Adotta la Romagna

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numero speciale Elezioni Amministrative 6-7 giugno 2009

Committente Responsabile Cinzia Pasi Tar. Rid. L. 515/93

[Adotta il posto in cui vivi, il tuo quartiere, la tua frazione, la tua città]

Comuni virtuosi:

Non disperdere il tuo voto

Energia pulita senza sprechi

Ci si lamenta spesso, e molte volte a ragione, di come viene gestita male la “cosa pubblica”. Esistono però alcune esperienze positive, che meritano di essere raccontate, soprattutto perché costituiscono un buon esempio da seguire. è il caso dei Comuni Virtuosi.

Le liste civiche a 5 stelle, e quelle liste che mettono al primo posto la partecipazione dei cittadini alle decisioni, la trasparenza, la tutela della salute e dell’ambiente, l’efficienza e il risparmio del denaro di tut-

Le Esco, società di risparmio energetico, aiutano i Comuni a ridurre gli sprechi e le emissioni realizzando interventi energetici che non comportano costi pubblici aggiuntivi.

Scegli le liste a 5 stelle

qui si vive meglio

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ti garantiscono di governare le città per fare gli interessi del maggior numero di cittadini. Che cosa accomuna invece i partiti politici più conosciuti?

continua a pagina 2 servizi alle pagine 6, 7 e 10

6-7 giugno: oggi decidiamo noi

Voteremo sabato 6 giugno dalle 15 alle 22 e domenica 7 giugno dalle 7 alle 22. Le elezioni comunali sono ormai rimaste tra le poche occasioni in cui noi cittadini possiamo influenzare in maniera diretta e cosciente la scelta di chi ci rappresenterà per 5 anni. Possiamo scegliere tra i soliti partiti, che a ogni elezione fanno tante promesse che poi non mantengono, oppure cercare tra i candidati coloro che hanno dimostrato di avere a cuore il benessere dei loro concittadini. Sono necessari intelligenza e

buon senso, per distinguere tra i programmi e le persone. Ma è facile capire che chi appartiene ai grandi partiti che da decenni governano l’Italia, le regioni e le città continuerà a imitare chi lo ha preceduto, e chi dirige il partito di cui fa parte. Ossia i candidati presentati dai partiti continueranno a seguire le indicazioni provenienti dal vertice del partito e continueranno ad anteporre gli interessi dei più potenti: banche, grandi imprese, speculazione edilizia, sprechi e sperperi di ogni tipo.

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Differenziata: vera o finta? In quasi tutto il mondo “raccolta differenziata” vuol dire separare i rifiuti. Dove Hera ha ottenuto il monopolio della raccolta e dello smaltimento il vocabolario viene stravolto e allora abbiamo: “raccolta differenziata multimateriale”, come dire “strada pericolosa ma sicura”.

continua a pagina 2, 20-23

Stop al consumo del territorio

alle pagine 10 e 11 RISPARMIO INTELLIGENTE

Chilometro zero: dal produttore al consumatore

RIFIUTI

I risultati del porta a porta sono sorprendenti e rendono superata e antieconomica la raccolta differenziata tradizionale: con il porta a porta si producono meno rifiuti, si risparmia energia, si riciclano materie prime in esaurimento, si spende meno e aumenta l’occupazione.

URBANISTICA

Fertili pianure agricole, romantiche coste marine, affascinanti pendenze montane e collinari, parchi e boschi sono quotidianamente cancellati da piani urbanistici e speculazioni edilizie, insediamenti commerciali e industriali, grandi opere di ogni tipo.

continua a pagina 2 servizi alle pagine 4 e 5; 8 e 9

Raccolta porta a porta

alle pagine 12 e 13

Romagna e Val Padana sono prime in classifica

La regione più inquinata d’Europa

Un record di cui faremmo volentieri a meno La cartina dal satellite mette in evidenza come Romagna e Val Padana sono la zona più inquinata d’Europa. I terreni agricoli della Val Padana, contaminati da decenni di pesticidi e emissioni avvelenate hanno perso lo strato fertile e sono equivalenti a una zona desertica.

alla pagina 2

La salute prima di tutto “Spegnete la TV e accendete il cervello”, la dott.ssa Patrizia Gentilini ama sollecitare così l’attenzione verso i temi che sono da anni al centro delle sue ricerche. Oncologa, Gentilini si batte per la nostra salute, ben prima che possiamo rischiare di ammalarci. In un’intervista esclusiva ci spiega come gli amministratori locali possono intervenire per difendere la salute del cittadino.

a pagina 24

Le aziende agricole che vendono i loro prodotti direttamente nei “mercati dei contadini” guadagnano di più, il cliente spende meno, ha prodotti più sani e freschi, e si inquina di meno.

a pagina 16 LA FINE DEL PETROLIO

Mobilità sostenibile Muoversi in città senza inquinare è possibile: lo dimostrano diverse esperienze.

a pagina 15 ECONOMIA DEL TERRITORIO

SCEC: il buono d’acquisto locale SCEC = Solidarietà ChE Cammina: una nuova proposta economica particolarmente utile per i comuni interessati a valorizzare e promuovere l’economia locale.

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SPECIALE ELEZIONI

[Adotta il posto in cui vivi, il tuo quartiere, la tua frazione, la tua città]

La tua regione, la tua città meritano la tua attenzione

Non abbandonarli nelle mani dei predatori del nostro territorio e della nostra salute Continua da pagina 1 Votare per i soliti è quasi come non votare: si sa già in anticipo come andrà finire. Questo giornale è stato scritto proprio per offrire a chi vive in Romagna, e in particolare nella provincia di Forlì-Cesena, una breve panoramica di ciò che si può fare quando chi è eletto invece opera nell’interesse dei suoi elettori. Abbiamo dedicato alcune pagine a Hera perché appare sempre più preoccupante l’influenza che questa Società per azioni di enormi dimensioni esercita rispetto al territorio in cui opera, con la possibilità di influenzare le decisioni di comuni grandi e piccoli, e addirittura la scelta dei candidati alle elezioni. Hera e la ventina di società collegate fatturano oltre 1.750 milioni di Euro (quasi 3.400 miliardi delle vecchie lire). Hera agisce nell’ambito dei rifiuti in regime di monopolio sia della raccolta che dello smaltimento, imponendo ai Comuni soci e ai loro cittadini tariffe alte e le scelte di smaltimento per lei più convenienti. Hera è una società quotata in borsa è quindi l’obiettivo principale è quello di ottenere più utili possibili. Allo stesso tempo oltre il 50% di Hera è di proprietà dei comuni che l’hanno costituita. I sindaci dovrebbero avere a cuore prima di tutto gli interessi dei loro cittadini. Nasce così un conflitto d’interesse molto forte, che finora è stato risolto a favore degli azionisti e non dei cittadini. In prospettiva è probabile che Hera sia assorbita da società ancora più grandi, e di conseguenza i Comuni dell’Emilia Romagna perderanno ogni possibilità di influenzarne le decisioni, se mai ne hanno avuta e l’hanno esercitata. Il discorso fatto per Hera si può estendere a molte altre grandi aziende presenti sul territorio romagnolo: molte amministrazioni comunali appaiono generalmente più ben disposte a realizzare gli interessi dei grandi gruppi, delle banche e della speculazione immobiliare, e a destinare meno energie e denaro per soddisfare le necessità e i bisogni della gente comune e per salvaguardare l’ambiente dal crescente inquinamento.

Cara lettrice e caro lettore, assumiti la tua parte di responsabilità

Anche tutti noi Romagnoli siamo responsabili di tutto questo: per tutti questi anni abbiamo visto e siamo rimasti zitti, oppure anche noi stessi abbiamo avuto dei vantaggi, diretti o indiretti. Ma oggi non è più possibile continuare.

Non disperdere il tuo voto verso i soliti partiti con le solite promesse elettorali. Tutti i giorni abbiamo sotto gli occhi il risultato dell’incompetenza. Possiamo spostarci da

una città governata dalla destra a una governata dalla sinistra o dal centro, dal nord, al centro o al sud Italia: il modo di governare non cambia; la speculazione edilizia, l’inquinamento, il traffico, i rifiuti, gli sperperi del denaro, si ripetono sempre eguali. Fanno eccezione quelle comunità che sono capaci di scegliersi come amministratori persone capaci, competenti, oneste e appassionate.

L’elezione è il primo passo La lista civica, il sindaco e l’amministratore onesto hanno bisogno dell’aiuto dei loro concittadini per riuscire a far funzionare bene il comune, eliminando sprechi e disservizi, e introducendo miglioramenti in ogni settore della vita sociale.

Chi si arricchisce senza motivo, chi pretende privilegi e rendite di posizione userà tutti i mezzi di cui dispone per mantenerli, attaccando con ogni pretesto. A questo punto sarà indispensabile l’impegno e la solidarietà dei cittadini per consentire a chi amministra in maniera onesta e trasparente di continuare a farlo.

La democrazia partecipativa è uno strumento indispensabile per mantenere vivo il dialogo tra gli elettori e i loro rappresentanti. Per questo è indispensabile formare o partecipare a gruppi d’interesse, associazioni, incontrare chi ci vive accanto, nel quartiere in cui abitiamo o lavo-

riamo e in questo modo venire a conoscenza degli argomenti in discussione, esprimere il nostro punto di vista. Abbiamo la possibilità concreta di intervenire e influenzare le decisioni che ci riguardano, per costruire i nostri Comuni e le nostre città a misura dei bisogni delle nostre famiglie, e non degli interessi di grandi banche e imprese. Ma per riuscirci è necessario scegliere con grande attenzione da chi farci rappresentare e poi controllare che realizzi le promesse presenti nel programma elettorale, facendo sentire la nostra voce e presenza, e appoggiando le iniziative che condividiamo. Se rimaniamo silenziosi e passivi, aspettando che altri facciano i nostri interessi, facilmente resteremo delusi, e le promesse elettorali presto saranno disattese e dimenticate.

La regione più inquinata

Adotta la Romagna, il posto in cui vivi, il tuo quartiere, la tua frazione e la tua città è stato scritto proprio per invitare i Romagnoli a prendersi cura della loro terra, senza più abbandonare la nostra splendida regione nelle mani dei predatori del territorio e della salute. Trent’anni fa la Romagna

era un’oasi di verde e di festose e allegre sagre paesane, famosa nel mondo per il suo cibo genuino, le sue donne sorridenti, il suo mare e le sue colline. Oggi la speculazione edilizia senza freni, gli inceneritori, i centri commerciali e gli ipermercati, le discariche e i capannoni, gli allevamenti industriali, i pesticidi spruzzati a pioggia decine di volta all’anno hanno fatto diventare le nostre pianure un deserto, le nostre acque avvelenate, il cibo e gli animali che mangiamo pericolosi per la salute. La foto dal satellite in prima pagina mette in evidenza che l’atmosfera sopra le nostre teste, in Romagna e Pianura Padana, ha raggiunto livelli di inquinamento eccezionali, che spiegano la crescita di tanti disturbi della

respirazione, allergie da inquinanti chimici, intossicazioni di ogni genere, e tante gravi malattie causate dall’accumulo di tutte queste sostanze tossiche, emesse nell’ambiente senza alcun controllo. Le proposte e le realizza-

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Questo primo numero di Adotta la Romagna nasce dall’incontro e dalla collaborazione tra il Comitato elettorale di DestinAzione Forlì, al cui interno sono presenti diverse associazioni tra cui il ClanDestino e il Meet up di Forlì, e alcuni redattori della rivista trimestrale Consapevole.

zioni che presentiamo in questo giornale offrono una panoramica ricca di suggerimenti e possibilità riguardo a quello che è possibile realizzare con un’amministrazione competente e onesta dei nostri comuni. Questa pubblicazione è realizzata per le elezioni amministrative comunali di Forlì del 6 e 7 giugno 2009 dalla Lista Civica DestinAzione Forlì, committente responsabile Cinzia Pasi, in ottemperanza alle leggi che regolano la propaganda elettorale. In redazione: coordinamento Martina Turola hanno collaborato Ivano Barocci Francesco Bevilacqua Marianna Gualazzi Paola Mazza Romina Rossi Giorgio Gustavo Rosso Stampato a cura di Grafica Editoriale Printing - Bologna


SPECIALE ELEZIONI

numero speciale Elezioni Amministrative 6-7 giugno 2009

Carugate (MI)

Capannori (LU)

Montebelluna (TV)

Cassinetta di Logagnano (MI)

Follonica (GR)

Castellarano (RE)

Trezzano Rosa (MI)

Colorno (PR)

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Ascoli Piceno

Quando i Comuni sono virtuosi Esempi concreti di buona amministrazione

Ci si lamenta spesso, e molte volte a ragione, di come viene gestita male la “cosa pubblica”. Esistono però alcune esperienze positive, che meritano di essere raccontate, soprattutto perché costituiscono un buon esempio da seguire. è il caso dei Comuni Virtuosi, un’associazione fondata da quattro Comuni nel 2005 – Monsano (AN), Colorno (PR), Melpignano (LE) e Vezzano Ligure (SP) – e che adesso ne conta ben venticinque. Perché vale la pena di scrivere di questa associazione? Perché ha ottenuto risultati concreti sulla base di alcuni semplici, ma ambiziosi, obiettivi. Obiettivi Ridurre i consumi energetici incentivando l’utilizzo della bioarchitettura, delle tecnologie dolci e del risparmio energetico. Governare in modo consapevole il territorio, introducendo negli strumenti

urbanistici comunali norme di contenimento del consumo di suolo ed efficienza energetica. Ridurre la produzione dei rifiuti attraverso progettualità concrete ed efficaci e introdurre la raccolta differenziata porta a porta spinta. Promuovere la diffusione di mezzi ecologici per una mobilità realmente sostenibile e gestire correttamente il territorio evitando il più possiibile spostamenti motorizzati superflui. Promuovere, incentivare e sostenere nuovi stili di vita nelle comunità amministrate, attraverso progettualità partecipate finalizzate alla riduzione dell’impronta ecologica di un territorio. I primi risultati Carugate, primo paese in Italia a richiedere obbligatoriamente la certificazione ambientale – che a breve diventerà obbligatoria – per chiunque voglia costruire o ristrutturare un immobile.

I Comuni di Capannori (LU) e Montebelluna (TV), che sono arrivati all’ 80% di raccolta differenziata attraverso il sistema porta a porta.

Trezzano Rosa (MI), prima esperienza pilota sul territorio nazionale di intervento di risparmio energetico nel campo della pubblica illuminazione.

Cassinetta di Lugagnano (MI) che si è dotata di un piano urbanistico a crescita zero (vedi pag. 11).

Colorno (PR) e gli acquisti verdi della pubblica amministrazione. Lo sportello Filiera Corta di Ascoli Piceno.

Il Comune di Follonica che con il progetto Ecoscambio spinge i cittadini a scambiarsi i beni che non usano più ma ancora in buone condizioni ed ha eliminato gli imballaggi dalle mense scolastiche. Castellarano (RE), che ha attivato un progetto per l’installazione, da parte dei privati, di pannelli solari per il riscaldamento ad acqua, fornendo ai soggetti interessati informazioni sugli installatori convenzionati e indicazioni su come accedere a finanziamenti agevolati da parte dell’istituto di credito coinvolto dal Comune nel progetto.

Tutti questi progetti sono stati poi condivisi sul web (comunivirtuosi.org), in modo da renderli replicabili da parte di chiunque. È così possibile accedere a tutte le informazioni e alla documentazione necessaria (delibere, capitolati d’appalto, regolamenti), solitamente abbastanza difficili da reperire. Un passo importante per delineare a livello nazionale una strategia ambientale complessiva e coerente, visto che spesso Comuni all’avanguardia rispetto a singole tematiche peccano poi per tutta un’altra serie di questioni legate all’ambiente.

Che sindaco ti piacerebbe votare? Abitualmente votiamo in base al partito di appartenenza. È un po’ come alla partita di calcio: quasi sempre ci succede di parteggiare per una delle due squadre in campo, senza neanche un motivo preciso. Io tifo per la squadra che piaceva a mio padre, a mio fratello, al mio fidanzato, oppure ... Forse invece di votare come un tifoso, potresti pensare che chi eleggerai il 6 e 7 giugno prenderà decisioni molto importanti per te e per la tua città per i prossimi 5 anni. Noi che abbiamo preparato questo giornale, vogliamo un sindaco, donna o uomo, che sia competente e onesto, che abbia già dimostrato di avere a cura gli interessi e il benessere dei suoi concittadini, non solo dei più ricchi e potenti. Cerchiamo qualcuna o qualcuno che non abbia fatto della politica la sua professione permanente, e che quindi non sia obbligato a ubbidire per paura di perdere il posto e i privilegi.

Cerchiamo qualcuna o qualcuno che sia serio e competente, capace di risparmiare il nostro denaro e usarlo nel migliore dei modi, come una brava madre o un buon padre di famiglia, prudente e interessato a offrire il meglio ai propri concittadini. Per quello che abbiamo letto, visto, sentito e capito un buon sindaco, oggi: • realizza la raccolta dei rifiuti porta a porta, abbinata al riciclo e al riuso, e alla massima riduzione dei rifiuti (grandi città nel mondo, come San Francisco puntano a rifiuti zero entro il 2020 o prima ancora); • accelera il risparmio di energia negli edifici pubblici, nell’illuminazione e stimola i privati e i costruttori a fare lo stesso, favorendo l’utilizzo dell’energia solare e geotermica; • combatte gli sprechi e gli sperperi, a partire dagli investimenti in pericolose e costose speculazioni finanziarie;

• blocca la speculazione edilizia, orientando l’attivi-

tà costruttiva verso la valorizzazione e la messa in sicurezza dal terremoto degli immobili vuoti o mal utilizzati; • favorisce il trasporto pubblico, le piste ciclabili, il verde urbano, i treni per pendolari; • valorizza il centro storico e i piccoli artigiani e commercianti, bloccando ogni nuovo grande insediamento commerciale; • blocca la costruzione di inceneritori, centrali nucleari, superstrade, linee ferroviarie e ponti inutili e supercostosi; • favorisce la connessione a Internet per tutti, la democrazia partecipativa, l’informazione diffusa e libera da conflitti d’interesse. E infine il miglior sindaco sarà quello che avrà i migliori cittadini, a partire da ognuno di noi.


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SPECIALE ELEZIONI

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Come funziona Il sindaco: i suoi

Il giorno delle elezioni si avvicina, così molti cittadini romagnoli, e non solo, si troveranno a dover decidere chi li amministrerà per i prossimi 5 anni. Sindaco, Giunta, Consiglio Comunale: questi gli organi principali attraverso i quali viene governato il Comune. La figura del Sindaco è molto simile a quella di un “governatore locale”, sia per la quantità di funzioni e compiti che gli sono attribuiti, sia per il modo in cui viene eletto. Dal 1993 la legge stabilisce che siano i cittadini ad eleggere il Sindaco (prima era compito del Consiglio) e che egli, poi, proceda con la nomina della Giunta. La nuova legge garantisce maggiore governabilità e assicura coesione e unità di intenti alla

Giunta, ora nominata dal Sindaco sulla base di un programma condiviso. Lo stesso programma che dovrebbe costituire una sorta di contratto con la città e i suoi cittadini. Prima del ’93, invece, le “contrattazioni” sulla designazione di Sindaco e Giunta rimanevano aperte fino al raggiungimento di un risultato politico soddisfacente per tutte le forze politiche partecipanti. Tali contrattazioni riguardavano anche le nomine dei rappresentanti delle amministrazioni locali presso gli altri enti presenti sul territorio comunale come, ad esempio, i vecchi “comitati di gestione” degli ospedali locali.

Anche questo compito spetta ora al Sindaco, che vede accentrato nelle sue mani un ampio spettro di poteri. L’elezione della Giunta Tornando al suo ruolo nei confronti della Giunta, vi sono alcuni aspetti legislativi non ancora chiariti. Il primo cittadino sceglie gli assessori che compongono la Giunta e normalmente lo fa “pescando” al di fuori del Consiglio, anche perché nei Comuni superiori a 15.000 abitanti le cariche di consigliere e assessore non sono cumulabili. Questo rappresenta un potere decisionale e selettivo molto forte. Ma in base all’art. 3, comma 1, legge n°241 del 1990, gli atti di nomina degli assessori andrebbero motivati,

Il Sindaco può revocare il mandato degli assessori in qualsiasi momento

La spinosa questione degli accordi di programma, spesso utilizzati arbitrariamente per urbanizzare il territorio

La scatola degli attrezzi del primo cittadino Gli strumenti attraverso cui il Sindaco concretizza l’indirizzo politico-amministrativo del Comune Dopo aver esaminato alcuni dei principali poteri del sindaco, è utile focalizzarsi su “come” il primo cittadino traduce in atti concreti l’indirizzo politico di cui è espressione. La separazione fra Politica e Amministrazione Per capire meglio come svolge il suo lavoro è necessario operare una distinzione fra il suo ruolo e quello dei dirigenti comunali, che hanno compiti distinti in virtù del principio di separazione fra politica e amministrazione. Secondo questo principio ai dirigenti spetta l’adozione degli atti e dei provvedimenti amministrativi, compresi quelli che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, oltre alla gestione finanziaria, tecnica e amministrativa che dà loro anche autonomi poteri di spesa e “di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo”.

Il sindaco definisce “l’indirizzo politicoamministrativo” delineando gli obiettivi e i programmi generali da attuare e verificando che queste linee guida vengano recepite dai dirigenti e da chi si occupa della gestione amministrativa attraverso l’esame dei risultati ottenuti. I provvedimenti amministrativi attraverso i quali si “esprime” normalmente il sindaco sono l’autorizzazione e l’abilitazione, l’approvazione, le licenze e i nulla osta, le concessioni, fra cui quelle edilizie, l’ordine amministrativo, il comando e il divieto, gli atti generali quali bandi di gara, bandi di concorso e gli atti ablativi, di cui l’esempio più conosciuto è l’esproprio. Gli Accordi di Programma Sempre in virtù del principio di separazione fra politica e amministrazione il sindaco non è titolato a stipulare contratti per il Comune, mentre può stipulare i “famigerati” – data la loro natura politica – accordi

di programma. Gli accordi di programma vengono stipulati quando alcune opere, interventi o programmi di intervento, richiedono l’azione integrata e coordinata di Comuni, Province, Regioni, amministrazioni statali e di altri soggetti pubblici, o comunque di due o più soggetti. Attraverso questo tipo di accordi vengono normalmente approvati progetti di opere pubbliche comprese nei programmi di amministrazione e per i quali i finanziamenti dovrebbero essere “immediatamente realizzabili”. L’approvazione dell’accordo di programma comporta la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza delle opere (che tuttavia cessa di avere efficacia se le opere non hanno avuto inizio entro tre anni). L’accordo determina le eventua-

li e conseguenti variazioni degli strumenti urbanistici e sostituisce il permesso a costruire. Se l’accordo comporta una variazione degli strumenti urbanistici, l’adesione del Sindaco deve essere ratificata dal Consiglio Comunale entro trenta giorni, a pena di decadenza. Proprio gli accordi di programma, data la loro natura pluriennale e la loro capacità di modificare il territorio sono una di quelle procedure in cui i cittadini chiedono di essere maggiormente coinvolti.


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il mio Comune?

poteri, il rapporto con la Giunta sebbene in realtà non sia prassi così comune illustrare al Consiglio, e di conseguenza anche ai cittadini, le motivazioni che portano a decidere su ruoli chiave nel governo municipale. Il potere di Revoca Veniamo ora ad un punto ancora più dibattuto: il potere di revoca. Il Sindaco, come anche il Presidente della Provincia, può revocare in qualsiasi momento il mandato di ciascuno degli assessori, che rispondono in primo luogo a lui del loro operato. Viene spontaneo pensare che una decisione del genere andrebbe almeno motivata davanti al Consiglio, anche perché esso non è chiamato a votare per ratificarla. Così facendo si renderebbe pubblico l’iter che ha portato alla revoca, assicurando la trasparenza dell’operato del primo cittadino e permettendo di accertar-

ne la correttezza. Ma su questo aspetto, sebbene la maggior parte della magistratura concordi, non vi è unanimità. E se la decisione del Sindaco fosse arbitraria? Non dovrebbe essere così, ma è un’eventualità che non si può escludere a priori. Tradotto in termini tecnici, si tratta di capire se questa decisione può essere “sottoposta al sindacato di legittimità” e, di conseguenza, annullata in sede legislativa. Anche in questo caso sono state emesse sentenze discordanti, ma il parere del Consiglio di Stato, il massimo organo di giustizia amministrativa, è che l’atto di revoca sia impugnabile di fronte al giudice amministrativo.

Per fortuna, verrebbe da dire, anche alla luce di quanto è successo in Puglia, dove un assessore si è visto estromesso dalla Giunta per essersi opposto all’approvazione di una variante urbanistica che avrebbe comportato l’abbattimento di alcuni locali di valore artistico e culturale. Il T.A.R. di Lecce ha sospeso il provvedimento sottolineando che gli impegni politici presi dal sindaco “al di fuori di sedi istituzionalmente competenti” non possono comprometterne l’imparzialità. Decisione significativa che pone altri due problemi. Primo: alla luce delle leggi in corso, il Sindaco non perde il potere di nomina e revoca de-

Il Consiglio Comunale può opporsi alla revoca degli assessori solo con metodi estremi

gli assessori, anche se prende decisioni non imparziali. Secondo: il Consiglio Comunale, per opporsi a decisioni che ritiene scorrette, perché magari non mirano al perseguimento del bene pubblico ma, ad esempio, sono determinate dall’ingerenza di poteri forti, non ha molte possibilità. Può solo ricorrere alla soluzione estrema di presentare una mozione di sfiducia nei confronti del Sindaco che, se viene approvata, porta allo scioglimento dell’intero Consiglio. È sicuramente vero che i cittadini possono esercitare il proprio controllo democratico attraverso il voto in sede elettorale, “punendo” comportamenti scorretti. Ma è altrettanto chiaro che correggere i meccanismi che regolano alcuni fra i maggiori poteri del sindaco, quelli di nomina e revoca, sarebbe quantomeno ragionevole.

Giunta e Consiglio: cosa sono e cosa fanno

Il testo unico sugli enti locali stabilisce le funzioni degli organi di governo

I due principali organi di governo della comunità hanno ruoli precisi, stabiliti dalla legge e in particolare dal Testo Unico sull’ordinamento degli Enti Locali (D. lgs n°267 del 2000). Compito primario della Giunta è collaborare con il sindaco al governo del comune e all’attuazione degli indirizzi generali del Consiglio, senza però “usurparne le funzioni”. La Giunta è composta dai vari assessori, ciascuno dei quali con una o più deleghe relative a settori specifici. Il Consiglio comunale è invece l’organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo del comune. Tra le principali materie di competenza del Consiglio ci sono lo statuto dell’ente, il bilancio, il conto consuntivo, il piano regolatore generale, il piano delle opere pubbliche, le convenzioni tra gli enti locali, la costituzione di istituzioni e aziende speciali, la concessione dei pubblici

servizi, partecipazione dell’ente locale a società di capitali, affidamento di attività o servizi mediante convenzione. Anche la definizione dei compiti e delle norme che regolano le forme di decentramento e di partecipazione rientra nelle sue competenze. La legge prevede che le sedute del Consiglio siano pubbliche tranne nei casi in cui gli argomenti trattati possono ledere la riservatezza delle persone. Anche il voto dei consiglieri è, di regola, palese, ad eccezione dei casi in cui coinvolge persone. Infine i consiglieri hanno diritto di iniziativa su ogni questione sottoposta alla deliberazione del consiglio e hanno diritto di richiederne la convocazione, oltre quello di ottenere dagli uffici comunali, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso. Sono tenuti al segreto solo nei casi specificamente determinati dalla legge.

COSA SONO LE CIRCOSCRIZIONI

Le Circoscrizioni sono gli organismi di partecipazione, consultazione e gestione dei servizi di base più vicini ai cittadini. Vengono istituite dal Comune con competenza su un territorio comprendente uno o più quartieri o frazioni contigui. Sono obbligatorie se la popolazione di un Comune supera i 250.000 abitanti e facoltative se si attesta fra i 100.000 e i 250.000, fermo restando che la popolazione media di una Circoscrizione non deve essere inferiore ai 30.000 abitanti. I suoi organi istituzionali sono il Consiglio di Circoscrizione, eletto contestualmente al Consiglio Comunale a suffragio diretto, e il Presidente, che in alcuni comuni è eletto da e fra i membri del Consiglio Circoscrizionale, in altri direttamente dagli elettori. Le Circoscrizioni sono state introdotte nel 1976 per accogliere le istanze di decentramento espresse dai Consigli di Quartiere, organismi spontanei sorti alla fine degli anni ‘60. Le loro funzioni variano da Comune a Comune ma generalmente comprendono: servizi demografici, sociali e scolastici; attività culturali, sportive e ricreative; manutenzione urbana e disciplina dell’edilizia privata. I loro poteri nei confronti del Consiglio Comunale sono essenzialmente consultivi e d’iniziativa; questo significa che le loro decisioni non sono vincolanti.


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DestinAzione? Forlì! Intervista a Raffaella Pirini, candidata sindaco della lista civica, fra partecipazione e ambiente la riduzione dei consumi. Abbiamo anche coinvolto direttamente alcune persone che ci erano vicine, mentre altre “esterne” si sono proposte autonomamente quando abbiamo presentato la lista. Il nostro programma è assolutamente aperto ad idee e contributi, ovviamente vagliati secondo i nostri principi etici, che raccogliamo attraverso il sito (www.destinazioneforli.it) e durante gli incontri con i cittadini. è incredibile come le persone si stupiscano di trovare finalmente ascolto. Loro ne hanno bisogno e noi abbiamo buon orecchio.

RAFFAELLA PIRINI Pur risiedendo a Durazzano, in località Borgo Sisa, ha sempre considerato Forlì la sua città di riferimento. Diplomata presso il Liceo Classico Morgagni, è poi diventata medico veterinario. È stata fino a poco tempo fa presidente dell’associazione ClanDestino, che si occupa di problemi ambientali e tutela della salute. Raffaella Pirini con altri candidati della lista civica DestinAzione Forlì

Forse non è così vero che i cittadini sono stanchi di partecipare. Perché quando li coinvolgi veramente nelle scelte cruciali, essi rispondono con grande entusiasmo. è quello che emerge dall’esperienza di DestinAzione Forlì, la lista civica che ha fatto della partecipazione cittadina oltre che un punto del proprio programma anche una vera e propria regola interna. Partecipazione, Ambiente, Energia Pulita, Cultura e Solidarietà sono i grandi temi inseriti nel programma della lista. Abbiamo intervistato Raffaella

Pirini, la candidata sindaco, che è stata in prima linea con l’associazione Clan-Destino (vedi articolo sotto) per la battaglia contro l’inceneritore di Forlì. Perché una lista civica a Forlì? Volevamo portare avanti delle idee per una gestione della città diverse da quelle che sono state sostenute finora, per questo abbiamo deciso di impegnarci in prima persona. Ma prima di scendere in campo avete provato ad avere un confronto con altri partiti, ad esempio sulla raccolta differenziata

porta a porta che richiedete insistentemente? Certo, abbiamo cercato di creare dei canali di dialogo, ma quanto emerso dai confronti avuti non è coerente con le idee che proponiamo. Dal programma si capisce che la partecipazione dei cittadini per voi è essenziale. È diventato anche un metodo di lavoro? Sicuramente. Ne è un esempio la stessa creazione di DestinAzione Forlì, avvenuta attraverso il passa parola fra persone già sensibilizzate sui temi della democrazia partecipata, dell’ambiente e del-

Spiegaci sinteticamente su cosa si fonda il vostro programma, com’è la Forlì che vi immaginate. Il nostro programma si fonda sul buon senso applicato alla vita della comunità. Si parte dal rispetto dell’ambiente e dalla salute, declinati nella riduzione del consumo di territorio e degli sprechi. Tutto questo per aumentare il benessere e la salute dei cittadini. La tutela dell’ambiente può funzionare anche da volano per l’economia. Si possono potenziare tutti quei settori non ancora sfruttati: risparmio energetico, idrico, produzione di energie rinnovabili, imprenditoria dedicata al riciclaggio dei rifiuti e al recupero delle materie prime.

Un esempio concreto? Tanto per cominciare affidare ad una Esco (Società che realizzano gli interventi tecnici per il risparmio energetico a proprie spese, ripagandosi il costo dell’investimento con una quota del risparmio effettivamente conseguito grazie all’intervento, N.d.R.) la riqualificazione di tutti gli immobili del Comune. Tutta la gestione del verde urbano dovrebbe essere ripensata, coinvolgendo le attività dei quartieri e affidandola a delle cooperative che favoriscono il reinserimento lavorativo di persone svantaggiate, mentre della gestione del suolo pubblico se ne potrebbero occupare gli anziani. Crediamo inoltre che si debbano favorire le attività del centro storico attraverso azioni congiunte con i commercianti, evitando i grandi accentramenti come l’Iper, che non portano sicuramente ricchezza a livello locale. In che cosa vi distinguete dagli altri? Siamo estranei ai poteri forti che governano la città, di qualsiasi tipo essi siano. Ma, soprattutto, siamo animati dalla gioia di vivere e facciamo quello che ci piace fare.

Per maggiori informazioni visita il sito www.destinazioneforli.it

Dalle proteste alle proposte: storia di un comitato

Siamo ClanDestini per necessità DestinAzione Forlì è una lista civica che ha alle spalle anni di battaglie e mobilitazioni dei cittadini. La sua storia comincia quando, nel 2001, su un quotidiano locale compare un trafiletto in cui si annuncia la possibile costruzione di una centrale termoelettrica da 800 MW al confine fra la provincia di Forlì e Ravenna, nei pressi di Borgo Sisa. I terreni sono già picchettati, ma la popolazione locale non ne sa nulla. Come mai? Se lo chiedono un gruppo di persone che cominciano ad informare la comunità locale e ad organizzare un incontro a cui partecipano tantissime persone, fra i quali, anche il professore di diritto ambientale Gianni Tamino, che diventerà un fondamentale referente per il comitato Clan-Destino. Che

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nasce proprio per opporsi a questo progetto, spiega Michela Nanni, attuale vice presidentessa, “di cui il territorio non aveva bisogno”. E per opporsi al modo in cui la cittadinanza viene trattata quando si devono prendere scelte di questo tipo. “Uno dei promotori della centrale ci aveva detto, senza sapere chi eravamo, che solitamente si scelgono luoghi così isolati per incontrare minore resistenza nella popolazione”. I membri di Clan-Destino si rendono

conto che non basta dire no, bisogna motivare e proporre delle soluzioni alternative. E attivare i cittadini. Presto fatto: in un mese vengono raccolte 12.000 firme; si organizzano spettacoli con Beppe Grillo e Dario Fo. E la battaglia viene vinta. Nel 2002 il Comune delibera parere negativo sulla centrale. Le iniziative però continuano. “Man mano che conosci le cose è sempre più difficile chiudere gli occhi perché si acquisisce una sensibilità maggiore – spiega

la Nanni. Così abbiamo fatto rete con gli altri comitati e coordinato la ‘Rete No Centrali’ alla fiera Terra Futura di Firenze del 2003”. Si continua, comunque, a cercare il dialogo con le istituzioni. A questo proposito viene organizzato un incontro sulle Esco (vedi pagina 12 e 13), a cui sono invitati il Presidente della Provincia, il suo assessore all’ambiente, oltre a quelli di tutti i Comuni delle provincia di Forlì, Cesena e Ravenna, come anche i loro sindaci. Se ne presenta uno soltanto. “Il dialogo è sempre più a senso unico”, continua Nanni, “come testimonia la protesta contro l’inceneritore di Forlì” (vedi pagina 22). Da qui la decisione di alcuni membri di Clan-Destino di far nascere, assieme ad altre associazioni, la lista DestinAzione Forlì.

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Cesena a 5 stelle

Zero rifiuti, connettività a Internet per tutti e mobilità dolce NATASCIA GUIDUZZI

Nata e cresciuta a Cesena. Sposata da 12 anni, lavora come dipendente in una grande azienda del territorio cesenate che trasforma e commercializza prodotti ortofrutticoli. Diplomata in ragioneria, fa parte del Meetup “Cesena S’Ingrilla - Amici di Beppe Grillo” di cui è l’animatrice. Ha accettato la sfida lanciata da Beppe Grillo di formare nel comune di Cesena una lista Civica 5 Stelle e negli ultimi mesi si è adoperata per rendere possibile questo progetto. Le liste civiche a 5 stelle arrivano anche a Cesena. La candidata sindaco di “Cesena a 5 stelle”, Natascia Guiduzzi, 38 anni, spiega che quelle di “Cesena a 5 stelle” sono proposte semplici e di buon senso, ma non semplicistiche, come invece accusano alcuni. Nel programma della lista trovano spazio soprattutto il tema dei rifiuti, del risparmio energetico, della mobilità e della connettività ad internet, dove si trova “il futuro dell’informazione”. Si punta alla strategia “rifiuti

zero”, che prevede la graduale scomparsa dei rifiuti dalle nostre vite, attraverso una sempre minore produzione di scarti, raccolta differenziata porta a porta e riciclo. Coerente a questo obiettivo è la mobilità “dolce” che ha in mente “Cesena a 5 Stelle”: si percorrono i piccoli tragitti a piedi o in bicicletta, quindi sì a nuove piste ciclabili, oppure in autobus, per ridurre il numero di macchine in circolazione e di conseguenza anche l’inquinamento. A proposito di mezzi pubblici Guiduzzi pro-

pone anche l’uso di “software che permettono di organizzare il percorso di un mezzo pubblico in base alle esigenze dei cittadini, comunicate via sms” (da un’intervista a romagnaoggi.it). Per quanto riguarda la gestione del ciclo dell’acqua, la lista chiede che Hera, l’azienda che ce l’ha in appalto, torni ad essere di proprietà pubblica, perché una società per azioni tende a fare gli interessi dei suoi azionisti privati piuttosto che offrire un servizio pubblico. Lo dimostrerebbe il fatto che in estate l’acqua della sorgente di Ridracoli finisce nei parchi acquatici della riviera, mentre dai rubinetti dei cesenati esce l’acqua dei pozzi. Sul tema dell’immigrazione la lista “Cesena a 5 stelle” ha un atteggiamento aperto. Si è recentemente dichiarata favorevole alla costruzione di una moschea a Cesena, pur “nel rispetto delle leggi italiane, con finanziamenti leciti e trasparenti”. Guiduzzi ha affermato inoltre che è necessario tornare a parlare di immigrazione mantenendo un atteggiamento equilibrato, ricordandosi che ci sono molti immigrati che vivono in Italia rispettando le leggi e cercando di integrarsi. A fianco il programma dettagliato della Lista.

CONNETTIVITÀ • garantire gratuitamente l’accesso a internet nelle sedi comunali, nelle scuole, ecc. • pianificare l’accesso a internet nel territorio comunale attraverso la tecnologia Wi-Max • consentire ai cittadini di accedere alle informazioni sull’operato del proprio Comune MOBILITÀ • migliorare la qualità (efficienza e salute) del servizio dei mezzi pubblici • razionalizzare la gestione del traffico urbano e delle risorse da esso derivate • incoraggiare la conversione delle auto da benzina/diesel a metano ACQUA • promuovere l’utilizzo dell’acqua pubblica per l’uso potabile • aumentare il numero di punti di prelievo e la frequenza delle analisi dell’acqua • inserire in bolletta e diffondere via internet i dati sulla qualità dell’acqua • ottimizzare il prelevamento dai pozzi e la miscelazione dell’acqua • pianificare il riutilizzo dell’acqua piovana per l’irrigazione del verde cittadino • pianificare la progressiva sostituzione delle tubature in amianto

RIFIUTI • programmare la raccolta differenziata domiciliare, cosiddetta “porta-a-porta” • limitare gli imballaggi aumentandone il riciclo • effettuare la raccolta differenziata in tutte le scuole, centri sportivi, cinema, ecc. • pianificare la costruzione di moderni centri di riciclo dei rifiuti SVILUPPO • favorire le imprese e i produttori locali • consentire ai produttori agricoli locali di vendere direttamente ai consumatori • creare spazi dove poter far incontrare domanda e offerta

ENERGIA • favorire la costruzione di edifici a basso consumo di energia • promuovere la realizzazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili • introdurre una certificazione comunale sul risparmio energetico dell’immobile • stendere un piano per la riqualificazione energetica degli edifici pubblici • favorire il recupero di edifici civili già esistenti e di aree industriali dimesse.

Esclusi i condannati penali e i protagonisti della politica

Le liste a 5 stelle di Grillo Il movimento delle liste civiche in Italia è stato sicuramente alimentato dall’indignazione di Beppe Grillo verso la corruzione, il malgoverno e gli scandali del nostro paese. Il suo visitatissimo blog – 300.000 accessi al giorno – è stato la spinta propulsiva che ha fatto nascere i meet-up, siti internet che permettono la condivisione e discussione di temi di interesse comune, più o meno gli stessi trattati da Grillo nel suo spazio virtuale. Quali? Commercio equo, finanza etica, libera informazione, democrazia partecipativa, gestione dei rifiuti, inquinamento, salute, acqua e diritti naturali. Per dare un riscontro pratico alla volontà «di tornare ad avere l’aria pulita, l’acqua, l’energia del sole e della terra, la tranquillità

e la salute e tutti gli altri elementi inalienabili di ogni persona», alcuni membri di diversi meet-up locali – esiste infatti un meet-up a Bologna, uno a Forlì, uno a Cesena e così via – assieme ad altri soggetti che ne condividevano l’orientamento, danno vita nel 2007 ad alcune liste civiche. L’obiettivo è influire direttamente sulle decisioni pubbliche dei vari consigli comunali, partendo dal presupposto che i “Comuni decidono della vita quotidiana di ognuno di noi”. Sulla base di queste prime esperienze, a marzo del 2009 Grillo invita tutti i meet-up locali a formare liste civiche per candidarsi alle elezioni comunali. In una riunione tenutasi a Firenze tutti i soggetti interessati a questa nuova sfida fissano

i principi fondanti a cui le liste civiche saranno tenute ad attenersi per ottenere la certificazione di Grillo e diventare così liste a cinque stelle (ad oggi 60). Innanzitutto i candidati di queste liste non devono avere sentenze di condanna in sede penale e non devono essere iscritti a nessun partito. La loro attività politica dovrà poi rispettare la Carta di Firenze, 12 punti fondamentali a proposito di acqua, ambiente, trasporti, sviluppo ed energia, scaturiti sempre dall’incontro tenutosi nel capoluogo toscano.

La Carta di Firenze

ua. Primo: proprietà pubblica dell’acq obbligatori ione uraz dep di i iant imp Secondo: impianun a per ogni abitazione non collegabile unali com enti to fognario, contributi/finanziam ati. priv per impianti di depurazione . Terzo: espansione del verde urbano izie solo per edil nze lice di Quarto: concessioni ci civili o per demolizioni e ricostruzioni di edifi industriali cambi di destinazione d’uso di aree dimesse. i non inquiQuinto: piano di trasporti pubblic . dine citta bili nanti e rete di piste cicla bili. disa i per ilità Sesto: piano di mob i residenti nel Settimo: connettività gratuita per Comune. i di telelavoro. Ottavo: creazione di punti pubblic Nono: rifiuti zero. ovabili con Decimo: sviluppo delle fonti rinn li. una com enti contributi e finanziam Undicesimo: efficienza energetica. locali. Dodicesimo: favorire le produzioni


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[Adotta il posto in cui vivi, il tuo quartiere, la tua frazione, la tua città]

“Oggi decidiamo noi”: La rinascita dei Comuni passa attraverso la democrazia tuzionali. Promuovere processi di partecipazione ha quindi una forte valenza pratica e democratica. Essi permettono di riappropriarsi dal basso di un potere decisionale che altrimenti rischia di diventare completamente scollegato dagli interessi reali della comunità.

Partecipazione, democrazia diretta, bilancio partecipativo. Parole entrate oramai a far parte del linguaggio comune e che in tempo di elezioni sentiamo nominare ancora più spesso. Il principio della partecipazione è semplice, a livello teorico, e non sarebbe neanche così difficile a livello pratico, se i politici non se ne volessero appropriare solo per conquistare voti, come spesso succede, ignorando poi all’atto concreto le iniziative e le scelte dei cittadini.

Che cosa prevede? Il principio della partecipazione prevede che le decisioni sulle spese pubbliche e sulla gestione di beni e servizi rivolti alla comunità vengano discusse insieme da amministratori pubblici e cittadini, che conoscono meglio di chiunque altro i propri bisogni e il modo in cui soddisfarli. La partecipazione è diventata oramai, in molti Paesi del mondo, un strumento fondamentale per proteggere i diritti dei cittadini, soprattutto a livello locale.

È sotto gli occhi di tutti che le dinamiche di gestione del potere globale fanno sempre più pendere l’ago della bilancia dalla parte di forze economiche esterne alla vita dei cittadini. Forze economiche che non sono nate da processi decisionali democratici e che non hanno come obiettivo principale il conseguimento del bene collettivo. Gli stessi partiti sono sempre più un semplice canale attraverso cui far passare decisioni prese al di fuori delle sedi isti-

Democrazia diretta e democrazia rappresentativa Spesso si sente dire che democrazia diretta e democrazia rappresentativa sono due realtà fra loro inconciliabili, ma non è così. Per usare le parole di Thomas Benedikter, ricercatore sociale da anni impegnato in un’iniziativa per ottenere la democrazia diretta nella Provincia di Bolzano, “sono le due gambe di una democrazia moderna e compiuta”. La democrazia diretta non

intende sostituire quella rappresentativa, ma semplicemente desidera integrarla. Soprattutto di questi tempi, caratterizzati da una forte sfiducia nei confronti dei tradizionali meccanismi di rappresentanza, in cui i cittadini si sentono frustrati di fronte allo strapotere della classe politica. Di conseguenza i partiti continuano a subire un calo di iscritti mentre l’indifferenza generale cresce. Occorre quindi avvicinare la comunità alle decisioni che la riguardano. Chi si oppone alla democrazia diretta affermando che costerebbe troppo, non tiene conto di particolari che non si possono affatto trascurare. Il costo della politica è oggi altissimo, soprattutto a causa degli sprechi diffusi e degli stipendi dei politici di professione. Riducendo

In Italia non si possono fare referendum su tasse e imposte

Nelle vicine Marche, un modello virtuoso da imitare

Il bilancio partecipativo di Grottammare Grazie agli strumenti della democrazia diretta, raggiungere un accordo condiviso è possibile e facile Strumento principe della democrazia diretta è il bilancio partecipativo. Questa forma di partecipazione può essere realizzata dividendo la città in circoscrizioni o quartieri e organizzando riunioni pubbliche in cui ogni gruppo è chiamato a identificare i propri bisogni e a stabilire priorità in vari settori (ambiente, educazione, salute). Alle riunioni partecipano anche i rappresentanti di varie categorie professionali e lavorative, oltre a quelli degli enti locali. Alla fine ogni gruppo presenta le proprie proposte all’Ufficio di pianificazione, il quale compila un progetto di Bilancio, che deve poi essere approvato dal Consiglio comunale. Grottammare, un comune di circa 20.000 abitanti in provincia di Ascoli Piceno, sta sperimentando da più di 10

anni un processo di partecipazione che sta dando ottimi risultati e che dimostra come realizzare forme di partecipazione reali è davvero possibile. Due gli elementi di forza di questa esperienza: le forme di organizzazione e le fasi in cui è stato diviso il processo di partecipazione. Gli abitanti di Grottammare si riuniscono sia in assemblee di quartiere che in comitati. Mentre le prime vengono convocate prima della redazione del Bilancio annuale, i secondi sono permanenti e hanno il compito di seguire lo stato di attuazione delle richieste della comunità. Grazie a questa forma di partecipazione, gli abitanti di Grottammare hanno la possibilità di esprimersi in merito a diversi tipi di intervento, da quelli che richiedono una spesa esigua a quelli che invece

La maggioranza degli interventi richiesti dai cittadini sono a basso costo incidono in maniera rilevante sul Bilancio del Comune. Per controbattere a chi afferma che nelle casse comunali normalmente non ci sono i soldi per accontentare i cittadini, riportiamo quanto emerso dall’esperienza di Grottammare: in questi anni è stato dimostrato che le richieste della comunità non sono inaffrontabili, visto che circa il 60% di esse sono a basso costo, il 23% ha un costo intermedio e solo il 9% è ad alto costo. Chiedere alla comunità di

proporre e votare le esigenze emerse permette di arrivare a soluzioni più condivise: in questo modo anche chi non ha visto realizzato il “proprio” intervento è consapevole che è stata la propria comunità a decidere e non qualche amministratore, magari sulla base di un ordine di priorità che non rispecchia le esigenze dei cittadini. L’adozione del bilancio partecipativo a Grottammare ha inoltre permesso di sviluppare almeno altri due aspetti “virtuosi”. Prima di tutto la popolazione locale sembra aver allargato, nel corso del tempo, il proprio orizzonte, per cui si è passati da una predominanza di interventi riguardanti “il proprio orticello” (leggi: strada davanti a casa o quartiere) ad un maggior numero di richieste di più ampio respiro che coin-

volgono l’intera collettività. Merita inoltre una menzione particolare il caso di due quartieri che nei primi anni di sperimentazione sono stati i protagonisti assoluti delle assemblee, presentando regolarmente moltissime richieste. Perché? Perchè erano quelli con più problemi da risolvere: alto tasso d’immigrazione in assenza di politica sociale, inadeguata pianificazione territoriale, assenza di spazi aggregativi. In questi quartieri la partecipazione popolare ha permesso di azionare meccanismi di inclusione sociale determinanti per uno sviluppo equilibrato del territorio: grazie all’intervento diretto dei cittadini che vi abitano, oggi queste aree non hanno nulla da invidiare a realtà più centrali o storicamente strutturate.


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il piacere di partecipare diretta. Falsi ostacoli, molti vantaggi ed esempi da seguire questi costi gli strumenti della democrazia diretta, come per esempio il referendum, risulterebbero facilmente finanziabili. Il referendum in Italia: uno strumento a metà! L’iniziativa popolare del referendum, nella sua versione “estesa”, prevede che i cittadini possano presentare una proposta di legge al Parlamento, oppure proporre di modificare o abrogare una legge esistente. Se il Parlamento non accetta la richiesta, il quesito passa direttamente al voto referendario. Questo è quello che succede in Svizzera. In Italia invece i cittadini possono sì presentare una proposta di legge, ma i parlamentari possono deliberatamente decidere di ignorarla. I cittadini italiani hanno minore spazio d’azione anche su altri versanti. Non possono, ad esempio, votare per confermare o bocciare una legge prima della sua entrata in vigore come suc-

cede, ancora una volta, in Svizzera. Il “referendum confermativo”, infatti, è previsto dalla legge solo per modifiche alla Costituzione e solo nel caso in cui queste modifiche non siano state approvate da due terzi del Parlamento. La democrazia diretta in pratica A questo punto ci si potrebbe chiedere come, a livello locale, gli strumenti della democrazia diretta possano risultare utili a governare efficacemente. È presto detto. Basta prendere ad esempio alcuni casi concreti. Immaginate una situazione tipo. Abitate in una città italiana dove le autorità cittadine stanno per spendere una somma considerevole per acquistare le opere di un artista locale di fama internazionale. Lo scopo è dare lustro alla città e potenziare il circuito del turismo legato all’arte. Contemporaneamente però alcuni abitanti protestano sui giornali locali

perché dicono che l’ospedale ha bisogno di rinnovamento ed è meglio spendere i soldi nella struttura sanitaria. Dilemma irrisolvibile? Assolutamente no. Almeno, per quei cittadini che hanno a disposizione gli strumenti giusti. Come quelli utilizzati da alcuni cittadini svizzeri a Riehen (20.000 abitanti) che hanno costituito un comitato e raccolto le firme, che fra l’altro in questo stato non devono essere autenticate, per mettere a referendum questa scelta. Si discute appassionatamente della cosa, si forma un comitato favorevole e uno contrario. La questione viene sviscerata in ogni suo aspetto: economico, culturale, turistico, artistico e di sviluppo futuro. Il giorno del referendum arriva e la gente decide a maggioranza che è meglio spendere i soldi

per l’ospedale. Gradualmente le passioni sbolliscono, perché il procedimento attraverso il quale si è giunti a questa decisione è stato veramente democratico e i cittadini hanno avuto la possibilità di decidere in prima persona. Anche in Italia si muovono i primi passi verso una maggiore partecipazione popolare: in Valle d’Aosta, dove nel 2007 si è svolto il primo referendum propositivo in assoluto; in Sudtirolo, dove nel 2009 si voterà su una legge d’avanguardia a favore della democrazia diretta; in Toscana, che nel 2008 ha istituito una serie di nuove forme di consultazione dei cittadini. Questo perché, è bene ricordarlo, anche a livello comunale e provinciale è possibile indire un referendum, sia di tipo

In Svizzera, dov’è possibile, il debito pubblico è in calo

abrogativo che consultivo. Anche se, però, i referendum provinciali e comunali sono sottoposti alle normative, più o meno restrittive, stabilite dalle singole amministrazioni, negli statuti e nei regolamenti attuativi. Pur essendo un importante strumento di azione popolare, dei comitati civici e della società civile, i referendum vengono sempre più spesso “neutralizzati” da regolamenti o modificati di volta in volta dalle singole amministrazioni che ne temono gli eventuali risultati. Il fatto che le amministrazioni locali non siano obbligate a tenere in considerazione i risultati dei referendum non significa che non possano farlo, ma che forse non ne hanno intenzione. Una riflessione forse scontata ma quanto mai attuale in tempo di consultazione elettorale, in occasione della quale molti candidati promettono ai cittadini di coinvolgerli nel processo decisionale. Manterranno le promesse?

Cresce il fenomeno delle liste civiche

Cosa vogliono? Democrazia partecipata prima di tutto Gli italiani amano la loro terra e vogliono impegnarsi per renderla più bella, pulita e accogliente. Per questo, quasi in ogni Comune, stanno fiorendo liste civiche locali per rimediare a decine di anni di incompetenza, inefficienza e corruzione collegabili ai partiti politici nazionali di destra, centro e sinistra. Si tratta di un fenomeno politico importante, che rispecchia la profonda insoddisfazione dei cittadini verso la classe politica al governo nei Comuni, nelle Regioni e in Italia. Che cos’è una lista civica? “Una lista elettorale presentata alle elezioni amministrative, autonoma rispetto ai partiti tradizionali, con un programma che mira ad affrontare e risolvere i problemi locali” (dal dizionario Garzanti). Le liste civiche sono uno strumento della democrazia partecipativa, e hanno l’obiettivo di aumentare il potere decisionale e la partecipazione dei cittadini alle scelte pubbliche. Le liste civiche sono organizzazioni po-

litiche di tipo nuovo, libere ed aperte a tutti, a dimensione locale e anche sovracomunale, in rete con altre organizzazioni simili. Chi partecipa a una lista civica è coinvolto nelle decisioni sia strategiche che operative e definisce gli obiettivi comuni, centrati sulla valorizzazione e la conservazione del patrimonio culturale ed economico locale. I candidati della lista sono delegati al servizio dei cittadini e non rappresentanti dei partiti, quindi la lista civica è un’organizzazione politica indipendente e alternativa ai partiti tradizionali (fonte: www.listeciviche.org). I modelli di riferimento a cui si ispirano molte liste civiche sono vari. Si va dalla Svizzera, in cui i principali strumenti di democrazia diretta sono l’iniziativa legislativa popolare e il referendum, agli Stati Uniti, e più precisamente al New England, dove il town meeting – in cui il potere di governo non è delegato, ma esercitato direttamente e con cadenza regolare da tutta la popolazione – esiste da

più di due secoli ed è spesso citato come la forma più pura di democrazia diretta. Per arrivare a Porto Alegre dove l’esperienza partecipativa è stata realizzata coinvolgendo i cittadini nelle scelte relative al bilancio comunale, esperimento replicato anche in alcune città italiane, fra cui Grottammare (vedi pag. 8-9). Il fenomeno è molto ampio e ha scatenato un dibattito anche all’interno della sinistra, o almeno di una parte di essa, che ha cominciato a riconoscere la necessità di superare l’attuale sistema elettorale meramente rappresentativo e di delega “in bianco” ai partiti tradizionali. Perché spesso, quando ci si disinteressa della cosa pubblica, questa ci viene sottratta. Il confronto su questi temi è molto vivo ed è visibile soprattutto su vari forum presenti sul web, dove si trovano testimonianze di quanto è già stato fatto e di quanto si sta facendo: www.verademocrazia.it/nuovo; www.listapartecipata.it, www.nuovomunicipio.org; www.democraticidiretti.org.

Foto di gruppo della lista civica DestinAzione Forlì


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[Adotta il posto in cui vivi, il tuo quartiere, la tua frazione, la tua città]

Anche a Lugo una valida lista civica

Tutela dell’ambiente, rifiuti zero e filiera corta gli obiettivi principali I cittadini richiedono a gran voce di essere coinvolti nelle scelte che riguardano il territorio. E quando si sentono esclusi si organizzano in comitati. E se neppure così vengono ascoltati creano liste civiche e si candidano alle elezioni. “Lugo si sta riempiendo sempre più di centri commerciali, palazzi e banche. Non so dove andranno i miei figli quando saranno grandi, perché non ci sono spazi aggregativi. In Comune dicono che la città è piena di verde. Ma la sanno la differenza fra un giardino ed un parco?”. A parlare è Alessandra Bellini, infermiera di professione e candidata sindaco della Lista dei Comitati di Lugo, nata, appunto, dall’unione di vari comitati attivi sul territorio lughese.

biente. “A Lugo ci sono un’infinità di zone degradate: se ci fosse così bisogno di costruire, si potrebbero sfruttare queste aree. Io credo che sarebbe fondamentale, prima di tutto, spiegare a tutti cosa vuol dire costruire. Chiarire che tutte le spese di allacciamento, illuminazione ecc., ricadono poi sul Comune. Nuovi abitanti che necessitano di nuovi servizi, a cui deve far fronte sempre il Comune. Senza contare il fatto che siamo pieni di case sfitte, almeno 1400, pari al 10% del totale, e capannoni vuoti che testimoniano come la previsione di nuovi insediamenti sia completamente disancorata dalla realtà”. Molto più saggio, sostiene Bellini, puntare su di uno “sviluppo urbanistico inteso come trasformazione e recupero di quanto edificato, riconvertire entro il 2020 l’attuale patrimonio edilizio pubblico e privato sulla base

“Sarebbe utile chiarire ai cittadini cosa comporta costruire”

Stop all’urbanizzazione Ad unire le diverse realtà è l’opposizione alla politica urbanistica del Comune, alla lottizzazione del territorio, alla mancata salvaguardia dell’am-

di criteri di efficienza energetica, avvalendosi del contributo delle Esco (vedi pagine 12 e 13). Ristrutturare in senso ecologico richiede una certa tecnologia; è quindi anche un’opportunità per riqualificare il lavoro in questo campo e creare nuovi spazi di crescita”. Zero consumo del territorio, questo il motto, e massimo coinvolgimento dei cittadini attraverso gli strumenti partecipativi. Come? “Garantendo la trasparenza degli atti amministrativi attraverso gare on-line, rapide e al riparo da qualsiasi manipolazione esterna. Vorremmo inoltre che anche i redditi di tutti i dipendenti e amministratori degli enti locali fossero resi pubblici”.

“Le case sfitte testimoniano che nuovi immobili non sono necessari”

Rifiuti zero Altro punto saliente del programma della Lista è la “strategia rifiuti zero”, da perseguire con una gestione interamente pubblica e trasparente. “Il contrario di quello che si fa da noi con Hera, una società monopoli-

Alessandra Bellini Nata a Faenza, ma residente a Lugo fin dall’infanzia. Sposata, con due figli. Di professione infermiera, dipendente Ausl di Ravenna presso l’Ospedale di Lugo. Da quattro anni Presidente del Comitato Dernier Regard per la salvaguardia del Parco del Ponte delle Lavandaie e del Canale dei Molini a Lugo. sta, tesa solo a rimpinguare i propri profitti moltiplicando i rifiuti e cercando di bruciare tutto. Quindi via da Hera e gestione diretta, porta a porta e tariffa puntuale su tutto il territorio, coinvolgimento dei cittadini, dei negozianti e delle imprese a cominciare dalla politica di riduzione dei rifiuti, da una parte, e riciclo dall’altra. Infine promozione dell’acquisto ed uso dei beni riciclati, come peraltro vuole una legge sempre colpevolmente dimenticata”.

Filiera corta Infine, la Lista punta sulla filiera corta per rilanciare le attività locali e, coerentemente a questo obbiettivo, intende supportare la creazione di Gas, gruppi d’acquisto solidali formati da persone che si accordano per acquistare all’ingrosso prodotti, privilegiando i piccoli fornitori che operano rispettando l’ambiente e garantiscono eque condizioni di lavoro ai loro dipendenti.

A Lugo il corridoio ecologico intorno al Canale dei Molini rischia di scomparire

Banca e Comune contro l’ambiente? Sono ben sei i comitati che hanno dato vita alla Lista Civica di Lugo, tutti uniti in nome della difesa del territorio. Fra di essi vi sono il Comitato Dernier Regard (“Ultimo sguardo”) per la salvaguardia del ponte delle Lavandaie e del canale dei Molini; il Comitato Gruppo Aperto Lugo Est contro la lottizzazione palazzinara e per la tutela delle identità rurali della zona. Poi quello per la salvaguardia della salute contro l’inquinamento da radiazioni e quello dei cittadini di Voltana che hanno lottato contro l’ampliamento della discarica e contro la costruzione della centrale UNIGRA da 50 Mw. Alessandra Bellini racconta l’esperienza del Dernier Regard, che ha raccolto ben 2000 firme, pari ad un terzo degli abitanti del quartiere dove si trova il Ponte delle Lavandaie, per opporsi a quella che ritengono una speculazione edilizia in una delle zone di maggiore pregio paesaggistico di Lugo. Il canale dei Molini, la zona interessata dal piano strutturale del Comune, fa parte di un corridoio ecologico che è molto importante per la sopravvivenza di diverse specie animali e il mantenimento dei loro habitat.

“Oltre ad essere rimasti inascoltati siamo stati addirittura strumentalizzati. Ci hanno accusato di difendere la nostra proprietà e di non capire l’utilità del progetto”. Un progetto di edilizia popolare affermano il Comune e l’immobiliare che lo realizzerà, che permetterebbe di “dare casa a chi non ce l’ha”. Il Comitato, dal canto suo, sostiene che per questo scopo potrebbero benissimo essere sfruttati gli alloggi sfitti presenti sul territorio, “ma le nostre proposte non solo sono state bocciate, ma anche derise”, racconta Bellini. Questo non li ha scoraggiati però, spingendoli, anzi, a continuare ad indagare sulla questione, per vederci più chiaro. Scoprono così che “dell’immobiliare che dovrebbe costruire il nuovo lotto fa parte anche la Fondazione della Banca di Romagna – continua Bellini – ed è proprio la Banca di Romagna l’istituto bancario che concede prestiti a chi è intenzionato ad acquistare una casa costruita dal gruppo immobiliare. Appare chiaro quindi che gli interessi in gioco sono molti, e sono soprattutto espressione dei cosiddetti poteri forti”. Ciò non ha comunque scoraggiato il Comitato Dernier Regard che ha deciso di presentare ricorso al Tar.


BUONE PRATICHE 11

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I Comuni concedono nuove licenze edilizie allo scopo di incassare gli oneri di urbanizzazione e aumentare le entrate: in questo modo si devasta l’ambiente in cui viviamo e il nostro patrimonio paesaggistico

L’economia locale prospera e i cittadini vivono meglio con il recupero e la messa in sicurezza del patrimonio immobiliare esistente e inutilizzato, lo sviluppo delle aree verdi pubbliche e dei terreni agricoli.

Speculazione edilizia o tutela del territorio

La Romagna è una terra meravigliosa: ferma anche tu chi vuole distruggerla Che cos’è un Comune? Un insieme di cittadini su un territorio. Il nostro territorio siamo noi, dobbiamo averne cura, tutelarlo, salvaguardarlo e avere coscienza che ad esso è strettamente legata la nostra sopravvivenza. In ogni Comune le battaglie più accese si giocano sulla questione del territorio e dell’urbanizzazione: PRG e varianti urbanistiche sono le parole che si sentono spesso pronunciare all’insediamento di ogni nuova amministrazione. “Attorno ad una variante urbanistica – ha dichiarato Marco Boschini dell’associazione Comuni Virtuosi

in occasione del convegno “Stop al consumo del territorio” tenutosi lo scorso 24 gennaio a Cassinetta di Lugagnano – si giocano i soliti vizi della politica: le varianti urbanistiche vengono decise da pochissime persone chiuse in una stanza a seconda dell’amico costruttore di turno. In questo modo nel giro di trent’anni abbiamo distrutto il nostro paese”. Chi svolge un ruolo strategico nella partita urbanistica è il Comune. Purtroppo però i Comuni versano in

condizioni economiche precarie, che rendono molto difficile realizzare opere pubbliche e garantire i servizi indispensabili. Così si procede alla monetizzazione del territorio, un meccanismo deleterio che permette di finanziare i servizi ai cittadini con gli oneri di urbanizzazione, con l’edilizia. La quale però produce nuovi residenti, nuove attività e quindi nuove domande di servizi, e così via, con effetti devastanti sul nostro patrimonio paesaggistico e artistico, nonché sull’agricoltura.

Stop al consumo del territorio

Soluzioni? Non esistono ricette già pronte, ma proposte, come quella del “Movimen-

to Stop al Consumo del territorio (vedi il sito www.stopalconsumoditerritorio.it).

Partendo, prima di tutto, da una politica urbanistica improntata alla sobrietà, in cui le decisioni vengono prese assieme ai cittadini, vincolando pubblicamente gli amministratori al loro rispetto. Una politica urbanistica che punti a recuperare il patrimonio immobiliare esistente e inutilizzato invece di svendere il territorio attraverso le concessioni edilizie.

La tutela del territorio si sposa con le reali prospettive di crescita della comunità

Cassinetta di Lugagnano ci indica la strada Cassinetta di Lugagnano è un piccolo Comune di 1.846 abitanti, non per questo estraneo alle “mire espansionistiche” della vicina Milano, distante solo 26 km. è un esempio di soluzioni alternative ai problemi di urbanizzazione, di soluzioni condivise con la propria cittadinanza. Cassinetta ha approvato un piano regolatore a crescita zero, che non prevede nuovi insediamenti e che punta a mantenere il più possibile intatto il patrimonio agricolo. Come si è arrivati a questo? Attraverso un’approfondita analisi demografica, volta e determinare il realistico fabbisogno abitativo, a cui è pos-

sibile fare fronte attraverso il recupero puntuale degli edifici, la riconversione di aree produttive, il completamento delle aree già edificate. Parallelamente non verrà creata nessuna grande struttura commerciale, mentre verranno incrementate quelle medio-piccole e verrà potenziata la rete dei servizi. Per arrivare a questa decisione i cittadini hanno scelto fra due opzioni: finanziare la spesa corrente e gli investimenti con nuove lottizzazioni, oppure intervenire sulla fiscalità locale. I cittadini hanno deciso di preservare il proprio patrimonio ambientale, accettando un

aumento delle imposte. La macchina comunale, dalla sua, è costantemente impegnata nella ricerca di finanziamenti e nel ridurre le spese non indispensabili. Esempio? L’auto blu del Comune è una Panda Verde. C’è qualcosa di replicabile in questo modello? Forse non la crescita zero, almeno non ovunque, ma i principi di fondo sicuramente. Svincolare il futuro del territorio dalle esigenze di bilancio, pensare a cosa è giusto tutelare, puntare a minimizzare il consumo di suolo. Soprattutto, ricominciare ad ancorare il piano urbanistico a previsioni realistiche.


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BUONE PRATICHE

LA LEGGE COSA DICE?

[Adotta il posto in cui vivi, il tuo quartiere, la tua frazione, la tua città]

Energia: consumarne Le Esco, società di risparmio energetico, aiutano UN COMMITTENTE, PUBBLICO O PRIVATO, VUOLE EFFETTUARE UN INTERVENTO PER RIDURRE I PROPRI CONSUMI ENERGETICI

Il quadro normativo entro il quale si può muovere una pubblica amministrazione per stipulare contratti con la metodologia delle Esco è quello della legge Merloni, ed in particolare dell’articolo 37 bis. L’articolo definisce la procedura del project financing nella realizzazione delle opere pubbliche. Lo spiega molto chiaramente Maurizio Pallante, esperto di risparmio energetico, nel libro Un futuro senza energia? (Editori Riuniti). “Se una pubblica amministrazione vuole realizzare un’opera ma non ha in bilancio i soldi per farla, può accettare che venga costruita da un privato, lasciandogliene in cambio la gestione, e i proventi economici che ne derivano, per un numero di anni non superiore a trenta. Il procedimento amministrativo prevede che il privato presenti, praticamente a sue spese, il progetto dell’opera e il piano finanziario per ammortizzarne i costi. L’Ente lo pubblicizza e mette in bilancio, come rimborso delle spese di progettazione, una cifra pari al 2,5 per cento del valore dell’opera, invitando altri operatori a presentare, all’interno di quel budget, progetti e piani finanziari concorrenziali a quello ricevuto. Se, entro la scadenza fissata non ne riceve altri, l’incarico viene affidato al promotore. Se, invece, ne riceve di più vantaggiosi, il promotore ha comunque un diritto di prelazione purché si adegui all’offerta più bassa indicata dai suoi concorrenti. Fino ad ora questa procedura è stata utilizzata per costruire piscine o grandi opere infrastrutturali, ma calza a pennello per effettuare ristrutturazioni energetiche”.

SENZA IL FINANZIAMENTO TRAMITE TERZI INDIVIDUA I FORNITORI E DESTINA LE PROPRIE RISORSE FINANZIARIE PER REALIZZARE L’OPERA

CON IL FINANZIAMENTO TRAMITE TERZI INDIVIDUA UNA ESCO CHE PROVVEDE A RICERCARE SIA I FORNITORI CHE LE RISORSE FINANZIARIE

IL COSTO DELL’OPERA È TUTTO A CARICO DEL COMMITTENTE

IL COSTO DELL’OPERA È TUTTO A CARICO DELLA ESCO

La grave crisi economica che stiamo attraversando ha portato a focalizzare l’attenzione sui consumi, e in particolare sui consumi di energia. Le risorse di questo pianeta sono limitate, mentre gli sprechi sono diffusi. Anche in questo campo le pubbliche amministrazioni possono fare tanto, impegnandosi fin da subito in interventi di risparmio energetico, costituendo così un valido esempio da seguire anche per i cittadini. Come? Strano ma vero, senza indebitarsi e contemporaneamente facendo “girare” l’economia pulita. Vediamo in che modo, anche se è bene precisare fin dall’inizio che, purtroppo, il sistema

che andremo a descrivere deve ancora superare del tutto alcune difficoltà. Enti pubblici e risparmio energetico Esistono società, dal nome Esco (Energy Service Company) che, fin dal 2002, sono impegnate nella realizzazione di interventi volti a ridurre i consumi energetici. Come? Facendo un’accurata analisi di quelli che sono i fabbisogni e individuando i settori dove si può risparmiare. Normalmente nelle pubbliche amministrazioni sono l’illuminazione pubblica, il riscaldamento degli edifici, l’acquisto e il consumo di energia elettrica.

Le Esco permettono di realizzare interventi energetici senza spendere soldi pubblici

Allora si provvede a sostituire le lampade con quelle ad alta efficienza, si migliora la coibentazione degli edifici pubblici, si acquista energia sul libero mercato, si installano impianti di generazione alimentati da fonti rinnovabili. Come finanziare gli interventi Veniamo al nodo centrale: per fare tutte queste cose non è necessario spendere denaro pubblico. Il meccanismo che permette di sollevare le amministrazioni locali dall’impegno economico si chiama finanziamento tramite terzi. La Esco effettua l’intervento grazie alle risorse anticipate dal sistema bancario e si accorda con l’utente finale (che non anticipa niente) su quanta parte del risparmio economico ottenuto grazie all’intervento stesso debba servire a ripagare l’inve-

stimento, definendo così il piano di rimborso. Alla fine del periodo di rimborso, l’utente finale, in questo caso l’amministrazione locale, diventa titolare dell’intervento e usufruisce in pieno dei risparmi derivati. Quando nel 2004 il Ministero delle Attività Produttive ha emanato i decreti sull’efficienza energetica, le Esco sono state identificate come riferimento per una serie di attività connesse ai decreti stessi e come soggetti privilegiati per la gestione dei titoli di efficienza energetica. Vecchi monopoli e nuove sfide Uno dei problemi maggiori nella costituzione delle Esco è stata, ed è tuttora, l’individuazione di partner di riferimento con caratteristiche idonee ad affrontare le sfide connesse a questa nuova impostazione del settore energetico, ancora monopolizza-

6 milioni di investimenti recuperati in soli 5 anni di

Padova: l’efficienza energetica Padova. 200.000 abitanti, che diventano il doppio se si considera anche l’area metropolitana. Nonostante questi numeri e il background cittadino, o forse proprio in virtù di questi elementi, l’amministrazione ha deciso di dotarsi di un piano energetico comunale. Il tutto in mancanza di un equivalente a livello nazionale, facendo da battistrada per tutti gli altri comuni delle stesse dimensioni che, si spera, seguiranno numerosi que-

sto esempio. L’investimento è stato sicuramente ingente, circa 6 milioni e mezzo di euro, ma il risparmio legato alle nuove tecnologie permette di rientrare della maggior parte delle spese in 5 anni. Il piano di efficienza energetica del Comune di Padova è partito da una valutazione analitica e scrupolosa dei consumi storici, degli impianti esistenti, delle tecnologie in uso. Durante uno studio preliminare durato otto mesi sono

stati analizzati i consumi e le inefficienze delle utenze elettriche e termiche del patrimonio immobiliare esistente. Successivamente sono stati individuati i macrosettori di intervento. L’acquisto di energia elettrica è avvenuto sul libero mercato, verificando l’efficacia del contratto per la fornitura e questo ha consentito un risparmio annuo di ben 40.000 euro! Poi si è passati agli impianti di illuminazione pubblica, sosti-

tuendo i vecchi apparecchi e le lampade a bassa efficienza. Dall’illuminazione delle strade ai semafori il passo è stato breve. Qui si è provveduto a sostituire le lampade ad incandescenza con lampade a LED che durano 20 volte in più e consumano l’80% in meno. Un altro campo d’intervento è stato la valutazione del’efficienza termica ed elettrica degli edifici: ne sono stati esaminati 110. Sono state quindi so-


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meno, consumarla meglio i Comuni a ridurre gli sprechi e le emissioni inquinanti

livello della spesa energetica

100% 95% Recupero investimento da parte della ESCO

Risparmio dell’utente

Bolletta energetica dopo gli interventi

Bolletta energetica dopo gli interventi

70% bolletta energetica prima degli interventi

0% anni -3 -2 -1 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 > Il grafico rappresenta il vantaggio del Finanziamento tramite Terzi

to da grandi gruppi ex pubblici e privati. Le Esco sono strutturate in unità territoriali, che per loro natura intendono essere l’espressione delle particolari specificità dei luoghi che rappresentano. è stata scelta questa politica di sviluppo per ovviare a due problematiche molto importanti, che purtroppo non sono ancora state risolte, come spiega il presidente di Esco Romagna nell’intervista a lato: assenza di un quadro normativo nazionale che definisca chiaramente ruoli e specificità e, soprattutto, assenza di un’adeguata copertura finanziaria per la realizzazione dei progetti attraverso il Finan-

ziamento tramite terzi. L’assenza di un quadro normativo chiaro rende inoltre difficile definire precisamente cos’è una Esco. Alcune società non offrono servizi energetici integrati, in quanto specializzati in una tecnologia o tipologia di intervento particolare, altri non operano in un’ottica di finanziamento tramite terzi. Ad esempio, qualcuno utilizza il nome Esco solo per cambiare a sue spese le lampade dell’illuminazione pubblica. Certo, anche in questo modo si contribuisce a ridurre le emissioni di CO2, ma l’intervento di riqualificazione energetica non può certo dirsi completo.

La mancanza di un quadro normativo permette di sfruttare indebitamente il nome Esco

risparmio

conviene stituite le lampade ad incandescenza o alogene con quelle fluorescenti; installati sensori di presenza e interruttori a tempo per il controllo automatico delle luci; sostituite le caldaie a gasolio con quelle a metano; migliorata ove possibile la coibentazione (tecnica per l’isolamento acustico, termico o termoacustico degli edifici). è stato inoltre realizzato un generatore fotovoltaico in un parcheggio scambiatore e installati pannelli solari per

il riscaldamento dell’acqua in diverse scuole ed impianti. Solo rimanendo al dato relativo alla pubblica illuminazione c’è da rimanere senza parole. Alla fine degli interventi di riqualificazione energetica si otterrà un risparmio di energia elettrica pari a 6.543.000 KWh/anno per oltre 600.000 euro di risparmio sulla bolletta del Comune! E tutto questo senza citare la riduzione delle emissioni inquinanti.

Esco in Romagna imbrigliate tra monopoli e burocrazie Contratti decennali a favore di Hera e mancanza di fonti di finanziamento Il sistema di intervento prospettato dalle Esco sembra così ottimale che viene da chiedersi come mai non l’abbiano già adottato tutti i Comuni e le Province. Per capire meglio come mai non è ancora successo, abbiamo fatto qualche domanda al presidente di Esco Romagna, Angelo Spanò. “Innanzitutto vi è un problema economico: le Esco non hanno ancora ricevuto dal governo il fondo di garanzia necessario a far funzionare il meccanismo del finanziamento tramite terzi, studiato apposta per ovviare alla mancanza di fondi delle amministrazioni locali. Il fondo, promesso nel luglio 2008, quando le Esco hanno ricevuto un riconoscimento ufficiale dal Ministero delle Attività Economiche, doveva essere di 25 milioni di euro, e costituire la base economica che avrebbe permesso alle Esco di esporsi finanziariamente nei confronti delle banche, sollevando da questo impegno Comuni e Province”. Senza questo fondo, infatti, molte banche non concedono i finanziamenti, spesso ingenti, soprattutto se si tratta di un Comune di grandi dimensioni, necessari per effettuare gli interventi di risparmio energetico. A questo problema se ne aggiunge un altro. I settori che maggiormente incidono nei consumi energetici per le amministrazioni locali sono la pubblica illuminazione e gli edifici pubblici. “Per quanto riguarda l’illuminazione, in Romagna la maggior parte degli enti locali è vincolata da contratti decennali con Hera. L’azienda è quindi responsabile dell’efficienza degli impianti, noi come Esco non possiamo intervenire. Non sto criticando a priori l’operato di Hera, ma è un dato di fatto che questi contratti sono stati stipulati in anni in cui i concetti di risparmio energetico non erano sicuramente all’ordine del giorno”. Succede così che

un presidente di quartiere di Forlì, sensibile al problema, chiami Esco Romagna, perché vorrebbe migliorare l’impianto di illuminazione del suo quartiere. Esco Romagna ha però le mani legate, è costretta a rimandare il presidente di quartiere agli uffici comunali. Questo almeno fino al 2012, data a partire dalla quale sarà possibile indire gare d’appalto. E per quanto riguarda le energie rinnovabili? Qui pare di intravedere qualche segnale più positivo. “Il Comune di Cesenatico ha indetto un bando per affidare l’installazione di pannelli solari sui tetti degli edifici pubblici. Anche la Provincia di Ravenna ha elaborato un piano per incentivare il fotovoltaico rivolto alle attività commerciali, grazie ad un accordo con un banca che concede mutui ad un tasso basso, del 3%”. Un grande caos sembra invece regnare a proposito dell’acquisto di energia sul libero mercato. “Faccio un esempio – continua Spanò. Un Comune romagnolo acquista energia da un consorzio come il nostro. Un Comune a distanza di 6/7 km sostiene che è impossibile farlo. Uno dei Comuni più grandi dell’Emilia Romagna ha un contratto per la fornitura libera fino al 2015: ma che mercato libero è questo?”. Mercato libero che poi funziona solo nel caso dell’energia, secondo quanto riporta il presidente di Esco Romagna, perché nel settore del gas, Eni ha praticamente il monopolio. “Non è possibile che quando si deve installare un impianto ogni Comune abbia un approccio diverso. Arrivi ad un punto che non sai neanche più con chi prendertela. Per ovviare a questo abbiamo chiesto al Ministero che costituisca una banca dati consultabile dai cittadini e dagli amministratori”. Come spesso succede, poi, la burocrazia non aiuta. “Solo per fare un intervento sono necessarie due comunicazioni, una preventiva e una consuntiva: ma se poi uno l’intervento non lo fa?”.


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In Italia gli Enti pubblici locali, regionali e nazionali spendono in acquisti una cifra pari al 20% del prodotto interno lordo, ossia un quinto di tutta la ricchezza prodotta in Italia in un anno

Le Pubbliche Amminsitrazioni spendono cifre molto grandi. Orientare questa spesa verso scelte ecosolidali può mettere in moto importanti cambiamenti

Quando P.a.g.a.RE significa rispettare l’ambiente Un progetto del Comune di Reggio Emilia per l’acquisto eco-consapevole PagaRe può anche significare qualcosa di diverso da quello a cui siamo normalmente abituati. In questo caso è un acronimo per Progetto Acquisti Green a Reggio Emilia, lo strumento con cui il Comune di Reggio e quello di Cavriago si sono dati delle linee guida per acquistare beni e servizi rispettando criteri ambientali. è da un po’ di tempo che questi concetti sono stati adottati dalle pubbliche amministrazioni, ma qui stiamo parlando di un quadro molto articolato che va al di là del semplice acquisto di carta riciclata per uffici. Tutto parte nel 2004, quando il Comune di Reggio comincia a realizzare quanto contenuto

in un bando ministeriale vinto nel 2002. Gli obiettivi sono chiari. Oltre ad incrementare gli acquisti sostenibili coinvolgendo direttamente i vari uffici dell’amministrazione locale, si cerca di diffondere una maggiore consapevolezza tra il personale e tra le imprese fornitrici sulle implicazioni legate ai consumi, alla produzione e all’uso di beni e servizi. Il tutto per ottenere un risparmio ambientale e sociale di lungo periodo, oltre che economico. Il progetto costituisce un buon esempio di quello che può essere fatto in questo senso per diversi motivi. Primo: contiene uno studio

dettagliato degli acquisti verdi che l’amministrazione era già solita effettuare. Secondo: la decisione sui settori in cui cominciare la sperimentazione è stata presa combinando due parametri, rilevanza e fattibilità. Quindi: si individuano i beni e servizi che si acquistano di più, oppure che costituiscono una voce importante della spesa pubblica. Contemporaneamente si cerca di capire quanto sia semplice definire criteri ambientali omogenei da rispettare, se quei beni sono disponibili sul mercato e che implicazioni organizzative ha l’introduzione di nuovi parametri verdi. Perché tutto questo deve essere

poi tradotto in bandi di gara, che il Comune di Reggio ha successivamente pubblicato sul proprio sito, oppure in schede tecniche adottate dall’amministrazione per determinati tipi di acquisti. Scendendo nel concreto, con questa analisi è stata individuata una serie articolata di beni e servizi, fra cui arredi scolastici o per ufficio, prodotti tessili, materiale edilizio, servizi di ristorazione e pulizia. Come forse era prevedibile, l’amministrazione si è resa conto che alcuni settori cruciali e dalle forti implicazioni sociali, legate alle condizioni lavorative (edilizia, tessile), erano “scoperti” e senza modelli che indicas-

sero precisamente quale strada seguire. Visto che era inoltre necessario comunicare ai fornitori le nuove esigenze, sono stati organizzati degli incontri di approfondimento sui punti “critici”, a cui sono seguite sperimentazioni, ad esempio, sull’acquisto di vernici, finestre, pavimentazioni. Il progetto, oltre ad aver introdotto criteri ecologici nelle procedure d’acquisto dei due Comuni coinvolti, ha un altro pregio: l’aver individuato delle linee guida che anche altre amministrazioni locali possono seguire per replicare, ma anche estendere, questi comportamenti virtuosi (www.municipio. re.it/acquistiverdi).

L’Europa ci invita ad acquistare verde Gli Enti pubblici dovrebbero seguire precise direttive ministeriali L’acquisto verde delle pubbliche amministrazioni ha origini lontane, almeno sulla carta. Il Green Public Procurement (GPP) compare per la prima volta nel Libro Verde sulla Politica Integrata dei Prodotti dall’Unione Europea nel 1996. Ma bisogna aspettare una direttiva del 2004 perché venga inserito in un quadro normativo coerente, attraverso l’introduzione della “variabile ambientale” come uno dei criteri che valorizzano le offerte nelle gare d’appalto pubbliche per forniture, servizi e lavori. E in Italia? Il Green Public Procurement non è obbligatorio, tuttavia esistono alcune norme che ne sollecitano l’introduzione.

Che avrebbe un grosso peso, visto che la pubblica amministrazione spende in acquisti il 20% del Prodotto Interno Lordo. Dal sito dell’Istituto superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale apprendiamo che un primo segnale in tal senso viene rappresentato dall’approvazione da parte del Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica di una delibera, nel 2002, che stabilisce che “almeno il 30% dei beni acquistati deve rispondere anche a requisiti ecologici; il 30-40% del parco dei beni durevoli deve essere a ridotto consumo energetico, tenendo conto della sostituzione e facendo ricorso al meccanismo della rottamazione”. Nel 2003 arriva un altro

decreto ministeriale che “invita” le regioni a stabilire norme che spingano gli enti locali a coprire una quota del proprio fabbisogno annuale di beni con prodotti ottenuti almeno per il 30% da materiale riciclato. L’orizzonte nazionale sugli acquisti verdi si allarga però nel 2006, anno in cui viene pubblicato un Codice sui contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, in attuazione delle direttive europee. Il Codice appalti, pur non rendendo obbligatoria la pratica degli acquisti verdi, lascia la possibilità ad amministrazioni ed enti locali di subordinare il criterio di economicità a criteri “ispirati alla tutela della salute e dell’ambiente”.


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Muoversi in città senza inquinare

A Reggio due esperienze di Car Sharing, una “sociale”, l’altra per i commercianti Un’altra opportunità per le amministrazioni

Car Pooling: l’auto di gruppo

Car Sharing ovvero l’auto condivisa, è un servizio che permette di utilizzare l’automobile su prenotazione e che offre un approccio inedito alle quattro ruote, integrando il sistema pubblico e privato. Ci si iscrive e si pagano solo i costi di utilizzo dell’auto, perché quelli di assicurazione, manutenzione ecc. sono a carico del gestore, come anche i costi d’usura: pneumatici, freni... Mentre a Rimini, dov’era gestito da Legambiente per conto della Provincia, il servizio è stato recentemente sospeso, a Reggio Emilia è attivo con una formula molto interessante, perché basata sull’uso di mezzi elettrici. Il tutto nell’ottica della mobilità sostenibile, che ha portato il Comune e Til, azienda locale di trasporto pubblico, a sostituire fra il 2002 e il 2004 gran parte degli autoveicoli con i nuovi

mezzi ecologici (75), sfruttando i contributi stanziati dal Ministero dell’Ambiente (Decreto Ronchi). I veicoli elettrici, oltre ad essere utilizzati per il trasporto pubblico e la raccolta dei rifiuti sono stati “coinvolti” in due progetti, uno di car sharing “sociale”, l’altro invece più commerciale, dedicato agli operatori del centro storico. Nel primo caso tutti gli operatori sociali che assistono gli anziani a domicilio hanno a disposizione 45 auto elettriche, noleggiate per un lungo periodo. Quando non vengono utilizzate da loro, le auto vengono usate

dai volontari di diverse associazioni, con le quali è stato stabilito un accordo di comodato d’uso, per accompagnare utenti disabili a compiere attività sociali e ricreative. Per agevolare le ricariche TIL ha realizzato alcune colonnine energetiche nelle sedi circoscrizionali, dove vengono normalmente depositati i mezzi. Nel secondo caso, invece, che ha preso il nome di progetto Ariamia, 22 operatori commerciali hanno stipulato un contratto di noleggio valido 2 anni, dopo aver osservato il successo del progetto di car sharing sociale. Il contratto prevede la sostituzione gratuita del veicolo in

Auto elettriche condivise, accesso alla ZTL, sosta gratuita

caso di avaria e manutenzione. Ed è stato anche studiato un pacchetto che include, fra le altre cose, l’accesso gratuito alla ZTL, sosta gratuita nelle aree blu, contributi a fondo perduto per abbattere il canone di noleggio. Questa modalità riduce per il commerciante il rischio imprenditoriale di effettuare un investimento che nel medio periodo potrebbe rivelarsi non consono alle sue esigenze. Risultati? Oltre al grande apprezzamento da parte dei cittadini, la riduzione delle emissioni inquinanti, dei pericoli per la salute e dell’inquinamento acustico. A questi si aggiungono la sensibilizzazione della collettività e, non da ultimo, il risparmio economico dovuto al mancato acquisto della benzina e del gasolio.

Un sistema agile ed economico di mobilità urbana

Autostop versione Jungo

Sembra che i dipendenti pubblici siano già pronti per cambiare forme di mobilità. Una ricerca nella provincia di Rimini del 2005 evidenzia come il 48% degli intervistati sarebbe pronto a cambiare modalità di trasporto in favore del car pooling. Esiste quindi una domanda collettiva di mobilità alternativa, probabilmente ancora dormiente, in attesa che si creino condizioni d’uso diverse da quelle attuali. Vi è anche chi propone un sistema di mobilità eco-sostenibile diverso da car pooling e car sharing, più flessibile, che non richiede di programmare preventivamente il viaggio, forse più adatto ai tempi medi di percorrenza per raggiungere il lavoro (15

minuti circa). Jungo, inventato dal riminese Enrico Gorini, è un sistema che funziona apparentemente come l’autostop, ma che cerca di eliminarne le controindicazioni. Quando l’utente si presenta lungo una strada esibisce una card nominativa che sta a significare: chiedo un passaggio in questa direzione, voglio pagare, sono tranquillo. Il

Prima di Jungo

Dopo Jungo

rilascio della card è infatti subordinato al superamento di una procedura di controllo sulla persona. Il movimento conta più di 1.000 aderenti ed ha referenti in 11 città del Nord Italia. L’associazione al momento sta lavorando sodo per realizzare una mobilità Jungo nel territorio di Trento, ma i promotori affermano che sembrano esserci buone condizioni favorevoli anche in altre città. Sul sito (www.jungo.it), ad esempio, c’è una sezione dedicata al confronto con altri mezzi di trasporto su diverse tratte come Rimini-Cesena, Rimini-Sant’Arcangelo, Rimini-Bologna, che evidenzia i risparmi che Jungo permetterebbe di effettuare.

Un’altra nuova forma di mobilità sostenibile è il car pooling. Quest’espressione può essere tradotta con auto di gruppo, ovvero la pratica di mettersi d’accordo con altre persone per raggiungere una destinazione con lo stesso mezzo di trasporto. Una o più persone mettono a disposizione il veicolo, magari alternandosi, mentre gli altri contribuiscono alle spese. I vantaggi? Facili da elencare: meno macchine in circolazione, di conseguenza meno traffico e meno inquinamento. Risparmio generalizzato per carburante, usura del veicolo, pedaggi, parcheggi. Si tratta di una pratica più diffusa negli Stati Uniti e nel Nord Europa, mentre le prime sperimentazioni nostrane su larga scala sono state fatte in occasione del tour di Ligabue del 2008, grazie a Tandemobility, un software sviluppato appositamente per l’occasione. Adesso anche l’Università Cattolica di Milano ha attivato il progetto in via sperimentale per i suoi dipendenti (potenzialmente 688 persone), sfruttando lo stesso sofware. Il meccanismo è semplice: basta registrarsi, specificare il proprio percorso e creare un profilo, indicando dati anagrafici, se si è fumatori, se si ha a disposizione un’auto. A quel punto sulla mappa si possono visualizzare tutti i dipendenti iscritti al servizio e il loro percorso, e mettersi in contatto con quelli con cui sarebbe possibile formare un equipaggio. Sarà il programma a calcolare le spese che ognuno dovrà sostenere. L’introduzione di uno dei vari sofware dedicato al car pooling potrebbe essere un’idea per le amministrazioni locali, a maggior ragione se Autostrade per l’Italia estenderà all’intera rete nazionale lo sconto sul pedaggio che dovrebbe applicare entro la fine dell’anno per chi passerà dai caselli dell’A8 e dell’A9 con tre passeggeri a bordo.


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La Romagna che acquista etico

I Gruppi d’Acquisto Solidale e l’esperienza degli Ingasati di Forlì Perché preferiscono l’intensità di manodopera a quella di capitale. Perché è più facile conoscere le modalità di lavoro all’interno delle loro aziende e preferire prodotti senza sfruttamento significa contribuire a regolamentare il mercato del lavoro.

Il gruppo “inGASati” di Forlì in visita presso una cooperativa fornitrice di pasta

G.A.S., una sigla strana, magari dall’impatto un po’ forte, diventata abbastanza comune in Romagna. Capiamo meglio cosa significa. I Gruppi di Acquisto Solidale sono esperienze di acquisto collettivo, orientate secondo precisi criteri di solidarietà. Un insieme di famiglie e/o singoli cittadini decidono di incontrarsi per acquistare all’ingrosso o da piccoli produttori locali una serie di prodotti alimentari e di uso comune che poi ridistribuiscono tra loro. Attraverso questo tipo particolare di “spesa collettiva”, i GAS intendono realizzare un concetto più umano di economia, più vicino alle esigenze reali dell’uomo e dell’ambiente. Mettono in pratica un’etica del

consumo in contrapposizione al consumismo e agiscono unendo le persone invece di dividerle. Contemporaneamente favoriscono nuove progettualità e la costruzione di reti di collaborazione nei più diversi territori. Tre sono le linee guida per gli acquisti dei GAS. Scegliere produzioni locali: per ridurre l’inquinamento legato al trasporto, per conoscere personalmente i produttori e instaurare con loro rapporti continuativi e di fiducia. Rivolgersi a piccoli produttori: perché sono i più interessati a una relazione diretta e per trovare un canale di vendita alternativo alla grande distribuzione.

Privilegiare produzioni biologiche e naturali: perché non utilizzano pesticidi, diserbanti, concimi chimici, che inquinano e consumano energia. I GAS preferiscono prodotti sfusi e, nel caso di imballaggi obbligatori, quelli maggiormente biodegradabili, ponendo attenzione all’intera filiera di trasformazione e al recupero degli scarti di produzione (riciclo, riuso, riduzione dei rifiuti). Particolare cura viene dedicata anche alla propria “organizzazione interna”. L’etica del consumare in modo responsabile viene, infatti, vissuta nel creare un vero e proprio gruppo che non si limita a fare la spesa ma ha il piacere della partecipazione, della fiducia e, perchè no, della convivialità. La Romagna è ben rappresentata con 11 gruppi di GAS, di cui

6 nella Provincia di Forlì-Cesena, quattro in quella di Ravenna, uno in quella di Rimini e uno nella “straniera” Repubblica di San Marino. Il Gruppo GAS di Rimini, tra l’altro, è uno dei più forti in tutta Italia, raggruppando qualcosa come 800 nuclei familiari. Meno numeroso ma comunque altrettanto attivo è il Gruppo “inGASati” di Forlì (www.ingasati.net) che ha tra i suoi maggiori “ingasati” (è il caso di dirlo) Paolo Ricci, a cui abbiamo rivolto alcune domande. Paolo, come siete “nati” e “cresciuti”? “Il Gruppo è sorto nel 2006 su iniziativa di amici già particolarmente attenti al consumo etico e solidale e desiderosi di capire come mutare il meccanismo di fare la spesa. Adesso ne fanno parte circa 90 famiglie, pari a circa 150/200 persone che fanno acquisti in modo continuativo. C’è un flusso abbastanza costante di nuove persone legato anche un po’ a cosa emerge a proposito dei Gas in tv. Quando, per esempio, ne ha parlato “Report”, il giorno dopo siamo stati subissati da richieste”.

Che cosa si compra di più? “I prodotti del fresco su tutto, ma poi anche parmigiano, arance, carne, tonno, prodotti per l’igiene della casa, pasta, farina, pannolini. Sempre cercando di privilegiare, quando è possibile, i produttori locali e bio. Abbiamo un fornitore anche per i libri (la Macro Edizioni, NdR) e per le api. C’è in corso, infatti, un bel progetto che intende ripopolare la città di api e così abbiamo aperto anche questo particolare... settore”. In questi anni avete avuto contatti con gli Enti locali? “Pressoché nulli e la cosa per il momento non ci preoccupa. Allo stesso modo ci teniamo ad essere equidistanti dalle formazioni politiche. Siamo un’associazione ancora molto giovane: vorremmo dare il nostro contributo, se richiesto, nel diffondere la conoscenza dell’acquisto solidale, della decrescita, della filiera a impatto zero ma per il momento non ce la sentiamo di prendere una posizione per un candidato piuttosto che per un altro. Va da sé che chi agisce secondo obiettivi che sono da noi condivisi avrà tutta la nostra attenzione”.

Ecco un modo in cui il Comune può promuovere i prodotti locali

Timido debutto in Romagna per i mercati del contadino “Un farmer’s market per ogni Comune”. Ad un anno di distanza la meta è ancora lontana, nonostante l’obbiettivo che si era posta Coldiretti per il 2008, ma la percezione è che in Romagna qualcosa si stia muovendo. Ma cosa sono esattamente i farmer’s market? In italiano sono “i mercati del contadino”, o più tecnicamente mercati agricoli cittadini. Istituiti nel 2008 da un decreto dell’ex Ministro dell’Agricoltura De Castro, sono ora attuabili attraverso l’emanazione di regolamenti comunali. Nei farmer’s market le imprese agricole possono vendere i loro prodotti, purché locali. Nel nostro caso provenienti dalla regione Emilia-Romagna. Si favorisce così la stagionalità, la freschezza e si accorcia la filiera, facendo guadagnare di più al produttore e valorizzando le tasche del consumatore. Ma non solo. Grazie ai mercati del contadino si riduce l’inquinamento e l’impatto ambientale. Un recente studio, infatti, sostiene che “una famiglia che consumi prodotti locali e di stagione e che faccia attenzione agli imballaggi può risparmiare fino a 1.000

chili di CO2 l’anno”. Mangiare locale è, quindi, un valore aggiunto. Ma i nostri Comuni si sono dimostrati sensibili al tema degli alimenti a Km0? I ravennati di Alfonsine e Russi decisamente “sì”. Ancora ai blocchi di partenza, invece, Cesena, Castrocaro e Forlì, dove il rapporto diretto consumatore-produttore è appena partito. Maglia nera, poi, per tutti i Comuni del Riminese, dove ancora i progetti di mercati agricoli rimangono sospesi. Si vocifera, però, che i Comuni di Santarcangelo, Riccione e San Giovanni in Marignano si stiano attivando per avviare i farmer’s market, ma l’iniziativa vera e propria non è ancora partita. E così, mentre in realtà a noi vicine come il Veneto, già le associazioni di categoria si muovono per creare circuiti di ristorazione sostenibili, qui siamo ancora agli albori della “filiera corta”. Forse perché in tempo di elezioni si ha un po’ paura di infastidire alcune categorie come quella della grande distribuzione? O – forse – perché pensiamo davvero che il cocomero australiano e la zucchina canadese siano più saporiti?


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AMBIENTE

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SPECIALE RIFIUTI

Inceneritori: tra

In che modo gli italiani hanno versato 44 miliardi Tutti i numeri dell’inceneritore Discarica, inceneritore, raccolta differenziata: sono questi i più noti metodi di gestione e smaltimento dei rifiuti. E di gestione dei rifiuti si sente sempre più spesso parlare, non solo a seguito della stranota “emergenza” campana del 2008. Stanno diventando tanti, questi nostri scarti: la velocità con cui gli oggetti che acquistiamo si trasformano in rifiuto aumenta costantemente, e il percorso delle merci dal carrello della spesa al cestino di casa, e al cassonetto, diventa sempre più

breve. Un problema da gestire, soprattutto quando questo coinvolge direttamente la salute dei cittadini e dell’ambiente in cui vivono, richiede soluzioni intelligenti e lungimiranti che sappiano trasformare il “problema” in “risorsa”. E invece no: nell’Italia degli “inciuci” e delle lobby il “problema” si trasforma in business per pochi e truffa ai danni di molti, come nel caso degli inceneritori. L’incenerimento è una forma antiquata e antieconomica di gestione dei rifiuti, tant’è che

Trasformare i rifiuti da problema a risorsa è possibile

CIP6, CDR, Certificati Verdi: cosa si nasconde dietro queste sigle

fonte: http://it.wikipedia.org

51 il numero degli inceneritori – o termovalorizzatori, perché alcuni sono in grado di produrre anche calore ed energia – in Italia. Si tratta di impianti per lo smaltimento dei rifiuti urbani e/o speciali, che utilizzano processi di combustione condotti in eccesso di ossigeno.

Il rapporto fra il consumo di energia di un inceneritore e il suo rendimento è negativo: è maggiore il consumo del rendimento. Allo stesso modo viene impiegato un quantitativo di acqua spropositata che non sempre viene recuperata, purificata e riutilizzata.

60 milioni di euro: il costo per mantenere un inceneritore funzionante.

30% della massa totale dei rifiuti da bruciare si trasforma in rifiuti speciale tossici che devono poi essere inviati a una discarica di rifiuti speciali. Per smaltirle più velocemente le ceneri tossiche vengono miscelate ai materiali da costruzione.

4-6 anni: il tempo necessario per la costruzione di un inceneritore. 850°C: la temperatura alla quale sono bruciati i rifiuti. Nel processo di abbattimento dei fumi e di post combustione sono usati anche calce, urea e ammoniaca per cercare di combattere le emissioni tossiche. 1100-1200°C: la temperatura alla quale vengono modificate le molecole inquinanti. Il raffreddamento troppo veloce provoca però il ricomporsi delle diossine. Per ridurre questo rischio si può raffreddare il gas velocemente ma poi è impossibile sfruttare appieno il calore per produrre energia. 20% è l’efficienza di conversione del calore in energia elettrica.

all’estero, di inceneritori non se ne costruiscono più. In Italia invece i forni inceneritori, se prevedono il recupero energetico, sono impropriamente definiti “termovalorizzatori”, al fine di accreditarli presso l’opinione pubblica con una falsa immagine positiva, che invece non hanno. Gli inceneritori, infatti, non valorizzano un bel nulla; anzi contribuiscono a dissipare energia, distruggendo i materiali riciclabili presenti nei rifiuti e recuperando solo un decimo dell’energia in essi contenuta, mentre tramite il riciclaggio potrebbe esserne recuperata più del 50%. E allora come mai nel Bel Pae-

3-5%: il peso dei rifiuti introdotti in un inceneritore che diventa polvere sottile e che si deposita nell’aria che respiriamo. 60-100 metri è l’altezza di una ciminiera da cui esce un cocktail di sostanze chimiche altamente velenoso. L’altezza determina la dispersione di composti tossici su aree molto vaste. 15-20% è il rendimento energetico di un inceneritore. 3-5 volte superiore è il vantaggio energetico che si ottiene mediante il riciclaggio e il compostaggio.

fonte: www.greenpeace.org/italy/campagne/inquinamento/rifiuti/inceneritori

Il glossario dell’incenerimento Polveri sottili e ultrasottili, cosa sono e perchè sono cancerogene. Ecco perchè incenerire non significa “valorizzare” PM 10 Gli inceneritori generano, attraverso la combustione dei rifiuti, le famigerate polveri sottili. Queste polveri, altrimenti chiamate PM10, sono particelle solide o liquide di dimensioni abbastanza piccole da rimanere sospese nell’aria e venire quindi inalate attraverso il respiro. L’Unione italiana per la pneumologia ha parlato di 12 mila italiani uccisi dallo smog ogni anno e le polveri sottili sono considerate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, la principale minaccia alle nostre aspettative di vita. La loro azione dannosa è a due livelli: irritante e cancerogena. La classificazione si basa sul diametro delle particelle stesse. L’azione nociva è inversamente proporzionale alle dimensioni particellari. Quelle tra i 5 e i 10 micron si fissano alle vie polmonari, raggiungendo i tratti successivi delle vie respiratorie. PM 2,5/1/0,1 Altro tipo di particelle, di dimensioni minuscole, prodotte attraverso l’incenerimento. Proprio per le loro dimensioni ancora più ridotte, sono in grado di penetrare intimamente nell’organismo, innescando una serie di reazioni che possono tramutarsi in malattie: tumori, malformazioni fetali, malattie infiam-

matorie, allergiche e perfino neurologiche. Non esiste alcun tipo di filtro industriale capace di bloccare questo tipo di particelle. La stessa legge prevede che l’inquinamento da polveri venga valutato solo sulla base della concentrazione di PM10, di dimensione maggiore. Inceneritore o termovalorizzatore? Gli inceneritori sono impianti per lo smaltimento dei rifiuti urbani e/o speciali, che utilizzano processi di combustione condotti in eccesso di ossigeno. Solo in Italia gli inceneritori vengono anche chiamati “termovalorizzatori”, termine che allude al fatto che alcuni inceneritori sono in grado di produrre calore ed energia. Purtroppo il bilancio energetico di un inceneritore è sempre passivo, dal momento che l’energia recuperata con la combustione non è neppure in grado di compensare l’energia utilizzata per la costruzione e il funzionamento dell’impianto. CDR Con CDR si intende il Combustibile Derivato dai Rifiuti: si tratta di rifiuti solidi urbani che, opportunamente trattati e raccolti in blocchi cilindrici denominati ecoballe, divengono il principale combustibile per gli impianti di incenerimento. I

migliori materiali destinati a diventare CDR sono le plastiche, a causa del loro alto potere calorifico. CIP6 Si tratta dei contributi destinati alle rinnovabili e alle assimilate (tra cui il CDR) che i cittadini italiani pagano indirettamente attraverso la bolletta energetica (7% della bolletta) dal 1992 (vedi articolo sopra). Certificati Verdi Il sistema dei Certificati Verdi è nato con il Decreto Bersani (d.l. 79/99), e ha imposto a tutti gli importatori e produttori di energia elettrica da fonti non rinnovabili che immettono in rete più di 100 GWhe/anno l’obbligo di destinare al mercato una quota di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili pari al 2%, a decorrere dall’anno 2001. In pratica chi produce energia rinnovabile si vede riconosciuta la possibilità di vendere i Certificati Verdi a chi produce da fonti fossili, in modo che tutti i soggetti producano – effettivamente o virtualmente – il 2% di energia rinnovabile. In Italia anche gli impianti di incenerimento godono della possibilità di emettere e vendere i Certificati Verdi, dal momento che l’energia da essi prodotta viene assimilata alle rinnovabili. fonte: http://it.wikipedia.org


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SPECIALE RIFIUTI

business e truffa

di euro per finanziare l’incenerimento dei rifiuti se la pratica dell’incenerimento continua ad essere propagandata e sponsorizzata dalla politica come “la soluzione” al problema rifiuti? Perché incenerire conviene, o meglio, fa guadagnare bei quattrini a coloro che inceneriscono. Chi ci guadagna solo le società che gestiscono gli impianti – spesso le vecchie municipalizzate ora vere e proprie Spa quotate in borsa a capitale pubblico/privato – chi paga siamo noi. Ma come abbiamo fatto a finanziare, spesso senza saperlo, gli impianti di incene-

rimento? Dal 1992, i cittadini italiani finanziano la pratica dell’incenerimento dei rifiuti, le centrali termoelettriche e le produzioni di gas e carbone da residui di raffineria, in maniera coattiva, attraverso il pagamento delle bollette energetiche. Tutto ciò in virtù di una delibera (la numero 6) del “Comitato Interministeriale Prezzi” (CIP), che nel 1992 stabilì una maggiorazione di circa il 7% sul prezzo dell’elettricità pagato dai consumatori finali. Tale contributo, denominato

Incenerire conviene solo alle aziende che lo fanno

“componente tariffaria A3”, avrebbe dovuto essere utilizzato per promuovere le fonti energetiche rinnovabili (solare ed eolica su tutte), orientando verso di esse l’interesse delle aziende produttrici di energia. Nella formulazione della norma, accanto all’espressione “energie rinnovabili” venne aggiunta l’estensione “o assimilate”, senza che nessuno si sia mai premurato di fissare precisi criteri per stabilire quali fonti energetiche potessero essere effettivamente assimilate a quelle rinnovabili. In questo modo i rifiuti sono diventati fonte energetica assimilata alle rinnovabili e come tale in grado di godere dei

Romagna

La terra degli inceneritori

Dove sono e quanti sono i “termovalorizzatori” presenti sul nostro territorio

Sembrano solo tre, uno per ogni provincia, gli inceneritori presenti sul territorio romagnolo. Ma andando a sbirciare sul sito dell’ARPA (Agenzia Regionale Prevenzione e Ambiente) dell’Emilia Romagna si scopre che ogni impianto “nasconde” da due a tre linee di trattamento dei rifiuti.

2 Ravenna Cervia

Faenza

2 Forlì

Cesenatico Cesena

Riccione

San Marino

L’inceneritore della Provincia di Rimini si trova in via Raibano 32, nel Comune di Coriano. è situato a metà strada tra la città di Coriano (dalla quale dista circa 3 km) e quella di Riccione (2-3 km) ed è vicino all’autostrada A14 (dalla quale dista 1 km circa). L’impianto è costituito da tre linee: le prime due sono entrate in funzione nel 1976 mentre la terza è stata costruita nel 1991. L’inceneritore smaltisce i rifiuti solidi urbani prodotti nel territorio provinciale di Rimini. Inoltre gestisce lo smaltimento di rifiuti ospedalieri, farmaci scaduti derivanti da raccolta differenziata e rifiuti speciali cimiteriali provenienti anche da Comuni extraprovinciali. A Forlì, nella zona industriale di Coriano, località che casualmente ho lo stesso nome di quella in provincia di Rimini, si trovano, a circa 3 Km a nord-est dal centro storico, due inceneritori, posizionati a poche centinaia di metri l’uno dall’altro. Hera s.p.a. gestisce quello in Via Grigioni 19 (en-

Rimini 1

trato in funzione nel 1976, a due linee) mentre Mengozzi Rifiuti Sanitari s.p.a. gestisce quello in Via Carlo Zotti 50 (entrato in funzione nel 1991, a due linee gemelle). All’interno dell’area impiantistica di Hera sorge anche l’impianto di stoccaggio e trattamento chimico-fisico dei rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi e quello di depurazione biologica delle acque reflue urbane.

A nord della città di Ravenna, adiacente alla SS 309 Romea, è situato l´inceneritore IRE del gruppo Hera, che ha iniziato la sua attività nel 1999. Il termovalorizzatore funziona ad una linea ed effettua il recupero energetico e la produzione di energia attraverso l’incenerimento di CDR (combustibile da rifiuto), prodotto nel vicino impianto di preselezione di rifiuti solidi assimilabili agli urbani non pericolosi e di rifiuti sanitari a rischio infettivo. è presente inoltre, a circa 2 km, il forno inceneritore F3 di Via Baiona 182, che nasce industrialmente dalla società Ambiente del Gruppo ENI e che viene acquisito interamente dal Gruppo Hera attraverso la società Ecologia Ambiente srl, nell’ottobre del 2004. L’impianto, avviato nel 1997, funziona ad una linea e smaltisce rifiuti speciali e pericolosi, sia liquidi che solidi, recuperando calore e producendo energia. Fonte: www.arpa.emr.it

contributi previsti dalla legge. Dal momento dell’introduzione dei CIP6 fino al 2003, i consumatori italiani hanno pagato attraverso le bollette dell’energia circa 30 miliardi di euro. Il 92% di questa enorme cifra è stato utilizzato per finanziare impianti inquinanti come inceneritori e centrali a fonti fossili, mentre solamente l’8% è stato destinato a sostenere quegli impianti che realmente utilizzano le fonti rinnovabili pulite. Dal 2003 a oggi, ai consuma-

tori italiani sono stati sottratti, per mezzo dei contributi CIP6, ulteriori 14 miliardi di euro, l’80% dei quali ha continuato a finanziare gli impianti inquinanti, mentre alle fonti rinnovabili è rimasto meno del 20%. In totale: 44 miliardi di euro dal 1992 al 2003. L’istituzione dei CIP6 si è perciò rivelata una vera e propria truffa ai danni dei consumatori, mentre ha ampiamente sostentato la pratica dell’incenerimento dei rifiuti che altrimenti sarebbe risultata economicamente insostenibile.

Senza contributi statali sarebbe un affare in perdita


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AMBIENTE

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SPECIALE RIFIUTI

Porta a porta: la differenziata DOC I successi della raccolta differenziata porta a porta in termini di riduzione e riciclaggio dei rifiuti testimoniano la sua efficacia La maggior parte di noi pensa che per fare una buona raccolta differenziata basti separare carta, vetro, plastica e depositarli, quando in casa proprio non ci stanno più, nei cassonetti stradali disseminati lungo le strade. I cassonetti stradali hanno ampi coperchi che facilitano l’inserimento dei materiali. Peccato che oltre a raccogliere la differenziata spesso i contenitori ospitino anche materiale eterogeneo: a chi di noi non è capitato di trovare nella campana del vetro normali sacchetti di rifiuto indifferenziato, o nel cassonetto della carta bottiglie di plastica e lattine di metallo? La raccolta differenziata tramite cassonetti stradali non da grandi risultati: materiale mal differenziato e una percentuale di raccolta che difficilmente può superare il 20%, proprio a causa della strutturazione del servizio. I risultati della raccolta differenziata porta a porta invece

sono strabilianti: si producono meno rifiuti, si risparmia energia, si spende meno e ci si avvia inevitabilmente verso l’obiettivo “zero rifiuti” in discarica o nell’inceneritore. Ma in che cosa consiste il “porta a porta”? Con la raccolta differenziata porta a porta ad ogni singola utenza/famiglia vengono forniti i contenitori per differenziare i materiali, che vengono raccolti con cadenza settimanale o bisettimanale (a seconda dei materiali) direttamente presso le famiglie. Il porta a porta risulta funzionante a pieno regime quando alla raccolta della frazione secca (carta, plastica, vetro ecc. ecc.) si affianca quella dell’umido (principalmente consistente negli scarti di cucina), con la

In Italia si sta diffondendo a macchia d’olio

Come si riduce la produzione di rifiuti? Si introduce la raccolta differenziata porta a porta. Si applica la tariffa puntuale: l’utente paga in base alla quantità e alla qualità dei rifiuti conferiti. Si favorisce il compostaggio domestico.

consegna per chi ne fa richiesta di compostiere domestiche. L’attivazione del servizio viene solitamente preceduta da una puntuale attività di sensibilizzazione e informazione della cittadinanza che viene invitata a partecipare a pubblici incontri con lo scopo di imparare a familiarizzare con il nuovo sistema di raccolta, riconoscere e differenziare al meglio i materiali, avanzare dubbi e proporre soluzioni. In Italia il “porta a porta” si sta diffondendo a macchia d’olio e si calcola che siano 10 milioni i cittadini coinvolti con successo in questo sistema di gestione dei rifiuti, un sistema che favorisce la presa di coscienza e di responsabilità di ognuno nei confronti di una problematica che ci riguarda tutti.

Si favorisce il consumo dell’acqua del rubinetto. Si favorisce l’uso di pannolini per bambini riutilizzabili al posto degli usa e getta. Si disincentiva l’uso di sacchetti di plastica.

Si recuperano le derrate in scadenza e i resti alimentari per alimentazione umana e animale.

Si vieta l’introduzione di pubblicità non gradita nelle buchette di posta pubbliche e private.

Si favorisce la distribuzione e il consumo di prodotti liquidi alla spina.

Si vieta l’utilizzo di stoviglie usa e getta nelle feste pubbliche.

I vantaggi della raccolta differenziata porta a porta... rispetto alla raccolta stradale 1. Riduce i rifiuti prodotti. 2. Permette di riciclarne il doppio. 3. Inquina molto meno e rispetta i principi di sostenibilità ambientale. 4. Riduce i costi. 5. Permette di far pagare a ciascuno secondo il rifiuto prodotto. 6. Aumenta l’occupazione.

Forlimpopoli e Monte San Pietro: 80% di raccolta porta a porta Anno 2007, Provincia di Bologna, Monte San Pietro, 10.000 abitanti, una discarica. Anno 2009, Provincia di Bologna, Monte San Pietro, 10.000 abitanti, nessuna discarica e un premio, conferito dall’Associazione dei Comuni Virtuosi, vinto per il successo ottenuto con la raccolta differenziata porta a porta e l’impegno nella riduzione dei rifiuti. A Monte San Pietro ci hanno creduto e hanno ottenuto dei risultati davvero notevoli: tra il 2007 e il 2008 la raccolta differenziata è passata dal 25% all’80%. L’impegno del comune e della cittadinanza è stato costante: attraverso assemblee pubbliche, attività con le scuole, di sportello presso gli uffici comunali e di tutoraggio, tutti i cittadini sono stati resi partecipi ed incoraggiati a qualsiasi forma di sperimentazione e di condivisione.

Raccolta Differenziata – Comune di Forlimpopoli 100% 80% 60% 40% 20% 0%

69,3% RD 2008

40,7%

72,3%

inizio sperimentazione porta a porta

2006

2007

2008

Fonte: ATO (Autorità d’Ambito Territoriale Ottimale) Forlì-Cesena

Forlimpopoli è l’unico comune nella provincia di Forlì-Cesena in cui è stato attivato un sistema di raccolta differenziata porta a porta. “I rifiuti – dichiara il sindaco Paolo Zoffoli – sono uno dei maggiori problemi che le società complesse si trovano ad affrontare. Smaltirli è potenzialmente pericoloso per l’ambiente e molto costoso. Buona regola sarebbe produrne sempre meno, evitando tutti quei comportamenti consumistici che invece di migliorare la nostra vita, la rendono meno natu-

rale e quindi meno libera”. Nel comune forlivese la sperimentazione è partita nel 2006, a seguito della constatazione che un incremento dei contenitori stradali non aveva portato ad un conseguente aumento della raccolta differenziata. Da allora, le percentuali della raccolta differenziata sono costantemente aumentate e gli oltre 12.000 cittadini coinvolti nel progetto risultano in massima parte (90%) soddisfatti e desiderosi di proseguire l’esperienza.


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DOSSIER HERA

Hera S.p.a.: utilità pubblica o utile economico? Ecco cosa succede quando cambiano le priorità Il Gruppo Hera è la società che, in regime di semi monopolio, fornisce a buona parte dell’Emilia Romagna servizi di primaria importanza come acqua, gas, energia, smaltimento rifiuti, manutenzione urbana e reti di distribuzione. Tali servizi sono chiaramente classificabili come “di pubblica utilità” per cui la stessa Hera, unica erogatrice, dovrebbe avere come priorità la fornitura dei servizi in questione. Magari tenendo un occhio al bilancio, ma senza far diventare la ricerca dell’utile il fine aziendale. Analizzando, invece, dati e tendenze di questi anni, sembra proprio questo l’orientamento della società multiservizi. Nel 2007 Hera ha fatturato quasi 3 miliardi di euro, corrispondenti a un utile di più di 100 milioni. Queste cifre sono già da sole indicative visto che dimostrano come utili molto consistenti e servizi efficienti sono difficilmente conciliabili. Inoltre, è impossibile non rilevare come in diversi Comuni serviti da Hera le tariffe sono costantemente aumentate e la qualità dei servizi è proporzionalmente diminuita.

è successo, ad esempio, a Bologna, a partire dal 2002, anno del passaggio di consegne dalla ex municipalizzata Seabo all’Hera stessa. Risulta poi difficile immaginare che la consistente fetta di azionisti privati – parliamo del 41% del pacchetto azionario – abbia più a cuore l’efficienza dei servizi piuttosto che la massimizzazione degli utili.

Un altro dato emblematico sono i costi gestionali e retributivi estremamente elevati, che comportano una spesa annua di quasi 2,5 milioni di euro con compensi per i singoli manager che sfiorano i 300.000 euro. Soldi che un’azienda interessata al benessere della comunità piuttosto che all’attivo del suo bilancio potrebbe certamente investire in altro modo.

Se non bastassero queste considerazioni di carattere generale, ci si potrebbe rifare anche a casi specifici: il Piano Industriale 2007/2009, per citarne uno, prevede come obiettivo il conseguimento di un consistente vantaggio economico attraverso esternalizzazioni e subappalti. Un altro esempio è costituito dal nuovo piano dei rifiuti del Comune di Bologna,

che mira a incrementare la già bassa quota di raccolta differenziata attraverso la raccolta stradale piuttosto che con la più efficiente raccolta porta a porta. Una politica improduttiva, costosa – c’è stato un aumento del 4% sulla tassa sui rifiuti urbani esplicitamente collegato a questa campagna – e chiaramente legata alla strategia aziendale di Hera, di cui il Comune di Bologna è il maggior azionista. E ancora, i sindacati regionali hanno denunciato lo scorso anno la volontà di chiudere alcuni laboratori d’analisi impegnati nel controllo della qualità dell’acqua e degli impianti idrici. Queste sono solo alcune delle contraddizioni che evidenziano la radicale incompatibilità fra la fornitura di servizi adeguati, efficienti e accessibili in termini di costi da un lato e la realizzazione di un consistente utile economico dall’altro. Nonostante l’obiettivo aziendale dovrebbe essere proprio la fornitura di servizi efficienti, è chiaro che la politica di Hera sembra oggi privilegiare il guadagno e il profitto.

Nata nel 2002, la società multiservizi è oramai diventata un colosso

Una storia di fusioni Il Gruppo Hera – acronimo che sta per Holding Energia Risorse Ambiente – è una società multiservizi nata ufficialmente nel 2002 dall’accorpamento della bolognese Seabo con altre 11 municipalizzate operanti in aree confinanti del Nord Italia, tutte attive nel settore dei servizi. Dal giugno del 2003 l’azienda è anche quotata in Borsa. Dal momento della sua creazione, Hera ha avviato un processo che l’ha portata ad assorbire tutte le maggiori municipalizzate della regione. Geat di Riccione, Agea e Acosea di Ferrara, Meta e Sat di Modena sono i maggiori fornitori di servizi confluiti nel Gruppo Hera, divenuto una delle maggiori realtà italiane del settore. Pochi mesi fa è saltata invece la più grossa operazione di questo tipo pia-

nificata dalla società, ovvero la fusione con Iride ed Enia, due aziende omologhe operanti, la prima a Torino e Genova e la seconda a Piacenza, Parma e Reggio Emilia. Rimangono tutt’ora in piedi alcune ipotesi quali la fusione con la romana Acea, che porterebbe Hera a diventare il settimo gruppo di settore più grosso d’Europa. In ogni caso, attualmente Hera è già un colosso di servizi che in regione non ha rivali, i cui tre grandi ambiti operativi sono la gestione delle risorse idriche, dell’energia elettrica e dei servizi ambientali. A sua volta, Hera S.p.a. è il socio unico di Hera Bologna S.r.l., società operativa territoriale che si occupa della gestione pratica di acqua, energia e rifiuti ma anche

di manutenzione urbana, servizi funerari, gestione di reti telematiche, consulenza e progettazione. Il pacchetto azionario del Gruppo Hera è prevalentemente in mano a soggetti pubblici, anche se il settore privato detiene la cospicua quota del 41,03%. Il Comune di Bologna, con il suo 14,76%, è il maggior azionista, così come l’area bolognese è quella che detiene più azioni (il 20,29%), seguita da quella modenese (14,95%, in prevalenza in mano ad una holding) e via via dalle altre realtà di settore delle province di Ferrara, Rimini, Ravenna, Forlì-Cesena e dell’Imolese. I Comuni azionisti di Hera sono invece 183, dislocati sempre nelle province di Bologna, Ferrara, Modena, Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini.

CAPITALE PUBBLICO: 58,97% così suddivisi 2,71% AREA FERRARA EX AGEA 3,45% AREA RIMINI 5,66% AREA RAVENNA 5,76% CON.AMI E COMUNI IMOLESE 6,16% AREA FORLÌ 14,95% AREA MODENESE

20,29% AREA BOLOGNESE

CAPITALE PRIVATO: 41,03% Dati aggiornati al 31/12/2008 fonte: www.comune.bologna.it/partecipazione-societarie/hera.php


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DOSSIER HERA

L’inceneritore di Forlì e il Piano Provinciale dei Rifiuti Il progetto del nuovo impianto, presentato sulla base di dati non aggiornati Forlì, 2003. Si diffonde la notizia che c’è l’intenzione di costruire un nuovo inceneritore. Si arriveranno così a bruciare, se il progetto presentato da Hera verrà approvato, 120.000 tonnellate di rifiuti, contro le 60.000 bruciate fino a quel momento. C’è un particolare però, che non sfugge alle associazioni ambientaliste e a molti cittadini. Le valutazioni che hanno portato a questa proposta sono basate su di un Piano Provinciale dei Rifiuti non solo vecchio, del ‘98, ma addirittura scaduto. “I dati anagrafici non erano aggiornati, non esisteva nessuna analisi merceologica capace di classificare i diversi tipi di rifiuti – riporta Michela Nanni, vice presidentessadell’associazione Clan-Destino di Forlì”. E ancora: “Il Comune e la Provincia non avevano raggiunto il 35% di raccolta differenziata stabilito dalla legge”. L’associazione comincia così una raccolta firme basata su un testo in cui, volontariamente, non compare nessun “no” all’inceneritore, ma solo obbiettivi di breve, media e lunga scadenza da rispettare. Cosa si chiede? Innanzitutto che venga elaborato “un Pia-

Manifestazione di protesta contro l’ampliamento dell’inceneritore di Forlì

no dei Rifiuti serio, contenente stime realistiche sulla quantità di rifiuti prodotta a livello provinciale. Poi la chiusura del vecchio inceneritore, costruito negli anni ‘70, e la costruzione di uno nuovo, commisurato al reale fabbisogno, mantenendo sempre però come obbiettivo di lungo periodo l’aumento della raccolta differenziata e la conseguente diminuzione progressiva della produzione di rifiuti”. Intanto Hera, fra il 2003 ed il 2004, deposita il progetto del nuovo impianto. “Così nuovo – continua Nanni – da usare una tecnologia simile a quella del

vecchio inceneritore: forno a griglia, nessun selettore che separa i metalli dal resto dei rifiuti prima dell’incenerimento”, con gli effetti dannosi per la salute e l’inquinamento che tutti sappiamo. La raccolta firme di Clan-Destino continua, “mentre le amministrazioni si rifiutano di incontrare i cittadini: il sindaco ci ha ricevuti dopo un anno e mezzo dalla nostra richiesta”. A fine 2004 viene concessa la Valutazione d’Impatto Ambientale (VIA) necessaria per la costruzione del nuovo stabilimento con una forzatura po-

litica. è la Giunta Provinciale a rilasciarla mentre la normale procedura vorrebbe che fossero tutti i membri della Conferenza dei Servizi (Provincia, Comune, Arpa, Ausl e Autorità di Bacino) a farlo. “Comune e USL esprimono parere contrario – spiega Nanni – perché avevano richiesto alcune garanzie sul rispetto dei livelli di emissioni inquinanti che Hera non è in grado di garantire”. Clan-Destino fa ricorso al Tar, mentre l’iter autorizzativo procede. C’è un fatto che però interviene a scuotere le coscienze. Nel 2005 viene pubblicata una

lettera in cui 409 medici chiedono di ripensare la decisione sull’inceneritore. Contemporaneamente ClanDestino, che ha formato assieme ad altre 21 associazioni – fra cui Confedilizia e Assocasalinghe – il tavolo delle associazioni, tutte unite in nome della protesta contro l’inceneritore, consegna più di 17.000 firme. Fra un altro ricorso al Tar, bocciato assieme al primo con motivazioni che l’associazione ritiene inconsistenti – si obietta ad esempio che alcuni firmatari non avrebbero diritto a fare ricorso, perché residenti a più di 1,5 km dall’impianto, mentre in realtà abitano a 350 metri – si è in attesa del parere del Consiglio di Stato, il più alto grado di giudizio. Nel frattempo, però, sono partiti altri due esposti, uno ambientale, a cui ha partecipato Clan-Destino, e uno sanitario, presentato dalla madre di un bambino residente nella zona dell’inceneritore, affetto da una patologia che potrebbe essere stata originata dalle emissioni inquinanti prodotte dall’impianto, attivo nella sua versione “potenziata” dal 2007.

Hera “protagonista” di una lunga serie di ricorsi, anche contro le decisioni degli enti locali

Le proteste anti inceneritore arrivano a Ferrara Ferrara, 2003. è questo l’anno in cui scoppiano le proteste a proposito del nuovo Piano Provinciale dei Rifiuti e sulla decisione di Hera, di potenziare l’inceneritore di Cassana, frazione di Ferrara. Lo racconta Valentino Tavolazzi, protagonista di una lunga vicenda giudiziaria contro l’azienda e adesso candidato sindaco per la lista “Progetto per Ferrara”. “Si decide di passare dalle circa 55.000 tonnellate bruciate in due diversi stabilimenti a 130.000”. L’obiettivo, dicono in Provincia, è quello di smaltire localmente i propri rifiuti. Un controsenso, affermano i vari comitati di protesta e le associazioni ambientaliste. Se l’obiettivo è veramente potenziare la raccolta differenziata, la quantità di rifiuti che si prospetta di bruciare è assolutamente sovradimensionata. Cominciano così sit-in, manifestazioni, convegni, mentre Tavolazzi scrive articoli sul vecchio inceneritore di Conchetta, un’altra frazione di Ferrara, affermando che lo stabilimento, pur essendo a norma di legge in Italia, non rispetta le normative europee per gli alti livelli di diossina emessi. Hera, che lo ha in gestione, lo querela,

chiedendo danni ingenti. Attenzione però: prima della sentenza l’inceneritore di Conchetta viene chiuso. Poi la sentenza arriva e a perdere è Hera, che deve risarcire a Tavolazzi 15.000 euro per “azione temeraria”. A questo punto diverse associazioni (WWF, Medicina Democratica, Grilli Estensi) cercano, fra il 2006 e il 2007, di condizionare l’approvazione dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA), il permesso che Hera deve ottenere per avviare le nuove linee dell’inceneritore di Cassana. “Nonostante alcuni risultati favorevoli raggiunti in merito al limite massimo di emissioni inquinanti fissate per il nuovo stabilimento, decidiamo comunque di fare ricorso al Tar contro il limite di 130.000 tonnellate di rifiuti”. Da adesso in poi comincia un paradossale ciclo di ricorsi al Tar: Hera ricorre contro il ricorso delle associazioni, mentre la Provincia, fra il 2007 e il 2008 “scrive una seconda AIA che va palesemente incontro ad Hera, modificando i limiti delle emissioni inquinanti”. Succede allora che le associazioni impugnano davanti al TAR la nuova AIA. E fin qui tutto abbastanza prevedibile.

Quello che arriverà a stupire tutti, comprese le istituzioni locali, è la decisione dell’azienda di ricorrere contro questo secondo ricorso, chiedendo contemporaneamente di importare senza limiti rifiuti speciali da fuori provincia. Il Piano Provinciale dei Rifiuti prevedeva che si potessero importare solo 30.000 tonnellate di rifiuti speciali. “Il problema è – sostiene Tavolazzi – che in questo modo i Comuni che non riescono a smaltire i propri rifiuti urbani li “trasformano” in speciali, che di fatto sono assimilati agli urbani, con l’unica differenza di essere prodotti dalle attività economiche e non dai privati. Questi rifiuti speciali però, a differenza di quelli urbani, possono circolare liberamente e si trova così un modo di aggirare la legge e incenerire a Ferrara rifiuti urbani provenienti da altre province”, azione assolutamente vietata dal Piano Provinciale dei Rifiuti. Il risultato è che adesso il Tar ha unificato tutti i ricorsi, e la sentenza finale è stata rinviata al 1° luglio 2009, per dare tempo ad Hera di presentare i risultati di uno studio sulle emissioni di polveri fini e ultrafini commissionato al Politecnico di Milano.


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DOSSIER HERA

Hera, il business dei rifiuti e la politica Raccolta differenziata fra dati reali e truccati: intervista a Natale Belosi Ma com’è possibile che avvenga questo? Perchè non esistono norme applicative che precisano puntualmente cosa può essere inserito nella raccolta differenziata. Così succede che i criteri dell’Osservatorio nazionale sui Rifiuti, più rigorosi, sono diversi da quelli provinciali e regionali, che interpretano la legge in modo molto più permissivo, come lo è anche la normativa dell’Emilia Romagna in materia. Prendiamo per esempio i dati di Forlì del 2008. Ufficialmente si ha una raccolta differenziata del 48%, ma se si adottasse il criterio del Veneto o della Lombardia il dato scenderebbe al 35%.

NATALE BELOSI

Natale Belosi è nato a Lugo (RA). Laureato in Scienza Agrarie, è esperto di gestione integrata dei rifiuti. Attualmente coordina il comitato tecnico scientifico dell’Ecoistituto di Faenza, che opera nel campo della ricerca, formazione e divulgazione relativamente alle problematiche ambientali. è stato consulente tecnico del Comune di Forlimpopoli per l’introduzione della raccolta differenziata porta a porta. Perché in Veneto e in Lombardia la raccolta differenziata porta a porta è già a regime nella maggior parte dei Comuni da più di 10 anni? Perché in Emilia Romagna no? Per quale motivo ci viene detto che la raccolta porta a porta è troppo costosa e si sostiene che l’incenerimento è indispensabile, pur consapevoli di quanto sia dannoso per la salute e antieconomico? I dubbi sulla gestione del ciclo dei rifiuti sono molti. Per fare un po’ di chiarezza abbiamo intervistato Natale Belosi, responsabile del comitato scientifico dell’Ecoistituto di Faenza, esperto di gestione integrata dei rifiuti. Perché Hera, che ha in gestione in quasi tutta la regione il ciclo dei rifiuti, spesso si oppone al porta a porta? L’incenerimento può usufruire dei contributi statali CIP 6 e dei certificati verdi (vedi pag. 18-19), che qui in Italia sono stati concessi per il 100% agli inceneritori, decisione che ha portato l’Unione Europea ad aprire un procedimento d’infrazione contro l’Italia, perché ovviamente il rifiuto non è una fonte rinnovabile di energia. Avere accesso a queste sovvenzioni significa, per chi gestisce i rifiuti, avere accesso a lauti guadagni. Il business del rifiuto non è tanto nella raccolta, ma nello

smaltimento. Inceneritori e discariche sono gli impianti che fanno guadagnare di più, anche perché chi li gestisce opera in regime praticamente monopolistico, mentre la concorrenza nel settore della trasformazione dei rifiuti è molto più alta. Non a caso Hera, nel territorio di competenza, gestisce quasi totalmente inceneritori e discariche, ma pochi impianti di trasformazione dei rifiuti, il che significa che più si fa raccolta differenziata più Hera perde business, visto che quelle frazioni riciclate non le gestisce direttamente l’azienda, ma altri privati. Quando Hera diffonde i dati relativi alla raccolta differenziata stradale in Romagna fà un’operazione di facciata. Secondo i loro calcoli la differenziata effettuata con il sistema di raccolta stradale sta aumentando sempre di più. Vi sono però piccoli particolari che non vengono mai rivelati: si prendono dei rifiuti speciali che vengono già normalmente riciclati, e si immettono nel circuito dei rifiuti urbani, oppure vengono conteggiati tra la raccolta differenziata rifiuti non pericolosi destinati a smaltimento. Tutti questi rifiuti vanno ad incrementare i numeri della raccolta differenziata, ma è solo il dato ad aumentare, non l’effettivo riciclo.

Secondo lei il passaggio dalle aziende municipalizzate alla società multiservizi cos’ha comportato? Non è che le municipalizzate avessero mentalità molto diversa, ma almeno erano maggiormente controllate dai Comuni o da consorzi di Comuni. In ogni caso le decisioni finali spettavano a questi, anche se suggerite dai consigli di amministrazione delle aziende municipalizzate che avevano in gestione il ciclo dei rifiuti, o quello dell’acqua. Adesso che i Comuni soci di Hera sono centinaia, ed è quindi l’azienda che decide cosa fare, mentre i Comuni, a parte quelli più grandi, come Bologna, non decidono più nulla, oppure decidono su questioni di poco conto. Per capire meglio come avviene questo meccanismo è utile analizzare più da vicino com’è strutturata a livello territoriale Hera. Vi è una struttura centrale, suddivisa in Società Operative Territoriali (Sot), che approssimativamente coprono un territorio provinciale: RavennaLugo, Forlì-Cesena, Ferrara, Rimini, Modena…Ogni Sot ha un Cda, dove vengono inserite persone indicate dai Comuni, tendenzialmente politici a fine carriera. Queste persone, sono sì designate dai Comuni, ma contemporaneamente devono essere “gradite” ai vertici di Hera. è quindi molto improbabile, per non dire impossibile, che un

politico che si è opposto a qualche decisione dell’azienda, come la costruzione di un nuovo inceneritore, ad esempio, possa entrare a far parte del Cda di una Sot, men che meno del Cda centrale. Se un Comune decide che vuole attivare la raccolta porta a porta ed Hera è contraria, cosa succede? In un certo qual modo sono obbligati a farla, anche per una questione di immagine. Ma, essendo comunque in regime di monopolio, Hera può frapporre mille ostacoli, a cominciare dalla progettazione del servizio, che può essere organizzato male per far aumentare i costi o per creare disagi. In tutti i casi, in un regime di monopolio, dove i dati vengono forniti dal gestore, i costi sono difficilmente controllabili. È quello che è successo a Forlimpopoli. In una gestione diretta i costi generali del porta a porta vengono calcolati in misura del 15% dei costi di raccolta, mentre Hera a Forlimpopoli ha presentato un conto in cui il 15% era stato calcolato su tutti i costi, inclusi quelli di smaltimento. Sostanzialmente la cifra è stata raddoppiata. L’ “inghippo” è stato in parte scoperto da uno studio esterno, a cui è stato affidato il riesame del progetto, a seguito di un contenzioso fra l’amministrazione comunale ed Hera. Vi è da dire, inoltre, che i costi generali sono da calcolare al 15% quando il servizio viene gestito direttamente dall’azienda, mentre diventano più bassi se viene esternalizzato, come fa Hera a Forlimpopoli, dove la raccolta porta a porta è stata appaltata ad una cooperativa sociale. Un altro dato che, per esempio, non quadra nei conti di Forlimpopoli è quello sullo smaltimento dei rifiuti pericolosi. Farmaci e pile sono i rifiuti che comportano i più alti costi di smaltimento, mentre gli oli esausti vengono raccolti gratuitamente dai consorzi. Ebbene, la stima totale è calcolata come se

Nelle società multiservizi i Comuni contano poco

tutti i rifiuti pericolosi avessero lo stesso costo di smaltimento, quello più alto. Lo stesso studio ha poi dovuto ammettere che su altre voci di costo era impossibile una verifica sui dati forniti da Hera, in particolare sui quelli relativi alla parte di porta a porta gestita dall’azienda: raccolta degli ingombranti presso le ditte, raccolta del verde e svuotamento delle isole ecologiche. A mio parere sui costi, ma anche su altro vi è una mancanza di trasparenza. Spesso Hera nonostante ripetute richieste, non ha fornito i dati. Perché? Non sono obbligati, sono informazioni su cui vale “il diritto alla privacy”.

Si sfrutta la difficoltà dei cittadini ad informarsi

L’impressione è che si cerchi di sfruttare a proprio vantaggio la difficoltà dei cittadini di informarsi correttamente su argomenti tecnici e scientifici molto specifici. è un’impressione largamente condivisibile. Ma com’è possibile, allora, che Hera contemporaneamente proponga nelle scuole corsi di educazione ambientale e riciclaggio? Sicuramente, soprattutto per un discorso di immagine, l’azienda deve esaltare a parole la raccolta differenziata, anche per non mettersi contro gli insegnanti. Ma, esaminando più dettagliatamente la strategia comunicativa dell’azienda, si scopre che la raccolta differenziata e l’incenerimento vengono messi sullo stesso piano. Cosa si può fare per cambiare questa situazione? Principalmente ci sono due vie: movimenti di base della popolazione che si mobilitano per ottenere la raccolta differenziata porta a porta e amministrazioni locali che si muovono per chiedere la stessa cosa. Tutte le amministrazioni che hanno intrapreso questo percorso non sono più tornate indietro. Se Hera, Comuni e Province cambiassero mentalità sarebbe meglio per tutti, perché sono già indietro rispetto ai tempi.


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SALUTE E PREVENZIONE

[Adotta il posto in cui vivi, il tuo quartiere, la tua frazione, la tua città]

La salute prima di tutto L’oncologa Gentilini ci spiega che è possibile adottare misure concrete per contrastare davvero i rischi dell’inquinamento La prevenzione primaria è l’insieme di tutti quei comportamenti che cercano di evitare/ridurre l’insorgenza e lo sviluppo di una patologia. Patrizia Gentilini è senz’altro una delle personalità più importanti del mondo culturale e scientifico di Forlì. Grazie al suo impegno e alla sua determinazione, la comunità medica e scientifica italiana e internazionale è venuta a conoscenza dei gravi pericoli per la salute collegati agli inceneritori dei rifiuti. Visto il valore e l’importanza dei suoi studi e il generoso e disinteressato impegno civico a favore della salute dei forlivesi, abbiamo ritenuto importante proporre questa recente intervista, rilasciata alla fine di un’incontro organizzato dalla lista civica DestinAzione Forlì, a cui la stessa Gentilini ha pubblicamente dichiarato che darà il voto alle prossime elezioni comunali. Quali sono le azioni immediate che un cittadino o un amministratore possono fare per ridurre il proprio impatto sull’ambiente? “Azioni immediate? Fare la raccolta differenziata dell’organico; il compostaggio domestico; riciclare il più possibile i propri rifiuti. Imparare a riusare, cominciare a scambiarsi le cose ed evitare di buttar via gli oggetti ancora in buone condizioni, facendoli durare il più a lungo possibile. Attivare tutti quei percorsi che permettono di aggiustare le cose rotte o danneggiate, ridando vita a piccole attività artigianali. Spegnere le televisioni e accendere i cervelli per non farci rubare il tempo da questo sistema che ci ha addormentato le coscienze, la fantasia e ha inquinato l’ambiente. Cominciare a parlarsi, a guardarsi e a riconoscersi. Passare il tempo assieme agli altri, perchè nessun uomo è un’isola. In altre parole, ritrovare il senso della comunità”.

Parlando di Romagna, si può dire che questo territorio viene percepito a livello nazionale come una sorta di isola felice. Gli stessi romagnoli tendono a pensarlo. Dal suo punto di vista, basandosi sulle informazioni che solitamente fornisce ai cittadini, quali sono le reali condizioni della Romagna ? “La Romagna ha luci e ombre. Le ombre sono, per esempio, l’altissima incidenza di cancro, che è un indice grave per quanto riguarda la qualità della salute e lo stato dell’ambiente. Abbiamo avuto degli scandali vergognosi, come quello dei rifiuti tossici smaltiti e dati come concime ai contadini, che fra l’altro sono emersi in modo molto blando sulla stampa nazionale. C’è l’impressione di voler vivere un po’ di rendita dell’immagine di un buon governo che mi sembra però sia andato scomparendo nel corso del tempo. Per cui sì, viviamo di rendita, ma in realtà abbiamo dei grossi problemi. Stiamo assistendo ad una cementificazione selvaggia e assolutamente non programmata. In Inghilterra, invece, si costruisce solo sul pregresso e non si consuma più un centimetro di suolo”. Volendo mettere in luce anche alcuni aspetti postivi, che cosa si potrebbe evidenziare? “Secondo me fra gli aspetti positivi vi è sicuramente la capacità imprenditoriale dei romagnoli. Forse però abbiamo pensato un po’ troppo agli affari e abbiamo perso di vista il senso della comunità, oltre a quello del buongoverno della città. Che è un qualcosa che richiede l’impegno di tutti, mentre noi l’abbiamo delegato ai nostri amministratori e ai politici. Io credo che dovremmo

PATRIZIA GENTILINI

Dal 1979 ha lavorato stabilmente in Oncologia presso l’Ospedale di Forlì occupandosi sia di Prevenzione-Diagnosi Precoce che di Terapia dei tumori. A fine 2007 si è ritirata dall’esercizio attivo della professione. Fa parte dell’ Associazione contro Leucemie, Linfomi, Mieloma (AIL) sezione Forlì-Cesena, con l’incarico di vice presidente. Fa inoltre parte dell’Associazione Medici per l’Ambiente (ISDE Italia). Patrizia Gentilini (a sinistra) con Raffaella Pirini, candidata Sindaco al Comune di Forlì per la lista civica DestinAzione Forlì

riappropriarci del nostro destino e cercare di dare la giusta direzione alle cose, visto che in ballo c’è il bene comune, perché se aumenta la salute tutti ne traggono giovamento”. Ma l’amministratore ha gli strumenti effettivi, se vuole, per orientare la sua azione in maniera positiva? “Assolutamente sì, lo dico con convinzione alla luce di questa esperienza dei Comuni Virtuosi (associazione di enti locali concretamente impegnati nella difesa dell’ambiente, nel risparmio energetico e nell’incentivazione di stili di vita più consapevoli, www.comunivirtuosi.org, N.d.R.) in Italia. Non è vero che è impossibile imboccare strade corrette. Se gli amministratori vogliono farlo, i sindaci in particolare, ne hanno la possibilità. Alcuni sindaci lo stanno già facendo. Si sta creando una rete dell’Italia che funziona, una delle esperienze più belle che mi sta capitando di fare in questi anni in cui sto vedendo le due facce della medaglia. Da una parte quella dei disastri ambientali, delle cave, degli inceneritori, delle centrali a carbone, delle discariche e chi più ne ha più ne metta; dall’altra una rete di cittadini e di ammi-

nistratori, ci tengo a dirlo, che sono dalla parte dei cittadini. Quando si realizza questo patto la forza della comunità è enorme. In un sistema che sta andando a picco si salveranno le comunità in cui si è realizzato un patto di speranza e di vita”. Un’ultima cosa: la scienza. I suoi colleghi, stanno contribuendo alla creazione di questa nuova coscienza? O stanno invece andando in una direzione che porta ancora più problemi? No, sono contenta perché vi è sicuramente una crescente presa di coscienza da parte dei miei colleghi, soprattutto sull’importanza della prevenzione. E in particolare degli oncologi, di cui io faccio parte, che sono una delle categorie che vive di più le contraddizioni del sistema sanitario. Sto parlando della schizofrenia che vede Visita il nostro sito www.ilconsapevole.it e richiedi una

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tecnologie e strumenti terapeutici costosissimi incapaci, molto spesso, di incidere sul destino delle persone, di guarirle. Ecco, credo che proprio gli oncologi stiano acquisendo coscienza, come anche pediatri e medici di base. Sono le retroguardie del pensiero a rimanere ancorate a questi paradigmi ai quali hanno legato le loro fortune e che si guardano bene dal mettere in crisi. Ma così facendo si rimane indietro rispetto alle conoscenze scientifiche, al mondo che avanza. Siamo arrivati al punto in cui tutti devono prendere coscienza che i problemi esistono ma vanno risolti.


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