Settimanale di politica, cultura ed economia realizzato dal Centro di Studi e iniziative culturali “Pio La Torre� - Onlus. Anno 8 - Numero 39 - Palermo 20 ottobre 2014
ISSN 2036-4865
Come cambiano le mafie italiane
L’esercito di giovani rassegnati preda del potere condizionante mafioso Vito Lo Monaco al Bilancio sociale 2014 dell’Inps (su cui scrive in questo Tra i pochi che si avvantaggiano della crisi ci sono le mafie. Nonumero Franco Garufi) e dalla puntuale relazione semenostante i successi del contrasto delle forze dell’ordine e della strale al Parlamento della DIA (della quale riferisce Giorgiustizia, la relazione semestrale della DIA, pienamente condigio Vaiana) emerge un quadro a fosche tinte del Paese. Gli unici visibile, conferma e documenta, quanto sosteniamo politicaindici di crescita riguardano i nuovi poveri, la disoccupazione gemente da tempo, che sono cresciuti, grazie alla corruzione, “ il nerale con punte mai viste per quella giovanile, la proliferazione condizionamento (da parte delle mafie) della res publica per la delle attività delle mafie, nonostante una repressione sempre più convergenza di obiettivi tra organizzazioni criminali e l’area griefficace e la disperazione sociale. Soprattutto tra i giovani. Solo in gia di taluni contesti amministrativi, politici, imprenditoriali e fiSicilia ci sono cinquecentomila giovani dai 18 ai 34 anni, quasi il nanziari; la capacità di scalare aziende in difficoltà; di introdursi 10% della popolazione siciliana, rassegnati (Neet), cioè che non in settori economici tradizionali e innovativi; di acquisire constudiano, non lavorano e hanno smesso di cercare un lavoro. Fino senso sociale con l’offerta di posti di lavoro, di credito mafioso a quando tutto ciò non esploderà, scuotendo l’indifferenza del Poa soggetti e imprese in crisi di liquidità; di insediarsi nelle aree tere? Infatti, il quadro politico siciliano sembra lontano anni luce più ricche del paese e dell’Ue”. dalla tragedia che vive la società e il diC’è una correlazione tra il maggior nubattito tra i partiti (di governo e di opposimero di rassegnati in Sicilia e il rinnovato zione) e al loro interno appare più Tutti quei giovani senza al- potere condizionante della corruzione e concentrato sui reciproci spazi di potere cuna protezione sociale, della mafia? Naturalmente difficile provare da difendere o da conquistare che impeuna relazione diretta, ma non è lontana assieme al precariato, ai gnato a rimuovere le cause remote e prosdal vero la tesi che il condizionamento sime del fenomeno. cassintegrati, ai nuovi li- sullo sviluppo del Meridione dei due fenoQuei cinquecentomila giovani rassegnati appaiati è storicamente conclamata. cenziati, sconvolgono il meni dovrebbero essere l’argomento quotidiano Il suo maggior ritardo di sviluppo storicaquadro di riferimento della mente è dovuto alla loro presenza come del dibattito politico e dell’azione dei partiti e dei governi. Invece, finora non è stato crisi. Come recuperare confermano i dati relativi anche alle aree così. Tutti quei giovani senza alcuna propiù ricche del Nord dove le mafie e il sitante energie umane rasse- stema corruttivo si sono insediati nell’ultezione sociale, assieme al precariato, ai gnate a una visione posi- timo quarantennio. Dal comune di cassintegrati, ai nuovi licenziati, sconvolgono il quadro di riferimento della crisi. Misilmeri, come da tanti altri sciolti per tiva e fattiva della vita? Come recuperare tante energie umane mafia al Sud come nel Centro Nord, alrassegnate a una visione positiva e fattiva l’Expo di Milano corre un lungo e pericodella vita? Renzi col suo Piano del lavoro (Job Act) tenta comunloso filo che minaccia lo sviluppo, i diritti e la democrazia. que di prospettare una linea d’azione, peraltro discussa e discutiProbabilmente a molti giovani che rifiutano di fare i pusher, di bile in molti suoi aspetti, ma alle forze politiche siciliane non ricercare una raccomandazione anche per un’umile occupasembra urgente confrontarsi con tali scelte né elaborare un piano zione, la rassegnazione diventa l’ultima spiaggia per rimanere d’intervento regionale. È vero che tra buchi di bilancio, resistenze onesti e vicino ai propri familiari (fino a quando questi saranno burocratiche e politiche (basta soffermarsi per un attimo su quelle in condizione di assicurare loro un sostegno?). registrate contro ogni proposito di riforma – dalla formazione alla Proseguendo su questa traccia di analisi pessimista c’è il perilotta agli sprechi nella spesa pubblica e ai privilegi) è difficile gocolo che si escluda qualsiasi possibilità di cambiamento. Noi, vernare e anche bene. invece, rimaniamo convinti che esso s’imporrà dal momento in Non ci interessano né ci appassionano le polemiche personali tra cui, preso atto del fallimento storico di un’intera classe dirigente, i politici, ma preferiremmo che essi volgessero la loro vis polemica i siciliani decideranno, senza attendere un salvatore della paalla soluzione dei problemi della gente. tria, di darsene un’altra e migliore.
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Gerenza ASud’Europa settimanale realizzato dal Centro di Studi e iniziative culturali “Pio La Torre” - Onlus. Anno 8 - Numero 39 - Palermo, 20 ottobre 2014 Registrazione presso il tribunale di Palermo 2615/07 - Stampa: in proprio Comitato Editoriale: Mario Azzolini, Gemma Contin, Antonio La Spina, Vito Lo Monaco, Franco Nicastro, Bianca Stancanelli, Vincenzo Vasile. Direttore responsabile: Angelo Meli - In redazione: Davide Mancuso - Art Director: Davide Martorana Redazione: Via Remo Sandron 61 - 90143 Palermo - tel. 091348766 - email: asudeuropa@piolatorre.it. II giornale è disponibile anche sul sito internet: www.piolatorre.it; La riproduzione dei testi è possibile solo se viene citata la fonte In questo numero articoli e commenti di: Leonardo Borlini, Ida Bozzi, Dario Carnevale, Natale Conti, Giampiero Crozza, Nando Dalla Chiesa, Alida Federico, Melania Federico, Franco Garufi, Mario Gerevini, Franco La Magna, Vito Lo Monaco, Brunella Lottero, Umberto Lucentini, Marco Ludovico, Davide Mancuso, Rocco Moliterni, Teresa Monaca, Salvo Palazzolo, Filippo Passantino, Naomi Petta, Angelo Pizzuto, Arturo Carlo Quintavalle, Gilda Sciortino, Giorgio Vaiana.
Rifiuti, scommesse, contraffazione, ristoranti Le mani della mafia su nuovi settori economici Giorgio Vaiana nche a livello nazionale, nella relazione semestrale presentata dalla Dia, per quanto riguarda il secondo semestre del 2013, le minacce maggiormente ricevute dalle varie organizzazioni di stampo mafioso e criminale riguardano principalmente il condizionamento della “res publica”, in presenza di convergenza tra organizzazioni criminali e l’area grigia di alcuni contesti amministrativi, politici, imprenditoriali e finanziari. Ma, su tutto il territorio, è stato possibile scoprire come queste organizzazioni criminali approfittino della negativa situazione economica attuale, e sono in grado di “scalare” le aziende in difficoltà grazie alle illimitate risorse contabili di cui dispongono. Questo meccanismo, poi, funziona alla perfezione perché c’è un’alterazione della libera concorrenza mediante il controllo dei meccanismi di aggiudicazione di appalti e subappalti di opere e servizi, con il triplo effetto di privare l’imprenditoria sana di consistenti capitali, fare lievitare enormemente i costi e produrre manufatti e servizi di scarsa qualità.. Le mafie italiane stanno cambiando i loro obiettivi. Settori come quelli della gestione dei rifiuti, della sanità, del gioco online, della ristorazione, della contraffazione, ma anche il florovivaistico e le energie alternative, sono sempre di più gli obiettivi principali dei loschi affari delle organizzazioni criminali. Italiane e non. Perché è cambiato qualcosa nei rapporti tra i gruppi: collaborazione, anche tra clan rivali, dimenticando gli screzi passati, ed un avvicinamento con le mafie internazionali: russa e cinese in primis. Il dato comune, in tutta Italia, però, è il fatto che la mafia sta tentando di riconsoli dare la propria struttura, minata ed indebolita dai vari “attacchi”delle Forze dell’Ordine che hanno sequestrato e confiscato beni, arrestato esponenti di spicco e la cosiddetta “manovalanza”. La massima attenzione, come detto nel precedente articolo, è sempre nei confronti di Matteo Messina Denaro, ritenuto al momento l’uomo più pericoloso di tutto il panorama nazionale. Il vertice della piramide della Mafia è al momento senza un leader ben definito. Così mentre Messina Denaro continua la sua latitanza, la Dia si concentra sulle dinamiche innescate dalla recente scarcerazione di numerosi elementi di spicco, in un breve arco di tempo ed i segnali di una scomposta deriva intimidatoria nei confronti della Magistratura e di altre figure di riferimento, in controtendenza con l’atteggiamento che era stato portato avanti sino ad ora, cioè un profilo basso e poco rumore e clamore. In questo scorcio di mafia raffigurato, però, i proventi delle estorsioni, delle scommesse, del traffico di droga, del riciclaggio, dell’infiltrazione nel settore immobiliare e della gestione degli appalti pubblici, che restano comunque i principali interessi dell’organizzazione mafiosa, sono in parte destinati al sostentamento dei mafiosi in carcere e delle loro famiglie. La ‘ndrangheta continua ad evidenziare una sempre più robusta capacità di sfruttare le sacche di infedeltà dell’apparato amministrativo per condizionare gli enti locali calabresi. La cronaca recente è piena di queste notizie. L’organizzazione criminale calabra mantiene la leadership per il traffico internazionale di cocaina grazie ai rapporti instaurati con altre matrici transnazionali. La camorra, invece, sta soffrendo la pressione investigativa che ha saputo condensarsi con indubbia efficacia. Ma la polverizzazione
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sul territorio dei gruppi ed il ricco serbatoio della microcriminalità, continuamente alimentato dal diffuso disagio sociale, permettono ai clan campani di recuperare rapidamente vitalità e forze per dedicarsi alle tradizionali attività delittuose: traffico di stupefacenti, usura, estorsione. La camorra si sta muovendo sui territori delle regioni limitrofe in cerca di opportunità imprenditoriali non tracciabili. La criminalità organizzata pugliese, priva di vertici in pienezza di potere, è interessata da storiche contrapposizioni che ciclicamente innescano focolai di conflittualità, in cui si introducono nuove formazioni criminali in cerca di spazi operativi. In questo contesto, si intravedono organi direttivi comuni a più gruppi criminali, per ora limitatamente a singole progettualità. Alcuni di questi gruppi, hanno dimostrato di essere in grado di instaurare collegamenti con qualificati narcotrafficanti internazionali, in assenza, tuttavia, di una visione strategica unitaria. In sei mesi, però, lo splendido lavoro della Dia ha portato all’arresto di 58 persone, 17 della mafia, 14 della camorra, 15 della ‘ndrangheta, 4 pugliesi, 8 di altre organizzazioni. Le confische di beni hanno superato il miliardo di euro, con la criminalità siciliana ad essere la più colpita con 812 milioni di euro; segue la ‘ndrangheta con 119 milioni; la camorra con 53 milioni e la criminalità pugliese con 250 mila euro. Le altre organizzazioni criminali totalizzano 20 milioni di euro. Per quanto riguarda il sequestro dei beni, il valore totale supera gli 821 milioni di euro. All’’ndrangheta, sequestrati beni per 560 milioni; 170 milioni alla camorra; 86 milioni alla mafia; quasi 3 milioni alla criminalità pugliese; quasi 2 alle altre organizzazioni criminali. Sono 181 le segnalazioni di operazioni sospette attivate (11.848 quelle analizzate); 640 gli appalti pubblici monitorati; 47 accessi ai cantieri; un arresto di un latitante, 48 le operazioni di polizia giudiziaria concluse; 283 quelle ancora in corso.
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La Relazione semestrale della Dia: Cosa Nostra cerca un riassetto dei vertici na mafia che si modifica, cambia metodologie di lavoro, apre agli stranieri, cerca nuovi modi per fare soldi. Anche nella relazione della Dia relativa al secondo semestre 2013 il dato è quello di una “Cosa nostra” che cerca ancora un assetto, meglio un riassetto dei suoi vertici. La mafia siciliana, infatti, è scossa al momento da continui avvicendamenti nelle posizioni di vertice, fatto certamente dovuto allo splendido lavoro delle Forze dell’Ordine e grazie all’aiuto dei collaboratori di giustizia, oltre che delle rafforzate istanze di legalità. Cosa Nostra sembra un po’ spaesata e costretta a recuperare terreno, alla ricerca di nuovi equilibri, ma soprattutto, cerca di imporre il proprio predominio sul territorio. La mancanza di un leader, però, impedisce alla mafia siciliana la definizione di strategie operative di vasto respiro e fa sì che a dare le direttive siano i capi storici tutt’ora detenuti o quelli latitanti: parole che valgono molto più di quelli che sono i cosiddetti capi emergenti. In questo momento la Mafia sta tenendo un profilo basso che, come spiegano dalla Dia, in realtà dura da parecchio tempo. Un po’ per eludere l’attenzione investigativa, un po’ perché quasi sicuramente mancano le idee. Ma, come si evince dal rapporto, la Mafia è tornata a minacciare. Non solo minacce agli esponenti della magistratura siciliana (Nino Di Matteo in primis, ndr), ma anche verso le istituzioni locali, nonché nei confronti di rappresentanti di organizzazioni pubbliche e private impegnati nella lotta antimafia. Per gli investigatori, questo è una sorta di campanello di allarme che non va assolutamente sottovalutato. Per questo c’è la massima attenzione per cogliere gli eventuali cambi di postura da parte dei sodalizi mafiosi. C’è, però, un dato di fatto: la Mafia si evolve, seguendo la realtà economico/sociale che va, anch’essa, seppur lentamente, evolvendosi. Sorprende che questi cambiamenti avvengano anche nell’area occidentale siciliana, posto ritenuto storicamente connotato da compattezza e rigidità. Invece, anche qui, si avverte la maggiore interazione con l’esterno e le prospettive proiezioni ultraterritoriali. In pratica, a livello locale, i mandamenti, le famiglie ed i clan, hanno capito che occorre creare sinergie, lavorare insieme per la gestione delle attività illecite e visto il ricambio generazionale in atto. Accordi che vengono stretti non solo tra le famiglie siciliane, ma anche e soprattutto con altre organizzazioni criminali mafiose e transnazionali. Ed è proprio all’interno del carcere il luogo dove si sviluppano questi accordi. La Mafia, al momento, non sembra interessata ai flussi migratori dei clandestini. Ma è un dato di fatto l’aumentato reclutamento, con diversi gradi di fidelizzazione, di stranieri, così come l’interazione con gruppi criminali allogeni, secondo regole imposte da Cosa Nostra. Per quanto riguarda il finanziamento di Cosa Nostra, i guadagni principali della Mafia, ancora una volta arrivano dalle attività di estorsione, ma anche la droga rimane un veicolo per fare soldi. In aumento pericoloso, invece, l’intercettazione di finanziamenti pub-
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blici, nell’ambito di procedure selettive di assegnazione, fino alla gestione di un parallelo servizio di collocamento e di welfare. Proprio questo punto è sotto la lente d’ingrandimento degli investigatori. La Mafia, infatti, sta tentando di avere il controllo totale o quasi delle attività imprenditoriali. Questo grazie alle amicizie con uomini del mondo politico, amministrativo e professionale, oltre al condizionamento della pubblica amministrazione, anche attraverso la corruzione, al fine di indirizzare le scelte a proprio vantaggio. Per questo gli investigatori si concentrano sull’aggressione ai patrimoni illeciti. Ed anche in questo semestre, la Dia ha avuto risultati confortanti. L’obiettivo, però, rimane sempre lui, Matteo Messina Denaro, ritenuto l’uomo chiave per saperne di più. A quanto riferiscono alcuni bene informati, a Messina Denaro è stato proposto il ruolo di vertice assoluto di Cosa Nostra. Ma lui, pare abbia rifiutato, volendo rimanere a capo della sua provincia, quella trapanese, in cui gestisce attività dal valore milionario. Spulciando i dati della Dia, si evincono dati nettamente positivi ed altri su cui riflettere. Aumentano le contestazioni di associazioni per delinquere di matrice non mafiosa, passando da 26 del primo semestre 2013 alle 44 del secondo semestre. Dato
Scosse da arresti e collaboratori di giustizia Le mafie sono alla ricerca di nuovi equilibri stabile, più o meno, per le estorsioni, attestate a 296 (307 nel primo semestre). Danneggiamenti, sia con incendio che senza, in calo: i primi scendono a 997 (1.076 nel primo semestre); gli altri passano da 9.299 a 8.717. Anche il numero di segnalazioni relative agli incendi risulta in diminuzione: da 349 si è passati a 316. Calano, e questo è un dato che preoccupa gli investigatori, le denunce per usura che passano da 44 del promo semestre 2013 alle 18 del secondo semestre. Anche se, come dicono dalla Dia, il dato è di nuovo in media con quelli dei precedenti due anni. Per quanto riguarda gli omicidi consumati, il dato risulta stabile rispetto al precedente semestre e, comunque, in diminuzione rispetto alla media del triennio (24 nel secondo semestre 2013, 23 nel primo semestre 2013, 27 nel secondo semestre 2012, 29 nel primo semestre 2012, 32 nel secondo semestre 2011, 27 nel primo semestre 2011); Per gli omicidi tentati si registra una flessione sia in rapporto al primo0 semestre 2013, sia rispetto agli anni 2011 e 2012 (59 nel secondo semestre 2013, 76 nel primo semestre 2013, 68 nel secondo semestre 2012, 73 nel primo semestre 2012, 61 nel secondo semestre 2011 e 77 nel primo semestre 2011). Le denunce riguardanti il riciclaggio e l’impiego di denaro evidenziano un incremento del fenomeno rispetto al semestre precedente: si è passati, infatti, dalle 50 del primo semestre alle 57 del secondo semestre. Per quanto riguarda la provincia di Palermo, Cosa Nostra continua a subìre un’azione investigativa e giudiziaria efficace, tanto da logorarne assetti e potenzialità. I sodalizi, dunque, sono presi dalla necessità di recuperare la supremazia sul territorio, superando ogni contrapposizione interna e riservando un ruolo di riferimento ai boss che, scontate le pene detentive, vengono scarcerati. Palermo e Provincia risultano tutt’oggi divisi in 15 mandamenti (8 in città) ed 80 famiglie (34 in città). Anche qui si evince quanto detto prima: la collaborazione tra le famiglie rivali. L’esigenza di proiettarsi fuori dai territorio direttamente controllati induce Cosa Nostra a concorrere con altri gruppi criminali per disporre di appoggi in aree dove la presenza di ‘ndrangheta, camorra e sacra corona
unita risulta consolidate. Anche qui, il traffico di stupefacenti si conferma settore criminale in crescita, in considerazione dei maggiori rischi dell’attività estorsiva, sempre molto praticata nella provincia, ma non più agevole, considerata la cauta propensione degli imprenditori a denunciare le vessazioni subìte. Dal rapporto della Dia si evince una rinnovata attenzione della criminalità siciliana per le armi, in relazione alla quantità e qualità dei sequestri operati nel secondo semestre 2013. Le investigazioni, poi, parlano chiaro: la Mafia anche nella provincia di Palermo ricorre, laddove incontri difficoltà, a condurre autonomamente gli affari con componenti di bande criminali di etnie straniere stanziatesi sul territorio e specializzate in alcuni settori. Dai dati, però, emerge un dato positivo: anche nella provincia di Palermo si apprezza una diminuzione del delitto relativo all’usura. G.V.
Mafia, scatta il sequestro al mercato ortofrutticolo sequestrata dal centro operativo della direzione investigativa antimafia di Palermo una società cooperativa, del valore di oltre un milione di euro, riconducibile a Pietro La Fata commerciante di 81 anni. L'azienda, è indicata dagli investigatori come un "collettore di interessi mafiosi" al mercato ortofrutticolo di Palermo. L'indagine è stata coordinata dal procuratore aggiunto Bernardo Petralia. Il ruolo di La Fata nella gestione dello "scaro" palermitano era stato messo a fuoco nel febbraio scorso da un'indagine della Dia che aveva compiuto un maxi sequestrato di beni per 265 milioni di euro: immobili, 13 aziende, rapporti bancari e finanziari che sarebbero stati controllati da cinque soggetti, tra cui lo stesso La Fata. I cinque, ritenuti, dall'accusa, contigui alla cosca del quartiere
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Acquasanta, avrebbero monopolizzato le attività del mercato attraverso il controllo di vari servizi: facchinaggio, parcheggio, trasporto e vendita di cassette di legno e materiale da imballaggio. Il gruppo avrebbe esercitato, secondo i magistrati, pressioni anche per l'imposizione dei prezzi e delle forniture, eliminando di fatto ogni forma di concorrenza. Di Pietro La Fata aveva parlato un altro esponente di Cosa nostra che lo aveva indicato come un "uomo d'onore" dell'Acquasanta che assicurava "discrezione alle riunioni" tra boss di varie famiglie all'interno del mercato. Al culmine dell'inchiesta la sezione misure di prevenzione del Tribunale ha ora disposto il sequestro della società cooperativa.
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Autoriciclaggio nel codice penale: una norma da scrivere bene Leonardo Borlini
l riciclaggio è il principale canale di occultamento dei profitti di ogni forma di criminalità anche organizzata ed economica. Si sostanzia nell’insieme di operazioni volte a dare parvenza lecita a capitali la cui provenienza è in realtà illecita, rendendone così difficile l’identificazione ed eventualmente il recupero. Come mostrato da Unger, Takats e Masciandaro, la misurazione del suo impatto economico è assai difficoltosa (numericamente paragonabile ad un’‘industria’ il cui fatturato varierebbe dai 200-500 miliardi di dollari alla stima, ben più considerevole, di 2,85 trilioni). Tramite il riciclaggio, il denaro sporco penetra l’economia legale e acquisisce legittimazione sociale. Si pensi al boss del cartello della droga di Medellin, Pablo Escobar Gaviria che, all’apice del suo potere negli anni ’80, si offrì di ripianare il debito pubblico colombiano. Anche il rapporto di Europol Threat Assessment Italian Organized Crime del 2013 conferma che, grazie ai proventi riciclati dalle attività criminali, le mafie sussidiano le loro imprese operanti nei settori legali dell’economia, permettendo a queste di operare temporaneamente sotto-costo ed eliminare i concorrenti.
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L’IMMUNITÀ DELL’AUTO-RICICLAGGIO Ai sensi dell’art. 648 bis del codice penale, il reato di riciclaggio consiste nella condotta di chi, fuori dai casi di concorso nel reato, sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto doloso, ovvero compie altre operazioni in relazione ad essi, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa. La clausola di riserva in caso di concorso nel reato rende irrilevante, sotto il profilo penale, l’attività di riciclaggio attuata da chi occulta direttamente i proventi del delitto che egli stesso ha commesso, il cosiddetto autoriciclaggio: ciò significa che non commette reato, il riciclatore che “lava” i profitti del suo stesso crimine (per esempio il corrotto che investe la tangente o l’evasore che acquista una casa con il ‘nero’). La ratio dell’esclusione dell’autoriciclaggio si fonda sulla cosiddetta consunzione: per chi ha partecipato alla realizzazione del fatto antecedente, il riutilizzo dei proventi illecitamente conseguiti rappresenta la naturale continuazione della condotta criminosa non idonea ad assumere un diverso e autonomo rilievo penale. Già tra il 2005 e il 2009, tuttavia, il Fondo Monetario Internazionale, il Gafi (Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale) e l’allora Governatore della Banca d’Ita-
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lia Draghi manifestarono perplessità e obiezioni sull’opportunità di mantenere nell’ordinamento penale italiano il ‘privilegio d’immunità dell’auto-riciclaggio’. Inoltre, proprio le direttive europee determinano l’introduzione in Italia del d. lgs. 231/2007 contente disposizioni volte a prevenire l’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio e che reca, all’art. 2, una seconda definizione positiva di riciclaggio priva di riserva analoga al 648 bis c.p. Ad animare ulteriormente il dibattito sul tema, è stata l’ampia convergenza consolidatasi a livello europeo e internazionale per la penalizzazione dell’autoriciclaggio, nonché l’introduzione di tale fattispecie delittuosa in ordinamenti non distanti dal nostro (quelli spagnolo e francese). Le ragioni sistematiche che osterebbero all’introduzione di tale reato (oltre la non punibilità del post factum, soprattutto, evitare ingiustificati aggravi sanzionatori sugli autori dei reati principali e, insieme, un eccessivo aggravio del lavoro delle Procure) sembrano superabili con opportuni accorgimenti, privilegiando l’opportunità di rafforzare l’intera struttura dell’intervento legislativo ispirato alla rimozione di aree di impunità intollerabili. La necessità di introdurre l’autoriciclaggio è emersa soprattutto di fronte a oggettive difficoltà in sede processuale, riconducibili all’esigenza di provare allo stesso tempo la consapevolezza dell’illecita origine del denaro sostituito o trasferito e la contestuale estraneità del soggetto agente alla commissione del reato da cui il denaro proviene. PERCHÉ RIFORMARE? Le ragioni a favore dell’auspicata riforma sono ormai parte del patrimonio giuridico comune che guarda alla trasparenza e affidabilità del sistema economico come a un bene primario. Quanto agli strumenti, anzitutto, è opportuno limitare la punibilità all’autoriciclaggio che segue le più gravi forme di criminalità organizzata ed economica (traffico di stupefacenti su larga scala, corruzione, grande contraffazione ed evasione fiscale punibile penalmente), per non ingolfare le procure. Altrettanto importante è dosare attentamente le sanzioni, prevedendo che l’entità della pena per l’autoriciclaggio trovi una qualche correlazione con quella per il reato-base, considerando anche l’introduzione di una sanzione diversa dalla tradizionale pena detentiva. All’ipotesi di una norma onnicomprensiva (riciclaggio comprendente pure il self-laudering), infine, è forse preferibile l’introduzione di due fattispecie distinte. Il testo in discussione in Commissione Finanze della Camera, frutto del lavoro di una commissione di studio presieduta dal magistrato Francesco Greco, è una solida base per un intervento normativo. Tuttavia, numerosi quotidiani anticipano la stesura di un testo governativo che stravolge l’originale attraverso la riduzione delle sanzioni ma, soprattutto, l’esclusione della punibilità per i reati presupposto puniti con una pena inferiore ai cinque anni di reclusione (esclusi sarebbero i reati di appropriazione indebita e infedele o omessa dichiarazione dei redditi) e il “comma del godimento”, per cui l’autore del reato non sarebbe punibile quando denaro, beni o altra utilità vengono destinati alla utilizzazione o al godimento personale, perché non c’è “ulteriore vantaggio o profitto”. La vera finalità sottesa all’introduzione del reato di autoriciclaggio sarebbe, pertanto, quella di sanzionare
I rischi di uno stravolgimento del testo che può rendere povero l’effetto deterrente l’inquinamento del sistema imprenditoriale con l’utilizzo di denaro o beni di provenienza delittuosa e dunque non il semplice “lavaggio” di denaro. Se tale sarà il testo finale della norma, ben definito sarebbe il bene giuridico tutelato (l’ordine economico), ma povero l’effetto deterrente che sta anzitutto nell’impedire a chi delinque di godere il frutto dei suoi crimini. Inoltre, si graverebbe la magistratura inquirente di un arduo onere probatorio, insieme fornendo un’agevole giustificazione agli accusati (al corrotto, ad esempio, non risulterebbe difficile dimostrare di non aver investito proprio la mazzetta in attività di impresa, derivandone nuovo profitto, ma di averci acquistato, invece, una casa o una macchina). Infine si taglierebbe fuori la grande evasione fiscale poiché omessa e infedele dichiarazione sono, al massimo, punite con la detenzione fino a tre anni e quindi ricadrebbero nell’esclusione della punibilità. * Aggiornamento Il testo della norma, modificato dalla commissione Finanze della Camera il 9 ottobre, entra in aula per la discussione e il voto nella seguente formulazione che inserisce nel codice penale dopo l’articolo 648-ter: “Art 648-ter.1. — (Autoriciclaggio). - Si applica la pena della reclusione da due a otto anni e della multa da euro 5.000 a euro 25.000 a chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, sostituisce, trasferisce ovvero impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa. Si applica la pena della reclusione da uno a quattro anni se il denaro, i beni o le altre utilità provengono dalla commissione di un delitto non colposo punito con la reclusione inferiore nel massimo a cinque anni.
Fuori dei casi di cui ai commi prece- denti, non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale. La pena è aumentata quando i fatti sono commessi nell’esercizio di un’attività bancaria o finanziaria o di altra attività professionale. La pena è diminuita fino alla metà per chi si sia efficacemente adoperato per evitare che le condotte siano portate a conseguenze ulteriori o per assicurare le prove del reato e l’individuazione dei beni, del denaro e delle altre utilità provenienti dal delitto. Si applica l’ultimo comma dell’articolo 648″.(info.lavoce)
Mafia, comitato “Riattivo il lavoro”: riforma dei beni confiscati e mafie fatturano più di 170 miliardi l'anno. Al 7 gennaio 2013, 1702 le aziende confiscate in via definitiva, il 70% in più dall'inizio della crisi, e dieci volte tanto quelle sequestrate. Tutti i settori e le regioni sono coinvolti: tra i settori produttivi, una percentuale molto alta riguarda il terziario (55%), l'edilizia (27%) e l'agroalimentare (6%). Il numero maggiore di aziende sequestrate e confiscate sono in Sicilia (36%), Campania (29%) e Lombardia (13%). Facendo una stima, i lavoratori coinvolti sono stati più di 80 mila di cui circa 72 mila - spesso inconsapevoli della mafiosità del proprio datore di lavoro - hanno pagato con il licenziamento e la disoccupazione. Per questo il Comitato promotore della campagna «Io riattivo il lavoro», costituito da Cgil, Libera, Acli, Arci, Avviso Pubblico, Legacoop, Sos Impresa e il Centro studi Pio La Torre, hanno indetto una conferenza stampa per chiedere al Parlamento di votare in fretta il testo che recepisce i contenuti della proposta di legge di iniziativa popolare presentata dallo stesso, aggiungendo - «è un atto di responsabilità politica - l'uso sociale delle aziende che meritano di stare sul mercato dimostra che la mafia non è imbattibile e sottrae consenso sociale alla stessa mafia». Il testo prevede, mag-
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giori competenze e personale all'Agenzia nazionale per i beni confiscati, la creazione di un Fondo di rotazione per risolvere il problema del credito bancario, pagare gli stipendi dei lavoratori e sostenere i costi dell'emersione alla legalità delle imprese, ed una serie di interventi in favore delle aziende confiscate e sequestrate per favorire l'emersione dei rapporti di lavoro irregolari. Incentivando attraverso agevolazioni fiscali, la costituzione di cooperative di lavoratori disposti a rilevare l'azienda. Il deputato Pd Davide Mattiello, componente delle Commissioni Giustizia e Antimafia, ha rilevato che il testo base per la riforma dei beni confiscati è già stato approvato a larghissima maggioranza in commissione Giustizia (contraria FI) e in Commissione Antimafia è stata approvata una relazione le cui conclusioni sono in sintonia con il testo base. Anche le norme messe a punto dal Ministro Orlando il 29 agosto scorso relativamente alla criminalità organizzata, vanno nello stessa direzione. «Su questa materia c'è la quadra - ha concluso Mattiello - la volontà politica è convergente e dunque si può arrivare rapidamente alla riforma di cui abbiamo così bisogno». Naomi Petta
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Le lettere a Scarpinato che ricordano l’Addaura Nando Dalla Chiesa ome vede, sappiamo prenderci cura di Lei. Questo il senso, sconvolgente, del messaggio anonimo lasciato sulla scrivania del procuratore generale di Palermo Scarpinato alcune settimane fa, seguito da altri avvertimenti. Chi ha esperienza e memoria di queste cose capisce al volo che in questo messaggio c’è qualcosa di profondamente diverso da tanti altri generi letterari e pratici dell’intimidazione mafiosa. Il destinatario, anzitutto: il massimo responsabile dell’attività investigativa giudiziaria palermitana, una delle maggiori memorie antimafia, notoriamente capace di connettere le singole vicende in quadri ampi e dotati di senso storico. Il luogo: il suo ufficio, riservatissimo, a cui dovrebbe avere accesso diretto solo il titolare, anche se poi si è scoperto che per ragioni inspiegabili non era così. Più esattamente la sua scrivania. Una visita a domicilio, una vicinanza incombente, un fiato che si fa grilletto. Il messaggio: un invito ampolloso e letterario, di un emulo di Sciascia si direbbe, a non superare i confini che altri, ovvero poteri superiori e impersonali, hanno fissato a un magistrato già andato troppo oltre rispetto a ciò che è normalmente consentito. Non l’immagine del sangue ce ne arriva. Ma quella dei corridoi oscuri che avvolgono e si compiacciono di dare consigli affettuosi alla vittima, per risparmiarle gli esiti che “altri” stanno scalpitando per ottenere. La data, forse non casuale, visto che ha segnato una svolta nei rapporti tra mafia e Stato, pesando sulla stessa attività professionale di Scarpinato: il 3 settembre, anniversario dell’assassinio del prefetto dalla Chiesa. Le circostanze logistiche: un ingresso furtivo ripreso dalle telecamere esterne, la cui memoria, però, è stata poi cancellata proprio nei punti interessati, verosimilmente da persona diversa da chi ha scritto la lettera. E il contesto recente: il “protocollo Farfalla”, che ha messo in luce lo scenario di servizi segreti che entrano ed escono dalle carceri per avvicinare detenuti al 41 bis, senza lasciare tracce, all’insaputa della magistratura. L’intenzione del procuratore di vederci chiaro, poiché sa bene che la storia maledetta dei rapporti tra mafia e Stato è zeppa di inquinamenti, di verità giudiziarie manipolate, da Portella della Ginestra a via D’Amelio. I servizi che escono ed entrano nelle carceri senza lasciar tracce ricordano Raffaele Cutolo che si fa Stato e la liberazione di Ciro Cirillo. Ricordano il tentativo (per fortuna non riuscito) di mettere in contatto Patrizio Peci, primo capo Br pentito, con l’allora Sisde prima che con i carabinieri e la magistratura. E certo se c’è qualcuno che per definizione non può avere frequentazioni “segrete” è ogni singolo mafioso al 41 bis, a cui il carcere duro viene comminato proprio per impedirgli di avere contatti con il mondo esterno. Si intuiscono dunque i soliti intrecci “inquietanti”. Che stavolta hanno scelto di materializzarsi sulla scrivania del procuratore colpevole di aver capito troppo. Avrebbero potuto raggiungerlo in altro modo, con le sembianze di un collega o di un alto grado ministeriale capace di dargli un consiglio “nel suo esclusivo interesse”, se solo Scarpinato fosse incluso nella lista degli
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“avvicinabili”. Ma Scarpinato non vi figura. Quella lettera manda dunque i bagliori del pericolo, piena fra l’altro com’è di riferimenti alla sfera privata. Non è una pallottola in busta, che quasi chiunque può mandare. Non è una telefonata minatoria. Non è una voce di attentato o una maledizione di Totò Riina. C’è un salto di qualità. Per questo sorprende, ancora oggi, l’imbarazzato silenzio di tanti Palazzi. O la sottovalutazione di ambienti anche assai reattivi, come fossimo davanti a una delle tante minacce a chi combatte la mafia. Perché nemmeno le celebri lettere del Corvo del Palazzo di Giustizia di Palermo contro Falcone bastano a rendere l’idea. Quelle andavano in giro, non apparivano impunite e melliflue sulla scrivania del giudice; tendevano a delegittimare, a colpire nel prestigio un magistrato circondato da invidie e gelosie inestinguibili. Qui, per certi aspetti per fortuna, non è così, perché la magistratura è cambiata e Scarpinato non è isolato in quello che fu il Palazzo dei veleni. Se vogliamo rimanere alla parabola purtroppo esemplare di Falcone, la lettera assomiglia piuttosto alle borse di tritolo dell’Addaura. Lì stavano “il gioco grande” e “le menti raffinatissime” di allora. Perciò occorre la massima attenzione. La testimonianza di Napolitano al processo sulla trattativa, questione mediaticamente assai più ghiotta, rischia di monopolizzare lo sguardo del paese che “dalla politica arriva alla mafia”. Chi invece “dalla mafia arriva alla politica” (che è poi il percorso intellettuale dello stesso Scarpinato) colga la gravità dei segnali attuali. Governo e istituzioni, cittadini e associazioni, stampa libera e scuole, sappiano fare diga intorno al procuratore. Leggendo con intelligenza l’agenda della mafia e dei suoi complici. Alzando la partecipazione e la vigilanza civile. Senza accontentarsi dei facili “mi piace”. Questo, purtroppo, non è un mondo virtuale. (Il Fatto Quotidiano)
Palermo, un pool per accelerare le confische Investigatori e pm: caccia ai patrimoni mafiosi Umberto Lucentini i fatto è la nascita di un pool di magistrati e investigatori a caccia di patrimoni mafiosi. La procura antimafia di Palermo, con Dia e questure di Palermo, Trapani e Agrigento, ha firmato ieri un protocollo d’intesa in materia di misure di prevenzione patrimoniali. Banche dati, informazioni, notizie su indagini che porteranno alla richiesta di sequestro e confisca di beni mafiosi: tutto verrà condiviso dagli organi investigativi e dai pubblici ministeri per evitare sovrapposizioni e per velocizzare i tempi delle indagini. Dettagli e competenze sono contenute in una sorta di «decalogo» che - gli addetti ai lavori ne sono certi - consentirà di ottenere nuovi e più importanti risultati in quello che è uno degli snodi cardine delle inchieste sui patrimoni di Cosa nostra. «La presenza di più soggetti impegnati in queste indagini» spiega Leonardo Agueci, che guida la Procura di Palermo, «ci ha spinto a realizzare un coordinamento unico, così da evitare interferenze che potessero creare difficoltà. Ma soprattutto si è sentita la necessità di avere un’azione unitaria e coordinata che possa potenziare e rendere ancora più efficace le misure in materia di prevenzione patrimoniale». «Sequestrare i patrimoni ai mafiosi» dice Bernardo Petralia, procuratore aggiunto di Palermo e coordinatore del Dipartimento specializzato in misure di prevenzione, «è fondamentale nella lotta antimafia. La confisca è l’ergastolo per i beni dei mafiosi». Il protocollo d’intesa è stato formalizzato ieri nella sala «Luca Crescente» del nuovo palazzo di giustizia di Palermo. Lo hanno firmato il questore di Palermo, Maria Rosaria Maiorino; il questore di Agrigento, Mario Finocchiaro; il questore di Trapani, Maurizio Agricola; il colonnello Riccardo Sciuto, direttore del centro operativo della Dia di Palermo; i procuratori Agueci e Petralia. A disposizione di chi indaga ci sarà la banca dati della procura di Palermo, l’archivio Sidda: potrà essere consultato dai titolari delle indagini (Dia e polizia) per verificare le posizioni degli indagati che dovranno essere proposti per una misura di prevenzione patrimoniale. Le comunicazioni sull’apertura di un fascicolo saranno veloci e immediate e la Procura di Palermo, che si avvale per le sue indagini della Guardia di Finanza, sarà informata in tempo reale sull’attivazione «dei primi accertamenti relativi alla proposta che si intende presentare». «La volontà che sta alla base di questo Protocollo» commenta
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Agueci, «è quella di coordinare al meglio le attività e di svolgere in maniera unitaria le misure di prevenzione patrimoniali. Nel Testo Unico Antimafia il legislatore ha previsto che diversi soggetti, con poteri autonomi, si occupino della materia per le azioni di prevenzione». Nel protocollo si legge che «le parti si riconoscono reciprocamente identico rilievo e pari dignità operativa nel raggiungimento di comuni obiettivi di legalità e di contrasto alla criminalità organizzata e a tal fine concordano periodicamente le iniziative da adottare». Il potere di proporre le misure patrimoniali antimafia resta di competenza dei procuratori, dei questori e del direttore della Dia. «Sarà compito della Procura di Palermo» aggiunge Petralia, «svolgere funzioni di pubblico ministero nelle udienze di trattazione delle richieste di misure di prevenzione patrimoniale». Nelle sedi giudiziarie del Distretto di Palermo sarà quindi la Procura del capoluogo a sostenere l’accusa per l’obiettivo principe: la confisca di beni mafiosi. (Giornale di Sicilia)
A Palermo pendono 443 procedimenti, a Trapani sono 30
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elle maglie della giustizia sono finiti i patrimoni di boss,
prietà di Giovanni Filardo, cugino del latitante Matteo Messina
gregari, familiari e prestanomi. Conti correnti, beni im-
Denaro: a Filardo (al termine di un’inchiesta condotta da Dia,
mobili, quote di società che per chi indaga sono ricondu-
Guardia di Finanza e carabinieri) sono stati congelati un com-
cibili ai capimafia o ai loro fincheggiatori.
plesso aziendale, numerosi automezzi, terreni, una villa sulla
A Palermo, al momento, sono pendenti 443 procedimenti di mi-
base di un provvedimento emesso dal Tribunale di Trapani.
sure di prevenzione patrimoniali; a Trapani sono 30 i dibattimenti
A Palermo, di recente, nel mirino i beni per circa 600 milioni di
aperti, ad Agrigento 25. Cifre che raccontano in parte quanto im-
euro riconducibili agli eredi di Vincenzo Rappa, imprenditore
mensi siano i tesori nella disponibilità di Cosa nostra.
morto nel 2009, e la «Società italiana per il gas S.p.a. - Italgas
Gli ultimi sequestri di beni hanno colpito a Castelvetrano le pro-
S.p.a» del gruppo Snam.
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Il nuovo business ora è nei piccoli appalti L’allarme dei pm: "Comuni preda dei clan" Salvo Palazzolo schio di infiltrazioni mafiose negli appalti. LE NUOVE INDAGINI Dunque, l' ultimo blitz della procura di Termini Imerese al Comune di Misilmeri è solo la punta di un iceberg. Di relazioni già svelate, ma anche di altre su cui i pm del pool antimafia stanno continuando a indagare. Agueci non ne fa mistero: «Purtroppo, i rapporti fra ambienti di mafia ed enti locali non sono mai venuti meno. Forse, in questi ultimi anni si sono attenuati grazie alle indagini e agli arresti, ma dopo una momentanea fase di crisi hanno ripreso a funzionare senza altri intoppi. Ecco perché la nostra attenzione continua ad essere alta. Ma, naturalmente, non è possibile fare indagini su tutti i Comuni. E l' attività repressiva è importante, ma non basta».
on è più tempo dei grandi appalti per i boss e i loro insospettabili complici, come nei ruggenti anni Ottanta e Novanta. «Troppi controlli nelle gare, troppi protocolli d' intesa», commentano i mafiosi nelle intercettazioni. Le ultime indagini di procura e carabinieri dicono che l' organizzazione mafiosa punta ormai ai piccoli lavori pubblici, soprattutto quelli gestiti dai Comuni della provincia palermitana. Appalti ad affidamento diretto: al massimo, di 40 mila euro per i lavori, 100 mila per i servizi, 200 mila per le opere da realizzare in somma urgenza. Di questi tempi, un vero eldorado per i nuovi boss. E, adesso, il procuratore reggente di Palermo, Leonardo Agueci, lancia l' allarme: «Con l' attuale crisi della risorse, i soldi sono soprattutto nei piccoli lavori, che vengono aggiudicati con procedure semplificate, facilmente strumentalizzabili. Ecco perché gli enti locali sono tornati a essere nella morsa dell' organizzazione mafiosa ». Lo confermano le rilevazioni della prefettura di Palermo, che di recente ha tracciato un bilancio delle segnalazioni di presenze sospette inviate ai sindaci della provincia negli ultimi due anni. È un bilancio preoccupante. Una nota riservata è partita per il Comune di Carini, dove sono state rilevate ben 9 ditte sospette alla prese con gli appalti comunali. Un' altra nota è stata inviata a Camporeale, per due ditte. A Misilmeri, per altre due. E ancora: Altofonte, Bagheria, Cefalù, Corleone, Ficarazzi, Godrano, Ustica, San Cipirello e San Giuseppe Jato, anche questi Comuni hanno ricevuto una comunicazione dalla prefettura per ri-
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IL METODO DEL TAVOLINO Bisogna ripercorrere le ultime indagini per comprendere quanto il sistema dei piccoli appalti sia diventato vulnerabile. E soprattutto per individuare il metodo di aggressione dei boss. Perché un metodo c' è, niente è lasciato al caso. Lo dicono anche i provvedimenti di scioglimento decretati dal ministero dell' Interno per Misilmeri, Isola delle Femmine, Polizzi, Altavilla Milicia. Sono sempre i piccoli appalti a far scattare le infiltrazioni mafiose. Anche quando consiglio comunale e giunta restano in sella. Così accadde a Belmonte Mezzagno, dove fu bacchettato solo il capo dell' ufficio tecnico. Il metodo del nuovo tavolino l' ha spiegato chiaramente uno degli ultimi pentiti di mafia, Vincenzo Gennaro, che ha parlato delle sue entrature al Comune di Altavilla, poi sciolto per infiltrazioni mafiose. «Io avevo avuto una promessa dal sindaco Arisi nella campagna elettorale del 2012 - ha messo a verbale - Disse: mi dai una mano, non ti preoccupare, io ti faccio lavorare là come un pazzo, ora c' è un cantiere, c' è un lavoro che dovrebbe partire». La campagna elettorale è l' origine di ogni accordo. I carabinieri del nucleo Investigativo hanno scoperto che anche il sindaco di Alimena, Giuseppe Scrivano, cercava voti mafiosi per la sua candidatura alle Regionali 2012. Avrebbe pagato 50 euro a voto. Dice il tenente colonnello Salvatore Altavilla, comandante del Reparto Operativo: «Il momento della campagna elettorale è sempre molto indicativo per comprendere se in un dato Comune ci sarà il rischio di controllo mafioso sulla pubblica amministrazione. Perché i mafiosi gestiscono i voti, che offrono a una classe politica a loro vicina. In cambio, chiedono di gestire gli appalti». Il procuratore Agueci è preoccupato: «Ancora oggi ci sono non pochi politici che continuano a cercare i voti mafiosi» (La Repubblica)
I clan tralasciano il pizzo agli imprenditori Meglio controllare il progettista dell’opera la figura professionale che negli enti locali decide la sostanza delle opere: materiali da usare, magari venduti da ditte "amiche" «lasciamo stare il pizzo agli imprenditori, prendiamoci un progettista di fiducia», diceva l' ultimo padrino di Corleone, Antonino Di Marco, intercettato dai carabinieri del Gruppo Monreale nel suo ufficio alla stadio comunale, pochi mesi fa. Non era solo una battuta. I progettisti sono ormai diventati i professionisti più corteggiati dai boss. Anche questo dicono le indagini della procura distrettuale di Palermo. I progettisti, incaricati dai Comuni, che decidono la sostanza dei lavori. Quello che interessa ai mafiosi: i materiali da usare, magari commercializzato solo da alcune ditte amiche; l' entità delle opere, così se il lavoro è piccolo si può sempre gonfiare. Il corleonese Di Marco meditava anche di legalizzare la tangente mafiosa, proprio attraverso il progettista. Il suo stipendio sarebbe stata la quota mafiosa dell' appalto. Ma, in fondo, in Cosa nostra, non c' è mai nulla di nuovo. Tutto si ricrea, al momento giusto. Così, un progettista d' eccezione era l' architetto Giuseppe Liga, capo del mandamento di San Lorenzo. E un pentito di quella zona, Gaspare Pulizzi, ha poi spiegato ai magistrati a cosa serve un bravo progettista: «C' era un bravo ingegnere che era anche abile a ottenere le concessioni edilizie e a risolvere in genere i profili legati alle procedure amministrative, soprattutto nella zona di Carini». Di quel professionista, dicevano anche, durante un colloquio intercettato: «A lui approvano tutto, dalla a alla zeta... In tutti i posti, non alla Sovrintendenza». Ecco, perché i mafiosi hanno bisogno del progettista. Lui ha le chiavi del palazzo. Progettisti rampanti erano anche quelli coinvolti nell' ultima indagine dei carabinieri e della procura di Termini Imerese. Gravitavano tutti attorno alla dirigente comunale di Misilmeri Irene Gullo e all' ingegnere Paolino Rizzolo. Da due giorni sono agli arresti domiciliari, e ieri davanti al gip si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Altri otto fra ingegneri e architetti che avevano benefi-
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ciato di una girandola di incarichi al Comune sono stati invece sospesi dalla professione. Non sono accusati di contatti con ambienti mafiosi, ma a loro i carabinieri sono arrivati indagando sulle infiltrazioni di Cosa nostra al Comune di Misilmeri. Appena due anni fa, il capomafia Francesco Lo Gerfo poteva contare su un fidato ambasciatore nel palazzo comunale: il ragioniere Vincenzo Ganci, con un passato di consigliere comunale di Misilmeri e un presente di consigliere Pdl alla circoscrizione Palermo- Oreto. È finito in carcere con l' accusa di aver fatto da «anello di collegamento tra il capomafia Lo Gerfo e il presidente del consiglio comunale di Misilmeri ». Un avviso di garanzia per concorso esterno in associazione mafiosa fu notificato anche al presidente del consiglio comunale, Giuseppe Cimò, cugino di Ganci. Le intercettazioni dicevano che sarebbe stato voluto da Lo Gerfo in quella poltrona. I boss puntavano a gestire il nuovo piano regolatore di Misilmeri.
Il Sismi: nel 1993 Napolitano e Spadolini nel mirino dei boss passato solo un giorno dalle bombe a San Giovanni in Laterano e San Giorgio al Velabro, a Roma, quando il Sismi stila una nota riservata in cui mette per iscritto che una fonte confidenziale aveva preannunciato un attentato, a metà agosto, a Giorgio Napolitano e Giovanni Spadolini, allora presidenti di Camera e Senato. È il 29 luglio del 1993. Dopo qualche giorno, il 4 agosto, gli 007 militari vanno oltre e inviano un allarme ai colleghi del Servizio civile, al Viminale, al ministero della Difesa e ai vertici dell'Arma e della Guardia di Finanza. Una decisione, quella di divulgare le notizie apprese, dopo avere valutato e «promosso» l'attendibilità del confidente. Il carteggio e
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la nota del Sismi, finora top secret, sono finiti agli atti del processo sulla trattativa Stato-mafia. I pm Roberto Tartaglia e Nino Di Matteo li hanno depositati insieme a un'altra nota riservata degli 007 di fine agosto in cui si dà atto che solo il potenziamento delle misure di sicurezza disposte per le due personalità politiche aveva evitato che gli attentati fossero realizzati. L'allarme lanciato dai Servizi potrebbe essere la chiave per dare una risposta a un interrogativo rimasto finora oscuro: perchè Cosa nostra scelse di colpire proprio San Giovanni in Laterano e San Giorgio al Velabro? Quelle bombe contenevano un messaggio preciso a Giorgio Napolitano e Giovanni Spadolini?
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Nell'illegalità 300 milioni di fondi Ue Marco Ludovico irca 300 milioni di finanziamenti Ue all' Italia nel 2014 sono finiti o stavano per finire nell' illegalità. Le verifiche della Guardia di Finanza, aggiornate a settembre, parlano
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chiaro. Nei primi nove mesi di quest' anno, attraverso circa 5mila interventi, la Gdf ha messo sotto la lente un flusso finanziario complessivo di 550 milioni di euro di fondi Ue in tutta Italia. Per circa 215 milioni si è trattato, secondo le Fiamme Gialle, di erogazioni indebitamente percepite. Per altri 75 milioni era la stessa richiesta di finanziamento a essere illecita e le Fiamme Gialle hanno fatto sì che venisse bloccata. Il totale dei due fenomeni illeciti rappresenta il 52,72 per cento dei fondiUe controllati. Detta in altre parole, più della metà dei fondi di Bruxelles ricevuti o richiesti in Italia nel 2014, stando ai controlli delle Fiamme Gialle, era illegale. Il tema è emerso ieri e lunedì nel corso del seminario «Aspetti operativi della lotta alle frodi nei fondi strutturali» organizzato a Roma dall' Olaf, l' ufficio europeo per la lotta antifrode, con la partecipazione, tra gli altri, del direttore generale dell' Olaf, Giovanni Kessler, il comandante generale Gdf, Saverio Capolupo, e il sottosegretario all' Economia Enrico Zanetti. È emersa la descrizione del Siaf (sistema antifrode) della Gdf, un progetto hardware e software per potenziare l' azione di contrasto alle frodi ai danni dei fondi dell' Unione con specifico riferimento a quelle che riguadano le quattro regioni dell' obiettivo Convergenza (Puglia, Campania, Calabria e Sicilia). I circa 5mila controlli svolti quest' anno dalle Fiamme Gialle hanno portato alla segnalazione di 2.130 soggetti e 23 di loro sono stati colpiti da misure cautelari. Non solo: sono stati eseguiti sequestri «per equivalente» di beni e disponibilità dei responsabili per circa 145 milioni di euro, pari al 67% dell' ammontare delle risorse indebitamente percepite. Uno scenario ancora più dettagliato è stato fornito da Paolo Luigi Rebecchi, viceprocuratore generale della Corte dei conti. I comportamenti illegali per richiedere e ottenere finanziamenti Ue
sono un campionario ormai noto, quasi scontato, ma sempre più ricco: falsi documentali, mancanza di requisiti, acquisti mai fatti, addirittura contributi in agricoltura percepiti da soggetti sottoposti a misure di prevenzione antimafia. Davanti a tutto questo l' anno scorso la Corte dei Conti, presieduta da Raffaele Squitieri, in primo grado ha emesso 107 sentenze, con condanne per 95 milioni; in secondo grado, 33 sentenze e condanne pari a 26,7 milioni. Sempre nel 2013, nell' osservazione a livello regionale delle segnalazioni di frodi sui fondi Feoga-Fesr-Fse-Sfop, fatte da Gdf e Arma dei Carabinieri alla magistratura contabile, al primo posto c' è la Sicilia (23,4 milioni), al secondo il Lazio (19,5 milioni) e al terzo la Puglia (14,8 milioni). I dati globali nel periodo 2008-2013 vedono in primo grado emesse dalla Corte dei conti 509 sentenze per un totale di condanne di 332 milioni; nello stesso periodo le citazioni sono state 947 per un importo totale pari a 728 milioni. (Il Sole 24 ore)
Strage Capaci, il Pm chiede tre ergastoli er la strage di Capaci, costata la vita al giudice Giovanni Falcone, alla moglie Francesca Morvillo e a tre poliziotti della scorta, la Procura di Caltanissetta ha chiesto la condanna all'ergastolo dei boss Cosimo D'Amato, Giuseppe Barranca e Cristoforo Cannella. Dodici anni sono stati chiesti per il pentito Gaspare Spatuzza che con le sue dichiarazioni ha reso possibile la riapertura dell'inchiesta. Il processo si svolge, in abbreviato, davanti al gup Davide Salvucci. Grazie alle dichiarazioni di Spatuzza i pm di Caltanissetta hanno fatto luce sulla fase preparatoria dell'attentato. E alla luce sono venute le responsabilità di sette mafiosi della cosca di Brancaccio,
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quella capeggiata dal boss Giuseppe Graviano. Per 20 anni sono rimasti impuniti restando fuori dalle indagini sull'eccidio di Capaci. Oltre ai sette, che avrebbero preso parte alle operazioni di recupero in mare e alla lavorazione del tritolo usato per l'eccidio, è stato indagato, come mandante, il capomafia Salvuccio Madonia, boss di Resuttana che partecipò alle riunioni durante le quali Cosa nostra deliberò il programma stragista e l'uccisione di Falcone. I boss processati oggi hanno scelto l'abbreviato, gli altri vengono giudicati separatamente con il rito ordinario. Il processo è stato rinviato al 22 ottobre per le arringhe difensive.
La tragedia dei giovani siciliani Franco Garufi Bilancio sociale dell'INPS presentato a Roma il 14 ottobre troppo la confermano. Per esempio, il Rapporto Censis 2012, presenta molti aspetti che meritano di essere esaminati con riferito alla fascia d'età 15-29 anni, appare coerente, consideattenzione ed offre una rappresentazione realistica della sirata anche la maggiore ristrettezza della fascia d'età considetuazione di estrema difficoltà che l'Italia vive ormai da quasi un derata: 35,7% a fronte di una media nazionale del 18,8%. Per cennio. Mi soffermo sul capitolo dedicato all'occupazione capire le dimensioni del fenomeno, mi siano consentiti alcuni rigiovanile, che è l'emergenza tra le emergenze. I dati non lasciano ferimenti statistici. dubbi. Negli ultimi cinque anni il tasso di disoccupazione giovanile I giovani NEET in Italia sono circa 2,1 milioni di cui 938.000 nel paese è raddoppiato passando dal 21,3% del 2008 al 42,4%, maschi, 1,17 milioni femmine, di essi 1,2 milioni nel Mezzomentre hanno assunto dimensioni rilevanti la platea di quanti lagiorno (nel Nord sono 660.000). Il 38% ha un'età compresa tra vorano in condizioni di precarietà e i cosiddetti working poors, ovi 20 e i 24 anni (800.000) e il 14% è di nazionalità straniera. Il vero dei lavoratori a basso salario. L'Italia è in ritardo rispetto 46% ha al più la licenza media, il 34% sono disoccupati, il 30% all'Europa: il rapporto Eurostat “Labour market policy- expediture sono inattivi scoraggiati.. Se si incrociano queste cifre con and participants” sottolinea che le risorse pubbliche destinate alle quelle della propensione educativa delle giovani generazioni, politiche per il mercato del lavoro ammontano a solo l'1,7% del la situazione emerge nella sua drammaticità. Tra i 18 e i 24 PIL, contro la media UE-15 del 2,0%. La Francia destina a queste anni, coloro che non partecipano ad alcuna attività di formapolitiche il 2.,4% del PIL, la Spagna il 3,6%, la Germania mostra zione sono circa 800.000, di cui 335.000 occupati e 150.000 una spesa percentuale simile all'Italia (1,8%) disoccupati. Decisamente molto elevato ma investe proporzionalmente molto di più in il fenomeno dell'abbandono prematuro politiche attive che in ammortizzatori sociali. Nel studi che interessa circa 800.000 In Sicilia oltre 500 mila degli nostro paese le risorse impegnate per l'indengiovani tra i 18 e i 24 anni pari al 18% del nità di disoccupazione, cassa integrazione, inragazzi e ragazze sono totale (Inps Rapporto coesione 2013 centivi all'esodo e misure simili toccano l'80%, pag.30). in allo sbando, probabili Secondo l'Istat, la popolazione siciliana contro il 55,0% della Germania e il 60% della Francia. Ai servizi di orientamento all'occupafascia d'età tra i 15 e i 34 anni asobiettivi del recluta- nella zione, riconducibili ai Centri per l'impiego, viene somma a circa 1 milione 230mila perinvece destinato dall'Italia solo l'1,9% della mento mafioso. E la po- sone; il 42,7% di questa cifra è pari ad spesa contro il 10,0% della Francia e il 18,8% oltre 500.000 unità. In Sicilia risiede, perlitica ignora questa ciò, il 40% dei NEET dell'intero Mezzodella Germania (media UE pari all'11,0%). (cfr.: INPS Bilancio sociale 2013, pagg. 80-81). Il Quasi metà delle giovani donne e emergenza sociale pre- giorno. rapporto sulla coesione sociale 2013, altro predei giovani uomini, delle ragazze e dei razioso contributo dell'Inps alla conoscenza della ferendo trastullarsi in gazzi nate tra l'inizio degli anni ottanta e struttura economica e sociale del paese, mette la fine dello scorso millennio non studia, guerre di poltrone e gio- non viene formata professionalmente, in evidenza la diminuzione di 1,3% rispetto all'anno precedente dei lavoratori a tempo indeappare esclusa dalla prospettiva del lachini da tardo impero terminato, ma soprattutto che “nel periodo voro: è una tragedia sociale tra le più 2010-2013 il peso dei giovani rispetto al comgrandi che la Sicilia abbia mai conosciuto. plesso dei lavoratori dipendenti con contratto a tempo indetermiEsiste nella politica la consapevolezza della dimensione nato è passato dal 16,8% al 14,0%” , ma nel Sud e nelle isole la enorme della questione? Quali risposte è possibile dare neldiminuzione è stata assai più marcata, rispettivamente del -2,2% l'immediato e con quali speranze di invertire in modo significae del 3,2% (pag.14).Se ne ricava, a mio avviso, che il nodo vero tivo la tendenza? dei ritardi nella gestione del nostro mercato del lavoro riguarda la Lascio ai paroliberisti e ai demagoghi le risposte miracolose: debolezza delle politiche attive, l'insieme di azioni che mirano a possono servire al massimo per lo spazio di una campagna promuovere l'accesso al mercato del lavoro e sono rivolte in parelettorale o per guadagnarsi qualche passaggio in televisione. ticolare ai soggetti svantaggiati. Solo attraverso scelte politiche coraggiose e azioni coerenti, Di flessibilità, invece, ce n'è forse più di quella che servirebbe e supportate da una tastiera di strumenti tecnici sarà possibile aftroppo spesso essa tracima nella precarietà; a dimostrazione, anfrontare il problema. Ma la precondizione da cui tutto dipende cora una volta, del carattere strumentale delle proposte del presiè che i governanti, i soggetti politici e le forze economiche e sodente del Consiglio Matteo Renzi sull'abolizione dell'art,18 dello ciali dell'isola si convincano che i paradigmi tradizionali sono statuto dei Lavoratori e dell'inadeguatezza del cosiddetto job-act inutilizzabili e che dalla soluzione di questa catastrofe sociale che invece si concentra sull'ulteriore flessibilizzazione e precarizpassa il futuro dell'isola. Il primo strumento è il rilancio delzazione dei rapporti di lavoro. Colpisce nel bilancio sociale, un l'istruzione. e della conoscenza. Ragazze e ragazzi vanno ridato che riguarda la Sicilia: la quota di giovani siciliani compresi portati a scuola: il tasso di dispersione scolastica è da noi più tra i 15 e i 34 anni appartenenti ai cosiddetti NEET (Not in Educaalto della media nazionale e la crisi porta molte famiglie a tration Employement Training, cioè che non studiano a scuola o in scurare il valore dell'investimento sull'istruzione. Perciò la lotta percorsi di formazione professionale e non lavorano) tocca nel senza quartiere all'abbandono scolastico precoce è la prima 2013 il picco del 42.7% rispetto al dato medio italiano del 27,3%. delle risposte essenziali e su di essa va concentrata una quota La cifra è eclatante e mi ha indotto ad alcune verifiche, che purrilevante delle risorse regionali e nazionali del prossimo ciclo
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di programmazione dei fondi strutturali europei. Di università si parla poco, ma essa costituisce uno dei punti di maggior debolezza perché si è bloccato l'ascensore sociale che per molti anni ha legato il conseguimento della laurea alle prospettive occupazionali. La laurea e i titoli post-laurea sono ormai diventati un ostacolo a trovar lavoro nella realtà dove si è nati e cresciuti: la Svimez stima (2011) al 23,7% la quota di emigranti dall'isola in possesso della laurea. Creare lavoro produttivo per le alte qualificazioni significa rilanciare l'idea di una Sicilia che punti sulla fascia alta dello sviluppo, individuando le vocazioni territoriali e attirando investimenti nazionali e stranieri. Si tratta, naturalmente di prospettive di medio periodo, legate al rilancio di una politica industriale nazionale che guardi al Mezzogiorno come all'area territoriale da privilegiare nel dopo crisi: penso all'agenda digitale, all'agroalimentare di qualità, allo sviluppo delle eccellenze nei settori elettronico e biomedicale, all'inserimento nel mercato mondiale del turismo dell'immenso patrimonio archeologico, monumentale ed artistico. Penso anche al rilancio dell'ancora valida idea di Romano Prodi di utilizzare il Mezzogiorno come polo della portualità e della logistica in un Mediterraneo uscito dalla marginalità nei traffici mondiali cui lo aveva condannato la scoperta dell'America. Cina e Turchia stanno realizzando una nuova “via della seta” che ha come primo elemento la realizzazione da parte dei cinesi dell'alta velocità ferroviaria in territorio turco (cfr. Radio Cina Internazionale in italiano 11/4/2014): sarà una novità senza importanza per il Mediterraneo e per la sua isola maggiore? Tali sono le scommesse future che potranno evitare la condanna dei giovani di oggi a vivere una vita peggiore e più povera della nostra. Perché questi obiettivi escano dal libro dei sogni, ci vuole la POLITICA che oggi purtroppo si occupa d'altro. Comprendo che simili prospettive di lungo periodo sembrino lontane dalle emergenze quotidiane, ma non si costruisce il futuro se si continua a star con la testa girata all'indietro, altrimenti si finisce per occuparsi solo del click-day e della stabilizzazione dei precari pluridecennali. Nell'immediato vanno rilanciate le politiche attive del lavoro, in cui la Regione brilla per i ritardi e le scelte contraddittorie. Dal Rapporto Inps sulla coesione si evince, per esempio, che per quanto riguarda l'apprendistato, per esempio, “la gran parte delle misure di politiche attive trova applicazione soprattutto al Nord, in parti-
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colare le assunzioni agevolate in sostituzione di lavoratrici in maternità. Nel Sud sono più concentrate altre tipologie di politiche attive in particolare le assunzioni agevolate di disoccupati o beneficiari di CIGS da almeno 24 mesi o di giovani già impegnati in borse di lavoro e di lavoratori con contratti di inserimento (pag.53). Sarebbe utile sapere che fine ha fatto la Youth guarantee, il progetto europeo finalizzato ad offrire ai giovani l'opportunità di inserimento ed orientamento lavorativo e bisogna uscire dalla tragicommedia del piano giovani “alla siciliana” che ha buttato alle ortiche un'esperienza che Fabrizio Barca aveva proposto come good practise alla Commissione Europea, ed è invece miseramente sprofondata nella palude dell'amministrazione regionale e dello scontro tra contrapposti centri di interessi. La si smetta di litigare e si utilizzino le risorse disponibili per costruire percorsi di inserimento lavorativo seri, che coinvolgano in primo luogo le imprese siciliane. Una vera riforma della formazione professionale, che guardi all'inserimento lavorativo dei corsisti ed al rapporto con l'impresa e non si occupi solo di assicurare le retribuzioni ai formatori, è una componente tutt'altro che secondaria del disegno. Lo sviluppo delle attività di autoimpiego e di autoimprenditorialità, infine, rappresentano strumenti che in altre realtà si sono mostrati validi per agevolare l'uscita dei giovani dalla condizione di scoraggiamento che si accompagna all'impossibilità di immaginare il proprio destino lavorativo. Tuttavia, anche se tutto ciò andasse in porto, nel prossimo decennio una quota dei giovani di oggi resterà fuori del mondo del lavoro. Non possiamo abbandonarli a se stessi: perciò mi pare essenziale pensare ad una forma di reddito di ultima istanza, non inquinato da elementi assistenziali, che eviti ai singoli di precipitare nella solitudine e nella disperazione sociale. Non sarà facile individuare le ingenti risorse necessarie, ma non se ne potrà fare ameno. Ci sono forze interessate a confrontarsi con terreni tanto complessi e decisivi? L'ottimismo dell'intelligenza (non mi fulmini lo spirito di Antonio Gramsci!) mi induce a una risposta positiva; poi leggo i titoli di quotidiani e siti web di informazioni che si occupano della politica regionale e mi chiedo se abbia senso continuare a parlare ai sordi.
Neet, il sociologo Antonio La Spina: “Potenziare incontro tra scuola e lavoro” Alida Federico ontinua inesorabile il trend della disoccupazione giovanile in Italia: negli ultimi cinque anni il dato è raddoppiato, passando dal 21,3% al 42,4%. Aumentano sempre più, soprattutto tra i giovani che si affacciano al mondo del lavoro, i “working poors”, ossia i lavoratori a basso salario. Cresce, inoltre, il numero di persone che lavorano in condizioni di precarietà, ovvero con contratti a tempo. A lanciare i segnali del malessere dell’occupazione giovanile è il Bilancio Sociale 2013 dell’INPS, presentato lo scorso 14 ottobre a Roma. Il dato che più ci preoccupa è quello del Bilancio Sociale della Sicilia: la quota di giovani siciliani appartenenti ai NEET (Not engaged in Education, Employment or Training), ossia i giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano, non studiano a scuola o all'università, né sono inseriti nella formazione professionale, è risultata nel 2013 pari al 42,7% contro il 27,3% della media nazionale, relativa alla stessa fascia di età. Cerchiamo di capire meglio questo fenomeno con l’aiuto del sociologo Antonio La Spina.
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La rinuncia a cercare lavoro è collegata alle caratteristiche della crisi attuale o si è manifestata anche in altri momenti storici? Si è manifestata anche in precedenza, anche negli altri paesi europei, ove però in genere ha dimensioni molto inferiori. L'Italia è uno degli stati membri dell'UE in cui il fenomeno è più preoccupante, e ciò dipende sia dal nostro sistema produttivo (poco innovativo e quindi poco incline a richiedere “lavoratori della conoscenza”, portatori di una formazione elevata), sia dal nostro sistema formativo (che ha prodotto molti “formati” dotati di qualifiche poco appetibili nel mercato del lavoro). Entrambe caratteristiche che preesistevano alla crisi. Durante la crisi si è poi avuto un forte incremento dei NEET. Il Mezzogiorno presenta una situazione più grave del resto del paese. La Sicilia è la regione in condizioni peggiori. Quello dei NEET è un fenomeno che si presenta con una differenziazione tra classi sociali o ha carattere trasversale? Riguarda un po' tutte le classi sociali e tutti i livelli di istruzione. È più accentuato nelle classi meno abbienti (che peraltro nel nostro paese sono sempre più estese). È intuitivo che un giovane figlio di genitori il cui reddito è elevato ha in genere maggiori possibilità di trovare un'occupazione o di essere impegnato in attività formative significative. D'altro canto, proprio per la stessa ragione, non è spinto a cercare attivamente un'occupazione (o a studiare, se non ne ha voglia) con la stessa urgenza che si ritrova nelle famiglie povere, o anche in quelle di working più o meno poors, in cui vi è un reddito fisso, ma si hanno notevoli difficoltà ad arrivare alla fine del mese (ad esempio perché solo uno dei genitori lavora, o vi sono difficoltà dovute a ragioni di salute, separazioni etc.). Tanto le famiglie povere quanto quelle dei lavoratori in difficoltà subiscono quindi un impatto relativamente maggiore. All'interno della popolazione dei NEET ci sono differenze di genere e di titolo di studio? Non c'è una forte differenza tra donne e uomini. Il fenomeno riguarda soprattutto i non diplomati e i diplomati. La Svimez evi-
denzia come al Sud nel 2103 i laureati siano il 9,3% dei NEET (equivalente però al 38,5 dei giovani tra i 15 e i 34 anni). Quali sono le istituzioni/agenzie/gruppi (politica, scuola, famiglia, imprenditoria, associazioni di categoria) che giocano un ruolo di responsabilità nella tendenza dei giovani a non continuare gli studi e a rinunciare a cercare lavoro? Ciascuno di tali soggetti ha un qualche ruolo. La responsabilità maggiore va imputata alla carenza di politiche del lavoro intelligenti, efficaci e adeguate allo standard europeo. Quali fattori rendono più allarmante il dato in Sicilia rispetto alla media nazionale? Lo è rispetto al Paese, ma anche rispetto alle altre regioni meridionali. E cresce impetuosamente. L'Inps dice che nel 2013 i NEET siciliani sono il 42,7%. Secondo l'Istat erano il 33,4 nel 2004 e il 37,7 nel 2012 (nella stesso anno il 23,9 in Italia e il 33,3 al Sud). Evidentemente in Sicilia il sistema-lavoro è più distorto e le politiche sono più inefficaci che altrove. Quali soluzioni è necessario adottare per sostenere i giovani nel superare il limbo del non studio e del non lavoro? Si dovrebbe agire su molti fronti. Ne cito alcuni. Creare un mercato del lavoro flessibile e ricettivo (si sta tentando di farlo con riforme nazionali). Sostenere economicamente chi non ha lavoro (e non ha una solidità economica alle spalle), ma in modo tale da non disincentivarlo a cercarselo. Gestire seriamente l'incontro tra domanda e offerta di lavoro. Indurre la scuola, l'università, la formazione professionale a concentrarsi - sia pure non esclusivamente - sulle figure professionali che diano uno sbocco lavorativo (anziché sulla mera riproduzione di carrozzoni e di formatori spesso obsoleti e fuori sintonia rispetto al mercato). E ovviamente dare impulso agli investimenti produttivi strategici (attraendoli anche dall'estero), così da incrementare la domanda di lavoro.
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#Svegliatevi: Cisl in piazza per il “Jobs Day” Melania Federico lecitare i vertici di Palazzo d’Orleans “a mettere in campo interventi urgenti davanti ad un’emergenza sociale, economica ed amministrativa che ormai ha superato i livelli di allarme a causa anche dell’incapacità della Regione, troppo lontana dalla realtà vissuta dai siciliani”. Cento le piazze coinvolte in tutta Italia dove i lavoratori hanno raccontato le loro storie. A Palermo, c’erano anche famiglie intere e padri che tenevano stretti per mano i loro figli. Quel futuro incerto, ma con un presente da vivere. A denti stretti. Strettissimi. Erano in piazza i rappresentanti di tutte le categorie dei lavoratori pronti a raccontare a tutti il loro dramma esistenziale. Dai metalmeccanici dove oltre 1200 lavoratori (tra Fincantieri, Keller, Ansaldo Breda, Italtel , Selital, i cantieri navali di Trapani) attendono segnali di certezze sulle politiche di sviluppo del settore e risposte dalla Regione; ai dipendenti delle telecomunicazioni con le vertenze di Accenture e i 262 a rischio, 4U e Almaviva. Dinanzi a Palazzo d’Orleans anche gli edili nel cui settore si contano già circa mille posti di lavoro persi, il 12% dall'inizio del 2014, soprattutto per via del calo delle opere private a causa della crisi del credito e dei consumi. “Con la partecipazione dei lavoratori, i giovani, i pensionati in piazza– ha utti giù per terra. Poi il trillo della sveglia e tutti in piedi tra
T
spiegato Mimmo Milazzo, segretario Cisl Palermo-Trapani – vo-
rumori assordanti per rompere il silenzio roboante dei pa-
gliamo richiamare all'attenzione la politica regionale e nazio-
lazzi del potere. Uno scampanellio da parte di chi, da non
nale affinché attivino presto provvedimenti urgenti per attrarre
più lavoratore, non dorme già da mesi sonni tranquilli e il sogno del
investimenti, per l'utilizzo efficace delle risorse in modo da met-
posto di lavoro è diventato un incubo. Un buio nel quale i tanti la-
tere in moto economia locale, politiche di risanamento e ridu-
voratori licenziati non ravvedono neppure più il chiarore di luna. E
zione degli sprechi. Per farlo chiediamo l'intervento della
non ci sono più pecorelle da poter contare perché ci sono le boc-
deputazione nazionale e regionale affinché chiedano al go-
che dei familiari da sfamare e i mutui delle case o le bollette o le
verno regionale di intervenire con forza nell'affrontare l'emer-
tasse da pagare. È così che la Cisl è scesa in piazza a Palermo
genza economica, sociale e amministrativa con azioni
facendo correre al contempo la protesta sul web. E non solo con
coordinate sul territorio”. In piazza pure i lavoratori della For-
l’hastag #Svegliatevi, che è stato lo slogan della manifestazione di
mazione Professionale senza stipendio da 15 mesi, i forestali
rivendicazione, ma anche attraverso i selfie degli scioperanti che,
(sono circa 9 mila nelle province di Palermo e Trapani) che ri-
come accade ormai per tutte le cose quotidiane, hanno voluto ren-
schiano di non completare le giornate già assegnate, i precari
dere la protesta anche molto social. Una lotta per il lavoro che
degli enti locali. Attendono risposte anche i dipendenti dei con-
hanno perso assieme alla speranza e alla dignità di uomini.
sorzi ex Provincia e delle partecipate provinciali in attesa di co-
Nell’autunno caldo per le tante vertenze aperte, il dito è puntato in
noscere il destino del bacino unico per gli ex dipendenti previsto
primis contro le politiche di Renzi e di Crocetta. Ma anche sulla
dal ddl di riforma regionale. E ancora i lavoratori delle parteci-
cassa integrazione, sulle procedure di mobilità, sulla disoccupa-
pate dei comuni, per i quali resta prioritaria la riorganizzazione
zione crescente, sulla mancanza di servizi socio-sanitari per le
delle aziende, in vista anche del bilancio consolidato che l'am-
fasce deboli. Una vera e propria black list della disperazione so-
ministrazione dovrà approvare entro il 2015.
ciale ed economica quella che- affrontando tutte le principali ver-
“Il territorio dal punto di vista industriale è soggetto ormai ad
tenze del momento che tengono col fiato sospeso migliaia di
una totale desertificazione – ha denunciato la Cisl -. Quadro
famiglie- ha dato linfa alla manifestazione di protesta. Il sindacato
preoccupante, infatti, anche quello del commercio: chiudono
confederale ha fatto così sentire la sua voce a piazza Indipen-
negozi storici (Grande Migliore uno delle ultime grandi insegne
denza nel capoluogo siciliano in occasione del 'Jobs day', per sol-
spente), marchi della grande distribuzione cominciano a man-
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dare segnali preoccupanti di crisi. Vivono con il fiato sospeso in at-
– ha concluso il segretario regionale della Cisl- che con una si-
tesa di risolvere le loro vertenze anche circa mille lavoratori in tutto
tuazione del genere, Crocetta si preoccupi di salvare un as-
il comparto, fra i quali le decine di lavoratori dell'Autogrill dello
sessore. Nulla viene fatto per fermare la crisi, sono proprio
scalo aeroportuale palermitano. Insieme a loro gli addetti del turi-
sordi”.
smo, settore che dovrebbe essere cruciale per l'economia sici-
“Esprimo, a nome di tutti i Comuni siciliani - ha detto il sindaco
liana”. Il sindacato ha lamentato inoltre la mancanza di adeguati
di Palermo e presidente di Anci Sicilia, Leoluca Orlando”-
servizi socio-sanitari nei comuni, asserendo che alcuni distretti sa-
grande preoccupazione per l’emergenza sociale in Sicilia che
nitari garantiscono l'assistenza domiciliare, altri invece sono del
si scarica sui territori e sulle amministrazioni comunali, sotto-
tutto carenti da questo punto di vista. Dito puntato anche sui Pac,
poste a tagli finanziari e confusione normativa, producendo una
e sui progetti finanziati per l'Adi che ancora non sono stati avviati,
vera e propria crisi istituzionale”. Il primo cittadino di Palermo ha
sull'assistenza domiciliare integrata e sugli asili nido, oltre che
spiegato come la gravissima situazione economica e sociale
sulla mancata progettazione per i fondi del 2014. “Siamo tutti de-
dell’isola necessiti di interventi straordinari, da parte dei governi
lusi da Crocetta- ha detto Maurizio Bernava, segretario regionale
- nazionale e regionale- i quali, a fianco dei sindaci, hanno l’ob-
della Cisl. Vogliamo un piano di risanamento strutturale da appli-
bligo morale di garantire ai cittadini, di tutte le età e di tutte le
care, un piano per le politiche e puntare sui fondi europei nelle
fasce sociali, servizi, tutela, sicurezza, ma soprattutto interventi
aree industriali per attrarre investimenti. Abbiamo bisogno di poli-
legislativi mirati a rimettere in moto aziende ed economia lo-
tiche, non di politici. Siamo stanchi delle barzellette di palazzo, la
cale che in questo momento soffrono e, purtroppo, troppo
Regione è ormai una palude, una terra in metastasi”. “È assurdo
spesso, soccombono a causa della crisi.
Formazione Professionale: Flc, mercoledì sciopero generale it- in dei dipendenti della formazione professionale davanti ai Municipi di Catania, Messina, Palermo, Agrigento, Caltanissetta, Enna, Ragusa, Siracusa e Trapani si terranno lunedì su iniziativa della Flc Cgil Sicilia. Martedì 21 una delegazione di lavoratori terrà invece un presidio davanti al ministero dello sviluppo economico. Il 22 sarà la volta dello sciopero generale del comparto con manifestazione regionale a Palermo, davanti a Palazzo D’Orleans. Sono le iniziative di protesta decise dalla Flc Cgil regionale per chiedere che i problemi del settore vengano risolti e per sollecitare la convocazione di un tavolo di crisi presso la Presidenza del consiglio dei ministri. Lunedì ci saranno incontri con i sindaci, martedì a Roma assieme ai lavoratori e ai sindacalisti siciliani ci sarà anche un dirigente
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della Cgil nazionale. Mercoledì poi lo sciopero generale e la manifestazione a Palermo. “La situazione è ormai insostenibile- afferma Giusto Scozzaro, segretario generale dela Cgil Sicilia-, mancano gli ammortizzatori sociali, in tanti casi gli stipendi non arrivano anche da due anni, l’occupazione è complessivamente a rischio e pesanti contraccolpi stanno subendo i servizi all’utenza, con la riduzione dell’offerta formativa, i mancati servizi per gli studenti iscritti, la riduzione dei servizi di politica attiva del lavoro per chi è coinvolto in crisi aziendali, il rischio di aumento della dispersione scolastica”. La Flc ha incontrato Leoluca Orlando nella qualità di presidente dell’Anci Sicilia, per chiedergli di sostenere la vertenza.
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In piazza le drammatiche storie dei lavoratori vittime della crisi cchi tristi e certuni anche lacrimanti. Qualcuno, pur vincendo la sfida di trovare il coraggio di impugnare un microfono dinanzi ad una folla di manifestanti, non riesce a contenere l’emozione e affida così agli altoparlanti della piazza lo sfiato della disperazione. Quella più nascosta che varca i confini della fragilità emotiva. Voci tremanti e rabbia alla quale dar sfogo ancor di più quando si parla di un oramai perfetto sconosciuto che è il lavoro. Sembra che si sia perso in un labirinto di parole, pare che non si capisca che dietro un salario non più percepito ci siano persone che non possono più neppure comprare il pane. Lo spaccato dei lavoratori intervenuti nel corso della manifestazione organizzata dalla Cisl, avente come slogan #Svegliatevi, è un puzzle di storie, di frames di una vita andata in frantumi come il posto di lavoro che avevano creduto di aver conquistato per la vita. Una serenità e un equilibrio precari. Anche loro. Quella certezza conquistata, e poi perduta, aveva permesso loro di edificare le basi della sopravvivenza di una famiglia e di cominciare a mettere dei mattoni uno sopra l’altro per costruire una casa. Un tetto, per chi ce l’ha, che questi ormai ex lavoratori non possono neppure più mantenere. Life motive di tutte le storie raccontate dinanzi alla sede della Regione Sicilia è il filo rosso delle lacrime di sangue versate per la disperazione da chi non può più campare. Di persone che non dormono più o per le quali il risveglio rappresenta l’incertezza del giorno che verrà. Nessuna bussola indica loro una via d’uscita e la politica silente è per loro la complice della disfatta di vita. Non si parla di pianificare un futuro, ma di un presente claudicante. È così che hanno raccontato dal palco - con sullo sfondo un cartello con su scritto “La Sicilia affonda diamo una sveglia a governo e politica”- alla folla dei manifestanti le storie di una crisi ormai sull’orlo. Dal silenzio di un’emozione affidata alle corde dell’anima e alle sensibilità dei presenti, gli organizzatori della manifestazione hanno dato sfogo allo scampanellio fragoroso di una vecchia sveglia. E flash mob. “Ho 55 anni e per 32 anni ho lavorato nella formazione professionale- ha raccontato Rossana Minì– ho cominciato al Cenasca lavorando come insegnante e girando i paesi della provincia, facendo crescere tanti giovani. Con il nostro lavoro abbiamo dato l’opportunità a loro di avere un lavoro. Dal 1998 sono passata allo Ial e ho cominciato a lavorare alla progettazione per tutta la Regione facendo tutto quello che mi hanno chiesto di fare. Non sempre è stato facile portare avanti una famiglia, io sono una single con due figli, ma l’abbiamo fatto. Poi ci hanno revocato l’accreditamento e siamo andati in cassa integrazione, in mobilità. Io non ho reddito da 22 mesi, cassa integrazione concessa e non erogata. La cosa più terribile sono le notti, quelle in cui non si dorme, in cui ci scambiamo messaggi su facebook con i colleghi e non facciamo altro che piangere perché la nostra vita è sacrificata. Ci
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hanno tolto la vita”. “Mi chiamo Mara Gambino, ho 40 anni, due figlie e un contratto a tempo indeterminato da 14 anni. Sono una delle lavoratrici “262” a casa che rischia concretamente di perdere il proprio posto di lavoro a causa delle gare a massimo ribasso e della delocalizzazione senza regole. Già nel 2012, per continuare a lavorare, abbiamo rinunciato al 18% del nostro stipendio. Ora a causa della disdetta anticipata di British Telecom al 31 ottobre Axentur ha dichiarato di non avere lavoro per noi. È iniziata così la nostra protesta. Le due grandi multinazionali, che per anni hanno goduto di sgravi fiscali ed agevolazioni, per nulla in crisi e con fatturati in attivo, ci chiedono di firmare un accordo tombale illegale che annulla scatti di anzianità, esperienze di servizio, specializzazione e che sotterra il diritto di ogni singolo lavoratore a rivalersi legalmente. Noi non ci stiamo. Vogliamo dare dignità al lavoro. Svegliamoci. Dobbiamo chiedere delle normative che tutelano il nostro lavoro. Le aziende non possono più solo considerarci numeri. Svegliatevi istituzioni, non siate solo notai che ratificano condanne a morte di madri e padri, ma parti attive responsabili per tutelare i cittadini lavoratori”. La speranza di tutti è che le loro costernazioni non restino tali, che i loro racconti affidati ad una piazza di manifestanti e ai taccuini di qualche giornalista non siano quelle storie da tramandare ai propri figli, bensì il punto di partenza di una soluzione da trovare a tutti i costi. Un’agognante supplica per un equilibrio a cui dare assetto. Non è più tempo di dormire. La voce che sperano di sentire è quella delle istituzioni silenti per le quali hanno puntato pubblicamente la sveglia. M.F.
All’Ars Sicilia regna la paralisi La parola d’ordine è attendere Dario Carnevale ll’Ars a imperare, sovrana e incontrastata, c’è solo la pa-
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ralisi. La parola d’ordine è attesa. Si attende ancora l’arrivo del sottosegretario alla presidenza del Consiglio
Graziano Delrio per capire come chiudere il Bilancio, si attende ancora un vertice di maggioranza (da più parti invocato ma da nessun fissato), si attende ancora di sapere quale sarà la sorte dell’assessore alla Formazione. La mozione di censura a Nelli Scilabra è stata rinviata la settimana scorsa a martedì prossimo. Nell’ultima conferenza dei capigruppo, Giovanni Ardizzone, presidente dell’Ars, ha spiegato infatti che a Sala d’Ercole manca il plenum a causa della mancata proclamazione degli eletti nelle ultime elezioni suppletive di Siracusa. Il governatore Crocetta ripete all’infinito la stessa frase: «Nelli non si tocca» aggiungendo «sono altri a doversi dimettere, sono altri che dovrebbero essere sfiduciati». La sua, più che una difesa d’ufficio, diventa di settimana in settimana una difesa di principio per la Scilabra che però resta sempre più isolata. La diretta interessata non sembra intenzionata a fare nessun passo indietro, ribadisce di aver preso «un impegno col presidente» e, conseguentemente, «finché lui mi vorrà con sé, non ho motivo di andare via». Dopodiché alza il tiro: «La censura contro di me nasce dal tentativo di scardinare il governo Crocetta, ma io temo che nasconda soprattutto la volontà di mettere alla Formazione qualcuno che gestisca diversamente da me la valanga di fondi che stanno per arrivare dall’Europa. Si tratta di un miliardo e 200 milioni che già da gen-
improbabile».
naio dovranno essere investiti con i primi bandi».
In un conflitto tutto interno, si risveglia anche l’opposizione. Per
L’ala cuperliana, a cominciare dal segretario regionale del partito
Totò Cordaro, capogruppo del Pid-Grande Sud, siamo di fronte
Fausto Raciti, non ha mai fatto mistero di ambire alla sua defene-
alla «consolidata tecnica del galleggiamento da parte di Cro-
strazione. Nelle ultime ore anche l’ala renziana ha iniziato a scric-
cetta e del suo governo» mentre i deputati del Movimento 5
chiolare, sia Giuseppe Lupo sia Davide Faraone hanno chiesto
stelle parlano di «presa in giro» e chiedono «rispetto per i sici-
alla Scilabra «un passo indietro». Faraone le ha anche offerto
liani che attendono risposte dal Parlamento».
(senza sortire alcun effetto) un prestigioso incarico nella capitale.
In queste ore convulse, nel frattempo, la Cisl ha portato in
Restano “neutrali”, invece, gli uomini dell’Udc. «Nel gruppo ci sono
piazza più di cinquemila manifestanti. Dal palco il leader sici-
diffuse perplessità sull’operato dell’assessore Scilabra, pur te-
liano Maurizio Bernava ha attaccato duramente il governo: «Ab-
nendo conto che si tratta di un assessorato difficile» ha chiarito il
biamo bisogno di politiche, non di politici, siamo stanchi delle
segretario regionale Giovanni Pistorio che non ha nascosto, co-
barzellette di palazzo, la Regione è ormai una palude, una terra
munque, «una notevole pressione sui deputati da parte degli ope-
in metastasi», subito dopo si è rivolto direttamente al governa-
ratori del settore che sono in sofferenza da tanti mesi e vedono
tore «Crocetta, hai perso due anni, due anni dove non abbiamo
nell’assessore il responsabile». Ciò nonostante, ha concluso Pi-
visto risultati, ma solo delle messe in scena simili ad un circo
storio, «siamo un partito serio, di maggioranza e conosciamo i vin-
equestre di bugie. Non abbiamo più bisogno di antimafia di fac-
coli che derivano dall’essere parte di una coalizione, mi sentirei di
ciata, di conferenze stampa, in Sicilia serve il lavoro, e queste
escludere un voto di sfiducia dell’Udc alla Scilabra, mi pare molto
persone sono qui in piazza per gridarlo a gran voce».
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Stabilimento ex Fiat Termini, primo sì per Grifa Crescono però i dubbi sui suoi azionisti al ministero dello Sviluppo Economico è arrivato il primo
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sì al progetto del Gruppo Italiano Fabbriche Automobili (Grifa) per la costruzione di vetture elettriche e ibride nello
stabilimento ex Fiat di Termini Imerese, ma crescono i dubbi sulla compagine azionaria della start-up coordinata da un gruppo di ex manager della casa automobilistica torinese. Il principale finanziatore ipotizzato negli ultimi mesi si è defilato, anche se l’azienda garantisce che non verranno meno i soldi per il progetto, che prevede l’utilizzo di 350 milioni: 250 sono finanziamenti pubblici, il resto verrà versato nella società da un fondo brasiliano che rileverebbe il 75 per cento delle quote e incrementerebbe il capitale che passerebbe dai 25 milioni attuali a 100 milioni. E proprio i 75 milioni che sarebbero dovuti arrivare da un fondo brasiliano che, secondo fonti della Grifa, sarebbe dovuto essere Kbo Capital non arriveranno. O almeno non arriveranno da questa società, che ha smentito di “avere sottoscritto un aumento di capitale per rilevare una quota di Grifa S.p.A. Kbo Capital non ha mai rappresentato alcun interesse o volontà di investire in Grifa S.p.A a qualsiasi titolo”, si legge in una nota. Ma Grifa garantisce che “l’operazione d’investimento, se infine effettivamente deliberata, verrà eseguita direttamente da un fondo ancora non dichiarato, per motivi di ovvia riservatezza, partecipato ed amministrato dal Banco di Rio de Janeiro”. Insomma, se a finanziare l’aumento di capitale non sarà Kbo, dovrebbe comunque essere, secondo l’azienda, un fondo sempre collegato alla banca brasiliana, come conferma in una nota il suo procuratore legale, Marcello Gianferotti.
materialmente non ci sono. L’azienda è capitalizzata per una somma analoga attraverso il possesso di una concessione per un campo eolico da realizzare a Roccabernarda, vicino Crotone, stimata appunto 25 milioni. La concessione è stata appena girata ad alcune società che riportano a un altro gruppo brasiliano, Sequoia, che pagherà attraverso un’emissione obbligazionaria della quale il Banco di Rio de Janeiro ha fatto da trader e che ha garantito. Alle spalle di Grifa c’è l’ombra della Fiat, che sarebbe il fornitore privilegiato grazie a una serie di accordi che prevedono la vendita del pianale e del motore termico della Panda. Da Fiat provengono
“È solo un equivoco – ha dichiarato -. A effettuare l’aumento del
anche alcuni ex manager. La società, creata nel marzo scorso,
capitale sarà il Banco di Rio de Janeiro mediante un fondo di in-
è guidata da Augusto Forenza, 72enne commercialista napo-
vestimento partecipato e amministrato dalla banca. Kbo non è un
letano, che ha chiamato Giuseppe Ragni (dirigente anche in
fondo ma una società di gestione dei fondi, quindi non può com-
Alfa Romeo fino a metà degli anni 90) e Giancarlo Tonelli, ex
piere l’operazione”. Parole che hanno spinto Kbo a prendere ulte-
capo risorse umane del Lingotto (che dovrebbe ricoprire lo
riormente le distanze: “Il Banco di Rio De Janeiro non detiene
stesso incarico), ma anche Giovanni Battista Razelli - fratello di
alcuna partecipazione nel capitale di Kbo Capital. Pertanto, nes-
Eugenio, presidente di Magneti Marelli - con un passato in Fer-
sun rappresentante di Banco Rio De Janeiro, né tantomeno di
rari e per diverso tempo responsabile per il Sudamerica della
Grifa S.p.A è autorizzato ad associare il nome di Kbo Capital a
Casa torinese.
quello della propria società, né ha il diritto di parlare a nome di
L'advisor Invitalia, la società in house del Mise incaricata di va-
Kbo Capital”. Tante ombre legate dunque all’investimento: capitali
gliare le proposte, però, è molto cauta: sotto osservazione è
brasiliani che potrebbero non esserci e nessun investimento di
non solo il progetto, ma tutta la tenuta patrimoniale della so-
soldi propri.
cietà. Brucia ancora il fallimento della "via molisana" dell' im-
La Grifa infatti è controllata dalla Energy Crotone 1, una società di
prenditore Massimo Di Risio: un corposo piano industriale ma
energia eolica inattiva, con bilanci vuoti, e praticamente mai en-
con alle spalle una società gravata da debiti e contenziosi con
trata in funzione. A monte di tutto, una finanziaria milanese ammi-
le banche. Bocciati anche gli altri pretendenti. A fare gola sono
nistrata dal congolese Kiala Dielunguidi, a cui risultano intestate
i 350 milioni pubblici divisi tra Stato e Regione (più altri incen-
decine di società sparse ovunque. Così anche i 25 milioni di Grifa
tivi), 200 dei quali per i contratti di sviluppo.
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Giornata Europea contro la tratta Settimana di iniziative ed eventi Gilda Sciortino na settimana piena e articolata per dire “NO alla Tratta”. L’occasione è data dalla Giornata Europea contro la tratta, che cade il 18 ottobre di ogni anno, in seguito alla quale solitamente si snodano diversi eventi che tentano di chiamare a raccolta il territorio. Numerosi, anche nel capoluogo siciliano, gli incontri, rivolti a giovani, adulti, donne, uomini, studenti, giornalisti, cittadini e cittadine, sulle questioni legate alla tratta, alle nuove schiavitù e alle nuove mafie. Tutto questo, in una città come Palermo, in cui il fenomeno è evidente ma se ne parla poco. A inaugurare la settimana, organizzata dal Coordinamento antitratta “Favour e Loveth” di Palermo, è stata la cerimonia ufficiale di conferimento, da parte del Comune di Palermo, della cittadinanza onoraria a Isoke Aikpitanyi, la prima ragazza nigeriana ad avere denunciato pubblicamente la tratta di donne dalla Nigeria a scopo di sfruttamento sessuale. Un momento veramente emozionante, al quale hanno preso parte anche alcune classi di studenti delle scuole secondarie del territorio. Per raggiungere quanta più gente possibile, nelle prossime due settimane gli autobus della città ospiteranno la campagna di comunicazione “Io Non Tratto”, ideata nell'ambito del progetto "ROOT - Un progetto di ricerca e azione per lo sradicamento della tratta", finanziato dall'Unione Europea e realizzato dal CISS, in collaborazione con le associazioni “CESIE” e “Il Pellegrino della Terra”. Un percorso che vedrà ragazzi e ragazze, studenti dell’Istituto Scolastico “A. Volta” di Palermo, testimoniare il "NO" della nostra città alla tratta degli esseri umani, cercando di fare riflettere sul fatto che ogni giorno una moltitudine di giovani donne è costretta, dal mercato delle nuove schiavitù, a essere sfruttata nelle strade della nostra città a scopo sessuale. Le organizzazioni criminali mafiose locali e internazionali hanno, infatti, intrecciato i loro interessi, radicandosi sempre più fortemente nel nostro territorio e facendo scempio di giovani vite. Palermo vuole dimostrare di sapere e potere dire “NO alla tratta di esseri umani!”. Si parte alle 9.30 di oggi, nella Sala De Seta dei Cantieri Culturali della Zisa, dove Isoke Aikpitanyi incontrerà le scuole secondarie superiori nell’ambito di un incontro dal titolo “La scuola non tratta”, promosso da: Comune di Palermo, Ufficio Scolastico Regionale, CISS/Cooperazione Internazionale Sud Sud, CESIE/Centro Studi e Iniziative Europeo, Associazione “Il Pellegrino della Terra”. ”Dalle periferie del mondo. La forza di una donna che ha detto basta”è, invece, il titolo della tavola rotonda sulla tratta delle donne, che si terrà alle 19 di mercoledì, nella sede della Comunità “La Zattera” dei Laici Missionari Comboniani di Palermo, in via G. B. Santangelo, a San Lorenzo. Ospite d’onore sarà la stessa Isoke, che parlerà ai presenti del progetto “Le ragazze di Benin City”. Oltre che dall’aperi-cena per tutti i presenti, la serata sarà ul-
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teriormente arricchita da brevi proiezioni video. E’ al mondo della comunicazione che da tempo quanti operano in questo campo chiedono maggiore collaborazione, ma soprattutto una sensibilità diversa, più informata, soprattutto nel momento in cui va a sviscerare le vite di queste giovani donne. Ecco dunque, alle 18 di giovedì 23 ottobre, all’ex Fonderia alla Cala, l’incontro di riflessione e dibattito dal titolo “Raccontare e comunicare la tratta”, al quale parteciperanno giornalisti e rappresentanti di organizzazioni per trovare insieme la strada per comunicare e raccontare la tratta e chi la subisce. “Latte, libri, lingue, legalità e lavoro” è, invece il titolo del progetto che verrà presentato alle 17 di venerdì 24 al Complesso di Sant’Antonino, organizzato all’interno del Festival “Le Vie dei Tesori”, dall’ Università degli studi di Palermo - Scuola di lingua italiana per stranieri e dall’associazione “Il Pellegrino della Terra”. Un intervento che, partendo dalle 5 elle del progetto "I saperi per l'inclusione", si rivolge esclusivamente a donne immigrate, tra cui anche vittime ed ex-vittime di tratta, prevedendo la formazione linguistica in italiano di 100 di esse e l'attivazione di due percorsi professionalizzanti, oltre che lezioni di educazione civica, incontri di lettura per i loro figli e l'attivazione di uno sportello per la salute di donna e bambino. L’ultimo appuntamento in programma sarà quello di sabato 25 ottobre nella sede dell’ARVIS – Associazione per le Arti Visive in Sicilia, in via Valenti 5, dove sarà presentato il libro fotografico “Pipeline, Trafficking to Italy” della fotografa documentarista Elena Perlino. Un lavoro importante, edito a Parigi da Andrè Ferrè, che si avvale dei testi di Isoke Aikpitanyi, felice di potere essere presente anche a questo appuntamento.
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Cic, potere e misteri del fondo cinese che compra il mondo Mario Gerevini echino, New Poly Plaza 1 Dongcheng District. È la porta d’accesso a quella selva oscura che è il capitalismo di Stato cinese. Il viaggio di Marco Polo, al confronto, è una scampagnata. Il grande fondo sovrano, China Investment Corporation (Cic), e i suoi sudditi hanno sede qui. Una macchina gigantesca, controllata dallo Stato, che muove le sue leve nel mondo, sposta centinaia di miliardi di euro e compra, compra, compra. Spesso senza farsi notare. Mai sentito parlare della finanziaria Land Breeze, con asset per 7,3 miliardi e sede in Lussemburgo? Flourish e Best Investment Corporation, presenze fisse in Piazza Affari, dicono nulla? E la misteriosa sigla australiana «Ssbt Od05 Omnibus Account» che risulta nel libro soci di 170 aziende della Borsa di Tokyo? Proviamo a «mappare» il polmone finanziario della Repubblica Popolare che, tra molto altro, controlla anche le principali banche del Paese che poi sono tra le più grandi del mondo. Da Pechino si dipana una ragnatela che abbraccia il pianeta. Ma non esiste un organigramma dettagliato delle partecipazioni. Il bilancio del fondo sovrano Cic è un bel volume ricco di foto di sorridenti dirigenti e con un sacco di tabelle riassuntive: praticamente una brochure. Non è facile rintracciare i «figli » del Cic, ovvero quel sistema di holding e hub societari che sono direttamente sul business. Il fondo è l’ingranaggio centrale ma ovviamente non l’unico del paese asiatico. L’olio italiano Sagra e Berio è stato appena venduto al gigante alimentare Bright Food; il bigdell’energia State Grid ha speso oltre 2 miliardi per il 35% di Cdp Reti (30% di Snam e Terna); il 40% di Ansaldo Energia è finito a Shangai Electric. E all’estero, per citare l’ultima, il Waldorf Astoria di New York è stato pagato la cifra record di 1,95 miliardi di dollari dalla Anbang Insurance. Una piccola compagnia (per gli standard cinesi). E questo dà l’idea delle potenzialità. Quanto al Cic, il fondo sovrano controlla buona parte del sistema bancario e finanziario cinese. Nacque nel 2007 per diversificare l’impiego delle immense riserve valutarie e oggi gestisce asset per 653 miliardi dollari, numero 4 tra i grandi fondi sovrani. Ma anche il numero 5, Safe, è cinese. Cic si muove con due subholding: Cic International per l’estero, Central Huijin per l’interno. Nel 2007, appena costituito e con in cassa 200 miliardi di dollari, il fondo parte con grande entusiasmo: sborsa subito 5,6 miliardi per il 9,9% di Morgan Stanley e 3 miliardi per il 9,4% di Blackstone. Tempismo paragonabile a chi avesse deciso di farsi una nuotatina a Pearl Harbor alle 7,50 del 7 dicembre 1941. Poi si fa più accorto e comincia a realizzare ottimi rendimenti. Energia, infrastrutture, immobiliare, trasporti, dal 10% dell’Aeroporto di Heathrow al 7% della francese Eutelsat (satelliti), dal 17% del colosso minerario canadese Teck Resources al 12,5% di Uralkali, il big russo del potassio. A Pechino finisce anche una piccola quota (3% pagata 300 milioni) di Btg Pactual di André Esteves. E presto Pechino potrebbe entrare con 300 milioni nel secondo fondo della «nostra» F2i. Sui listini di Borsa i manager del Cic mandano avanti società satelliti, quelle semisconosciute. Ecco allora che in Piazza Affari spuntano Best Investment Corporation e Flourish. Comprano Eni, Enel, Generali, Unicredit e altro ancora. Su altre Borse sono attive la Terrific e la Stable Investment o la Beijing Wonderful Investment. Nessuna di loro è nel bilancio del Cic. Non manca una certa fantasia nei nomi. Da nessun parte, invece, se non in un conto cu-
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stodia registrato alla State Street Bank di Sidney, c’è traccia della «Ssbt Od05 Omnibus Account». Tre anni fa è arrivato a essere socio, anche rilevante, di 170 aziende quotate giapponesi. Misteriosi gli investitori. Secondo un’inchiesta del Wall Street Journal dietro Ssbt vi sarebbero proprio i cinesi di Cic e Safe, l’altro grande fondo sovrano. In Europa la piattaforma da cui si diramano gli affari è in Lussemburgo. Qui è registrata Land Breeze, holding da 7,3 miliardi di dollari di asset, tra cui il 30% del polo di esplorazione di Gdf Suez: 3,2 miliardi di valore. Poi c’è il fronte interno, con le banche. E tanto per dare un’idea: Industrial and Commercial Bank of China (Icbc) è la prima del mondo per patrimonio che è quasi il doppio di quello della più grande banca giapponese (Mitsubishi) mentre la numero 2 è China Construction Bank che ha appena scalzato Jp Morgan. Prima di Alibaba il record per un’Ipo furono i 22 miliardi incassati nel 2010 da Agricultural Bank of China. Alcuni istituti sono quotati ma hanno due categorie di azioni e il controllo è sempre saldamente in mano alla coppia Cic-ministero delle Finanze. Jp Morgan e Blackrock hanno piccole partecipazioni in Icbc e Agricultural Bank, quest’ultima partecipata anche dalla Qatar Investment Authority mentre in Bank of China la svizzera Ubs ha un consistente pacchetto di bond convertibili. La Bank of China in Italia ha aperto una filiale a Milano 16 anni fa e tra le carte consegnate al notaio c’era lo statuto della casa madre datato 1980 che diceva così: «La Bank of China partecipa alle attività finanziarie internazionali al servizio della modernizzazione della costruzione socialista». Di recente è finita sotto inchiesta per un’ipotesi di concorso in riciclaggio nell’ambito dell’operazione Cian Liu-Money to Money (4,5 miliardi). Quando i cinesi della Shandon hanno acquistato (e salvato) gli yacht Ferretti avevano le spalle coperte dalla Icbc (400 mila dipendenti) che ha messo a disposizione 200 milioni e oggi ha in pegno tutto il gruppo. E sono della China Development Bank i 78 milioni che la Winsun ha utilizzato in Sardegna per l’immenso parco fotovoltaico Enervitabio: 1.614 serre di 200 metri quadrati ciascuna con 107 mila pannelli fotovoltaici. Il progetto quest’estate è stato bloccato dal Tar. (Corriere economia)
Sprechi alimentari dei siciliani, ActionAid: diminuiscono per il 48% causa crisi e salute
lla vigilia della Giornata Mondiale dell’Alimentazione, ActionAid rilancia la campagna Operazione Fame e diffonde l’indagine Ipsos sulle nuove consapevolezze dei siciliani in materia di cibo e sprechi. Grandi aspettative degli italiani, che chiedono all’Expo 2015 la riduzione degli sprechi in tutta la filiera (30%) e una diminuzione del divario nella distribuzione delle risorse a livello globale (30%). La crisi economica che affligge il nostro Paese da 5 anni ha avuto un impatto molto significativo sugli atteggiamenti e sui comportamenti di acquisto e di consumo per oltre la metà degli italiani. Un dato che si conferma anche in Sicilia, dove il 48% degli intervistati dichiara di aver diminuito gli sprechi alimentari proprio come diretta conseguenza della precarizzazione delle condizioni di vita. La crisi economica, tuttavia, non è l’unica motivazione che ha spinto i siciliani a modificare le scelte relative ai propri acquisti, ponendo maggiore attenzione alla qualità, alla provenienza e alla riduzione degli sprechi. Sensibilmente al di sotto della media nazionale (73%), il 58% dei siciliani afferma di aver cambiato le proprie abitudini in virtù di una maggiore attenzione per la propria salute, mentre il fattore dell’impatto ambientale sembra essere ben più rilevante in Sicilia, rispetto al resto d’Italia: il 27% dei siciliani considera l’ambiente come uno dei motivi che hanno indotto a nuove abitudini di acquisto, contro una media italiana che non arriva al 15%. L’attenzione all’ecologia sembra essere confermata anche da altre scelte d’acquisto dei cittadini della Sicilia: più dell’80% degli isolani dichiara di comprare più di una volta l’anno frutta e verdure sfuse, senza involucri di plastica o polistirolo. Fra i siciliani riscuotono un discreto successo anche i detersivi e i prodotti per la pulizia “alla spina”: dopo la Campania, la Sicilia è la regione che rivela il dato percentuale più alto di cittadini che scelgono questi tipi di prodotti (31%). Sono questi alcuni dei dati emersi dall’indagine condotta da Ipsos per ActionAid “Verso l’Expo: gli italiani e gli sprechi alimentari, a casa e nelle mense scolastiche”[1], diffusa in occasione della Giornata Mondiale dell’Alimentazione e del rilancio della campagna Operazione Fame, attraverso la quale per il secondo anno l’Organizzazione intende intervenire e sensibilizzare il grande pubblico sulle disparità di accesso al cibo in Italia e nel mondo, contribuendo a rimuovere le disuguaglianze esistenti
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nel controllo delle risorse (terra, acqua, pascoli, foreste e sementi), promuovendo uno sviluppo economico locale sostenibile, e garantendo una corretta alimentazione a bambini e adulti. Nuove consapevolezze, quindi, che il campione interpellato da Ipsos testimonia di aver acquisito: rispetto a 2 anni fa, più della oltre la metà dei siciliani dichiara di comperare solo lo stretto necessario, mostrando un’attenzione agli sprechi ben più accentuata di quella della media italiana, che si attesta appena al 40%. Un dato che consegna alla Sicilia la medaglia d’argento su questo tema dell’indagine, appena un punto percentuale dopo l’Abruzzo (51%). Inoltre, i cittadini siciliani hanno imparato a strizzare l’occhio a quelle variabili chiave che qualificano un prodotto alimentare quando si trovano al banco del mercato o di fronte allo scaffale del supermercato: il 20% sceglie prodotti della propria regione, favorendo la filiera corta, mentre il 21% dei siciliani predilige quelli garantiti dal marchio DOP- IGP, a fronte di una percentuale italiana che non supera il 15%. I siciliani superano di qualche punto la media italiana anche per quanto riguarda le scelte di rifornirsi per la propria spesa alimentare a punti di vendita alternativi rispetto a quelli della grande distribuzione: il 54% degli intervistati in Sicilia fa la spesa al mercato o presso iniziative di piccoli produttori locali, prediligendo i prodotti a “Km 0” (la media nazionale non supera il 50%) e 14% di essi si è rivolto ai GAS – Gruppi di Acquisto Solidale (a fronte di una percentuale italiana del 10%). L’indagine non si è limitata a sondare le abitudini alimentari degli italiani e dei siciliani, ma ha esplorato anche la loro consapevolezza sulle dimensioni che il problema dell’accesso al cibo assume in Italia e nel mondo, rivelando che su questo fronte c’è ancora da lavorare in termini di sensibilizzazione e informazione. Meno di 1 siciliano su 3 (30%) dichiara di essere a conoscenza del fatto che quasi 1 famiglia su 10 in Italia non può permettersi un pasto adeguato almeno ogni due giorni, e solo poco meno della metà afferma di sapere che al mondo viene prodotto cibo sufficiente a sfamare molte più persone di quelle che lo abitano e che 1/3 della produzione mondiale di cibo viene sprecato. Rispetto alla capacità di influenzare le scelte delle persone attraverso la sensibilizzazione ad ampio raggio, dall’indagine emerge che una buona dose di fiducia nel sistema dell’informazione caratterizza tuttavia i siciliani interpellati, che tendono a dividersi tra coloro che confidano nel ruolo dei media e della sensibilizzazione per attivare comportamenti stabili più virtuosi sulla questione sprechi alimentari (42%) e l’altra metà circa ritiene che l’attivazione avrebbe solo un effetto temporaneo (30%) o nullo (14%). “Ci fa molto piacere constatare una nuova consapevolezza dei cittadini emiliani rispetto al proprio ruolo nevralgico di consumatori finali in una filiera strategica come quella del cibo” – dichiara Marco De Ponte, Segretario Generale di ActionAid Italia – “È fondamentale che i cittadini riconoscano il peso specifico individuale in quelle dinamiche che partono dal proprio territorio ma assumono una valenza globale, con la volontà. Confidiamo dunque nell’opportunità offerta da Expo 2015 per lasciare una grande eredità a questa classe emergente di cittadini attivi e consapevoli.”
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"Cento anni di guerre bastano" Perugia-Assisi, popolo della pace in Marcia lmeno 100.000 tra striscioni e bandiere con i colori dell’arcobaleno, canti e slogan, hanno percorso a piedi i circa 24 chilometri che collegano Perugia ad Assisi, per dire che “Cento anni di guerre bastano” – un secolo dopo la Prima guerra mondiale – con un pensiero rivolto al lavoro, perche’ “non c’e’ pace se non c’e’ lavoro e se non c’e’ il riconoscimento dei diritti fondamentali”, come hanno sottolineato gli organizzatori. Alla ventesima edizione della Marcia della pace che si e’ svolta oggi, insieme al promotore Flavio Lotti (nella foto sul palco) c’erano la presidente della Camera, Laura Boldrini, don Luigi Ciotti, Alex Zanotelli, Nichi Vendola, la presidente della Regione, Catiuscia Marini, il sindaco di Perugia, Andrea Romizi… E una nutrita delegazione di Articolo21, capitanata dal portavoce Giuseppe Giulietti all’indomani della due giorni di dibattiti organizzata proprio ad Assisi dal titolo “Illuminare le periferie”. Il Papa, dopo quello di ieri del capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha inviato un messaggio (la Marcia sia un’occasione per un maggior impegno nella “diffusione della cultura della solidarieta’, ispirata ai valori morali e al servizio della persona umana e del bene comune”, ha detto). Moltissimi i giovani e i bambini, di 177 scuole. Erano 277 gli enti locali, 479 associazioni, 526 le citta’ partecipanti, e tutte le regioni italiane coinvolte. La partenza, a Perugia (nel frattempo presa d’assalto da altre centinaia di persone in occasione di Eurochocolate), era stata preceduta dal suono di cento esplosioni diffuso dagli altoparlanti. “Cento colpi – ha detto il coordinatore del comitato promotore, Flavio Lotti – che scandiscono cento anni di guerre, con tante stragi che anche oggi ci sono nel mondo. Siamo qui perche’ non vogliamo piu’ vedere vittime”. “Il Presidente della Repubblica - si legge nel messaggio inviato da Napolitano - desidera rivolgere un cordiale saluto a tutti i partecipanti alla marcia per la pace Perugia-Assisi, giunta alla sua ventesima edizione”. Così si legge in una nota dei promotori della marcia". “Nel momento in cui l’Europa commemora il centenario della tragedia della prima guerra mondiale, e’ importante richiamare l’attenzione della comunità internazionale, e dell’Italia, sull’urgenza di concreti progressi verso la costruzione di un mondo più sicuro e stabile. Un impegno che è innanzitutto un investimento per assicurare un futuro di pace alle giovani generazioni, oggi ampiamente rappresentate dalla presenza di numerosi alunni provenienti da cento scuole. Certo che il messaggio lanciato dalla marcia per la pace non rimarrà inascoltato, il capo dello stato formula fervidi auguri di pieno successo per la manifestazione e per tutte le iniziative ad essa connesse che si svolgeranno nei prossimi mesi”. “In occasione della marcia per la pace Perugia-Assisi, il Santo Padre è lieto di rivolgere ai partecipanti il suo cordiale saluto e, mentre auspica che la manifestazione susciti sempre più vivo impegno nella diffusione della cultura della solidarietà, ispirata ai valori morali e al servizio della persona umana e del bene comune, invoca la materna protezione della Vergine Santa e di
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San Francesco d’Assisi, e di cuore invia ai presenti tutti la benedizione apostolica”. Alla marcia della pace non è mancato nemmeno il saluto del vescovo di Assisi, monsignor Sorrentino a commento del messaggio del Papa. “Benvenuti, cari amici. Permettetemi di fare qualche sottolineatura a questo messaggio giunto dal Santo Padre. Messaggio breve, ma con 5 parole decisive. Cultura della solidarietà, Valori morali, Servizio, Persona umana, Bene comune. Un lungo applauso dei tanti presenti ha accolto il passaggio di don Luigi Ciotti, mentre dalla sala stampa di Assisi si è spostato nella zona del palco in piazza in cui si si succedono interventi di esponenti delle istituzioni. Migliaia le persone che arrivano ad Assisi per la conclusione alla Rocca. «Totò Riina ha dato la mia dichiarazione di morte e noi abbiamo aperto ancora un’altra cooperativa sui beni confiscati alla mafia. Questa è la nostra risposta», ha detto don Ciotti. Il messaggio «Questo è un popolo bellissimo, ed è come stare in quella parte d’Italia che crede nei valori della fratellanza, della pace, che dice no alla guerra, e anche no alla guerra in nome di Dio». Lo ha detto la presidente della Camera Laura Boldrini. Per la presidente, questo popolo deve anche dire no «alla strumetalizzazione, quest’ultima inaccettabile, contro la quale tutti quanti ci dobbiamo schierare, capendo bene che i primi ad essere colpiti da questo utilizzo strumentale di Dio, sono proprio coloro di fede musulmana, che sono guardati in cagnesco, da chi vede in loro potenziali terroristi. Oggi siamo qui per dire che la pace è un valore importante, e per dirlo tanto più in un tempo in cui i venti di guerra soffiano intorno a noi. Questa – ha spiegato la presidente – è la mia prima marcia da presidente della Camera e certo non potevo mancare in questo ruolo. Sono felice di essere qui». Per la presidente della camera Laura Boldrini,«vediamo le conseguenze della guerra tutti i giorni sulle nostre coste», perché, «tante delle persone che rischiano la vita in mare fuggono da paesi in guerra. Chi accetta la roulette russa del Mediterraneo, è quasi sempre perché non ha il privilegio di avere la pace a casa propria, quindi – ha conluso – sono le prime vittime del terrorismo, del fanatismo e della violenza». La vicepresidente della Camera, Marina Sereni, definisce la Marcia della pace come "una grande manifestazione di popolo e un appuntamento particolarmente importante". Sereni ricorda che "Ci sono grandi tensioni nel mondo e emergenze incredibilmente preoccupanti, che riguardano miliardi di uomini e donne, come le guerre nel Nord Africa e la situazione tra Ucraina e Russia. Per questo il mondo ha bisogno di impegno per il dialogo". Il presidente della Regione Umbria ricorda che la marcia di oggi è rivolta anche al lavoro: "Questo popolo della marcia - dice Marini - è vicino ai lavoratori delle acciaierie di Terni, a quelli della Merloni, ma anche agli operai delle aziende piccole e grandi che hanno perso capacità produttiva e quindi lavoro per tante persone". Il presidente del consiglio regionale dell'Umbria, Eros Brega, ricorda che la Marcia "è un simbolo e un valore. [...] credo che sempre di più iniziative come questa possono aiutare ad avvicinare i popoli e a dare un messaggio importante di pace e di speranza nel mondo". Il sindaco di Perugia, Andrea Romizi, sottolinea l'importanza della Marcia"soprattutto in questi ultimi anni. Ne sentiamo forte la portata - continua - Non ci riferiamo solo a guerre e conflitti armati ma anche a questo clima di tensione sociale per il quale spesso ci viene da definirci - ha concluso - sindaci in tempo di guerra".
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Alla scoperta dell’Ungheria E nei vicoli anche un pezzo di Sicilia Natale Conti Vuoi curarti i denti e fare una vacanza ideale con quanto in Italia spenderesti solo dal dentista? L’Ungheria si offre come Paese ideale. Costi bassi, gentilezza. Cortesia. Ecco le buone regole di una fetta di quel che fu parte non indifferente dell’impero Austroungarico e che oggi attira turisti soprattutto dall’Occidente. Affrontiamo il viaggio in Ungheria nell’ambito del congresso annuale della Fijet (Federazione Mondiale dei Giornalisti e Scrittori di Turismo) che ha voluto dedicare il 2014 ad una delle terre emergenti nell’ambito del grande turismo di massa. Certo ancora molto resta da fare, non tutto è perfetto, ma di questa gente la cosa che ammiriamo di più è il coraggio del fare. Si sbaglia qualcosa ma non è un dramma, si va avanti. Così è una autentica sorpresa trovarsi in un Paese in cui non c’è un solo lavavetri agli angoli o davanti ai semafori, non trovi un mendicante che sia uno (in otto giorni ne ho visto solo uno che dormiva su una panchina), vedi ragazze (tante bellissime) che alle undici di sera salgono tranquillamente su bus e tram senza che alcuno dia loro fastidio e le molesti. Sotto questo profilo un Paese ideale che è riuscito a portarsi dietro dal regime sovietico del quale è stato uno dei satelliti quell’ordine e disciplina che, finalizzati al bene, costituiscono un grande pregio. Si vive di turismo, di artigianato, di cucina, di mercatini, di cibo di strada, di agricoltura, di professioni a basso costo, vedi appunto quella dei dentisti. Non è un Paese ricco ma è un Paese che ricco può diventare mostrando quel poco che ha con grande orgoglio. E prima di tutto il Danubio, la grande madre dell’Europa centrale che bagna dieci paesi e che è fonte di cultura e di fascino. Da Vienna a Budapest quel fiume detta i tempi del vivere e del modo di vivere. Eppure l’Ungheria ha fatto parte del blocco sovietico, ma ha avuto la capacità di uscirne senza gravi danni. Niente da vedere con quanto successo e succede ancora in Ucraina o nella vicina Cechia. Ma quell’Imre Nagy l’eroe nazionale della rivolta degli anni 50 contro il regime sovietico, quel disperato suo tentativo di far nascere un comunismo dal volto umano, quel patriota – mi dicono - amato dal popolo ungherese, ha ben pochi monumenti che ne ricordino la storia., Dimenticato? Assolutamente no, ma dietro tutto c’è il problema di non irritare i fraterni amici russi. Tanta prudenza, quella prudenza che in fondo ha aiutato gli ungheresi a trovare una loro dimensione. Così Budapest fa parte della Ue ma non ha rinunziato alla sua moneta, il fiorino, forse per non dispiacere Mosca o probabilmente anche perché ha capito di non poter tenere il passo della vicina locomotiva tedesca. Dall’Ungheria sovietica fuggirono in molti, soprattutto ricchi ebrei perseguitati dal regime ma i figli, caduto il regime, sono ritornati, arricchendo questo Paese con il loro coraggio, con la loro capacità di costruire e produrre ricchezza. Il caffè New York con gli oltre trecento posti a sedere, tutti occupati in una calda serata di settembre alle undici di sera, i ristoranti, le bancarelle, il quartiere ebraico, la strada del turismo. Questa è la facciata di una città che ha due milioni di abitanti che d’estate diventano cinque milioni ed anche oltre, che di questo ha saputo fare la sua ricchezza. Così come una grande ricchezza è l’agricoltura, sfavorita dal clima invernale ma favorita da centinaia di migliaia di ettari di terreno pianeggiante, facile da coltivare. Mele, grano, mais, ma anche la paprika. La fabbrica dove viene lavorata, impacchettata e spedita in tutto il mondo.
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Ma torniamo a Budapest. E’ immensa la sorpresa, svoltando un angolo, in pieno centro storico, di trovarti a poche decine di metri, una strada dove si parla italiano, dove un ragazzo siciliano, giornalista, tra l’atro bravo e intraprendente, ha pensato con altri tre amici, un italiano e due ungheresi di far nascere una gelateria, una gelateria aperta al pubblico ma anche d’elite con i vecchi carrettini dei gelato che fanno impazzire nelle case della borghesia ungherese. Sì, perché non c’è festa in cui non compare il carrettino dei gelati siciliani, con le essenze fatte venire da Palermo e con la frutta made in Sicily. Marcello Clausi ci racconta come vive una parte dell’anno un Siciliano che fa l’imprenditore a Budapest “Gli affari vanno a gonfie vele in questo Paese. Io porto dall’Italia gran parte delle materie prime, compresa la frutta e siamo riusciti a farci apprezzare. Ma lo sai che per iniziare questa attività abbiano impiegato meno di un mese? Le autorizzazioni sanitarie sono arrivate in 15 giorni. Per il resto gli uffici governativi e fiscali hanno preso per buone le tue dichiarazioni. Certo se quando saranno fatte le verifiche qualcosa non dovesse risultare in regola sarebbero problemi. Per fortuna non è successo. Non sembra vero, ma qui siamo tutti controllati. La vedi l’antennina accanto al registratore di cassa. E’ collegata con l’ufficio entrate che, se vuole, in tempo reale sa quando emetto il primo scontrino o l’ultimo, quanti scontrini emetto in una giornata, se ci sono troppe differenze da un giorno all’altro. Se questo succede debbo dare spiegazioni- I funzionari del posto vengono spesso, controllano, fanno le loro verifiche e vanno via. Sotto questo profilo un sistema più agile di quello italiano. Sei incoraggiato ad intraprendere”. Ma qual è il segreto di questo Paese? “Innanzi tutto gli stipendi bassi che favoriscono le assunzioni di personale, assunzioni di personale che avvengono sempre nel rispetto dei contratto. Tutti in regola, nessuno in nero, contributi pagati, la casa costa cifre accettabili, l’economia, che pure da queste parti è povera, gira alla perfezione”. Un Paese felice insomma. Da visitare e perché no, anche da vivere
Pecs, piccolo angolo di paradiso e storia Città gioiello della cultura ungherese duecento chilometri da Budapest nella parte meridionale dell’Ungheria, ecco il gioiello della cultura ungherese, la città di Pecs. Resti impressionato dall’intersecarsi delle strade, dalla pulizia, dall’ordine, dalla quantità di persone addette a tener pulite e candide le strade, resti impressionato dalle chiese e dai monumenti, resti impressionato dagli insediamenti romani che nei 2010 hanno fatto di questa città una delle capitali della cultura europea dell’Unesco. Un premio meritato per la capacità di questa piccola città, potremmo paragonarla a Siena, di essere una vetrina vivente che collega romanità , mondo classico musei (ben dieci in poche centinaia di metri), chiese. Sì, proprio le chiese. Non a caso il vecchio nome di Pecs si rifà alle cinque chiese. E’ una città dove la sapiente guida dei vescovi è servita a dare dignità e prestigio. Pecs fu luogo di un insediamento di epoca preistorica. Vi vissero Celti e Illiri, prima dell’arrivo dei romani dei quali esistono ancora, conservate in maniera perfetta, tombe che il tempo ha scarsamente deteriorato. Travolti i romani la città divenne la capitale della provincia della Pannonia Valeria. In seguitò la città si chiamò Quinque Ecclesiae. Il nome ungherese Pecs probabilmente deriva dal turco bes (cinque). La visita alle tombe romane riempie i cuori di profonda commozione, così come l’immagine di Maria che il tempo ha conservato intatta. Ma Pecs non è solo turismo, la sua collocazione geografica al confine con la Croazia le da la possibilità di sviluppare una agricoltura d’avanguardia (abbiano ricordato la Paprika, dolce e piccante, esportata in tutto il mondo, ma come non ricordare la produzione di birra e le porcellane?) In conclusione un piccolo angolo di paradiso che il tempo ha conservato intatto. N.C.
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“A scuola con il sorriso”, progetto per l’inserimento scolastico dei bimbi dislessici differenza di quanto avveniva precedentemente quando gli interventi erano a discrezione dei docenti, si può oggi considerare regolare il comportamento degli insegnanti in caso di presenza di bambini dislessici nella propria classe. Esistono, infatti, delle norme che consentono di non fare più gli errori di una volta, favorendo un più facile inserimento di questi fragili soggetti nel contesto scolastico. Per consentire questo è, però, necessaria un’informazione corretta e quanto più estesa possibile su come vadano affrontati tutti i problemi connessi. Il dislessico, mentre i compagni già scolarizzati riescono a decodificare e a elaborare, non conosce i processi che consentono queste due operazioni. L'automazione delle sequenzialità, infatti, rende la maggior parte delle persone padrona dei suoi comportamenti; lui, invece, rimane sempre concentrato sul processo di automazione. Principi di base contenuti nel progetto “A scuola con il sorriso”, per imparare a conoscere la dislessia, fortemente voluto dal Rotary Club Palermo “Teatro del Sole” e realizzato insieme al Centro Studi “Virtualmente
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o.n.l.u.s.” con il patrocinio del Comune di Palermo. A presentarlo, nei giorni scorsi, sono stati proprio coloro i quali lo hanno pensato e lo metteranno in atto. Per il dott. Gaetano Rappo, psicologo e specialista in Psicoterapia cognitivo-comportamentale, esperto in valutazione, diagnosi e potenziamento dei disturbi specifici di apprendimento e dei bisogni educativi, per esempio, bisogna capire qual è la strategia per avvicinare il bambino in difficoltà. «E’ necessario comportarsi da “sarti” - spiega Rappo - cioè cucirgli addosso il “vestito” adatto. Ovviamente, rispetto massimo della diversità, altrimenti il dislessico si sentirà ghettizzato, si isolerà e rinuncerà, invece di adottare strategie diverse». Indispensabile, dunque, la formazione a scuola per i docenti, come pure per i genitori di tutti i bambini, affinché nessuno si debba più nascondere. E poi, screening, contatto umano e uso di software ad hoc per capire le macro difficoltà e non continuare a confondere “disturbo” con “difficoltà”. G.S.
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Pubblicità in Sicilia: internet batte la tv Ma le affissioni esterne sono le più richieste
e affissioni esterne rappresentano in Sicilia il primo vettore di comunicazione per imprese, pubblica amministrazione e altre organizzazioni, con il 38,8% del totale della spesa (circa 60 milioni di euro), seguite dalla stampa (23,7%; oltre 36,6 milioni di euro) e dalla radio (15,9%; 24,5 milioni di euro). Internet catalizza il 9% (quasi 14 milioni) della spesa pubblicitaria e, in pochi anni, è riuscita a superare la televisione che totalizza appena il 7,3% (11,3 milioni). Un dato, quest’ultimo, in controtendenza con il resto del Pese, dove il piccolo schermo risulta il mezzo di comunicazione che raccoglie la maggior quota di spesa pubblicitaria (il 57% secondo Nielsen, il 41% secondo Agcom); seguito dalla stampa, che comprende quotidiani, periodici e annuari, (che catalizza il 17% di spesa secondo Nielsen ed il 28% secondo Agcom); e da Internet, diventato il terzo mezzo pubblicitario (Nielsen 12%; Agcom 19,8%), rivelandosi, così, il principale agente di mutamento del mercato pubblicitario. Tali differenze, secondo la ricerca “La pubblicità in Sicilia. Quadro produttivo, articolazione della spesa e strategie di sviluppo”, elaborata dall’Istituto Tagliacarne e presentata stamattina presso la sede di Confindustria Sicilia, da un lato sono alimentate dalla concentrazione di media e concessionarie a carattere nazionale in Lombardia, in Piemonte e nel Lazio, dall’altro dalle caratteristiche di un mercato siciliano che conta 1.340 imprese tra concessionarie e agenzie di pubblicità, in cui operano 1.380 addetti. “Appare evidente – si legge nello studio – che la dimensione media risulta molto contenuta, il che sta ad indicare un mercato piuttosto frammentato e sensibilmente caratterizzato da localismi”. Volume d’affari e produttività Nel 2011, il settore pubblicitario italiano registra un fatturato di circa 12 miliardi di euro, di cui il 73% circa da attribuire al NordOvest e il restante al Centro (10,9%), al Nord-Est (10,5%) e al Sud Italia (4,9%). In questo scenario, il volume di affari del settore pubblicitario siciliano ammonta a 121,4 milioni di euro, pari all’1% del fatturato nazionale, e registra tra il 2010-2011 dei ritardi rispetto alla situazione nazionale con una contrazione del -8,7%. Palermo e Catania rappresentano oltre il 70% del fatturato regionale. L’analisi della localizzazione dei clienti consente di identificare la rete di relazioni esistenti tra le imprese e i mercati di sbocco dei servizi. Da questo punto di vista, il mercato siciliano della pub-
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blicità evidenzia una forte propensione a costruire reti “locali”. Infatti, la spesa di clienti siciliani in Sicilia ammonta a 115 milioni di euro a fronte dei 5,7 milioni di euro di spesa di clienti siciliani in Italia. Di converso, la spesa di clienti italiani in Sicilia è pari a 55,7 milioni di euro, ossia al 31% circa del totale della spesa sui media siciliani. L’analisi provinciale del fatturato evidenzia come la quota più consistente del mercato siciliano è detenuta dalle province di Palermo (41%) e di Catania (33,3%), che insieme rappresentano il 74,3% del fatturato regionale; seguono, quindi, Messina (10,8%), Caltanissetta (3,8%), Ragusa e Trapani (2,8%), Siracusa (2,2%), Agrigento (1,7%) e Enna (1,6%). Tra il 2010-2011, solo le imprese localizzate nelle province di Siracusa e Trapani registrano un aumento del volume di affari, rispettivamente +39,3% e +12,6%. Particolarmente consistente, invece, risulta il decremento di fatturato registrato dalle imprese attive localizzate nelle province di Ragusa, Enna e Caltanissetta (rispettivamente, -17,8%; -16,7%; -15,1%). L’impatto della crisi Tra il 2009 e il secondo trimestre 2014, il mercato pubblicitario siciliano risulta in calo in termini di unità locali attive, segnando una variazione del -5,2% e una variazione nel solo primo semestre dell’anno corrente pari a -1,1%. Rispetto alla media nazionale, la flessione siciliana risulta più accentuata, come conseguenza di un ciclo recessivo che ha colpito, più o meno intensamente, tutti i settori dell’economia regionale. Complessivamente, nei cinque anni di recessione, la spesa pubblicitaria in Sicilia si è ridotta del 44%; nel solo 2012, la flessione è stata pari a circa il 10%. Per il 2013, il preconsuntivo è all’insegna di una ulteriore contrazione. A livello territoriale, le province di Palermo e di Catania sono quelle con il maggior numero di addetti nel settore (rispettivamente, 424 unità, pari al 32,9%; e 303 unità, pari al 23,5%). Seguono le province di Messina (128 unità, pari al 9,9%), di Trapani (120 unità, pari al 9,3%) e la provincia di Ragusa (94 unità, pari al 7,3%). Va osservato, inoltre, che la variazione II trimestre 2014/2013 di unità locali attive segna un trend positivo per le province di Agrigento (+1,7%), Enna (+4,3%) e Ragusa (+2,2%), a fronte di una situazione stazionaria della provincia di Caltanissetta (0%) e di valori negativi delle province di Siracusa (-3%), Catania (-3,5%), Messina (-1,5%), Palermo (-0,5%) e Trapani (0,8%). A fronte della crisi economica globale, nel 2012, il 13,7% degli imprenditori siciliani del settore ha investito per alimentare la propria competitività. L’esame delle risposte relative alle principali destinazioni degli investimenti rivela come in gran parte dei casi (46,4%) l’innovazione sia percepita come una delle finalità più importanti da perseguire; seguono la riduzione dei costi (35,7%), l’aumento della capacità operativa (32,1%), l’adeguamento standard competitivo (25%) e la sostituzione di attrezzature obsolete (25%). Per quanto riguarda il portafoglio clienti delle imprese del sistema pubblicitario siciliano, si conferma un mercato di sbocco in prevalenza locale dove la maggior parte della domanda proviene dalle stesse imprese (82,8%); seguono gli altri clienti privati (71,6%), la pubblica amministrazione (22,1%) e le associazioni e altre organizzazioni (13,7%).
Demopolis: “Come ci si informa in Sicilia” Comunicazione e fruizione dei Media a televisione si conferma nell’Isola la principale fonte di informazione dei siciliani; carta stampata e radio restano punto di riferimento. Cresce in modo significativo, grazie all’accesso mobile da smartphone, la fruizione della Rete, anche se risulta ancora pesante il Social Digital Divide. Sono alcuni dei dati che emergono dall’indagine dell’Istituto Demòpolis su “Comunicazione e fruizione dei Media in Sicilia", i cui risultati sono stati presentati lunedi 13 ottobre a Palermo dal direttore di Demopolis Pietro Vento, nel corso di un Convegno promosso da Confindustria Sicilia. La TV, con l’85%, mantiene la propria egemonia, quale fonte di informazione sull’attualità nazionale. Addirittura l’unica per il 25% dei cittadini residenti nell’Isola: siamo in presenza di un quarto della popolazione che, ancora oggi, entra in rapporto quotidiano con il Paese soltanto attraverso il filtro della televisione.
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La fruizione della Rete “Cresce – afferma il direttore dell’Istituto Demopolis Pietro Vento – la fruizione di Internet: e la navigazione si sposta progressivamente dai dispositivi fissi a quelli mobili. Il 43% dei siciliani si collega tutti i giorni o quasi; il 18% si caratterizza per una fruizione discontinua. Ma quasi 4 cittadini maggiorenni su 10 non utilizzano la Rete: permane nell’Isola un evidente Digital Divide, con un milione e 700 mila siciliani che restano ancora fuori dalla Rete”. Forti risultano i divari tra le generazioni, in base al titolo di studi, ma anche di genere, con le donne indietro di 12 punti percentuali nella fruizione del web. SEGUE Come ci si informa sull’attualità regionale e locale Per informarsi sull’attualità regionale e locale, il 61% dei siciliani segue i telegiornali dei network televisivi regionali o provinciali; il 48% dei cittadini intervistati da Demopolis ascolta i notiziari regionali, radio o tv, della Rai. Poco più di un terzo legge o sfoglia, in versione tradizionale o su smartphone, un quotidiano o un settimanale. Un quinto sceglie un notiziario in radio. Cresce, soprattutto, l’informazione online, cui si affida oggi il 37% dei siciliani. I cittadini stanno progressivamente imparando ad informarsi in Rete: fruiscono sempre più dei Social Network, delle news online e dei motori di ricerca. Ma in pochissimi accedono ai siti istituzionali degli enti locali: appena l’1% dei navigatori utilizza il sito web della Regione. Con un trend che in Sicilia – secondo i dati dell’Istituto Demopolis –appare in crescita nettamente inferiore rispetto ad altre aree del Paese. Nota informativa: metodologia e campione L’indagine demoscopica è stata condotta dal 5 al 10 ottobre 2014 dall’Istituto Nazionale di Ricerche Demopolis, diretto da Pietro Vento, con metodologia cati-cawi, su un campione di 1.000 intervistati rappresentativo dell’universo popolazione maggiorenne residente in Sicilia, stratificato in base al genere, alla fascia di età, al titolo di studi ed all’area di residenza. Direzione e coordinamento della ricerca (realizzata per il Convegno promosso da Confindustria Sicilia) a cura di Pietro Vento con la collaborazione di Giusy Montalbano e Maria Sabrina Titone. Supervisiore della rilevazione cati-cawi di Marco E. Tabacchi. Per approfondimenti sull’indagine: www.demopolis.it
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In produzione le terre in memoria di Rita Atria
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inque soci, tutti giovani della provincia di trapani gesti-
ranno insieme, per la prima volta, i beni confiscati alla mafia e affidati alla cooperativa dedicata alla memoria di
Rita Atria. Dopo poco più di due anni dalla sottoscrizione del protocollo d’intesa tra l’Agenzia nazionale per i beni confiscati, la Prefettura di trapani, il Consorzio trapanese per la legalità e lo sviluppo, i comuni di Castelvetrano, Paceco e Partanna, la Camera di Commercio di trapani, la Diocesi di Mazara del Vallo, la Fondazione San Vito onlus, il Parco archeologico di Selinunte e Libera, è nata la cooperativa che si dovrà occupare di gestire e far tornare in produzione i beni tolti alla mafia. Due anni, dunque, per un lungo e difficoltoso iter: dalla selezione delle persone, alla formazione tecnica, al coinvolgimento delle istituzioni, enti locali e mondo economico e sociale della provincia. Intanto gli incendi, in questi due anni, hanno compromesso la
insieme al gruppo Unipol, la Fondazione Vodafone Italia e il
produttività degli uliveti. Ma tutto questo, però, non ha portato a
Progetto Policoro della Diocesi di Mazara del Vallo, quest’ul-
desistere dall’obiettivo; anzi, forti della testimonianza lasciata dalla
timo sostenuto dalla Cei.
giovane Rita Atria, testimone di giustizia partannese a cui è dedi-
Gli animatori di comunità del Progetto hanno seguito tutto il per-
cata la cooperativa, si è lavorato affinché questo progetto potesse
corso: la divulgazione del bando, gli incontri sul territorio, la for-
realizzarsi proprio qui, terra ricca e produttiva, ma spesso vittima
mazione organizzata nel mese di luglio scorso nei locali
di poteri forti. I cinque soci della cooperativa sono: Valentina Squa-
diocesani del Centro diocesano pastorale di Mazara del Vallo,
drito, agronomo e presidente della cooperativa, Sebastiano Man-
attraverso moduli tecnici e l’accompagnamento delle persone
cuso, Andrea Lipari, Antonino Ciraulo e Leonardo Aiello, tutti
selezionate.
operai.
«Vuole essere questo un gesto concreto del progetto Policoro,
Saranno proprio loro, con le loro mani, a prendere in consegna, il
ma vuole essere soprattutto un segno di speranza, di corre-
prossimo mese, i 120 ettari di terreni confiscati, divisi per metà nel
sponsabilità, di reciprocità e di coraggio, per tutti noi apparte-
comune di Paceco (grano e legumi), e metà nei comuni di Ca-
nenti a questo territorio, dando forza e consapevolezza che
stelvetrano e Partanna (uliveti della cultivarNocellara del Belice),
qualcosa di bello si può realizzare» ha detto il responsabile del-
per farli tornare nuovamente a produrre. Fra i protagonisti di que-
l’Ufficio diocesano per la pastorale del lavoro, don Edoardo Bo-
sto impegno Libera ma anche Coop Lombardia e Coop Adriatica
nacasa.
A Selinunte la San Vito onlus produce origano e olio li arbusti sono stati piantati nel 2005, anno in cui il Comune di Castelvetrano affidò il terreno alla Fondazione San Vito onlus. ora da alcuni anni si raccoglie l’origano della legalità in contrada Pileri a Marinella di Selinunte, nel fondo confiscato e gestito dalla Fondazione. Nel terreno sono stati piantati nuovi ulivi che sono già in produzione, mentre il magazzino ristrutturato viene utilizzato come ricovero per i mezzi e deposito ma anche come alloggio per gruppi che partecipano ai campi-lavoro. tra i beni confiscati gestiti dalla Fondazione c’è anche un fondo a Salemi col turismo rurale “Al Ciliegio”, dove si può cenare con un menù tipico siciliano. Ma c’è anche un vigneto nelle campagne di Calatafimi. tra i beni anche una villetta a tonnarella di
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Mazara del Vallo, per ben due volte oggetto di attentati. Un agrumeto in contrada Cusa a Campobello di Mazara, invece, è stato affidato dal Comune alla Fondazione. Da due anni non sono stati assegnati e i vandali li hanno quasi distrutti. Sono i due centri “Carlo Alberto Dalla Chiesa” (nella foto un particolare dell’interno)e “Pio La torre” a Campobello di Mazara costruiti su terreni che furono di Nunzio Spezia. La Commissione prefettizia che regge il Comune ha pubblicato i bandi per l’assegnazione ma; nonostante questo, non sono stati assegnati. La videosorveglianza è pure guasta e i beni sono stati vandalizzati.
Commemorazione Orcel, Cgil Palermo: “Articolo 18 precede Statuto dei lavoratori” arlare oggi di Orcel significa ricordare le sue batta-
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glie per i diritti e per la legalità, per la crescita e per lo sviluppo. Sono temi che vengono da molto lon-
tano ma sono sempre attuali. Così come lo è la battaglia sull’articolo 18. Il diritto alla libertà di non essere alla mercé dei padroni precede lo statuto dei lavoratori degli anni Settanta: proviene direttamente alle battaglie di inizio Novecento, quelle portate avanti da dirigenti come Giovanni Orcel e Nicola Alongi, assassinati entrambi dalla mafia e dagli agrari. Parliamo di un secolo e mezzo di battaglie”, così ha dichiarato il segretario della Cgil di Palermo Enzo Campo, in corso Vittorio Emanuele, davanti alla lapide intestata a Giovanni Orcel, il dirigente dei metalmeccanici ucciso dalla mafia nel 1920, “costruttore di unità tra operai e contadini”. Alla cerimonia hanno partecipato Umberto Santino, presidente del centro Impastato e alunni e docenti dell’istituto Regina Margherita. “L’articolo 18 deve essere modificato ma per l’allargamento dei diritti a tutti i lavoratori non per la loro cancellazione – ha aggiunto Campo - Noi siamo per le riforme ma in senso progressista non per quelle conservatrici. I diritti fondamentali non possono essere solo indennizzati.
Il diritto al lavoro, alla dignità, all’emancipa-
zione dell’uomo non può essere comprato”.
Intanto, la piazzetta di Palermo dedicata al sindacalista Giovanni Orcel, ucciso dalla mafia nel 1920, sarà realizzata con un progetto elaborato al computer dagli studenti dell’istituto tecnico Vittorio Emanuele III e con la collaborazione degli operai del Cantiere Na-
"Un fatto importantissimo: ci riprendiamo un pezzo di città, col-
vale.
laborando insieme ciascuno per una parte, e coniugando la me-
Al centro della piazza, nell’area antistante al cantiere, sorgerà un
moria di chi è morto ammazzato dalla mafia a un progetto che
monumento, disegnato dai ragazzi, che raffigura il rostro di una
guarda al futuro della città - dichiara il segretario della Cgil di
nave che punta verso il Nord. Intorno saranno poste delle pan-
Palermo Maurizio Calà - La scuola, fonte di scienza e cono-
chine, nascerà un’area verde con piante mediterranee, tra cui
scenza, mette a disposizione le competenze dei ragazzi in
l’arancio amaro e la ginestra, e ci sarà un sistema di illuminazione
campo progettuale, informatico, elettrico ed elettronico. Mentre
a led sul pavimento.
gli operai lavoreranno il ferro per realizzare il monumento.
Un’iniziativa che ha lo scopo di unire la memoria e il futuro, la fi-
L’operazione, concordata con il sindaco Orlando, sarà fatta in
gura di Orcel alla centralità del ruolo del Cantiere Navale per lo
economia. E con la partecipare di tutti restituiremo un pezzo di
sviluppo della città di Palermo. E la prua della nave rivolta verso
città risanata. Ricostruiremo un angolo di città senza tanti soldi
a Nord è la bussola che indica la direzione stessa del cantiere e
ma con una grande voglia di riscatto e rivincita, ancorandoci ai
la via da intraprendere guardando al futuro.
grandi ideali di Orcel, declinati al futuro".
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Organi in cambio di una via di salvezza La tratta, torbida, dei nuovi migranti Teresa Monaca
ppaiono sempre più torbidi i retroscena che stanno dietro la “tratta” dei nuovi migranti. A preoccupare le voci sempre più insistenti di un vero e proprio mercato di organi, traffico alimentato dal desiderio di fuggire da paesi in guerra e dalla speranza di malati che cercano in tutti i modi di “trovare” un donatore bypassando le legali liste di attesa. Sembra essere in continua crescita il fenomeno di migranti costretti a vendere i propri reni per saldare il debito contratto con gli scafisti. I “clienti”, anche italiani, sono disposti a pagare fino a 200mila dollari e l'Africa è, oggi, uno dei maggiori fornitori di questo macabro business che coinvolge oltre 50 nazioni. Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità, tra i reni trapiantati ogni anno, circa 63mila interventi, quasi il 10% viene procacciato illegalmente nel Secondo e Terzo Mondo. I pazienti sono pronti a tutto anche a spostarsi in qualsiasi continente per sottoporsi ad un trapianto illegale e l'offerta imbastisce strategie sempre più sofisticate imponendo prezzi sempre più salati per i richiedenti che hanno più urgenza, con quotazioni fino a 200mila dollari un rene d’uomo tra i 20 e i 30 anni. Agli scafisti e ai 'traghettatori via terra', vanno “le briciole”, considerando che intascano percentuali del 10%, il resto della filiera è composto da chirurghi, dottori, tecnici di laboratorio o agenti di viaggio. I facoltosi malati di rene provengono dal Giappone, Italia, Israele, Canada, Taiwan, Stati Uniti e Arabia Saudita. L’Italia sembrerebbe il luogo ideale per fare da crocevia a questi “affari”, lo si deduce da una serie di frammenti di intercettazioni e stralci di indagine soprattutto legate agli sbarchi di Lampedusa e che hanno portato, qualche settimana fa, agli arresti di cinque eritrei a Roma. In realtà nessuna vendita o inter-
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vento in Italia è stato accertato finora. I segnali di strane “macchinazioni” erano già arrivate nel gennaio 2009, quando l'allora ministro degli Interni, Roberto Maroni, lanciò un allarme durante l'assemblea pubblica dell'Unicef a Roma. Secondo Maroni sul territorio c'erano "evidenze di traffici di organi di minori” ma a quel tempo l’AIDO, l'Associazione Italiana per la Donazione di Organi, smentì il fenomeno. A spingere l'ex ministro a quelle considerazioni l'analisi incrociata dei dati sui ragazzi extracomunitari scomparsi dopo esser arrivati a Lampedusa, circa 400 su 1.328 nei 12 mesi precedenti, e le segnalazioni relative al traffico d'organi inviate dai paesi d'origine alla polizia italiana tramite Interpol. Qualche mese dopo, nell'aprile 2009, i carabinieri dei Ros conclusero con successo una maxi operazione sulla tratta di esseri umani in stretta cooperazione con la polizia olandese, nei confronti di un network di matrice nigeriana con base a Castelvolturno, responsabile della tratta di centinaia di donne nigeriane sfruttate sessualmente negli stati dell'area di Schengen. Nell'ambito di quell'inchiesta fu accertato il caso di un bambino proveniente da un orfanotrofio in Nigeria e le pratiche per portarlo illegalmente in Italia. Una pratica che sembrava collaudata ed abbastanza semplice per le organizzazioni, capaci di prelevare i bambini da quell'orfanotrofio con una certa facilità e senza una necessaria destinazione specifica. Oltre alle organizzazioni criminali entrano in gioco i broker, uno dei quali era arrivato in Italia l'anno scorso. Nel giugno 2013, infatti, era atterrato all'aeroporto di Fiumicino, Tauber Gedalya, un ex alto ufficiale israeliano di 77 anni su cui pendeva un mandato di cattura internazionale emesso dallo stato brasiliano di Pernambuco, dove era stato già condannato all’ergastolo per traffico di organi umani. Qui, dal gennaio 2002, Gedalya avrebbe organizzato l’asportazione di organi umani di almeno 19 cittadini della zona nord est del Brasile. Dopo aver sottoposto i donatori a esami medici, li faceva uscire dal Paese diretti in Sud Africa per l'espianto, quasi sempre di reni. Per l’intervento ogni 'donatore' riceveva tra 6 e 12mila dollari. Finora non è stata accertata la motivazione della presenza in Italia di questo “personaggio” né quali fossero i suoi interessi nel nostro Paese. Il sogno dei profughi eritrei, sudanesi, somali e maliani, nato sulle promesse dei trafficanti sudanesi di procurar loro un lavoro in Israele dopo aver varcato il confine, diventa un incubo quando passata la frontiera alcuni vengono venduti ai beduini anche attraverso poliziotti corrotti. Il primo passaggio è la richiesta di riscatto alle famiglie. Se non arrivano i soldi anche qui la minaccia è il sacrificio di organi, così come testimonia Alganesh Fessaha, attivista impegnata in operazioni di salvataggio che collabora con la Ong ‘Gandhi’. "Dal deserto del Sinai, in obitorio arrivano corpi a cui mancano cornee e reni, basta os-
Si sfrutta il desiderio di fuggire dalla guerra e la speranza di guarire dalle malattie servare le cicatrici", racconta. "Per loro chiedono riscatti da 50mila euro, li torturano cercando di soffocarli con sacchetti di plastica bruciata. E se non arriva il denaro dalle famiglie si passa ai test di compatibilità e alla vendita di reni e cornee - spiega Alganesh - . Così guadagniamo di più, spiegano nelle loro minacce, con un soggetto compatibile, fino a 75mila euro". C'è anche un testimone chiave, un giovane sottoufficiale eritreo di 33 anni fuggito dalla dittatura di Isaias Afewerki - poi liberato grazie ad Alganesh - che era stato intercettato dai predoni poco prima di superare il confine sudanese. Durante la sua prigionia ha parlato del prelievo di un rene di un suo compagno di cella agonizzante e portato via con l'auto con la collaborazione di un medico compiacente. Anche a lui era stato chiesto di 'vendere' per essere liberato. Episodi che gettano ombre su un bacino di 'clienti' in Israele. La stessa ricercatrice antropologa Nancy Scheper Hughes, esperta mondiale del fenomeno e attivista di Organs Watch, cita diversi israeliani nella lista degli acquirenti di organi. Il “tour del trapianto illegale” è esteso oltre ogni immaginazione ed è alimentato da un lato dal dramma dei pazienti emodializzati, pronti a pagare fiumi di soldi per il rene di uno sconosciuto obbligato dalla miseria, dall’altro da vittime-donatrici che a volte si spostano per il mondo nella clinica più riservata e comoda per broker e chirurghi. Spesso vengono creati nuovi siti temporanei per facilitare i trapianti illeciti velocemente e per un breve periodo di tempo, anticipando la polizia, il governo o interventi internazionali - come spiega l'antropologa ricercatrice di Berkley e fondatrice di Organs Watch, Nancy Scheper Hughes, una sorta di attivista che veste i panni di una 007 pronta a stanare broker e clienti in tutto il mondo. “Negli anni scorsi sono stati accertati 109 trapianti illeciti solo nell'ospedale di Saint Augustine a Durban, in Sud Africa, tra cui cinque minorenni - spiega Hughes - In seguito ad una retata della polizia ci furono molti patteggiamenti di vari brokers e loro complici”. Secondo l’antropologa sono proprio costoro i veri registi dei
network criminali: organizzano la logistica, coordinano i malati di reni disposti a viaggiare grandi distanze, venditori di reni e chirurghi criminali, hanno accesso alle infrastrutture necessarie come ospedali, (i migliori del continente sono in Sud Africa), a centri di trapianto, compagnie di assicurazioni mediche come anche cacciatori locali di reni e spesso anche polizia compiacente. Hughes teme che possa diventare sempre estesa la vicenda di Ji-Hun, uno studente diciannovenne, immigrato del Sud Corea che temeva di essere rimpatriato se fosse finito fuori corso perché non poteva permettersi il costo dei corsi, dei libri e l’affitto. Così il giovane ha venduto il suo rene per 20mila dollari ad un facoltoso imprenditore statunitense in procinto di dialisi ma che non riusciva ad accettare l'idea di dover 'attaccarsi ad un macchina per tre ore alla settimana'. Il trapianto è avvenuto in un famoso “ospedale per le star di Hollywood” a Beverly Hills “soddisfacendo” così in un macabro modo l’ordinaria legge di mercato basata sull’incontro di domanda e offerta.
A scuola di cittadinanza consapevole ’Associazione Euromed Carrefour Sicilia – Antenna Europe Direct comunica che è stata pubblicata la manifestazione d'interesse per le associazioni che potranno affiancare il percorso didattico di ASOC per l'anno 2014/15, in scadenza il prossimo 20 ottobre (ore 12.00).La stessa Antenna Europe Direct, parteciperà attivamente collaborando con diverse Scuole e con le associazioni di promozione sociale. Frutto di un accordo siglato nel giugno 2013 tra il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca [MIUR] e il Ministero dello Sviluppo Economico, Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione Economica [DPS], A Scuola di OpenCoesione [ASOC] è un percorso innovativo di didattica interdisciplinare rivolto alle scuole secondarie di ogni tipo. Il primo ciclo di sperimentazione si è svolto nell’Anno Scolastico
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2013-2014 presso 7 istituti di istruzione secondaria situati sul territorio nazionale (Palermo, Napoli, Bari, Roma, Firenze, Bologna, Trento) e si è concluso a Maggio 2014 (vedi circolare MIUR: www.istruzione.it/allegati/2014/prot3368_14.pdf). Per l’anno scolastico 2014/15 la sperimentazione viene estesa a tutto il territorio nazionale. Il percorso didattico ASOC [www.ascuoladiopencoesione.it] promuove principi di cittadinanza consapevole, sviluppando attività di monitoraggio civico dei finanziamenti pubblici attraverso l’impiego di tecnologie di informazione e comunicazione e mediante l’uso dei dati in formato aperto (open data) per aiutare gli studenti a conoscere e comunicare in modo innovativo come le politiche di coesione intervengono nei luoghi dove vivono.
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Considero valore: l’arma della solidarietà contro i disastri dell’alluvione di Genova Brunella Lottero, Giampiero Crozza
econdo l’osservatorio generazione proteo (http://osservatorioproteo.unilink.it) nove giovani su dieci, oggi, considerano valore la solidarietà. La antepongono a: denaro, successo, bellezza e religione. Armati di solidarietà questi ragazzi, numerosissimi, sono andati a Genova, sommersa ancora una volta dall’alluvione di questi giorni. Genova ’nera che porta via la via, nera che non si vedeva da una vita intera così dolcenera’ (da Dolcenera di Fabrizio De André) li ha subito battezzati angeli del fango. Gli angeli del fango riflettono il valore della solidarietà dei ragazzi italiani. Ragazzi che, per quasi la metà, fanno volontariato. L’indagine del link campus università è stata condotta su 2500 studenti, fra i 17 e i 19 anni, di otto città italiane, fra cui Genova. I ragazzi sono altruisti ma scettici sulla partecipazione politica: al ‘partecipare’ attraverso il web preferiscono il ‘fare’ perché ritengono che i politici oggi facciano promesse senza poi mantenerle, l’86 per cento della classe politica tutela solo i propri interessi e l’80 per cento non sa coinvolgere i giovani. Non è un paese per giovani, non si direbbe, ma i giovani esistono, credono, fanno, agiscono, spalano il fango di Genova ‘acqua che porta male, sale dalle scale, acqua che spacca il monte, che af-
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fonda terra e ponte’ (da Dolcenera di Fabrizio De Andrè), si sporcano le mani e gli stivali, prendono freddo, sorridono, giocano, non cedono alla stanchezza, sono presenti, e sono stati primi e purtroppo li hanno seguiti in pochi altri, ad arrivare a Genova, e a regalare a questa città ferita e meravigliosa, la loro forza e la loro bellezza. La bellezza è un valore che Giampiero Crozza, fotografo genovese, classe 1961, cerca ovunque. Solitario e riflessivo, ascolta, vede, osserva e scatta. In questi giorni a Genova ha scattato molte foto, queste che vedete qui sono solo una piccola parte di ciò che l’occhio di Crozza ha colto. ‘Considero valore quello che domani non varrà più niente e quello che oggi vale poco. Considero valore un sorriso involontario, la stanchezza di chi non si è risparmiato, tutte le ferite, accorrere a un grido, provare gratitudine.’ (Erri De Luca) C’è ancora chi sostiene che oggi i nostri ragazzi non hanno valori? Io considero valore tacere in tempo.
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Gastromania, Marrone cucina i talebani del chilometro zero Rocco Moliterni rogrammi tv (da Masterchef alla Prova del cuoco), in cui si spadella a tutte le ore, libri di ricette, chef che diventano star e food blogger considerati opinion leader, street food in tutte le salse: mai come in questo periodo i discorsi sul cibo invadono la nostra vita. Ad aiutarci, con ironia e leggerezza, a capire il fenomeno è Gastromania, il nuovo saggio di Gianfranco Marrone, docente di semiotica all’Università di Palermo (Bompiani, pagine 204, 14 euro).
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Professor Marrone, questo insieme di riti e miti legati al cibo ha in Italia un punto di partenza? «Sì, direi che ha inizio all’incirca a metà degli Anni 80, quando la cultura di sinistra sdogana il tema del cibo: nascono riviste come La Gola o il Gambero Rosso e movimenti come Slow Food. Il cibo da Platone in poi è stato ritenuto secondario. E la modernità l’aveva relegato in soffitta negando ciò che gli sta intorno: i risvolti etici, sociali e religiosi». Come si può interpretare questa rivalutazione a volte parossistica che passa attraverso i media? «Cerco di sottolinearne l’ambivalenza. Non mi colloco né con gli apocalittici alla Petrini che arrivano a parlare di pornografia per l’eccesso di trasmissioni tv sul cibo, né con gli integrati, ossia con chi approva acriticamente il fenomeno. Da un lato, come in tutte le mode, ci sono aspetti talora ridicoli. Dall’altro, il parlare del cibo è anche un parlare di quegli aspetti che come dicevo prima la modernità aveva “congelato”». Nella Gastromania si può individuare una sorta di mistica della nonna e dei suoi cibi. Cosa rappresenta? «Oggi anche grandi chef come Bottura dichiarano di rifarsi alla lezione della nonna. Anche in questa esaltazione della cucina della nonna io vedo un’ambivalenza. È negativa se si risolve in un rincorrere il passato tout-court, è positiva se è manifestazione di quella che il filosofo Vladimir Jankélévitch chiama “nostalgia del futuro”. Ossia un’emozione che ci permette di ritrovare il passato per migliorarci e guardare avanti. Un esempio è nel film Ratatouille. Grazie al ricordo di un cibo dell’infanzia, quando certo non era un bambino felice, il critico Anton Ego cambia il suo modo di vivere». Due altre ossessioni sono il cibo biologico o naturale e quello a km0. Lei a proposito conia il termine di «ingenuinità». Cosa significa? «L’ingenuinità è l’ingenuità di chi, a volte in modo sincero e per questo in parte ammirevole, va alla ricerca della genuinità. Mi è capitato di rivedere in tv il programma Anni 50 di Mario Soldati In viaggio nella Valle del Po alla ricerca dei cibi genuini. La sua esaltazione del vino del contadino ne fa un antesignano di tale atteggiamento. Che è comprensibile e condivisibile se dietro la ricerca del naturale e del km0 c’è una difesa della biodiversità nei confronti della globalizzazione e dell’omologazione che questa comporta, ma che è ridicola quando diventa un’ideologia totalizzante. Chi diventa talebano del km0 dimentica che ci possono essere prodotti eccellenti fuori del proprio territorio e prodotti pessimi col-
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tivati sotto casa. E soprattutto che la cucina, come la cultura, da sempre è sinonimo di ibridazione e che non ha senso rinchiudersi nel proprio orticello». Lei paragona lo chef che si aggira tra i tavoli del proprio ristorante al politico che «sta tra le gente». Perché? «Mi sembra che si possa tracciare un parallelismo tra le due figure. Un tempo cucina e sala erano separate. Nella prima regnava lo chef, nella seconda il maître. Oggi il primo ha invaso il campo del secondo. Lo chef prima scende tra la gente, poi addirittura “va in città”, nel senso che lo si interpella anche su temi come l’economia o la religione. È la stessa parabola dei politici. Prima vivevano nei luoghi del potere, poi è nata la mistica del politico “uno di noi”, per finire al paradosso del politico antipolitico». Nell’ultimo capitolo lei chiede una moratoria sullo street food. Che cosa non sopporta del cibo di strada? «Mi dà fastidio l’eccesso. È come se solo il kebab o le bombette fossero degne di essere mangiati. Dietro ci vedo un’espressione di machismo, l’uomo che va all’avventura gastronomica. Ma anche e soprattutto l’assenza della tavola, ossia della convivialità. Credo che invece si tratti di riscoprire l’importanza della tavola come luogo di scambio sociale e culturale. Per questo chiedo una moratoria sullo street food, un tempo per rifletterci sopra. Vorrei anche far capire che la Gastromania è il contrario della Grande Bouffe, si parla tanto di cibo ma lo si fa per vivere e non, come nel film di Ferreri, per morire». (La Stampa)
Il mondo visto con gli occhi di Malala Ida Bozzi l mondo visto con gli occhi di Malala è un posto bellissimo, con i fuochi delle cucine dei villaggi lontani nella valle, le lampade a petrolio che si accendono la sera, e il tetto piatto su cui sedersi a guardare le stelle a Mingora, la città in cui la più giovane Premio Nobel per la Pace è nata nel 1997, nella regione dello Swat in Pakistan. Poco distante c' è la scuola, da cui è stato cancellato il nome, ma che è il luogo dove si legge, e si impara, e si sogna; e sullo sfondo si vede l' altissima vetta del monte Elum con le sue nevi perenni, dove si spinse perfino Alessandro Magno - è la stessa Malala a raccontarlo - cercando di afferrare Giove. Ecco forse perché il 9 ottobre 2012 fu proprio ai suoi occhi, agli occhi di Malala, che i talebani mirarono, con tre colpi di arma da fuoco che ferirono, oltre lei, altre due ragazzine che viaggiavano sul pullman della scuola, di ritorno a casa. Si apre così, con l' eccitazione di una nidiata di studentesse che tornano da scuola e con l' orrore degli spari improvvisi, un libro che è pieno di poesia anche se racconta di persecuzioni, di oppressione, di sangue, di un attentato contro una ragazzina di (allora) appena quindici anni che oggi ne ha diciassette. La poesia è nella voce, che orgogliosa e pacata, senza un solo fremito di paura e senza traccia di rabbia, racconta che cosa significa combattere la più pacifica delle battaglie in un mondo di guerre e violenza. Dove ai bambini rifugiati nei campi profughi, quando suo padre era bambino, si insegnava l' aritmetica con problemi come questo: «Quanto fa 15 pallottole meno 10 pallottole?». Il libro «Io sono Malala», pubblicato da Garzanti nel 2013 e già un successo prima del Premio Nobel, è un testo in cui leggere, studiare, andare a scuola e pensare con la propria testa (e pure sognare un po'), insegnano a vedere entrambe le cose, il bene e il male, e a distinguerle, e a raccontarle: il bene, cioè le stelle sopra il mondo, i sogni dei ragazzini, il progetto di diventare uomini politici o scrittori o quello che si vuole; e il male, cioè il divieto di studiare, i morti e il sangue sulla strada di casa, la minaccia e la violenza dietro l' uscio. Proprio quella cultura, quell' andare a scuola, quel leggere, rende Malala capace di narrare così bene, in modo tenero ma preciso, la storia della regione in cui vive, la storia di una famiglia pashtun , l' amore di mamma e papà che non si sono sposati per un matrimonio combinato, la vita con i genitori illuminati (anche se la mamma non sa leggere); ma anche l' ignoranza di molti, come quei parenti che entrano in casa sfoderando un albero genealogico che riporta soltanto i nomi dei maschi. Malala racconta questo e va oltre, racconta la presa del potere dei talebani, parla di governi, di Cia, di russi, di potenze mondiali, e poi i profughi, i campi sterminati di migranti, le strade sbarrate, i posti di blocco, come può vederle una bambina che vorrebbe solo andare a scuola. E ci va. Anche fingendo di essere più piccola di quel che è (le scuole femminili erano state riaperte all' inizio del 2009, ma solo per le bambine sotto i dieci anni), raccontando tutto nel diario che un amico di famiglia le ha chiesto di tenere sul blog della BBC. Così conosciamo il suo pseudonimo online, «Gul Makai», apprendiamo come la ragazzina diventi un personaggio pubblico, intervistata dai giornali e dalle televisioni di tutto il mondo, e come le minacce che fino ad allora arrivavano a suo padre, poi tocchino
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a lei, poco più che bambina. Leggiamo che cosa vuol dire aver paura di uscire di casa; ma uscire lo stesso. Fino a quel 9 ottobre 2012, quando la preoccupazione delle scolare sull' autobus, reduci da una mattinata di esami, non è certo quella di trovarsi faccia a faccia con un terrorista che ha un' arma spianata, e che chiede: «Chi è Malala». E spara. Ma lei ancora riesce a scherzare, ricordando che la nonna lo diceva sempre: «Sembra Benazir Bhutto, speriamo che non muoia così giovane», esclamava, vedendola in televisione a portare avanti la sua battaglia in favore dell' istruzione. E Malala incanterà il pubblico, anni dopo il tremendo attentato (e il ricovero, le operazioni all' orbita perforata dal proiettile, e la convalescenza), proprio pronunciando un accorato discorso alle Nazioni Unite, a New York, nel 2013, a sedici anni, portando addosso lo scialle che era appartenuto alla Bhutto. Insegna anche un' altra cosa, questo libro. Insegna una pace vera, al di là di tutte le posizioni. Il nonno, racconta Malala, era stato colui che aveva tramandato nella famiglia «un profondo amore per l' apprendimento e per la conoscenza, insieme a un' acuta consapevolezza dei diritti e delle discriminazioni», spiega la ragazza, un amore per la cultura che attraverso le generazioni, dal padre insegnante, è passato alla ragazza. E il nonno era un imam, profondamente religioso come tutti gli Yousafzai. Quell' islam, che convive in armonia con le altre religioni come ad esempio il buddhismo, è l' altro sogno bellissimo del racconto di Malala. E quando le scuole vengono chiuse dai talebani, è proprio in nome dell' islam che Malala si solleva: «Il Corano dice che dovremmo ricercare la conoscenza», scrive. E aggiunge che in quella terra sono tante le statue di Buddha, bellissime come può trovarle una bambina con gli occhi grandi, che non vede motivo di abbatterle. C' è una poesia che recita: «Quando la voce della verità risuona dai minareti / il Buddha sorride, e le catene spezzate della storia si riannodano»: l' ha scritta il suo baba , il papà di Malala, e insegna la pace. E come spiega lei stessa, soltanto perché è andata a scuola ora può leggerla. (Corriere della Sera)
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Bjorn Larsson, ''Bisogna leggere tanto per diventare dei bravi scrittori'' ventano ogni genere di pretesto per non scrivere… manca il tempo, ci sono i bimbi, il lavoro, c’è bisogno di solitudine, etc. Ma scrivere - la letteratura – non è un passatempo, qualcosa che si fa quando non ci sono cose più importanti da fare. È – o dovrebbe essere – qualcosa di altrettanto necessario come l’amore o l’amicizia o la libertà. Nel suo libro racconta il percorso che si fa per scrivere un libro, gli ostacoli che bisogna superare, gli studi che bisogna fare. Ma non racconta del risultato, perché quello è un giudizio che deve rimanere in mano ai lettori. Dopo anni da scrittore, qual è il suo rapporto con i lettori? Cosa ha imparato da loro? E’ capitato che il loro giudizio l’abbiano bloccato nel suo lavoro? Al contrario, i miei lettori che mi scrivono e con i quali scambio a volte qualche parola sono un vero incoraggiamento per continuare a lottare per scrivere un libro che possa contare almeno un po' nella vita della gente. Ho avuto testimonianze di lettori chi mi hanno raccontato che un mio libro li ha aiutati a scegliere una vita o a cambiare di direzione. Non c’è complimento migliore per uno scrittore. Detto questo, non è possibile scrivere eggere tanto, essere curiosi della vita, fare esperienze, gio-
un libro pensando a un genere specifico di lettore. Ogni libro
care con la realtà. Questi sono solo alcuni dei segreti per di-
ha forse il suo lettore ideale, pero non si sa chi sia prima di pub-
ventare scrittori. O meglio, queste sono alcune delle
blicare il libro e se sarà letto da lui o da lei. In parte, è questa
L
esperienze che Bjorn Larsson ha fatto prima di diventare autore di
l’avventura della letteratura: è imprevedibile e deve esserlo.
successo. Nel suo ultimo libro, “Diario di bordo” Larsson si racconta ai suoi lettori, parlando degli ostacoli che ha dovuto affron-
Questo suo ultimo libro è un omaggio all’Italia e, proprio
tare per diventare l’autore che oggi tutti conosciamo e svela i
qui in Italia, lei è molto conosciuto per “Il cerchio celtico”.
retroscena dei suoi romanzi più famosi. Ecco cosa ci ha raccon-
Rumors vogliono che lei sia pronto con una nuova trilogia
tato Bjorn Larsson in questa intervista.
che approfondisce ancora meglio la sua conoscenza del mondo celtico. Ci dia questa bella notizia. E’ vero? E se si,
''Diario di bordo'', oltre ad essere il suo ultimo libro, è anche
quanto dobbiamo aspettare?
un’ancora di salvezza per tutti quelli che vogliono diventare
Ho in cantiere molte idee di romanzi diversi; fra queste, uno che
degli scrittori. Insomma, in qualche modo ce la si fa?
parlerà dei Celti storici e sopratutto del perché loro abbiano
Per prima cosa, uno non deve sognare di « diventare scrittore » –
scelto di non adottare la scrittura per trasmettere le cose im-
come ho fatto io da giovane – ma deve piuttosto chiedersi se ha
portanti della loro cultura; scelta che in un certo senso è uno
qualcosa di importante, di bello e di urgente da raccontare agli
schiaffo per uno scrittore. Ho fatto molte ricerche e ho scritto,
altri. Esistono già tanti buoni libri su tutti i temi possibili e pensa-
come prova, alcune pagine. Ma non so se un giorno mi butterò
bili, il che rende veramente presuntuoso pretendere di scriverne
sul serio in questo progetto, ancor meno se sarà una trilogia. È
un’altro di valore. Non c’è alcun bisogno di un altro libro fra i cen-
vero che sono personalmente affascinato dai Celti e dalla loro
tinaia di migliaia di altri se non apporta qualcosa di nuovo ai lettori.
storia, però non è sufficiente per fare un romanzo. Bisogna tro-
Un futuro scrittore deve dunque leggere molto, da una parte per
vare un tema esistenziale più profondo che attraversi i tempi e
non reinventare la ruota, dall’altra per imparare il mestiere. Tutti i
i popoli. E questo non l’ho ancora trovato.
grandi scrittori che conosco sono stati e sono grandi lettori. L'altra esigenza di coloro che sognano sul serio di fare gli scrittori è sem-
In “Diario di Bordo” racconta che il suo approccio al
plicemente di… scrivere. Ho conosciuto molte persone chi si in-
mondo dei libri è avvenuto in tenera età. Prima ancora di
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“Diario di bordo di uno scrittore” Segreti e ostacoli per diventare un autore scrivere, lei ha letto molto e in molte lingue diverse. Insomma, non è decisamente uno scrittore improvvisato. Ma, secondo lei, che rapporto c’è oggi tra i giovani e il mondo dei libri? Cosa bisognerebbe fare per spingerli a leggere di più? È allo stesso tempo molto semplice e molto difficile. E' sufficiente che noi scrittori scriviamo libri e storie che piacciano loro. Basta che i professori a scuola e i genitori a casa trovino libri buoni per i giovani, non i libri che loro devono leggere perché gli adulti hanno deciso che fanno parte di un certo bagaglio culturale. Far leggere – e studiare – Dante a un ragazzo di quattordici anni - ne conosco uno - che non ha ancora letto un romanzo intero, neanche Harry Potter o L’isola del tesoro, non ha nessun senso. Innanzitutto non ha l’età o l’esperienza per capire la bellezza e la profondità di Dante. Inoltre, non sa come fare a incorporare Dante nella sua vita di ogni giorno, che è fatta di calcio e amici. La lettura, in questa maniera, diventa soltanto un obbligo, non un piacere, un compito di scuola e non una scoperta personale. Ha spesso dichiarato che “La letteratura serve a dare un’alternativa alla vita grigia di ogni giorno”, la finzione è un elemento fondamentale nei suoi romanzi (anche un po’ pericolosa, come quando nel libro racconta l’equivoco con la vita del gigolò). In questo suo ultimo libro, quindi, è stato del
Proust. Si chiama mettersi negli panni degli altri. Da dove viene
tutto sincero o c’è anche una parte narrativa per catturare noi
l’ispirazione non conta, dalla propria vita, dalla vita degli altri, di
lettori? Non ha avuto paura di mettersi a nudo?
altri libri, di letteratura o documentari; conta soltanto che la sto-
Nessuna paura, per la semplice ragione che non mi sono messo
ria raccontata sia convincente, verosimile e possibile in questo
a nudo neanche minimamente in questo libro. Sebbene quasi tutta
mondo. Però penso che sia molto importante non imbrogliare
la mia vita sia girata intorno alla letteratura, non sono soltanto uno
il lettore. Se uno scrive un libro sulla realtà, e cioè sulle cose
scrittore. Neanche nei libri Saggezza del mare o Bisogno di libertà,
che sono veramente successe, non ha il diritto di mentire o di
che sono autobiografici, ho raccontato tutto della mia vita. C’è
fare finta. In un romanzo, invece, lo scrittore ha tutte le libertà
spesso un malinteso sul rapporto fra lo scrittore e i suoi libri.
possibili e anche impossibili. È proprio questa la peculiarità
Quando sono scrittore, sono soltanto una parte di me stesso, e
della letteratura, a differenza di altri testi e discorsi.
spesso neanche me stesso, come ha sottolineato molto bene
(libreriamo.it)
Per gli alberi e per l'umanità. Con Legambiente nel Guinness dei primati o scrittore José Saramago scriveva: " ..... mio nonno, prima di morire, scese nell' orto e abbracciò i suoi alberi". Abbracciare un albero è un gesto importante, ripetuto da milioni di persone, quotidianamente, in tutto il mondo. Abbracciare un albero è un gesto che può fare davvero la differenza. Per questo, in occasione della ventesima edizione della Festa dell'Albero, Legambiente organizzerà una mobilitazione nazionale, che porterà migliaia di italiani ad un abbraccio simultaneo, rivolto ai propri alberi. Un gesto semplice che permetterà di ricordare l'immenso valore del nostro "tesoro verde". L'abbraccio sarà il mezzo attraverso il quale vogliamo, ancora una volta, ricordare l'importante ruolo svolto dagli alberi sul nostro territorio, nei boschi così come in città; gli alberi come veri e propri
L
presidi contro il consumo di suolo, il rischio idrogeologico; senza dimenticare l'importante funzione sociale svolta in ambito urbano. Per far questo, sarà necessario un grande impegno e l'aiuto di tutti. Insieme difenderemo il nostro patrimonio arboreo nelle città, nei boschi e nelle campagne tentando, tra l'altro, di battere l'attuale Guinness World Record di abbracci agli alberi, con un grande "flash mob": un abbraccio simultaneo in contemporanea, in Italia e all'estero, venerdì 21 alle ore 12.00 Un piccolo gesto che può fare la differenza. Per tutte le info potete scrivere a campagne@legambiente.it Nelle prossime settimane tutte le info e gli appuntamenti su www.legambiente.it
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Berengo Gardin ed Erwitt, due maestri di foto 'Testimoni della nostra epoca”, mostra a Roma dazione Forma per la Fotografia. «L'ho sempre ammirato e siamo amici da anni, e poi è a lui che devo la mia evoluzione come fotografo», spiega, ricordando quando, negli anni '50 a Milano, rimase folgorato dall'esposizione di Erwitt The Family of Man. A colpirlo in particolare una fotografia, scattata a New York nel 1953, «che ritraeva sul letto la sua prima moglie, la figlia e il gatto: era un genere totalmente nuovo, così lontano dallo stile retorico a cui ci aveva abituato il fascismo. Io ero ancora un fotoamatore, per me fu un cambiamento totale nel modo di vedere le cose», racconta. Dalle immagini storiche degli anni '50 fino ai lavori più recenti il reportage sulla Scozia per Erwitt e quello sulle grandi navi in transito a Venezia per Berengo Gardin - la mostra evidenzia il dialogo mai interrotto tra i due fotografi, sia sul piano umano sia su quello professionale. «Forse lui ha un approccio più ironico, io più da fotoreporter, ma la verità è che quello che ci unisce davvero è l'interesse per l'umanità», spiega Berengo Gardin. Una passione per l'uomo che resta viva e inalterata negli anni per entrambi, nonostante le naturali differenze, con il fotografo americano più concentrato sulla realtà internazionale – si veda la serie di ritratti storici, da Jacqueline Kennedy al funerale del marito nel 1963 all'incontro tra Krusciov e Nixon a Mosca nel 1959, da Che Guevara a Grace Kelly a Marilyn Monroe - e con l'autore italiano focalizzato sul nostro Paese (dal reportage sull'istituto psichiatrico di Parma nel 1968 a quello sul campo nomadi di Palermo nel 1997). In questo percorso incrociato di stili, la mostra trova il principale legame tra i due autori nell'approccio analogico al mezzo on basta osservare, serve partecipare: solo così, prima
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con lo sguardo, poi con la macchina fotografica, si può cogliere ciò che il destino ti offre come un regalo. È pro-
prio su questo terreno che si incontrano due tra i più importanti fotografi contemporanei, maestri dell'osservazione partecipata, Gianni Berengo Gardin ed Elliott Erwitt. Il loro lavoro è messo a confronto per la prima volta nella mostra «Gianni Berengo Gardin - Elliott Erwitt. Un'amicizia ai sali d'argento. Fotografie 1950-
fotografico (i sali d'argento, come recita il sottotitolo). Il bianco e nero, prediletto da entrambi, la pellicola e l'immancabile Leica, così come il tempo trascorso nella camera oscura tempo necessario per riflettere sul lavoro svolto, ma anche per prenderne la giusta distanza - rappresentano i cardini della loro carriera, così come dell'amicizia che li unisce. «Il colore distrae dal contenuto e il digitale cambia la mentalità», spiega ancora Berengo Gardin, «oggi i fotografi non pensano più a cosa ritraggono, poi taroccano le foto con photoshop, che io proibirei
2014», a cura di Alessandra Mauro, allestita a Roma, all'Audito-
per legge».
rium Expo, dal 14 ottobre al 2 novembre 2014 e dal 18 novembre
Il rispetto della tradizione si traduce per entrambi nella capa-
2014 al 1 febbraio 2015.
cità di restituire attraverso ogni scatto l'essenza delle cose, per-
«Non sono un artista, sono un fotografo che documenta la sua
chè solo rivelare l'essenza permette alla fotografia di diventare
epoca. A Elliott mi accomuna questo, abbiamo la stessa conce-
eloquente e di provocare empatia in chi guarda. «La pellicola
zione della fotografia», dichiara all'ANSA Gianni Berengo Gardin,
non è morta, anzi è vivissima», dice ancora mostrando la Leica
questa mattina all'anteprima della mostra, organizzata della Fon-
che porta sempre con sè, «checchè ne dicanoi fabbricanti del
dazione Musica per Roma in collaborazione con Contrasto e Fon-
digitale».
40 20ottobre2014 asud’europa
Agli “Uffizi” le foto delle donne del digiuno Mostra fotografica di Francesco Francaviglia i chiama 'Le donne del digiuno contro la mafia’ ed è una mostra fotografica dedicata a quelle siciliane coraggiose che, nell'estate del 1992, dopo le stragi di Capaci e via D'Amelio in cui persero la vita Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, dettero vita alla forma di protesta. L'esposizione si è aperta martedì 14 ottobre a Firenze, nell'aula di San Pier Scheraggio della Galleria degli Uffizi, che nel '93 fu danneggiata dall'autobomba fatta esplodere da Cosa nostra in via dei Georgofili. In mostra, fino al 9 novembre, 31 ritratti realizzati dal fotografo Francesco Francaviglia, accompagnati da un audioproject a firma di Giuditta Perriera in cui ritornano le voci di quel drammatico momento storico: frammenti di telegiornali, interviste a Falcone e Borsellino, testimonianze di quei pentiti che azionarono i radiocomandi degli esplosivi. Alcuni dei volti femminili in mostra sono di persone note: Pina Maisano Grassi, moglie di Libero, l'imprenditore ucciso per essersi ribellato al pizzo; Simona Mafai, storica capogruppo comunale del Pci; la fotografa Letizia Battaglia; l'ex sindaco di San Giuseppe Jato, Maria Maniscalco; Michela Buscemi, conosciuta per essersi costituita parte civile al maxiprocesso del 1985 dopo l'assassinio dei suoi due fratelli; Luisa Morgantini, ex vice presidente del Parlamento Europeo e la cantante Giovanna Marini, giunte da Roma per partecipare all'iniziativa delle palermitane. Altre sono effigi di donne che hanno continuato la loro resistenza nella classe di una scuola, in un ufficio della Regione, in un quartiere difficile come quello dello Zen: Bice Salatiello, Virginia Dessy, Anna Puglisi.
S
Prodotta dall'assessorato alla cultura del Comune di Palermo e realizzata con il sostegno di Unicoop Firenze e Civita Opera Laboratori Fiorentini, la mostra è stata presentata oggi a Firenze: All'incontro hanno preso parte, tra gli altri, il direttore della Galleria degli Uffizi Antonio Natali e il sindaco di Palermo Leoluca Orlando, oltre ad alcune delle donne che digiunarono nel 1992, venute a Firenze a portare la loro testimonianza. «Sono volti che è bello rivedere sguardi che sfidano il silenzio e la paura». Queste le parole del presidente del Senato Pietro Grasso contenute nel libro-catalogo realizzato per la mostra fotografica di Francesco Francaviglia 'Le donne del digiuno contro la mafia”. «Solo chi sente nella sua coscienza di aver fatto tutto ciò che gli era possibile per infrangere il silenzio e l'omertà - afferma ancora Grasso nel suo contributo al catalogo -, solo chi sente di aver dato il proprio contributo, piccolo o grande che sia, per la ricerca della verità e della giustizia, per l'educazione alla responsabilità delle nuove generazioni, per la diffusione della legalità come cultura condivisa, potrà guardare queste foto senza dover abbassare lo sguardo». Nel volume anche i contributi del sindaco di Palermo Leoluca Orlando e del magistrato della Procura nazionale antimafia Franca Imbergamo: «Rivedere oggi quei volti nelle foto di Francesco Francaviglia - queste le parole di Imbergamo -, significa misurare tutto il dolore e l'orrore di quanto è accaduto e tutto l'immane vuoto di verità che, ancora oggi, nonostante tutto, avvolge le stragi...Una scia di sangue che non si interrompe nell'estate siciliana del 1992 e sale lungo la penisola, nei luoghi simbolo della vita della nazione per seminare il terrore».
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Un musical racconta gli ultimi anni del beato Padre Pino Puglisi Filippo Passantino ndrà in scena il giorno in cui nel calendario liturgico si ricorda il beato padre Pino Puglisi: il 21 ottobre. Il palco del Teatro Savio ospiterà, alle 21, il musical dal titolo “Padre Pino, una vita per gli altri”. Protagonisti saranno 50 giovani, tra i 16 e i 30 anni, dell’associazione Apriti Cielo di Alcamo, che da dieci anni sono impegnati anche in animazioni liturgiche e in attività di evangelizzazione rivolte ai ragazzi. Con musiche e parole racconteranno gli ultimi tre anni di vita del sacerdote ucciso dalla mafia e, in particolare, il suo impegno a Brancaccio. Tra le scene principali del musical, il dialogo tra il sacerdote e Gaspare Spatuzza, uno dei suoi assassini; un momento nel quale emerge la differenza tra il credo professato dal primo martire ucciso dalla mafia e quello del suo killer. Durante l’incontro le parole si accavallano, ma sono differenti i “padri” ai quali si rivolgono. Così l’incipit del “Padre nostro” recitato da padre Puglisi, viene sovrastato dalle formule di Spatuzza. Se il primo dice: “Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome. Venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà”; il secondo manifesta la sua personalissima venerazione per un “parrinu” che è un “omu d’unuri e di valuti”, che ha un solo obiettivo: “lu to nomi l’ha fari arrispittari”. Un momento di particolare suspense di cui i giovani attori conoscono il significato: “E’ un confronto durante il quale è possibile riconoscere il senso dell’opera di padre Puglisi, cioè di non agire contro qualcosa o qualcuno ma di manifestare la fedeltà al messaggio di Cristo che ha professato negli anni del suo ministero sacerdotale a Brancaccio – spiegano alcuni dei giovani che saliranno sul palco -. E’ anche, però, un momento dal quale emergono le due posizioni diverse e inconciliabili manifestate da entrambi”. All’evento, promosso dall’associazione culturale Polizia Municipale e dalla Cosmo Cinematografica, assisteranno anche i familiari del beato. ù “La bellezza di padre Puglisi è da ricercare nella concretezza delle sue azioni - spiega il presidente dell’associazione culturale Polizia Municipale di Palermo, Sergio Quartana -. E questo vuole essere il messaggio dello spettacolo: ciascuno deve concretizzare l’insegnamento del sacerdote ucciso dalla mafia”. Lo spettacolo sarà un’occasione per promuovere anche un’altra iniziativa, come
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quella di un fumetto su padre Puglisi, realizzato pochi giorni prima della cerimonia di beatificazione, il 25 maggio 2013, da Emanuele Alotta e dall’associazione culturale della Polizia Municipale per fare conoscere nelle scuole l’opera del sacerdote. E, infatti, negli ultimi mesi è stato presentato in numerose classi di istituti palermitani di vari ordini e gradi, oltre che nelle parrocchie. Ma il ricavato del musical sarà impiegato per un altro progetto: un film-documentario sulla vita di don Pino. S’intitola “L’ultimo sorriso”. A curarne la regia è Rosalinda Ferrante. Sarà realizzato grazie a una serie di interviste a chi lo ha conosciuto che verranno impiegate come testimonianze per delineare la figura dell’ex parroco di Brancaccio. Ma quello prodotto da Cosmo Cinematografica sarà un film a tutti gli effetti. Alcuni attori rappresenteranno sul set la vita di padre Puglisi e parteciperanno alle riprese anche alcuni pronipoti del sacerdote; dal momento della sua morte, invece, saranno le immagini di repertorio a raccontare gli eventi. L’obiettivo è mostrare i vari aspetti della sua opera.
Intanto i ladri mettono a soqquadro il Centro Padre Nostro essa a soqquadro la stanza del presidente del Centro di
«Questa volta chi è entrato sapeva dove andare - aggiunge -.
accoglienza Padre Nostro - fondato dal Beato Giuseppe
Per cambiare questo quartiere e la mentalità che lo sovrasta, bi-
Puglisi nel quartiere palermitano di Brancaccio - e por-
sogna fare un lavoro di rete e sinergico con le istituzioni. Ab-
tato via il piccolo fondo cassa per le spese correnti custodito in un
biamo 'trattative sane’ aperte con la prefettura, con il sindaco,
cassetto.
con alcuni dipartimenti della Regione e con il governo nazio-
«Questa crescita esponenziale di atti intimidatori - dice il presi-
nale per cambiare questa terra di mafia”.
dente Maurizio Artale - faccia riflettere un pò tutti. L'opera del Cen-
“Ma ad oggi - continua Artale - si temporeggia, ma appena ci
tro è e rimarrà sempre scomoda alla mafia, ai balordi, agli
scappa il morto ci si penserà. Semmai questo dovesse acca-
ex-detenuti e ai detenuti in esecuzione penale che vogliono pren-
dere, date alle fiamme ciò che resta, tanto questa terra non di-
dere punti e accreditarsi davanti ai capibastone del quartiere».
venterà mai bellissima».
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La verità non esiste. Ma è bella Le foto di Mimmo Jodice svelano l’antico Arturo Carlo Quintavalle lcune foto di Mimmo Jodice degli inizi del 1970, che volevano rendere l’ambiguità del reale, sono importanti per capire una mostra intensa, affascinante, misteriosa, da scoprire con sguardo lento. In una di esse c’era una parete tagliata dall’ombra ma proprio l’ombra nasconde una crepa e lo scarto della prospettiva di una Napoli vista per frammenti. E poi, scattata appena più tardi, ecco una colonna scanalata: ma, se vedi meglio, è una vuota lamiera metallica arrotolata. Quelle immagini «concettuali» di Mimmo Jodice ci dicevano che il vero non esiste: come in un’altra fotografia con la lama che taglia il foglio, ma il foglio è davvero tagliato. Magritte infatti scriveva «questa non è una pipa» proprio sotto il disegno della pipa. Le fotografie esposte a Modena, capitoli di una grande ricerca durata decenni sulle rive del Mediterraneo, prima greco e poi romano, sono documenti dell’antico oppure sono altro? Jodice è il grande fotografo italiano forse più amato ed esposto nel mondo, eppure il fascino delle sue immagini non nasce soltanto dalla capacità di scoprire nell’antico una dimensione diversa dei luoghi, delle rovine, dei frammenti, ma dalla sensibilità di far rivivere quegli spazi attraverso un linguaggio che si stratifica dentro di te perché, se sai guardare, ogni singola foto è stata costruita secondo una difficile strategia. Una strategia che a volte, a qualche amico, Jodice spiega, almeno a grandi linee. La foto di partenza è un negativo analogico, Jodice riprende e stampa ogni foto col metodo tradizionale, anche se è sempre più difficile trovare negativi e carte, e stampa sempre lui, naturalmente in bianco e nero. Jodice dunque ha scattato migliaia di negativi, fra questi ha scelto forse un migliaio di immagini del mondo antico riprese attorno al bacino del Mediterraneo, da Leptis Magna a Petra, da Baalbek a Ercolano, ma anche nei grandi musei degli Usa e di altri Paesi occidentali. Di ogni immagine devi scoprire la novità dell’invenzione nella fase di stampa. Così, per capire, prendiamo una foto di architettura, il Tempio della Concordia, Agrigento: la parte superiore con le colonne dell’edificio viene stampata a fuoco e per prima su un foglio di media grandezza, diciamo 70×50, ma la parte bassa del foglio, quella con il terreno, viene mascherata; poi il fotografo muove proprio quella parte, rende così le rocce incerte, le trasforma in un percorso per giungere a quellecolonne, rendendo fluido lo spazio, dilatato il tempo. Proprio il confronto fra le due parti, le colonne definite e il terreno sfatto, evoca le ricerche giovanili da cui sono partito. Provate a immaginare questa scrittura fotografica applicata ai volti delle sculture e ne scoprirete il mistero. I volti — che in mostra dominano sulle architetture e gli spazi, pur sublimi, del paesaggio — sono stati scelti quasi sempre perché corrosi, spezzati, mancanti di una parte: in diversi casi i volti sono scomparsi del tutto, eppure «parlano» e si «muovono », come fanno del resto anche i volti rimasti integri, così quello dell’Auriga, Atene, dov’è messo a fuoco lo smalto degli occhi chiarissimi. Scoprire il luogo dove è fissato il fuoco è un necessario punto di partenza: così sono ben definiti gli occhi del Volto da Baia mentre il resto, appena mosso, sembra pelle vivente. Amazzone, Ercolano
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propone occhi sottilmente dipinti e perfettamente a fuoco come le prime onde dei capelli morbidi, densi, come vivi; sotto manca il naso, la bocca, una rottura immane che non percepisci: magia. Il volto di Atena, Napoli è integro, ma Jodice lo sfuoca appena, lo muove, il trapasso dei neri e dei grigi modella le carni, in alto la celata dell’elmo sbiancato di luce è un altro volto che duplica quello sotto. Impressionano poi due immagini: Roman Boy di Washington, dove la figura è come un’apparizione, scrostata, martoriata dal tempo ma intensa, presente; Il compagno di Ulisse, Baia è un rudere, una roccia con dei neri, profondi buchi, il volto reale è scomparso, resta una spugna di pietra, trafitta da mille corrosioni, eppure proprio qui leggi un volto, lo leggi perché assente. A Sperlonga, in riva al mare, riscopri l’ambiguità del paesaggio: a sinistra una rovina romana, come una tartaruga di calce e sassi che fissa una lontana, piccola roccia scura sotto un cielo di nuvole grigie; sotto tutto è a fuoco, sopra un mosso, incerto cielo grigio con al centro il sole. Dice Jodice al curatore Filippo Maggia: «Il viaggio lungo le coste del Mediterraneo è stato un viaggio alla ricerca della memoria, un viaggio nel tempo, dove ho incontrato persone e non semplici statue, dove i luoghi non sono rovine ma città dove continua la vita». E aggiunge: «Il silenzio è importante». Una mostra dunque da leggere in silenzio. Gli antichi volti ci guardano: sono il rimosso delle nostre memorie. (La lettura/ Corriere della Sera)
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A Palermo la “Settimana della musica” Ai Cantieri della Zisa eventi e concerti
a già regalato le prime emozioni con il concerto inaugurale, tenuto ieri sera a Palazzo Alliata di Villafranca, a piazza Bologni, nel quale la famiglia Faja ha dato il meglio di se (Roberta si è esibita insieme all’Ensemble Cordes et Vent; Monica Faja ha diretto il Coro “Pecoraro” e l’Aeolian Vocal Ensemble, quest’ultimo nella prima uscita pubblica della neonata associazione musicale culturale “Aeolian”; Flora ha fatto sognare insieme a Diego Spitaleri), la “Settimana della musica a Palermo”, che l’ARS NOVA proporrà alla città sino a sabato 25 ottobre. Sette giorni da trascorrere tra Palazzo Alliata e i Cantieri Culturali alla Zisa, luogo quest’ultimo nel quale si svolgerà la maggior parte degli eventi, per vivere un susseguirsi di concerti che, attraverso vari linguaggi e generi musicali (musica da camera, sperimentale, lirica e jazz), vedrà sul palco l’alternanza di solisti ed ensemble di prestigio, pronti a offrire performance piene di emozioni. Numerose le proposte, dai laboratori di pratica musicale alle esposizioni documentarie, dagli incontri con gli artisti ai concerti delle scuole di musica, ma anche molto altro. Il tutto avverrà tra attività aperte a tutti nelle botteghe (mostra documentaria, installazione multimediale, incontri-dibattiti, laboratori e seminari) e attività riservate ai sostenitori del programma di raccolta fondi “Promuovo la cultura musicale a Palermo” che, attraverso il versamento della quota di 15 euro, potranno assistere ai 7 concerti in programma. L’altro concerto in programma a Palazzo Alliata sarà quello odierno, introdotto da Piero Violante e Maurizio Orefice. A rendere magica
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l’atmosfera saranno il flauto di Maurizio Orefice e il pianoforte di Massimo Bentivegna, accompagnati anche dall’esibizione di un quartetto d’archi. Gli altri cinque concerti si terranno ogni giorno alle 21, nella Sala Perriera dei Cantieri Culturali alla Zisa, e a esibirsi saranno: Domenico Sciajno Vertex e Gianni Gebbia Panopticon; La Bottega delle Percussioni; il Coro Meli; l’Open Jazz Vocal Lab; il Quartetto Fiesole e l’Ensemble Bellini; i gruppi di giovanissimi in rappresentanza dell’ISSM “A.Toscanini” e del Conservatorio “V. Bellini” di Palermo. In programma anche un concerto di opera lirica, alle 21 di giovedì 23, in collaborazione con la Fondazione “Teatro Massimo” e l’associazione “Solisti di Operalaboratorio”. Come dicevamo, per assistere ai concerti, bisogna aderire al programma di raccolta fondi che, attraverso il versamento 15 euro, consentirà di assistere agli spettacoli. Considerato il fatto che i posti sia a Palazzo Alliata sia ai Cantieri Culturali sono limitati, sarà importante prenotare, chiamando tutti i giorni dalle 10 alle 13 e dalle 17 alle 21 il cell. 347.1225266. I luoghi in cui sarà possibile ritirare la specifica card, oltre gli stessi Cantieri, sono: Ars Nova, viale Regione Siciliana n. 2253, cell. 347.1225266 (solo per prenotazioni); Italia Nostra - Sezione di Palermo, via delle Croci n. 47, tel. 091.324194; neu[nòi], via Alloro n. 64, tel. 091.7832107; Centro Musicale, viale Campania n. 14, tel. 091.524286; Edicola Mendolia, Via Resuttana n. 243, tel.091.511823. Libero accesso, invece, alle altre attività della "Settimana della Musica a Palermo", come la mostra documentaria che racconta questi primi 40 anni di vita dell’Ars Nova. Sarà allestita alla Bottega 2 dei Cantieri Culturali e consentirà, attraverso un percorso guidato di stampati, immagini e pannelli illustrativi, di capire il percorso di crescita dell’associazione dal 1974 a oggi, offrendo alla città occasioni per vivere la musica e il mondo che ne fa parte in maniera qualificata e professionale. Alla Bottega 3, invece, si potranno visitare due installazioni multimediali: “Obelisco” di Federico Incardona e Salvo Cuccia (1993); “Paesaggio Sonoro” con gli allievi del Liceo Scientifico Statale “Benedetto Croce”. Veramente ricco, dicevamo all’inizio, il programma di questa settimana, durante la quale si potrà partecipare a diversi momenti di incontro e riflessione: alle 16 di mercoledì 22, al “Seminario di Biosonologia” a cura di Domenico Sciajno; alle 16 di sabato 25, invece, al dibattito su “L’attuazione del D.M. n.8/2011 e il ruolo delle associazioni musicali”, curato dal “Comitato Regionale per la musica diffusa”, a cui farà seguito il laboratorio “Ascoltare per ascoltarsi”, condotto da Liliana Minutoli e promosso da “Il Giardino delle idee”. Momenti, questi, che si svolgeranno tutti alla Bottega 5. Non va assolutamente dimenticato che ARS NOVA è un’associazione che ha sempre lavorato molto sulla formazione musicale di base, come anche sulla ricerca. Pioniere di questo lungo
e mai interrotto percorso, nonostante le tante difficoltà e gli ostacoli dovuti all’incapacità di vedere il bello che la nostra città offre, è stato Angelo Pirrotta che, nella storica sede di via Dante, ha creato un polo culturale e musicale unico, la cui attenzione è sempre stata alta nei confronti dei bambini e ai ragazzi. Passare il testimone al figlio Giulio non ha fatto altro che consentire la prosecuzione del lavoro compiuto negli anni, affermandosi come realtà che ha sempre cercato di dare a Palermo qualità, professionalità e prospettive. E’, infatti, in questa ottica che la “Settimana della Musica a Palermo” ha deciso di diventare lo strumento atto a stimolare le professionalità in campo musicale, presentando il “Challenge. Premio per lo sviluppo delle professionalità musicali”. A disposizione, da parte di ARS NOVA, ci saranno 3mila euro per un progetto che andrà a realizzare un risultato artistico - culturale di qualità, ma dovrà ottenere allo stesso tempo il pareggio o un utile economico. Un’occasione forse unica nella realtà in cui viviamo, per consentire a giovani e meno giovani con un’idea vincente di mettersi alla prova, spronati e sostenuti concretamente nel proprio sogno, da trasformare in qualcosa di realmente produttivo. Non è, però, finita qui perché la “Settimana della musica a Palermo” vuole anche essere un’occasione per la città e i tanti artisti che compongono questo variegato spaccato della società. Ha, così, pensato alla possibilità di lanciare e seguire nella sua crescita una mappa delle realtà musicali presenti nel nostro territorio, fungendo da elemento propulsivo di un percorso che punta a cercare e offrire sempre più qualità e professionalità. Il progetto verrà annunciato alle 17 di domani, martedì 21 ottobre, e presentato ufficialmente insieme al Premio alle 17 di venerdì 24 ottobre, nell’ambito di una tavola rotonda.
Ulteriore momento di apertura alla città sarà il PALCO LIBERO, spazio di libera espressione pensato per quanti credono nelle loro potenzialità artistiche e cercano solo il luogo in cui mostrarle. Chi vorrà, avrà 15 minuti per far conoscere al mondo la propria arte (teatro, musica, danza, mimo, cabaret e chi più ne ha più ne metta). L’organizzazione fornirà la strumentazione di base (un impianto, due casse, un microfono e un mixer), quindi chi avrà esigenze particolari dovrà munirsi della propria. Saranno prese in considerazione, e poi selezionate in base al tempo a disposizione, solo le prime 50 richieste che giungeranno all’indirizzo di posta elettronica annazitoscalicidicarini@gmail.com. Tutto questo, e anche altro, attende chi vuole festeggiare insieme ad ARS NOVA questi suoi primi 40 anni di vita. Un viaggio compiuto negli anni insieme a tante realtà, che prosegue con ottime premesse. A fare un pezzo del lungo percorso, in occasione di questa specifica manifestazione, sono ITALIA NOSTRA e neu[nòi]. A patrocinare la Settimana sono il Comune di Palermo, i Cantieri Culturali alla Zisa e l’assessorato regionale al Turismo. Collaborano alla realizzazione della manifestazione: l’Istituto Superiore di Studi Musicali “A. Toscanini” di Ribera, il Conservatorio di Musica “V. Bellini” di Palermo, Fondazione Scuola di Musica di Fiesole, il Centro Musicale, l'Open Jazz Vocal Lab, il Centro Musicale "La Bottega delle Percussioni", Aeolian, I solisti di Operalaboratorio, Antitesi, Il giardino delle Idee, la Fondazione Teatro Massimo la scuola media “Antonino Pecoraro”, il Liceo scientifico statale "Benedetto Croce", il Liceo classico “Meli”.
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L’eterna contesa Verga-Mascagni Franco La Magna a ho tutta la speranza di vendere l’opera dopo la prima rappresentazione; ed allora potremo intenderci, come Ella dice nella sua lettera. Certo non può credere, illustre Signore, quante emozioni abbia provato in poco tempo il mio animo. Io vivo qua a Cerignola da quattro anni, dimenticato, abbandonato da tutti; e la mia vita è stentata; è vita di privazioni, di miseria: Oggi vedo un avvenire, dovuto al mio studio, al mio lavoro e soprattutto alla Sua Cavalleria che m’inspirò una musica appassionata e teatrale. S’immagini dunque se potrò dimenticare il suo nome che si accoppia a sì fine cortesia e gentilezza. Spero anzi che mi sarà cortese pure della sua indulgenza per questa mia sconnessa e sgrammaticata lettera, scritta in una stato di scusabile esitazione. Le rinnovo i sensi della mia devozione…”. Con questa supplichevole (e non certo sgrammaticata) lettera datata 27 marzo 1890, l’allora pressoché sconosciuto compositore Pietro Mascagni, si prostrava umilmente a Giovanni Verga che con scrittura privata del 9 aprile 1890 concedeva (chiedendo a fortiori il pagamento dei diritti spettanti) di ridurre in musica “Cavalleria rusticana”, divenuta anche opera lirica in un solo atto, risultata vincitrice - tra 73 lavori presentati e con grande sorpresa dello stesso autore - di un concorso bandito dall’editore Sonzogno. Con precedente lettera del 9 marzo 1890, Mascagni aveva già implorato lo scrittore catanese di usargli “l’immensa gentilezza” di dare il consenso a servirsi del testo teatrale di “Cavalleria rusticana”, già rappresentata per la prima volta in teatro (con i costumi pagati da Verga, al quale fu anche imposta la giugulatoria condizione di rinunciare ai diritti d’autore) il 14 gennaio 1884 e subito onusta d’incredibile e crescente successo. “Ella ha diritto d’imporre i patti che crederà utili o necessarii”, comunica Mascagni che in questa prima missiva si firma “obbligatissimo servitore”. Torgioni-Tozzetti di Livorno (in collaborazione con Menasci), aveva, dunque, già improvvidamente concepito il libretto generosamente attingendo allo scritto verghiano sicché, risultato a sorpresa vincitore, Mascagni si vedeva ora - obtorto collo - costretto a rivolgersi a Verga “…e sono certo - ancora parole del compositore livornese - che (Ella) non vorrà interrompere un sogno dorato a chi vede in questo fatto il principio di una carriera”. Come è noto, alla fortuna dell’opera teatrale si associò presto quella planetaria dell’opera lirica, sicché Verga (sempre scrupolosissimo nell’amministrazione dei propri interessi) non tardò a farsi avanti per rivendicare a gran voce i propri diritti. Sonzogno (che ai due librettisti aveva “elargito” il misero compenso di appena 500 lire a testa), sperando di cavarsela ancora a buon mercato, offrì a Verga la somma di mille lire provocandone immediatamente la sdegnata reazione e la citazione davanti al Tribunale di Milano sulla base degli artt. 5 e 6 della legge 19 settembre 1882 n. 1012 sul diritto d’autore. Verga poteva quindi essere considerato il vero autore del libretto e percepire un compenso pari a quello del compositore? Minacciato nei suoi ancora magri profitti Mascagni (mentre Sonzogno tentava d’imbucarsi sostenendo d’essere separato dagli accordi tra i due contendenti) si difende tirando in ballo la precedente “Cavalleria” (peraltro di scarsissimo successo e subito dimenticata) musicata da Gastaldon e intitolata “Mala Pasqua”, sostenendo la tesi che Verga avendo già ceduto i diritti li aveva definitivamente perduti. Una prima sentenza (1892) riconobbe al Catanese la metà degli utili netti. In appello fu rispolverata la giurisprudenza francese (che prevedeva diritti parificati tra musicista
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e librettista); poi si sostenne che Verga si sarebbe dovuto compensare con una somma fissa. Alla fine, dopo un batti e ribatti (fu anche pubblicato un opuscolo a richiesta dell’editore Sonzogno a firma dell’avvocato Gabba, cui rispose l’avv. Ciampi che aveva chiesto lumi alla “Société des auteurs et compositeurs de musique” di Parigi), la Corte di Cassazione di Torino emise finalmente la sentenza definitiva. Questo uno stralcio del dispositivo finale della Cassazione :”…per quanta prevalenza abbia la musica nei rispetti artistici ed economici, specialmente in opere teatrali, sul componimento letterario a cui è applicata, che infatti con temine quasi sprezzante è chiamato “libretto”, ciò non toglie che una volta questo musicato, formino entrambi un lavoro complesso ed inseparabile nel senso che il libretto può stare senza musica, ma questa, convenientemente, non può stare senza di quello. Di qui la comunanza dei diritti d’autore, disciplinato dal citato art. 5…Non si esageri infine il merito della musica, sebbene arte divina, su quello del componimento letterario, poiché molto dipende anche dalla potenza del genio del maestro e del poeta…”. Il 22 gennaio 1892, la controversia si chiude finalmente con una “pacifica” transazione tra le parti, in base alla quale Verga veniva definitivamente liquidato con la congrua somma di ben centocinquantatrè mila lire. Nel 1916, però, in occasione della coeva uscita di due “Cavalleria rusticana” cinematografiche (una prodotta dalla società “Tespi” di Roma e diretta da Ugo Falena, tratta da Verga che presiede alla messa in scena; l’altra girata dalla “Flegrea” di Napoli che l’aveva avuta in concessione dalla Sonzogno e diretta da Ubaldo Maria del Colle) la contesa riesplode più virulenta di prima e stavolta con un ringalluzzito Sonzogno che diffida “tutti i cinematografari dal proiettare qualsiasi altra film Cavalleria rusticana accompagnandola con la musica del maestro Mascagni o di qualsiasi altro autore…”. Mascagni, anch’egli ormai celebre e sempre più baldanzoso, in attesa di sentenza dichiara di non capire come “Cavalleria rusticana” non possa essere considerata come sua. Ancora una volta però “…a Verga, vengono riconosciuti i diritti esclusivi sul soggetto, ma è condannato per inadempienza verso la Tespi; la concessione della Sonzogno alla Flegrea è dichiarata abusiva e il maestro Mascagni subisce anch’egli una condanna per aver aggravato le spese di giudizio”.
Un flauto magico e multietnico Angelo Pizzuto pertura di stagione ben faticosa, sotto il profilo economico, ma di ottimo livello sul piano artistico\espressivo al Teatro Quirino di Roma, dove L’Orchestra di Piazza Vittorio (policentrica e multietnica) festeggia ì le sue ‘centenarie’ repliche de“Il flauto magico” di Mozart. «Ogni volta pensiamo che il percorso del Flauto Magico sia giunto al termine – spiega Mario Tronco, il direttore artistico dell’orchestra – Poi, però, accede puntualmente qualcosa che ci dimostra come il cammino sia ancora molto lungo». Ed è bene che lo sia perché il capolavoro mozartiano, rivissuto e rielaborato da questa ‘azzardata’, pacifista commistione di musicisti provenienti dai luoghi più dispersi del mondo (ma che, al quartiere romano dell’Esquilino, hanno avuto agio di conoscersi, frequentarsi, reinventarsi) è, innanzi tutto, un divertente e fiabesco prodigio (in forma di spettacolarità estrosa, pirotecnica) in cui la musica originaria si trasforma, con elaborata, apparente divagazione fra improvvisazione e naturalezza, in reggae, jazz, intrecci ritmici africani e orientali- mentre gli archi arieggiano la partitura originale. Concepita come una favola tramandata in forma orale e giunta fino a noi attraverso le culture di appartenenza (dei vari musicisti), “II flauto magico” si trasfigura in scommessa musicale divertente, stupefacente, doviziosa di imprevedibili coinvolgimenti emotivi: lungo la riva del ludico e del nostalgico, del sentimentale e dell’immaginario onirico. “La leggerezza e l'allegria di questa rivisitazione, tanto libera quanto inaspettatamente fedele all'originale, vorremmo che fosse un inno carico di amore e di gioia di vivere”- conclude Mario Tronco. E il traguardo è ampiamente raggiunto, superato, decantato in fantasie adulte, senili, giovanili, senza plausibili ostacoli anagrafici. Sotto il segno della ricerca e della contaminazione dei linguaggi musicali, a condurre noi tutti “nel cuore di un paesaggio situato a metà tra la realtà e il sogno” provvede quindi il paese utopico (ma non esente da distopie) ove Wolfgang Amadeus Mozart, in una improvvisata sala prove, ‘fece esplodere’ (ad un pubblico di parrucconi, come raccontava il gran film di Forman del 1984 ) una fiaba in cui s’incrociano i destini di principini e vagabondi, sotto uno ‘chapiteau’ di terrestre e celeste, fratellanza umana e (vacuo esercizio del) potere. Del resto, a ben vedere, “Il flauto magico” è il ‘nobile, non sussidiario spunto’ di uno spettacolo in cui (a partire dalle suggestioni classiche), i membri dell’Orchestra scandagliano personaggi e spartito emulsionando diversi generi teatrali (e musicali) in una forma ibrida di messinscena e di concerto para-felliniano. Ovvero con grande ordine e disciplina nell’apparente casualità ‘trasgressiva’ del costrutto scenico. Che, infatti, non ha nulla di pedante, virtuosistico, accademico (difetti che possono nascondersi anche dietro la più inusitata delle esecuzioni), plasmando così una delle più affascinanti metamorfosi del repertorio mozartiano- come è giusto che accada per tutte le esperienze teatrali che si fondano sul coraggio delle scelte e sulla determina-
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zione delle esclusioni, rispetto alla filologia, al purismo della tradizione. “Il Flauto magico” dell’Orchestra di Piazza Vittorio, da questa prospettiva, non fa eccezione alla regola, evitando allo spettatore di doversi districare fra tutto il ciarpame di simbolismo massonico che incombeva (nonostante Amadeus…) sull’opera intera : non solo perché risibile e – si spera- estraneo ad una ‘sensibilità’ che vuol dirsi ‘conforme ai tempi’ . Ma soprattutto perché esso (il simbolismo esoterico, per iniziati) segnava le transenne ideologiche e poetiche che impedivano alla favola settecentesca di emanare, sino in fondo, il suo proposito di illuminismo ed emancipazione dell’uomo oltre il più soffocante d’ogni ordine gerarchico mai concepito da menti alienanti e alienate- dalla brama di un’omertà estesa a pochi intimi’. E alla quale Mozart dovette sottomettersi per umilianti cause di sopravvivenza familiare e avversioni ‘d’alto rango’, Salieri a parte (ancora un richiamo all’opera di Forman, esplicita ed impietosa in questo senso). La favola approda invece ad una sua sorta di insperata ‘reincarnazione’ della dimensione favolistica. La quale, come del resto tutto lo spettacolo, non serve a nulla, né esige essere ‘catalogata’per generi. I tre piani su cui si dipana la storia – la musica con i suoi richiami diretti e indiretti a Mozart, le immagini che costituivano la scenografia dello spettacolo, e la ‘fabula’ in quanto tale – vivono di una reciproca autonomia che genera, fra i vari mezzi espressivi una polifonia di sfaccettature e di rimandi, il cui elemento unificante è costituito, palesemente, dalle scene di pantomima e di collettivo movimento, in un incessante, avvincente commistione tra stili, epoche e luoghi “che ci trasportano in viaggio sonoro” da cui è quasi impossibile atterrare senza la delusione del bel sogno al nostro amaro risveglio.
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Destina il 5 per mille al Centro studi “Pio La Torre” che da sempre è impegnato a spezzare il nodo mafia – mala economia – mala politica, seguendo l’insegnamento di Pio e di quanti hanno perso la vita per la liberazione della Sicilia e del Paese. Il Centro studi esprime l’antimafia riflessiva e critica, rifugge ogni retorica e, con la collaborazione di giovani volontari, studiosi e ricercatori, promuove nelle scuole e nella società una coscienza antimafiosa. Nel 2013 sono state svolte molte iniziative, tra cui quelle del progetto educativo antimafia, seguito da 96 scuole medie superiori italiane e da circa 9.000 studenti. Inoltre nello stesso anno il Centro vanta la realizzazione e pubblicazione di due ricerche e la diffusione del nostro settimanale online “Asud’Europa” con oltre 40.000 lettori. Il Settimanale è disponibile ogni lunedì sul sito www.piolatorre.it e viene stampato solo in particolari occasioni. Contribuisci con il tuo 5 per mille alla lotta contro la corruzione e le mafie ed i loro intrecci con la politica.
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