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Palati fini - L’Île flottante

L’Île flottante

Più in alto di dove si annidano gli spumoni e ancora più su di dove sbuffano i soufflé, a quelle altezze dove lo stato gassoso incontra quello liquido, sonnecchia, anzi, ondeggia l’île flottante (isola galleggiante). Aggettivo che ben rappresenta agli occhi questo effimero dessert francese, fatto di sole uova, latte e zucchero, composto da quenelle di meringa (zucchero e albumi) cotta sulla superficie a bollore della stessa crema inglese (latte, tuorli e ancora zucchero) dove giaceranno poi per esser servite con l’ aggiunta di sole gocce di caramello. Non si conosce quale sia l’origine precisa di questa zuppa da fine pasto, di sicuro chi l’ha ideata aveva una fervida immaginazione, una dispensa vuota e l’intenzione di naufragare in un’insostenibile leggerezza come solo i francesi sanno fare, famosi per la loro pasticceria eterea e fragrante anche quando contiene un panetto di burro, figurarsi quando si addentrano in preparazioni anche note anche come œufs à la neige (uova alla neve). Il primo scritto dove troviamo traccia di questo dolce futuristico è una lettera del 1771 di Benjamin Franklin - noto per inventiva - nella quale racconta di averle mangiate per cena. In un libro statunitense di ricette del 1847 viene elencato tra i dolci tipici dei buffet delle celebrazioni del Giorno dell’Indipendenza. Dolce arioso seppur senza lievito, fatto di nuvole galleggianti seppur senza acqua, che vi suggerirà come navigare - ancora - a vista in questo inizio d’anno e di era dell’Acquario e di conservare l’energia per mordere per tempi più vitali.

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SPIRITO LIQUIDO

di Andrea Bertelli

Tu non sei la mia vera madre Una storia di cantucci e Vin Santo

Un altro Natale è passato, forse il più strano degli ultimi anni, tra presepi distanziati e alberi con la mascherina. Come ogni anno è tempo di Vin Santo. L’uva lasciata a passire sui graticci fin dalla vendemmia è finalmente pronta e vista la stella cometa, è stata pressata e il mosto messo a riposare. Lo attende la sacra madre, feccia del Vin Santo precedente, che si prenderà cura di lui dentro ai caratelli adeguatamente riempiti e sigillati, dando l’avvio all’antico mistero della fermentazione, immacolata concezione. Grazie a questo, crescerà e maturerà all’interno della botte per almeno tre anni, come decretano le sacre tavole del disciplinare di produzione. Ovviamente più lungo sarà il suo invecchiamento in botte e più pregiato sarà il nettare che ne deriverà. I vitigni più usati per produrlo in Toscana sono Trebbiano, Malvasia e San Giovese. Se essi sono a bacca nera e la percentuale di Sangiovese è superiore al 80% il Vin Santo, come definito da disciplinare, è detto “Occhio di Pernice”, il più pregiato in commercio, una vera delizia per il palato. Ottimo accompagnamento per fine pasto e vino da meditazione, spesso usato per blasfemie diffuse come l’inzuppo dei Cantucci di Prato, tanto che alcuni viticoltori, stanchi di vedere il loro prodotto tanto sudato deflorato da cotal barbarie hanno pure messo il divieto di puccio in etichetta con tanto di simbolino. Fedeli Spiriti Liquidi, speriamo che il sacro liquido del Vin Santo trangugiato nelle passate feste ci protegga decretando un anno migliore di quello trascorso e ci consenta di recuperare i brindisi persi.

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