Dopo aver sfruttato quel che restava, chiuse l’impianto nel 1881. Scomparve così un’azienda che era stata per il Regno delle Due Sicilie il primo e più grande polo siderurgico d’Italia. Fazzari alla fine abbandonò i beni di Mongiana anche per l'assenza di aiuti da parte del governo. Si dedicò tuttavia alla zona della Ferdinandea dove vi era la produzione di acqua minerale, una piccola centrale idroelettrica, e segherie.
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Figura 71 Asta di vendita dello stabilimento metallurgico di Mongiana nel 1874
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Figura 72 Armeria di Mongiana ora Museo delle reali ferriere borboniche
Di recente si è riuscito a recuperare i resti del complesso siderurgico ed a restaurarlo creando un museo.
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